arqueologia de la produccion en epoca medieval-libre

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L'uso degli studi archeometrici e petrografici per l'archeologia della produzione

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    ANTONIOMALPICACUELLO

    Profesor de Arqueologa Medieval de la Universidad de Granada

    15

    Del texto: los autores

    De la presente edicin: Alhulia, S.L.Plaza de Rafael Alberti, 1Tel./fax: 958 82 83 01

    www.alhulia.com eMail: [email protected] - Granada

    ISBN: 978-84-15897-14-9Depsito Legal: Gr. 1.963-2013

    Imprime: Kadmos

    Grupo de Investigacin Toponimia, Historia y Arqueologa

    del Reino de Granada

    NaklaColeccin de Arqueologa y Patrimonio

    Esta publicacin ha sido subvencionada

    por el Ministerio de Educacin y Ciencia

    del Gobierno de Espaa.

    Proyecto de Investigacin I+D+I

    Ref. HUM2006-06210

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    LO STUDIO MINERALOGICO E PETROGRAFICO DELLE CERAMICHE

    COME FONTE DELLARCHEOLOGIA DELLA PRODUZIONE

    CLAUDIO CAPELLI, ROBERTO CABELLA

    DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA, DELLAMBIENTE E DELLA VITA (DISTAV)

    UNIVERSIT DEGLI STUDI DI GENOVA (ITALIA)

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    1. Introduzione

    Le analisi archeometriche, condotte attraverso i metodi mineralogici, petro-grafici o chimici, sono oramai un complemento importante e diffuso nelle ricerchearcheologiche, in quanto permettono di ottenere informazioni riguardanti la prove-nienza, la produzione, luso e lalterazione dei materiali ceramici (Rice, 1987; Mag-getti, 1990;Williams, 1990).

    Per una discussione sui vari metodi di laboratorio pi comunemente utilizzati(analisi in microscopia ottica ed elettronica, diffrazione di raggi X, fluorescenza diraggi X) e sul contributo delle analisi archeometriche negli studi di provenienza delleceramiche, si rimanda ad un articolo pubblicato negli atti di un precedente convegnosvolto a Granada (Capelli, Cabella, 2005). Questa breve sintesi, senza alcuna prete-sa di esaustivit, sar concentrata sullapporto delle analisi mineralogiche e petrografi-che alla ricostruzione dei processi produttivi e dei percorsi delle conoscenze tecniche,

    rinviando per esempio a Mannoni, Giannichedda (1996) e Cuomo di Caprio(2007) per una visione pi generale delle problematiche della produzione ceramicadal punto di vista archeologico.

    2. Materie prime e processi di produzione

    I componenti principali di un impasto ceramico sono oltre allacqua lar-gilla e le inclusioni aplastiche (o scheletro). Limpasto pu essere realizzato con unsedimento tal quale, oppure pu essere costituito da una frazione argillosa, derivatada una depurazione di un sedimento da cui sono eleminate la frazione sabbiosa gros-solana e le impurit, e da un eventuale scheletro (o degrassante) selezionato e aggiuntointenzionalmente. La frazione argillosa pu anche derivare dalla miscela di una o piargille con caratteristiche differenti.

    Tali componenti subiscono una lavorazione pi o meno accurata da parte deivasai. Lanalisi tessiturale al microscopio consente di verificare il grado di omoge-neit dellimpasto, correlabile al grado di lavorazione, e spesso di ottenere informa-

    zioni sul tipo di modellazione subita dalla ceramica. Ad esempio, una lavorazioneal tornio veloce provoca lappiattimento e lisorientazione, secondo piani paralleli

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    alle superfici del manufatto, delle bolle daria intrappolate dallargilla (vacuoli) e deiminerali planari, come le miche. Nel caso di altri tipi di lavorazione, come quella acolombino, si notano invece disomogeneit di orientazione tra le diverse porzioni

    dellimpasto.

    I manufatti, una volta essiccati, sono quindi sottoposti ad una o pi fasi di cot-tura secondo varie tecniche, pi o meno avanzate, che causano leliminazione dellac-qua di impasto e varie trasformazioni (irreversibili) mineralogiche, fisiche e chimiche,con la formazione del cosiddetto impasto o corpo ceramico, duro e resistente. Suicorpi ceramici possono anche essere applicati dei rivestimenti argillosi e/o vetrosi e deidecori con pigmenti colorati, talora associati a graffiture.

    2.1. Argille, inclusioni e degrassanti

    Informazioni sulle differenti componenti dellimpasto possono essere ottenuteattraverso lanalisi in microscopia ottica. Per quanto riguarda la frazione argillosa,lanalisi in sezione sottile poco precisa, ma consente di differenziare approssima-tivamente, tramite il colore ed alcune altre caratteristiche, le argille calcaree (chiare,giallastre) da quelle ferriche (rosse, brune o nerastre) o da quelle caolinitiche (grigio-biancastre). Nei casi in cui limpasto mal mescolato, anche possibile riconoscereleventuale presenza di un secondo tipo di argilla, aggiunto per migliorare le caratteri-stiche di plasticit, di ritiro o di resistenza della prima (fig. 1, n. 1).

    Le analisi al microscopio ottico, specie quelle in sezione sottile, sono pi ef-ficaci per quanto riguarda le inclusioni, delle quali possono essere determinate siala natura, sia le percentuali, la forma, le dimensioni e il grado di classazione (cio lecaratteristiche tessiturali). Oltre a fornire informazioni sulla provenienza dello sche-letro (e quindi, nella maggior parte dei casi, delle ceramiche, prodotte in genere pres-so le fonti di materie prime), lanalisi composizionale e tessiturale dellimpasto pu

    permettere di riconoscere unaggiunta intenzionale di degrassante selezionato, chepu essere costituito, ad esempio, da calcite spatica macinata (da vene, marmi, ecc.),sabbia, ceramica macinata (chamotte) (fig. 1, nn. 2-4) o anche materiale vegetale. Lacomponente aggiunta infatti spesso ben classata (di dimensioni selezionate) e dicomposizione petrografica differente da quella delle inclusioni della massa di fondo,associate al sedimento argilloso.

    Mentre alcuni tipi di degrassante, come la chamotte, non subiscono trasfor-mazioni durante la cottura della ceramica, altri componenti possono alterarsi, reagire

    con largilla dellimpasto o scomparire quasi totalmente, lasciando poche tracce dellaloro esistenza originaria.

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    Ad esempio, gli elementi carbonatici si dissociano nellintervallo compreso tra650 e 900 C circa. Oltre tali temperature, la calcite spatica lascia dei caratteristicivacuoli di forma poligonale a spigoli vivi. Il materiale vegetale scompare a temperatu-re pi basse, lasciando vacuoli allungati e irregolari nel caso di piante erbacee. Talora,al loro interno si possono osservare relitti dei fitoliti, cio i costituenti dello scheletrosiliceo del fusto. Il loro studio pu far risalire al tipo di piante utilizzate, dato partico-larmente importante nel caso di specie coltivate.

    Lanalisi chimica di bulk, che prevede la polverizzazione del campione, permet-te invece di conoscere la composizione media di un impasto, senza per poter distin-guere tra le varie componenti plastiche e aplastiche. In genere, tale metodo, adatto inparticolare per lo studio di impasti fini, consente comunque di riconoscere lutilizzo

    di argille calcaree oppure di argille non calcaree (ferriche o caolinitiche), che hannocaratteristiche tecniche molto diverse (Picon, Olcese, 1994).

    Fig. 1. Microfotografie in sezione sottile (Nx) con esempi di componenti aggiunte intenzional-mente: argilla ferrica mescolata con unargilla carbonatica (1), calcite spatica macinata (2), sabbia

    quarzosa di origine eolica (3), chamotte (4)

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    2.2. Rapporto forma/funzione/impasto

    Le osservazioni in microscopia ottica mettono in evidenza eventuali correlazio-

    ni sistematiche dellimpasto con la forma e la funzione degli oggetti esaminati, indi-canti una scelta intenzionale delle materie prime e una loro lavorazione pi o menoaccurata. Daltro canto, le caratteristiche di un impasto possono suggerire la funzionedi un manufatto quando questa sconosciuta allarcheologo.

    Ceramiche fini, con pareti sottili, richiedono in genere argille depurate (na-turalmente o intenzionalmente). Al contrario, contenitori di grandi dimensioni olaterizi necessitano generalmente di uno scheletro grossolano, in molti casi aggiuntodi proposito, che impedisca forti ritiri e rotture durante lessiccamento e la cottura.

    Le ceramiche da cucina richiedono materie prime idonee sia alla resistenza agli shocktermici, sia allassorbimento e al rilascio lento di calore per evitare il bruciare deicibi (Picon, Olcese, 1994; Tite, Kilikoglou, Vekinis, 2001). Argille adatte sonoquelle povere in calcio, caolinitiche o ferriche, mentre quelle carbonatiche non sonoconvenienti. Calcite spatica, quarzo, elementi derivati da metamorfiti acide, vulcanitibasiche e, in certi settori geologici, rocce gabbriche sono tra i tipi di degrassante pidiffusi (fig. 1).

    Argille carbonatiche, che generano impasti chiari e porosi, sono invece utilizza-

    te per contenitori da acqua senza rivestimento e per le maioliche, fornendo in questocaso uno sfondo pi adatto per far risaltare i decori e permettendo la formazione dismalti pi spessi e aderenti (Emiliani, Corbara, 2001).

    2.3. Condizioni di cottura

    Le analisi di laboratorio permettono di ottenere informazioni sia sulle tempe-rature massime raggiunte, sia sullambiente e il grado di omogeneit della cottura e,

    quindi, pi in generale, sul tipo di forno utilizzato e sul livello di conoscenze tecnichecorrelato ad una determinata produzione ceramica.

    Come gi stato accennato in precedenza, limpasto subisce trasformazionitessiturali e mineralogiche durante la cottura. Con laumentare della temperatura, variminerali scompaiono a spese di altre fasi cristalline o di una fase vetrosa. Attraversolanalisi in microscopia ottica ed elettronica si ottiene una stima approssimata delletemperature raggiunte, osservando la stabilit o meno di alcune componenti, comequelle carbonatiche, o il grado di vetrificazione dellimpasto (Riccardi, Messiga,Duminuco,1999; Maniatis, Tite, 1981). Tuttavia, la tecnica pi adatta per una va-lutazione del grado di cottura considerata quella della diffrazione di raggi X (XRD),

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    la quale consente di riconoscere le associazioni di fasi cristalline, anche di dimensioniminime e non determinabili al microscopio, presenti nella ceramica e di correlare irisultati con i dati sperimentali derivanti da prove di cottura in condizioni controllate

    su impasti di composizione analoga (Maggetti, 1981; Cultroneet al., 2001).

    Per quanto riguarda la ricostruzione dellambiente del forno, il colore dellim-pasto, influenzato dalla presenza di determinate fasi mineralogiche (determinabili conprecisione tramite, ad esempio, analisi XRD), suggerisce la presenza o meno di os-sigeno durante le differenti fasi di cottura e raffreddamento. In particolare, impastitendenti al rosso indicano cottura ossidante, con sviluppo di ematite (Fe2O3) a spesedei composti di ferro dellargilla, mentre una cottura in ambiente riducente generacolori tendenti al grigiastro o al bruno scuro, dovuti essenzialmente allo sviluppo di

    magnetite (Fe3O4) o, in casi particolari, di grafite (C), derivata dalla trasformazionedelle sostanze organiche. Osservando i corpi ceramici nello spessore trasversale allesuperfici si possono talore notare fasce di colore differente, che rappresentano la testi-monianza di sequenze di fasi di cottura (e raffreddamento finale) con diverse condi-zioni di ossigenazione del forno.

    2.4. I rivestimenti

    La corretta determinazione di un tipo di rivestimento e la sua caratterizzazioneapprofondita sono di grande importanza non solo per le classificazioni tipologiche,ma anche per la ricostruzione delle produzioni complesse (costituite da pi tipi oclassi differenti) allinterno di uno stesso atelier o centro manufatturiero e per liden-tificazione dellorigine sia di tali produzioni, sia delle conoscenze tecniche legate adesse (Capelli, Cabella, 2004; Berti, Capelli, Gelichi, 2006).

    Le analisi al microscopio ottico (in sezione sottile) ed elettronico (SEM-EDS)consentono di caratterizzare con precisione, dal punto di vista sia tessiturale che chi-

    mico, i tipi di rivestimento (argillosi o vetrosi) e gli eventuali pigmenti o coloranti pre-senti su una ceramica, evidenziando anche la presenza di alterazioni post-deposizionaliche possono impedire una corretta determinazione tipologica ad occhio nudo (fig. 2).

    Nei rivestimenti argillosi colorati ferrici (rossi o neri) pu essere anche valutatoil grado di vetrificazione, correlabile alle temperature di cottura, e pu essere effet-tuata la distinzione tra ingobbi non vetrificati e vernici (tipiche delle produzionipre-medievali) sinterizzate per temperature di cottura elevate, ottenute in forni tecno-logicamente avanzati.

    In merito agli ingobbi bianchi medievali, recenti studi hanno dimostrato comenon tutti questi rivestimenti siano costituiti da caolini (fig. 3, ZW), ma che siano state

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    Fig. 2. Immagini al SEM di una vetrina trasparente (a sinistra) e di uno smalto concassiterite (a destra) che presentano forte alterazione della superficie esterna

    Fig. 3. Immagini al SEM con esempi di ingobbi bianchi di ceramiche medievali (da Berti, Capel-li, Gelichi, 2006). ZW: Zeuxippus Ware di origine egea (ingobbio argilloso compatto e quasiprivo di inclusioni aplastiche); GAT: Graffita arcaica tirrenica di origine savonese (ingobbio conmatrice argillosa di aspetto fibroso e numerose inclusioni grossolane); GSW: Glazed slip warewith green spashed decorations di origine probabilmente egeo-anatolica (ingobbio con scarsamatrice argillosa e abbondanti inclusioni silicatiche); PSSW: Port Saint Symeon ware originariadella regione di Antiochia (ingobbio con scarsa matrice, parzialmente vetrificata, e numerose in-

    clusioni di quarzo)

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    anche utilizzate altre materie prime argillose cuocenti in bianco, depurate o meno (fig.3, GAT), e addirittura rocce silicatiche (fig. 3, GSW) o quarzo (fig.3, PSSW) maci-nati, e che materie prime e tecniche differenti corrispondano ad aree tecnologiche/

    di provenienza distinte (Berti, Capelli, Gelichi, 2006; Capelli, Cabella, 2007).

    Al microscopio, gli ingobbi possono essere facilmente differenziati dagli schia-rimenti delle superfici del corpo ceramico, ottenuti utilizzando acqua salata o aggiun-gendo sale allimpasto. Tale tecnica tipica, ad esempio, di molte produzioni tunisinegi dallepoca preromana ed tuttora utilizzata (Peacock, 1984).

    Infine, per quanto riguarda i rivestimenti vetrosi, le analisi possono individuareleventuale presenza sia di opacizzante (generalmente cassiterite, SnO2), distinguendotra vetrine trasparenti e smalti (fig. 2, 4e 5), sia di componenti relitte dei pigmenti odella miscela vetrosa (fig. 4). La forma delle inclusioni silicatiche non completamentefuse (generalmente quarzo e feldspati) permette talora di riconoscere, ad esempio,lutilizzo di sabbie tal quali o di fritta macinata (fig. 4). La microanalisi chimica dellaparte vetrosa, infine, determina sia i tipi di fondenti utilizzati (piombo e/o alcali) e laloro quantit (Titeet al., 1998), sia gli elementi coloranti.

    Lanalisi dellinterfaccia tra corpo ceramico e rivestimento (andamento del con-tatto, sviluppo delle fasi microcristalline di neoformazione; Molera et al., 2001),insieme allosservazione di altre caratteristiche tecniche (ad esempio il grado di ossi-

    dazione della ceramica), consente in molti casi di specificare se una ceramica rivestita stata cotta in una o due fasi (fig. 5). Losservazione al microscopio di sezioni perpen-dicolari alle superfici, infine, pu determinare se i decori sono stati posti sopra o sottoil rivestimento (fig. 6).

    Fig. 4. Immagini al SEM con esempi di rivestimenti vetrosi contenenti numerose inclusioni relittedi quarzo e feldspati subordinati. La forma arrotondata (a sinistra, vetrina trasparente) o angolosa(a destra, smalto opacizzato con cassiterite) suggeriscono lutilizzo di materie prime derivate rispet-

    tivamente da una sabbia silicatica o da una fritta

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    3. Conlusioni

    La documentazione scritta, i resti dei forni e delle materie prime utilizzate, gliscarti di produzione di prima o seconda cottura e lattrezzatura di fornace sono diimportanza fondamentale per la conoscenza dei processi produttivi e per gli studi diprovenienza.

    Tuttavia, sono molto rari i casi in cui tali dati sono disponibili. In loro assenza,le analisi archeometriche, in particolare quelle mineralogiche e petrografiche, pos-sono contribuire in maniera significativa alla ricostruzione delle differenti fasi dellaproduzione, a partire dalla scelta e dalla lavorazione delle materie prime fino allericette di fabbricazione dei rivestimenti e alle modalit di cottura. Esse permettonodi individuare le caratteristiche e il livello tecnico di una produzione e di compararla

    Fig. 5. Immagini al SEM con esempi di ceramiche invetriate in monocottura (vetrina trasparente,

    a sinistra) e in doppia cottura (smalto opacizzato con cassiterite, a destra)

    Fig. 6. Microfotografie in sezione sottile (Np) di ceramiche invetriate su ingobbio (a sinistra) esmaltate (a destra). I decori sono posti rispettivamente sotto e sopra il rivestimento vetroso

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    con altre, evidenziando differenze e affinit. Tali informazioni, associate con i risultatidelle indagini di provenienza e i dati archeologici, consentono di distinguere le produ-zioni locali dalle imitazioni e contribuiscono a ricostruire sia la nascita e levoluzione

    nel tempo dei singoli centri produttivi, sia i percorsi delle rotte commerciali e delleconoscenze tecniche a piccola e grande scala.

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