arte italiana e antica

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    Arte italiana earte antica

    di Nicole Dacos

    Storia dellarte Einaudi 1

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    Edizione di riferimento:

    in Storia dellarte italiana, I. Materiali e problemi,

    3. Lesperienza dellantico, dellEuropa, della religio-sit, a cura di Giovanni Previtali, Einaudi, Torino1979

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    Indice

    Storia dellarte Einaudi 3

    1. Affinit fondamentali fra cultura anticae cultura italiana 4

    2. Azione degli umanisti e relazioni con gli artisti.

    Iconologia e conoscenza 63. La moda antichizzante attorno al 1400.

    Il Ghiberti 13

    4. Valore progressista del ritorno allanticodi Brunelleschi e Donatello 16

    5. Il caso di Leon Battista Alberti 22

    6. Ellenismo privo di archeologia di Masaccioe di Piero della Francesca 25

    7. I quaderni di modelli e la teoria delladisgiunzione di Panofsky 28

    8. Altri centri di cultura 32

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    1. Affinit fondamentali fra cultura antica e culturaitaliana.

    Il rapporto privilegiato che, nel corso di tutta la suastoria, unisce larte italiana a quella dellantichit nonsi manifesta fin dal suo nascere, nel momento in cui, perriprendere lespressione del Cennini, Giotto cambilarte del dipingere dal greco in latino. Nella granderivoluzione realizzata da Giotto il rapporto con larte

    antica del tutto secondario, se non addirittura inesi-stente a parte alcuni motivi decorativi, la cui conoscen-za indiscutibile, ma il cui rilievo sul piano stilisticoresta trascurabile. Nel suo deciso rifiuto della culturadellImpero dOriente e quindi dellarte bizantina, lar-tista si sforza di creare una lingua nuova, nutrita delletradizioni locali e le cui basi sono completamente diver-se: alla visione religiosa e irrazionale viene sostituita

    una visione naturalistica e razionale centrata sul ruolopredominante delluomo. In questa ottica, il problemaessenziale da affrontare quello dellunificazione dellospazio, che Giotto si sforza di rappresentare in tredimensioni grazie alla scoperta delle leggi della prospet-tiva.

    Questo passo, fondamentale per larte occidentale, alquale il Vasari aveva gi alluso quando affermava cheGiotto scoperse qualcosa dello sfuggire e scortare le

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    figure, non viene compiuto immediatamente. Il mae-stro per ne pone le basi e specialmente nella Cappella

    degli Scrovegni, in alcune parti marginali, arriva anchea risultati estremamente avanzati. soprattutto il casodelle famose nicchie rappresentate in una prospettivaperfetta, la cui complessit viene sottolineata dalla rap-presentazione di quelle spirali di ferro sospese alla chia-ve di volta che Longhi nel suo Giotto spazioso ha para-gonato a scatole mimetiche1.

    Nel processo di liberazione definitiva dalle premesseteocratiche e liturgiche che caratterizzano larte bizan-tina, il maestro ha quindi creato un idioma nazionale chesi pu paragonare alla creazione della lingua italiana. Idue fenomeni, artistico e linguistico, sono quasi con-temporanei e rientrano in una stessa cultura che basa-ta essenzialmente sullo sfruttamento e sullo sviluppodelle tradizioni autoctone e resta fondamentalmenteestranea allantichit.

    Tuttavia nella stessa epoca, nel primo terzo del XIV

    secolo, molte opere antiche erano sfruttate, non per inpittura. Furono gli scultori dapprima e in seguito gliarchitetti a guardare i frammenti antichi e a ricordarse-ne nelle loro opere probabilmente per le affinit senti-te per quel che i loro lontani antenati avevano lasciatoe che trovavano in gran numero soprattutto a Roma maanche in altre regioni dItalia. Ma questo rapporto stret-to, di carattere quasi tecnico o materiale, non significa-

    va necessariamente una vera e propria corrente cultura-le. Si trattava piuttosto di affinit che gli artisti prova-vano spontaneamente per le vestigia archeologiche cheerano loro familiari, che li circondavano e di cui intra-vedevano confusamente le qualit.

    In scultura il rapporto si era precisato con NicolaPisano che aveva portato in Toscana la cultura anticaelaborata da Federico II per fini ben diversi, essenzial-mente politici. Gi in quel caso si trattava di una volont

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    ben definita di far rivivere le potenzialit dellarte anti-ca, per rafforzare tutte le analogie del nuovo Stato con

    lImpero romano.Il pulpito del Battistero di Pisa, ultimato verso il1260, testimonia un modo nuovo di guardare ai sarco-fagi romani e il tentativo di rendere, grazie al loro stu-dio che risulta evidente quasi in ogni figura, il volumedel corpo umano. La maestosa e robusta Vergine sedu-ta ispirata a una Fedra, cos come lallegoria del Corag-gio ripresa da un Ercole. Pur nella trasformazione chefa subire a tali modelli, lartista non riesce tuttavia aliberarsi definitivamente della sua visione gotica e quin-di non domina completamente la potenza espressiva delvolume. Tra gli artisti della generazione successiva Gio-vanni Pisano abbandona la strada tentata dal padre e silascia ben presto riassorbire dalla cultura gotica, mentrea seguire la via del classicismo rimane Arnolfo di Cam-bio. Nelle sue opere spesso difficile individuare, coschiaramente come in Nicola Pisano, lorigine antica dei

    modelli e ci bench alcune figure, come la Vergine dellaNativit, del Museo dellOpera del Duomo di Firenze,siano ispirate direttamente alle figure giacenti delletombe etrusche. Lartista ha studiato con ogni eviden-za i sarcofagi e i rilievi e ne ha assimilato il plasticismoe la forza, lungo la strada aperta dal suo maestro.

    2. Azione degli umanisti e relazioni con gli artisti.Iconologia e conoscenza.

    noto che il concetto di ritorno allantico stato teo-rizzato non dagli artisti ma dagli umanisti. Esso risaleessenzialmente a Petrarca che, dopo la sua prima visitaa Roma nel 1337, elabor una nuova visione della sto-ria: in essa lantichit classica viene concepita comeunepoca di splendore alla quale fa seguito, a partire

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    dalla conversione di Costantino, una lunga decadenza.Tuttavia la visione di Petrarca non orientata verso la

    contemplazione estetica delle vestigia antiche, Lanti-che mura, chancor teme ed ama | E trema l mondoquando si rimembra | Del tempo andato...2 giacch sitratta di una cultura che non porta a guardare i monu-menti o le sculture in se stessi, ma solamente a consi-derarli come punti di partenza contingenti per la cono-scenza letteraria del passato e delle sue implicazioniarcheologiche, politiche o morali, nostalgicamente rie-vocate.

    Lidea del ritorno intenzionale alle fonti antiche siprecisa in Boccaccio e si sviluppa negli ambienti uma-nistici ma non giunge ancora a influenzare gli artisti.Letterati e artisti appartenevano a due ceti sociali diver-si che avevano pochi contatti tra loro e le cui concezio-ni non avevano molto in comune. Una vera e propriapassione per larte antica, insieme alla volont delibera-ta di considerarla come modello, si accender solamen-

    te allinizio del XV secolo, quando i letterati trasmette-ranno lamore per lantico agli artisti e costoro potran-no ormai rivederlo alla luce del loro gusto personale,considerando finalmente figure, decorazioni floreali earchitetture in quanto tali e non limitandosi pi a guar-darle come semplici documenti.

    Questi due modi di intendere lantico, di cui deveessere particolarmente sottolineato il contrasto, bench

    siano stati spesso confusi, continueranno daltra parte aesistere fino ai giorni nostri, per arrivare a tradursi indue orientamenti metodologici fondamentali della criti-ca storico-artistica, tuttora ben distinguibili, nonostan-te tutti i rapporti interdisciplinari opportunamente sta-bilitisi tra loro: lorientamento delliconografo e quellodel conoscitore. Il primo ancor oggi fortemente lega-to a una visione e a una cultura letteraria e in esso leopere antiche sono considerate come documenti ed evo-

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    cazioni culturali; il secondo, invece, aderente allo spe-cifico campo artistico, che guarda alle opere e le valuta

    in funzione delle loro linee, forme e colori, insommadella mano di colui che le ha concepite ed eseguite.Unimportante corrente degli studi del XX secolo sui

    rapporti dellarte italiana con larte antica, sviluppatasidapprima in Germania, soprattutto in seno alla biblio-teca Warburg ad Amburgo, poi, quando questultima stata trasferita a Londra e ha costituito uno dei pi bril-lanti istituti di quella universit, in Inghilterra, e anchenegli Stati Uniti, ha insistito soprattutto per il periododel Rinascimento sul contenuto letterario ed eruditodellarte italiana, derivato da testi antichi, studiando irapporti che gli artisti mantenevano con gli umanisti. Sitratta di studiosi, con una formazione dovuta a unaconoscenza molto approfondita della filologia classica, diimpronta tedesca, indispensabile alla loro ricerca e chehanno spesso fatto passare in secondo piano i problemidella forma e, talvolta, le affinit che larte italiana pre-

    senta con larte antica dal punto di vista strettamentestilistico. Cos, un eminente studioso quale Panofsky hatrascurato di distinguere nettamente i due orientamen-ti critici e, in questo modo, si potuto ingannare nellasua interpretazione. Si pu indicare come particolar-mente significativo il caso della famosa lettera scritta daGiovanni Dondi, il medico padovano amico di Petrar-ca, sulla sua visita a Roma nel 1375:

    Delle opere darte create dai grandi uomini dellAnti-chit, sono rare quelle che sono state conservate; tuttaviaquelle che esistono ancora in qualche luogo sono ricercatee considerate avidamente ab iis qui ea in re sentiunte val-gono molto. E se le si paragona a quelle che si creano oggi,appare evidente che i loro autori erano pi dotati per natu-ra e meglio preparati nellapplicazione della loro arte.Quando si osservano con attenzione i monumenti antichi,

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    le statue, i rilievi e altre vestigia, gli artisti doggi sonopieni di ammirazione. Ho conosciuto uno scultore di

    marmo celebre nel suo campo tra quelli che allora vantavalItalia, soprattutto per quanto riguarda le figure; spessolho sentito parlare di statue e di sculture che aveva vistoa Roma con tanta ammirazione e venerazione che soltan-to a nominarle sembrava in qualche modo fuori di s perlo stupore. Si raccontava che un giorno in cui stava pas-seggiando con cinque amici in un luogo dove si potevanovedere tali sculture, preso dalla loro bellezza, rest indie-tro a guardarle, dimentico dei suoi compagni; e tutto que-sto dur cos tanto che costoro avevano gi fatto pi di cin-quecento passi; e mentre discuteva a lungo delleccellenzadi queste figure, ne lodava gli autori e apprezzava oltremodo le loro qualit, aveva labitudine di concludere, perriprendere i suoi stessi termini, che se tali sculture non fos-sero state sprovviste del soffio vitale, sarebbero state supe-riori agli esseri viventi, volendo con ci dire che il geniodi artisti cos grandi non solo aveva imitato la natura, ma

    laveva addirittura superata3

    .

    Nel suo commento alla lettera, Panofsky sottolineagiustamente limportanza del testo, uno dei primi delRinascimento a rispecchiare lentusiasmo per la culturaromana. Tuttavia egli non ha forse afferrato in modochiaro come ha fatto Krautheimer, che alla lettera hadedicato un commento estremamente sottile che lin-terpretazione della scultura, considerata questa voltaper le sue qualit estetiche, non pi dovuta alluma-nista, ma allartista stesso. Quando Dondi precisa chequesto interesse era condiviso ab iis qui ea in re sen-tiunt, non fa riferimento a persone sensibili, comecrede Panofsky, ma molto semplicemente, come ha inte-so Krautheimer, a coloro che se ne intendono, ai com-petenti, vale a dire, per riprendere il termine, genera-lizzato dagli storici darte, ai conoscitori. Il termine

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    stesso di conoscitore o di conoscente era daltronde inuso da molto tempo. Lo si trova alla fine del XIII seco-

    lo in Ristoro dArezzo, che, a proposito dei vasi di ter-racotta sigillata che si reperivano allora in gran numeronella regione, aggiunge:

    ...che li conoscitori, quando le vedeano, per lo grandis-simo diletto raitieno e vociferavano de se, e deventavanoad alto e uscieno de se, e deventavano quasi stupidi; e li nonconoscenti la voleano spezzare e gettare. Quando alcuno dequesti pecci venia a mano a scolpitori, o a desegnatori, o adaltri conoscenti, tenelli en modo de cose santuarie, mara-vigliandosi che lumana natura potesse montare tanto alto4.

    Anche nel testo di Dondi appare chiaramente il con-trasto tra le persone colte ma non competenti i cin-que amici che non si fermano per strada e il cono-scitore rappresentato dallo scultore il quale, alla finedel brano richiamato, spiega con molta lucidit come

    la superiorit della scultura antica consista nel suonaturalismo.Proprio in questa direzione larte italiana, fino alXIX secolo, trover la propria espressione. Quella intui-zione corrisponde infatti alla rivoluzione gi operata daGiotto: gli artisti pi moderni prendono coscienza delfatto che lobiettivo naturalistico che si sono fissati gi stato realizzato a suo tempo. Il cammino che essi

    devono compiere in tal modo facilitato dalla possi-bilit ch loro data di riferirsi ai modelli antichi.Eppure questo processo non trova eco immediata. Inpittura, le conquiste realizzate da Giotto tendono aperdersi presso i suoi seguaci, che non ne afferrano laportata. Le tre generazioni di giotteschi che si succe-dono durante il XIV secolo, dimenticano a poco a pocoil sistema prospettico messo a punto dal maestro e silasciano dominare dalla cultura gotica. Inoltre, in con-

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    seguenza della morte nera del 1348, Firenze e Sienaconoscono unondata di penitenza e dascetismo che

    non favorisce certamente linteresse per i resti delmondo pagano.Alla fine del XIV secolo, uno degli umanisti che ha

    svolto un ruolo determinante per la trasmissione dellacultura antica il celebre Niccol Niccoli, ricco mer-cante fiorentino e grande collezionista di manoscritti.Secondo Vespasiano da Bisticci, si trattava del maggiorspecialista di letteratura greca e latina, superiore persi-no a Dante, Petrarca e Boccaccio. Molto tagliente neiconfronti del prossimo come daltronde lo era neiriguardi di se stesso , si era creato molti nemici che glirimproveravano la miopia della sua interpretazionegrammaticale dellumanesimo. Cos, a proposito di untrattato di ortografia che lumanista avrebbe scritto auso dei giovani ma la cui attribuzione tuttavia a voltecontestata Guarino lo critica in questi termini:

    ci mostra che lautore che un bambino e che nonha vergogna, a dispetto di ogni regola, di pronunciare sil-labe che sono naturalmente contratte da dittonghi [...].Questo uomo dai capelli bianchi non si vergogna di addur-re la testimonianza di monete di bronzo e dargento, dimarmi e di manoscritti greci in casi in cui la parola non ponealcun problema [...]. Ci dica questo Solone, se ne capace,quale autore della sua epoca egli non trovi in errore5.

    Oggi che si discute della necessit di conoscere le lin-gue classiche, si bandisce ogni purismo dalla lingua uffi-ciale e vengono rivalutati le minoranze etniche e glistessi dialetti, il testo appare di una stupefacente attua-lit e sottolinea bene in quale misura si stati tributa-ri, fino a oggi, delle concezioni fissate agli inizi del Rina-scimento da un manipolo di uomini colti.

    Dal punto di vista dei rapporti con gli artisti, Niccol

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    Niccoli non mostra tuttavia soltanto questo volto rea-zionario e leggermente presuntuoso. In confronto a certi

    suoi contemporanei come Leonardo Bruni che guar-dava ancora allartista dallalto in basso, come a un sem-plice artigiano la sua visione certamente pi aperta.A Firenze, come nel Veneto, ci si cominciava a interes-sare degli oggetti antichi. Gi verso il 1398 a Padova lacasa dei Carrara era decorata con medaglioni che imita-vano le monete imperiali romane, collezionate con inte-resse, e a Firenze gli umanisti pi avanzati, ancor pi deiprincipi, davano vita a importanti collezioni, documen-ti preziosi per arricchire le loro conoscenze. Accanto aimanoscritti, Niccol Niccoli raccoglieva pezzi che sifaceva portare dallItalia e anche dal Vicino Oriente,cos come ci racconta Traversari6.

    Un po pi tardi un ulteriore passo avanti compiu-to da Poggio Bracciolini. La sua visione delle rovine diRoma, maturata durante la visita fatta nel 1429, si col-loca nello stesso ordine didee di quella del Petrarca,

    evocazione letteraria e lirica della grandezza passata.Ma per le sculture che raccoglie, egli lascia trasparire uninteresse pi personale, un entusiasmo pi spontaneo,indipendente dal contesto culturale, come si nota a piriprese in vari passi della sua corrispondenza. Cos inparticolare, dopo aver descritto tre teste di marmo cheun amico stava per mandargli da Chio, scrivendo daRoma egli aggiunge: anche qui, ho qualcosa da spedi-

    re a casa. Donatello lha visto e ne ha detto un granbene7. Si ormai lontani dal tempo in cui GiovanniDondi si stupiva dellinteresse di uno scultore per uno-pera di et romana. Poggio osa appoggiarsi allautoritdi uno scultore nel manifestare il suo apprezzamento perun antico. Tra i maggiori umanisti e artisti comincia adaver luogo uno scambio di idee e si opera progressiva-mente un riavvicinamento.

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    3. La moda antichizzante attorno al 1400. Il Ghiberti.

    Durante lultima decade del XV secolo, si sviluppanegli ambienti degli scultori pi moderni il gusto deimodelli antichi, cos come testimoniano tra gli altri gliarchitravi della Porta della Mandorla, decorata con stilequasi archeologico8. Questo gusto esplode in seguito nel1401, nei due pannelli conservati del concorso per laPorta Nord del Battistero. In quello di Brunelleschi,Isacco deriva da una figura di prigioniero simile a quel-li dellArco di Costantino, uno dei due servi tratto daun Cavaspino e laltro probabilmente dalla figura di unrilievo raffigurante un sacrificio. Nel pannello di Ghi-berti, le fonti sono altrettanto numerose, bench si pre-stino meno facilmente a unidentificazione precisa. Tut-tavia, sia nellatteggiamento, simile a quello di uno deifigli di Niobe, sia nella potenza espressiva, che ricordala scultura greca del IV secolo, Isacco rivela lo studio deimodelli antichi. La testa di Abramo, inoltre, ricorda

    quella di un Giove, mentre, per quanto riguarda i dueservi, essi sono presi direttamente dal gruppo di Pelopee del suo compagno su un sarcofago che illustra il mitodelleroe. Linterpretazione di queste fonti diversissi-ma, quasi opposta, nei due artisti: il primo si esprime intermini violenti e naturalistici, mentre il secondo elaborauno stile fluido, che rifiuta la rudezza artigianale dei sar-cofagi romani per ritrovare idealmente i ritmi melodio-

    si dellarte ellenistica, ritmi che nel suo stile si fondonofelicemente con le radici gotiche della sua formazione.In tutti e due, il repertorio archeologico messo in opera talmente ricco che ci si arriva a chiedere se i commit-tenti non avessero posto come condizione precisa lusodei motivi allantica.

    Daltronde nel corpus dellopera di Ghiberti, il pan-nello del sacrificio di Isacco raggiunge un grado di cul-tura allantica molto pi accentuato delle opere succes-

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    sive, e in particolar modo dei Primi rilievi della PortaNord. Questo filone nella sua arte si espande solamen-

    te pi tardi, per raggiungere il suo acme con la Porta delParadiso dove lartista oltrepassa una soglia decisiva perla cultura rinascimentale. Allargando il suo campo diricerca alle zone di Pisa e di Roma, egli acquisisce unaconoscenza approfondita dei grandi rilievi storici esoprattutto dei sarcofagi romani, ma supera sempre illivello artigianale di questi prototipi per ricreare unideale completamente nuovo, la cui influenza sullarteitaliana sar enorme: con i suoi toni classicheggianti,evoca larte ellenistica greca che Ghiberti non ha potu-to conoscere, ma che rester fino al XIX secolo laspet-to dellarte antica prediletto dagli italiani. Basato su unrepertorio archeologico estremamente ampio che si puricostruire in buona parte grazie soprattutto ad alcuniparticolari della Porta del Paradiso, egli non si limita maia una rigida elencazione di fonti. Nella scena di Adamoed Eva cacciati dal paradiso, la figura femminile, di una

    grazia ineguagliata, tradisce il ricordo di una Venerepudica, e a un tempo, quello di una agitata menade trat-ta da un sarcofago dionisiaco. Con unelasticit menta-le sorprendente, Ghiberti unisce fonti diverse, cheriprende con maggiore o minore fedelt, le combina percreare delle varianti, senza che si possa mai stabilire le-satta linea di demarcazione tra imitazione e invenzioneallantica.

    Altre opere create negli stessi anni sono daltra partetestimonianza della stessa moda e di un identico entu-siasmo. Il Vasari riferisce che un mattino in cui il Bru-nelleschi discuteva con Donatello sulla piazza di SantaMaria del Fiore, questultimo gli raccont che al suoritorno da Roma

    aveva fatto la strada da Orvieto per veder quella facciatadel Duomo di marmo [...] e che nel passar poi da Cortona

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    entr in pieve, e vide un pilo antico bellissimo dove era unastoria di marmo, cosa allora rara non essendosi disotterra-

    ta quella abbondanza che si fatta ne tempi nostri...

    Alla descrizione del sarcofago la reazione di Brunel-leschi tale

    che cos come egli era, in mantello, in cappuccio et in zoc-coli, senza dir dove andasse, si part da loro a piedi e silasci portare a Cortona dalla volont et amore che por-tava allarte. E veduto e piaciutogli il pilo, lo ritrasse conla penna in disegno; e con quello torn a Fiorenza, senzache Donato o altra persona si accorgesse che fusse partito,pensando che e dovesse disegnare o fantasticare qualcosa9.

    Ma, dalla fine del XIV secolo, tutte le opere che sonocreate a Firenze subiscono linfluenza, in maggiore ominore misura, della nuova passione per lantico. Il casopi significativo e quello del maestro anonimo degli

    architravi della Porta della Mandorla, che ha lavoratonegli anni tra il 1391 e il 1396; certe sue figure come laPrudenza e lErcole, rappresentati tutti e due nudi, figu-re che bisogna certamente interpretare in un contesto diallegorie cristiane, testimoniano una conoscenza palesedei modelli antichi e sono situate tra decorazioni fiorealianchesse riprese da prototipi romani. Anche artistiancorati alla cultura gotica come Nanni di Banco, o aSiena Jacopo della Quercia, sono presi da questo entu-siasmo. I Quattro Santi Coronati dOrsanmichele sonoprobabilmente disposti sullesempio dei monumentifunebri e rivelano soprattutto la conoscenza dei ritrattiromani. Una singolare testa conservata al Camposantodi Pisa sembra persino testimoniare la maniera in cui gliartisti intervenivano a quel tempo, forse nella bottegadi Nanni di Banco, sui prototipi antichi. Vi si ricono-scono i tratti di Antinoo; ma, forse per porre rimedio ai

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    danni di alcune fratture, il naso stato modificato, labarba stata lavorata in cavo, alla foggia del santo

    Castore dOrsanmichele, e lacconciatura stata ade-guata a forme nuove10.

    4. Valore progressista del ritorno allantico di Brunelle-schi e Donatello.

    In modo pi deciso, i problemi sono affrontati neglistessi anni dai tre veri protagonisti del Rinascimento fio-rentino, Brunelleschi, Donatello e Masaccio: nei quali lacultura antica acquista un indiscutibile valore progres-sista, un valore di autentica conquista che essa non avrmai pi e che gi verr meno alcuni anni dopo, nellaPorta del Paradiso o nelle architetture dellAlberti.

    Poco dopo il concorso del 1401, forse nel 1402 o nel1404, Brunelleschi e Donatello vanno insieme a Romaper approfondirvi la loro conoscenza dellantico. Sono

    cos i primi a fare quel viaggio a Roma che rester fon-damentale per gli artisti italiani e anche stranieri finoal XIX secolo. In precedenza altri artisti erano andatinella Citt Eterna; basti pensare a Giotto o ad Arnolfoo anche, prima ancora, allarchitetto della Cattedrale diPisa, Buscheto. Ma scopo di questi maestri era di andar-vi a lavorare e non di limitarsi a studiare il vasto campodi rovine che doveva essere allora la citt, disertata in

    quel periodo persino dai papi.Donatello, il pi grande scultore del XV secolo, colui che ben presto si trova ad avere la pi vasta cono-scenza del mondo figurativo degli antichi, e che, fon-dandosi su essa, potr portare a compimento la sua operarivoluzionaria11. I risultati tuttavia non si fanno sentireimmediatamente dopo il suo soggiorno a Roma; il perio-do di assimilazione lungo perch, come tutti i grandimaestri, egli non copia mai e si serve dellantico non sol-

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    tanto per gli aspetti iconografici o stilistici, ma soprat-tutto per i fondamenti stessi dei tipi che crea. Per que-

    sta ragione, i confronti sono sempre difficili da stabili-re e spesso non bastano a spiegare limportanza fonda-mentale della sua cultura in tutti i campi in cui egli haoperato.

    Vediamo anzitutto in che modo egli sviluppa il rilie-vo. Nel 1417, il San Giorgio e il drago, sullo zoccolo dellastatua dOrsanmichele, assolutamente rivoluzionarioper la creazione dello stiacciato, il tipo di rilievo nelquale leffetto di profondit ottenuto grazie a varia-zioni minime del lavoro in cavo, che permettono la mas-sima resa dello spazio. Nel portico, largo appena alcunicentimetri, che sinnalza dietro la principessa, questatecnica rivoluzionaria consentir allartista di ritrovareper la prima volta, dopo gli antichi, effetti di prospetti-va lineare e gli dar anche la possibilit di raffigurare ildrappeggio della figura femminile in movimento, comenellarte antica.

    Questi due elementi testimoniano il modo spregiu-dicato di Donatello di guardare allarte antica senzalimitarsi comunque ai grandi rilievi commemorativi,architettonici, ai sarcofagi o alle statue a tutto tondocome i suoi predecessori, ma allargando la sua visione atutti i tipi di opere che conosceva, e particolarmente aquelle di piccolo formato, come le monete, le terracot-te, le ceramiche sigillate e soprattutto le gemme, i cam-

    mei e le pietre dure lavorate a intaglio, che gli artisti egli amatori avevano sempre collezionate, senza peraverne fin allora tratto spunto dal punto di vista tecni-co e stilistico.

    Una identica e sorprendente capacit di dar vita asoluzioni formali, completamente e continuamente rin-novate, pu essere individuata nelle diverse statue atutto tondo eseguite da Donatello, a partire dai primitentativi ancora impregnati di cultura gotica, come il

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    Daviddi marmo che gli fu commissionato nel 1408, iProfeti e il San Ludovico. Nel proseguire lopera del Ghi-

    berti a Orsanmichele, Donatello fa rinascere la grandestatuaria bronzea, ma ancor una volta innovandoneprofondamente linterpretazione e inventando una figu-ra dal drappeggio mobile e ampio, la cui forza enfaticaavr lunga eco per tutto il Rinascimento.

    In questo caso, il richiamo allarte antica quindi dicarattere essenzialmente tecnico: si tratta di riprende-re un tipo di cui lartista doveva conoscere diversi esem-plari e che fosse anche grandemente lodato nei testiromani; ma il valore di tale richiamo tipicamenteumanistico: consiste in un ritorno intenzionale allan-tico, ma un ritorno libero, senza alcuna sottomissioneai modelli.

    Si anche, di recente, avanzata lipotesi che, nellostesso spirito umanistico, Donatello abbia recuperato latecnica della terracotta legata daltra parte a quella delbronzo riferendosi in particolare al famoso cassone

    illustrato con scene della vita di Adamo ed Eva e con-servato al Victoria and Albert Museum12.Infine, lartista completer la parabola delle sue sta-

    tue a tutto tondo anzitutto con il Daviddi bronzo, primastatua moderna concepita per essere vista da tutti i lati,ancora una volta a imitazione dei precedenti antichi, poicon il gruppo della Giuditta, nel quale il riferimento aimodelli pagani sembra ormai superato.

    Nel Gattamelata, terminato nel 1450, Donatello siimpadronisce con la stessa sicurezza di un altro tipo diopera romana, il monumento equestre, che fa riviverenellottica umanistica, valorizzando sia luomo, sia la-nimale pi amato del Rinascimento, in quanto simbolodella vittoria delluomo sulla forza animale. Anche inquesto caso i precedenti non mancano a partire dalla finedel Medioevo, ma non hanno limportanza del Gatta-melata, che Donatello ha creato in rapporto diretto con

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    il Marco Aurelio e forse anche con il Regisole, che siinnalzava davanti alla Cattedrale di Pavia. Egli finisce

    tuttavia, come sempre, per tradire il modello: il con-dottiero non ha pi la calma dignit dellimperatoreromano; lartista lha raffigurato mentre procede inmodo quasi minaccioso, con unaudacia che oltrepassaqualsiasi forma di realismo.

    Si deve certamente attribuire a Donatello anche ilritorno al ritratto a mezza figura, alla maniera romana13.Anche per questo tipo di espressione artistica la rottu-ra non era stata totale, poich alla fine del Medioevo esi-stevano ritratti a mezza figura e anche busti reliquiari.Nel XV secolo tuttavia, lesempio-tipo non appartiene aDonatello: il Piero de Medici del Bargello, datato 1453, opera di Mino da Fiesole. Ma i cambiamenti profon-di che esso palesa rispetto ai modelli antichi, concepiticome immagini di culto e non come individui viventi, eanche rispetto ai reliquiari il cui significato ugual-mente religioso, sono gi stati annunciati da Donatello,

    anzitutto nel reliquiario di san Rossore, del 1424 circa,dove il santo diventato un vero essere umano, e poianche nel Busto di giovane neoplatonico, del 1440 circa,che conserva il ricordo del reliquiario medievale nel-limportanza accordata al medaglione sul petto, benchquesto non si schiuda su una reliquia e illustri il mito del-lanima secondo il Fedro di Platone.

    Dunque, anche se Donatello non ha creato veri ritrat-

    ti a mezza figura o se, comunque, ha affrontato que-sto genere in qualche opera andata perduta a lui chesi deve anche in questo caso il ritorno allantico, con lemodifiche di forma e di contenuto dovute allinnesto diprecedenti medievali e allinterpretazione umanistica. Inartisti dotati di minor spirito creativo, si assister per-sino al ritorno a una pratica a lungo descritta da Plinio,il quale rimpiange che ai suoi tempi si fosse persa la vec-chia tradizione romana di conservare nelle case le

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    maschere di cera degli antenati, con il significato reli-gioso che a tale usanza era inerente.

    A Firenze questo costume fu ripreso e si sa che nellechiese esistevano anche grandi statue in cera di cuidisgraziatamente non rimasto alcun esemplare, che ave-vano esse pure funzione deffigi votive. Gi FrancescoSacchetti criticava questusanza nei seguenti termini:

    Di questi boti di simili ogni d si fanno, li quali son pi-tosto una idolatria che fede cristiana. E io scrittore vidi gichavea perduto una gatta, botarsi, se la ritrovasse, man-darla di cera a Nostra Donna dOrto San Michele, e cosfece14.

    Aby Warburg ha studiato la diffusione di questa pra-tica dispirazione pagana a Firenze nel XV secolo.

    Ma, per tornare al tema dei ritratti a mezza figura,vi sono dei casi in cui lartista non riuscito a superaree a dissimulare completamente la maschera funeraria

    che gli servita da modello, cos, ad esempio, il Gio-vanni Chellini dAntonio Rossellino (morto nel 1462),conservato al Victoria and Albert Museum.

    Infine, pi in l si avr loccasione di vedere comeallo stesso Donatello si debba anche il recupero di untipo di oggetto antico che conoscer unenorme diffu-sione, il bronzetto. Ma a questo punto il fenomeno nonsar pi limitato a Firenze e si diffonder in molti cen-

    tri dellItalia settentrionale.Si pu dunque dire che tutte le innovazioni realizza-te da Donatello si fondano sulla conoscenza dellantico,di cui egli ha saputo cogliere gli aspetti fondamentali,modificandone tuttavia profondamente il senso e laforma. Egli infatti supera immancabilmente i suoimodelli; dopo averne utilizzati i princip ispiratori, li tra-sforma radicalmente, come se desiderasse inconscia-mente rigettare le premesse dalle quali era partito.

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    Anche nella sua maniera di far rivivere i temi anti-chi, si distingue fondamentalmente da Ghiberti e dal

    gusto ellenistico che questi aveva fissato: i putti diDonatello, per esempio, non sono mai sereni e tran-quilli, ma sono animati da una forza e da un tormentocompletamente estranei alla tradizione classica ortodos-sa. Si tratta di un fenomeno opposto a questa tradizio-ne, che di quando in quando si sviluppa accanto a essanella cultura italiana.

    Sulla scia di Donatello si pu dire che tutta la scul-tura fiorentina del Quattrocento sia rimasta in una certamisura legata allo studio dellantico, si tratti di Miche-lozzo e delle sue imitazioni servili di rilievi storici, diLuca Della Robbia e dei putti sorridenti ed ellenici dellasua cantoria, dei Rossellino, di Mino da Fiesole, diBenedetto da Maiano, di Verrocchio, di Pollaiolo, diBertoldo o di Torrigiani.

    Mentre Donatello, nei suoi anni romani, concentra lasua attenzione sulle vestigia di sculture, Brunelleschi,

    che in un primo tempo era stato pure scultore, cambiaorientamento e sviluppa la sua vocazione darchitetto.Egli si mette a studiare le misure e i rapporti dei diver-si elementi architettonici delle rovine antiche cos comei loro modi di costruzione, e quando, in capo a parecchianni passati tra Roma e Firenze, intorno al 1410, tornain patria, pronto a rompere definitivamente con lecostruzioni gotiche e a realizzare degli edifici rivoluzio-

    nari, basati sulla conoscenza dei modelli e degli ordinidegli antichi, ai quali aggiunge le sue scoperte sulla pro-spettiva centrale. Queste premesse gli consentiranno direalizzare la famosa cupola di Santa Maria del Fiore,vero simbolo del Rinascimento fiorentino, lOspedaledegli Innocenti, San Lorenzo, Santo Spirito... In que-ste opere tuttavia le fonti non sono mai evidenti e sareb-be errato vedervi un ritorno allantico di tipo archeolo-gico. Meta di Brunelleschi era levocazione di unanti-

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    chit ideale, alla quale le vestigia romane non forniva-no che un punto di partenza verso la ricerca della per-

    fezione; inoltre, si gi notato e Gombrich ancherecentemente lha sottolineato con molta acutezza che, nella sua rottura con le tradizioni gotiche, Brunel-leschi non si limitato ad applicare le leggi delle pro-porzioni che egli aveva ricavato dagli studi condotti aRoma, ma si anche valso sensibilmente della sua cono-scenza dellarchitettura romanica: pi che alla strutturadi un tempio antico, alla chiesa fiorentina dei SantiApostoli, che si rif, per esempio, linterno di SanLorenzo15.

    5. Il caso di Leon Battista Alberti.

    Una cultura di carattere maggiormente archeologico invece, una generazione pi tardi, quella di un archi-tetto letterato come Leon Battista Alberti il quale rea-

    lizza, in virt della sua importante formazione di uma-nista, unarchitettura assai pi vicina a quella dei model-li romani. Il confronto fra i due maestri spesso anda-to a scapito del secondo. Schlosser, specialmente, harimproverato a Leon Battista Alberti eccesso di erudi-zione e tendenze troppo aristocratiche, vale a dire rea-zionarie, che lo portano a disprezzare la fase della rea-lizzazione pratica dellopera della quale in effetti egli si

    preoccupato solo molto tardi.Una tale valutazione pecca certamente per eccesso.LAlberti non si rivolto esclusivamente verso il passa-to romano e non stato neanche del tutto insensibileallarte medievale. Nel De re aedificatoria egli cita a piriprese le basiliche paleocristiane; e per quanto riguar-da larte gotica, lha rispettata soprattutto quando stato incaricato di ultimare la facciata di Santa MariaNovella, che, per questa ragione, classicisti pi rigorosi

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    come il Bottari e pi tardi Milizia e il Quatremre deQuincy disapproveranno e rifiuteranno di attribuirgli.

    LAlberti ha avuto il privilegio di unire alla propriaformazione umanistica una grande capacit creativa, chebisogna ben guardarsi dal sottovalutare. Ci non toglieche egli sia prima di tutto un letterato: la sua attivit diarchitetto daltro canto comincia solamente pochi anniprima del compimento del De re aedificatoria, che ilprimo trattato darchitettura del Rinascimento. (Sarpubblicato solamente nel 1485 e la sua influenza sinoter soprattutto nel XVI secolo, ma si sa che nel 1452lautore aveva gi dovuto mostrare il manoscritto ter-minato al papa Niccol V, della cui corte faceva parte).A partire dal 1436 aveva pubblicato un De pictura e pitardi far stampare un De statua, anchessi testi fonda-mentali testimonianti lampiezza degli interessi del loroautore, impegnato in tutti i campi delle arti figurative.

    Nel De re aedificatoria, che in rapporto pi direttocon lattivit pratica dellAlberti, si nota il primo gran-

    de ritorno a Vitruvio16. Lautore sviluppa largamente neltrattato la sua concezione del classicismo, che si puriassumere con questa celebre definizione della bellezzaintesa come larmonia tra tutte le parti riunite in uninsieme; in modo tale che non sia possibile aggiungere,togliere o cambiare qualsiasi cosa senza compromettereil tutto. una cosa grande e divina. Lidea prima dun-que quella dellaccordo tra tutti gli elementi, basato sulle

    proporzioni e sul rapporto architettura-sfondo: sotto que-sto aspetto, il rapporto con larchitettura imperiale roma-na fondamentale, ed possibile rintracciarne lin-fluenza nei principali monumenti in cui, nella pienamaturit, lAlberti ha cercato di mettere in pratica le pro-prie teorie. Nella facciata di San Francesco a Rimini(1450), egli si sforza di applicare a una chiesa preesistenteuna monumentale facciata allantica, la cui fonte dispi-razione sono gli archi di trionfo, creando cos un insie-

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    me apparentemente in contraddizione con i princip diunit che ha sempre enunciato e rivelando nei confron-

    ti dellantichit un atteggiamento pi emotivo che orto-dosso, come ha giustamente sottolineato il Wittkower.Nella chiesa di Santa Maria Novella, a Firenze, si poneper lui lo stesso problema, risolto in un assoluto rispet-to delle strutture gotiche preesistenti alle quali sonosovrapposti numerosi elementi derivati dallantichitclassica. Lo stesso atteggiamento purista, con un gustoestremamente raffinato dellornamento semplice, simanifesta nel primo progetto di San Sebastiano a Man-tova, dove lartista affronta il problema essenziale delRinascimento, cio quello della chiesa a pianta centrale,gi realizzata dal Brunelleschi in Santa Maria degli Ange-li, a Firenze (1434) e che anche Michelozzo aveva adat-tato allAnnunziata (1451), dove aveva fedelmente ripre-so la pianta del Tempio di Minerva Medica a Roma. Infi-ne, nella chiesa di SantAndrea di Mantova (progettatanel 1470 e cominciata nel 1472), lAlberti si sforzer di

    unire lesigenza contemporanea di una struttura razionalein muratura allispirazione antica, applicando sempre allapianta della chiesa una facciata derivata da un tempioromano, secondo un procedimento che sar ripetutodurante tutto il Rinascimento. Egli perverr cos a unesito del tutto particolare rispetto ai modelli antichi che,in un certo qual modo, con i suoi germi anticlassicisti,apre la via allarchitettura manierista.

    In realt, fin dallinizio della sua attivit, lAlbertipropone una libera interpretazione dei canoni degli anti-chi, ed certo che, gi nel San Francesco di Rimini, ilriferimento a un arco romano non basta a spiegare lacomplessit della facciata, con la tensione spaziale chela caratterizza. Allo stesso modo, la rielaborazione delcapitello corinzio testimonia una grande originalit. Dal-tronde, nel De re aedificatoria lAlberti aveva scritto, aproposito degli esempi classici:

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    Noi non dobbiamo riavvicinarci a essi trasformando iloro disegni nella nostra opera come se vi fossimo costret-

    ti da leggi precise; ma, forti della loro conoscenza, dobbia-mo sforzarci di mettere nella nostra opera cose nuove chenoi stessi abbiamo trovato, per vedere se essa pu procu-rarci lodi uguali o superiori ai modelli.

    Lopera dellerudito cede quindi il passo alla fantasiacreatrice e lo studio cronologico delle realizzazioni archi-tettoniche dellAlberti viene a confermare il ruolo sem-pre crescente nella sua opera della sua stessa invenzio-ne, accanto ai modelli di partenza.

    6. Ellenismo privo di archeologia di Masaccio e di Pierodella Francesca.

    In confronto a Donatello e a Brunelleschi, il terzoprotagonista del Rinascimento fiorentino, Masaccio,

    subisce linfluenza dellantico in misura davvero mino-re. Dato che era legato da amicizia ai due maestri e chela sua rivoluzione in pittura correva parallela alla loroin scultura e in architettura, ci si spesso sforzati diprovare che, nel compierla, si anchegli basato su unostudio approfondito delle opere antiche: del quale esi-sterebbe tutta una serie di indizi nella sua arte. E ineffetti vi si potrebbero riconoscere alcuni elementi dital genere, bench essi siano sparsi e limitati. Tuttaviail rapporto pi convincente di Masaccio con lantico quello che stato recentemente stabilito dal Polzer: lacomposizione del Tributo quella di un affresco paleo-cristiano, raffigurante San Paolo che predica agli ebrei,ridipinto da Cavallini, che faceva parte del ciclo dellavecchia Basilica di San Paolo fuori le Mura (linsieme andato bruciato nel XIX secolo, ma se ne conserva unacopia del XVII)17. Grazie a questa osservazione sono

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    quindi confermate sia la rottura che Longhi aveva giscoperto tra i primi affreschi della Cappella Brancacci

    e il Tributo, nel quale egli vedeva un Colosseo di figu-re, sia lintuizione avuta nello spiegare questo cam-biamento con un soggiorno di Masaccio a Roma versoil 142518.

    Va per sottolineato come particolarmente sorpren-dente il fatto che il riavvicinamento pi interessante chesi possa stabilire riguardi proprio un dipinto. Alliniziodel XV secolo la conoscenza degli affreschi antichi dove-va essere ancora molto limitata e probabilmente Masac-cio ha osservato a Roma i grandi cicli biblici delle basi-liche, di cui ha afferrato i residui elementi classici, sitrattasse dellepoca paleocristiana o dello stesso Caval-lini. Malgrado tutto, il caso resta piuttosto eccezionale.Ogni volta che gli storici darte si sono sforzati, nelmodo pi tradizionale, di stabilire un rapporto tra certielementi delle opere di Masaccio e il repertorio allora pinoto agli artisti, repertorio costituito dalle statue, dai

    rilievi e dalle vestigia architettoniche, le loro conclusio-ni non sono mai state convincenti19. Eva cacciata dalParadiso ricorda effettivamente una Venere pudica, ma,probabilmente, attraverso linterpretazione che ne avevadato Nicola Pisano nel pulpito del Battistero di Pisa.Nellaffresco del Tributo, la celebre testa ricciuta di sanGiovanni non deriva da un modello archeologico, comequalche volta si affermato, ma da uno dei Quattro

    Santi Coronati di Nanni di Banco a Orsanmichele. Inaltri casi, motivi antichi sono trasmessi allartista daDonatello e in seguito da Brunelleschi. In particolare,larchitettura a trompe-lildi Santa Maria Novella nontestimonia lo studio diretto dei modelli antichi ma, comeaveva gi notato il Mesnil, il tipo di volta messo a puntoda Brunelleschi.

    Gli elementi che nellopera di Masaccio si potreb-bero spiegare con lo studio dellantico, in realt gli

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    sono quasi sempre stati trasmessi dai suoi compagniDonatello e Brunelleschi, che hanno avuto su di lui

    una influenza pi determinante della ricerca archeo-logica. Si potrebbe dire che Masaccio ha operato la suarivoluzione senza laiuto dellantico, allo stesso mododi Giotto; tuttavia, malgrado la sua enorme impor-tanza, tale rivoluzione resta meno fondamentale diquella del suo predecessore, e inoltre, il vero debitoMasaccio lha contratto nei confronti di Donatello eBrunelleschi.

    In pittura, nemmeno i successori di Masaccio testi-moniano un interesse per lantico. La costruzione pro-spettica delle sue opere e la solidit plastica delle suefigure, che sono alla base della sua arte classica e nonclassicheggiante, languono a poco a poco, comera suc-cesso anche dopo la morte di Giotto.

    Perch questi elementi siano nuovamente dominantibisogner aspettare larrivo di Piero della Francesca, lecui opere costituiscono un nuovo pilastro classico nella

    pittura italiana: ancora una volta classico e non classi-cheggiante, perch non vi si scopre la minima traccia dicultura archeologica. Eppure, malgrado questa autono-mia completa dal mondo romano, le figure della Leg-genda della Croce nella Basilica di San Francesco adArezzo (1451-59) respirano una serenit sovrana chepu essere paragonata soltanto a quella dellarte grecadel V secolo. Esse sono di nuovo al centro di una natu-

    ra le cui forme, attraverso la geometria e la prospettiva alle quali daltro canto lautore ha consacrato due trat-tati sono concepite con rigore. la sintesi prospet-tica di forma-colore, per riprendere la definizione diLonghi, che lessenza stessa del classico, del raziona-le, dellumano.

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    7. I quaderni di modelli e la teoria della disgiunzione diPanofsky.

    Frattanto, pittori ancora legati al mondo gotico simettono tuttavia a studiare i resti archeologici e, a imi-tazione di Ghiberti, riempiono di schizzi quaderni inte-ri. Si parzialmente conservato il materiale di bottegache aveva costituito Gentile da Fabriano quando lavo-rava a Roma agli affreschi di San Giovanni in Latera-no, contemporaneamente al suo allievo Pisanello20. Erail momento in cui Masaccio moriva improvvisamentelasciando incompiuti, non lontano di l, gli affreschi diSan Clemente, senza che niente nella sua opera tradis-se linteresse per il mondo pagano.

    I numerosi disegni che si sono conservati di Gentilemostrano invece delle figure tratte generalmente dagrandi scene di sarcofagi. Questi offrivano probabil-mente allartista un naturale sostituto di tutto ci cheegli non poteva ricavare direttamente da modelli, vale

    a dire soprattutto il nudo, il quale si ritrova insistente-mente nei suoi disegni, irrigidito soprattutto in movi-menti violenti che per lui costituivano una novit. Mamentre gli animali e le piante disegnati e dipinti daGentile e soprattutto da Pisanello testimoniano unacu-tezza nellosservazione, e contemporaneamente unavisione distante e astratta che sfocia in una forma di per-fezione, i disegni eseguiti secondo le concezioni antiche

    restano quasi sempre rigidi e contrassegnati da una certamalaccortezza dovuta probabilmente allincapacit didominare un procedimento ancora inusuale.

    Il ricorso ai modelli archeologici resta in seguito abba-stanza limitato nei pittori. In unopera della giovinezzadi Andrea del Castagno, uno scudo di cuoio del 1452circa conservato a Washington, la figura di David ricalcata su una simile a quella del pedagogo del grup-po dei Niobidi, come appare dalla statua degli Uffizi. Ma

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    si tratta di un caso piuttosto raro e la trasmissione delmodello antico si prodotta senza dubbio con la media-

    zione di uno scultore, forse Donatello, la cui influenza stata molto viva sui pittori, specialmente su PaoloUccello e Andrea del Castagno.

    Lesempio dello scudo del Castagno aveva gi con-dotto Warburg a osservare che nel XV secolo i modellipagani servivano a fissare liconografia di temi cristia-ni21. A questo proposito egli ricorda un altro caso, quel-lo del Lamento funebre del rilievo di Giuliano da San-gallo nella Cappella Sassetti, nella chiesa di Santa Tri-nita, che egli riavvicinava al sarcofago raffigurante ilLamento per la morte di Meleagro, un tempo a Firenze, aPalazzo Montalvo, da cui era ripresa infatti la stessa ico-nografia con un gusto della fedelt quasi archeologico22.

    Questo fenomeno, che Warburg chiamava dellaenergetische Inversion stato studiato in modo piapprofondito da Panofsky e Saxl in un brillantissimosaggio, nel quale essi hanno considerato anche laspetto

    opposto del problema, cio quello dellillustrazione deitemi classici23. Si nota infatti che questi, curiosamente,sono trattati come soggetti contemporanei. Se si pren-dono ad esempio le scene dellEneide illustrate da Apol-lonio di Giovanni sul pannello del cassone oggi a NewHaven (c. 1460), si vede che Enea porta il mazzoc-chio, Didone il cappello a cono e, in generale tutti ipersonaggi sono vestiti secondo la migliore tradizione

    delXV

    secolo. Allo stesso modo, nella Cronaca della pit-tura fiorentina (c. 1460) Paride ed Elena, rapita proprioin quel momento, avanzano solennemente, adorni deipi ricchi ornamenti della Firenze medicea.

    Si arriva quindi al paradosso secondo il quale, da unlato, i modelli classici sono messi al servizio dellicono-grafia cristiana mentre, dallaltro, i soggetti classici sonotrattati come cronache contemporanee, in cui gli dei sitrasformano in gentiluomini del XV secolo. quella che

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    Panofsky ha chiamato legge della disgiunzione, cheegli individua lungo tutta lepoca gotica. A suo avviso,

    il fenomeno si sarebbe prolungato fino alla fine del XVsecolo circa, ma il primo tentativo di reintegrazione tratema e contenuto pagano sarebbe gi stato proposto daMantegna. Nelle storie di san Giacomo nella chiesadegli Eremitani (1448-55), per la prima volta dei solda-ti romani apparirebbero vestiti di nuovo alla romana esituati in uno sfondo non meno antico.

    Il saggio di Panofsky e Saxl, ricchissimo di docu-menti, fra i pi felici di questi autori, e Panofsky lhasviluppato ulteriormente, sempre con la stessa erudi-zione e lo stesso spirito24. Tuttavia, se si analizzano unpo pi da vicino le opere che egli prende in considera-zione, ci si rende conto che, per quanto riguarda la qua-lit stilistica, un abisso separa le prime dalle seconde.Nel XV secolo le opere di tema cristiano sono commis-sionate agli artisti pi importanti, mentre quelle cheillustrano temi antichi appaiono unicamente in mano-

    scritti, su disegni o incisioni o soprattutto nei cassoniche, tranne in qualche caso, erano affidati per la mag-gior parte ad artigiani di livello molto pi modesto. Spe-cialmente i cassoni costituiscono una produzione desti-nata alla borghesia, produzione che usciva da botteghespecializzate di cui quella dApollonio di Giovanni unesempio caratteristico25. Questi artigiani non avevano lostesso livello di preparazione di un Masaccio o di un

    Donatello e nelle loro pitture continuavano la tradizio-ne dei racconti gotici, illustrati senza la minima preoc-cupazione storica. Anche quando artisti di un livellomolto pi elevato, come Pesellino o Gozzoli, affronta-no il genere dei cassoni sinseriscono a loro volta in unatradizione del tutto codificata. Lopposizione cos bril-lantemente messa in luce da Panofsky quindi non tieneforse sufficientemente conto del livello sociale degli arti-sti; essa si riferisce a opere che hanno ben poco in comu-

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    ne e corrispondono di fatto a due poli complementari diuna stessa cultura.

    Quanto allaffermazione di Panofsky secondo la qualesarebbe stato Mantegna a metter fine a questa disgiun-zione, essa si spiega unicamente attraverso la visionestorica dellartista, con il fatto che frequentava a Pado-va un ambiente umanistico e in questo modo aveva lapossibilit di affrontare grandi temi pagani, che i suoipredecessori non avevano avuto occasione di trattare. Maquesti temi rappresentano soltanto una piccola parte nel-linsieme della sua opera. Inoltre, il San Sebastiano diVienna (c. 1460) considerato dal Panofsky come la pit-tura pi archeologica dellartista per i frammenti dimarmo che giacciono dietro al santo e la firma in greco,t rgon to Androu, resta un tema cristiano tratta-to sotto forma pagana, che non annuncia affatto la solu-zione del principio di disgiunzione. Infine, se nella sto-ria di san Giacomo si vedono dei soldati vestiti allanti-ca, non per questo il tema meno cristiano, ma, sempli-

    cemente, san Giacomo vissuto in epoca romana.Nel Mantegna, la reintegrazione della forma e delcontenuto antichi avviene soprattutto nel grande insie-me da lui dipinto, nove grandi tele del Trionfo di Cesa-re (1485-92), oggi a Hampton Court, che sono stateprobabilmente eseguite per il marchese Ludovico Gon-zaga26. Se in questo caso forma e contenuto corrispon-dono, perch il soggetto classico non si limita pi a una

    semplice illustrazione di libro o di cassone, ma assumedimensioni monumentali. La novit quindi non vienetanto dallartista quanto da colui che ha commissionatolopera, che intratteneva rapporti stretti con gli umani-sti. Sono questi che probabilmente hanno procuratodirettamente allartista i testi ai quali poteva ispirarsi,vale a dire le descrizioni dAppiano e di Svetonio eanche il De re militari di Valturio, pubblicato a Veronanel 1472.

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    La moda dei temi antichi comincia infatti solamentealla fine del XV secolo, per proseguire per pi di cento

    anni. Caratteristica del cambiamento di gusto e di men-talit che rende possibile questa evoluzione , ad esem-pio, questa lettera nella quale, nel 1501, Isabella dEste,una delle principesse pi colte e maggiormente alla-vanguardia allora in Italia, domanda a proposito del suostudiolo:

    Se Zoanne Bellino fa tanto male voluntieri quella histo-ria, come me haveti scripto, siamo contente remetterne aljudicio suo, pur chel dipinga qualche historia o fabula anti-qua, aut de sua inventione ne finga una che representi cosaantiqua, et de bello significato27.

    Il caso del Mantegna nel quale, con la nostalgia del-lantichit che lha sempre caratterizzato, Panofsky vole-va vedere la fine della disgiunzione e il trionfo del-lumanesimo in pittura, porta a considerare la storia del

    ritorno allantico dopo il momento eroico del Rinasci-mento toscano28.

    8.Altri centri di cultura.

    Dopo Firenze, il centro pi impegnato su questa stra-da senzalcun dubbio Padova, anche perch gli uma-

    nisti vi hanno avuto un ruolo determinante. Il Rinasci-mento fiorentino viene qui portato da Donatello che,durante la decina danni in cui vi rimasto, stimolatutto lambiente che orienta particolarmente verso laricerca dei modelli dellantichit. La visione archeologi-ca del Mantegna non potrebbe sicuramente spiegarsisenza il soggiorno di Donatello, come non si potrebbecomprendere quella di Bellano, allievo e collaboratorediretto di Donatello, n quella dAndrea Riccio.

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    Con questultimo si assiste alla diffusione dei bron-zetti, di cui Donatello aveva gi avuto lintuizione in

    certi particolari delle sue grandi sculture, ma che, pare,non aveva prodotto in modo autonomo, benchlAtys-Amorino sia di dimensione intermedia fra la sta-tua e il bronzetto e anche se, dopotutto, non impossi-bile che Donatello abbia fuso piccoli oggetti che non sisono conservati.

    Comunque, i bronzetti ispirati e spesso anche copia-ti direttamente dagli antichi, saranno ricercatissimi pergli studi degli umanisti e dei conoscitori e avranno unenorme successo29. A Firenze, lo specialista in materiasar Bertoldo, allievo di Donatello. A Padova, i pibelli, che bisogna mettere in relazione con oggetti elle-nistici greci e romani che arrivavano direttamente dal-lOriente e dalla Grecia attraverso il porto di Venezia,saranno creati da Riccio. A Mantova, infine, una varian-te di carattere pi prezioso e pi aulico sar dovuta aPier Jacopo Alari Bonacolsi, al quale questa produzione,

    che era destinata ai Gonzaga, varr il soprannome diAntico. Lartista era infatti un profondo conoscitoredellarte romana e aveva soggiornato a Roma. Si devo-no a lui riduzioni preziose delle sculture antiche allorapi celebri, lApollo del Belvedere, lo Spinario, e soprat-tutto la Venus Felix che lartista ha ulteriormente impre-ziosito innalzandola su una base decorata di moneteimperiali romane.

    Questa parentesi sui bronzetti permette di seguire ladiffusione del gusto dellantico a Padova e a Venezia,dove la grande scultura dAntonio Rizzo e dei Lombar-do testimonia anche una volont di ritornare alla sere-nit classica e in questo caso sicuramente pi greca cheromana , poi, a Mantova, dove daltra parte si era gisegnalata la presenza dellAlberti. Si visto che questi stato anche a Rimini, dove, al momento del rifaci-mento della chiesa di San Francesco, ha fatto rifiorire

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    con lo scultore Agostino di Duccio e lincisore Matteode Pasti un circolo estremamente originale darte uma-

    nistica, allantica, legato a Sigismondo Pandolfo Mala-testa.Ma si tratta di un momento effimero. In altri centri

    artistici, come in quasi tutta la Lombardia, il gusto deirecuperi archeologici resta pi superficiale e si riduce perlo pi a un semplice vocabolario ornamentale. A Napo-li, elementi di cultura anticheggiante appaiono episodi-camente nelle sculture dellarco di Castel Nuovo, che probabilmente opera di Francesco Laurana. La migliorprova del fatto che labbondante presenza di vestigiaarcheologiche non basti mai a far sorgere un vero stileallantica sta in ci che in tutto il Sud della penisola,dove esse erano in gran numero, le citazioni dallanticosono rare nelle opere figurative. La stessa cosa succedea Roma dove non esiste a quel tempo un centro artisti-co locale. gi molto se si trova uneco antica nel rilie-vo di Isaia da Pisa (verso il 1440), un tempo nella Cap-

    pella San Biagio, a San Pietro, e soprattutto, nella portadi bronzo di San Pietro eseguita dal fiorentino Filarete(probabilmente verso il 1440)30. A parte le decorazionifioreali e le piccole scene mitologiche e storiche che visono inserite, rispondenti probabilmente a un program-ma umanistico ben definito, le grandi figure degli apo-stoli sembrano tratte da avori paleocristiani e corri-spondono forse a unintenzione politica di ritorno al

    Medioevo.

    1R. LONGHI, Giotto spazioso, in Paragone, 1952, 31, pp. 18-24.

    2 Citato particolarmente da DESSLING e E. MUENTZ, Ptrarque, sestudes dart, son influence sur les artistes, ses portraits et ceux de Laure, lil-lustration de ses crits, Paris 1902, p. 45, note 2-3.

    3 Il passo della lettera, citato a pi riprese, riportato e interpre-tato particolarmente da E. PANOFSKY, Renaissance and Renascences in

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    Western Art, Stockholm 1960, p. 209 [trad. it. Rinascimento e rinascenzenellarte occidentale, Milano 1971, pp. 241-42, nota 136] e anche da R.KRAUTHEIMER e T. KRAUTHEIMER-HESS, Lorenzo Ghiberti, 2a ed. Prin-

    ceton 1970, I, p. 295.4RISTORO DAREZZO,Mappa mundi. Destinazione ottava, IV: Delle

    vasa antiche, in V. NANNUCCI,Manuale della letteratura del primo secolodella lingua italiana, 3a ed. Firenze 1874, pp. 201-203.

    5GUARINO VERONESE, Epistolario, raccolto ordinato e illustrato da

    R. Sabbadini, I, Venezia 1915, p. 38. Recentemente la personalit diNiccol Niccoli stata brillantemente rievocata da E. H. GOMBRICH,From the Revival of Letters to the Reform of the Arts : Niccol Niccoliand Filippo Brunelleschi, in The History of Art presented to RudolfWittkower, London 1967, pp. 71-82, e ripubblicato in The Heritage

    of Apelles. Studies in the Art of the Renaissance, London 1976, pp. 93-110, che accetta lattribuzione del trattato allumanista. Il Sabbadi-ni, in GUARINO, Epistolario cit., III, p. 25, crede invece che sia operadi un altro Nicolaus che Guarino avrebbe confuso con il suo picelebre omonimo. Infatti, a detta di tutti i suoi contemporanei, Nic-col Niccoli, a parte lettere in volgare, non avrebbe scritto niente e,secondo Sabbadini, non avrebbe potuto commettere gli errori gros-solani che Guarino gli imputa.

    6A. TRAVERSARI, Latinae Epistolae, a cura di P. Cannetus e L.

    Mehus, Firenze 1759, II, n. 35, coll. 393-94, e n. 48, coll. 416-17.7

    POGGIO BRACCIOLINI, Epistolae IV 12, a cura di T. de Tonellis,Firenze 1831, I, p. 322.8 La corrente artistica di questi anni stata studiata fra laltro da

    KRAUTHEIMER e KRAUTHEIMER-HESS, Lorenzo Ghiberti cit, pp. 52-53.9G. VASARI, Le vite de pi eccellenti pittori scultori e architettori,

    Milano 1962, II, pp. 253-54.10 La testa stata pubblicata e magistralmente studiata da R. BIAN-

    CHI BANDINELLI, An Antique Reworking of an Antique Head, inJournal of the Warburg and Courtauld Institutes, 1946, 9, pp. 1-9,ripreso con il titolo diAntico non antico, inArcheologia e cultura, Mila-no 1961, pp. 276-88.

    11 La documentazione pi completa sullartista si trova nella mono-grafia di H. W. JANSON, The Sculpture of Donatello, Princeton 1957.Lautore, cosciente della complessit dei ricchissimi rapporti di Dona-tello con larte antica, ritornato in seguito due volte sullo stesso sog-getto: H. W. JANSON, Donatello and the Antique, in Donatello e il suotempo, Atti dellVIII convegno internazionale di studi sul Rinascimento(Firenze-Padova 1966), Firenze 1968, pp. 77-96 e p. 11 e I-XV; ID., TheRevival of Antiquity in Early Renaissance Sculpture, in Medieval andRenaissance Studies, 1971, 5, pp. 80-102. Sempre sul problema diDonatello e dellantico, si veda W.WOLTERS, Eine Antikenergnzung aus

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    dem Kreis des Donatello in Venedig, in Pantheon, 1974, 32, pp. 130-33, dove viene analizzata una statua conservata nellabside della chie-sa di San Paolo, a Venezia, figura attica del IV secolo trasformata in

    san Paolo da uno scultore della cerchia di Donatello.12 Questa seducente ipotesi stata recentemente formulata da L.

    BELLOSI, Ipotesi sulle origini delle terrecotte quattrocentesche, inJacopodella Quercia fra gotico e Rinascimento,Atti del convegno di studi, a curadi G. Chelazzi Dini, Firenze 1975, pp. 163-79.

    13 Il problema stato ripreso da I. LAVIN, On the Sources and Mea-ning of the Renaissance Portrait Bust, in Art Quarterly, 1970, 33, pp.207-26.

    14A.WARBURG,Arte del ritratto e borghesia fiorentina.Appendice. Sta-

    tue votive in cera (1902), in ID., La Rinascita del paganesimo antico. Con-

    tributi alla storia della cultura, a cura di G. Bing, Firenze 1966, p. 137.15GOMBRICH, The Heritage of Apelles cit. Sul classicismo di Bru-

    nelleschi, oltre alle monografie sullartista che, a dire il vero, sono lon-tane dallaver risolto tutti i problemi che lartista continua a porre, siveda M. HORSTER, Brunelleschi und Alberti in ihrer Stellung zur rmischenAntike, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Instituts in Florenz,1973, 17, pp. 29-64. Tra le pubblicazioni in occasione del centenariodellartista si veda ora G. MIARELLI MARIANI, Brunelleschi a Roma. Unincontro tra mito e realt, in Studi romani, 1977, 25, pp. 187-210.

    16 Viene ripresa anche la ripartizione in dieci libri. Il trattato stato

    recentemente pubblicato di nuovo e in modo esemplare: L. B. ALBER-TI, Larchitettura (De re aedificatoria), testo latino e traduzione a curadi G. Orlandi, Introduzione e note di P. Portoghesi, Milano 1966. PerID., De pictura, si veda la riedizione nel volume III delle Opere volgaripubblicato a Bari, nel 1973, da C. Grayson. Il solo trattato stato inseguito ripubblicato dallo stesso autore (Bari 1975). Per quanto riguar-da il terzo trattato, ID., De statua, si veda ledizione di O. Morisani,Catania 1961. Infine, per i testi di Alberti relativi alle antichit diRoma, si veda anche L. VAGNETTI, La Descriptio urbis Romae. Unoscritto poco noto di Leon Battista Alberti. Contributo alla storia del rile-vamento architettonico e topografico, in Quaderno dellUniversit deglistudi di Genova, 1968, 1, pp. 25-78, e G. ORLANDI, Nota sul testo dellaDescriptio urbis Romae di L. B.Alberti, ivi, pp. 81-88. Sullarte anti-ca nellopera architettonica dellAlberti, si veda anche lopera classicadi R.WITTKOWER, Principi architettonici nellet dellumanesimo (1949),Torino 1964; e, pi recentemente, oltre alla grossa monografia di F.BORSI, Leon Battista Alberti, Milano 1975, larticolo di HORSTER, Bru-nelleschi cit.

    17J. POLZER,Masaccio and the late Antique, in The Art Bulletin,

    1971, 53, pp. 36-40.18 Cfr. il saggio, che resta fondamentale, di R. LONGHI, Fatti di Maso-

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    lino e di Masaccio, in Critica darte, 1940, pp. 145-91, ripubblicatoin Opere complete (VIII), Firenze 1975, pp. 3-65.

    19 A tale proposito ci si pu ancora rifare alle pagine dedicate al pro-

    blema da J. MESNIL,Masaccio et les dbuts de la Renaissance, La Haye1927,passim, e anche allarticolo dello stesso autore,Masaccio and theAntique, in Burlington Magazine, 1926, 48, pp. 91-98, senza sof-fermarsi sulle pagine pretenziose e prive di cultura di un Fremantle, peresempio. (La bibliografia essenziale su questo problema ripresa daPOLZER,Masaccio cit.).

    20 Linsieme di questi disegni stato brillantemente pubblicato daB. DEGENHART e A. SCHMITT, Gentile da Fabriano und die Anfnge desAntikenstudiums, inMnchner Jahrbuch der bildenden Kunst, 1960, 2,pp. 59-151.

    21 Questo rapporto classico stato visto da A. WARBURG, Drer elantichit italiana (1905), in ID., La Rinascita cit., p. 199 e figg. 60 e107, che tuttavia non ha insistito sul fatto che la derivazione molto pro-babilmente indiretta. Daltra parte non bisogna dimenticare che lastatua stata scoperta solamente nel XVI secolo.

    22ID., Lo stile ideale classicheggiante, ibid., p. 298 e figg. 109-10.

    23E. PANOFSKY e F. SAXL, Classical Mythology in Mediaeval Art, in

    Metropolitan Museum Studies, 1932-33, 4, pp. 270 sgg.24PANOFSKY, Renaissance and Renascences cit., che una specie di

    saggio e di sintesi di Panofsky su se stesso e linsieme delle sue ricer-

    che.25 Su Apollonio di Giovanni, si veda il saggio classico di E. H. GOM-BRICH,Apollonio di Giovanni, in Journal of the Warburg and Cour-tauld Institutes, 1955, 18, pp. 16-34, ora in Norm and Form, London- New York 1971, pp. 11-34 [trad. it. Norma e Forma, Torino 1973].Sui cofanetti di matrimonio in generale si veda lopera, che resta fon-damentale, di P. SCHUBRING, Truhen und Truhenbilder der italienischenRenaissance. Ein Beitrag zur Profanmalerei, 2a ed. Leipzig 1923.

    26 Dopo i vecchi lavori di I. BLUM,Andrea Mantegna und die Antike,Strasbourg 1936, e di A. M. TAMASSIA, Visioni di antichit nellopera delMantegna, in Rendiconti della Pontificia Accademia romana di archeo-logia, 1956, 28, pp. 213-49, recentemente il problema stato ripre-so pi volte dal punto di vista archeologico: P. W. LEHMANN, The Sour-ces and Meaning of Mantegnas Parnassus, in P. W. LEHMANN e K. LEH-MANN, Samothracian Reflections: Aspects of the Revival of the Antique,Princeton 1973, pp. 59-178; M. VICKERS,Mantegna and the Ara Pacis,in Journal of the J. Paul Getty Museum, 1975, 2, pp. 109-20; ID.,Mantegna and Constantinople, in Burlington Magazine, 1976, 118,pp. 680-87; ID., The Palazzo Santacroce Sketchbook: a New Source forAndrea Mantegnas Triumph of Caesar, Bacchanals and Battle of the SeaGods, ivi, pp. 824-34; ID., The Roman World, Oxford 1977, pp. 33-

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    42; ID., The Source of the Mars in Mantegnas Parnassus, ivi, 1978, 120,pp. 151-52; in tutti questi lavori vi peraltro una forzatura.

    27 Lettera a M. Vianello, 28 giugno 1501, pubblicata da W. Bra-

    ghirolli, in Archivio veneto, 1877, 13, p. 377. Per la bibliografiarecente sul collezionismo dIsabella dEste, si veda lo studio di C. M.BROWN, Lo insaciable desiderio nostro de cose antique; New Documentsfor Isabella dEstes Collection of Antiquities, in Cultural Aspects of theItalian Renaissance, Essays in honour of P. O. Kristeller, New York1976, pp. 324-53.

    28 Si veda ora Il tesoro di Lorenzo il Magnifico, mostra, Firenze1972, N. DACOS, A. GIULIANO e U. PANNUTI, Le gemme, Firenze 1973;D. HEIKAMP e A. GROTE, I vasi, Firenze 1974. Sulle collezioni danti-chit durante il Rinascimento si veda anche R. WEISS, The Renaissance

    Discovery of Classical Antiquity, Oxford 1969.29 Su Bertoldo, oltre alla tradizionale bibliografia di W. VON BODE,Bertoldo und Lorenzo dei Medici. Die Kunstpolitik des Lorenzo il Magni-fico im Spiegel der Werke seines Lieblings-Knstlers Bertoldo di Giovan-ni, Freiburg im Breisgau 1925, si vedano le penetranti osservazioni diA. CHASTEL,Art et humanisme Florence au temps de Laurent le Magni-fique, Paris 1959, pp. 76-82 [trad. it.Arte e umanesimo a Firenze ai tempidi Lorenzo de Medici, Torino 1964]. Su Riccio, la vecchia monografiadi L. PLANISCIG,Andrea Riccio, Wien 1927, e, in tempi pi recenti, testiche riportano la bibliografia precedente, B.JESTAZ, Un bronze indit de

    Riccio, in Revue du Louvre et des Muses de France, 1975, 25, pp.156-62; L. MONTOBBIO, Testimonianze sulla giovinezza padovana diAndrea Briosco, in Atti e memorie dellAccademia Patavina di Scien-ze, Lettere ed Arti, 1974-75, 87, pp. 297-300; P. MELLER, RicciosSatyress Triumphant: Its Source, its Meaning, in Bulletin of the Cleve-land Museum of Art, 1976, 63, pp. 324-34. SullAntico si veda anco-ra H. J. HERMANN, Pier Jacopo Alari Bonacolsi gennant Antico, Wien-Leipzig 1910.

    30 Queste opere sono riprodotte nel classico e utilissimo manuale diJ. POPE-HENNESSY, Italian Renaissance Sculpture, London 1958 [trad. it.La scultura italiana. Il Quattrocento, Milano 1964]. Su Filarete si vedaC. SEYMOUR, Some Reflections of Filaretes Use of Visual Sources, in IlFilarete,Atti del corso di specializzazione promosso dallIstituto per la sto-ria dellarte lombarda e diretto da M. Salmi, in Arte lombarda, 1973,38-39, pp. 36-47. Il Trattato darchitettura di FILARETE stato pubbli-cato da A. M. Finoli e L. Grassi e Milano nel 1972.

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