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Pubblicazione Gratuita / Bimestrale / Anno III / Numero 19 N°19 NOVEMBRE/DICEMBRE 2013 perdersi a Torino

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Citare ancora Italo Calvino è inevitabile. Con il suo libro “Le città invisibili” nel 1972 ha redatto un catalogo delle città: quelle reali, quelle immaginarie, quelle scomparse, quelle sognate. Da qualche parte esistono tutte. Un canto d’amore alla città. Cinquantacinque ritratti in ciascuno dei quali, anche solo per un particolare, un colore, una definizione, una frase, si può ritrovare Torino. Il suo profilo. La sua immagine. Poiché è esattamente questo, la nuova – vecchia Torino: è uno zoo di città schierate l’una accanto all’altra che si influenzano a vicenda. Impaginate e immaginate a piacere. Allora noi abbiamo provato a cercarle, identificarle, raccontarle tutte queste città, queste che sono Torino, che costituiscono le parti viventi del suo corpo…

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Pubblicazione Gratuita / Bimestrale / Anno III / Numero 19N°19 NOVEMBRE/DICEMBRE 2013

perdersi a Torino

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ITALO CALVINOLe

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C on il suo libro “Le città invisibili” nel 1972 ha redatto un catalogo delle città: quelle reali, quelle immaginarie, quelle scomparse, quelle sognate. Da qualche parte esistono tutte. Un canto d’amore alla città. Cinquantacinque ritratti in ciascuno dei quali, anche solo per un particolare, un colore, una definizione, una frase, si può ritrovare Torino. Il suo profilo. La sua immagine. Poiché è esattamente

questo, la nuova-vecchia Torino: è uno zoo di città schierate l’una accanto all’altra che si influenzano a vicenda. Impaginate e immaginate a piacere. Allora noi abbiamo provato a cercarle, identificarle, raccontarle tutte queste città, queste che sono Torino, che costituiscono le parti viventi del suo corpo. Stratificate. La visione finale è un insieme che si fonde, inscindibile. Alla fine de “Le città invisibili” Marco Polo descrive un ponte a Kublai Kan, pietra per pietra.

“Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?” - chiede Kublai Kan.“Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, - risponde Marco - ma dalla linea dell’arco che esse formano.”Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge:“Perché mi parli delle pietre? E’ solo dell’arco che m’importa.”Polo risponde: “Senza pietre non c’è arco.”

Così Torino, che senza tutte le Torino che contiene, le pietre che la fanno per quello che è, non sarebbe.

La prima Torino che raccontiamo è la città dell’arte contemporanea, non poteva che essere così, in una mappa da aprire e seguire, e poi mettersi in tasca, in borsa.Poi verranno le altre città, raccolte tutte in una guida unica che uscirà nel 2014. Ogni città sarà un capitolo, progettato graficamente da un artista e sviluppato in un racconto generale da tanti punti di vista, piccole storie. Non una guida turistica didascalica o esaustiva, ma una guida certamente per tutti, trasversale, ibrida, che parla di Torino come la si vorrebbe mostrare a un amico in visita. Non c’è tutto, c’è quello che ci sembra imperdibile, prezioso, che trovi solo qui, a Torino, e non puoi andartene senza averlo visto. Si intitolerà LE CITTà CHE SI CHIAMANO TORINO.

Consigli d’uso per una città: wandering, lasciarsi andare, vagare, errare come sarebbe piaciuto ai situazionisti. Scoprire la propria città fuori da rotte e cartografie prestabilite. Incontrarla e percorrerla sulle tracce delle intuizioni, del caso, dell’istinto. Così ognuno disegna la propria spirale sulla mappa della sua città. Come un timbro. Non più estraneo o ospite, ma parte vitale di essa.

Direttore eDitorialeAnnalisa Russo

Direttore resPonsabileOlga Gambari

art direction e progetto grafico Francesco Serasso

Hanno collaboratoLeandro Agostini, Gian Luca Favetto

si ringrazianoDaniele Galliano, Andrea Massaioli, Luca Rastello, Enrico Remmert

ContattiArteSera ProduzioniVia XX Settembre 10 - Torino [email protected]

Citare anCora italo Calvino è inevitabile.

biMestrale / anno iii / nuMero 19Novembre/Dicembre 2013

Coverdisegno di Leandro Agostini

di Olga Gambari e Annalisa Russo

stampaSTIGE S.p.a.

Pubblicità[email protected]

Testata giornalistica registrata.

Registrazione numero N°55 del 25 Ottobre 2010 presso il Tribunale di Torino Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n°20817

Tutti i diritti riservati: nessuna parte di questa rivista può essere riprodotta in alcuna forma, tramite stampa fotocopia o qualsiasi altro mezzo, senza autorizzazione scritta dei produttori.

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LA CITTà DELL’ARTE CONTEmPORANEA

L a città dell’arte nasce come mappa raccontata e tascabile. Fa parte di un unico progetto editoriale pensato da ArteSera Produzioni per il mese di Contemporary Art Torino, novembre 2013, in cui tutto accade sincopato, pieno, come una festa dell’arte contemporanea, che si rivolge ai cittadini e a

un pubblico internazionale. Si tratta di un progetto composto dalla mappa e dal numero del freepress Artesera, il 19°. Vivono separatamente e insieme, allo stesso tempo: uno integra l’altro, lo arricchisce. Il freepress fa da paesaggio alla cartina, la spiega e la colloca, sull’orizzonte della guida che è in preparazione e arriverà nel 2014. È una sorta di anteprima, di presentazione. Per far venire voglia di scoprire tutte le altre città, che sono tante. E qualcuna sicuramente ci sfuggirà. Magari ce la suggerirete voi.Quindi la città dell’arte, quella che parla la lingua del contemporaneo, che si radica nella storia e pensa al futuro, che parte da se stessa per arrivare fino ai confini del mondo.Musei, fondazioni, gallerie, spazi indipendenti e no profit, associazioni, fiere, spazi pubblici, studi d’artista. Spesso a cavallo di ambiti e linguaggi,

perché l’arte contemporanea è un genere ibrido per sua natura, indefinito per essere libero.Fare un censimento delle realtà che danno vita e corpo alla città dell’arte torinese è un appello che muta e si evolve nel momento stesso in cui lo si

declina. È uno sguardo pieno di punti, traiettorie e percorsi, che forma una mappa visibile e invisibile, sovrapposta a

quella di vie, strade e piazze, dal centro alla periferia.C’è l’arte che vive negli spazi chiusi e deputati, e quella che si fa pubblica e va per strada, incontro alle persone. Arte pubblica, street art. Da un lato nuove idee di monumento declinate da progetti istituzionali. Dall’altro libere azioni artistiche

sulla pelle di muri e facciate della città. Nel loro insieme tutti questi interventi sono scorci inediti,

che reinventano la città, trasformandosi in luoghi d’arte quotidiana. Li si scopre girando, alzando lo sguardo,

osservando.Anche gli studi d’artista, sparsi in ogni quartiere, fucine di idee che prendono forma, sono luoghi dove scoprire, trovarsi, discutere. Di arte, e di vita.

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LA CITTà DEL CINEmA

LA CITTà DEL TEATRO

A Torino si fa teatro in un ex maneggio reale, la Cavallerizza Reale, come in una ex fabbrica, le Fonderie Limone.Ma anche in un piccolo ex cimiterino napoleonico, San Pietro in Vincoli. Da anni questo spazio circondato da mura, che lo ritagliano via nel cuore del Balôn, ospita eventi dedicati all’arte, progetti trasversali. Oggi hanno sede tre

compagnie teatrali: Mutamento Zona Castalia, Acti Teatri Indipendenti di Beppe Rosso,

Laboratorio Permanente sull’arte dell’attore di Domenico Castaldo.Torino è una città di grandi tradizioni teatrali d’avanguardia, dove sono passati nomi storici dai Living Theatre, i Bread&Puppet e i Magazzini Criminali a Falso Movimento e alla Fura dels Baus, tutti, però, ai loro primi passi. E a febbraio 2014 arriva allo Stabile Tom Waits, che ha scritto musica e versi per lo spettacolo “Woyzeck” di Georg Büchner, da un visual concept di Robert Wilson.

L a storia del cinema a Torino parte con gli stabilimenti della Itala Film, un simbolo. Lì nel 1914 Giovanni Pastrone girò il mitico Cabiria, un colossal sceneggiato

da Gabriele D’Annunzio. Un film a cui D.W. Griffith si ispirò nel 1915 per il suo The Birth of a Nation, da cui si fa originare tutta la storia del cinema americano.Poi sorsero molte altre case di produzione, e negli anni si sono, e si continuano, a girare film. Torino è una città che si presta facilmente a diventare cinema, un’attrice nata. Film Commission spesso si occupa di farla scritturare, ma il suo curriculum è una lista interminabile di ruoli da protagonista, coprotagonista e comparsa. Con ironia colleziona cimeli e amarcord nella Mole, sempre sul punto di partire per lo spazio, come un razzo. Ha sempre avuto una passione per Melies, e prima o poi ci proverà a raggiungere la luna.Città di set, registi, attori e cinephile, come lo sono i De Serio, che di professione

ufficialmente sono artisti, ma nell’anima, invece, intimamente registi. Per questo hanno aperto il “Piccolo Cinema”, così si chiama, sotto casa, in periferia, per rivedere quello che si è perso nella stagione andata, ricreando la magia delle seconde sale di una volta, quelle dove intere generazioni hanno scoperto e coltivato l’amore per il cinema.

Lo sapevate che Guerra e Pace di King Vidor, La donna della domenica di Luigi Comencini, Hanna e le sue sorelle di Woody Allen, il Divo di Paolo Sorrentino, La seconda volta di Mimmo Calopresti, La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana sono stati girati a Torino? Sono solo alcuni nomi di una folla di titoli. Li scoprite seguendo la mappa realizzata dall’Associazione Nazionale Museo del Cinema, “Movie on the road – Torino Cinema Tour”, che esplora la città attraverso le sue location cinematografiche.

www.movieontheroad.com

Cena al Cimitero Con storie di spietata umanità - regia Beppe rossoPhoto by Fernando Manfredi

le Fonderie limone – Courtesy Teatro Stabile di Torino

il piCColo Cinema – photo by Luca Scaglione

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LA CITTà

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LA CITTà DELL’ACQuA

Q uanta acqua c’è a Torino, che si fa corrente, sponda, marciapiede, vegetazione, muffa, barche, circoli di canottaggio, dighe, fauna e flora, piene e secche.Ci sono le acque dei fiumi - il Po la Dora la

Stura-, quelle del verde che avvolge Torino alle spalle, che si fa collina e poi boschi, e scorre, corre lungo corso Casale e corso Moncalieri, una linea lunghissima come una cintura, che va perdersi fuori dai confini urbani, come una piccola emorragia. E poi ci sono le fontane, che in Piazza Castello diventano una doccia e in piazza CLN una storia d’amore tra statue, allegorie del Po e della Dora Riparia. E i bagni pubblici, i Murazzi. E poi i toret.

“Signora? sono Tonino, può scendere Ago?”Ago, Fiuma, Dan, Anto, Simo, Salva, Giò, Brande. Mai il nome per esteso, figuriamoci il cognome.“Non può! deve finire di fare i compiti.”“Per favore…”.Cambiarsi e scendere alla nostra velocità: neanche Nembo Kid.Si era pronti. Fosse una partita di pallone, nascondino, l’elastico, la lotta, le figu con il palicia. Tanto poi era tutto da lavare. Noi compresi.Mai pensato di portarsi dietro l’acqua. Era già lì, ad aspettarci.L’adunanza era in piazzetta, davanti a Gep. La nostra ‘funta’.Non so chi l’avesse battezzata così: era Gep già per mio padre. Quindi basta, non si discute.

La colonna verde della nostra vita che cresceva. Una fontana. Con la testa di toro.Un Fontauro.“Acqua, acqua!”. “Marsa, devo bere”. “Non va via, non va via. Mia madre mi gonfia”. “Tieni la testa sotto, che sennò ti viene il bernoccolo”. “Aspetta, devo sciacquare la paletta”. “Mettilo sotto l’acqua che disinfetta”. “Un attimo! Mi sto lavando”. “Ohu, c’ero prima io, aspetta il tuo turno!”.“La vuoi bere tutta?”.Questo sentiva Gep, e ne aveva per tutti. Sempre. La sua acqua non finiva mai. Un flusso costante. Chissà da dove veniva. Dalle montagne, dicevano. È buona, fa bene, aggiusta.Chi non faceva la coda, era Zar: passava davanti a tutti, bevendo avidamente dalla pozzetta a terra.

Poi, scrollandoci addosso l’acqua che gli finiva sulla groppa, tornava a rincorrere la nostra palla. Bucandola. Spesso. Fino a quando non è arrivato il pallone di cuoio. E allora hai voglia a mordere.Gli unici a contendere la pozzetta a Zar erano i passerotti. Molto pazienti, aspettavano che ci fossimo allontanati per andare a bere o lavarsi.“Non attaccarti, che prendi le croste. Chissà chi ci ha bevuto!”. Mater dixit!Chissà mai chi era che baciava sulla bocca Gep? Quale misteriosa malattia avremmo preso?Si afferrava Gep per le corna o per le orecchie, testa leggermente inclinata, gambe larghe, bocca semiaperta, occhio semichiuso, una spanna dal getto e glugluglù.Il più bravo era quello che non si lavava tutta

la faccia, o la maglietta, e non si riempiva le orecchie. C’era poi chi metteva le mani lerce a cucchiaio. Ma era lungo, non c’era tempo, si doveva giocare.C’era anche chi metteva il pollice tappando metà del foro, bagnando tutti nel raggio di sette metri. Quello era Giova. E allora le prendeva. E allora ci ribagnava. E allora le prendeva un’altra volta.Le ostilità si interrompevano al grido inumano delle madri dal balcone o dalla finestra: “A tavolaaa. È tardi. Vieni su o papà viene giù!”. Si filava subito.Mezz’ora dopo, la piazzetta veniva attraversata dai nostri padri in bici che andavano a fare la notte. Sosta. Una sorsata, una pacca al toret.Porta bene si dice.

Fonte di gioia*

Estratto da un testo per l’associazione di promozione sociale “i love toret”. L’associazione si propone di costruire, attraverso eventi, iniziative culturali e merchandising appositamente studiato, una coscienza comune che porti al rispetto, alla preservazione e alla valorizzazione di un’icona di Torino.

www.ilovetoret.it

Torino, anni dopo*Leandro Agostini

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LA CITTà DELLE sTRADE

Torino è la città che colleziona piazze e ne va fiera. Piazza Vittorio, che ha la forma di un boccale e serve da bere, di là dal fiume, alla Gran Madre, la piazza più grande d’Europa dotata di portici. Piazza Maria Teresa, un incanto raccolto, con gli alberi e la statua appartata di Guglielmo Pepe. Piazza Carlina, che uno girerebbe in tondo per ore. Piazza San Carlo, che adesso ci lavorano e sembra uno scantinato, ma era e tornerà a essere un salotto, senza più automobili, riservata ai pedoni con le pattìne. Piazza Carlo Felice che dà il benvenuto a chi arriva in treno a Porta Nuova. Piazza Castello, la più disordinata e incompiuta, salvata da Palazzo Madama che troneggia al centro.

Piazza Bodoni, con la testa nella musica del Conservatorio e i piedi affondati in un parcheggio. Piazza Solferino, che prima sembrava un tavolo da biliardo e ora è un vassoio con due giandujotti sopra. Piazza Statuto, che finiti i lavori diventerà forse piazza Costituzione. E ancora quel gioiello di Piazza Carignano e il suo pendant, piazzetta Carlo Alberto, che brillano da una parte e dall’altra del Museo del Risorgimento, fra un teatro e una biblioteca.E poi, in ultimo, il marciapiede ribattezzato piazza, la più piccola del mondo: Piazza Madonna degli Angeli, secondo una targa; mentre per un’altra, appesa a qualche metro, è Piazzetta B.V. degli Angeli. Beata Vergine o Madonna,

sempre agli Angeli appartiene. Un angolo mignon, come un pasticcino. Misura dodici passi per venticinque. Ha la forma rettangolare ed è in effetti un allargarsi del marciapiede all’angolo fra via Cavour e via Carlo Alberto, di fronte all’omonima chiesa. Un luogo composto da un palazzo di quattro piani più gli abbaini, un’edicola, una doppia postazione telefonica, un semaforo da anni lampeggiante, un bidone dei rifiuti, una centralina dei telefoni, tre fioriere, le vetrine di un caffè, quelle di un negozio di abbigliamento, un bel portone in legno con due citofoni. Tutto a dimensione umana. Più che umana, a dimensione da favola. Da Biancaneve e i sette nani.

S trade rigorosamente parallele e perpendicolari tra loro, secondo cardi e decumani romani, che non ti perdi neanche se ti ci impegni, e invece ti senti sperso in qualsiasi altra città. Una struttura che ha plasmato anche la testa dei torinesi. 18 chilometri di portici, strade anche loro, ma coperte, perché i Savoia non si bagnassero con la pioggia, e che ora sono salotti all’aperto, con soffitto e pavimento, vetrine, linee in grassetto sulla mappa della città, dal fiume alle stazioni.E poi piazze, grandi e piccole, con giardini e monumenti al centro, “la piccola Parigi”, la chiamano, e infatti ci vogliono solo 6 ore di tgv per arrivare alla Gare de Lyon.E i mercati, tanti che non li conti, da quello in miniatura di piazza Carlina a quello multietnico di Porta Palazzo, che si allarga anche nel Balôn, nel mercato delle pulci.

Una piazza e un mercato a cielo aperto che è la più grande d’Europa, e ci ritrovi il mondo, nord sud ovest est, il nuovo mondo che sta diventando Torino, con difficoltà e naturalezza insieme.

La piazza che è un marciapiede*

*Gian Luca Favetto

daniele Galliano, senZa titolo, 1994, olio su tela, 40x30 cm

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NASCITA E RINASCITATRA ARTE

ANTICAE ARTE

CONTEMPORANEA

24 NOVEMBRE 2013 • 26 GENNAIO 2014MUSEO DEL TERRITORIO • BIELLA

LANINOMARCHELLI

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Museo del Territorio, via Quintino Sella, Biellamail [email protected] • telefono +39 015 25 29 345Aperto da giovedì a domenica (ore 10-12.30 e 14-18.30); il 26 dicembre,l’1 e il 6 gennaio (ore 14-18.30) • Chiuso il 25 dicembre

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Città di BiellaAssessorato alla Cultura

progetto grafico: andreadallafontana.com

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il tempo della Rinascita

BIBLIOTECA NAZIONALE UNIVERSITARIA

PIAZZA CARLO ALBERTO, 3 TORINO

TORINO 6-26 NOVEMBRE 2013

www.thedisasters.it

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QuANDO sI fA sERA

QuANDO sI fA NOTTE

C i sono le piole. Luca Rastello sostiene che quello delle piole sia un fenomeno in cui, più che in ogni altro luogo, vale il principio di indeterminazione di

Heisenberg: l’osservazione - e l’osservatore - determina irrimediabilmente il fenomeno osservato. Forse più che dare indirizzi bisogna dare indizi, e chi è un buon cercatore di tesori, allora merita di trovarle e frequentarle. Sono la Torino old style e operaia, che se non le conosci non le trovi e chiudono presto, giusto per farti andare a cena in orario. Poi ci sono il locale che diventa club, come il Blah Blah o l’Amantes, il Margò, il posto fuori dal tempo come il Ballantines, il covo dei cocktails insuperabili come Bobo (suggerito Negroni e Margarita) dove al massimo trovi una ciotola di arachidi e una di patatine. E ancora dove vai bere una cosa e poi ceni, come il Pastis, oppure dove prendi un aperitivo-cena, all’Ex Lanificio o al Diwan di San Salvario.

Q uante traiettorie notturne permette la notte in una città. Ognuno ha i suoi luoghi, quando si cerca casa per una chiacchiera, un bicchiere,

un caffè. Torino risulta avere il numero di locali procapite più alto d’Europa. E in effetti, soprattutto in alcuni quartieri come San Salvario e Vanchiglia, i posti aprono e chiudono nel giro di vita di una farfalla, e capita che da una volta all’altra sia già cambiata la gestione. E questi sono i luoghi che non diventano mai del cuore. Ma quelli che ci interessano sono i

percorsi personali, quelli che si ritagliano fuori dalle rotte ufficiali. Le notti che solo chi le vive conosce.

Daniele Galliano va a piedi, al massimo usa la bicicletta. Abita nel piccolo salotto di piazza Emanuele Filiberto, dietro Porta Palazzo. Di sera scende e va al Pastis, che è un po’ il suo ufficio, poi a cena a I Tre galli e a bere al Freevolo. Altre volte scende verso piazza Vittorio, e raggiunge il Blah Blah, l’Amantes, e se c’è qualche presentazione sale le scale fino al Circolo dei Lettori.Poi ci sono le notti, in cui spesso, sempre

a piedi, raggiunge il suo studio di pittore a Borgo Dora, e passa per corso Giulio Cesare, che si fa poi corso Brescia, zone dove ultimamente stanno sorgendo tantissimi piccoli localini tenuti da indiani e da africani, vivaci in tutte le accezioni che l’aggettivo “vivace” può contenere. Il resto della notte, di quelle notti, lo passa con i suoi quadri e le creature che li abitano. Enrico Remmert da un anno e mezzo va in giro nelle notti torinesi per scoprire la città invisibile, quella dei mercati, dei fornai, dei kebabbari, dei portieri di notte,

delle messe celebrate all’alba, dei barboni. Fuori dai “giri”, dalle mode. Situazioni sconosciute alla maggior parte dei torinesi, che coinvolgono, però, enormi quantità di persone. Notti parallele a quelle dei locali, micromondi che si aprono e si richiudono con il buio, vitali, pieni di facce e di storie, regolate da loro dinamiche autonome. Realtà di cui diventa cittadino nella notte prescelta, mescolandosi e chiacchierando, e che poi racconta sulle pagine de La Stampa. Noi leggiamo al mattino, ma vivere direttamente quella città invisibile, dal corpo, però, così vero e concreto, è un’altra cosa.

andrea massaioli, annunCiaZione, 2007, tempera su tela, 150x120 cm

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LE NuOVE TORINO

C’è una nuova zona di Torino, in espansione, che non compare ancora sulle mappe ufficiali cittadine, ma è corpo vivo che si sta prendendo lo spazio di

cui ha bisogno, come una cellula dinamica, che unisce in sé passato e futuro. Un progetto né firmato da nessun architetto né ideato da alcun piano regolatore, che sta a cavallo di Aurora e Barriera di Milano. Quartieri di periferia, di natura industriale e operaia, che sono germinati in spazi creativi e architetture recuperate. Dalla ex fabbrica di molle che si fa bunker, all’ex fabbrica di cioccolato che si muta in loft,

passando per un’ex caserma da cui oggi escono scrittori e una Nuvola Lavazza che si alzerà nel 2014. Poi gallerie d’arte, laboratori di fotografia e cucina, associazioni culturali, spazi teatrali, bagni pubblici, una scuola di design, un tram che diventa bivacco urbano, un bar che si trasforma in opera viva. Intanto non lontano, nello stesso immaginario di città che non ti aspetti, resiste il baluardo dei Docks Dora, con i suoi studi di artisti, grafici, architetti e musicisti mischiati a magazzini di abbigliamento.Le nuove Torino sono lì, a un passo, basta allungare la mano.

la nuova sede dello iaad – istituto d’arte applicata e design

un’immagine dello spazio di We made For love - www.wemadeforlove.com

i Bagni pubblici di Via agliè

loft parma#33 - photo by Beppe Giardino

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fuGHE

È incredibile la collezione pomologica di Francesco Garnier Valletti, costituita da centinaia di varietà di mele, pere, pesche, albicocche, susine, uve. Sono sculture ma sembrano vere, e vien voglia di toccarle, di assaggiarle. Frutte sconosciute, perdute, scomparse. Valletti disegnò e riprodusse migliaia di varietà di frutti, annotandone nomi, qualità, stagione di produzione, come testimoniano i suoi album di disegni e appunti. Solo alla sua morte un allievo ne rivelò la formula segreta, un procedimento lunghissimo che partiva da un calco ottenuto con cenere umida e poi gesso. Si procedeva quindi con un impasto di polvere di marmo, resine, biacca, pece greca, resina dammar.Infine il colore e vernice.

http://www.museodellafrutta.it

Da qualche tempo c’è una mongolfiera sospesa su Borgo Dora. Un enorme pallone bianco di elio, che galleggia sulla città e la osserva, distante eppure attaccato a terra da una fune di acciaio. Altrimenti volerebbe via. Venti persone a viaggio. Vento permettendo. Di sera si vedono sempre piccoli flash scattare sospesi, nel buio. 150 metri d’altezza e un panorama che va venire voglia di raggiungere il cielo. Ogni cosa è più bella da lassù, si prende respiro, distanza.Lo sguardo ruota a 360 gradi, si vede tutto, dalla Mole a Superga. Fino alle Alpi. Peccato non si scorga il mare. Forse si potrebbe andare ancora un po’ più in alto, allentando la fune, per poterlo vedere.

http://www.mongolfieratorino.it

Al secondo piano della GAM di Torino c’è un archivio che raccoglie migliaia di titoli e ripercorre la storia dell’Arte Video e del Cinema d’Artista. Una miniera preziosa, poco conosciuta, eppure tra le più grandi collezioni pubbliche di settore in Europa. In una piccola saletta silenziosa ci sono una serie di monitor con relative cuffie. Ci si siede, si accede al menù e si sceglie, senza limiti, se non quelli orari di apertura del museo. Non ci si crede a quello che si può trovare. Un viaggio nel mondo delle immagini in movimento da un punto di vista storico, archeologico e artistico. Dai primi film di Ragghianti al cinema underground degli anni ‘50/’60 alle video-performance dell’inizio anni ‘70, fino a opere recentissime di videoarte.

http://www.gamtorino.it

IL MUSEO DELLA FRUTTA LA MONGOLFIERA LA VIDEOTECA GAM

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