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1 D al punto di vista epidemiologico, gli animali “sen- tinella” sono definiti come “popolazioni di animali domestici e selvatici nei quali il verificarsi della malattia può fornire, per la salute umana, utili informazioni sul rischio derivante dall’esposizione a pericoli ambien- tali“. I numerosi sistemi sentinella sono riassunti in un rapporto del CNR 1992; caratteristico è l’esempio del “canarino delle miniere”, che veniva trasportato dal minatore all’interno delle gallerie come ”indicatore” di qualità dell’aria. Numerosi episodi sono ben conosciuti come esempio di pericolo ambientale: la morte di bovi- ni durante lo show londinese di zootecnia del 1873, in conseguenza del pesante inquinamento atmosferico; “la sindrome del gatto che balla” osservata in Giappone, nella baia di Minamata, in seguito all’ingestione di pesci contaminati con metil-mercurio; i casi di infertilità ed altri disordini metabolici osservati in bovini del Michigan (U.S.A.) a causa dell’ingestione di foraggi contaminati da policlorobifenili. Relativamente al cancro umano, quando si considerano gli animali come “sentinella” per la valutazione degli effetti all’esposizione ambientale, un modello di studio può essere rappresentato da quelli da compagnia. Come i cani, i quali: convivono nello stes- so ambiente dei proprietari e sono, quindi, esposti alle stesse noxae (radiazioni, campi elettromagnetici, fumo, ecc ); presentano una varietà di tumori sovrapponibile a quella osservata nell’uomo (mammella, vescica, cervel- lo, sistema linfatico), ma con un periodo di latenza più breve, riducendosi così i tempi di osservazione richiesti per gli studi di coorte; presentano una risposta biologica alla carcinogenesi ed un meccanismo di induzione del cancro simile all’uomo; ed ancora, poichè hanno una limitata mobilità geografica durante la loro vita, sono efficaci indicatori della salute del territorio. Esempi di modelli animali per l’esposizione ambientale In epidemiologia sono stati considerati numerosi siste- mi di “animali sentinella” in merito alle relazioni tra fattori di rischio ambientali e rischio di cancro. Studi di casi-controllo del mesotelioma canino (De Nardo 1996) (Glickman et al. 1983) identificano l’esposizione all’asbesto, in conseguenza di attività lavorative del pro- prietario o suoi hobbies, come fattore di rischio signifi- cativo. L’uso di sostanze insetto-repellenti come le polveri anti-pulci, che spesso contengono talco ed antimonite (una sostanza strettamente correlata all’asbesto), è stato associato all’aumento del rischio di mesotelioma. Gli autori asseriscono che i casi di mesotelioma canino pos- sono fornire un sistema precoce di rilevamento di questa patologia ambientale e suggeriscono l’allestimento di un registro dei mesoteliomi animali come valido strumento per l’identificazione di aree a rischio legate alla presenza di asbesto. Studi sul cancro alla vescica dei cani hanno dimostrato che questo tipo di tumore può essere con- siderato un potenziale sistema sentinella, in quanto la vescica dell’uomo e quella del cane sono morfologica- mente ed istologicamente simili ed il carcinoma a cellule transizionali è il più frequente tipo di tumore vescicale in entrambe le specie. In uno studio descrittivo, Hayes et al. (1991) dimostrarono che il tasso di morbilità per il tumore alla vescica in alcuni cani degli Stati Uniti era strettamente correlato al grado di attività industriale delle stesse località geografiche, individuando in tal modo i siti a rischio di carcinogenesi per la comunità. Il ridotto periodo di latenza per il cancro alla vescica del cane, fa pensare che il suo screening potrebbe essere tra gli studi prioritari per l’identificazione dei rischi ambientali. Fumo passivo: effetti dell’esposizione nei cani La relazione tra l’esposizione al fumo di tabacco ed il rischio di tumore polmonare umano o di altre malattie respiratorie non-neoplastiche, ha ricevuto molta attenzio- ne dalla comunità scientifica. È stata condotta una ricer- ca per determinare se l’esposizione al fumo di tabacco in casa potesse essere associata ad un aumento del rischio di cancro al polmone in cani da compagnia (Reif et al., 1992). I casi di tumore al polmone ed i controlli erano stati forniti da due cliniche veterinarie universita- rie, durante il periodo 1985 - 1987. La valutazione del- l’esposizione, includeva il numero dei fumatori presenti nella abitazione, la quantità di tempo passato al suo interno da parte dei cani e l’indice di esposizione. Dopo ripetuti controlli, non è stata trovata alcuna correlazione Aspetti comparativi e ruolo dei fattori ambientali nell’epidemiologia delle neoplasie spontanee degli animali

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Dal punto di vista epidemiologico, gli animali “sen-tinella” sono definiti come “popolazioni di animali

domestici e selvatici nei quali il verificarsi della malattia può fornire, per la salute umana, utili informazioni sul rischio derivante dall’esposizione a pericoli ambien-tali“. I numerosi sistemi sentinella sono riassunti in un rapporto del CNR 1992; caratteristico è l’esempio del “canarino delle miniere”, che veniva trasportato dal minatore all’interno delle gallerie come ”indicatore” di qualità dell’aria. Numerosi episodi sono ben conosciuti come esempio di pericolo ambientale: la morte di bovi-ni durante lo show londinese di zootecnia del 1873, in conseguenza del pesante inquinamento atmosferico; “la sindrome del gatto che balla” osservata in Giappone, nella baia di Minamata, in seguito all’ingestione di pesci contaminati con metil-mercurio; i casi di infertilità ed altri disordini metabolici osservati in bovini del Michigan (U.S.A.) a causa dell’ingestione di foraggi contaminati da policlorobifenili. Relativamente al cancro umano, quando si considerano gli animali come “sentinella” per la valutazione degli effetti all’esposizione ambientale, un modello di studio può essere rappresentato da quelli da compagnia. Come i cani, i quali: convivono nello stes-so ambiente dei proprietari e sono, quindi, esposti alle stesse noxae (radiazioni, campi elettromagnetici, fumo, ecc ); presentano una varietà di tumori sovrapponibile a quella osservata nell’uomo (mammella, vescica, cervel-lo, sistema linfatico), ma con un periodo di latenza più breve, riducendosi così i tempi di osservazione richiesti per gli studi di coorte; presentano una risposta biologica alla carcinogenesi ed un meccanismo di induzione del cancro simile all’uomo; ed ancora, poichè hanno una limitata mobilità geografica durante la loro vita, sono efficaci indicatori della salute del territorio.

Esempi di modelli animaliper l’esposizione ambientale

In epidemiologia sono stati considerati numerosi siste-mi di “animali sentinella” in merito alle relazioni tra fattori di rischio ambientali e rischio di cancro. Studi di casi-controllo del mesotelioma canino (De Nardo 1996) (Glickman et al. 1983) identificano l’esposizione

all’asbesto, in conseguenza di attività lavorative del pro-prietario o suoi hobbies, come fattore di rischio signifi-cativo. L’uso di sostanze insetto-repellenti come le polveri anti-pulci, che spesso contengono talco ed antimonite (una sostanza strettamente correlata all’asbesto), è stato associato all’aumento del rischio di mesotelioma. Gli autori asseriscono che i casi di mesotelioma canino pos-sono fornire un sistema precoce di rilevamento di questa patologia ambientale e suggeriscono l’allestimento di un registro dei mesoteliomi animali come valido strumento per l’identificazione di aree a rischio legate alla presenza di asbesto. Studi sul cancro alla vescica dei cani hanno dimostrato che questo tipo di tumore può essere con-siderato un potenziale sistema sentinella, in quanto la vescica dell’uomo e quella del cane sono morfologica-mente ed istologicamente simili ed il carcinoma a cellule transizionali è il più frequente tipo di tumore vescicale in entrambe le specie. In uno studio descrittivo, Hayes et al. (1991) dimostrarono che il tasso di morbilità per il tumore alla vescica in alcuni cani degli Stati Uniti era strettamente correlato al grado di attività industriale delle stesse località geografiche, individuando in tal modo i siti a rischio di carcinogenesi per la comunità. Il ridotto periodo di latenza per il cancro alla vescica del cane, fa pensare che il suo screening potrebbe essere tra gli studi prioritari per l’identificazione dei rischi ambientali.

Fumo passivo: effetti dell’esposizione nei cani

La relazione tra l’esposizione al fumo di tabacco ed il rischio di tumore polmonare umano o di altre malattie respiratorie non-neoplastiche, ha ricevuto molta attenzio-ne dalla comunità scientifica. È stata condotta una ricer-ca per determinare se l’esposizione al fumo di tabacco in casa potesse essere associata ad un aumento del rischio di cancro al polmone in cani da compagnia (Reif et al., 1992). I casi di tumore al polmone ed i controlli erano stati forniti da due cliniche veterinarie universita-rie, durante il periodo 1985 - 1987. La valutazione del-l’esposizione, includeva il numero dei fumatori presenti nella abitazione, la quantità di tempo passato al suo interno da parte dei cani e l’indice di esposizione. Dopo ripetuti controlli, non è stata trovata alcuna correlazione

Aspetti comparativi e ruolo dei fattori ambientalinell’epidemiologia delle neoplasie

spontanee degli animali

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tra l’aumento del rischio di cancro e la presenza di fuma-tori in casa, né l’aumento del numero dei fumatori o dei pacchetti di sigarette fumate. Non è stato inoltre possibi-le identificare un profilo “dose-risposta”. Recentemente è stato condotto uno studio per determinare se la nicotina urinaria possa essere un biomarker per l’esposizione al fumo di tabacco nei cani (Reif et al., in stampa). La dose media riscontrata in 58 cani che vivevano a casa di fumatori era di 18.6, mentre in altri 56 cani provenienti da case di non fumatori era di 2.2 ng/mg (p<0.0001). Questa ricerca conferma come i cani possano rivestire un importante ruolo di sentinella nello studio sul rischio di cancro polmonare indotto da fumo passivo di tabacco.

Esposizione agli erbicidi: Linfoma nel cane

Tra lavoratori del settore agricolo, l’esposizione ai pesti-cidi è stata considerata come una possibile spiegazione per l’aumento del rischio mondiale di cancro del sistema ematopoietico. Una serie di studi epidemiologici ha col-legato l’esposizione al 2,4 D ed altri erbicidi al rischio di linfomi non-Hodgkin’s (NHL). Il linfoma canino maligno (CML), per le similitudini nel comportamento biologico e per gli aspetti patologici, può servire come modello com-parativo per i linfomi non-Hodgkin dell’ uomo. I proprie-tari di cani che avevano sviluppato il CML avevano usato, nel 30% in più dei casi controllo, prodotti che contene-vano il 2,4 D, o avevano incaricato ditte specializzate nel trattamento erbicida delle loro proprietà. I risultati dimo-strano che i cani esposti al contatto assorbono misurabili quantità di erbicida per diversi giorni dopo i trattamenti e possono costituire un indicatore molto sensibile per i rischi legati al linfoma.

Linfoma Canino e campi elettromagnetici

La possibile relazione tra l’esposizione domestica a campi magnetici ed elettrici a bassa frequenza (50-60 Hz) ed il verificarsi di tumori giovanili nell’uomo è stato oggetto di grande interesse. Un aumento del rischio di leucemia nei bambini è stato osservato con l’esposizione ai campi magnetici, mentre una minore evidenza è stata rilevata per gli adulti che risiedevano in aree esposte a radiazioni magnetiche dello stesso tipo. Tuttavia, nume-rosi studi hanno comunque riportato un certo aumento del rischio di tumori linfoidi in adulti che lavoravano esponendosi ai campi magnetici elettrici. Quindi, si ipo-tizza che potrebbe esistere una correlazione tra campi magnetici e tumori linfoidi anche nei cani da compagnia

che vivono in appartamento. È stato condotto uno stu-dio per determinare se l’esposizione casalinga ai campi magnetici aumentasse il rischio di linfoma nei cani da compagnia (Reif et al., 1995). I casi erano relativi a soggetti con linfoma istologicamente confermato. Le informazioni riguardanti il tipo di attività del cane, la sua storia clinica e l’eventuale esposizione a potenziali rischi furono ottenuti tramite intervista telefonica. I campi magnetici erano stati misurati sia negli appartamenti di 93 proprietari di cani con linfoma confermato, sia in altri 137 casi di controllo. I risultati consentirono di raggrup-pare gli appartamenti sotto controllo in due categorie: con alto o molto alto livello di radiazioni, e con basso o molto basso livello. I cani che vivevano in case con elevati livelli di radiazioni hanno presentato il rischio più alto, mentre valori più modesti di aumento del rischio sono stati rilevati con livelli di radiazioni inferiori. I risul-tati di questo studio provano l’importanza dell’utilizzo delle neoplasie spontanee canine, come il linfoma, come modello di studio per i tumori legati a fattori ambientali. Ulteriori studi sul linfoma canino ed altri tumori, come quelli dell’apparato riproduttore e nervoso, potrebbero essere considerati altrettanto utili a tale scopo. In partico-lare, nell’era della telefonia mobile, sarebbero auspica-bili ulteriori studi ed osservazioni su cani ed altri animali, come indicatori dei possibili effetti patogeni da campi magnetici e da microonde.

Veterinaria e Prevenzione

Nell’impegno comune per la lotta contro il cancro, che vede impegnati ricercatori di diverse discipline in tutto il mondo, deve essere anche considerato il rilevante contributo epidemiologico fornito dallo studio delle neo-plasie spontanee degli animali domestici e selvatici. Un esempio interessante è quello della città di Genova, che ha attivato nel 1985 un Registro Tumori Animali (RTA) con lo scopo di rilevare l’andamento della patologia tumorale nei cani e nei gatti, per utilizzarli come sistema integrato di sorveglianza epidemiologica permanen-te. In Italia, grazie alla rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, attualmente è attivo un registro tumori animali che fa riferimento al Centro di Referenza per l’Oncologia Comparata dell’Istituto Zooprofilattico di Genova. All’aggiornamento di questo registro attual-mente collaborano le regioni: Liguria, Veneto, Piemonte, Umbria, Lazio e Sicilia. In Sicilia, nell’arco dell’ultimo triennio (2001-2003) sono stati sinora diagnosticati, dal Laboratorio di istopatologia dell’IZS della Sicilia, 1320 casi di neoplasie spontanee in cani e gatti.

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Le neoplasie più rappresentate sono risultate quelle a carico della cute, con 529 casi per la specie canina (49%) e 90 casi per la specie felina (44%). Seguono quel-le mammarie, con 341 casi per i cani (31%) e 99 casi per i gatti (44%); poi, in ordine di frequenza, gli apparati genitali maschile, con 53 casi nei cani (5%) e 2 nei gatti (5%) e femminile, con 48 casi per i cani (4%) e 7 per i gatti (3%), ed il sistema reticolo-endoteliale, con 42 casi nei cani (4%) e 4 nei gatti (2%) (Tab.1.). La percentuale dei tumori mammari trova nei gatti una maggioranza di forme maligne. Dal confronto preliminare tra i dati (cani, Tab. 2) riportati nel Nord (Pellegrino, comunicazio-ne personale, 2003) e Centro-Sud Italia (Paciello et al., 2003), non si individuano al momento linee di tendenza differenti dall’esperienza siciliana.Di interesse rilevante è la più alta percentuale di tumori cutanei in Sicilia, presumibilmente riferibile ad una mag-giore esposizione degli animali ai raggi solari a queste latitudini. Un problema comune per lo studio della pato-logia comparata è la classificazione delle neoplasie, che ha sempre comportato profonde differenze tra i vari labo-ratori specialistici, soprattutto in relazione alle modalità di classificazione in medicina umana e veterinaria.La nona edizione della International Classification of Disease, pubblicata dal WHO, contiene una sezione riguardante l’oncologia (ICD-O) e rappresenta la versione più recen-te e completa di una raccolta terminologica ragionata. Questa comprende una nomenclatura codificata delle neoplasie umane secondo 1’Intemational Classification

of Tumors, da cui è derivata quella degli animali dome-stici (IHCTDA). Questo strumento conoscitivo, se adegua-tamente usato, può avere un ruolo primario nello studio e, soprattutto, nella prevenzione delle patologie tumorali umane sottolineando, ancora una volta, l’importanza del contributo veterinario e della patologia comparata per la ricerca medica.

Vincenzo MonteverdeIstituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia

PERCENTUALE TUMORI PER APPARATO

IZS Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta

(1987-1994)%

Univ. Napoli(1997-2002)

%

IZS Sicilia(2001-2003)

%

Mammella 37 26 31

Cute 41 44 49

App. digerente 8 10 4

App gen. maschile 5 2 5

App. gen. femm. 3 3 4

App. respiratorio 1 3 1

Organi Linfoidi 2 3 4

App. urinario 1 2 1

App.muscolo-schel. 1 2 1

Altre 1 0 0

Tab. 2

Tab. 1

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I l giorno 30 settembre 2003 è stata costituita la Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia

Digestiva Veterinaria (SIGEDV), associazione culturale specialistica che riunisce medici veterinari liberi profes-sionisti e universitari che condividono l’interesse per la gastroenterologia dei piccoli animali.La convinzione che l’interscambio e la collaborazione tra il mondo accademico e quello libero-professionale sia fondamentale per un completo e fruttuoso approccio a qualsiasi attività intellettuale, ha condotto a decretare, per statuto, la compresenza di queste due categorie nel Consiglio Direttivo della Società.L’obbiettivo principale dell’Associazione, che non ha finalità di lucro, è di promuovere ed approfondire l’in-formazione, la formazione, la divulgazione e la ricerca nell’ambito della gastroenterologia dei piccoli animali, considerandone sia gli aspetti clinici sia quelli prope-deutici alla clinica, spaziando dall’anatomia normale e patologica alla fisiologia, farmacologia, anestesia, medi-cina di laboratorio, diagnostica per immagini, medicina interna, chirurgia, ecc.L’approccio alle malattie dell’apparato gastroenterico è cambiato notevolmente negli ultimi tempi, divenendo meno superficiale e sempre più orientato al problema. Le capacità diagnostiche si sono sensibilmente affinate, grazie anche alla diffusione di metodiche d’indagine fino a qualche anno fa considerate specialistiche, come l’endoscopia e che oggi sono efficacemente impiegate da molti veterinari.L’endoscopia ha un’importanza fondamentale in gastroenterologia, costituendo lo strumento diagnostico e terapeutico d’elezione per molte condizioni patologiche dell’apparato gastroenterico. D’altro canto, la gastroen-terologia costituisce l’area di applicazione più vasta dell’endoscopia. Questo stretto e proficuo legame tra le due discipline caratterizza dunque anche la prima società specialistica di gastroenterologia italiana.Tra le numerose attività previste nel programma SIGEDV, ci sarà l’organizzazione di almeno un meeting annuale, con relatori nazionali ed internazionali, dove sarà dato ampio spazio a una sezione di comunicazioni libere a cura dei Soci, che potranno in questo modo portare il loro contributo o scambiare le loro esperienze, nell’ottica di una collaborazione e di un accrescimento culturale reciproci che sono tra gli obbiettivi costituenti della Società.

Sarà inoltre pubblicata una rivista (gratuita per i Soci) che raccoglierà i contenuti delle relazioni presentate in occasione del meeting, in forma di articolo scientifico, oltre a notizie riguardanti l’attività della Società ed altri articoli scientifici sempre in tema di gastroenterologia.Saranno infine organizzati Corsi di endoscopia flessibile e rigida sia di base che specialistica e incontri finalizzati alla discussione di casi clinici, con particolare cura nei confronti delle modalità di presentazione in pubblico.La Società è aperta sia ai cultori della Gastroenterologia sia ai Colleghi che condividono l’interesse per questa disciplina e vogliano mantenersi aggiornati ed offrire eventualmente il loro contributo sull’argomento, per-mettendo così un utile scambio di esperienze ed infor-mazioni.Il primo meeting della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva Veterinaria si terrà a Milano, il giorno sabato, 27 novembre p.v. presso l’Aula A della Facoltà di Medicina Veterinaria. Per questo evento è stato richiesto l’accreditamento ECM.

Prof. Massimo Gualtieri Presidente

La gastroenterologiadei piccoli animali in Italia

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Nell’ambito delle attività di SIV-tro Veterinari Senza Frontiere ONLUS, si è dato il via al progetto di

realizzazione della Centrale del Latte di Niamey (Niger), nato dalla collaborazione tra l’Istituto di Zootecnica della Facoltà di Veterinaria dell’Università degli Studi di Mlano, Comune di Milano ed altri Enti (tra cui l’Ordine dei Medici Veterinari di Novara).Il progetto vuole farsi carico della realizzazione di un centro di raccolta del latte, equipaggiato delle attrez-zature minime per le analisi in loco, lo stoccaggio e la trasformazione (latte pastorizzato, latte cagliato, yogurt, ecc.). Lo scopo è quello di diminuire le perdite di latte prodotto per l’impossibilità attuale di ottenere una effi-ciente catena del freddo.L’installazione di questo piccolo centro consentirebbe la vendita di un prodotto più sano ed igienicamente controllato, con un margine di guadagno leggermente superiore a quello attuale, differenza che consentirebbe di coprire i costi di gestione del centro stesso.

Il progetto viene realizzato in collaborazione con ONG locale di Karkara (associazione allevatori), da anni impe-gnata nella promozione di una corretta filiera del latte a Niamey.Attualmente è stata avviata la produzione di yogurt ed alla fine di giugno è prevista l’inaugurazione alla presen-za delle Autorità locali.Tuttavia, per giungere alla completa realizzazione del progetto è necessario inviare un nuovo conteiner di materiali.

È possibile aderire all’iniziativa concorrendo alle spese di acquisto o spedizione.Il contributo può essere versato sul conto corrente inte-stato a SIV-tro VSF Italia ONLUS – via dell’Università 10 – 35020 Legnaro (PD), presso la Banca di Credito Cooperativo di Piove di Sacco, succursale di Brugine Conto corrente n. 44343 - ABI 08728/8 – CAB 63011/1Causale: Progetto NIGER Niamey.

Veterinari senza frontiere - Una centrale del latte in Niger

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Metodi statistici in epidemiologia

Le misure epidemiologiche L’epidemiologia moderna è una scienza quantitativa, perché si prefi gge tra i suoi obiettivi la misura della frequenza delle malattie nella popolazione (misure di prevalenza e incidenza) e la misura dell’associazione tra l’evento malattia e uno o più fattori di rischio (Rischio Relativo, Odds Ratio). Per perseguire tali obiettivi l’epide-miologia deve avvalersi necessariamente delle metodo-logie statistiche per tre ordini di motivi:1. controllare la variabilità “biologica” del fenomeno

sotto studio2. controllare gli effetti di confondimento esercitato

da una o più variabili, sulla stima dei parametri di frequenza o di associazione

3. esplorare la presenza di interazioni tra variabili.Aggiungiamo che la statistica, in particolare la teoria della probabilità, è fondamentale nella determinazione del numero di osservazioni, quindi della dimensione del campione, necessario per le stime di prevalenza e inci-denza o per la conduzione di uno studio epidemiologico sia esso osservazionale (studio caso-controllo; di coorte; ecc.) sia clinico (studi clinici).La raccolta delle informazioni sia riguardanti l’evento (malattia) sia l’esposizione a fattori di rischio è effet-tuata implementando le diverse metodologie di studio epidemiologico: studi trasversali o di prevalenza, studi caso-controllo e studi d’incidenza o di coorte. Per quanto possa sembrare a prima vista riduttivo non è lontano dal-la realtà affermare che le diverse metodologie statistiche che si applicano in epidemiologia ruotano intorno ad un organizzazione dei dati nota a tutti come tabella di con-tingenza o tabella 2x2.

MalattiaEsposizione al Fattore di Rischio Presente Assente

Esposto a b

Non Esposto c d

Negli studi trasversali è possibile calcolare la Prevalenza della Malattia sia tra i soggetti esposti (P esposti = a/a + b) e tra i soggetti non esposti ( P non esposti = c/c + d).La misura d’associazione in questo tipo di studio è il Rap-porto di prevalenza, che altro non è che il rapporto tra la P esposti / P non esposti. Non è corretto in questo tipo di studio l’uso dell’OR (da usare esclusivamente negli studi caso controllo). Si otterrebbe l’effetto di sovrastimare l’importanza del fattore di rischio indagato. Ad esempio, supponiamo di volere utilizzare di dati delle indagini epidemiologiche condotte nel 1997 negli allevamenti suini coinvolti nel piano di monitoraggio dell’Aujezsky e di voler studiare l’importanza del fattore di rischio “Tipologia dell’allevamento”. Utilizzando i dati raccolti e organizzandoli in una tabella 2x2 avremo:

Sorveglianza epidemiologicae gestione delle emergenze epidemiche

Note di epidemiologia e statistica

a cura dell’Osservatorio Epidemiologico Veterinario Regionale della Lombardia

2° PARTE

IMPORTATORE ESCLUSIVO PER L ITALIADEI SISTEMI COMPUTERIZZATI PER LA GESTIONE DELLA MANDRIA

BAGNOLO MELLA (Brescia) - Via Piamarta, 3Tel. 030 622570 - Fax 030 620014 - E-mail: [email protected]

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Sierologia AujeszkyEsposizione al Fattore di Rischio Positivo Negativo

Ciclo Chiuso 425 43

Ciclo Aperto 356 146

Questo è un tipico studio trasversale da cui si ricavano le seguenti misure di frequenza:P allevamenti a ciclo aperto = 356/356+146 = 70.9 allevamenti positivi per 100 allevamenti controllati

P allevamenti a ciclo chiuso = 425/ 425 43 = 90,8 al-levamenti positivi per 100 allevamenti controllati.

Il Rapporto di prevalenza è pari a: p (all. ciclo chiuso) / P (all. ciclo aperto) = 90,8/70,9 = 1,28. La prevalenza d’allevamenti Aujeszky positivi negli allevamenti a ciclo chiuso è 1, 28 volte superiore a quella che si riscontra negli allevamenti a ciclo aperto.

Utilizzando come misura di associazione l’Odds Ratio (che si calcola semplicemente rapportando il prodotto a x d al prodotto b x c) darebbe il seguente risultato:OR ciclo chiuso vs ciclo aperto = 425 x 146/356 x 43 = 4,05.Da cui deriva che il rischio di sieropositività negli alleva-menti a ciclo chiuso è 4 volte superiore a quello degli al-levamenti a ciclo aperto, sovrastimando quindi il rischio indicato dal rapporto di prevalenza.

Questa sovrastima è tanto più elevata quanto più elevata è la prevalenza della malattia oggetto dell’indagine, l’od-ds ratio, infatti, è un indicatore da usare solo in condizio-ni particolari come quelle che si riscontrano negli studi caso-controllo.

Da uno studio trasversale si ricava la Prevalenza della malattia semplicemente applicando la formula a + c (numero di soggetti ammalati)/a + b + c + d (po-polazione osservata).

Gli studi caso-controllo si caratterizzano perché sono selezionate due gruppi di soggetti, provenienti da due distinte popolazioni: quella dei soggetti portatori della malattia (casi) e quella dei soggetti non malati ( controlli o non-casi), e confrontate per l’esposizione ad uno o più fattori di rischio. In questo tipo di metodologia non è possibile stimare né la prevalenza né l’incidenza della patologia oggetto dello studio. E’ possibile solo stimare una misura d’associazione tra esposizione al fattore di rischio e malattia nota come Odd Ratios, che s’indica con la sigla OR.In uno studio caso-controllo la tabella 2 x 2 ha un‘orga-nizzazione di questo genere:

MalattiaEsposizione al Fattore di Rischio Casi Controlli

Esposti a b

Non Esposti c d

Totale a + c b + d

Le somme a + b, e c + d, per quanto “possibili” mate-maticamente, non hanno senso da un punto di visto epi-demiologico perché le popolazioni degli esposti (a + b) e dei non esposti (c + d) difatti non esistono, ma derivano dalla selezione dei casi e dei controlli su cui si effettua una ricerca mediante indagine con questionari relativa alle possibili esposizioni avvenute nel passato. Quindi siamo solo autorizzati a distinguere la popolazione di casi (a + c) e di controlli (b + d) in: Casi esposti (cella a) e Casi non esposti (cella c) e analogamente Control-li esposti (cella b) e Controlli non esposti (cella d) . La misura d’associazione si costruisce in questo modo: a/a + c (frequenza relativa, tra i casi, di soggetti esposti al fattore di rischio) e c/a + c (frequenza relativa, tra i casi, di soggetti non esposti al fattore di rischio). Il rapporto tra queste due proporzioni (a/a + c)/(c/a + c) è chiamato ODD e indica di quante volte, tra i casi considerati, la proporzione di esposti al fattore di rischio è superiore o inferiore a quella dei non esposti ; in caso d’uguaglianza

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il risultato sarà 1. Analogamente per i Controlli avremo che l’ODD è uguale al rapporto (b/b + d) /(d/b + d), che indica quante volte, tra i controlli considerati, la proporzione di esposti al fattore di rischio è superiore o inferiore a quella di non esposti al fattore di rischio. A questo punto rapportando tra loro gli ODDS calcolati precedentemente avremo:[(a/a + c) /(c/a + c)] / [(b/b + d) /(d/b + d) ]Semplificando, eliminando i denominatori comuni, si ottiene:(a/c)/(b/d), da cui deriva il noto rapporto crociatoa x d/b x c chiamato Rapporto degli ODDS o ODDS RA-TIO. Questo rapporto (OR) indica di quante volte l’ODD dell’esposizione nei Casi è superiore o inferiore all’ODD dell’esposizione nei Controlli. Nel caso i malattie rare l’OR approssima la misura del Rischio Relativo e quindi in questo caso, ma solo in questo caso, l’OR indica di quante volte l’esposizione al fattore di rischio considerato aumenta o diminuisce il rischio di malattia.

Gli studi d’incidenza o di coorte, permettono di stimare l’incidenza di una malattia e di rispondere alla domanda se esiste un nesso di causa-effetto tra esposizione e ma-lattia. Anche in questo caso i dati si organizzano in una tabella 2 x 2come quella seguente:

Malattia

Esposizione al Fattore di Rischio Presente Assente Totale

Esposti a b a + b

Non Esposti c d c + d

In uno studio di incidenza due coorti di soggetti liberi dalla malattia (cioè a rischio di svilupparla) suddivise in base alla presenza/assenza del fattore di rischio sono seguite per un determinato intervallo di tempo alla fine del quale si conta il numero di nuovi casi di malattia in-sorti nelle due coorti. Per semplicità supporremo statica la coorte in modo da poter utilizzare come denominatore della stima dell’incidenza il numero di soggetti presenti all’inizio dello studio cioè a + b per la coorte dei soggetti esposti e c + d per i soggetti non esposti. Dalla tabella si ricava l’Incidenza Cumulativa (IC) per la coorte dei sog-getti esposti al fattore di rischio: IC esposti = a/a + b, e l’Incidenza cumulativa per la

coorte dei soggetti non esposti IC non esposti=c/c + d. La misura di associazione è il Rischio Relativo che è

dato dal rapporto dell’Incidenza tra la coorte degli esposti e quella dei

non esposti: RR= IC esposti/IC non esposti

Il Rischio Relativo indica di quante volte l’esposizione al fattore di rischio indagato aumenta o diminuisce il Rischio di contrarre la malattia. Per tutte le misure di associazione fin qui considerate, sono possibili i seguenti risultati: 1 (non esiste associazione tra fattore di rischio e malat-tia); >1 (l’esposizione al fattore indagato aumenta la probabilità di contrarre la malattia); <1 (l’esposizione riduce la probabilità di contrarre la malattia); 0 (fattore protettivo- la malattia non è presente nei soggetti esposti ma solo nei soggetti non esposti)∞ (la malattia è presente solo nei soggetti esposti al fatto-re di rischio, che in questo caso si configura come la vera causa della malattia).

Intervalli di Confidenza

Come è noto nella ricerca biomedica in generale e quindi anche negli studi epidemiologici, si lavora su un campio-ne di unità sperimentali. Ne deriva quindi la necessità di disporre di strumenti in grado di permettere di genera-lizzare i risultati ottenuti dal campione alla popolazione di provenienza. Questo processo di generalizzazione dei risultati è conosciuto come inferenza statistica. Conside-riamo un semplice studio epidemiologico condotto su un campione di 50 bovini per stimare la prevalenza di IBR in un’azienda di 1000 bovini. Ipotizziamo che risultino sierologicamente positivi 8 animali, la prevalenza sarà quindi 8/50= 0,16 (16%). Affermare che la prevalenza di IBR nell’azienda è pari al 16% non è corretto. Abbiamo visto infatti come sia possibile ottenere un risultato di 8 animali positivi su 50 sotto diversi livelli di prevalenza. Il valore stimato corrisponde al valore più verosimile di prevalenza (stima della massima verosimiglianza del parametro), ma per fornire una maggiore informazione dobbiamo corredare questa informazione con una misu-ra dell’incertezza che è associata a questa stima. Minore sarà questa incertezza maggiore sarà la confidenza che avremo nell’affermare che la prevalenza di IBR in alleva-mento sia davvero del 16%. La misura d’incertezza ( o di precisione) della stima si può ottenere sostanzialmente in tre modi: calcolo degli intervalli di confidenza, calco-lo del range di supporto e infine calcolo degli intervalli “credibili”. Le diverse modalità di calcolo derivano da tre differenti modi di approcciarsi al problema inferenziale. Il calcolo degli intervalli di confidenza è proprio della scuola statistica detta “frequentista” e pone le basi sul teorema del limite centrale; il range di supporto è proprio della teoria fondamentale della verosimiglianza e infine il calcolo degli intervalli credibili deriva dai metodi statistici bayesiani. Chiariamo subito che nella letteratura biome-

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dica è molto diffuso l’utilizzo degli intervalli di confidenza, mentre trovano ancora poca applicazione gli altri metodi. Da un punto di vista pratico nella maggioranza dei casi si ottengono risultati simili tra i diversi metodi, quello che cambia è la diversa base concettuale che sta dietro a questi calcoli e quindi la loro interpretazione. Un intervallo di confidenza è un range di valori che in-clude, con una specifica probabilità, il parametro che si vuole stimare. Per costruire un intervallo di confidenza di una prevalen-za dai dati in nostro possesso, si deve applicare questa semplice formula:

dove P è la prevalenza stimata, N e la numerosità cam-pionaria e 1,96 è un valore costante. Proviamo ad applicarla al nostro esempio in cui su un campione di 50 animali è risultata una prevalenza pari a 0.16 ( 8 animali IBR positivi) avremo quindi:

da cui calcoliamo il limite superiore = 0,16 + 0,10 = 0,26 e il limite inferiore = 0,16 – 0,10 = 0,06.L’informazione a riguardo della stima della prevalenza è ora completa. La prevalenza di IBR nella popolazione indagata è pari al 16% (IC 95%= 6%-26%). Dimenti-chiamo la formula, lasciando ai curiosi la consultazione dei numerosi libri specialistici dedicati alla statistica ma-tematica per un’approfondita dimostrazione. Concentria-moci piuttosto sul significato di questi valori e sulla loro interpretazione pratica. Un errore che spesso si fa nel

leggere gli intervalli di confidenza è quello di affermare che vi sono 95 probabilità su 100 che la vera prevalenza cada tra il 6% e il 26%. In realtà il termine “intervalli di confidenza al 95%” sta ad indicare che “il 95% degli intervalli di confidenza conten-gono il vero parametro della popolazione”. Per capire da dove deriva questa definizione dobbiamo immaginare di compiere un numero di volte elevato ( centinaia, migliaia) il campionamento, la stima della prevalenza e la stima degli intervalli di confidenza. Se potessimo davvero fare questa specie di esperimento osserveremo che ogni volta otterremmo differenti stime di prevalenza e d’intervalli di confidenza. Si potrà quindi osservare che il 95% degli intervalli di confidenza conterranno il vero valore della prevalenza nella popolazione. Quindi bisogna fare atten-zione a non attribuire ad uno specifico intervallo ottenuto in un campionamento qualche particolarità non posseduta da altri intervalli che potrebbero essere ottenuti dalla stes-sa popolazione ma da altri campioni. La seguente figura aiuta a dare un’interpretazione corretta degli intervalli di confidenza.

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Questo tipo d’interpretazione però pone alcuni problemi di utilità pratica degli intervalli di confidenza. Come fa notare Rothman in “Modern Epidemiology” , il significato degli IC poco si adatta all’interpretazione dei risultati ottenuti nel singolo studio che si sta analizzando. La domanda che ci si dovrebbe porre è: “l’intervallo di confidenza calcolato in questo singolo studio contiene il vero valore della prevalen-za?”. La teoria frequentista non ha una risposta a questa semplice ma fondamentale domanda. Un dato importante è molto pratico che si può rilevare dall’intervallo di confi-denza che si ottiene da un singolo studio, e quello relativo alla sua ampiezza. Il range di valori compresi tra il limite inferiore e quello superiore dipende dal livello di probabili-tà che è stato selezionato (nella formula sopra riportato il li-vello di probabilità è rappresentato dalla costante 1,96 che permette di calcolare intervalli di confidenza al 95%; volen-do selezionare un livello di probabilità del 90% si sarebbe dovuto utilizzare 1,64, o 2,58 in caso di un livello di pro-babilità del 99%) e dalla numerosità del campione. Questo intervallo è una buona misura della precisione dello studio: maggiore è l’intervallo minore è la precisione dello studio e viceversa. Quindi se è vero che non possiamo dire se il vero valore di prevalenza è contenuto all’interno dell’intervallo di confidenza che abbiamo calcolato è vero però che inter-valli di confidenza stretti indicano che la stima ottenuta con il campione è una stima “precisa” della vera prevalenza. Gli Intervalli di confidenza permettono di quantificare solo l’entità dell’errore di campionamento o errore casuale, non forniscono nessuna indicazione sulla presenza di errori siste-matici. La riduzione di questa fonte di errore è affidata alla modalità di selezione del campione che deve risultare il più rappresentativo possibile della popolazione di riferimento. Gli intervalli di confidenza possono anche essere utilizzati per testare delle ipotesi, sostituendosi quindi ai comuni test statistici. Ad esempio dai dati delle indagini epidemiologi-che condotte nel 1997 negli allevamenti suini coinvolti nel piano di monitoraggio dell’Aujezsky è risultato che il 91% di 478 allevamenti a ciclo chiuso erano positivi, e che il 71% di 502 allevamenti a ciclo aperto sono risultati positivi. Sia-mo interessati a verificare che la differenza riscontrata sia davvero attribuibile alla diversa tipologia di allevamento o può essere attribuibile a differenze di campionamento. Cal-coliamo quindi gli intervalli relative alle due prevalenze:

Allevamenti ciclo chiuso: P = 91% IC 95%= 89%-93%Allevamenti ciclo aperto: P = 71% IC 95%= 67%-75%

Come si può notare gli intervalli di confidenza racchiudo-no uno spettro numerico differente e quindi non vi è nes-suna sovrapposizione tra i due intervalli. Questo risultato è sufficiente ad affermare che le differenze di prevalenza

sono “statisticamente significative” con una probabilità di sbagliare nel fare questa affermazione è inferiore o uguale al 5% (figura a.).

Figura a. Confronto tra le stime puntuali e relativi intervalli di confidenza della prevalenza di allevamenti positivi alla malattia di Aujeszky in due tipologie di allevamenti

Il confondimento e l’interazione tra le variabili

L’individuazione di un’associazione tra l’esposizione ad un fattore di rischio ed una malattia non è sufficiente a dichiarare tale associazione “reale”. Al di là della signifi-catività statistica importante è verificare che altre variabili più o meno nascoste” non abbiamo esercitato un effetto detto di confondimento oppure un effetto di modificazione (interazione)sull’entità dell’effetto esercitato dal fattore di rischio indagato. Per rendere più chiaro i meccanismi del confondimento e introdurre il concetto di interazione tra i fattori, descriviamo un esempio generico relativo ad un ipotetico studio caso-controllo sull’associazione tra una malattia e l’esposizione ad un ipotetico fattore di rischio (o preventivo) A in assenza e poi in presenza di una seconda esposizione che chiameremo fattore B. Consideriamo i se-guenti risultati relativi all’associazione fattore A e malattia:

MalattiaEsposizione al fattore

AMalati Sani

Esposti 45 6Non esposti 41 19

Totale 86 25

10 11

Da cui ricaviamo con le formule che già conosciamo il valore di Odd Ratio (OR)

Dai risultati possiamo affermare che esiste un associa-zione positiva tra il fattore A e la malattia. Ipotizziamo ora che il ricercatore sia a conoscenza del fatto che la malattia può essere associata anche ad un altro fattore di rischio che chiamiamo fattore B, per questo motivo in sede di progettazione dello studio è stato contemplata la necessità di raccogliere informazioni anche sull’esposi-zione al fattore B vediamo i risultati:

MalattiaEsposizione al fattore

BMalati Sani

Esposti 48 4Non esposti 38 21

Totale 86 25

Calcoliamo l’OR

Effettivamente i risultati ottenuti confermano che il fattore B risulta fortemente associato alla malattia.

A questo punto è lecito chiedersi se l’associazione tra il fattore A e la malattia sia davvero un associazione o di-penda dalla distribuzione dei soggetti esposti al fattore B (che sappiamo essere un fattore di rischio) nelle diverse classi del fattore A. Per fare questo Stratifichiamo il no-stro campione in base all’esposizione o meno al fattore B. In pratica isoleremo i soggetti esposti al fattore B e nell’ambito di questi valuteremo l’associazione tra fattore A e malattia e analogamente faremo per i soggetti non esposti al fattore B. Otterremo la seguente tabella di con-tingenza a più dimensioni:

Variabile di stratificazione

Variabile indagata

MalattiaMisura di

AssociazioneFATTORE B FATTORE A Malati Sani Odds Ratio

PresentePresente 36 2

3.0Assente 12 2

AssentePresente 9 4

1.3Assente 29 17

Osserviamo come i valori di OR siano differenti a secon-da della presenza/assenza del fattore B. Il fattore B quindi esercita un effetto di “mascheramento” (quindi di confon-

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dimento) della vera associazione tra fattore A e malattia. Per capire come questo avvenga è necessario costruire un’ulteriore tabella. Questa volta però analizzeremo come si distribuiscono i soggetti rispetto al fattore A e fat-tore B indipendentemente dalla presenza di malattia.

Esposizione al fattore AEsposizione al fattore

BEsposti Non esposti

Esposti 38 13Non esposti 14 46

Totale 52 59

Da cui ricaviamo:

Il risultato indica che i soggetti esposti al fattore A han-no una probabilità 9.6 volte maggiore di essere anche esposti al fattore B (che sappiamo essere un forte fattore di rischio della malattia). Questa distribuzione non bilan-ciata dei soggetti esposti al fattore B nel gruppo dei sog-getti esposti al fattore A e in quelli non esposti al fattore A determina una distorsione delle misure di associazione tra il fattore A (che ricordiamo è il fattore d’interesse) e la malattia.

Quando stratifichiamo per il fattore B, esercitiamo una forma di controllo su questa dispersione, perché isoliamo due sotto popolazioni, una esposta al fattore B e una non esposta al fattore B. Questo permette quindi di calcolare in queste sottopopolazioni l’associazione tra il fattore A e la malattia senza che vi sia un effetto da parte del fattore B, in quanto per ogni sottopopolazione il fattore B se è presente eserciterà il suo effetto su tutti i soggetti della popolazione sia che siano esposti al fattore A sia che non lo siano.

Ma continuiamo ad osservare la tabella del confronto stratificato, possiamo quindi dire che esiste una asso-ciazione tra il fattore A e la malattia ma che in presenza del fattore B questa associazione è più forte (OR = 3,0) che in sua assenza (OR = 1,3). In questo senso possia-mo dire che il fattore B è in grado di modificare l’effetto del fattore A e che il cambiamento di OR in presenza e assenza del fattore B è detto “effetto di modificazione” o anche “interazione” tra i fattori A e B. Prima di fare questa affermazione però dobbiamo accertarci che le differenze di OR evidenziate non siano attribuibili ad errori di cam-pionamento e quindi in termini statistici si dice che dob-biamo verificare l’ipotesi di omogeneità degli OR’s tra gli strati. Questa verifica si effettua mediante un test statistico denominato Breslow-Day, si tratta di un test basato sulla

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distribuzione χ2 per la cui trattazione rimandiamo ai testi di epidemiologia specialistici, in quanto esula dagli scopi di questo nota. Tornando al nostro esempio utilizzando un software statistico abbiamo calcolato che la statistica di Breslow-Day risultata pari a 0,44 con 1 grado di liber-tà, valore cui è associato un livello di significatività di p = 0,51. Quindi possiamo affermare che nonostante i due OR siano molto divergenti queste differenze sono casuali. Stabilito questo importante risultato possiamo affermare che le due stime di OR sono quindi da attribuire esclu-sivamente alla differente distribuzione dei soggetti tra i due fattori. Resta però il problema di rispondere alla do-manda se il fattore A può essere considerato un fattore di rischio per la malattia oggetto dello studio. Siccome non possiamo dire che il suo effetto dipende dalla presenza del fattore B dobbiamo necessariamente disporre di uno strumento che permetta di “mediare” i due Odds Ratio calcolati nei differenti strati del fattore B. Questa nuova misura dell’OR si ricava dalla formula studiata da Mantel e Haenszel. La formula è una modificazione del rapporto crociato degli ODDS che tiene conto delle diverse nu-merosità nei differenti strati della tabella. Riportiamo la formula utilizzando gli indici delle tabelle 2x2 che già conosciamo:

Usando i nostri dati avremo:

Il valore ottenuto è la misura di associazione tra il fattore A e la malattia “corretta” o “aggiustata” per l’effetto del fattore B.

Confrontiamo ora il valore di OR per l’associazione fattore A e malattia non corretta per l’effetto del fattore B e il valore di ORM-H per la stessa associazione dopo correzione.

Associazione Fattore A Malattia ORSenza correzione del fattore B 3,5Dopo correzione del fattore B 1,64

Cosa possiamo dire a proposito di questo cambiamento. La differenza è evidente ed è una misura diretta dell’effet-to di “confondimento” esercitato dal fattore B. Ma quanto deve essere grande questa differenza? Questa differenza è significativa? Non ci sono risposte in senso statistico a queste domande. Ma è il ricercatore che deve decidere se la differenza tra i due valori di ORs sono sufficiente-mente grandi da poter considerare il fattore B un fattore di confondimento.

Concludiamo ricordando che una variabile di confondi-mento è tale se rispetta i seguenti criteri:

1. è associata alla malattia2. è associata al fattore di rischio che si vuole indagare3. non è parte del processo fisio-patologico della

malattiaIn presenza di un confondimento le misure di associazione vanno corrette con tecniche statistiche quali il metodo di Mantel-Haenszel, ma solo dopo aver verificato l’omoge-neità degli OR calcolati nei differenti strati della variabile di confondimento. Solo in assenza d’interazione tra i due fattori ( verifica dell’omogeneità) si è autorizzati ad usare le stime “pesate” degli OR. Per definire se una variabile eserciti un effetto di confondimento bisogna confrontare i valori di OR prima e dopo l’aggiustamento. Spetta al ricercatore decidere se l’entità della differenza tra i due valori è sufficientemente grande per definire che la va-riabile è un confondente. In uno studio epidemiologico il confondimento è un “noioso” fenomeno che deve essere corretto mentre l’interazione tra fattori è un importante informazione che deve essere ricercata e adeguatamente spiegata dal punto di vista biologico.

Accuratezza e utilità clinica dei test diagnostici

L’accuratezza di un test diagnostico misura la capacità del test di discriminare tra soggetti affetti da una determinata malattia e soggetti senza malattia. Per stimare l’accura-tezza di un test diagnostico si ricorre ad uno studio epide-miologico di tipo trasversale in cui un campione casuale della popolazione indagata è classificata in base a due criteri: un criterio definito “standard” ( gold standard test di riferimento) e un criterio indicato dal test diagnostico sotto esame. Sulla base dei rilievi realizzati si può costrui-re una tabella definita come tabella di contingenza relati-va, che consente di calcolare degli indici atti a misurare la validità del test e quindi di discriminare i pazienti malati da quelli sani.

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Test Diagnostico + Test Diagnostico -Malati + Veri Positivi Falsi NegativiMalati - Falsi Positivi Veri Negativi

I veri positivi si riferiscono ai risultati del test e indicano una classificazione corretta, mentre i falsi positivi sono pazienti non affetti da malattia, ma classificati dal test diagnostico come ammalati. I veri negativi sono i soggetti che non presentano la malattia ed il test non li segnala come ammalati, mentre i falsi negativi sono i soggetti che presentano la malattia, ma non sono diagnosticati come affetti da malattia. L’efficienza di un test può essere misu-rata utilizzando alcuni indici definiti come misure di con-cordanza e di discordanza di un test. Questi indici sono derivati dalla tabella di contingenza e rappresentano una probabilità condizionale.

La sensibilità è definita come Tasso dei Veri Positivi (TVP) e rappresenta la probabilità che un soggetto affetto da malattia presenti un test positivo.

Sensibilità = P (Test positivo / Individuo affetto)

Un’altra modalità è quella di rappresentare il tasso dei veri positivi di un test come rapporto tra pazienti affetti con test positivo e numero totale dei pazienti affetti.

Sensibilità =TVP =

La specificità è una misura di concordanza che misura il Tasso dei Veri Negativi (TVN) e rappresenta la probabilità che soggetti sani abbiano un risultato negativo al test.

Specificità = P (Test negativo / Individuo non affetto)

Analogamente possiamo esprimere la specificità come rapporto tra soggetti non affetti con test negativo e pa-zienti non affetti.

Specificità =TVN =

Questi indici di concordanza sensibilità e specificità sono impiegati per valutare la capacità discriminante di un test diagnostico. Si possono anche impiegare altre due mi-sure che sono il Tasso dei Falsi Negativi che rappresenta la probabilità che un paziente affetto da malattia risulti negativo al test.

TFN = P (Test negativo / Individuo affetto)

TFN =

Mentre per il Tasso dei Falsi Positivi (TFP) è la probabilità che un paziente risulti positivo

TFP = Pr (Test positivo/ Individuo non affetto)

TFP =

Utilità clinica dei tests diagnostici

L’accuratezza di un test diagnostico è spesso indicata come una misura della sua utilità clinica. È importante in-vece richiamare l’attenzione su questo importante aspetto in modo che una corretta comprensione della differenza tra accuratezza e utilità si traduca nella corretta interpre-tazione dei risultati che si ottengo nel singolo animale sottoposto ad un test.

Gli elementi fondamentali per misurare l’utilità clinica di un test sono:

- la probabilità pre-test;- l’accuratezza di un test;- la probabilità post-test.

Si tratta di grandezze che già conosciamo, e che sono relazionate insieme nel teorema di Bayes per il calcolo dei valori predittivi che corrispondono appunto alla pro-babilità post-test.

Il calcolo della probabilità post test può essere facilitato mediante l’utilizzo di un parametro che sintetizza le per-formance del test: il rapporto di verosimiglianza o Like-lihood Ratio (LR).

Ogni test ha due rapporti di verosimiglianza uno per ri-sultati positivi di un test e uno per i risultati negativi, ecco le formule per il loro calcolo:

Sensibilità

Sensibilità

Specificità

Specificità

14 15

I rapporti di verosimiglianza sono da un punto di vista statistico degli ODDS: rapporto tra la probabilità di un evento e la probabilità che non si verifichi quell’evento.

Ad esempio supponiamo che un test diagnostico sia caratterizzato da una Sensibilità del 95% e da una Speci-ficità del 88%, avremo quindi che i rapporti di verosimi-glianza saranno:

In caso il test fornisca un risultato positivo la probabilità che l’animale sia davvero ammalato (vero positivo) è 8 volte più grande della probabilità che sia invece sano (falso positivo). Nel caso il test risulti negativo, la pro-babilità che un animale sia ammalato (falso negativo) è 0.06 più piccola della probabilità che sia invece sano (vero negativo).Il rapporto di verosimiglianza permette di calcolare ra-pidamente la probabilità post-test (valore predittivo), a partire dalla probabilità pre-test. Considerando che LR sono degli odds, è necessario convertire anche la probabilità pre-test in odd per poter relazionare queste due grandezze. Sappiamo che l’odd di una probabilità altro non è che il rapporto tra p e il complemento a 1 di p cioè 1-p. Quindi data una proba-bilità pre-test del 10% si avrà che l’odds pre-test è pari a 10/90 = 0,11.

A questo punto possiamo calcolare l’odds post-test con la seguente formula:

odds post - test = odds pre - test X LR, consideriamo i dati a nostra disposizione e l’evenienza di un test positivo, avremo quindi:

odds post - test = 0,11 x 8 = 0,88

a questo punto per calcolare la probabilità post-test ( o valore predittivo positivo ) si utilizzerà la seguente formula:

La probabilità che l’animale risultato positivo al test sia davvero ammalato è pari al 47%!

Possiamo dedurre quindi che il test diagnostico ha ap-portato una quota d’informazioni tale da determinare un innalzamento della probabilità di malattia di 37 punti percentuali..

Da quanto detto definiamo la misura dell’utilità clinica di un test diagnostico la differenza in punti percentuali tra la probabilità pre-test e la probabilità pre-test. In questo senso quindi il valore assoluto della probabilità post-test (valore predittivo ) non deve essere utilizzato come misura dell’utilità clinica di un test.

Possiamo dimostrare che la maggiore utilità clinica di un qualsiasi test clinico si ottiene quando la probabilità pre-test è pari al 50%, il che equivale a fare diagnosi sulla base del risultato di un lancio di una moneta bilanciata. Consideriamo tre differenti situazioni relative ad altret-tanti valori di probabilità pre-test, e verifichiamo l’utilità di un test diagnostico con una Sensibilità del 95% e una Specificità del 90%.

1. soggetto con una probabilità pre-test di avere la malattia X pari al 5% , corrispondente ad avere una probabilità del 95% di non avere la malattia

LR+ = 0,95/(1-0,95) = 19odds pre-test = 0,05/0,95 = 0.053odds post-test = 0,053 x 19 = 1Probabilità post-test = 1/1+1 = 0,5 (50%)Utilità clinica di un test positivo = 50% - 5% = 45%LR- = (1-0,95)/0,95 = 0,05odds pre-test = 0,05/0,95 = 0,053odds post-test = 0,053 x 0,053 = 0,0028

Probabilità post-test = 0,0028/1 + 0,0028 = 0,003 (0.3%)

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Probabilità

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Probabilità di non avere la malattia dopo un test negativo = 1 - 0,003 = 0,997 (99,7%)Utilità clinica di un test negativo = 99,7% - 90% = 9,7%

2. soggetto con una probabilità pre-test di avere la malattia X pari al 50%, corrispondente alla proba-bilità del 50% di non avere la malattia

LR+ = 0,95/(1 – 0,95) = 19odds pre-test = 0,5/0,5 = 1odds post-test = 1 x 19 = 19Probabilità post-test = 19/1+19 = 0,95 (95%)Utilità clinica = 95% - 50% = 45%LR- = (1-0,95)/0,95 = 0,05odds pre-test = 0,5/0,5 = 1odds post-test = 1 x 0,053 = 0,053Probabilità post-test = 0,053/1 + 0,053 = 0,05 (5%)Probabilità di non avere la malattia dopo un test negativo = 1 – 0,05 = 0,95 (95%)Utilità clinica di un test negativo = 95% - 50% = 45%

3. soggetto con una probabilità pre-test di avere la malattia X pari al 90%, corrispondente ad una pro-babilità di non avere la malattia pari al 10%

LR+ = 0,95/(1 - 0,95) =19odds pre-test = 0,9/0,1 = 9odds post-test = 9 x 19 = 171Probabilità post-test = 171/1 + 171 = 0,99 (99%)Utilità clinica = 99% - 90% = 9%LR- = (1-0,95)/0,95 = 0,05odds pre-test = 0,9/0,1 = 9odds post-test = 9x0.05 = 0.48Probabilità post-test = 0,48/1 + 0.48 = 0,32 (32%)Probabilità di non avere la malattia dopo un test negativo = 1 – 0,32 = 0,68 (68%)Utilità clinica di un test negativo = 68% - 10% = 58%

Come si può notare il test diagnostico fornisce il massi-mo del suo contributo informativo quando è utilizzato in condizioni di probabilità pre-test pari al 50%. In questa condizione il test fornisce sia per un test negativo che per un test positivo un incremento di 45 punti percentuali ri-spetto alla probabilità pre-test. Negli altri due scenari si possono osservare due situazioni: nello scenario di bassa prevalenza di malattia ma alta prevalenza di non-malattia (scenario 1) il test fornisce la massima differenza in punti percentuali in caso di positività al test (45 punti), mentre in caso di negatività sposta l’utilità è solo di 9,7 punti percentuali. Osserviamo un andamento contrario in caso del terzo scenario (alta probabilità pre-test di malattia),

dove in caso di negatività del test, il potere informativo è di ben 58 punti percentuali, portando la probabilità pre-test di non-malattia dal 10% al 68%. Al contrario, un test positivo aggiunge poco a quello che già era prevedibile senza eseguire il test (utilità = 9 punti percentuali).

Richiamiamo l’attenzione al fatto che se considerassimo solamente i valori assoluti delle probabilità post-test (cor-rispondenti ai valori predittivi positivi e negativi) saremmo portati ad affermare che il test diagnostico quando dà un risultato positivo è poco performante in situazioni di bas-sa prevalenza, in quanto la probabilità che un soggetto positivo al test sia davvero ammalato è “solo” del 45% al contrario in situazioni di alta prevalenza (2° e 3° scena-rio) la probabilità di essere davvero ammalato è elevata (95%-99%). Mentre riteniamo che questo sia vero per il 2° scenario (ma perché il salto di probabilità da prima a dopo il test è di ben 45 punti percentuali), non lo è per il 3° scenario perché i risultati indicano che senza effettuare il test è possibile 90 volte su 100 fare una diagnosi cor-retta solo per effetto del caso, mentre l’esecuzione del test migliora di poco (anche se fornisce la quasi certezza dia-gnostica) questa previsione. Il problema quindi si pone in termini decisionali se il guadagno di 9 punti percentuali tenendo conto della malattia, dei rischi connessi ad un errore diagnostico, del tipo di terapia e dei rischi ad essa connessi e infine dei costi ed eventuali rischi connessi alla procedura diagnostica, giustificano l’utilizzo del test. Concludiamo questa parte sottolineando come la Sensi-bilità e la Specificità di un test diagnostico sono “strumen-ti” in mano del clinico che deve utilizzare adeguatamente per stimare in base alla probabilità di malattia che ha raggiunto con la visita clinica (probabilità pre-test) e la raccolta anamnestica l’utilità o meno dell’impiego del test diagnostico in termini d’incremento della propria certez-za diagnostica, dovuta al test.

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Il Congresso della Società Mondiale di Buiatria ha celebrato la sua tredicesima edizione a Quebec City,

Canada, dal 11 al 16 luglio 2004.Milleduecentocinquanta partecipanti, questo è più o meno il numero consueto di colleghi che si ritrovano biennalmente all’appuntamento, si sono reincontrati nel-l’immenso Centro Congressi di questa bellissima cittadi-na, costruita in stile francese, sul fiume San Lorenzo.Quebec deriva da una parola indiana che significa “acque strette”. Qui infatti il fiume, davanti all’isola d’Orleans, dopo aver formato i cinque laghi “HOMES” molto più a ovest in Ontario, e le famosissime Cascate di Niagara, si stringe per poi correre fino all’Oceano Atlantico dopo 600 chilometri.La lingua è il francese, di cui la popolazione, oltre ad andarne fiera, ne fa la propria unica lingua, l’inglese, lingua ufficiale del Canada, viene parlato poco e male.Francese ed inglese sono quindi state le due lingue ufficiali del Congresso che ha visto relatori importanti che erano quasi tutti ben conosciuti dal gruppo italiano, uno dei più numerosi con una novantina di partecipanti, che aveva avuto modo di incontrarli nelle numerose occasioni suc-cesse qui in Italia. Tutti ricordano volentieri la loro visita nel nostro Paese, sia per la bellezza dell’ambiente, che per il calore con il quale normalmente vengono ricevuti.Gli argomenti sviluppati sono stati tanti e tali che risul-terebbe prolisso farne un elenco, ma alcuni sono rela-tivamente nuovi o, meglio, affrontati da ottiche diverse dal solito.Una certa importanza è stata data al “bioterrorismo”, come difenderci da eventuali attacchi alle popolazioni animali con agenti batteriologici o virali. Non sembra fuori luogo analizzare questo problema visti i tempi.La medicina di mandria e il benessere animale fanno parte ormai dello stesso filone, il veterinario visto come figura professionale principale nella gestione aziendale dove il benessere, finalizzato alla produzione, è il primo elemento da considerare in un allevamento che guarda ad uno sviluppo futuro.Una nota tristissima è emersa nelle relazioni sul futuro della professione. Si prevedono anni difficili, con una contrazione del mercato mondiale della buiatria, con un calo previsto sia della mole lavorativa che del ricavo eco-nomico, il tutto peggiorato dal numero smisuratamente crescente dei laureati.La sensazione più importante che si è avuta tuttavia, a mio parere, è l’incontro-scontro di due scuole principali: quella europea e quella nordamericana.

Dopo qualche tempo di superiorità degli statunitensi, che hanno dettato regole e filosofie nel nostro lavoro, mi sembra di percepire un ritorno della buiatria europea, Olanda in testa, che torna ad imporre le proprie scelte ed impostazioni. Si tratta di due visioni diverse, talora opposte dello stesso problema: gli americani vedono l’allevamento alla stregua di una qualsiasi altra attività economica, gli europei sono più attenti alla tradizione della nostra zootecnia, all’ambiente ed al consumatore.Fa piacere notare l’alzata di testa della veterinaria euro-pea con argomenti validissimi ed esponenti di livello eccelso.Gli altri continenti, seppur presenti, svolgono il ruolo di spettatori o, meglio, apprendisti. Non si vede infatti l’au-mento di personalità delle scuole orientali, in primis la giapponese, che fin da Edimburgo nel 1994, sembrava voler prendere piede.L’appuntamento è per Nizza 2006 e, si prefigura Budapest due anni dopo. Se così fosse, si interrompereb-be il tacito accordo che portava il congresso alternativa-mente in Europa ed in un altro continente.Per la candidatura italiana non se ne parla: ne sono già state fatte due edizioni, Milano 74 e Bologna 94. Inoltre la presenza di due società affiliate, SIB e SIVAR, non favo-risce di sicuro una riedizione Italiana.Dopo la morte del Prof. Gentile, nessun italiano è più presente nel Comitato direttivo. Si pensa ad un allarga-mento e, in questa eventualità, sembra aprirsi uno spira-glio per l’ingresso di un connazionale, ma bisogna che le due società esprimano una candidatura comune.

Mino Tolasi

Congresso mondiale di buiatria a Quebec City

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I n una cornice paesaggistica da sogno, dal 3 al 6 Giugno si è svolto a Norcia il 5° torneo nazionale di

calcio per Rappresentative Regionali Medici Veterinari. Le squadre partecipanti sono state 10: Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia e Umbria regione organizzatrice del-l’evento. La Lombardia con merito ha conquistato l’am-bito titolo di Campione d’Italia.Sotto l’egida della FIGC, il torneo prevedeva due gironi da cinque squadre partite di solo andata. La prima com-pagine di ogni girone ha disputato la finale per il 1° e 2°

posto, così come le seconde classificate hanno giocato la finalina per il 3° e 4° posto. L’evento ha coinvolto più di 200 veterinari calciatori oltre agli accompagnatori. Il cammino non è stato facile per la Lombardia, a detta dei ben informati, poiché il girone era composto dalle squa-dre più titolate quali Emilia Romagna e Campania già campioni d’Italia, Sardegna seconda lo scorso anno e la Puglia, formazione di tutto rispetto, dimostratasi poi ago della bilancia. La Lombardia, come matricola del torneo, non si è fatta intimorire da questo girone di ferro anche perché nella sua formazione militano quattro nazionali

Debutto con botto - Lombardia campione d’Italia

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(Abrami, Antonelli, Festa e Zizioli) così già nella partita di debutto sul comunale di Norcia rifilava un chiaro 3-0 alla malcapitata Puglia con realizzazioni di Antonelli, Galimberti e Maraschi.Nella seconda giornata è stata la Sardegna con una par-tita maschia a cercare di frenare l’impeto dei lombardi ma una traversa e varie parate del loro portiere, nega-vano la vittoria ed un mesto 0-0 portava le due squadre negli spogliatoi.La terza giornata prevedeva due partite una il mattino con la Campania ed una alla sera con l’Emilia Romagna. I Campani ancora a zero punti hanno sfoderato una par-tita d’orgoglio come poche e hanno sfiorato il colpaccio, sempre in vantaggio hanno costretto i lombardi alla rimonta ma al triplice fischio dell’arbitro il risultato era di 2-2 con reti per la Lombardia di Antonelli e Beccati.Alla sera con molto acido lattico nelle gambe alla Lombardia era sufficiente non perdere per aggiudicarsi al 1° posto del girone, ma l’indole e la generosità degli atleti hanno permesso, con una prodezza di Gandolfi (oba-oba), di fare risultato pieno e senza lasciare dubbi aggiudicarsi il girone. Domenica 6 Giugno finale con il Lazio, formazione con grandi aspirazioni, ma purtrop-po sulla sua strada la cenerentola Lombardia con una partita disputata con gran diligenza dai suoi giocatori disposti in campo dal mister-giocatore Abrami con un 4-5-1 ha saputo regalare emozioni agli spettatori giunti numerosi sugli spalti. Un goal di Maggi porta in vantag-gio la Lombardia ma, dopo pochi minuti, un errore in fase difensiva regala il pareggio ai laziali ed a questo punto rimangono solo i rigori per aggiudicare il titolo italiano.Grazie alle prodezze del portiere Sorice e con

i rigoristi Abrami, Cecchetto sfortunato prende il palo, Zizioli, Meschia e per ultimo il bomber Antonelli, regala-no alla regione Lombardia il titolo di campioni d’Italia. La sorpresa è tanta per questa matricola giunta a Norcia con spirito goliardico, ma i complimenti da tutti gli avver-sari sono il riconoscimento a degli uomini, professionisti ed atleti, che hanno saputo onorare in campo e fuori la maglia che indossavano.Non possiamo dimenticare e ringraziare mogli, fidanzate e figli che sugli spalti hanno saputo dare colore e soste-nere come nelle migliori curve i propri beniamini. Grazie ad Antonelli Francesco, Beccati Massimo, Bertoletti Roberto, Bettinsoli Andrea, Cecchetto Marco, Del Maso Roberto, Festa Luigi, Fogliazza Alessandro, Galimberti Luigi, Gandolfi Luigi, Maffioletti Fabio, Maggi Marco, Maraschi Francesco, Meschia Guido, Milini Vittorio, Sorice Antonio, Zizioli Bruno, Zucchi Paolo ed Ezio Abrami.

Classifica generale: 1) Lombardia2) Lazio3) Sicilia4) Sardegna

Si ringrazia inoltre gli sponsor che hanno permesso que-st’avventura:MERIAL, INALCA MONTANA, FORT DODGE, TOP ENERGY, INTERVET, NOVA FOOD, DIGITAL INDUSTRIES e con il patrocinio del comune d’OSPITALETTO (Bs).

Ezio AbramiResponsabile Lombardia

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dagli ordini provinciali

Sabato 11 e domenica 12 luglio a Salò, nella Clinica

Veterinaria S. Antonio si è tenuto il Corso di Terapia Dermatologica. I relatori: dott. Francesco Albanese della Clinica Veterinaria L’Arca di Napoli, dott. Giovanni Ghibaudo della Clinica Veterinaria S. Teresa di Fano e dott. Federico Leone della Clinica Veterinaria Adriatica di Senigallia (Ancona) si sono alternati nella trattazione delle principali patologie derma-tologiche del cane e del gatto. Le piodermiti e gli ascessi nel cane e nel gatto sono stati il primo argomento della giornata, si è sottolineato, a propo-sito degli ascessi del gatto, la rilevanza dell’inoculo di batte-ri Gram negativi (Pasteurella m.), Gram positivi e nocardie, aerobi e anaerobi, tramite morsi o graffi, ricordando che spesso tra le cause secondarie esiste lo stato virale. La relazione è stata arricchita da documenti fotografici di casi clinici per meglio distinguere i diversi tipi di lesione. Nella terapia delle piodermiti, che si articola in sistemica e topica, è stata sottolineata l’importanza della shampoo-terapia che garantisce un miglior contatto dei presidi topici nelle succes-sive applicazioni, e a proposito della terapia antibiotica si è posto l’accento oltre che sulla scelta del chemioterapico più adatto, sul problema della durata della terapia che non deve mai essere inferiore alle 3-4 settimane nelle piodermiti superficiali e che si prolunga per mesi, fino a due settimane dopo la scomparsa clinica delle lesioni, nelle piodermiti profonde. In caso di recidive o non guarigione è opportuno porsi le seguenti domande: la diagnosi è corretta? Esistono

delle cause sottostanti? Sono stati compiuti errori gestionali? Come ad esempio: scelta di un antibioti-co non idoneo, sospensione trop-po rapida o utilizzo di cortisonici. Un altro argomento tratta-to è stata la terapia della Leishmaniosi canina, malattia protozoaria da tempo nota in Italia, endemica nel centro-sud, ma ormai ben conosciuta anche

al nord. Oltre ai diversi aspetti della diagnosi e della tera-pia è stato approfondito il riconoscimento delle lesioni in modo da tenere la patologia sempre presente in caso di diagnosi differenziale. Sono stati trattati brevemente anche alcuni aspetti della prevenzione come l’utilizzo di zanzariere a maglie fini, evitare l’esposizione dei cani negli orari a rischio e l’utilizzo di prodotti repellenti.Ultimo tra gli argomenti, ma non per importanza, quello della dermatite atopica del cane e del gatto. Ogni sogget-to atopico ha una terapia specifica, non ripetibile in altri. Considerazioni: eseguire un iter diagnostico completo; dia-gnosi clinica per esclusione di altre diagnosi differenziali, gestione delle complicanze o delle malattie concomitanti; definizione del prurito (stagionale, perenne); gestione del proprietario (informazione accurata sia riguardo il ricono-scimento dei sintomi che la patologia in se). Il corso fa parte di un programma che prevede aggiornamenti mensili in diversi argomenti relativi alla clinica dei piccoli animali e ospita veterinari provenienti da tutta Italia.

Chiara Giachini

Corso di terapia dermatologica a Salò

S A L Ò

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia rappresenta un punto di riferimento per la comunità scientifica, occupandosi del controllo delle malattie infettive e diffusive degli animali, della prevenzione e del controllo delle zoonosi, della sicurezza alimentare e dei controlli di filiera attività che nella Sanità Pubblica Veterinaria e nel comparto zootecnico rivestono un ruolo non secondario nella economia regionale.

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vet web

Vi informiamo che è entrata recentemente in vigore la Legge 128/2004, meglio nota come legge Urbani,

un provvedimento che sta cambiando (o potrebbe cambiare) il volto del World Wide Web Italiano, senza alcun riguardo o eccezione per la pacifica, e un poco casereccia, micro-galassia dei siti dedicati alla Medicina Veterinaria.Se state leggendo questo articolo siete forse fra coloro che hanno messo online un sito Web dedicato all’attività professionale. Magari pensando di fare una cosa gradita ai vostri clienti, avete inserito immagini, testi informati-vi, colonne sonore, cose genericamente definibili come opere dell’ingegno. È bene allora che sappiate che siete probabilmente passibili di sanzioni pecuniarie e addirit-tura detentive, a causa delle modifiche del quadro giuri-dico introdotte dalla legge n. 128 del 21 maggio 2004: “Conversione in legge, con modificazioni, del decre-to-legge 22 marzo 2004, n. 72, recante interventi per contrastare la diffusione telematica abusiva di materiale audiovisivo, nonché a sostegno delle attività cinemato-grafiche e dello spettacolo”, che è stata pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 119 del 22 maggio 2004 (http://www.parlamento.it/parlam/leggi/04128l.htm).Questa legge ha scatenato una forte reazione nel net people; dissenso peraltro tranquillamente ignorato dai media a più ampia diffusione. Eppure nella normativa ci sono diversi aspetti rilevanti. Quello di cui parleremo in questo articolo riguarda i nuovi obblighi per i Webmaster relativamente alla tutela del diritto d’autore. D’ora in ogni pagina Web che contenga un’opera dell’ingegno (praticamente tutto ciò che può essere interessante leg-gere o ascoltare) si dovrà riportare, come recita l’articolo 1 della succitata legge, …”un avviso circa l’avvenuto assolvimento degli obblighi derivanti dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi. La comunicazione, di adeguata visibilità, contiene altresì l’indicazione delle sanzioni previste, per le specifiche violazioni, dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni. “.Non è chiaro se questo “avviso” diverrà una specie di “bollino elettronico” gestito dalla SIAE -Società Italiana Autori editori, come auspicato da alcuni. In tal caso, al pari degli altri bollini ordinari, anche quello virtuale finirà certamente per avere un costo. La questione non è da poco perché l’inserimento del marchietto in questione,

renderà finanziariamente più oneroso ed operativamen-te più complicato produrre informazioni ed esporle sul World Wide Web.Quindi, se venisse realmente applicato, il provvedimento renderebbe economicamente meno sostenibili molti pro-getti di volontariato telematico, complicando la vita a tutti i gestori dei siti professionali, tecnico-scientifici, di infor-mazione e commerciali, generando anche nuove spese per le inevitabili consulenze legali. Ma chi è tenuto ad osservare questa disposizione? Paradossalmente, la normativa non lo dice, ma richiede in ogni caso di apporre immediatamente tale avviso ben in evidenza. La suddetta legge, omette anche di speci-ficare come fare, cioè che tipo di testo inserire e dove posizionarlo: “…Le relative modalità tecniche e i soggetti obbligati sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro delle comunicazioni, sulla base di accordi tra la Società italiana degli autori ed editori (SIAE) e le associazioni delle categorie interessa-te. Fino all’adozione di tale decreto, l’avviso deve avere comunque caratteristiche tali da consentirne l’immediata visualizzazione”. Un poco come dire: “Non vi diciamo cosa mostrare ma lo vogliamo vedere subito”. Che fare? Molti suggeriscono semplicemente “nulla”.Se invece volete procedere ad adeguare il vostro spazio Web, sia pure hobbistico (mi sentirei di consigliarlo), potreste iniziare ad inserire un generico “avviso” nelle varie pagine, magari seguendo, per quanto riguarda il testo da adottare, i consigli contenuti nell’ottimo articolo di Gianluca Navarrini sulla rivista elettronica PATNET.IT (http://www.patnet.it/Default.asp?pagina=DefaultTemp&case=articoli&articolo=838).Finito il lavoro siate preparati all’eventualità di rifare tutto da capo per uniformarvi alle attese disposizioni di legge che, fra qualche tempo, dovrebbero essere emanate. E chi possiede un sito composto in tutto da dieci schermate sia lieto; dovrà affrontare solo una piccola seccatura. Pensate invece al lavoro che attende chi dovrà ripren-dere in mano un sito di due o trecento pagine statiche, modificandone una per una, sospirando come quando si sfoglia una margherita.

Tutela del diritto d’autore nel vet-web

a cura di Raul Ciappelloni

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vet web

Conclusioni

In questo momento tutti i siti Web italiani (non solo quelli ascrivibili al mondo veterinario), stanno violando la legge e sarebbero pertanto teoricamente oggetto di sanzioni. La cosa paradossale è che, per ora, la prima vittima di tale normativa è proprio il Ministero da cui questa legge è partita. Sembra infatti che l’europarlamentare Marco Cappato, in collaborazione con l’avvocato Fabrizio Veutro e con il direttore di Linux Magazine, Emmanuele Somma, abbia presentato un esposto alla Polizia ammini-strativa e postale nei confronti dei gestori del sito Web del Ministero dei Beni Culturali (http://punto-informatico.it/p.asp?i=48552) per la mancanza del bollino elettronico (Corriere della Sera 10 giugno 2004). Verrebbe da sorridere ma ovviamente non c’è niente di comico. Questa è una situazione con aspetti potenzial-mente pericolosi, che non porterà proprio nulla di buono neppure sul piano della lotta alla pirateria informatica, mentre invece contribuirà, questo si, a rallentare lo svi-luppo del Web italiano, spingendolo decisamente verso qualcosa che somiglia sempre di più a una specie di terzo mondo digitale.Intendiamoci. Non si vuole assolutamente difendere la pirateria informatica, che va decisamente combat-tuta, come pure nessuno può davvero pensare che un giudice di buon senso applicherebbe ciecamente questa normativa per fare a pezzi la Rete amatoriale dei Webmaster faidate. Però sconcerta la superficialità dell’intera operazione, che forse avrebbe dovuto essere un po’ più meditata e sostenuta dal parere di qualche professionista che conosca Internet. Ma stiamo parlando di Rete, e-commerce, posta elettronica, World Wide Web, tutti argomenti che tradizionalmente appaiono lontani, esoterici e confusi. Così può capitare che una legge, presumibilmente animata da buone intenzioni, possa servire per mettere nei guai gli ignari CyberVeterinari, sicuramente fra i meno interessati al tema del copyright nei media elettronici.Il Ministro Giuliano Urbani, sollecitato da più parti, ha promesso di introdurre alcune modifiche migliorative in tempi rapidissimi. Al momento in cui si chiude questo articolo vi è notizia che presto verrà introdotta una serie di correzioni per eliminare le sanzioni penali per l’uso personale dei files coperti da diritto d’autore e abro-gare l’obbligo dell’informativa di accompagnamento ai file. Ma tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare. Speriamo in qualche buona nuova alla ripresa autunnale.

Sito web del Parlamento italiano con la legge n. 128 del 21/05/2004

Il web riporta molti articoli sulla legge 128/2004, reperibili con i con-sueti motori di ricerca

Altre informazioni all’indirizzo http://www.mondodvd.net/Articolo15.phtml

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Regione Lombardia

1. Normativa di riferimento

• REGOLAMENTO (CE) n.998/2003 del 26 maggio 2003 relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia e che modifica la direttiva 92/65/CEE del Consiglio (G.U.C.E. serie L n.146 del 13.06.2003)

• DECISIONE 2003/803/CE del 26 novembre 2003 che stabilisce un modello di passaporto per i movimenti intracomunitari di cani, gatti e furetti (G.U.C.E. serie L n.312 del 27.11.2003)

• DECISIONE 2004/203/CE del 18 febbraio 2004 che stabilisce un modello di certificato sanitario per i movi-menti a carattere non commerciale di cani, gatti e furetti provenienti da paesi terzi (G.U.C.E. serie L n. 65 del 03.03.2004)

• DECISIONE 2004/301/CE del 30 marzo 2004 che deroga alle decisioni 2003/803/CE e 2004/203/CE con riguardo al formato dei certificati sanitari e dei passaporti per i movimenti a carattere non commercia-le di cani, gatti e furetti e modifica la decisione 2004/203/CE (G.U.C.E. serie L n. 98 del 02.04.2004)

2. Premessa

A decorrere dal 3 luglio 2004, data di applicazione del Regolamento (CE) n.998/2003, è previsto che i cani, gatti e furetti destinati alla movimentazione ai fini non commerciali, siano scortati da un passaporto conforme al modello previsto dalla Decisione 2003/803/CE.Il passaporto verrà stampato da questa Direzione Generale e distribuito a ciascuna ASL entro il 1° luglio p.v..I passaporti sono numerati progressivamente e riportano tale numero su ogni pagina.Le serie numeriche dei passaporti assegnati a ciascuna ASL verranno registrate nell’applicativo di gestione del-l’anagrafe canina (anagrafe a priori dei passaporti).È opportuno precisare che:• come previsto dalla Decisione 2004/301/CE, è possi-

bile movimentare cani, gatti e furetti accompagnati da un certificato diverso dal passaporto a condizione che:- sia stato rilasciato prima del 3 luglio 2004,- il suo periodo di validità non sia ancora scaduto,- soddisfi le condizioni previste dal regolamento (CE)

n. 998/2003 (identificazione animale, vaccinazione antirabbica)

• fino al 3 luglio 2012 cani, gatti e furetti si conside-rano identificati se dotati di tatuaggio chiaramente leggibile, oppure di microchip (se non a norma ISO 11784 o 11785, il proprietario deve essere dotato di idoneo lettore per ogni eventuale controllo).

3. Modalità di rilascio del passaporto

a. Cani Il passaporto viene rilasciato dalla ASL su richiesta del

proprietario, per esigenze di espatrio e previa verifica della iscrizione del cane nella anagrafe regionale.

Il numero del passaporto e la data di rilascio devono essere registrati nell’anagrafe regionale, ad integra-zione dei dati anagrafici esistenti.

b. Gatti e furetti Il passaporto viene rilasciato dalla ASL su richiesta

del proprietario, per esigenze di espatrio e previa iscrizione del gatto o del furetto in una sezione dell’ anagrafe regionale, appositamente realizzata sul sito www.anagrafecaninalombardia.it

Ai fini dell’iscrizione, i gatti e i furetti devono essere identificati.

Premesso che fino al 3 luglio 2012 si considerano identificati anche se dotati di tatuaggio chiaramente leggibile, è opportuno applicare il microchip.

In proposito, si sottolinea che, per l’identificazione di gatti e furetti, è possibile utilizzare anche microchip non presenti in “anagrafe a priori”.

Il numero del passaporto e la data di rilascio devono essere registrati nell’anagrafe regionale, ad integra-zione dei dati anagrafici esistenti.

c. Tariffe • A.36.01 primo rilascio passaporto con destinazione

Paesi CE (Cap. I, II, III, IV): 11,57, comprensivo di ENPAV;

• A.36.01 + A.38.02 primo rilascio passaporto con destinazione extra CE (Cap. I, II, III, IV + V, IX, X): 11,57 + 5,78, comprensivi di ENPAV;

• A.27.04 successive attestazioni o legalizzazioni (Cap. V, IX, X): 5,78, comprensivo di ENPAV.

• A.36.01 per compilazione dei capitoli VI e VII se eseguita da Veterinario ASL: 11,57, comprensivo di ENPAV.

Passaporto per cani, gatti e furetti destinatialla movimentazione a fini non commerciali

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Regione Lombardia

4. Disposizioni relative ai movimenti tra Stati Membri

A partire dal 3 luglio 2004, in occasione dei movimenti tra Stati membri, cani gatti e furetti devono essere iden-tificati, registrati in anagrafe e muniti di passaporto rila-sciato dai Servizi Veterinari della ASL, attestante l’esecu-zione di una vaccinazione antirabbica in corso di validità (effettuata da non oltre 12 mesi).

Le vaccinazioni antirabbiche:• se eseguite anteriormente al rilascio del passaporto

dovranno essere registrate sullo stesso direttamente dall’ASL, previa verifica della certificazione di vaccina-zione e conservazione agli atti della relativa copia.

• se eseguite dopo il rilascio del passaporto, potranno essere registrate direttamente sullo stesso, a cura del Veterinario che le ha eseguite.

Cani, gatti e furetti di età inferiore a 3 mesi possono essere movimentati, anche se non vaccinati, purché muniti di passaporto, e purché:• abbiano soggiornato dalla nascita nel luogo in cui sono

nati, senza entrare in contatto con animali selvatici

oppure

• siano accompagnati dalla madre da cui sono ancora dipendenti.

L’introduzione di cani e gatti in Svezia, Regno Unito e Irlanda, fino al 3 luglio 2009, è inoltre subordinata a: identificazione esclusivamente elettronica (microchip), titolazione di anticorpi contro il virus della rabbia e permanenza nel paese di origine per il periodo pre-scritto, pari a 6 mesi per Regno Unito e Irlanda, 4 mesi per Svezia. Inoltre, fino a al 3 luglio 2009, cani e gatti di età infe-riore a 3 mesi non possono essere oggetto di movimen-ti verso Svezia, Regno Unito e Irlanda. Sempre fino al 3 luglio 2009, Regno Unito, Svezia e Irlanda subordinano l’introduzione di cani e gatti alle norme specifiche di controllo dell’echinococcosi e delle zecche.

5. Disposizioni relative ai movimenti da Paesi Terzi

Cani, gatti e furetti provenienti o reintrodotti dai Paesi Europei elencati in Allegato II, parte B, sezione 2 (Andorra,

Islanda, Liechtenstein, Monaco, Norvegia, San Marino, Svizzera, Vaticano ) del Regolamento (CE) n.998/2003, o da Paesi Terzi Allegato II, parte C (il cui elenco sarà elaborato entro il 3 luglio 2004) devono essere:

• identificati con tatuaggio leggibile (fino al 3 luglio 2012) o microchip,

• muniti di passaporto attestante l’esecuzione di una vaccinazione antirabbica in corso di validità;

• in deroga a quanto sopra, i movimenti tra San Marino, Vaticano e Italia potranno continuare alle condizioni previste dalle norme nazionali vigenti.

Cani, gatti e furetti provenienti o reintrodotti da altri Paesi Terzi (diversi da quelli di cui Allegato II, parte C)

• identificati mediante tatuaggio chiaramente leggibile (fino al 3 luglio 2012) o microchip;

• essere stati oggetto di titolazione di anticorpi neutra-lizzanti contro il virus della rabbia pari ad almeno 0,5 UI/ml, effettuata almeno 30 giorni dopo la vaccinazio-ne e 3 mesi prima del movimento. L’attesa di tre mesi prima del movimento non si applica per cani, gatti e furetti nel caso di reintroduzione. La titolazione non si rende necessaria su animali rivaccinati negli intervalli previsti, e già sottoposti a titolazione di anticorpi contro il virus della rabbia (quindi si richiede di norma una sola compilazione del Cap. V).

• accompagnati da un certificato rilasciato da un veteri-nario ufficiale, conforme al modello previsto dalla deci-sione 2004/203/CE, oppure, in caso di reintroduzione, da un passaporto che attesti l’osservanza delle predette disposizioni.

6. Compilazione del passaporto

Si precisa che, all’atto del rilascio del passaporto, devono essere compilati i capitoli I, II, III e IV. Se la destinazione o reintroduzione è da Paesi Terzi, devono essere compilati anche i capitoli V, IX e X.Successivamente al rilascio, se la vaccinazione antirabbi-ca è in corso di validità, per i Paesi CE non è necessario altro adempimento, mentre per i Paesi Terzi dovran-no essere compilati i capitoli V e X, obbligatoriamente dal Veterinario ASL, il IX dal Veterinario ASL o dal Veterinario Libero Professionista.

Mario Astuti