bloglobal weekly n°5/2014

7
RASSEGNA DI BLOGLOBAL OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE NUMERO 5/2014, 16-22 FEBBRAIO 2014 BloGlobal Weekly ISSN: 2284-1024 © BloGlobal.net 2014 EGITTO E’ costato la vita a cinque persone (quattro studenti sudcoreani e l’autista egiziano del bus), l’attacco avvenuto lo scorso 16 febbraio a Taba, nel Sud della Penisola sinaitica vicino al confine con Israele. Dopo aver condannato l’attentato, le autorità egiziane hanno immediatamente bloccato gli ingressi in entrata e in uscita dal territorio per favorire il trasporto dei 29 feriti negli ospedali di Taba e della vicina Eilat, in Israele. Sono stati anche rafforzati i posti di blocco di polizia ed esercito su tutte le strade della penisola, in- tensificati i controlli terrestri ed aerei su tutta la zona e dichiarato temporaneamente lo stato di emergenza nella zona strategica del Canale di Suez. Con l’ attentato rivendicato dal gruppo qaedista di Ansar Beyt al-Maqdis, considerato ormai un peri- colo costante alla sicurezza e alla stabilità dello Stato egiziano, il gruppo jihadista pare intenzionato ad aprire una nuova fase nello scontro nei confronti del governo centrale, colpendo gli interessi economici legati soprattutto al turismo. Quarant’otto ore MONDO - Focus BloGlobal Weekly N°5/2014 - Panorama WWW.BLOGLOBAL.NET

Upload: osservatorio-di-politica-internazionale

Post on 24-Mar-2016

217 views

Category:

Documents


2 download

DESCRIPTION

Rassegna di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (16-22 febbraio 2014)

TRANSCRIPT

Page 1: BloGlobal Weekly N°5/2014

R A S S E G N A D I B L O G L O B A L

O S S E R V A T O R I O D I P O L I T I C A I N T E R N A Z I O N A L E

N U M E R O 5 / 2 0 1 4 , 1 6 - 2 2 F E B B R A I O 2 0 1 4

B l o G l o b a l W e e k l y

I S S N : 2 2 8 4 - 1 0 2 4

© BloGlobal.net 2014

EGITTO – E’ costato la vita a cinque persone (quattro studenti sudcoreani e l’autista egiziano del bus),

l’attacco avvenuto lo scorso 16 febbraio a Taba, nel Sud della Penisola sinaitica vicino al confine con

Israele. Dopo aver condannato l’attentato, le autorità egiziane hanno immediatamente bloccato gli

ingressi in entrata e in uscita dal territorio per favorire il trasporto dei 29 feriti negli ospedali di Taba e

della vicina Eilat, in Israele. Sono stati anche rafforzati i posti di blocco di polizia ed esercito su tutte le strade della penisola, in-

tensificati i controlli terrestri ed aerei su tutta la zona e dichiarato temporaneamente lo stato di emergenza nella zona strategica

del Canale di Suez. Con l’attentato rivendicato dal gruppo qaedista di Ansar Beyt al-Maqdis, considerato ormai un peri-

colo costante alla sicurezza e alla stabilità dello Stato egiziano, il gruppo jihadista pare intenzionato ad aprire una nuova fase

nello scontro nei confronti del governo centrale, colpendo gli interessi economici legati soprattutto al turismo. Quarant’otto ore

M O N D O - F o c u s

B l o G l o b a l W e e k l y N ° 5 / 2 0 1 4 - P a n o r a m a

W W W . B L O G L O B A L . N E T

Page 2: BloGlobal Weekly N°5/2014

Pagina 2 B l o G l o b a l W e e k l y

dopo l’attentato, lo stesso gruppo islamista ha invitato tutti i turisti stranieri a lasciare l’Egitto entro il 20 febbraio dichiarando che

dopo tale data essi potrebbero essere oggetto di attacchi. Questo è solo l’ultimo di una lunga serie di attentati che hanno colpito il

Sinai fin dalla caduta del regime mubarakiano nel 2011. Secondo gli analisti, il gruppo jihadista avrebbe sfruttato a suo

vantaggio sia le rivendicazioni di tipo politico-tribale dei beduini abitanti la penisola, sia le tensioni derivanti dal traffico di narcotici,

armi ed essere umani che attraversano l’intero Sinai. In particolare questo business proficuo, secondo il recente Rap-

porto diffuso da Human Right Watch, avrebbe garantito alle organizzazioni criminali guadagni per 600 milioni di dollari grazie ai

30.000 sequestri avvenuti negli ultimi 5 anni. A gestire i traffici illegali sarebbero i beduini del Sinai, con l’aiuto di criminali comuni

e jihadisti egiziani e palestinesi, alcuni dei quali residenti nella Striscia di Gaza. Tutte queste situazioni hanno così permesso al

gruppo di affinare le proprie strategie operative e, quindi, di varcare il confine geografico del Sinai per colpire l’entroterra egiziano:

un primo tentativo – fallito – è stato condotto nei confronti del Ministro degli Interni Mohammed Ibrahim (5 settembre 2013), men-

tre risultati importanti sono stati ottenuti con l’attentato alla stazione di polizia di Mansura (24 dicembre 2013) e con i 5 attacchi

contro il Ministero degli Interni e altri punti strategici al Cairo e Giza (7 febbraio 2014), nel giorno del referendum per l’adozione

della nuova Costituzione. Quanto avvenuto a Taba si inserisce in un contesto regionale di crisi che ha il suo epicentro nel Sinai

ma che si estende dall’entroterra desertico algerino, passando per la Libia ed estendendosi sino alla Siria. Nel tentativo di

“normalizzare” l’area, il governo cairota sta portando avanti dall’agosto 2013 un’attiva campagna militare volta a fiaccare le forze

jihadiste presenti sul territorio, anche grazie all’aiuto – per ora solo a livello di coordinamento di intelligence e di scambio di infor-

mazioni in ambito di homeland security – di Israele.

NIGERIA – E’ di 100 morti, più di 1.500 edifici bruciati e 400 veicoli distrutti il bilancio dell’ultimo attacco

compiuto dai ribelli di Boko Haram in Nigeria. L’attentato è avvenuto mercoledì 19 febbraio nei

pressi della città di Bama, situata nello Stato nordorientale di Borno: testimoni hanno rivelato che i ri-

belli, alla guida di grossi camion mimetici, hanno invaso la città attorno alle quattro del mattino, e han-

no iniziato a spargere ovunque il terrore, sparando all’impazzata sui civili. Alhaji Kyari Ibn al-Kanemi,

emiro di Bama, mentre procedeva alla conta dei morti e dei danni alle infrastrutture, ha esplicitamente chiesto al governo centrale

misure drastiche per porre fine alle violenze continue, accusando il governo di scarso impegno nel fermare le scorriban-

de degli islamisti. L’assalto di Bama fa seguito ad un altro attacco avvenuto pochi giorni prima nel villaggio di Izge, vicino al confi-

ne con il Camerun, dove i Boko Haram hanno ucciso 106 persone, in uno degli episodi più sanguinosi della storia recente. Ed è

proprio dal confine col Camerun che partono le scorribande dei ribelli: una delle poche offensive dell’esercito nigeriano li ha co-

stretti a rifugiarsi nell’area di Gwoza, da dove si muovono contro i villaggi che accusano di essere a favore del governo centrale.

Da qui la decisione delle autorità di Yaoundé, capitale del Camerun, di rafforzare i controlli di frontiera con la Nigeria per bloccare

l’infiltrazione dei combattenti del gruppo Boko Haram ed evitare i rischi di contagio, ma anche allo scopo di limitare l’afflusso di

civili nigeriani in fuga dalle violenze. Gli attacchi di Bama e Izge sono avvenuti alcuni giorni dopo che il gruppo terrorista aveva

diffuso un video in cui minacciava di morte tutti i leader politici e religiosi nigeriani. Nel video recapitato ai giornalisti, il capo del

gruppo estremista, Abubakar Shekau, uno dei dieci terroristi più ricercati al mondo, accusato di terrorismo sia in Nigeria che negli

Stati Uniti, minaccia, fra l’altro, nuovi attacchi contro il settore petrolifero nel sud del Paese. Shekau afferma che lo stato d’emer-

genza decretato da tempo nel Nord non fermerà Boko Haram ed esorta i suoi uomini presenti in altre regioni ad attaccare obiettivi

civili e istituzioni governative, anche musulmane. I nemici di Boko Haram, che in lingua hausa significa “l’educazione occidentale

è peccato”, sono le chiese e i rappresentanti cristiani, le forze dell’ordine, ma anche i politici e religiosi moderati di fede musulma-

na, accusati di essersi “convertiti” alla democrazia, che secondo il gruppo terrorista incarnerebbe valori non conformi alla religione

islamica. Le vittime più numerose in questi quattro anni di attacchi terroristici da parte di Boko Haram, che mira a fare della Nige-

ria uno Stato islamico, sono proprio i musulmani, definiti infedeli. Nonostante le continue rassicurazioni del governo, il gruppo non

conosce sosta nell’uso della violenza: nelle ultime settimane e giorni gli attacchi si sono susseguiti uno dietro l’altro,

con timide controffensive dell’esercito nigeriano. All’inizio di dicembre, quasi a dimostrare un aumento delle proprie capacità, era-

no state attaccate simultaneamente una base dell’aeronautica militare e l’aeroporto internazionale di Maiduguri, capitale dello

stato del Borno, nella Nigeria nordorientale. Molte le vittime e tantissimi feriti. Dal maggio 2013 il Presidente nigeriano Goodluck

Jonathan ha proclamato lo stato di emergenza in tre Stati nel Nord-Est del Paese (Borno, Yobe ed Adamawa) dove il gruppo

Page 3: BloGlobal Weekly N°5/2014

Pagina 3 N u m e r o 5 / 2 0 1 4 , 1 6 - 2 2 f e b b r a i o 2 0 1 4

Boko Haram è particolarmente attivo e ha più volte chiesto truppe in rinforzo; premesso che non è ben chiaro da dove dovrebbero

provenire queste truppe, la Nigeria possiede già un esercito molto potente che forse ha sottovalutato la minaccia, date le ripetute

e frettolose dichiarazioni dei suoi vertici di essere riusciti a rimuovere definitivamente la minaccia. In questa situazione difficile,

che riguarda l’area nord orientale della Nigeria, si è nuovamente fatto vivo, nel sud del Paese, il MEND (Movement for the Eman-

cipation of the Niger Delta) che con un comunicato inviato ad Africa ExPress ha rivendicato l’assalto contro una motovedetta delle

forze speciali che stava pattugliando le acque del delta del Niger, nello Stato di Bayelsa. Come sottolinea anche il documento,

l’attacco è di piccola portata, ma segna un ritorno alla guerriglia del MEND, gruppo che si riteneva ormai in ritirata.

STATI UNITI – È stata una settimana diplomaticamente intensa quella che ha riguardato gli Stati Uniti.

Mentre il Venezuela è travolto dalle proteste delle opposizioni – scese in piazza da dieci giorni per con-

testare il malgoverno di Nicolás Maduro –, a farne le spese è stato anche il corpo diplomatico statuni-

tense utilizzato da Caracas come capro espiatorio per giustificare le sommosse. Secondo l’interpreta-

zione del leader venezuelano, infatti, le manifestazioni in atto tra le vie della capitale sarebbero state

fomentate dalle «volontà imperialistiche di Washington» che avrebbe tentato il golpe per destituire l’attuale governo ed

insediarne uno nuovo filo-americano. Il Presidente venezuelano ha così ordinato di espellere dal Paese tre funzionari statunitensi

accusati di orchestrare e fomentare le proteste, in particolare quelle di natura studentesca, e solo 48 ore più tardi ha annunciato

l’espulsione di 4 giornalisti della CNN, con la minaccia di interrompere le trasmissioni della stessa emittente USA. A fronte di ma-

nifestazioni sempre più imponenti, il leader chavista ha infatti parlato di «manipolazione dei media» e di «golpismo fascista» con

la connivenza, appunto, della Casa Bianca. Sempre Maduro ha infine disposto l’invio dell’esercito nella regione occidentale del

Tachira, da dove è partita la contestazione studentesca. Intanto il bilancio ufficiale parla di dieci vittime e oltre 180 arre-

sti in tutto il Paese. Barack Obama, dal palco multilaterale dell’Organizzazione degli Stati Americani, ha invitato Maduro

«ad un dialogo reale» con l’opposizione. Nel frattempo, il Segretario di Stato John Kerry ha effettuato una visita a sorpresa in Tu-

nisia, dove ha incontrato il governo alle prese con una fase di delicata transizione. Alla luce della recente Costituzione,

laica e attenta ai diritti umani, definita dallo stesso Kerry «un grande passo», il Segretario ha dialogato con il Presidente Moncef

Marzouki e il Primo Ministro ad interim Mehdi Jomaa, definendosi «molto impressionato dai passi intrapresi, dall’approccio razio-

nale e meditato della transizione» e ricordando agli interlocutori che «molti Paesi e molte persone nel mondo ammirano quello

che si sta facendo qui». Sempre Kerry ha ribadito l’impegno di Washington nella lotta al terrorismo islamista. Infatti, in un’intervi-

sta al quotidiano locale Akher Khabar, il brigadiere Moussa Khelifi ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno inviato in questi anni dro-

ni nel Paese per aiutare le forze di sicurezza nazionali nella loro guerra contro il terrorismo, benché abbia aggiunto che

non esiste alcuna base americana sul territorio tunisino. L’evoluzione politica in Tunisia, d’altro canto, contrasta con i fatti ancora

in corso in Egitto, una situazione che è stata fatta presente a Kerry a margine della visita tunisina; il Segretario ha però evitato di

addentrarsi in un tema spinoso per Washington, affermando che non è sua intenzione dare «consigli al generale Abdel Fattah al-

Sisi» ma che è comunque orientato a confrontarsi con i vertici del Cairo in un contesto di «dialogo continuo» bilaterale. Kerry ha

poi proseguito il suo viaggio in Medio Oriente, dove ha incontrato nuovamente il Presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen,

nell’ambito del processo di pace con Israele. Intanto a Washington, seppur non nel prestigioso Studio Ovale, Obama incontrava il

Dalai Lama, causando nuove proteste della Cina, che considera il Tibet sua provincia e che non riconosce l’autorità della

guida spirituale. Pechino aveva già minacciato in precedenza che «se l’incontro si svolgerà, ci saranno gravi ripercussioni sulle

relazioni con gli Stati Uniti». Al termine della visita, la Cina ha espresso indignazione per l’incontro e ha ribadito il concetto, per

bocca del Ministero degli Esteri, che quella di Obama è una «grossa interferenza nei nostri affari interni, una violazione delle nor-

me internazionali». D’altra parte, la Casa Bianca ha risposto che l’incontro non aveva alcuna volontà di interferire negli affari na-

zionali cinesi, bensì di «sostenere con forza il rispetto americano per i diritti umani e la libertà religiosa». Anche il Consigliere per

la Sicurezza Nazionale USA, Caitlin Hayden, ha posto l’accento sulla natura “umanitaria” dell’incontro, dato che il Dalai Lama

rappresenta non un leader politico, come invece sostiene Pechino, bensì «un leader culturale e religioso rispettato a livello inter-

nazionale». È molto probabile che gli attriti verranno ricomposti nell’immediato futuro, soprattutto in vista del vertice bilaterale in

programma tra un mese tra i due Capi di Stato.

Page 4: BloGlobal Weekly N°5/2014

Pagina 4 B l o G l o b a l W e e k l y

M O N D O - B r e v i

UCRAINA – Dopo un paio di settimane di relativa calma a seguito delle dimissioni del Premier Azarov,

dell'abolizione della legge anti-proteste e dell'approvazione di un'amnistia per i dimostranti antigover-

nativi, la tensione in Ucraina è tornata nuovamente a salire dopo il varo di un nuovo pacchetto di leggi

restrittive delle manifestazioni, sfociando in episodi di guerriglia urbana che hanno provocato 82

morti e oltre 600 feriti. Gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza sono ripresi con più violenza nella notte tra il 18 e il 19 feb-

braio, quando le forze dell'ordine hanno tentato di smantellare alcuni sit-in di attivisti che avrebbero risposto lanciando pietre e

molotov, mentre gli agenti avrebbero fatto uso di gas lacrimogeni e sarebbero intervenuti con forze armate sotto l'autorizzazione

del Ministero degli Interni per liberare, tra l’altro, i 67 poliziotti presi in ostaggio da un gruppo di insorti. Su spinta soprattutto del

Primo Ministro polacco Donald Tusk, solo nella giornata del 20 febbraio il Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione Europea ha pre-

so una posizione più netta in merito alla crisi ucraina imponendo una serie di sanzioni per Kiev: il congelamento dei beni

e il divieto del rilascio del visto per tutti coloro che si sono resi responsabili di violazioni di diritti umani, di violenza e di un uso ec-

cessivo della forza. Una prima significativa svolta si è avuta poi nel pomeriggio di venerdì 21 febbraio, quando il Presidente Yanu-

kovich ha firmato un accordo con i tre leader delle opposizioni ucraine (Vitaly Klitschko, capo di UDAR; Arseny Yatseniuk,

del partito di Yulia Tymoshenko, Patria; Oleg Tiahnybok, di Svoboda) con la mediazione dei Ministri degli Esteri di Francia, Polo-

nia e Germania e di una delegazione della Federazione Russa. L'intesa prevedeva la riduzione dei poteri presidenziali e il ripristi-

no della Costituzione del 2004; la convocazione di consultazioni presidenziali anticipate e l'istituzione di nuovi meccanismi

elettorali oltre che di una nuova Commissione elettorale; l'apertura di un'inchiesta sulle violenze sotto l'osservazione congiunta di

Governo, opposizione e Consiglio d'Europa; la garanzia da parte delle autorità centrali di non imporre lo stato di emergenza o di

altre misure implicanti l'uso della forza; dal canto loro le opposizioni hanno promesso una progressiva smobilitazione degli edifici

e dei luoghi pubblici occupati. Il quadro è ulteriormente cambiato nella giornata del 22 febbraio, quando iYanukovich, insieme con

alcuni rappresentanti del suo governo (il Presidente del Parlamento Volodimir Ribak, il capo dell’amministrazione presidenziale

Andriei Kliuiev e il deputato Vadim Novinskii) hanno abbandonato Kiev per raggiungere la città di Kharkiv, nella parte orientale del

Paese e dove le proteste sono state di tono decisamente inferiore. Mentre da qui il Presidente ha dichiarato che quanto sta suc-

cedendo a Kiev dev'essere considerato un colpo di Stato e che non ha intenzione di lasciare il potere in quanto democraticamen-

te eletto dal popolo ucraino, la Rada ha approvato nella serata di sabato una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente,

nominando l'ex capo dei Servizi Segreti Oleksandr Turchinov alla guida del Parlamento e facente funzioni di Capo di Sta-

to, approvando una modifica del codice penale che ha successivamente permesso la scarcerazione di Yulia Timoshenko e dando

il via libera a nuove consultazioni per il prossimo 25 maggio, tra l’altro in corrispondenza con le elezioni europee. Ad essere desti-

tuiti anche il Ministro degli Interni Vitaly Zakharchenko, quello degli Esteri, Leonid Kozhara, e il titolare alla Salute Raisa Bogatyre-

va. Mentre le autorità locali delle aree orientali del Paese si stringono dunque intorno a Yanukovich - non lasciando peraltro pre-

sagire scenari positivi, ma alimentando invece le possibilità di una scissione della Repubblica Autonoma di Crimea e del Governa-

torato di Leopoli - per l'inizio della prossima settimana è prevista la formazione del nuovo Esecutivo.

CINA-TAIWAN,17 febbraio – Dopo il primo storico incontro bilaterale a Nanchino e a Shanghai (11-14 febbraio) tra le delegazioni

della Repubblica Popolare Cinese e Repubblica di Cina (Taiwan) avvenuto a 65 anni di distanza dalla separazione tra i due Pae-

si, Xi Jinping ha ricevuto a Pechino Lien Chan -- Presidente onorario del Kuomintang (KMT) e Presidente della Fondazione che si

occupa dello sviluppo dei rapporti pacifici tra l'isola e i Paesi dello Stretto -- in attesa di incontrare il Presidente della stessa

RDC, Ma Ying-jeou. La normalizzazione dei rapporti, avviata dal 2008 dopo la vittoria della parte più moderata del KMT e dunque

di Ma, ha subito negli ultimi tempi un'accelerazione alla luce delle opportunità commerciali tra i due Paesi, il cui interscambio ha

raggiunto i circa 200 miliardi di dollari. Nel vertice tra il Capo dell'Ufficio degli affari taiwanesi cinese, Zhang Zhijun, e il Ministro

taiwanese degli Affari del Continente, Wang Yu-chi, era stata infatti stabilita la riattivazione dei collegamenti tra i due Paesi, oltre

Page 5: BloGlobal Weekly N°5/2014

Pagina 5 N u m e r o 5 / 2 0 1 4 , 1 6 - 2 2 f e b b r a i o 2 0 1 4

alla possibilità per i cittadini cinesi di visitare l'isola in qualità di turisti, studenti e investitori, e a quella di istituire la creazione di

due uffici di rappresentanza nelle rispettive capitali. Decisioni che però incontrerebbero l'ostilità soprattutto da parte dei cittadini di

Taiwan. Si è trattato ad ogni modo di un incontro dall'alto valore simbolico su cui tuttavia pesano ancora numerose questioni, ad

iniziare dal reciproco riconoscimento e dalle relazioni internazionali che ciascuna delle due parti intrattiene. È sulla base di ciò

che, secondo quanto riferito dall'Agenzia Xinhua, Xi Jinping avrebbe accolto Chan in qualità di Segretario del PCC e non di Presi-

dente. Nonostante Xi abbia dichiarato che non c'è alcuna fretta di incontrare Ma, ha auspicato che le due parti inaugurino una

lunga epoca di relazioni pacifiche riunendo la «grande famiglia delle due sponde dello Stretto di Taiwan».

CIPRO,19 febbraio – Dopo l'incontro dello scorso 11 febbraio tra il Presidente greco-cipriota Nicos Anastasiades e il turco-cipriota

Derviş Eroğlu, il 19 febbraio ha avuto luogo presso la sede ONU di Nicosia un meeting preliminare tra i capo negoziatori Andreas

Mavroyiannis e Kudret Özersay per la ripresa delle trattative riguardanti la riunificazione della parte greca e di quella turca dell'iso-

la, divisa dal 1974 quando le truppe turche ne occuparono i territori settentrionali. Da allora le negoziazioni, avvenute sotto l'egida

delle Nazioni Unite, si sono svolte tra continui stop and go, ma senza portare ad alcun risultato significativo. La svolta potrebbe

dunque avvenire il prossimo 27 febbraio, quando Mavroyiannis si recherà ad Ankara per incontrare il vice Ministro degli Esteri

turco, Feridun Sinirlioğlu, e Özersay sarà in visita ad Atene per incontrare il Segretario Generale del Ministero degli Esteri greco,

Anastasis Mitsialis. A dare nuovo slancio alle prospettive di riconciliazione potrebbe essere intervenuta la recente iniziativa diplo-

matica degli Stati Uniti: nell'ottica di una rinnovata cooperazione per lo sfruttamento dei giacimenti gasiferi tra Cipro, Turchia e

Israele, e come nel caso dell'opera di riavvicinamento tra questi ultimi due Paesi dopo l'incidente della Mavi Marma-

ra, Washington ha chiesto alle autorità isolane attraverso l'assistente del Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici,

Victoria Nuland, in visita a Nicosia nei primi giorni di febbraio, di rafforzare i tentativi di negoziazione. Questo nonostante la boc-

ciatura nel 2004, da parte dei greco-ciprioti, del Piano Annan sulla riunificazione (documento che invece fu approvato dai turco-

ciprioti a larga maggioranza). Mentre l'Unione Europea si è detta pronta ad offrire il proprio sostegno per una soluzione alla que-

stione cipriota, il documento finale dell'incontro tra i Presidenti delle due comunità, redatto sotto la mediazione del capo missione

ONU Lisa Buttenheim, prevederebbe la costituzione di una «una federazione bi-comunale e bi-zonale», nel cui ambito il Paese

sarà «un'entità legale unificata sul piano internazionale e con un'unica sovranità». L'accordo dovrebbe poi essere sottoposto a

due referendum simultanei nelle due comunità.

IRAN, 17 febbraio – Dopo tre giorni di discussioni a Vienna, il gruppo del 5+1 (i cinque membri del Consiglio di Sicurezza più la

Germania) e l’Iran sono giunti ad un ulteriore accordo sulla questione del nucleare di Teheran, in particolare sulla calendarizzazio-

ne delle discussioni e sul programma di lavoro che dovranno seguire le due delegazioni nel prossimo futuro. Il primo appunta-

mento è stato fissato tra meno di un mese, tra il 17 e il 20 marzo, di nuovo nella capitale austriaca. Ciò che è più importante, però,

è la prosecuzione del dialogo in un clima di fiducia reciproca. È questo, infatti, il senso delle dichiarazioni del Ministro degli Esteri

iraniano, Javad Zarif, per cui i colloqui sono stati «fruttuosi e dettagliati», e si sono tenuti in un clima «serio e più positivo di quan-

to ci si potesse aspettare». Pur precisando che le divergenze permangono e che resta ancora molto lavoro da fare, Zarif ha ag-

giunto che «oltre ai colloqui a livello politico, abbiamo iniziato anche discussioni sugli aspetti tecnici». Anche l’Alto Rappresentan-

te dell’Unione Europea, Catherine Ashton, ha confermato che «in questi tre giorni abbiamo identificato tutti i temi che ci sono da

affrontare. C’è molto da fare e non sarà facile». Marie Arf, la portavoce del Dipartimento di Stato USA, ha ribadito che gli incontri

sono stati «positivi ed utili». Sul versante interno iraniano, però, permangono dubbi sull’efficacia dei colloqui con l’Occidente.

Scettica, in particolare, si è definita la Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, che in pubblico ha apertamente dichiarato che

«non sono contrario al dialogo diplomatico. Non rinnegheremo ciò che i nostri rappresentanti hanno iniziato. Ma ripeto: non serve

a niente, non porta a niente».

LIBANO, 19 e 22 febbraio – Doppio attentato nel Paese dei Cedri da parte delle formazioni qaediste attive nel Paese e nella vicina

Siria a pochi giorni dalla formazione di un esecutivo di unità nazionale, dopo quasi un anno di stallo. Il primo attacco è stato diret-

to contro il centro culturale iraniano a Beirut nella zona meridionale a maggioranza sciita e vicina al quartier generale di Hezbollah

della capitale libanese. Il bilancio delle vittime recita 6 morti e circa un centinaio di feriti. L’attentato è stato compiuto dalle Brigate

Abdullah Azzam, una cellula jihadista sunnita legata ad al-Qaeda e attiva fin dal 2009 in altri teatri di crisi come Egitto, Iraq, Siria,

Page 6: BloGlobal Weekly N°5/2014

Pagina 6 B l o G l o b a l W e e k l y

Striscia di Gaza e Giordania. Il gruppo, già noto per un altro sanguinoso attentato contro l’Ambasciata iraniana nella capitale

(novembre 2013), ha di recente subito la perdita del suo leader, il saudita Majed al-Majed, morto in un carcere di massima sicu-

rezza libanese in circostanze ancora non ben chiarite. Il secondo colpo inferto dai jihadisti è avvenuto ad Hermel, cittadina nella

Valle di Bekaa – anche questa una roccaforte di Hezbollah nel Nord-Est – a dieci chilometri dal confine siriano e vicina alla più

tristemente nota Qusayr. L’attentato, rivendicato da Jabhat al-Nusra, è avvenuto nei pressi di un checkpoint dell’esercito e ha

provocato quattro morti (2 civili e 2 militari) e il ferimento di circa una quindicina di persone. Il neo Primo Ministro Tammam Salam,

nel condannare i fatti di sangue, ha dichiarato che i «recenti attacchi costituiscono un crimine contro lo Stato libanese».

LIBIA, 20 febbraio – Si sono tenute tra massime misure di sicurezza le elezioni per l’Assemblea Costituente libica, incaricata di

redigere la nuova Carta fondamentale del Paese. L’Assemblea avrà quattro mesi di tempo per approntare una nuova Carta costi-

tuzionale – formalmente abolita nel 1977 dal precedente regime di Mu’ammar Gheddafi – e per sottometterla, entro un mese, a

referendum popolare. La Costituente sarà composta da 60 Saggi, eletti e divisi equamente tra le tre regioni componenti il Paese:

Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. In attesa di risultati ufficiali, i dati diffusi dall’Alta Commissione Elettorale Nazionale indicano che

il 40% degli aventi diritto (circa 500.000 votanti su 3,4 milioni) si sarebbe recato alle urne. Le motivazioni che avrebbero spinto

tanti libici a non recarsi a votare sarebbero dettate dal clima di generale sfiducia verso le istituzioni, ritenute corrotte, dalla cre-

scente instabilità in termini di sicurezza e dalla profonda polarizzazione della società e delle forze politiche libiche. Situazioni, que-

ste, che hanno indotto il governo ad aumentare la sua presenza sul territorio dispiegando 52.000 unità dell'esercito a protezione

dei 1.531 seggi. Incidenti e violenze si sono registrate a Derna (un morto) e in generale nella Cirenaica. Alcuni seggi sono stati

chiusi anche nelle aree berbere del Sud – dove da tempo era stato annunciato il boicottaggio al voto – per motivi di sicurezza.

Oltre alla Cirenaica, preoccupa sempre più il clima di incertezza che regna nel Fezzan, dove da settimane si segnalano episodi di

violenza e scontri tra autorità centrali e minoranze africane tebù – in passato vicine al regime gheddafiano – e berbere, a loro dire,

sempre più marginalizzate dalla scena politica nazionale.

SCOZIA, 18 febbraio – Si avvicina il 18 settembre, momento in cui si terrà nel Regno Unito il referendum sull’indipendenza della

Scozia. I sondaggi stanno confermando che l’orientamento scozzese è quello di restare all’interno dell’unione, benché la percen-

tuale sia calata nel corso dell’ultimo anno dal 65% al 59% con oltre un milione di indecisi. Il Premier britannico David Cameron,

osteggiando l’indipendenza ma favorendo eventualmente una maggiore autonomia, ha candidamente ammesso che «se perdes-

simo la Scozia, getteremmo alle ortiche la nostra reputazione». Nel dibattito è intervenuto anche il Presidente della Commissione

europea, José Barroso, che si è mostrato chiaramente contrario a qualsiasi ipotesi di una Scozia indipendente, chiudendo allo

stato delle cose la porta per una sua ammissione nell’Unione Europea: «sarà estremamente difficile ottenere l’approvazione di

tutti i Paesi», e nella fattispecie di Londra, «per avere un nuovo Stato che nasce da un altro», ricordando il caso della Spagna che

ha rifiutato di riconoscere il Kosovo. Dalla Scozia hanno risposto a tali dichiarazioni con aggettivi come «assurdo» e «ridicolo»,

affermando che il paragone non sussiste. È in questo clima che la Cancelleria dello Scacchiere, di comune accordo con Came-

ron, ha deciso di proseguire sulla strada dell’ampliamento dell’autonomia scozzese, garantendo ad Edimburgo la possibilità di

emettere buoni del tesoro per un valore complessivo di 2,2 miliardi di sterline. Dal Tesoro britannico hanno fatto dunque sapere

che questa «è la dimostrazione di come la Scozia possa crescere restando all’interno del Regno Unito».

SOMALIA, 21 febbraio – Il gruppo terroristico di al-Shabaab, legato ad al-Qaeda, ha attaccato il compound Villa Somalia all’interno

del quale è situato il Palazzo presidenziale somalo, insieme ad altri edifici governativi. I miliziani indossavano uniformi militari, con

i berretti rossi solitamente usati dalle guardie presidenziali ed erano alla guida di tre macchine: la prima, condotta da un kamikaze

che si è fatto esplodere all’ingresso della struttura, è servita da apripista per le altre due vetture, all’interno delle quali c’erano mili-

ziani ben armati che, da subito, hanno ingaggiato una dura battaglia con i militari somali. Il bilancio finale dell’attacco è di 14 mor-

ti, nove miliziani e cinque esponenti del governo, tra cui il Segretario permanente del Primo Ministro ed un ex comandante dell’in-

telligence. Il Presidente Hassan Sheikh Mohamud è rimasto illeso. L’attacco era diretto contro la moschea dove lo stesso leader

somalo solitamente si reca per pregare. Questo attacco è solo l’ultimo di una serie di attentati che hanno scosso Mogadiscio: do-

po un periodo di calma relativa, a seguito della cacciata di al-Shabaab nell’agosto del 2011, il gruppo ha dato vita ad una serie di

attacchi che hanno riportato la paura nella capitale somala. Il governo ha più volte annunciato che avrebbe proceduto a colpire

Page 7: BloGlobal Weekly N°5/2014

Pagina 7 N u m e r o 5 / 2 0 1 4 , 1 6 - 2 2 f e b b r a i o 2 0 1 4

direttamente le roccaforti shabaabite – queste ancora sotto il controllo delle milizie islamiste – e a ripulire la Somalia, grazie anche

al supporto della missione AMISOM.

SUD SUDAN, 18 febbraio – Il cessate il fuoco in Sud Sudan, siglato ad Addis Abeba il 23 gennaio scorso tra le forze governative

fedeli al Presidente Salva Kiir e i ribelli sostenitori dell’ex vice Presidente Riek Machar, è già finito. Il portavoce militare del Sud-

Sudan, Philip Aguer, ha confermato che nuovi combattimenti sono scoppiati all’alba di martedì 18 febbraio, nello Stato di Upper

Nile. Gli scontri sono iniziati nei pressi della base ONU a Malakal, causando la morte di 10 persone, e si sono propagati anche

all’interno della struttura di accoglimento tra persone appartenenti a diverse etnie che qui hanno trovato rifugio dalla guerra. I ri-

belli hanno dichiarato, in seguito, di essere entrati in possesso della parte nordorientale della città, anche se non ci sono confer-

me da parte delle autorità governative. Malakal è una importante città strategica: si trova infatti a circa 140 chilometri da un com-

plesso petrolifero in cui è situato un importante impianto per il trattamento del greggio, mentre lo Stato di Upper Nile è l’unico a

continuare a garantire l’estrazione di greggio dopo che la produzione nella vicina Bentiu è stata sospesa a causa del conflit to.

Mentre la situazione degenera, continuano i contatti tra le due fazioni in lotta, ma le ambizioni personali dei due leader (entrambi

mirano alla presidenza del Paese) rappresentano l’ostacolo principale alla conclusione positiva delle trattative. Inoltre, resta anco-

ra irrisolto il problema di quattro oppositori del governo, arrestati nei primi giorni della rivolta, tuttora imprigionati nelle carceri di

Juba: il Ministro degli Esteri Barnaba Marial Benjamin ha affermato che il governo non è intenzionato a rilasciarli fino a quando il

processo a loro carico non sarà concluso.

A N A L I S I E C O M M E N T I

L’ITALIA TORNA IN SOMALIA

di Denise Serangelo – 18 febbraio 2014 [leggi sul sito]

TURCHIA-PKK, CHIAVI DI LETTURA DEL PROCESSO DI PACE

di Francesco Minici – 20 febbraio 2014 [leggi sul sito]

Questa opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione — Non commerciale — Non opere derivate 3.0 Italia.

BloGlobal Weekly N° 5/2014 è a cura di Maria Serra, Giuseppe Dentice, Davide Borsani e Danilo Giordano