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May 2015 FBK-IRVAPP Working Paper No. 2015-05 Research Institute for the Evaluation of Public Policies Buone pratiche nei progetti sulla coesione sociale: alcune riflessioni a partire da un caso studio Daniele Checchi Claudio Gianesin Samuele Poy FBK-IRVAPP Working Paper series Research Institute for the Evaluation of Public Polices http://irvapp.fbk.eu

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Page 1: Buone pratiche nei progetti sulla coesione sociale: alcune ... · Daniele Checchi†, Claudio Gianesin‡, Samuele Poy‡ May 2015 Abstract I progetti sociali hanno spesso l'obiettivo

May 2015

FBK-IRVAPP Working Paper No. 2015-05

Research Institute for the Evaluation of Public Policies

Buone pratiche nei progetti sulla coesione

sociale: alcune riflessioni a partire da un caso

studio

Daniele Checchi

Claudio Gianesin

Samuele Poy

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Buone pratiche nei progetti sulla coesione sociale: alcune

riflessioni a partire da un caso studio

Daniele Checchi

Università di Milano & FBK-IRVAPP

Claudio Gianesin

FBK-IRVAPP

Samuele Poy

FBK-IRVAPP

FBK-IRVAPP Working Paper No. 2015-05

May 2015

Research Institute for the Evaluation of Public Policies

Bruno Kessler Foundation

Via S. Croce 77, 38122 Trento (Italy)

Phone: (+39) 0461.314209

Fax: (+39) 0461.314240

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The purpose of the IRVAPP Working Papers series is to promote the circulation of working papers prepared

within the Institute or presented in IRVAPP seminars by outside researchers with the aim of stimulating

comments and suggestions. Updated review of the papers are available in the Reprint Series, if published, or

directly at the IRVAPP.

The views expressed in the articles are those of the authors and do not involve the responsibility of the

Institute.

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Buone pratiche nei progetti sulla coesione sociale: alcune

riflessioni a partire da un caso studio*

Daniele Checchi †, Claudio Gianesin‡, Samuele Poy‡

May 2015

Abstract

I progetti sociali hanno spesso l'obiettivo di sviluppare la coesione e l'innovazione sociale

nelle comunità locali. Le attività implementate in questo ambito sono particolarmente

eterogene per modalità di realizzazione e per risultati ottenuti. A partire dall'esperienza di

un bando sul tema della coesione sociale lanciato nel 2008 e terminato nel 2013 dalla

Fondazione Cariplo di Milano, finanziando 13 progetti in altrettanti comunità locali,

l'articolo discute le "buone pratiche" emergenti dallo studio di caso. L'articolo discute

anche di alcuni tratti salienti, riscontrati trasversalmente tra diversi interventi, che appaiono

rilevanti per il buon esito degli stessi nel raggiungere gli obiettivi prefissati. Seppur le

conclusioni non possano essere, evidentemente, generalizzabili, esse forniscono diverse

indicazioni utili alle istituzioni pubbliche, alle Fondazioni e agli enti impegnati con azioni

su questo tema.

Keywords: Coesione Sociale, Innovazione Sociale, Progetti Sociali, Fondazioni bancarie

* L'articolo è il frutto di un lavoro di ricerca finanziato dalla Fondazione Cariplo di Milano. Gli autori

desiderano ringraziare i funzionari di Fondazione Cariplo, e in particolare Gianpaolo Barbetta, Stefano Cima,

Paolo Canino, Davide Invernizzi e Viviana Bassan per i commenti Gli autori sono altresì debitori nei

confronti degli enti che sono stati finanziati con il bando in esame per il loro contributo all'analisi. Inoltre,

desiderano ringraziare Maurizio Pitozzi e di Marco Pedrazzini per l'ausilio alla ricerca e i suggerimenti. Il

testo del rapporto di ricerca finale può essere richiesto agli autori, un quadro sintetico è invece in appendice. † Università di Milano, FBK-IRVAPP. ‡ FBK-IRVAPP, Via Santa Croce 77, Trento. Indirizzo e-mail per corrispondenza: [email protected].

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1. Introduzione

La realizzazione di progetti sociali rappresenta una modalità efficace per contrastare

l'isolamento, l'impoverimento e l'esclusione sociale talvolta sofferta da alcune fasce della

popolazione. Essi possono rappresentare, altresì, uno strumento utile a sviluppare la

partecipazione dei cittadini alla vita pubblica (Ripamonti e Vitale, 2009). Il sistema di

welfare attuale vede il coinvolgimento di diversi enti, di natura pubblica, privata e del terzo

settore (Ferrera e Maino, 2011; Ascoli, 2011; Martelli, 2006), impegnati nel finanziamento

della produzione di servizi alla persona. Tra questi le fondazioni filantropiche svolgono un

ruolo complementare (e talvolta sostitutivo) rispetto a quello delle istituzioni pubbliche,

seppur in misura crescente.

L'articolo tratta dell'esperienza del bando in tema di sviluppo della coesione sociale

nelle comunità territoriali promosso dalla Fondazione Cariplo di Milano nel 2008 e attuato

nel triennio 2010-12. L'ente erogatore sottolineava nel bando alcuni dei problemi che

affliggevano le comunità locali fossero: le difficoltà vissute da famiglie e dalle agenzie

educative ad assolvere compiti loro tradizionalmente assegnati (educativi, assistenziali, di

recupero ed integrazione sociale), l'aumento del numero di situazioni di solitudine patita

dai cittadini, l'acuirsi della difficoltà delle persone di convivere con culture diverse dalle

loro; l'emersione di fenomeni di conflittualità e di insicurezza come parte di un processo

crescente di disagio diffuso. In contesti simili, le relazioni sociali nelle comunità

apparivano limitate così come anche la partecipazione dei cittadini alla vita sociale e

pubblica.

Con il bando in esame (che, complessivamente, sfiora i 10 milioni di euro), quindi,

Fondazione Cariplo ha inteso finanziare l'attività di enti del terzo settore (in alcuni casi in

collaborazione con enti pubblici) per la realizzazione di attività in grado di accrescere la

coesione sociale nelle comunità1. Ciò doveva avvenire, nell'intenzione dell'ente erogatore,

tramite la creazione di innovazione sociale nei territori. Il processo di selezione dei progetti

da finanziare è avvenuto a seguito di un processo valutativo a due fasi. In una prima fase è

avvenuta la selezione di 21 progetti (a fronte di 56 proposte) ammesse al contributo per

uno studio di fattibilità operativa. Nella seconda fase è avvenuta la vera e propria selezione

dei progetti da ammettere al contributo per la realizzazione delle attività. A conclusione del

processo valutativo sono stati scelti 13 progetti che hanno avuto realizzazione in altrettanti

territori.

La discussione sulla promozione del benessere sociale tramite progetti nelle

comunità locali è stato esplorato in letteratura da diversi studi (tra gli altri, Magistrali,

2003; Ingrosso, 2006). Gli interventi sono stati ampiamente discussi soprattutto in merito

alla governance e alle relazioni instaurate tra i partner coinvolti nelle iniziative (si veda,

tra gli altri, Boccacin, 2009; Bramanti 2010). In altri casi, sono state approfondite le

"buone pratiche" di progetti per la coesione sociale relative a diversi strumenti di azione

quali, ad esempio, le riqualificazioni urbane e gli orti sociali (Paltrinieri e Draghetti, 2012;

Bartoletti, 2012); i luoghi per promuovere l'interculturalità (Bramanti, 2011); le attività in

tema di reinserimento sociale di persone con disagio (Bartoli et al., 2013; Causin e De

Pieri, 2006) oppure le politiche culturali per l'inclusione (Bodo e Da Milano, 2004).

1 Una definizione ben precisa degli interventi da attuare, e sul concetto di coesione sociale da perseguire, non

fu definita dall'ente erogatore. La Fondazione lasciò ampio margine agli enti di decidere quali azioni ed

interventi fossero utili, e secondo quali modalità.

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Diversamente dalla letteratura prevalente sul tema, lo studio non affronta, se non in

via limitata, i caratteri della governance dei progetti e i rapporti fiduciari instauratesi tra gli

enti dal punto di vista della loro efficacia nel garantire il perseguimento degli obiettivi

desiderati. Piuttosto, il focus della nostra analisi riguarda i "caratteri attuativi" del bando

concentrando l’analisi sulle azioni implementate. Lo studio presenta un confronto

sistematico di un numero considerevole di progettazioni, finanziate allo stesso tempo e

avvenute in tredici territori. A seguito di un'analisi qualitativa delle esperienze, integrata da

interviste in profondità realizzate con i responsabili degli enti nelle diverse progettazioni,

l'articolo intende: i) descrivere i tipi di azione implementati in modo trasversale tra progetti

discutendo, a seguito di un confronto tra esperienze (dello stesso tipo) di successo e di

insuccesso, eventuali buone pratiche emergenti dall'analisi della loro diversa realizzazione;

ii) proporre riflessioni in merito ad alcuni caratteri trasversali riscontrati tra progetti e tra

azioni che appaiono essere legati al buon esito nel raggiungimento degli obiettivi

perseguiti. Seppur i risultati non possano essere, evidentemente, facilmente

generalizzabili, essi danno alcune indicazioni utili alle istituzioni pubbliche, alle

Fondazioni e agli enti impegnati nell'ambito delle progettazioni esame rivolte

all’accrescimento della coesione sociale territoriale.

L'articolo è strutturato come segue. Nel secondo paragrafo sono descritti i tratti

fondamentali della lettura in tema di coesione e di innovazione sociale che saranno

utilizzati come punto di riferimento per la valutazione degli elementi di successo (o di

insuccesso) riscontrati nelle progettazioni. Il terzo paragrafo discute i caratteri e le buone

pratiche emerse dall'analisi di diversi tipi di azione implementati in modo trasversale nelle

diverse comunità locali. Infine, il quarto paragrafo conclude con alcune riflessioni in

merito agli elementi e alle condizioni esterne che sembrano favorenti il raggiungimento

degli obiettivi prefissati in termini di coesione e di innovazione sociale.

2. Letteratura

Le buone pratiche che si intendono analizzare vanno intese con riferimento a due specifici

variabili: la coesione sociale e l'innovazione sociale. Infatti, il bando della Fondazione

Cariplo analizzato intendeva favorire la coesione sociale e, ciò, nell'intenzione dell'ente

erogatore, doveva attuarsi tramite modalità innovative dal punto di vista sociale. Va da sé

che l'interesse, dal punto di vista della ricerca empirica, può considerare l'emergere di

buone prassi per il raggiungimento di tali obiettivi. Al fine di valutare gli esiti delle

progettazioni secondo le variabili considerate, assume però chiara rilevanza la possibilità di

individuare elementi di successo dei progetti, in riferimento agli obiettivi prefigurati.

La letteratura in tema di coesione e di innovazione sociale risulta essere

particolarmente ampia e non raggiunge una definizione condivisa per i due concetti, anche

a causa della loro multidimensionalità. Per quanto riguarda il tema della coesione sociale, i

primi richiami teorici sono già riconducibili in Durkheim (1893) e Parsons (1949). Un

contributo fondamentale sul tema si trova però in Lockwood (1999) dove, nel tentativo di

stabilire una definizione precisa di coesione sociale, l'autore declina la coesione sociale

come "a state of strong primary networks (link kinhsip and local voluntary organizations)

at communal level". A fronte dell'assenza di definizioni condivise nella letteratura

accademica, la capacità evocativa dello stesso concetto fa appello (e ne viene diffusamente

utilizzato) all’azione politica di numerose istituzioni pubbliche, organizzazioni, gruppi di

interesse, nell'ambito del dibattito sulle politiche pubbliche. Il governo canadese fu il

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primo a definire, nel 1996, la coesione sociale come: "the ongoing process of developing a

community of shared values, shared challenges and equal opportunity within Canada

based on a sense of trust, hope and reciprocity of all Canadians” (Jenson, 1998). Negli

stessi anni anche diversi altri governi europei, in particolare quello francese, oltre che gli

organi dell'Unione Europea (si pensi al riferimento alla coesione sociale nei Fondi

Strutturali Europei) hanno spesso fatto riferimento al tema seppure senza però mai

giungere ad una definizione precisa dei suoi elementi costitutivi.

Non a caso Bernard (1999) arrivò a sostenere che l'uso del termine "coesione

sociale" che ne era stato fatto fino ad allora fosse riferibile in realtà a un "quasi-concetto",

cioè un termine utilizzato in diverse situazioni e con i più svariati significati logici dal

policy makers, sovente al solo fine di ottenere consenso. Lo stesso autore, sviluppando

un'idea originariamente avanzata da O'Connor (1998) sulla base di analisi testuale di

dibattiti pubblici di alcuni attori rilevanti in tema di coesione sociale, concluse che il

concetto potesse essere riconducibile a tre dimensioni distinte: i) economica (uguaglianza

vs disuguaglianza), ii) politica (partecipazione vs passività) e iii) socio-culturale

(appartenenza vs isolamento)2. L’analisi di Bernard (1999) è stata la prima a cercare una

definizione chiara del concetto di coesione sociale seppur basata su più dimensioni. Diversi

altri autori hanno dato seguito al dibattito sulla definizione di coesione sociale. Ad

esempio, Chan (2006) ha sostenuto che la dimensione economica non dovesse essere

inclusa, in quanto non rappresenterebbe un tratto costitutivo bensì un effetto della coesione

sociale. Lo stesso autore ha anche suggerito che vadano presi in considerazione solo gli

effetti sugli aspetti relazionali (tra persone e con le istituzioni) tra le dimensioni elencate da

Bernard (1999). Berger-Schmitt (2000), rifacendosi agli studi precedenti (Dahrendorf,

1995; Jenson, 1998; Berger, 1998; O’Connor,1998; Woolley, 1998; McCracken, 1998), ha

invece proposto una definizione meno articolata dello stesso concetto basata su due sole

dimensioni: a) la riduzione delle disparità, delle disuguaglianze e dell’esclusione sociale, e

b) la forza delle relazioni sociali, interazioni e legami tra persone. Lo schema concettuale

di Bernard (1999) ci sembra però di più facile applicazione nell’analisi empirica, perché

evita il riferimento a concetti (quale quello di “forza” o di “intensità”) misurabili solo

arbitrariamente 3 . Per questo nell'analisi delle buone pratiche presentata di seguito, si

utilizzeranno queste categorie interpretative per misurare la capacità delle azioni di avere

effetti sulla coesione sociale.

Per quanto riguarda il tema della innovazione, il primo studioso ad essersi occupato

di tale materia, in senso lato, è certamente Joseph Schumpeter. Solo a partire dagli ultimi

decenni, però, tale concetto è stato utilizzando anche nell'ambito delle politiche sociali. In

modo analogo a quanto descritto per la coesione sociale, anche in tema di innovazione

sociale il termine è stato spesso adoperato con molteplicità di significati. È stato impiegato,

ad esempio, con riferimento alle trasformazioni radicali che hanno riguardato le politiche

sociali (si pensi a quelle in campo educativo, della sanità, etc.), così come è stata chiamata

in causa anche rispetto a cambiamenti di tipo organizzativo, capaci di migliorare efficienza

e la competitività delle organizzazioni sociali. L'OECD ha definito l'innovazione sociale in

termini di attivazione di nuove forme di partecipazione al governo del territorio in grado di

favorire un miglioramento della qualità di vita degli individui e della comunità in generale

(OECD, 2011). La letteratura sul tema dell'innovazione sociale si interseca e pone le basi

2 Il nostro interesse sta nella valutazione dei caratteri “sostanziali” della coesione sociale (cioè effettivi,

riscontrabili nelle attività delle persone) rispetto a quelli di tipo “formale” (solo di principio generale, legati

ad attributi della società) così come anche discussi nel lavoro di Bernard (1999). 3 Altre applicazioni dello stesso schema concettuale in Acket et al., 2011 e Dickes e Valentova, 2012.

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in quella relativa alla rigenerazione urbana, intesa come l'insieme di interventi volti a

modificare i fattori ambientali, economici e sociali di una determinata area, capaci di

attivare processi e di mobilitare interessi e risorse endogene nelle comunità locali (Cottino

e Zandonai, 2012)4. Tra gli studi che hanno tentato di dare sistematicità ai contributi sulla

definizione del concetto di innovazione sociale, vi è senza dubbio il contributo di Moulart

et al. (2005). Anche in questo caso prevale una definizione multidimensionale del concetto

stesso (si veda anche The Young Foundation, 2012). Secondo Moulart et al. (2005)

l'innovazione sociale è riferibile a tre dimensioni: a) prodotto (il soddisfacimento di

bisogni e necessità delle persone), b) processo (il cambiamento nelle relazioni sociali, nel

modo di operare, e delle connessioni esistenti in un determinato contesto, con particolare

riferimento alla governance dei processi); c) empowerment (l'aumento dell'accesso alle

risorse disponibili delle persone, l'incremento del loro impegno fattivo e autonomo

nell’accrescere il benessere della comunità dove vivono). La classificazione proposta

consente di apprezzare in modo analitico le dimensioni che i diversi interventi sociali

possono aver attivato nelle loro azioni dell'innovazione sociale rilevanti. Tale schema

logico sarà quindi utilizzato, in combinazione con le dimensioni della coesione sociale,

come base di analisi per discutere le buone pratiche che andiamo a presentare.

3. Alla ricerca di buone pratiche

Lo scopo di questo paragrafo è quello di indicare buone prassi nelle azioni per la coesione

e l'innovazione sociale a partire dall'esperienza del bando in esame. Dall'analisi delle 13

progettazioni finanziate da Fondazione Cariplo, abbiamo inizialmente identificato le azioni

ricorrenti attraverso i diversi progetti, e successivamente, dopo una breve descrizione,

passiamo ad un confronto tra azioni analoghe che abbiano dato esiti divergenti, con

l’intenzione di arrivare a definire cosa costituisca l’insieme delle buone pratiche.

Dalla ricognizione delle azioni implementate 5 nei diversi territori si ha

l’impressione che molte di esse abbiano avuto luogo secondo modalità simili. In

particolare, le azioni poste in essere possono essere ricondotte a nove diverse tipologie6:

1. Spazi polivalenti/multifunzionali e luoghi informali di aggregazione per la

collettività;

2. Interventi nei caseggiati legati al tema dell’abitare;

3. Riqualificazioni urbane (ad eccezione di quelle di cui al punto precedente) e orti

pubblici;

4. Iniziative di tipo artistico-culturale;

5. Scambio e integrazione interculturale (azioni indirizzate agli stranieri);

6. Sportelli (di vario tipo);

4 Altri, come per esempio Hamalainen e Heiskala (2007) hanno sottolineato come l'’innovazione sociale vada

considerata dal punto di vista contingente, in considerazione cioè degli elementi di novità prodotti

nell’ambito di uno specifico territorio, o campo d’azione, entro i quali la stessa ha esito. 5 Per una descrizione più dettagliata, si veda il rapporto finale di ricerca. 6 La classificazione, che ha tratto ausilio da un'attenta consultazione delle fonti documentali e da interviste in

profondità con i responsabili delle tredici progettazioni, rappresenta una evidente "riduzione" della realtà

verso un numero di variabili operazionalizzabili. Va da sé che i confini delle varie azioni non siano sempre

nettamente definibili e che in alcuni casi esse potevano anche intersecarsi tra di loro. Per ragioni analitiche si

è cercato di operare una classificazione il più possibile netta e al riparo da problemi di sovrapposizione tra le

attività.

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7. Attività di formazione e di accompagnamento al lavoro;

8. Lo sport come veicolo di coesione sociale;

9. Attività a favore di specifiche categorie deboli (es. giovanti devianti, disagi

psichici, etc.).

Le attività elencate sono esaustive di quelle realizzate nei diversi territori e

permettono di rappresentare in modo adeguato le principali tipologie di azioni messe in

campo in modo trasversale dagli enti. Nel proseguo del paragrafo, quindi, si discutono

alcune delle loro principali caratteristiche e possibili buone pratiche emergenti dalle

diverse realizzazioni territoriali.

3.1 Gli spazi polivalenti e multifunzionali e i luoghi informali di aggregazione

Una delle attività più frequentemente realizzata dai progetti è stata l'apertura di spazi

polivalenti multifunzionali e la costituzione di luoghi informali che sono divenuti punti

d'incontro e di aggregazione per le collettività locali7. I centri polivalenti e multifunzionali

sono spesso nati a partire dalla riqualificazione di edifici in cattivo stato di conservazione

che, a seguito di una ristrutturazione edilizia, sono divenuti luoghi aggregativi per la

comunità locale e non solo (come ad esempio per i progetti Rozzano Si-Cura o

PublicBridges). In alcuni casi tali spazi sono divenuti punti di riferimento anche per altre

realtà associative che hanno trovato ospitalità presso le sedi ristrutturate. In alcuni altri casi

i luoghi messi resi a disposizione della collettività erano invece di tipo informale (o

virtuale) ma sono comunque diventati, alla stregua degli spazi fisici di cui sopra, luoghi di

incontro di tipo aggregativo (come la creazione di un mercato a filiera corta implementato

nel progetto Legami Comunitari, o alla radio web nata dal progetto Campi di coesione e

Punto e Linea). Il numero di progetti che hanno creato spazi polivalenti e luoghi informali

di aggregazione è stato pari a 8 su 13.

La principale funzione dei luoghi aggregativi nel perseguimento della coesione

sociale è stata indubbiamente quella di aver favorito le relazioni (aspetto sociale della

coesione sociale) tra differenti fasce della popolazione, mettendo in contatto tra di loro

persone che altrimenti difficilmente ne avrebbero avuto l’occasione. L’apertura di questi

spazi ha contribuito da un lato a diminuire il senso di isolamento vissuto da alcuni soggetti

e, dall'altro, ad aumentare il loro senso di appartenenza alla comunità. La possibilità di

incontrarsi e di avere a disposizione dei luoghi per farlo (in territori, ricordiamo, spesso

privi di spazi del genere) è divenuta l’occasione per molte persone di costruire nuovi

legami sociali (per esempio, i giovani con gli anziani, gli stranieri con i nativi, etc.). I

luoghi di aggregazione hanno agito, seppur in modo più limitato, anche sulla dimensione

politica della coesione sociale nella misura in cui hanno dato la possibilità agli individui di

partecipare al “governo del territorio”. Quando la partecipazione è avvenuta, gli spazi

polifunzionali sono serviti per favorire l’instaurarsi di nuove relazioni tra enti, persone e

istituzioni, mettendo in moto processi partecipativi e auto-organizzativi inediti. Come

affermano alcuni studi (Aiken et al. 2008), la disponibilità di luoghi per l’aggregazione

rende, infatti, possibile la costituzione di veri e propri “laboratori per la formazione” per

l’acquisizione di nuove competenze sociali, che si pongono come punto di riferimento e

7 Sebbene questi luoghi presentino caratteristiche simili tra di loro, ognuno di essi si è sviluppato secondo

uno specifico percorso di tipo organizzativo-gestionale degli spazi e di utenza specifico ai singoli contesti.

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fulcro attrattivo delle forze e delle energie presenti sul territorio, potenziando la capacità

progettuale degli individui nella rielaborazione dell’interesse collettivo. La condivisione di

spazi fisici stimola infatti nelle persone la ricerca di possibili sinergie e interdipendenze,

che costituiscono la base per lo sviluppo del senso di comunità e di attivazione degli

individui (Cottino e Zandonai, 2012).

È evidente la portata innovativa di questo tipo di azioni che tocca sia la dimensione

di processo, sia di prodotto che di empowerment. In prima istanza, questi spazi sono stati

delle novità assolute in quasi in tutti i territori, e hanno permesso di soddisfare il bisogno di

socialità che, in molti casi, era particolarmente sentito (innovazione di prodotto). In più, gli

spazi aggregativi hanno dato la possibilità agli enti e alle persone di “ritrovarsi sotto ad uno

stesso tetto”, favorendo la nascita di nuove forme di collaborazione e di sperimentazione di

modalità operative innovative (innovazione di processo). Gli individui e le organizzazioni

hanno avuto modo di acquisire nuove competenze e si sono spesso rese protagoniste di

cambiamenti importanti anche dal punto di vista del governo del territorio (empowerment).

La creazione di strutture aggregative appare senz’altro positiva ai fini della

coesione e dell'innovazione sociale. Tuttavia, per un corretto sviluppo di questi spazi

sembra essenziale tenere conto di alcuni criteri gestionali degli enti che ne trattano

l'organizzazione, in modo da evitare che le attività proposte siano fini a se stesse, ma

generino processi effettivamente in grado di autosostenersi. A tal proposito, i caratteri

prevalenti dei progetti di successo, dimostrano che elemento necessario sia in questo caso

che questi luoghi vengano gestiti in modo partecipato, con modalità di tipo auto-

organizzativo, con una forte attivazione di gruppi di volontariato. Le attività e le proposte

progettuali dovrebbero essere strutturate affinché le persone e le associazioni si trovino

necessariamente a condividere e sviluppare in modo cooperativo idee e pratiche. Senza

questa attenzione vi è il rischio che possano prevalere interessi specifici di parte. È per

esempio il caso, non raro, verificatosi nel progetto di Arcipelago Mazzini 3.0 dove

l'apertura degli spazi era gestita da singoli enti senza la collaborazione di altri, né della

comunità locale: la scelta di un ente di abbandonare il territorio ha di fatto comportato la

chiusura di spazi collettivi.

3.2 Interventi nei caseggiati

Molti dei quartieri nei quali sono stati realizzati i progetti sono aree ad elevata densità

abitativa e/o quartieri ad edilizia residenziale pubblica. I caseggiati localizzati in quelle

zone sono spesso degradati dal punto di vista architettonico e, al degrado ambientale è

sovente associata un’accentuata mancanza di reti relazionali tra le persone che li abitano.

Molti dei progetti hanno quindi predisposto delle attività per riqualificare le aree sia dal

punto urbano sia dal punto di vista delle relazioni sociali tra i residenti (7 progetti sui 13

considerati).

Le azioni attuate a tale scopo sono state molteplici. Per citarne solo alcune:

l’organizzazione di eventi di tipo aggregativo presso le aree comuni dei caseggiati

(PublicBridges e Punto e Linea); gli interventi per favorire la risoluzione di difficoltà di

tipo economico (in particolare, per favorire la risoluzione di morosità di lieve entità, o il

micro-credito per attività di ristrutturazione) legate a questioni abitative (Campi di

Coesione, S-cambiO, Agorà); le opere di riqualificazione strutturale dei caseggiati, negli

interni o negli spazi comuni (POLIS, Legami Comunitari, PublicBridges). In altri casi,

sono state ideate azioni volte a favorire buoni rapporti di vicinato (S-cambiO), oppure sono

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stati definiti in modo innovativo (partecipato) i regolamenti condominiali (i Patti di

condominio nel progetto Ai confini della casa)8.

Le azioni in discussione hanno avuto impatto su diversi aspetti della coesione

sociale e, soprattutto, sulla sua dimensione politica. Tramite i progetti sono state attivate, in

diversi casi, forze endogene presenti nelle diverse comunità che hanno promosso

meccanismi di partecipazione collettiva e di auto-governo del territorio (in questo caso il

condominio – comitati di caseggiato). Come descritto in letteratura, tali meccanismi

risultano particolarmente importanti dal punto di vista sociale poiché possono innescare

importanti processi di apprendimento collettivo e di innovazione della governance nelle

comunità locali (Piselli, 2005). Dal confronto tra le diverse realtà progettuali prese in

esame, affinché ciò si verifichi è apparso generalmente fondamentale una sorta di

"accompagnamento" da parte di personale qualificato degli enti in grado di conoscere e

saper gestire, la complessa dinamica delle relazioni esistente nei caseggiati. In alcuni

progetti gli interventi hanno avuto effetti anche sulla coesione sociale nella sua dimensione

socio-culturale favorendo l’uscita da situazioni di isolamento sociale vissuta da alcuni

abitanti dei condomini, soprattutto tramite la creazione di reti sociali tra vicini di casa

(oltre che feste ed eventi comuni nei caseggiati). Se le feste sono state generalmente un

successo per gli organizzatori, la creazione di reti di mutuo aiuto è stata difficoltosa ed

ampiamente dipendente dalle capacità degli enti di individuare persone “chiave” all’interno

di reti relazionali già esistenti (non sempre di facile identificazione).

Diverso è il discorso per quanto riguarda le azioni intervenienti sulla dimensione

economica della coesione sociale. Va detto che, in questo caso, i risultati non sono stati

generalmente raggiunti e spesso i progetti si sono scontrati contro l’impossibilità materiale

di attivare le azioni progettate. Molto probabilmente, il livello di interlocuzione individuato

dagli enti è stato troppo elevato. Emblematico è il progetto Campi di Coesione che aveva

previsto, grazie anche all’ottimismo dell’inizio attività, la possibilità di rendere disponibile

agli abitanti dei caseggiati lo strumento del micro-credito quale metodo per ottenere

finanziamenti utili alle piccole ristrutturazioni di casa. Era stata messa in campo anche una

partnership con una locale banca. Il Comune locale non ha potuto però far fronte, per

ragioni di bilancio, all’impegno di costituire il relativo fondo di garanzia e l’azione non ha

avuto luogo.

Rispetto all’innovazione sociale gli interventi hanno spesso comportato un

rafforzamento delle competenze relazionali e delle capacità auto-organizzative degli

abitanti: ne è evidenza la promozione di alcuni comitati di inquilini. L’impatto è

percepibile, quindi, soprattutto sul versante dell’empowerment. Inoltre, gli abitanti hanno

spesso sperimentato nuove forme di collaborazione e sono stati responsabilizzati con un

"trasferimento di potere" che poche volte avevano conosciuto in precedenza (innovazione

di processo). In alcuni progetti, le iniziative hanno comportato innovazioni di prodotto

(nuovi strumenti) anche se limitatamente, dato che molte azioni hanno avuto luogo in

quartieri storicamente a vocazione prevalente di edilizia residenziale pubblica, spesso già

destinatari in precedenza di altri interventi.

Si intende infine richiamare che non è sempre sufficiente il coinvolgimento di

gruppi di inquilini, ma occorre instaurare rapporti fattivi con le controparti pubbliche. Nel

caso del progetto POLIS, dopo una prima fase di facile coinvolgimento degli inquilini in

8 Nel caso dei progetti Arcipelago Mazzini 3.0 ed Agorà, il rafforzamento delle forze interne al condominio

ha incoraggiato il coinvolgimento diretto dei residenti con la creazione di comitati inquilini o la costituzione

di figure e “gruppi ponte” in grado di tessere legami importanti per l’integrazione degli individui nelle

comunità locali (Granovetter, 1973).

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attività rivendicative verso la proprietà, il progetto si è arenato, fino ad arrivare ala

sospensione dello stesso a causa delle difficoltà relazionali sorte tra gli enti del partenariato

e la locale Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale (ALER), proprietaria, in larga

parte, degli stabili coinvolti dal progetto stesso. Al contrario, hanno avuto esiti positivi le

attività nelle quali gli enti hanno fatto fronte agli ostacoli posti dal difficile rapporto con

ALER modificando l'azione verso il coinvolgimento dei residenti in attività di auto-

gestione degli stabili di vario tipo sulla base di professionalità esistenti tra gli inquilini

senza attendere un riscontro, normalmente mai fattivamente giunto, da parte della proprietà

(un esempio in questo senso è Arcipelago Mazzini 3.0).

3.3 Riqualificazioni urbane e orti

Le opere di riqualificazione urbana e, soprattutto, gli orti sociali sono due interventi

incentrati sulla sistemazione degli arredi urbani dei quartieri che spesso si sono intrecciate.

Il primo ha generalmente riguardato la partecipazione diretta dei cittadini alla

risistemazione e all’adeguamento estetico di alcuni luoghi dei quartieri (piazze, parchi,

etc.); il secondo ha rappresentato uno strumento utile al miglioramento delle condizioni di

alcune aree verdi pubbliche. Il denominatore comune delle iniziative è stata la costruzione

di reti di relazione (tra famiglie e tra generazioni diverse) che ha generato il collante della

partecipazione alle attività di riqualificazione. In 5 progetti su 13 sono state messe in atto

azioni di questo tipo e, complessivamente, gli esiti sono stati positivi sotto diversi punti di

vista.

Le attività hanno avuto un impatto positivo sulla dimensione socio-culturale della

coesione sociale sostenendo l’aumento di scambi di tipo relazionale tra soggetti che

difficilmente avrebbero avuto occasioni di contatto come, per esempio, i giovani e gli

anziani (orti pubblici in L’Arco e Le Pietre, Diapason o Punto e Linea). La creazione di

diversi gruppi di lavoro è stata occasione di confronto e di aggregazione, e questo ha

prodotto effetti in termini di riduzione dell’isolamento sociale vissuto da alcuni soggetti.

Grazie ai corsi formativi e agli incontri di carattere ludico che periodicamente si

svolgevano nell’ambito delle attività in tema di verde pubblico, è stato poi attivato un

trasferimento di competenze e di abilità che hanno arricchito le persone con risorse

spendibili anche in altri contesti. Se l’impatto sulla coesione sociale di tipo socio-culturale

è accentuato, quello sulla dimensione di tipo politico della coesione sociale appare più

limitato e ciò è particolarmente evidente in riferimento agli orti pubblici, che ha

rappresentato l’intervento più diffuso in questo contesto. Effetti sulla coesione sociale di

tipo politico sono infatti riscontrabili in pochi casi: per esempio, nel progetto Legami

Comunitari i cittadini e il Comune locale hanno collaborato per superare le difficoltà

burocratiche legate alla proprietà dei terreni (poi concessi in comodato d’uso),

all’attribuzione anche a un gruppo di famiglie di orti (usualmente sono gli anziani ad

esserne assegnatari) e ad altre questioni legate alla ristrutturazione degli orti stessi.

L’esempio del progetto Legami Comunitari è però stato più l’eccezione che la regola,

perché nella maggioranza dei casi queste azioni non sono state in grado di favorire una

maggior partecipazione dei cittadini al governo del territorio, limitandosi a incanalare le

richieste attivate dai progetti entro binari già esistenti e da tempo predisposti (come i

regolamenti urbani per l’attribuzione degli orti pubblici). Non va, infine, sottovalutata la

dimensione economica della coesione sociale di questi interventi: in alcuni progetti, infatti,

i prodotti coltivati presso gli orti sono serviti a sostenere i consumi alimentari delle

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famiglie coinvolte. In altri, essi sono stati addirittura indirizzati a persone che versavano in

condizioni di indigenza (ad esempio il “Montessori Market” del progetto Diapason).

Dal punto di vista dell’innovazione sociale si può affermare che, seppur con gradi

d’intensità diversi, l’attività in discussione riguardi tutti e tre i caratteri che abbiamo

individuato e che rendono un intervento innovativo sul piano sociale. L’aspetto principale

è quello dell’empowerment. Grazie agli interventi in questo ambito i beneficiari hanno

sicuramente acquisito competenze utili al rafforzamento delle proprie capacità personali da

utilizzare in modo collettivo a beneficio dell’intera comunità locale (la riqualificazione del

territorio). Le attività in tema di orti pubblici e di riqualificazione di luoghi urbani sono

altresì innovative sul piano del prodotto, in quanto hanno presentato azioni spesso inedite

in quei contesti. In termini di processo, osserviamo un certo grado di innovatività rispetto

alla gestione di alcuni spazi pubblici (soprattutto per quanto riguarda la compartecipazione

privato-pubblico nella gestione delle aree verdi), mentre nella gestione degli orti

l’innovazione di processo appare minore visto che già i regolamenti comunali, almeno

teoricamente, riservavano aree verdi della città alla coltivazione di prodotti alimentari agli

over 65enni. L’innovazione di processo è particolarmente visibile in quei progetti dove gli

abitanti sono stati coinvolti dall’ente pubblico nella stesura di nuovi regolamenti

urbanistici, nell’ambito di un processo partecipativo, Ciò è avvenuto nei quartieri dove è

stato previsto, per esempio, lo smantellamento delle vecchie strutture adibite ad orto

pubblico e la loro rimodulazione secondo standard architettonici e funzionali moderni,

oppure dove gli orti sono stati resi accessibili oltre che agli anziani anche a diverse fasce

della popolazione (soprattutto famiglie e giovani).

In una visione d'insieme è utile infine richiamare che, per aumentare l’impatto

positivo sulla coesione e l'innovazione sociale di azioni questo tipo di azione occorre il

coinvolgimento della popolazione nei processi organizzativi e decisionali relativi alla

gestione delle attività e/o nel rapporto degli stessi con l’ente pubblico.

3.4 Attività ed eventi di tipo artistico-culturali

Più della metà dei progetti analizzati (8 su 13) hanno messo in campo attività a carattere

artistico e culturale. Tra queste si segnalano le azioni con carattere strutturato proposte in

modo continuativo (i laboratori artistici) e la redazione di giornali di quartiere e di book

fotografici (Rozzano Si-Cura e Legami Comunitari). Inoltre, ampia parte delle attività

realizzate ha riguardato eventi e manifestazioni culturali cui vanno aggiunte le

performance teatrali e di animazione dei quartieri, gli spettacoli musicali e le proiezioni di

film.

Queste azioni hanno assunto un ruolo importante nelle comunità locali poiché

hanno avviato meccanismi partecipativi in grado di coinvolgere molteplici attori

(organizzazioni e singoli individui) nella creazione dell’offerta culturale fornita ai

residenti. Ma non solo: le attività e gli eventi di tipo artistico-culturale hanno spesso

promosso la crescita di un’identità comunitaria condivisa. Il carattere fortemente simbolico

di alcune iniziative (i book fotografici in Legami Comunitari, per esempio) hanno

indubbiamente contribuito a rafforzare nei cittadini il senso di appartenenza al territorio

dove vivono e, di riflesso, il rispetto verso di esso e verso la comunità intera. Uno dei

caratteri che costituisce e rafforza il senso di appartenenza è, infatti, un sistema condiviso

di simboli (Amerio, 2000). Questa tipologia d’intervento ha avuto un impatto sulla sfera

socio-culturale e, seppur in modo più limitato, su quella politica della coesione sociale. A

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tale proposito, si citano le attività laboratoriali che sono servite a coinvolgere le famiglie in

percorsi legati all’hobbistica (“Botteghe dei genitori” in Campi di Coesione) mettendole in

relazione tra di loro. In altri casi, le attività ed eventi di tipo artistico-culturali sono servite

per coinvolgere nella vita di quartiere anche i cittadini stranieri (ad esempio il comitato

stranieri “Avanti Insieme”, impegnato nella programmazione dell’evento Popolando-MI in

Rane Volanti, o gli incontri di approfondimento su temi economici di POLIS) in unione

con persone autoctone favorendo la nascita di nuovi legami sociali e la partecipazione alla

vita comunitaria. Gli eventi culturali rappresentano quindi un motore capace di mettere in

rete una serie di attori eterogenei ma accumunati da un medesimo obiettivo, contribuendo

allo sviluppo e alla costruzione delle comunità locali (Sciolla, 2002 e Vitale, 2009).

Le azioni sono state realizzate con modalità spesso innovative sia in termini di

prodotto (attività normalmente nuove per le comunità locali), sia di processo. Dal punto di

vista dell’innovazione di processo va infatti sottolineato che l'organizzazione delle attività

ha richiesto una pianificazione partecipata tra enti e gruppi di persone coinvolte

nell’organizzazione, soprattutto rispetto ai grandi eventi popolari e alle manifestazioni di

tipo culturale. Dal punto di vista dell’empowerment le azioni in esame risultano essere

meno incisive nell’acquisizione di nuove competenze, anche perché non ne sono

conseguite applicazioni replicabili dalle comunità stesse. Quando questo è accaduto (si

veda il comitato stranieri Avanti Insieme in Rane Volanti) si è trattato di un’eccezione.

Le azioni in tema di attività ed eventi di tipo artistico-culturali si sono quindi

dimostrate generalmente capaci di perseguire con efficacia gli obiettivi che intendevano

perseguire. Comunemente a diverse altre tipologie di interventi tra quelli considerati,

appare fondamentale per il buon esito delle medesime l'effettivo coinvolgimento della

comunità da parte degli enti, sia dal punto di vista delle gestione delle iniziative da

proporre, sia del loro svolgimento. Seppur le attività siano state generalmente condotte con

modalità di tipo estemporaneo, se implementate con modalità a cadenza regolare appaiono

essere in grado di "stimolare" il tessuto sociale e di raggiungere gli obiettivi che si

proponevano in termini di accrescimento del legame tra abitanti e il territorio dove vivono.

Particolare attenzione va però posta alla creazione di reti di persone, volontarie, capaci di

apprendere sia le modalità di implementazione delle medesime sia di impegnarsi affinché

esse continuino ad esistere anche a seguito della fine delle progettazioni. Tuttavia ciò è

capitato raramente nei progetti presi in considerazione.

3.5 Scambio e integrazione interculturale

La diffusa presenza di cittadini di origine straniera tra gli abitanti dei quartieri oggetto

degli interventi, unita al fatto che questi spesso si trovano in situazioni di esclusione

sociale, ha portato in molti casi gli enti a formulare proposte di azioni che favorissero

l’integrazione culturale degli stessi. Ciò è avvenuto in 9 territori. Con le azioni in questo

ambito ci si prefiggeva con molta probabilità il superamento di quei fenomeni di

“etichettatura” (Ambrosini, 2005) che spesso affliggono gli stranieri che vivono in una

comunità quali minoranze. Tra le attività realizzate si citano le azioni riguardanti la

mediazione linguistica nell’ambito dell’esercizio del diritto alla salute (per esempio la

consulenza, da parte di operatori, presso punti di incontro e soprattutto nelle farmacie, per

la comprensione dei bisogni di carattere sanitario degli stranieri, in Campi di Coesione) e,

nella maggior parte dei progetti, l'attivazione di corsi di lingua volti all'integrazione dei

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migranti. In altri casi, gli stranieri sono stati coinvolti in attività ludiche e ricreative nonché

di carattere educativo (per esempio gli incontri su temi economici, in POLIS).

Gli interventi in esame hanno agito principalmente sulla dimensione socio-culturale

della coesione sociale intendendo coinvolgere maggiormente le persone di origine straniera

all’interno della comunità locale. Ciò è avvenuto, soprattutto, in considerazione del fatto

che spesso la forte coesione intra-gruppo tra le varie comunità straniere presenti nei diversi

territori tendeva ad accrescere l’isolamento sociale degli appartenenti. Gli enti hanno

spesso realizzato attività utili a rendere i cittadini stranieri meno isolati rispetto al resto

della comunità (eventi, corsi, etc.) creando occasioni di conoscenza reciproca con i nativi

e, altresì, con azioni volte a lenire le principali criticità che essi sperimentavano nella vita

quotidiana. Con questo tipo di interventi i progetti intendevano attenuare i legami “forti”

che esistono nelle comunità straniere, normalmente basati sui vincoli famigliari, e che

spesso precludono l'opportunità di accedere a risorse che potrebbero aiutarli a raggiungere

una maggiore integrazione (Ambrosini, 2005). Le attività realizzate hanno, in pochi casi,

garantito la partecipazione degli stranieri alla vita sociale dei luoghi dove vivono

garantendo ad essi, al più, la fruizione di servizi.

Nonostante l'importante potenziale di carattere innovativo, dal punto di vista

sociale, il contenuto innovativo delle iniziative poste in essere è stato piuttosto circoscritto

e in larga parte legato all’empowerment della comunità. Ciò è avvenuto, invero, nei casi in

cui gli stessi cittadini stranieri, a seguito delle attività loro indirizzate, hanno costituito

associazioni portatrici di nuove progettualità per la comunità locale (si vedano i progetti

Agorà e Rane Volanti). Ad eccezione del citato esempio delle consulenze in ambito

sanitario per persone di origine straniera, non si rilevano attività innovative dal punto di

vista del prodotto offerto, neppure in considerazione dello specifico contesto di riferimento

(diverse attività di enti del terzo settore erano già riferibili a tale ambito).

In linea generale, le attività appaiono costituire un'importante leva utile alla lotta

alla frammentazione sociale spesso registrata nelle comunità marginali. La conoscenza

dell'altro, lo sviluppo di socialità tra persone di diverse culture, l'apprendimento dei tratti

fondamentali delle stesse, oltre che l'offerta di alcuni servizi capaci di lenire situazioni di

difficoltà nell'integrazione nella vita comunitaria vissute da persone di origine straniera,

paiono essere azioni capaci di raggiungere gli obiettivi perseguiti. Particolare attenzione, in

questo caso, andrebbe però rivolta alla sperimentazione di soluzioni nuove per le comunità

locali. Gli interventi attuati sembrano aver ricalcato nella maggior parte dei casi

tradizionali attività già ampiamente sperimentate nel passato (corsi di cultura, feste, etc.)

senza l'attenzione alle specificità che la segmentazione sociale assume nei diversi territori.

3.6 Gli sportelli

Con il termine “sportelli” ci riferiamo a quegli spazi, luoghi fisici, che sono stati aperti (o

hanno proseguito e ampliato attività già avviate in precedenza) per fare fronte a bisogni e

necessità ritenuti rilevanti per la popolazione. Largamente diffusi (aperti, con diverse

modalità, in 7 progetti su 13), gli sportelli erano normalmente di tipo informativo

indirizzati a diverse fasce della popolazione e in grado di rispondere a diversi tipi di

bisogni e si sono posti all’interno del territorio come strumenti suppletivi ai servizi

pubblici già presenti in attuazione del welfare tradizionale.

Le attività degli sportelli incidono soprattutto sulla sfera socio-culturale della

coesione sociale poiché possono essere in grado di ridurre il senso di isolamento dei

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soggetti che trovavano delle risposte a propri bisogni che, altrimenti, rimarrebbero

probabilmente insoddisfatti. Essi sono però limitati alla fornitura di informazioni e non di

rado, di servizi (perlopiù pre-esistenti), senza garantire per questo il rafforzamento della

coesione sociale, in quanto si tratta di relazioni individualizzate tra fruitore dello sportello

ed ente erogatore del servizio.

Dal punto di vista dell’innovazione sociale essi non denotano elementi di

particolare novità per il territorio, sotto nessun punto di vista. Infatti, con il finanziamento

ottenuto dal bando in esame, nella totalità dei casi gli enti hanno garantito la continuità di

funzionamento (ed il corrispettivo potenziamento) di attività che già svolgevano

precedentemente in loco.

Complessivamente, gli interventi messi in campo non presentano particolari

modalità capaci di incidere sulle diverse dimensioni della coesione e dell'innovazione

sociale. Il rischio, in questo ambito, è che il finanziamento esterno sia il canale di

sostentamento prevalente degli sportelli per cui, al termine dei progetti l’erogazione di

informazione e servizi tende a tornare ai livelli pre-finanziamento (se non pure alla

chiusura) non appena le risorse economiche vanno ad esaurirsi. Salvo dedicare tempo ed

energia alla ricerca di altri finanziamenti per la prosecuzione nel tempo dei progetti stessi.

Ciò è avvenuto ed è stato registrato nelle testimonianze di diversi operatori del settore che

abbiamo avuto modo di conoscere. Se, come noto, l'interesse dei finanziatori dei progetti

sociali non è garantire il funzionamento degli enti del terzo settore bensì l'impatto sulla

comunità locale, preme quindi rilevare che buona prassi per un efficace modalità di

intervento in questo ambito dovrebbe essere quella di favorire l'attivazione di gruppi di

volontari che, qualora inseriti nella gestione degli sportelli, oltre ad un possibile contributo

innovativo in termini di gestione (idee, modalità organizzative) ne favoriscano un reale

"potenziamento"9.

3.7 Attività di Formazione/accompagnamento lavorativo

Uno dei problemi sociali sui quali si sono concentrate le attività di alcuni progetti è stato

quello relativo al lavoro (6 progetti su 13). In diversi casi, a seguito dello studio di

fattibilità, una parte della cittadinanza aveva manifestato l’esistenza di un serio problema

occupazionale. Tale problematicità era particolarmente rilevante per alcune fasce della

popolazione, quelle con minori capacità spendibili sul mercato del lavoro. A fronte dei

citati bisogni, in alcuni territori sono stati realizzati percorsi formativi allo scopo di dotare

le persone di alcune competenze desiderabili dalle aziende (Ai confini della casa,

Diapason, PublicBridges). Gli enti si occupavano anche di favorire l’inserimento nel

mercato del lavoro di coloro che prendevano parte all’iniziativa contemplando, in alcuni

casi, tirocini presso le imprese. In altri casi, sono stati invece ideati invece percorsi

formativi intesi a incoraggiare l’auto-imprenditorialità.

Le attività di formazione e di accompagnamento lavorativo non sembrano avere

avuto esiti particolarmente positivi nonostante gli sforzi e le energie investite da parte di

diversi enti. Va ricordato, al riguardo, che le azioni erano state progettate in un periodo in

cui la crisi economica non aveva ancora dispiegato appieno i suoi effetti e, di conseguenza,

9 E' il caso del progetto Arcipelago Mazzini 3.0 dove gli sportelli vengono ora gestiti da ARCI Milano in

maniera continuativa e si basano sull’aiuto di numerosi volontari (tra cui un consistente numero di avvocati)

che prestano il loro servizio gratuitamente, essendo stati a suo tempo attivati tramite l’attività progettuale.

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gli interventi erano stati graduati sulla base di condizioni del mercato del lavoro meno

complicate rispetto a quelle verificatesi durante il triennio di attuazione progettuale. La

situazione economica si è infatti fortemente deteriorata tra 2010 e 2012 e i problemi

occupazionali hanno interessato, in modo sempre più ampio, nuove fasce della

popolazione. Questo scenario, inaspettato e fortemente critico, ha reso ancor più difficile il

raggiungimento degli obiettivi prefissati con esiti limitati in tutti i progetti.

È soprattutto la sfera economica della coesione sociale ad essere stata interessata

dalle attività di formazione e di accompagnamento lavorativo anche se, evidentemente, la

volontà di favorire l’inserimento nel mercato di alcuni soggetti ha evidenti ripercussioni

anche in termini di vita sociale dei soggetti interessati (aspetto socio-culturale). Essi sono,

quindi, importanti per lo sviluppo della coesione sociale. Molto spesso, infatti, la mancanza

di un’occupazione è vissuta dai soggetti che ne sono colpiti come uno stigma sociale che

rende difficile la partecipazione alla vita comunitaria. Come sottolineato da alcuni autori

non sono rari i casi in cui alle difficoltà di carattere lavorativo si associano fenomeni di

deprivazione e di esclusione sociale (Ranci, 2002; Schizzerotto, 2002).

In chiave di innovatività sociale il tipo di azione in discussione presenta caratteri

tradizionali, ad eccezione dell'intervento di Diapason, in cui sono state intraprese soluzioni

interessanti ed innovative (gestione dei chioschi negli stadi da parte dei ragazzi stranieri).

Dal punto di vista delle buone pratiche, l’esito delle azioni appare legato alla

capacità degli enti di proporre soluzioni innovative, non basate sulle tradizionali politiche

attive, che costituiscono lo standard in questo campo delle politiche pubbliche. In

particolare, appare rilevante la costituzione da parte degli enti di un’ampia rete di aziende

che si rendano disponibili a partecipare all’iniziativa progettuale e, magari, ad assumere

persone in cerca di occupazione o, in altri casi, ospitare tirocinanti.

3.8 Attività ed eventi di carattere sportivo

Una categoria di attività più limitata per numerosità (ha interessato solo 4 progetti sui 13

considerati), ma particolarmente istruttiva in termini di buone pratiche, riguarda l’insieme

delle azioni ed eventi legati allo sport. Gli enti hanno ideato campi estivi e tornei con

l’intento di favorire la socialità e le relazioni tra i ragazzi. In alcuni progetti sono stati

costituiti anche corsi per allenatori ed educatori allo sport, per formare persone in grado di

“lavorare” con i più giovani. In altri casi sono nate squadre di calcio. È noto come lo sport

venga spesso chiamato in causa come veicolo di educazione informale soprattutto tra i più

giovani. Esso può infatti accomunare gli interessi di persone anche molto eterogenee per

provenienza, cultura e capacità relazionali10. Il gioco di squadra e le regole comuni da

seguire rappresentano quindi un banco di prova della collaborazione tra persone e del

rispetto delle regole di convivenza civica che sono auspicabili nella vita sociale. Lo sport

viene vissuto, inoltre, soprattutto dai ragazzi, come un momento di divertimento entro cui è

possibile siano veicolati valori.

L’aspetto della coesione sociale sul quale intervengono queste azioni è certamente

quello delle relazioni. Gli effetti sulla coesione sociale, infatti, sembrano manifestarsi

esclusivamente tramite il canale relazionale, mentre non si notano ricadute significative

10 L’ONU, per esempio, con la risoluzione n. 59/10 del 2004 cita le attività sportive come un mezzo per

educare alla società interculturale.

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sull’aspetto economico (se si esclude il caso di Diapason, che però sfrutta l’evento sportivo

a fini di inserimento lavorativo).

Non si riscontrano particolari elementi di innovazione sociale delle attività

implementate né dal punto di vista del prodotto né del processo. Dal punto di vista

dell’empowerment, invece può essersi dato il caso che alcune figure di adulto, soprattutto

allenatori ed educatori, abbiano acquisito competenze spendibili per la comunità anche nel

futuro. Le azioni hanno spesso riguardato semplici organizzazioni di eventi di tipo

occasionale, che hanno costituito momenti di convivialità (la giornata sportiva, i tornei di

calcio) ma non sono sfociati in niente di più strutturato, e certamente non hanno comportati

effetti duraturi nel tempo.

Visto il carattere fortemente educativo di alcune delle azioni legate allo sport, va

evitato che gli eventi di questo tipo, invece di essere veicolo per il miglioramento della

coesione sociale, diventino motivo di divisione. Il progetto Campi di Coesione è

emblematico al riguardo: nell’ambito del progetto sono nate due squadre di calcio sulla

base della diversa nazionalità dei ragazzi coinvolti (egiziani o senegalesi). Dal punto di

vista della coesione sociale, evidentemente, sarebbe infatti stato più opportuno sfruttare lo

spirito aggregativo insito nelle attività sportive per favorire la crescita delle relazioni

sociali tra diverse culture, con la creazione di squadre di calcio etnicamente miste.

3.9 Attività specifiche per categorie fragili

Con questa categoria di azioni intendiamo raccogliere le azioni rivolte a fasce specifiche di

popolazione “deboli”. Diversi progetti (5) indirizzano parte dei propri sforzi verso gli

anziani (corsi laboratoriali di loro interesse, creazione di gruppi per la promozione di

attività loro riservate), oppure verso azioni indirizzate ad intercettare problematicità legate

al disagio psichico (ad esempio, in Legami Comunitari o PublicBridges). I beneficiari degli

interventi sono evidentemente eterogenei così come lo sono state le modalità di intervento.

Ciò che accomuna, però, tutti i progetti è l’intenzione di intervenire su categorie ritenute “a

rischio” di esclusione sociale.

L’implementazione delle azioni per le diverse fasce della popolazione interessate

ha portato a una molteplicità di risultati sui quali il cui giudizio non è univoco. Molto in tal

merito pare dipendere dal tipo di beneficiari e dalle modalità di intervento. Tra le

esperienze di successo si pensi al progetto Rane Volanti, dove un gruppo di individui in

fase di reinserimento sociale ha prestato la propria attività soprattutto a favore delle

necessità degli anziani del quartiere. Questo ha soddisfatto bisogni esistenti in modo

innovativo, ma ha anche agito dal punto di vista della coesione sociale favorendo l’uscita

dall’isolamento sociale di persone particolarmente ai margini (anziani e operatori). Lo

stesso tentativo di fare incontrare diverse generazioni (o fasce diverse della popolazione) è

avvenuto, per esempio, in Arcipelago Mazzini 3.0 dove anziani e giovani hanno

collaborato alla creazione di un gruppo teatrale. Le relazioni intergenerazionali sono uno

degli elementi che si intende evidenziare quale buona pratica per ottenere effetti positivi

sulla coesione sociale delle comunità.

Rispetto agli interventi a favore delle categorie più fragili tra quelle qui considerate

si è riscontrato, generalmente, la problematicità da parte degli enti nell’individuare i

destinatari degli interventi di aiuto. Per quanto riguarda le azioni indirizzate ai più giovani,

le scuole hanno spesso ospitato i servizi ma il numero di persone coinvolte è stato molto

limitato, forse anche in considerazione dello stigma che poteva derivare dalla fruizione

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dell’attività nei confronti dei compagni. Dal punto di vista dei problemi legati a disagi

psichici, invece, gli enti hanno constatato come la maggior parte delle famiglie non

intendessero rendere note situazioni critiche da questo punto di vista seppur,

potenzialmente, avrebbero potuto necessitare di supporto (un’eccezione riguarda il

progetto PublicBridges). In entrambi i casi pare comunque fondamentale l’importanza

della collaborazione da parte degli enti con le strutture pubbliche esistenti in ambito socio-

assistenziale. I progetti basati sulle sole forze degli enti non sono sembrati mai in grado di

incidere realmente in modo riconoscibile. È auspicabile, quindi, qualora venga deciso di

dedicare risorse a questo tipo di attività così “delicate”, che si mettano in atto innovazioni

di processo al fine di coinvolgere in modo più strutturato, e sin dal principio, enti del terzo

settore e istituzioni pubbliche.

4. Alcune riflessioni conclusive

Alla nascita di coesione sociale contribuiscono soggetti individuali, in grado di

promuovere intorno a sé fenomeni di auto-aggregazione a partire dalla constatazione della

comune condizione di emarginazione sociale. Quali siano le motivazioni che spingono

questi soggetti non è stato indagato, se non marginalmente ma essi sono, per usare una

metafora, come "il lievito per il pane". Senza una loro presenza non si dà promozione di

nuove forme permanenti di coesione sociale: queste persone sono quindi condizione

necessaria del processo. Le direzioni in cui agiscono sono però molto differenti. Alcuni di

essi perseguono la linea di azione per difendere alcuni diritti (spesso nei confronti di

controparti pubbliche – tipicamente ALER) ritenuti inderogabili. Altri si muovono nel

contenere il disagio e la sofferenza dei marginali. Altri ancora lavorano per rafforzare

forme di auto-aiuto tra gli esclusi.

L’intervento di Fondazione Cariplo era mirato alla promozione di coesione sociale

tramite innovazioni di tipo sociale in territori problematici. Il significato dei termini non

era stato declinato a priori. Questo ha permesso l’emergere di una ricchezza di visioni del

fenomeno, a cui sono state associate altrettante proposte di intervento. Ci sembra evidente

dall'analisi dei progetti in esame che non sia possibile parlare di un unico concetto per la

variabile obiettivo del bando, dal momento che abbiamo riscontrato nell'attuazione dei

progetti diverse accezioni della medesima. Un'analisi delle progettazioni consente di

definire almeno tre modalità diverse di coesione sociale perseguite dagli enti:

a) Coesione sociale temporanea. Gli interventi che hanno avuto maggior impatto sono

interventi che si sono innestati in contesti dove esisteva già un tessuto minimo di

relazioni e alcuni soggetti individuali che agivano da “lievito”. Quando gli enti

hanno dovuto costruire dal nulla azioni che permettessero di entrare in relazione

con persone escluse, il grosso dello sforzo si è esaurito nella fase di contatto. In

questi casi gli esiti a seguito del finanziamento esterno sono quindi temporanei, i

risultati durano finché dura il finanziamento senza per questo creare strutture

permanenti.

b) Coesione sociale assistita. In alcuni casi il finanziamento esterno ha permesso un

salto di qualità per interventi già pre-esistenti. L’apertura di sedi dedicate e/o la

presenza di personale dedicato (in quanto retribuito) hanno permesso di allargare il

raggio di azione, potenziando attività, rendendo più regolari iniziative temporanee o

realizzandone di nuove (emblematico è il caso degli sportelli). Non abbiamo trovato

traccia di momenti formativi permanenti che rafforzassero la dimensione

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motivazionale dei volontari raccolti intorno all’intervento. Anche in questo caso

non si dà però come esito la nascita di organismi o associazioni autonome, per cui

al termine del finanziamento il volume di attività ritorna al livello sostenibile dai

volontari.

c) Coesione sociale rafforzata. In alcuni casi il finanziamento esterno ha permesso la

nascita di interventi che spontaneamente non avrebbero mai visto la luce. In

quest’ultimo senso si è trattato di vera e propria sperimentazione sociale. La nostra

valutazione delle diverse tipologie di azioni attuate indicherebbe nei comitati di

caseggiato uno dei soggetti più promettenti come "veicolatori" di coesione, grazie

alla condizione di prossimità che permette anche la sperimentazione di forme di

autogestione (pulizie, piccola manutenzione, amministrazione) che aiutano la

composizione interna dei conflitti latenti che si scatenano tra soggetti isolati.

Analogamente, l’esperienza degli orti pubblici si palesa come costruttrice di

coesione, perché richiede una pratica costante di progettazione collettiva, previa

soluzione dei conflitti interpersonali. Altre esperienze si rivelano meno efficaci

perché più passivizzanti e/o individualizzate: gli sportelli attivano poca coesione

perché forniscono risposte individuali e non attivano autonomia di risposta; gli

eventi sportivi sono poco innovativi sul piano delle relazioni sociali; gli eventi

artistici favoriscono la formazione di una identità comunitaria, ma normalmente

non attivano capacità nuove da parte dei soggetti coinvolti.

Qualora dovessimo compilare una lista di fattori, emersi dall’analisi delle diverse

azioni tra i diversi progetti, che appaiono utili a dare indicazioni anche per altri contesti al

fine del raggiungimento degli obiettivi in termini di coesione e di innovazione sociale,

elencheremmo:

i) la presenza di soggetti localmente residenti già attivi;

ii) la disponibilità di spazi, meglio se polivalenti;

iii) l’attivazione di esperienze che rafforzino la capacità di autogestione da parte dei

beneficiari.

La prima condizione consente agli enti di evitare che si palesino comportamenti che

altrimenti possono rappresentare vere e proprie "barriere all'ingresso". Appare

fondamentale, per attivare processi capaci di raggiungere gli obiettivi prefigurati (di

coesione e di innovazione sociale), che siano individuati e coinvolti gruppi di persone

(oppure singole persone "chiave") capaci di svolgere il ruolo di tramite, oltre che di traino,

per l'attività degli enti nelle comunità locali. Come secondo elemento, la disponibilità di

spazi fisici nei territori oggetto di intervento pare rivelare una sua utilità strumentale

immediata. Il luogo fisico ha spesso una valenza simbolica perché permette al progetto di

essere riconoscibile dalla popolazione. Per contro, va superato il limite che strutture fisiche

radicate storicamente in specifici territori possano rivelarsi un ostacolo all’innovazione, in

quanto capaci di incrementare l’incentivo a potenziare l’esistente piuttosto che a cercare

nuove soluzioni. Infine, poiché le attività non cessino nonostante la fine dei finanziamenti

esterni, appare fondamentale l'attivazione di esperienze che rafforzino le capacità di

autogestione muovendo forze endogene esistenti nelle comunità locali.

Nel raggiungere gli obiettivi citati, ci pare rilevante sottolineare alcuni tipi di

criticità potenzialmente emergenti. In primis, rafforzare la coesione sociale richiede la

formazione di persone volontarie che mettano a disposizione gratuitamente tempo ed

energie a beneficio della collettività. La gratuità è la garanzia di credibilità e di replicabilità

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dei comportamenti. La presenza di operatori retribuiti, spesso coinvolti nelle iniziative

(anche se provenienti del mondo del volontariato), è in potenziale conflitto con

l’attivazione di energie locali, perché esse nascono “dipendenti” da risorse esterne.

Certamente i progetti hanno visto in diversi casi il rafforzamento delle reti tra gli enti, che

ha portato diversi di loro a ripetere la collaborazione in altri progetti. Ma, dal punto di vista

dei territori, sono pochi i casi per i quali possiamo parlare di innalzamento permanente

della coesione sociale a seguito del finanziamento esterno. La gratuità è per sua stessa

natura transitoria e revocabile. Se a questo si aggiunge che questi interventi hanno operato

piuttosto sul terreno culturale (modificare atteggiamenti e pregiudizi delle persone) che

non su quello economico o politico, ci si rende conto di come i risultati siano per loro

stessa natura fragili e reversibili. Per questo, è fondamentale che gli interventi finanziati

dall’esterno aiutino a costruire forme organizzative permanenti, che permettano di durare

al di là della durata dei progetti stessi. Da questo punto di vista la disponibilità di spazi

sembra rappresentare una condizione ripetutamente suggerita come favorente11. Forse

esiste una terza possibilità, che è quella di rendere gli attori sociali presenti sul territorio

più capaci di svolgere meglio il loro ruolo. Immaginiamo per un attimo una nuova

modalità di intervento, in cui gli enti assegnatari del contributo finanziario da parte di enti

filantropici si impegnano a utilizzare una parte dei fondi per sostenere e promuovere le

attività minime già esistenti localmente. Questo può offrire la possibilità di rafforzare le

capacità locali, senza che necessariamente gli enti tentino di assorbire per incorporazione

gli interventi già esistenti.

Inoltre, preme far notare come il finanziamento esterno con risorse consistenti

contribuisca a indirizzare lo sviluppo del terzo settore. In una fase storica in cui le risorse

provenienti dagli enti locali sono andate progressivamente "asciugandosi", gli enti sono

stati costretti a ridurre al minimo le attività promosse autonomamente, e questo ha

oggettivamente rafforzato la possibilità di indirizzo dei finanziatori esterni12.

Infine, discorso a parte riguarda il rapporto con le pubbliche amministrazioni. Esso si

è rivelato, nel caso in esame, fattore propulsivo nello sviluppo di diversi progetti analizzati

(per converso, il turnover degli amministratori locali ha rallentato in molti casi, e in modo

significativo, l'esito di alcuni progetti). Questo fa sorgere domande su complementarietà o

sostituibilità tra ente locale e terzo settore. Se vale l’ipotesi di complementarietà, allora la

partnership pubblico/privato ha senso, e sfrutta i vantaggi comparati di ciascun attore. Ma

se invece vale l’ipotesi di sostituibilità, l’intervento di finanziamento esterno rischia di

trasformarsi in un contributo inconsapevole al ridimensionamento dell’azione pubblica. In

questo caso appare fondamentale definire con precisione le aree di azione dove il pubblico

mantiene caratteri di maggior efficienza (e sicuramente di maggior universalismo).

11 Questo contrasta con gli indirizzi di diversi finanziatori delle progettazioni sociali con bandi di questo tipo.

Ad esempio, la Fondazione Cariplo programmaticamente evita di sostenere spese di acquisto/ristrutturazione

di immobili. Tuttavia non ci si può esimere dal domandarsi se a parità di risorse investite sia più proficuo in

termini di coesione sociale mettere a disposizione spazi dedicati oppure, come fatto usualmente, ore di

impegno dei collaboratori. 12 Da questo punto di vista appare particolarmente apprezzabile la politica di apertura proposta dalla

Fondazione Cariplo, che nel bando in esame ha evitato di predeterminare i settori di intervento ammissibili al

contributo. Va tuttavia ricordato che nelle edizioni successive i criteri di ammissibilità sono divenuti più

restrittivi, e questo potrebbe comportare “abbandono” di settori di intervento ritenuti, a torto o a ragione,

meno correlati con la coesione e l'innovazione sociale.

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Appendice. Le caratteristiche dei progetti finanziati con il bando in esame

Nome del progetto Località Contributo Cariplo

(in euro)

Numero di

enti partner*

Descrizione del contesto

Ai confini della casa Borgomanero (NO) 253.000 5 Sono numerose le situazioni personali di persone che, per la loro condizione lavorativa e famigliare, risultavano a

rischio di incorrere in situazioni di povertà. Inoltre, gli abitanti vivevano difficoltà legate alla conciliazione dei tempi

casa-lavoro e al problema della dispersione scolastica da parte di diversi adolescenti. Da ultimo, i cittadini

lamentavano la mancanza di luoghi per il tempo libero e di strutture aggregative per momenti di socialità della

comunità.

Agorà Paderno Dugnano (MI) 254.000 4 Il territorio era connotato da un’elevata frammentazione sociale legata ai flussi migratori. In più, la mancanza di spazi

di aggregazione fruibili da parte della popolazione, uniti all’inasprirsi delle difficoltà lavorative per gli abitanti del

quartiere e all’aumento preoccupante delle condizioni debitorie da parte di alcuni abitanti dei condomini, rendevano il

contesto particolarmente fragile dal punto di vista della coesione sociale.

Arcipelago Mazzini 3.0 Milano

(quartieri Mazzini e Corvetto)

570.000 10 I quartieri sono zone della circoscrizione 4 di Milano ad elevata densità abitativa e quasi interamente costituiti da

caseggiati di proprietà della locale Agenzia Lombarda per l’Edilizia Residenziale pubblica (ALER). L’area vede

un'ampia presenza di stranieri e le due comunità (italiana e migrante) avevano poche occasioni per intessere scambi

relazionali. L'esito era una comunità locale particolarmente frammentata al suo interno.

Campi di Coesione Cinisello Balsamo

(quartieri Crocetta e Sant’Eusebio)

644.252 7 Il territorio presenta le caratteristiche tipiche di un quartiere a vocazione residenziale popolare. E' elevata la presenza

di cittadini immigrati. Tra le problematiche principali emerse nei quartieri si evidenziavano diffuse situazioni di

elevato isolamento sociale e la mancanza di una identità di comunità condivisa.

Diapason Lecco e Olginate 720.000 4 Il progetto si è sviluppato all’interno di strutture aggregative già nel territorio ed è stato incentrato soprattutto al

sostegno delle problematiche adolescenziali.

L’Arco e le Pietre:

percorsi di coesione

sociale

Mantova

(quartieri Te Brunetti e Valletta

Valsecchi)

595.000 19 I quartieri sono principalmente costituiti da caseggiati di proprietà ALER abitati prevalentemente da persone anziane.

Nel territorio si riscontravano limitate proposte sia a favore dell’attivazione del protagonismo dei ragazzi (spiccava

l’assenza completa di associazionismo giovanile), sia per coinvolgimento dei migranti nella vita comunitaria.

Legami comunitari Sesto San Giovanni (quartiere di Parco

delle Torri - Via Marx)

561.381 6 I territori dell'intervento sono aree residenziali lascito del passato industriale della zona. Il quartiere viene vissuto dai

residenti come zona di "passaggio" da parte di persone di diversa origine e provenienza. Manca un’identità condivisa

di comunità e di appartenenza al territorio.

POLIS Milano

(quartieri Molise, Calvairate e Ponti)

300.000 5 Il progetto interviene in quartieri ALER dove vivono soprattutto famiglie numerose e anziani. Nelle aree citate è forte

la presenza di cittadini di origine straniera e si riscontrano generalmente molteplici problematicità di tipo sociale ed

economico legate a caseggiati con notevoli criticità legate all' arredo urbano dei medesimi e ad episodi di

microcriminalità.

PublicBridges Milano

(quartieri Comasina, Bruzzano nuova e

Ex-pini)

920.000 7 Le aree denotano innanzitutto una carenza di servizi e di centri educativi e ricreativi soprattutto per i più piccoli e per i

giovani. V'erano inoltre, problemi legati alla convivenza interculturale con la popolazione autoctona. Si osservavano

situazioni a rischio di devianza per diversi adolescenti.

Punto e Linea Milano

(quartieri Baggio, Barona, Giambellino

e Gratosoglio)

n.d. 11 I quartieri sono caratterizzati da un mix di abitazioni di tipo residenziale e da complessi di edilizia pubblica. Le azioni

del progetto sono state orientate principalmente a favore delle relazioni sociali tra i giovani e, marginalmente, al resto

della popolazione.

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Rane volanti Milano

(asse di Via Padova – Naviglio

Martesana)

753.000 12 Nonostante la notevole estensione geografica dell’area alcune caratteristiche accomunavano le zone, quali la forte

presenza, tra gli abitanti, di cittadini stranieri (per lo più giovani) e l’esistenza di diverse situazioni di criminalità, di

disagio e di isolamento sociale vissute da alcune fasce della popolazione (soprattutto gli anziani).

Rozzano Si-Cura Rozzano (MI) 635.173 5 L'area presenta i tipici aspetti di una vasta area periferica di cospicue dimensioni cresciuta a ridosso di un forte polo di

sviluppo, con fenomeni migratori recenti e tuttora in atto. Questo intenso sviluppo all’interno di un piano di

edificazione a basso costo (privo di poli attrattivi in termini culturali e sociali) ha portato nel tempo all’insediamento

di una popolazione con peculiarità sociali e culturali tali da determinare il nascere di alcune fragilità sociali.

S-cambiO Baranzate, Bollate e Solaro (MI) 485.000 4 I territori sono connotati da un certo livello di degrado urbano e sono da diverse problematiche sociali che

coinvolgono gli abitanti di quei luoghi, principalmente i minori, le donne (in particolare straniere) e gli anziani.

*Ai fini della partecipazione ai bandi la Fondazione definiva come partner gli enti che risultavano ammissibili ai sensi della legge sulle fondazioni bancarie; apportavano ai progetti componenti di proventi e oneri (costi e ricavi); e si candidavano

a divenire destinatari di una quota del contributo complessivamente richiesto per il progetto.