c. giostra, l'impressione delle lamine in età altomedievale

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682 L’IMPRESSIONE DELLE LAMINE IN ETÀ ALTOMEDIEVALE: IL PROCESSO TECNOLOGICO SULLA BASE DEGLI STRUMENTI RINVENUTI * di CATERINA GIOSTRA PREMESSA. LA TERMINOLOGIA Circa la terminologia adottata per indicare lo strumento sul quale è raffigurato il motivo da riprodurre sulla lamina metallica mediante impressione si registra, nella letteratura specialistica italiana, una certa disomogeneità e imprecisione: si va dalla “forma” o matrice impiegata nel cosiddetto “lavoro a foglia” (LIPINSKY 1964 e 1966), al modano per impressione (DE MARCHI 1988), alla semplice matrice (BERTACCHI 1969 e DE MARCHI 1989), al modano da sbalzo (RICCI 1994 e 1997), alla matrice da stampo (DEVOTO 1997). Un maggior rigore regola il lessico delle pubblicazioni te- desche: “l’archetipo” della decorazione da trasferire, in gene- rale, è il Model (n, m. pl.); nella tecnica ad impressione si tratta dello stampo e diventa il Preßmodel (o Preß-blechmodel), che si distingue, a seconda che il disegno sia in rilievo oppure inci- so, in positiver Model o Patrize (o anche solo Preßmodel, dal momento che i modani da impressione noti sono quasi tutti a rilievo) e in negativer Model o Matrize. Nel caso della fusio- ne, invece, è il prototipo, in bronzo o piombo, destinato a cre- are la matrice da fusione imprimendo la sua immagine sull’ar- gilla a chiamarsi Model (Gußmodel, Formmodel), o anche Modell (e, n. pl.), e la valva o le due valve in argilla che pren- dono la sua impronta in negativo per poi restituire l’immagine positiva nel metallo fuso sono le Gußformen (Schalenformen o Klappformen a seconda del numero delle componenti). An- che nel caso di un prototipo in cera, da usare secondo la tecni- ca della fusione a cera persa, il termine può essere Modell (CAPELLE, VIERCK 1971). Nel presente lavoro, nel caso dello strumento da impres- sione si è adottato il termine “modano”, da impressione o stam- po o sbalzo (senza confondere quest’ultimo con la tecnica del- lo sbalzo diretto, ovvero “a mano libera”), tenendo presente la distinzione fra raffigurazioni “positive” o a rilievo (la totalità dei rinvenimenti italiani noti), che producono un’impronta negativa sulla superficie che viene a trovarsi a contatto con essi, e modelli “negativi” o scavati, che restituiscono l’imma- gine in risalto, alle quali le fonti sembrano fare riferimento. Destinerei invece il termine “matrice” alle forme in negativo destinate alla fusione (matrice da fusione) e ricavate dal “mo- dello” iniziale (modello da fusione). Ciò viene a coincidere con la distinzione operata con mag- giore coerenza nello studio della ceramica, dove si distingue la decorazione a stampo, prodotta da punzoni o stampi, in genere positivi, che vengono premuti sulla superficie argillosa deter- minando su di essa riproduzioni scavate, da quella a matrice che si avvale di forme entro le quali l’argilla occupa spazi sca- vati modellando motivi a rilievo (si veda, a titolo esemplifica- tivo, GANDOLFI 1994). Un ultimo particolare: gli stampi a rilie- vo, che producono una decorazione in negativo, sui materiali “pieni” (come ad esempio l’argilla) restituiscono un’unica immagine scavata, ma nel caso di sottili lamine, il motivo è visibile su entrambe le facce, in negativo su quella a contatto con il modano e in positivo sull’altra. I MODANI DA SBALZO NOTI E LE VERIFICHE SPE- RIMENTALI SULLE MODALITÀ D’IMPIEGO Nel III libro del trattato attribuito al “monaco Teofilo” il LXXIV capitolo, intitolato De opere, quod sigillis imprimitur, è dedicato alla tecnica della decorazione a sbal- zo delle lamine metalliche mediante l’impiego di un modano. Il testo lascia intendere che è lo stesso orafo intenzionato ad imprimere le lastrine ad approntare lo stampo: egli deve utilizzare una piastra di ferro dello spessore di un dito, lar- go tre o quattro dita e lungo un piede, priva di anomalie; la scolpisce come si fa per i sigilli, con tratto non troppo pro- fondo, ma moderato e accurato, raffigurando fiori, animali, uccelli o «dracones concatenati collis et caudis», o anche organizzando più complesse scene cristologiche o profane a seconda della destinazione d’uso del manufatto. Quanto al materiale destinato allo sbalzo, l’autore parla inizialmen- te di una sottile lamina d’argento puro e più avanti, secon- do un procedimento del tutto analogo, anche d’oro, di rame dorato e di aurichalco Hispanico (una lega di rame). Secondo il trattato, il modano va posizionato sull’incu- dine con la faccia incisa rivolta verso l’alto; su di esso si appoggiano la lamina da decorare – se è in rame dorato, con la doratura rivolta verso il ferro – e poi uno spesso stra- to di piombo, sul quale si pratica la martellatura. Questa operazione porta il piombo a spingere la sottile lamina nel- l’incisione dello stampo, permettendole di riprendere com- pletamente i tratti ivi raffigurati. Se la lastra è più lunga dello strumento da impressione, con l’aiuto delle tenaglie sarà possibile farla scorrere e ripetere l’operazione fino a quando tutta la superficie non sarà decorata. La prescrizione di scolpire il supporto ferreo in simili- tudine sigillorum lascia intendere che il modano recasse il motivo inciso, ovvero in negativo; a conferma di questo particolare vi è anche l’avvertenza di posizionare le lamine in rame dorato con la doratura (cioè il fronte) verso lo stam- po, quindi l’impressione non avveniva dal retro. È questa l’unica parziale incongruenza registrabile nel testo (non anteriore al sec. XI) rispetto ai dati che è possibile ricavare dai modani rinvenuti (per lo più di sec. VII), quasi esclusi- vamente positivi, e rispetto alle acquisizioni scaturite dalle verifiche sperimentali effettuate sulle loro modalità d’im- piego, pur esistendo sulle lamine note alcuni piccoli motivi decorativi impressi dal negativo sul davanti. I ritrovamenti di reperti interpretati come modani per l’im- pressione di lamine metalliche altomedievali (secoli VI-VIII) in Europa sono ormai piuttosto numerosi e per lo più già noti da tempo (una selezione è alla Tav. 1). Si tratta di oggetti pre- valentemente in lega di rame – anche se non mancano esem- plari in pietra arenaria e in legno di tiglio (COLARDELLE 1983; POWELL 1956; SINGER et al. 1957) –, piatti e dello spessore di qualche millimetro, che recano sul fronte un’ornamentazione a rilievo piuttosto elevato realizzata mediante fusione o inci- sione, mentre il retro è spesso liscio; non mancano tuttavia attestazioni decorate su entrambe le facce (Tav. 1, nn. 3 e 5) (GENRICH 1972; ROTH 1977; CHRISTLEIN 1974; KLEIN- PFEUFFER 1993; CABROL-LECLERQ 1925). È frequente inoltre, so- prattutto negli esemplari circolari, una fascia perimetrale di ampiezza irregolare e priva di decorazione, una parte lasciata non rifinita che sarebbe insolita in un manufatto finito (Tav. 1, n. 3) (ROTH 1977; DRESCHER 1966; WERNER 1977); si registra infine l’assoluta mancanza di perni di fissaggio o di sistemi di articolazione che potessero permettere la connessione dei pez- zi ad un qualunque supporto o elemento mobile. Strumenti di tal fatta, in realtà, da un punto di vista tec- nologico si sarebbero prestati anche ad assolvere alla fun- zione di modelli per la realizzazione di matrici da fusione in argilla: è il confronto con prodotti finiti di forma e deco- razione analoga, caratterizzati dalla realizzazione in lamina impressa e non in metallo fuso a dirimerne l’orientamento interpretativo (CAPELLE, VIERCK 1971). Tra le forme più attestate si registrano quella circolare, di grandezza che varia da un diametro di cm 2 a oltre cm 6, e quella rettangolare allungata, in genere di altezza intorno a cm 1,5 e di lunghezza di circa cm 5-6, ma non mancano esemplari di forma quadrata o a “U” (Tav. 1, n. 9). Per i modani circolari il confronto a volte assai stringente con le lamine impresse delle fibule a disco, delle falere o dei me- daglioni bratteati indica che essi venivano usati primaria-

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Page 1: C. GIOSTRA, L'impressione delle lamine in età altomedievale

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L’IMPRESSIONE DELLE LAMINEIN ETÀ ALTOMEDIEVALE:

IL PROCESSO TECNOLOGICO SULLA BASEDEGLI STRUMENTI RINVENUTI *

diCATERINA GIOSTRA

PREMESSA. LA TERMINOLOGIA

Circa la terminologia adottata per indicare lo strumentosul quale è raffigurato il motivo da riprodurre sulla laminametallica mediante impressione si registra, nella letteraturaspecialistica italiana, una certa disomogeneità e imprecisione:si va dalla “forma” o matrice impiegata nel cosiddetto “lavoroa foglia” (LIPINSKY 1964 e 1966), al modano per impressione(DE MARCHI 1988), alla semplice matrice (BERTACCHI 1969 eDE MARCHI 1989), al modano da sbalzo (RICCI 1994 e 1997),alla matrice da stampo (DEVOTO 1997).

Un maggior rigore regola il lessico delle pubblicazioni te-desche: “l’archetipo” della decorazione da trasferire, in gene-rale, è il Model (n, m. pl.); nella tecnica ad impressione si trattadello stampo e diventa il Preßmodel (o Preß-blechmodel), chesi distingue, a seconda che il disegno sia in rilievo oppure inci-so, in positiver Model o Patrize (o anche solo Preßmodel, dalmomento che i modani da impressione noti sono quasi tutti arilievo) e in negativer Model o Matrize. Nel caso della fusio-ne, invece, è il prototipo, in bronzo o piombo, destinato a cre-are la matrice da fusione imprimendo la sua immagine sull’ar-gilla a chiamarsi Model (Gußmodel, Formmodel), o ancheModell (e, n. pl.), e la valva o le due valve in argilla che pren-dono la sua impronta in negativo per poi restituire l’immaginepositiva nel metallo fuso sono le Gußformen (Schalenformeno Klappformen a seconda del numero delle componenti). An-che nel caso di un prototipo in cera, da usare secondo la tecni-ca della fusione a cera persa, il termine può essere Modell(CAPELLE, VIERCK 1971).

Nel presente lavoro, nel caso dello strumento da impres-sione si è adottato il termine “modano”, da impressione o stam-po o sbalzo (senza confondere quest’ultimo con la tecnica del-lo sbalzo diretto, ovvero “a mano libera”), tenendo presente ladistinzione fra raffigurazioni “positive” o a rilievo (la totalitàdei rinvenimenti italiani noti), che producono un’improntanegativa sulla superficie che viene a trovarsi a contatto conessi, e modelli “negativi” o scavati, che restituiscono l’imma-gine in risalto, alle quali le fonti sembrano fare riferimento.Destinerei invece il termine “matrice” alle forme in negativodestinate alla fusione (matrice da fusione) e ricavate dal “mo-dello” iniziale (modello da fusione).

Ciò viene a coincidere con la distinzione operata con mag-giore coerenza nello studio della ceramica, dove si distingue ladecorazione a stampo, prodotta da punzoni o stampi, in generepositivi, che vengono premuti sulla superficie argillosa deter-minando su di essa riproduzioni scavate, da quella a matriceche si avvale di forme entro le quali l’argilla occupa spazi sca-vati modellando motivi a rilievo (si veda, a titolo esemplifica-tivo, GANDOLFI 1994). Un ultimo particolare: gli stampi a rilie-vo, che producono una decorazione in negativo, sui materiali“pieni” (come ad esempio l’argilla) restituiscono un’unicaimmagine scavata, ma nel caso di sottili lamine, il motivo èvisibile su entrambe le facce, in negativo su quella a contattocon il modano e in positivo sull’altra.

I MODANI DA SBALZO NOTI E LE VERIFICHE SPE-RIMENTALI SULLE MODALITÀ D’IMPIEGO

Nel III libro del trattato attribuito al “monaco Teofilo”il LXXIV capitolo, intitolato De opere, quod sigillisimprimitur, è dedicato alla tecnica della decorazione a sbal-zo delle lamine metalliche mediante l’impiego di un modano.

Il testo lascia intendere che è lo stesso orafo intenzionatoad imprimere le lastrine ad approntare lo stampo: egli deveutilizzare una piastra di ferro dello spessore di un dito, lar-go tre o quattro dita e lungo un piede, priva di anomalie; lascolpisce come si fa per i sigilli, con tratto non troppo pro-fondo, ma moderato e accurato, raffigurando fiori, animali,uccelli o «dracones concatenati collis et caudis», o ancheorganizzando più complesse scene cristologiche o profanea seconda della destinazione d’uso del manufatto. Quantoal materiale destinato allo sbalzo, l’autore parla inizialmen-te di una sottile lamina d’argento puro e più avanti, secon-do un procedimento del tutto analogo, anche d’oro, di ramedorato e di aurichalco Hispanico (una lega di rame).

Secondo il trattato, il modano va posizionato sull’incu-dine con la faccia incisa rivolta verso l’alto; su di esso siappoggiano la lamina da decorare – se è in rame dorato,con la doratura rivolta verso il ferro – e poi uno spesso stra-to di piombo, sul quale si pratica la martellatura. Questaoperazione porta il piombo a spingere la sottile lamina nel-l’incisione dello stampo, permettendole di riprendere com-pletamente i tratti ivi raffigurati. Se la lastra è più lungadello strumento da impressione, con l’aiuto delle tenagliesarà possibile farla scorrere e ripetere l’operazione fino aquando tutta la superficie non sarà decorata.

La prescrizione di scolpire il supporto ferreo in simili-tudine sigillorum lascia intendere che il modano recasse ilmotivo inciso, ovvero in negativo; a conferma di questoparticolare vi è anche l’avvertenza di posizionare le laminein rame dorato con la doratura (cioè il fronte) verso lo stam-po, quindi l’impressione non avveniva dal retro. È questal’unica parziale incongruenza registrabile nel testo (nonanteriore al sec. XI) rispetto ai dati che è possibile ricavaredai modani rinvenuti (per lo più di sec. VII), quasi esclusi-vamente positivi, e rispetto alle acquisizioni scaturite dalleverifiche sperimentali effettuate sulle loro modalità d’im-piego, pur esistendo sulle lamine note alcuni piccoli motividecorativi impressi dal negativo sul davanti.

I ritrovamenti di reperti interpretati come modani per l’im-pressione di lamine metalliche altomedievali (secoli VI-VIII)in Europa sono ormai piuttosto numerosi e per lo più già notida tempo (una selezione è alla Tav. 1). Si tratta di oggetti pre-valentemente in lega di rame – anche se non mancano esem-plari in pietra arenaria e in legno di tiglio (COLARDELLE 1983;POWELL 1956; SINGER et al. 1957) –, piatti e dello spessore diqualche millimetro, che recano sul fronte un’ornamentazionea rilievo piuttosto elevato realizzata mediante fusione o inci-sione, mentre il retro è spesso liscio; non mancano tuttaviaattestazioni decorate su entrambe le facce (Tav. 1, nn. 3 e 5)(GENRICH 1972; ROTH 1977; CHRISTLEIN 1974; KLEIN-PFEUFFER 1993; CABROL-LECLERQ 1925). È frequente inoltre, so-prattutto negli esemplari circolari, una fascia perimetrale diampiezza irregolare e priva di decorazione, una parte lasciatanon rifinita che sarebbe insolita in un manufatto finito (Tav. 1,n. 3) (ROTH 1977; DRESCHER 1966; WERNER 1977); si registrainfine l’assoluta mancanza di perni di fissaggio o di sistemi diarticolazione che potessero permettere la connessione dei pez-zi ad un qualunque supporto o elemento mobile.

Strumenti di tal fatta, in realtà, da un punto di vista tec-nologico si sarebbero prestati anche ad assolvere alla fun-zione di modelli per la realizzazione di matrici da fusionein argilla: è il confronto con prodotti finiti di forma e deco-razione analoga, caratterizzati dalla realizzazione in laminaimpressa e non in metallo fuso a dirimerne l’orientamentointerpretativo (CAPELLE, VIERCK 1971).

Tra le forme più attestate si registrano quella circolare,di grandezza che varia da un diametro di cm 2 a oltre cm 6,e quella rettangolare allungata, in genere di altezza intornoa cm 1,5 e di lunghezza di circa cm 5-6, ma non mancanoesemplari di forma quadrata o a “U” (Tav. 1, n. 9). Per imodani circolari il confronto a volte assai stringente con lelamine impresse delle fibule a disco, delle falere o dei me-daglioni bratteati indica che essi venivano usati primaria-

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mente per la decorazione di tali manufatti; le forme a “U”,invece, sono sicuramente da collegare alla lavorazione dipuntali e placche per cinture, calze, briglie equine e fini-menti analoghi, mentre quelle quadrate, a seconda dell’am-bito di provenienza possono trovare una connessione conle lamine degli elmi, soprattutto nelle aree più nordiche(BRUCE-MITFORD 1968), o piuttosto con le placche di fib-bia, in particolare in ambiente burgundo e franco. Per gliutensili rettangolari l’impiego poteva essere più esteso: sononote, infatti, strisce in lamina metallica impressa che deco-ravano corni potori e bicchieri, ma anche contenitori, cas-settine e secchi, foderi per armi (PÉRIN 1997).

Piuttosto vario è anche il panorama iconografico: esi-stono scene figurate di argomento cristiano e soggetti trattidalla mitologia pagana nordica, composizioni zoomorfe instile animalistico germanico e intrecci tratti dal repertoriomediterraneo, motivi geometrici ed elementi vegetali, ese-guiti in stili che sfumano dai modi più naturalistici alle rap-presentazioni astratte. Tale complessità riflette anch’essa,come molteplici altre espressioni della società dell’epoca,l’incontro e la compenetrazione di tradizioni culturali e di-namiche sociali ed artigianali profondamente differenti comequelle afferenti al mondo germanico piuttosto che all’am-biente mediterraneo.

Quanto alla possibilità di ricostruire puntualmente lemodalità d’uso dei modani nel loro impiego tecnico, i datiprodotti dalla mirata ricerca sperimentale finora condottasoprattutto in Germania – sia utilizzando un modano roton-do alamanno che analizzando lamine impresse (crocetteauree) – offrono una ancora preliminare, ma imprescindibi-le “trama” di acquisizioni che attiene all’intera sequenzadelle operazioni e ai materiali e agli attrezzi impiegati(SALIN 1957; DRESCHER 1966; FOLTZ 1974 e 1975, KLEIN-PFEUFFER 1993). A integrare le riflessioni scaturite da questilavori su una pur circoscritta campionatura di strumenti edi prodotti analizzati soccorre poi l’osservazione dei purminuti segni di lavorazione riconoscibili su molti dei mo-dani rinvenuti o su alcuni manufatti finiti, che permette diarricchire il processo ricostruito in laboratorio con una se-rie di piccole varianti tecniche, riconducibili forse ai diver-si ambienti artigianali (una prima sintesi in CAPELLE,VIERCK 1971 e 1975).

Negli anni ’60 un reperto autentico, lo stampo circolaredi ignota provenienza conservato al Römisches Museum diAugsburg, è stato usato per l’impressione di una laminametallica, dopo essere stato analizzato nelle sue componentichimiche e nelle tecniche di realizzazione (DRESCHER 1966).Il disco, ad alta percentuale di rame rivestito in lega di piom-bo e stagno, presenta sul retro una superficie liscia e lieve-mente bombata, mentre sul fronte la decorazione a rilievo èinsolitamente realizzata mediante la saldatura di un filo per-lato.

Sul lato decorato è stata posta una lamina d’argento giàtagliata a forma circolare, a sua volta coperta da uno stratodi piombo; su quest’ultimo sono stati impressi colpi regola-ri di martello che hanno portato la lamina argentea ad ade-rire e a modellarsi sul modano, riprendendone in negativo imotivi. Al termine dell’operazione, della durata di due-treminuti, la malleabilità del metallo lamellare ne ha permes-so un agevole distacco dal modano. Questo processo dove-va trovare un riscontro ottimale con lamine in oro e argen-to, ma era facilmente adottabile anche nel caso dell’impie-go di bronzo, ottone e rame preventivamente scaldati ondeevitare fessurazioni mentre si modellavano sullo strumen-to; la sequenza inoltre, che evitava al modano di riceveredirettamente i colpi, assicurava all’attrezzo stesso una lun-ga durata e ne permetteva un ripetuto utilizzo.

Un analogo procedimento è stato accertato anche per ladecorazione delle crocette auree di età longobarda(FOLTZ 1974 e 1975). Su una base solida (un piano in legnoo l’incudine di ferro) era posto il modano, sul quale si ap-poggiava una lamina, a sua volta coperta dal cuoio o da

altro strato morbido come pece o piombo. Lo stampo inve-ce doveva essere di materiale duro. Fatto salvo il legno dibosso, altri arbusti sarebbero da escludere in quanto pocoresistenti: si romperebbero presto e il motivo decorativo,seppure inciso facilmente, perderebbe presto di definizio-ne; inoltre, essi lascerebbero traccia degli anelli, a tutt’oggiancora non riscontrati sui manufatti impressi. Anche la pie-tra, in genere, mal si presta all’uso in questione, mentre ossoe corno rischiano di sfilacciarsi durante l’intaglio: solo l’avo-rio, trattato in soluzioni saline, sembra poter dare buoni ri-sultati. Il materiale più resistente e duraturo resta comun-que il bronzo.

Quanto alla successione degli elementi sovrapposti,infine, quella finora considerata ha trovato conferma nel-l’analisi della croce di Civezzano, tomba 2 (FOLTZ 1974). Ilbraccio inferiore, infatti, presenta il tratto finale privo didecorazione per uno spazio di mm 5, nonostante il modanoimpiegato (che è stato possibile ricostruire interamente gra-zie alle altre impressioni) fosse più lungo del braccio stes-so: la circostanza sembra spiegabile solo ipotizzando che ilcuoio, sovrapposto alla lamina, non arrivasse a coprirla tut-ta fino alla fine, impedendo così martellate utili all’impres-sione dell’ultimo tratto, che invece sarebbe stata inevitabi-le qualora il modano fosse stato premuto al di sopra dellalamina.

La sperimentazione in laboratorio ha permesso di con-statare anche che la tecnica della lamina battuta sopra almodano presentava dei vantaggi rispetto alla sequenza in-versa: l’impiego di energie è minore, l’omogeneità della resapiù facilmente raggiungibile, come anche la chiarezza e laleggibilità del motivo. In particolare, nel caso del modanoimpresso dall’alto è la presenza di uno strato morbido di cuoioo altro al di sotto della lamina a rendere ardua una impressio-ne accurata e agevole; infine, naturalmente è maggiore ladurata dei modani non colpiti direttamente.

Nonostante tali fattori tecnici, sembra tuttavia attestata,in qualche caso, anche la prassi della battitura sul retro delmodano; alcuni reperti infatti recano segni di martellatura etratti scagliati sulla parte posteriore – quando questi nonsono causati dall’incudine non ben lisciata -, oppure il retrorisulta a volte lievemente bombato così da avere scarsa sta-bilità sulla base di appoggio dura. È interessante, in parti-colare, il caso delle matrici da Björnhofda, Ksp. Torslunda(Öland, Schweden): il complesso unitario, che si componedi quattro piastre ritenute di due distinte serie per ragionistilistiche e per la loro composizione chimica, presenta se-gni di colpi sul retro in due sole matrici, lasciando quindiintravedere la possibilità non solo di provenienze diverse,ma di modalità d’uso distinte anche all’interno di uno stes-so sito produttivo; questo, ammettendo che esse non sianoarrivate all’ultimo proprietario dopo essere state usate inmodi specifici da mani diverse.

Un’altra circostanza, che al momento sembra piuttostoeccezionale, è l’impiego di modani con il motivo scavato enon in rilievo, che venivano impressi sul lato anteriore:quest’ultimo allora risulta presentare i tratti più netti e in-sieme il motivo in rilievo (FOLTZ 1975). Quanto alla martel-latura, essa forse non avveniva direttamente, ma su un tas-sello della forma del modano che permetteva una distribu-zione più omogenea della pressione, e comunque presup-poneva uno strato “cuscinetto” per il quale Teofilo parla dipiombo. Dopo il primo avviamento, il materiale assumeval’impronta del rilievo e, nel caso di impressioni molteplici,ne facilitava le successive riproduzioni. Il disegno stampa-to, poi, poteva essere rifinito a cesello, con l’arricchimentodi minuti dettagli resi da leggere incisioni.

Alla fine la lamina impressa veniva ritagliata; se infattinel caso di manufatti circolari è verosimile che la sagomavenisse definita prima dell’appoggio sul modano (KLEIN-PFEUFFER 1993), nella realizzazione delle croci questa ope-razione sembra costituirne il momento finale, almeno nellamaggior parte dei casi, quando si praticavano anche i fori.

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Tav. 1 – Alcuni modani da impressione in bronzo di sec. VII. 1) Hyldagergård presso Gl. Havdrup, Seeland (Danimarca). 2)Barton-on-Humber, Lincolnshire (Gran Bretagna). 3) Liebenau, Kr. Verden, Niedersachsen, t. VIII/100 (Germania). 4) RundenBerg bei Urach, Kr. Reutlingen, Württemberg (Germania). 5) Gammertingen, Kr. Sigmaringen, Württemberg (Germania). 6)Florennes, Bois des Sorcières, Prov. Namur (Belgio). 7) Suffolk (Gran Bretagna). 8) Salmonby, Lincolnshire (Gran Bretagna). 9)Leibersheim, Riedisheim, Dép. Haut-Rhin (Francia). 10) Suffolk (Gran Bretagna). (da: CAPELLE, VIERCK 1971 e 1975; WERNER 1977;KLEIN-PFEUFFER 1993) SC. 1:1.

Un altro gruppo di studi, da correlare al precedente, èincentrato sulla realizzazione dei medaglioni “bratteati”scandinavi, con particolare attenzione al materiale impie-gato per il modano (MACKEPTANG 1952; ARRHENIUS 1975;AXBOE, ARRHENIUS 1982; AXBOE 1988). Pur trattandosi di re-perti pertinenti ad un differente ambito geografico e cultu-rale – che tuttavia si rinvengono, sporadicamente, in Euro-

pa continentale e anche nella Pannonia longobarda – il ma-teriale costitutivo, ovvero le lamine d’oro, e la tecnica de-corativa a stampo ne fanno una interessante “produzioneparallela” rispetto alle “brattee” continentali, presenti so-prattutto in ambito longobardo e alamanno. Alcuni fattoridistinguono tuttavia il panorama scandinavo. In primo luo-go, a fronte di più di ottocento manufatti noti, non sono

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ancora stati rinvenuti modani da impressione anteriori allafase vichinga, per la quale invece esistono numerose testi-monianze in bronzo; lo studio quindi si è basato primaria-mente sull’attenta osservazione delle tracce di lavorazioneconservate sulla superficie dei manufatti, oltre che sulle se-rie di reperti presumibilmente decorati con lo stesso utensi-le. Inoltre, i motivi, anche assai minuti, presentano impres-sioni giudicate più nitide e linee più nette rispetto a moltiprodotti continentali.

Secondo la Arrhenius, tali circostanze potrebbero esse-re spiegate con l’utilizzo di matrici di argilla cotta, con l’im-pronta in negativo ripresa da un modello in cera. Il materia-le fittile avrebbe offerto alcuni vantaggi: esso poteva esserescaldato e rallentare il raffreddamento della lamina; inoltre,anche se di breve durata (a volte non più di un utilizzo), l’ar-gilla era modellabile velocemente. Questo, anche in conside-razione della possibilità di riprendere l’impronta da un ma-nufatto finito, senza plasmare un nuovo modello: l’operazio-ne portava ad una progressiva riduzione del diametro a causadella contrazione dell’argilla durante l’essiccazione e la cot-tura, oltre alla graduale perdita di definizione dei tratti. Lastudiosa ritiene invece improbabile l’impiego di utensili inlegno già proposto dal Salin, dal momento che la superficiemetallica riscaldata lo avrebbe danneggiato; l’essenza vege-tale potrebbe invece aver costituito lo strato intermedio fra lalamina e il martello, lasciando così gli anelli che a volte sonostati individuati sulle brattee, oltre ai segni della stoffa(MACKEPTANG 1952).

Di diverso avviso è invece Axboe che, pur confermandol’uso di matrici negative, non condivide la teoria dell’argillamodellata direttamente sui medaglioni finiti. Egli sottolinea,infatti, come le serie di brattee con lo stesso motivo (in gene-re fra le 2 e le 6 unità, ma anche fra le 12 e le 14) sianoidentiche anche nei difetti, nei graffi del modano e nelle di-mensioni e non si spiega come non siano state eliminate leimperfezioni, operazione che pure sarebbe stata facile inter-venendo sull’argilla fresca. Inoltre, è diversa anche la valu-tazione che l’autore fa dei pezzi con segni meno decisi, chenon sarebbero la prova di un calco da un pezzo finito, bensìdel deterioramento di modani di materiale non molto resi-stente, come il legno o l’avorio. Sarebbe soprattutto l’attentaosservazione dei segni rimasti sulla superficie a suggerirel’uso di materiali lavorabili con compasso, scalpelli e punzo-ni, sostanze più velocemente lavorabili nel caso di serie limi-tate, mediante intaglio al posto della fusione; l’unico proble-ma viene dalla difficoltà di lavorarli in negativo. Quanto allaripresa dei decori metallici, lo studioso propende per un’im-pronta su cera e non su argilla; in questo modo, era possibilecombinare più parti decorative e cambiarne alcuni dettagli,pur rispettando la presenza dei simboli più significativi. Nonsi può ancora escludere, tuttavia, l’esistenza di modani posi-tivi in bronzo, magari ricavati per fusione da matrici model-late su prototipi in legno; il materiale dell’utensile, con di-verso grado di deperibilità, poteva infine variare a secondadel numero più o meno elevato di manufatti commissionati. Imotivi venivano rifiniti a freddo e spesso si aggiungevanoanche punzonature geometriche a riempimento di superficirimaste lisce; la fase finale era quella di una leggera lisciatu-ra delle superfici.

L’ipotesi dell’esistenza di matrici negative in argilla ri-chiama nell’eccezionale rinvenimento di Mote of Mark,presso Rockliffe, Dalbeattie (England) (CURLE 1914;LAING 1975; CLOSE-BROOKS 1978; SPEAKE 1989): l’elevatonumero di frammenti di matrici fittili recanti un decoro, dif-fuso nella seconda metà del VII secolo, inciso in negativolascia supporre un uso certo non duraturo degli strumentidestinate a prestigiose fibule a disco. Resta tuttavia il dub-bio che gli utensili fossero finalizzati alla fusione e non al-l’impressione.

La fase più trascurata dalla riflessione critica nell’inte-ro processo di lavorazione dello sbalzo con modano, inve-ce, è proprio la realizzazione dell’utensile. A seconda del

materiale impiegato (metallico o organico) il motivo pote-va essere ottenuto per incisione mediante l’uso di trapani,bulini e ceselli, oppure fuso in matrice ricavata da un mo-dello. Quest’ultimo processo è documentato a Roma, nelloscarico della Crypta Balbi, dove sono stati rinvenuti cinquemodelli in piombo pieno fusi sulla base di prototipi in cera;con questi modelli si otteneva la matrice da fusione che ser-viva alla gettata del modano in bronzo per lo sbalzo (nesono stati trovati otto esemplari); non manca inoltre, unaprova non finita in lamina di rame (GIANNICHEDDA, MANNO-NI, RICCI 2001). Il quadro dei rinvenimenti attesta i diversimomenti del processo di lavorazione, fornendo così la pro-va che nell’importante manifattura romana i modani daimpressione venivano sia prodotti che usati (RICCI 1997).Infine, a proposito delle matrici da impressione con inci-sione negativa, è stato evidenziato il rapporto fra la realiz-zazione di queste, la preparazione dei coni monetali e deisigilli e la glittica (FINETTI 1987).

L’analisi metallotecnica dei modani rinvenuti soprattut-to in area tedesca, infine, non ha offerto elementi distintivi dicomuni e specifici ambienti di origine (CAPELLE, VIERCK 1971e 1975); tuttavia, la circostanza che strumenti trovati nellostesso contesto abbiano rivelato in genere composizioni sen-sibilmente differenti, pur essendo spiegabile in vario modo,permette di propendere per una frequente distinzione fra icentri di realizzazione del modano e i luoghi del suo impie-go. Dal momento che proprio la produzione dell’utensile erala fase più delicata e impegnativa dell’intero processo dellosbalzo, soprattutto nel caso di disegni particolarmente com-plessi e raffinati – decisamente più agevoli erano le opera-zioni di martellatura della lamina e di impressione – è possi-bile che mentre i laboratori maggiori disponevano di una loroproduzione di stampi, gli orafi delle botteghe minori sparsesul territorio si avvalessero spesso di utensili che venivanocommercializzati.

I CONTESTI DI RINVENIMENTO DEI MODANI E ILRAPPORTO CON I MANUFATTI ANALOGHI

Nel piccolo nucleo sepolcrale avaro di Kunszentmártonin Ungheria (9 sepolture), la tomba 1 risulta di grande inte-resse in relazione alle questioni in esame, avendo restituitoun numero elevato di modani da impressione per laminemetalliche (una parte è alla Tav. 2), oltre a vari strumenti daorefice nonché elementi caratteristici della condizione dicavaliere di alto rango, per un totale di 130 oggetti (CSALLÁNYDESZÖ 1933; WERNER 1970). La sepoltura accoglieva i restidi un cavallo posto di traverso al di sopra dello scheletroumano; quest’ultimo indossava una corazza lamellare in fer-ro ed era affiancato da alcune armi (spada, pugnale, puntadi lancia e punte di frecce). Svariati erano gli strumenti perpesare e lavorare i metalli preziosi: una bilancia di preci-sione a due braccia accompagnata da nove pesi monetalibizantini in bronzo e vetro racchiusi in un cofanetto, unmartello, una tenaglia e parte di forbici, un saldatoio e undoppio cannello da saldatura, un’incudine, pietre per lisciaree soprattutto almeno trenta modani da impressione in bron-zo fuso con decorazione a rilievo (solo rare eccezioni eranoin ferro). Gli utensili erano destinati alla realizzazione dimanufatti di uso maschile, come guarnizioni di cintura eparti di finimenti equini o di foderi per armi, ma non mancaun modano per orecchini del tipo “a piramide” (Tav. 2,n. 15). Troviamo dunque pezzi a forma di “U” o doppia“U” per le placche e i puntali delle cinture multiple, o piùallungati per lamine decorative dei bordi dei foderi di pu-gnale e sagome circolari e cruciformi adatte per snodi eapplicazioni di briglie. Due lamine impresse ma non anco-ra ritagliate sono indubbiamente dei semilavorati, uno deiquali modellato mediante uno dei modani rinvenuti; nonmancano infine prodotti finiti. Tra il materiale si trovavanoanche una forma in negativo con l’incavo a rosetta, punzo-ni in bronzo e in ferro, una laminetta d’argento, scorie di

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bronzo e di ferro. In base ai confronti stilistici, gli oggettidel corredo sono inquadrabili fra la fine del VI secolo e laprima metà del VII.

Il ritrovamento permette alcune considerazioni. Innanzi-tutto l’orafo possedeva e usava un elevato numero di modanida impressione relativo a più serie omogenee e quindi pote-va produrre, soprattutto nel caso delle cinture, oggetti di di-verso tipo, rispondendo così a richieste di gusto differente.Le caratteristiche morfologiche e soprattutto stilistiche deglistampi rimandano a distinte tradizioni artigianali: alcuni pun-tali recano una decorazione vegetale tipicamente bizantina,altri presentano intrecci più propriamente avari; gli stampilisci destinati alle briglie hanno forme di origine scita e nonmanca, infine, almeno un modano recante un intreccio in IIStile animalistico germanico (Tav. 2, n. 18). Ciò porta adescludere che l’artigiano stesso abbia realizzato i suoi stru-menti, che per raffinatezza e proprietà esecutiva tradisconomani esperte di diversa formazione; questi, piuttosto, dovreb-bero provenire da centri produttivi più importanti che “com-mercializzavano” – o almeno diffondevano – ad ampio rag-gio anche i modani da impressione. Oltre alla diversa prove-nienza, gli utensili sembrano riconducibili a momenti lieve-mente distanziati fra di loro, suggerendo acquisti da partedell’orafo in tempi diversi o comunque un lento processo diformazione del campionario di modani di cui disponeva l’ava-ro di Kunszentmárton al termine della sua vita.

Al momento della pubblicazione della t. 1 di Kuns-zentmárton (CSALLÁNY DESZÖ 1933) in Ungheria erano notitredici contesti di ritrovamento di modani da impressione,per un totale di 140 utensili, sparsi fra la Drava e l’alto cor-so del Maros. Una tale distribuzione costituisce un datoimportante, in quanto indica la presenza di numerosi orafisparsi sul territorio e l’articolazione capillare della produ-zione di manufatti in lamina impressa.

Quanto alla mobilità dei modani (WERNER 1970 eCAPELLE, VIERCK 1971 e 1975), al momento sono ancora leragioni stilistiche che suggeriscono a volte la mancata coin-cidenza fra il presumibile ambito culturale di provenienza el’area di rinvenimento (e di utilizzo) degli strumenti. Questoè il caso, per esempio, del modano rettangolare in II stileanimalistico trovato a Florennes, Namur (Belgio) (Tav. 1, n. 6)e ricondotto, in base allo schema compositivo e ai dettagliiconografici della decorazione, ad origini anglosassoni(WERNER 1970) o addirittura norditaliche (VIERCK 1971), op-pure di uno dei modani provenienti da Suffolk (England) ri-tenuto di fattura merovingia (Tav. 1, n. 10) (VIERCK 1971). Amio avviso, tuttavia, da una parte il panorama artigianale al-tomedievale ancora poco noto, dall’altra gli influssi e le in-terferenze iconografiche che riflettono, nella loro complessi-tà, dinamiche politiche e sociali assai fluide rendono la “de-codificazione” delle “presenze stilistiche anomale” un terre-no ancora ostico e insidioso. Si pensi, a titolo esemplificati-vo, al contesto di VI secolo nell’area del palazzo vescovile diGinevra dal quale proviene un modello in piombo per la fu-sione di fibule a staffa di tipologia anglosassone, assenti nel-le necropoli del territorio e per il quale non si hanno elementiper stabilire se si trattasse della presenza di un artigiano ve-nuto dall’Inghilterra o della committenza di una donna dellastessa origine (BONNET, MARTIN 1982).

A maggior ragione, forse, la cautela diventa d’obbligonell’attribuzione di manufatti che sembrano realizzati conlo stesso modano ma che sono stati rinvenuti a una certadistanza l’uno dall’altro. Si pensi al caso delle guarnizionimultiple in lamina d’oro impressa trovate nella t. 1 di Trez-zo d’Adda e nella t. 1 di Nocera Umbra: citate anche comeesempio della circolazione dei modani (PAROLI 1994), in re-altà non permettono di escludere la commercializzazione adistanza dei prodotti finiti, lo spostamento dell’artefice oquello del proprietario.

Più fruttuoso si rivela invece il confronto fra i modaninoti e i manufatti che presentano le stesse caratteristicheformali e stilistiche. Un’immagine pubblicata da Hussong

nel 1937 mostra in una visione sinottica lo stampo circolaredi Petersberg e alcune fibule a disco in lamina impressa conlo stesso motivo ornamentale. I dischi presentano dimen-sioni minori e dettagli della raffigurazione che si discosta-no tutti, in diversa misura, da quelli dello strumento: ciòvuol dire che esistevano più modani recanti lo stesso moti-vo, pur delineato con caratteri solo lievemente differenti.Non è questa la sede per condurre una puntuale analisi ditutti i manufatti che richiamano fortemente un modano noto,operazione che restituirebbe dati significativi circa il rap-porto fra i vari stampi, la loro provenienza e le modalità direalizzazione, nonché sull’incidenza e la diffusione del la-voro di un orafo. Preme qui solo ricordare che l’esistenzadi più modani molto simili all’origine di grandi serie di pro-dotti finiti è testimoniata, per il X secolo, dal ritrovamentodi numerosi stampi circolari con analoga decorazione geo-metrica in diverse località della Scandinavia e della Ger-mania settentrionale (CAPELLE, VIERCK 1975).

Indicazioni significative, ma che decisamente merite-rebbero un più puntuale approfondimento, derivano poidall’estensione dell’area in cui i prodotti finiti sono docu-mentati e la relazione topografica con il sito di rinvenimen-to del modano. In base alle valutazioni tratte da Vierck nel1971, sarebbero quantitativamente consistenti i casi in cuiil punto di ritrovamento dello strumento è esterno all’areadi concentrazione dei pezzi finiti corrispondenti. Ammessoche lo stato delle scoperte fosse sempre rappresentativo dellareale distribuzione dei prodotti, la spiegazione della circo-stanza è legata allo spostamento degli artigiani, alla conti-nua trasmissione degli strumenti o alla particolare destina-zione di oggetti forse con una precisa valenza simbolica(magari in senso etnico) in determinate aree, mentre la pro-duzione destinata alle comunità locali avveniva mediantealtri modani?

La possibilità di richieste diverse a seconda dei territorifruitori sembra avvalorata dalla distribuzione delle fibule astaffa e a “S” legate ai modelli da fusione trovati entrambinella tomba 6 di Poysdorf (Austria) (BENINGER, MITSCHAMÄRHEIM 1966). Mentre la maggior concentrazione delle fi-bule a “S” si trova nella fascia più orientale, le fibule a staf-fa compaiono quasi esclusivamente nei territori più occi-dentali della carta dei rinvenimenti. Dal momento che i duesettori, l’uno coincidente con l’ambiente turingio-boemo el’altro con la regione occupata dagli Alamanni, si distin-guono per numerosi fattori culturali ed economici, si è pen-sato a distinti bacini di circolazione dei due specifici reper-ti, rispondenti a diversi gusti e mode o a specifici codici didistinzione sociale e forse anche etnica; questo, senza pe-raltro escludere l’eventualità che l’orafo fosse itinerante(CAPELLE, VIERCK 1971). Mi chiedo, tuttavia, se l’opificiodi provenienza dei due modelli non sia da collocare all’in-terno delle rispettive aree di distribuzione dei prodotti e sei due strumenti (forse non gli unici all’origine delle fibulenote) non abbiano seguito un iter differente prima di arriva-re all’ultimo proprietario, che le ha utilizzate, fra l’altro,anche per parures di donne longobarde.

Vi è infine la circostanza di modani che, nella loro de-corazione, riproducono motivi diffusi imitandoli a volte contratti che tradiscono una minore padronanza e conoscenzaiconologica rispetto ai prototipi. Così, il puntale in argentodella tomba 8 di Arsago Seprio reca una figura umana fron-tale, con gambe incrociate e braccia alzate che sorreggonoun monogramma cruciforme a caratteri greci: si tratta dellostesso motivo presente sul modano in bronzo da Adalia (co-sta meridionale dell’Asia Minore) (DE MARCHI 1989), raf-figurato questa volta in modo più completo e accurato. Perla tipologia in questione, di origine orientale ma evidente-mente presente anche in territori occidentali, la produzionedoveva avvalersi di più modani anche di qualità molto dif-ferente fra di loro.

Un’ultima considerazione è dettata dalla presenza de-gli stampi nelle tombe. La loro deposizione insieme al pro-

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Tav.

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prietario porta a ritenere che, almeno in questi casi, essinon venissero trasmessi in eredità o lasciati alla bottega macostituissero dei beni personali dell’orafo; egli, inoltre, do-veva essere di condizione libera, data la frequente presenzadi armi nella tomba (GIOSTRA 2000).

Fin qui la sintesi delle considerazioni finora espressedalla critica in merito all’impressione delle lamine nell’altomedioevo sulla base degli strumenti noti e dei rispettivicontesti di rinvenimento, che offrono numerosi utili dati dipartenza, stimolanti riflessioni e molti possibili filoni diapprofondimento. Sarà ora interessante, a mio avviso, te-nere presente le informazioni sopra esposte nello studio,tuttora in corso, delle “crocette longobarde”, la produzionein lamina impressa più significativa del panorama artigia-nale longobardo. Ben attestata soprattutto in Italia setten-trionale, essa presenta, già ad una prima analisi macrosco-pica, una serie di circostanze meritevoli di una riflessionemirata ai fini di una migliore comprensione del processo dilavorazione e dell’organizzazione artigianale ad esso pre-posta.

NOTA

* Il presente contributo costituisce una nota preliminare allostudio in corso da parte di chi scrive sulle croci in lamina d’oro dietà longobarda analizzate anche sotto il profilo tecnologico e arti-gianale; il lavoro è già confluito nella tesi di Dottorato Le croci inlamina d’oro di età longobarda tra organizzazione artigianale, mu-tamenti ideologici e distinzione sociale, discussa nell’A.A. 2000-2001, tutor Prof.ssa Silvia Lusuardi Siena, Dottorato di ricerca inArcheologia Medievale dell’Università dell’Aquila, e se ne daràconto in altra sede.

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