c m y k il progresso imparziale - istituto di cultura...

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Mettiamo a fuoco il contributo italiano alla storia dell'architettura egiziana. Un apporto dato, in un primo momento, principalmente da sin- goli individui, in maniera spontanea e personale, quando uno stato italiano politicamente unitario non esisteva ancora. Si trattava di un tipo di par- tecipazione che, per il suo carattere e sviluppo a tutt'oggi, sembra legata ad una certa affinità o simpatia tra i due popoli. Oggi tale contributo continua attraverso le organizzazioni governati- ve dei due paesi. Le testimonianze più importanti della presen- za italiana nel campo dell'architettura egiziana si trovano nella città di Alessandria d’Egitto, dove la comunità italiana era presente in numero maggiore. Qui troviamo ad esempio: il famosis- simo Pietro Avoscani (Livorno, 1816 - Alessan- dria d'Egitto, 1891). Giunto ad Alessandria il 28 marzo 1837 Pietro Avoscani si mise a servizio del Governo egiziano, assumendo la direzione dei lavori per la costruzione del Palazzo khedi- viale di Ras el-Tin di cui egli stesso eseguiva la parte decorativa. Nel 1862 il conte Zizinia gli af- fidava la costruzione del Teatro Zizinia, il massi- mo teatro di Alessandria, ispirato al Teatro Liri- co "La Scala" di Milano. Con il regno di Ismail Pascià, Pietro Avoscani progettò il Mercato In- ternazionale di Minet el-Basal, detto comune- mente la Borsa del Cotone. Nel 1869, in previsione dell'inaugurazione so- lenne del Canale di Suez, Ismail Pascià gli com- missionò la costruzione del Teatro dell'Ope- ra del Cairo. Avoscani lo dovette costruire in 6 mesi e per fare in tempo lo costruì in legno! In seguito la parte posteriore fu ricostruita in pietra dall'arch. italiano Salomon. Pietro Avoscani fu anche l'ideatore del grande e maestoso lungomare (la "Corniche") che unisce Ras el-Tin a Ramleh. La sua costruzione non poté' però essere iniziata dall'Impresa Al- magia' prima del 1899. Pietro Avoscani e' morto ad Alessandria il 1° marzo 1891. Indimenticabile è l’architetto Ernesto Verruc- ci (Force, 14 marzo 1874 – Force, 1945). Stabi- litosi ad Alessandria, entrò a far parte del perso- nale tecnico del Museo Greco-Romano. Nel 1897 si trasferiva al Cairo, nominato dal Ministero dei Lavori Pubblici architetto capo sezione. Tra le sue opere più significative ci sono il cenotafio del Dott. Elwi Pascià, in stile arabo, eretto nel ci- mitero musulmano del Cairo; il monumento funerario della famiglia Nuncovic, di stile classi- co, nel cimitero greco-ortodosso; la sede della Società di Economia Politica in stile Rinasci- mento italiano; la Villa di De Martino Pascià, geniale fusione di vari motivi architettonici; la Scuola greca di Heliopolis, in stile bizantino; i locali della Società Internazionale di Assistenza Pubblica; il Teatro in stile orientale, nel giardino dell’Esbekieh del Cairo e la sede della Società di Entomologia d’Egitto. Nel 1917 venne nominato dal Sultano Fuad I architetto capo del Waqf, carica che resse per due anni, durante i quali progettò il cenotafio della Regina Madre e quello dello stes- so re Fuad nella Moschea el-Rifai a Il Cairo. Queste opere, ispirate al fasto dell’arte araba, piacquero tanto al sovrano che da allora in poi considerò l’arch. Verrucci tra i suoi consiglieri più cari. Gli fu concesso il titolo e le funzioni di Membro del prestigioso "Comité de Conserva- tion des Monuments et de l’Art Arabe" e gli fu- rono affidate delicate missioni politiche all’este- ro. Nel 1919 il re Fuad I gli conferì il titolo onorifico di Bey e lo nominò Architetto Capo dei Palazzi Reali. Inoltre progettò la nuova Ca- serma per le guardie e la cavalleria reale, com- presa l’autorimessa della Corte. Le facciate del Palazzo Reale di Kubbeh (Cairo) furono rifatte in stile rinascimentale sempre su progetto dell’Arch. Verrucci. Ad Alessandria, l’Arch. Verrucci progettò quel- la che sarebbe diventata la sua opera più famo- sa: il Palazzo Reale a Montazah, italianissimo nelle pure linee quattrocentesche. Nel corpo dell’edificio Verrucci riprodusse la famosa torre senese del Mangia. Su un isolotto eresse un ar- tistico Padiglione, decorato alla maniera pom- peiana. L’arch. Verrucci fu anche l’autore del com- plesso comprendente il Teatro, la Biblioteca e il Museo nella citta` di Damanhur, della casa di Riposo Vittorio Emanuele III ad Alessandria e della Sede dell’Associazione Internazionale Soc- corsi Sanitari d’Urgenza (AISSU) di Alessandria inaugurata nel 1928 da re Fouad I. Un'altra pregevole opera concepita dal Ver- rucci fu il monumento in onore d’Ismail Pascià, eretto sempre nella città di Alessandria e dono della Comunità italiana d’Egitto a re Fuad I in ricordo della sua visita ufficiale a Roma nel 1927. Indimenticabile e' anche Mario Rossi, archi- tetto romano nato alla fine dell'Ottocento (1897) che approdo' in Egitto come semplice assistente decoratore del grande Ernesto Ver- rucci e che diventò poi "l'architetto delle mo- schee". Egli nel 1929 vinse un concorso diven- tando il responsabile della progettazione di tutte le moschee d'Egitto. Tra le opere piu' importanti di Rossi ci sono le moschee di El Mursi Abu el- Abbas e di Al-Kaed Ibrahim ad Alessandria, oltre a quelle di Port-Said, Quenah, e il Cairo (Omar Makram in piazza Tahrir) . Ha completato anche la costruzione della moschea di Al-Rifa'i destinata, a quel tempo, ad essere il cimitero della famiglia di Muhammed Ali. Rossi fu un uomo che seppe introdurre elementi di moder- nità originali e audaci, ancora oggi studiati dai giovani progettisti di tutto il mondo. L'opera di Rossi è un grande esempio della convivenza tra diverse culture, esempio che diede frutti molto importanti e che mostra come la coesistenza travalichi la cultura e la religione. E' stato infatti un italiano a modernizzare l'architettura delle moschee d'Egitto. Nourhan Youssef C M Y K • Numero 4, Venerdì 7 Ottobre 2016 E' piccola di statura ed esile, ma sembra alta, quando si muove con la grazia e la postura tipica di chi ha speso una vita danzando.Erminia Gambarelli Kamel, italiana di Mila- no, è oggi la direttrice artistica del corpo di ballo (classico) dell'Opera del Cairo, un compito non facile quando si pensa a come siano differenti le culture -araba ed europea- musi- cali e quindi anche del ballo. Ma Erminia- insignita poi anche dei titoli di Cavaliere e Commendatore della Re- pubblica italiana-  con determinazione ed impegno, è riuscita a realizzare un piccolo miracolo e alle sue produ- zioni del Lago dei cigni, di Schiaccianoci, di Cenerentola, di Zorba il Greco e di tante altre, la sala è piena ad ogni re- plica e spesso anche di bambini estasiati e divertiti. La storia di Erminia e del balletto è lunga e comincia quando da pic- cola, rendendosi conto del suo talento, i genitori la iscrissero alla scuola della Scala di Milano, il tempio delle arti musicali in Italia. La sua carriera è stata senza ostacoli, fino a farne una solista a poco più di vent'anni. Fu allora che la sua vita ebbe una svolta, con l'incontro -sempre alla Scala- con un solista egi- ziano, ospite del teatro milanese. Abdel Monein Kamel ed Erminia si innamorarono, si sposarono e tornarono al Cairo. Erano gli anni Ottanta e la nuova Opera non era ancora pronta. Fu inaugurata nel 1988, ma intanto Abdel Moneim era diventato direttore dell'Accademia di danza ed Erminia lavorava con lui, come coreografa, insegnante, prima balleri- na. Era l'unica straniera, allora, in tutte le accademie musicali e artistiche d'Egitto. Con l'apertura della nuova Opera nasce anche la compagnia ufficiale del Cairo Ballet sotto il patroci- nio del Ministero della Cultura. Abdel Moneim ne diventa il direttore ed Erminia la prima ballerina. La loro collaborazio- ne porta al successo Il lago dei cigni, don Chisciotte, Schiac- cianoci, Giselle, Le Corsaire.... Solo allora cominciano le pri- me integrazioni di artisti stranieri. Anni dopo, Abdel Moneim viene nominato direttore dell'Opera del Cairo ed Erminia gli succederà come direttrice del Corpo di ballo. Qualche anno fa A bdel Monei è venuto a mancare, ed Er- minia -anche omaggiandone così la memoria- ha continuato il cammino artistico intrapreso insieme. D.- Cosa ha significato essere l'unica italiana, l'unica straniera negli anni Ottanta, in un paese e in una cultura (anche musicale) così diversa? R. "Intanto va sottolineato che l'arte è universale, anche quando offre diversità. Poi, all'inizio non percepivo le vere difficoltà di inserimento e accettazione da un corpo di ballo che fino al allora non aveva mai sperimentato presenze stra- niere. Poi però ho capito che per gli stessi ballerini egiziani io ero un po' un rompighiaccio. Dopo, quando hanno co- minciato ad arrivare professionisti di altri paesi, l'accoglienza è stata totale e vista come un arricchimento e una naturale scambio di conoscenza, di metodi e basi culturali diverse". D. L'essere italiana e venire dalla Scala l'ha aiutata nell'inserimento? R." La scelta di dedicare la propria vita al ballo classico era allora molto coraggiosa, rompeva un tabù e quindi spesso riguardava soprattutto l'alta borghesia per la quale la Scala era un'istituzione conosciuta e riverita. E quindi anche la mia professionalità in qualche modo esigeva rispetto. Quan- to all'essere italiana, debbo dire che in Egitto era ed è anche oggi, una carta di credito per ottenere simpatia. E questo, insieme alla mia dedizione verso il lavoro, mi hanno portato non solo rispetto e integrazione, ma anche la possibilità di emergere". D.Oggi lei è direttore artistico del Corpo di ballo, un ruolo di grande responsabilità. I suoi ballerini la vedono come un allenatore di calcio al quale si imputano tutti gli errori di una partita? R. " Come tutti gli esseri umani soprattutto se artisti, i bal- lerini con ammettono facilmente le loro mancanze: Però alla fine li ho sempre trovati consapevoli del loro peso spe- cifico, sia nelle vittorie (quando uno spettacolo è molto ap- prezzato), sia quando ci sono critiche al nostro lavoro. E abbiamo imparato a desumere il meglio anche dalle cri- tiche". D. -Lei si è dedicata al repertorio classico. Ma all'Opera del Cairo ci sono anche due compagnie di danza contem- poranea. C'è fra voi competitività? R. "La competitività c'è nel cercare, noi e loro, di dare sempre il meglio nel nostro ambito. Agiamo tuttavia in campi diversi. Noi nasciamo  con la produzione classica alla quale restiamo legati. E per classico intendo una forma di balletto che non deve andare persa. Possiamo certo ag- giungere tocchi di modernità al Lago dei cigni, a Giselle o Schiaccianoci, ma la nostra missione è continuare a far vi- vere -e non come pezzi da museo- il grande repertorio clas- sico e farlo conoscere alle nuove generazioni". D. - Dopo decenni di vita egiziana, cosa le rimane della sua italianità? R. "Guardi,se perdessi la mia italianità non potrei dare nessun contributo vero al mio lavoro e a questo Paese. Amo profondamente l'Egitto, ho sposato e ho un figlio egi- ziani. Ma confesso di andare spesso a Milano e non solo per vedere la mia famiglia d'origine, ma anche per ricontat- tare quella cultura e portarne qui il meglio e trasmetterla. Credo nell'arricchimento del confronto e convergenza delle culture. E non nel barricarsi nella propria". D.- E allora, gentile Erminia,senza essere diplomatica, ci dica cosa le manca di più dell'Italia... R. " Non dimentichi che io sono anche milanese e Milano è nel Nord dell'Italia. Quindi a volte mi manca quella piog- gia noiosa che in genere gli italiani non amano. E poi mi manca il vero risotto alla milanese" Intervista curata da Neliana Tersigni Nel grande flusso della storia personaggi ed eventi, attività delle masse e azioni dei singoli vengono osservati "ex post" al me- glio delle informazioni, dei ricordi, dei do- cumenti, della fama. Quest'ultima, che gli antichi rappresentano come una giovane donna che suona una lunga tromba (la"chiarina della fama, appunto) è ca- pricciosa e spesso ingiusta. Dimentica persone e cose degne di me- moria e spesso privilegia individui, o fatti, che per un puro concorso di circostanze vengono alla luce in maniera più chiara di altri. Spesso la fama privilegia il curioso, l'in- aspettato, il sensazionale, in senso buono e in senso cattivo, piuttosto che la virtù . Ahimè , le persone virtuose sono gene- ralmente noiose; e gli osservatori sono vi- ziati dalla marea di notizie e selezionano fatti e persone più appassionanti, spesso a prescindere dal motivo che li ha portati alla ribalta. È compito dell'educatore distinguere le erbe buone dalle cattive, a cominciare dall'educazione infantile. Cosi' non si dan- no solo notizie e ragioni, ma si abituano gli esseri umani a distinguere il bene dal male. Impresa assai complicata purtroppo. Questo concetto mi aiuta a collegarmi con il tema principale di questo supple- mento, "i protagonisti', appunto. Senza nulla togliere alle analisi sociologiche dei comportamenti delle masse, all'influenza dell'economia, del clima, degli aggregati (che non sono mio compito), vorrei sof- fermarmi sulla missione di alcuni indivi- dui, almeno non ci si accuserà di ambizio- ne analitica. Per questo abbiamo intervistato alcune “signore” dell’insegnamento elementare e medio, che hanno alle spalle decenni di educazione dei bambini e degli adolescen- ti: e il loro metodo, il loro approccio, sono stati giustapposti al metodo e all’approccio di oggi. Questi interessanti confronti sono in quarta pagina, dedicata ormai stabil- mente alla promozione della lingua italiana e al rapporto con scuole e università. Per questo abbiamo ottenuto anche il contributo di alcuni protagosnisti delle re- lazioni culturali e sociali tra Italia ed Egit- to, persone che amano profondamente i due Paesi e che, individualmente e in so- cietà, non mancano di perseguire questa amicizia e anzi agevolano le attività cultu- rali dell'Istituto italiano. Collegandoci al concetto di "impresa e cultura" già affrontato nell'edizione di lu- glio 2016 di questo giornale, presentiamo un articolo del rappresentante del presti- gioso gruppo "Fenosa Gaz », esempio di moderno mecenatismo. Quanto alla pagina archeologica, Giu- seppina Capriotti anche stavolta cita esempi illustri di cooperazione tra i due Paesi e continua la carrellata sui Musei Egittologici in Italia: ora è la volta del Museo Egizio di Torino. Nella pagina dedicata alla promozio- ne della lingua italiana, oltre agli arti- coli sull’educazione sopra citati, ripor- tiamo commenti e ricordi di altri "attivisti" del settore scolastico e uni- versitario. Frutto della cooperazione in quest'ambito, un sunto della tesi di laurea del   neo-Dott. Ahmed M.A. Ab- dallah, laureatosi nelle scorse settima- ne con uno studio su Primo Levi, e al- tri articoli di italianisti egiziani. L'attualità culturale è presentata nelle altre pagine con l'ambizioso progetto “scrivendo la Divina Commedia”, da noi lanciato nei mesi scorsi, con un adden- dum del calligrafo italiano Silvio Ferragina e una citazione dell’Istituzione partner, il Centro Culturale Cinese al Cairo. L'Addetto Culturale Sandro Cappelli presenta la strategia dell'Istituto nel set- tore cinematografico e altri articoli pre- sentano protagonisti della cultura e dell'amicizia tra le due sponde del Medi- terraneo come Erminia Gambarelli Ka- mel, per la penna dell’insigne giornalista Neliana Tersigni. Il resto, da scoprire ! Paolo Sabbatini I protagonisti Architetti italiani in Egitto : una lunga storia di creatività Editoriale Il Progresso Imparziale Inserto mensile in lingua italiana del Quotidiano “Le Progrès Égyptien” dedicato alla cultura e all'attualità culturale a cura dell’Istituto Italiano di Cultura, il Cairo - Direttore Paolo Sabbatini L’anima italiana del Balletto dell’Opera del Cairo Union Fenosa Gas, impresa italo/spagnola parteci- pata al 50% da eni e Gas Natural, è operativa in Egitto dal 2000, e dal 2005 è entrato in produzione l'impian- to di liquefazione del gas di Damietta per l'esportazio- ne in Spagna e in altre parti del mondo del gas lique- fatto di produzione egiziana. La dimensione dell'investimento unitamente alla complessità del progetto e alle caratteristiche del paese ospitante, hanno comportato non pochi problemi iniziali,  compensati però da una enorme soddisfazione quando nel 2005 prese il via uno dei più grandi progetti di LNG del mondo. È stato per noi naturale dopo alcuni anni di piena operatività del progetto promuovere iniziative scien- tifiche  e di ricerca , volte a rafforzare i legami culturali tra i due paesi, l'Egitto e la Spagna, secondo le consue- tudini e le linee guida di sostenibilità di UFG. Quando il dottor Galan  , direttore del Consi- glio Superiore di Ricerche Scientifiche ( CSIC ) , ci propose di patrocinare il cosiddetto “Progetto Djehuty”, accogliemmo con grande entusiasmo la proposta, consapevoli che promuovere cultura significhi non solo trarne benefici indiretti istitu- zionali in termini di valorizzazione del marchio aziendale, ma anche favorire le relazioni di busi- ness  a tutti i livelli tra i due paesi. CSIC è la maggior istituzione pubblica in Spagna dedicata alla ricerca ed ha come obiettivo fondamen- tale lo sviluppo e la promozione delle ricerche in be- neficio del progresso scientifico e tecnologico nel mondo. Fare o sostenere la cultura , significa per Union Fe- nosa Gas  dimostrare rispetto e sensibilità per le storie e le abitudini di vita dei paesi nei quali la si promuove , per questo ha firmato alla fine del 2011 l’accordo di collaborazione e patrocinio del  Progetto Djehuty, per appoggiare lo sviluppo di progetti culturali e scien- tifici in Egitto. Il Progetto Djehuty si sviluppa nella collina nord della necropoli dell'antica Tebe, oggi Luxor, e anni di lavoro e di ricerca scientifica, hanno permesso di otte- nere grandi successi archeologici, sempre secondo i principi e valori fondanti di UFG e del team di pro- getto : lo spirito di gruppo, il senso di responsabilità, la solidarietà e il rispetto per le comunità locali. Quest’ultime hanno una altissima considerazione del lavoro di Jose Manuel Galan e del suo team, un team di circa 25 professionisti spagnoli di altissimo livello. Non vi nascondo che questa straordinaria iniziativa mi ha anche permesso di provare emo- zioni personali  uniche, quando nel Febbraio del 2014 ho potuto assistere all’apertura del sarcofago di un alto dignitario della XVII dinastia, un tale Neb, per mano della restauratrice Pia Rodri- guez, sarcofago che oggi fa parte della collezione permanente del museo di Luxor, insieme ad altre importanti scoperte fatte dal nostro team di ricer- ca, tutte con a fianco il marchio UFG. L'Egitto è un paese con grandi possibilità di sviluppo, tuttavia ancora oggi una maggioranza di suoi abitanti gode di standard di vita molto diversi dai nostri, che quindi abbisognano di formazione in vista dell’eleva- zione del benessere. Questo progetto, come ho avuto l’opportunità di verificare personalmente sul terreno in varie occasioni,  ha contribuito a migliorare il livello di vita di una parte della popolazione locale, un centi- naio di persone, offrendo allo stesso tempo la possibi- lità ad alcuni di loro di migliorare la propria formazio- ne e le conoscenze tecniche. Il progetto archeologico e’ per il momento in una fase di attesa, legata alla necessita’, per l’azienda, di ne- goziare con le controparti egiziane un nuovo accordo di prosecuzione del grande progetto economico a Damietta. Auspichiamo di poter avviare nuovi pro- getti di solidarietà e culturali nello spirito che contrad- distingue  il nostro modo di fare impresa nei paesi in cui operiamo. Cesare Cuniberto Consigliere e Direttore Generale UNION FENOSA GAS Fare impresa in Egitto con un occhio di riguardo alla straordinaria storia e cultura del paese Ernesto Verrucci - Ritratto di Ph.A. de Laszlo Antica Opera House del Cairo

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Mettiamo a fuoco il contributo italiano allastoria dell'architettura egiziana. Un apporto dato,in un primo momento, principalmente da sin-goli individui, in maniera spontanea e personale,quando uno stato italiano politicamente unitarionon esisteva ancora. Si trattava di un tipo di par-tecipazione che, per il suo carattere e sviluppo atutt'oggi, sembra legata ad una certa affinità osimpatia tra i due popoli. Oggi tale contributocontinua attraverso le organizzazioni governati-ve dei due paesi.

Le testimonianze più importanti della presen-za italiana nel campo dell'architettura egiziana sitrovano nella città di Alessandria d’Egitto, dovela comunità italiana era presente in numeromaggiore. Qui troviamo ad esempio: il famosis-simo Pietro Avoscani (Livorno, 1816 - Alessan-dria d'Egitto, 1891). Giunto ad Alessandria il 28marzo 1837 Pietro Avoscani si mise a serviziodel Governo egiziano, assumendo la direzionedei lavori per la costruzione del Palazzo khedi-viale di Ras el-Tin di cui egli stesso eseguiva laparte decorativa. Nel 1862 il conte Zizinia gli af-fidava la costruzione del Teatro Zizinia, il massi-mo teatro di Alessandria, ispirato al Teatro Liri-co "La Scala" di Milano. Con il regno di IsmailPascià, Pietro Avoscani progettò il Mercato In-ternazionale di Minet el-Basal, detto comune-mente la Borsa del Cotone.

Nel 1869, in previsione dell'inaugurazione so-lenne del Canale di Suez, Ismail Pascià gli com-missionò la costruzione del Teatro dell'Ope-ra del Cairo. Avoscani lo dovette costruirein 6 mesi e per fare in tempo lo costruì in legno!In seguito la parte posteriore fu ricostruita inpietra dall'arch. italiano Salomon. PietroAvoscani fu anche l'ideatore del grande emaestoso lungomare (la  "Corniche") cheunisce Ras el-Tin a Ramleh. La sua costruzionenon poté' però essere iniziata dall'Impresa Al-magia' prima del 1899. Pietro Avoscani e' mortoad Alessandria il 1° marzo 1891.

Indimenticabile è l’architetto Ernesto Verruc-ci (Force, 14 marzo 1874 – Force, 1945). Stabi-litosi ad Alessandria, entrò a far parte del perso-nale tecnico del Museo Greco-Romano. Nel1897 si trasferiva al Cairo, nominato dal Ministerodei Lavori Pubblici architetto capo sezione. Trale sue opere più significative ci sono il cenotafiodel Dott. Elwi Pascià, in stile arabo, eretto nel ci-mitero musulmano del Cairo; il  monumentofunerario della famiglia Nuncovic, di stile classi-co, nel cimitero greco-ortodosso; la sede dellaSocietà di Economia Politica  in stile Rinasci-mento italiano; la Villa di De Martino Pascià,

geniale fusione di vari motivi architettonici;la Scuola greca di Heliopolis, in stile bizantino; ilocali della Società Internazionale di AssistenzaPubblica; il Teatro in stile orientale, nel giardinodell’Esbekieh del Cairo e la sede della Società diEntomologia d’Egitto.

Nel 1917 venne nominato dal Sultano Fuad Iarchitetto capo del Waqf, carica che resse perdue anni, durante i quali progettò ilcenotafio della Regina Madre e quello dello stes-so re Fuad nella Moschea el-Rifai a Il Cairo.Queste opere, ispirate al fasto dell’arte araba,piacquero tanto al sovrano che da allora in poiconsiderò l’arch. Verrucci tra i suoi consiglieripiù cari. Gli fu concesso il titolo e le funzioni diMembro del prestigioso "Comité de Conserva-tion des Monuments et de l’Art Arabe" e gli fu-rono affidate delicate missioni politiche all’este-ro. Nel 1919 il re Fuad I gli conferì il titoloonorifico di Bey e lo nominò Architetto Capodei Palazzi Reali. Inoltre progettò la nuova Ca-serma per le guardie e la cavalleria reale, com-presa l’autorimessa della Corte. Le facciate delPalazzo Reale di Kubbeh (Cairo) furono rifattein stile rinascimentale sempre su progettodell’Arch. Verrucci.

Ad Alessandria, l’Arch. Verrucci progettò quel-la che sarebbe diventata la sua opera più famo-sa:  il Palazzo  Reale a Montazah, italianissimonelle pure linee quattrocentesche. Nel corpodell’edificio Verrucci riprodusse la famosa torresenese del Mangia. Su un isolotto eresse un ar-tistico Padiglione, decorato alla maniera pom-peiana.

L’arch. Verrucci fu anche l’autore del com-plesso comprendente il Teatro, la Biblioteca e il

Museo nella citta ̀di Damanhur, della casa diRiposo Vittorio Emanuele III ad Alessandria edella Sede dell’Associazione Internazionale Soc-corsi Sanitari d’Urgenza (AISSU) di Alessandriainaugurata nel 1928 da re Fouad I.

Un'altra pregevole opera concepita dal Ver-rucci fu il  monumento in onore d’IsmailPascià, eretto sempre nella città di Alessandria edono della Comunità italiana d’Egitto a re FuadI in ricordo della sua visita ufficiale a Roma nel1927.

Indimenticabile e' anche Mario Rossi, archi-tetto romano nato alla fine dell'Ottocento(1897) che approdo' in Egitto come sempliceassistente decoratore del grande Ernesto Ver-rucci e che diventò poi "l'architetto delle mo-schee". Egli nel 1929 vinse un concorso diven-tando il responsabile della progettazione di tuttele moschee d'Egitto. Tra le opere piu' importantidi Rossi ci sono le moschee di El Mursi Abu el-Abbas e di Al-Kaed Ibrahim ad Alessandria, oltrea quelle di Port-Said, Quenah, e il Cairo (OmarMakram in piazza Tahrir) . Ha completatoanche la costruzione della moschea di Al-Rifa'idestinata, a quel tempo, ad essere il cimiterodella famiglia di Muhammed Ali. Rossi fu unuomo che seppe introdurre elementi di moder-nità originali e audaci, ancora oggi studiati daigiovani progettisti di tutto il mondo. L'opera diRossi è un grande esempio della convivenza tradiverse culture, esempio che diede frutti moltoimportanti e che mostra come la coesistenzatravalichi la cultura e la religione. E' stato infattiun italiano a modernizzare l'architettura dellemoschee d'Egitto.

Nourhan Youssef

C M Y K

• Numero 4, Venerdì 7 Ottobre 2016

E' piccola di statura ed esile, ma sembra alta, quando simuove con la grazia e la postura tipica di chi ha speso unavita danzando.Erminia Gambarelli Kamel, italiana di Mila-no, è oggi la direttrice artistica del corpo di ballo (classico)dell'Opera del Cairo, un compito non facile quando si pensaa come siano differenti le culture -araba ed europea- musi-cali e quindi anche del ballo. Ma Erminia- insignita poianche dei titoli di Cavaliere e Commendatore della Re-pubblica italiana-  con determinazione ed impegno, èriuscita a realizzare un piccolo miracolo e alle sue produ-zioni del Lago dei cigni, di Schiaccianoci, di Cenerentola,di Zorba il Greco e di tante altre, la sala è piena ad ogni re-plica e spesso anche di bambini estasiati e divertiti. La storiadi Erminia e del balletto è lunga e comincia quando da pic-cola, rendendosi conto del suo talento, i genitori la iscrisseroalla scuola della Scala di Milano, il tempio delle arti musicaliin Italia.

La sua carriera è stata senza ostacoli, fino a farne una solistaa poco più di vent'anni. Fu allora che la sua vita ebbe unasvolta, con l'incontro -sempre alla Scala- con un solista egi-ziano, ospite del teatro milanese. Abdel Monein Kamel edErminia si innamorarono, si sposarono e tornarono al Cairo.Erano gli anni Ottanta e la nuova Opera non era ancorapronta. Fu inaugurata nel 1988, ma intanto Abdel Moneimera diventato direttore dell'Accademia di danza ed Erminialavorava con lui, come coreografa, insegnante, prima balleri-na. Era l'unica straniera, allora, in tutte le accademie musicalie artistiche d'Egitto. Con l'apertura della nuova Opera nasceanche la compagnia ufficiale del Cairo Ballet sotto il patroci-nio del Ministero della Cultura. Abdel Moneim ne diventa ildirettore ed Erminia la prima ballerina. La loro collaborazio-ne porta al successo Il lago dei cigni, don Chisciotte, Schiac-cianoci, Giselle, Le Corsaire.... Solo allora cominciano le pri-me integrazioni di artisti stranieri. Anni dopo, AbdelMoneim viene nominato direttore dell'Opera del Cairo edErminia gli succederà come direttrice del Corpo di ballo.Qualche anno fa A bdel Monei è venuto a mancare, ed Er-minia -anche omaggiandone così la memoria- ha continuatoil cammino artistico intrapreso insieme.D.- Cosa ha significato essere l'unica italiana, l'unica

straniera negli anni Ottanta, in un paese e in una cultura(anche musicale) così diversa?

R. "Intanto va sottolineato che l'arte è universale, anchequando offre diversità. Poi, all'inizio non percepivo le veredifficoltà di inserimento e accettazione da un corpo di balloche fino al allora non aveva mai sperimentato presenze stra-niere. Poi però ho capito che per gli stessi ballerini egizianiio ero un po' un rompighiaccio. Dopo, quando hanno co-minciato ad arrivare professionisti di altri paesi, l'accoglienzaè stata totale e vista come un arricchimento e una naturalescambio di conoscenza, di metodi e basi culturali diverse".D. L'essere italiana e venire dalla Scala l'ha aiutata

nell'inserimento?R." La scelta di dedicare la propria vita al ballo classico era

allora molto coraggiosa, rompeva un tabù e quindi spessoriguardava soprattutto l'alta borghesia per la quale la Scalaera un'istituzione conosciuta e riverita. E quindi anche lamia professionalità in qualche modo esigeva rispetto. Quan-to all'essere italiana, debbo dire che in Egitto era ed è ancheoggi, una carta di credito per ottenere simpatia. E questo,insieme alla mia dedizione verso il lavoro, mi hanno portato

non solo rispetto e integrazione, ma anche la possibilità diemergere".D.Oggi lei è direttore artistico del Corpo di ballo, un

ruolo di grande responsabilità. I suoi ballerini la vedonocome un allenatore di calcio al quale si imputano tutti glierrori di una partita?

R. " Come tutti gli esseri umani soprattutto se artisti, i bal-lerini con ammettono facilmente le loro mancanze: Peròalla fine li ho sempre trovati consapevoli del loro peso spe-cifico, sia nelle vittorie (quando uno spettacolo è molto ap-prezzato), sia quando ci sono critiche al nostro lavoro. Eabbiamo imparato a desumere il meglio anche dalle cri-tiche".D. -Lei si è dedicata al repertorio classico. Ma all'Opera

del Cairo ci sono anche due compagnie di danza contem-poranea. C'è fra voi competitività?

R. "La competitività c'è nel cercare, noi e loro, di daresempre il meglio nel nostro ambito. Agiamo tuttavia incampi diversi. Noi nasciamo  con la produzione classica allaquale restiamo legati. E per classico intendo una forma diballetto che non deve andare persa. Possiamo certo ag-giungere tocchi di modernità al Lago dei cigni, a Giselle oSchiaccianoci, ma la nostra missione è continuare a far vi-vere -e non come pezzi da museo- il grande repertorio clas-sico e farlo conoscere alle nuove generazioni".D. - Dopo decenni di vita egiziana, cosa le rimane della

sua italianità?R. "Guardi,se perdessi la mia italianità non potrei dare

nessun contributo vero al mio lavoro e a questo Paese.Amo profondamente l'Egitto, ho sposato e ho un figlio egi-ziani. Ma confesso di andare spesso a Milano e non soloper vedere la mia famiglia d'origine, ma anche per ricontat-tare quella cultura e portarne qui il meglio e trasmetterla.Credo nell'arricchimento del confronto e convergenza delleculture. E non nel barricarsi nella propria".D.- E allora, gentile Erminia,senza essere diplomatica,

ci dica cosa le manca di più dell'Italia...R. " Non dimentichi che io sono anche milanese e Milano

è nel Nord dell'Italia. Quindi a volte mi manca quella piog-gia noiosa che in genere gli italiani non amano. E poi mimanca il vero risotto alla milanese"

Intervista curata da Neliana Tersigni

Nel grande flusso della storia personaggied eventi, attività delle masse e azioni deisingoli vengono osservati "ex post" al me-glio delle informazioni, dei ricordi, dei do-cumenti, della fama. Quest'ultima, che gliantichi rappresentano come una giovanedonna che suona una lunga tromba(la"chiarina della fama, appunto) è ca-pricciosa e spesso ingiusta.

Dimentica persone e cose degne di me-moria e spesso privilegia individui, o fatti,che per un puro concorso di circostanzevengono alla luce in maniera più chiaradi altri.

Spesso la fama privilegia il curioso, l'in-aspettato, il sensazionale, in senso buonoe in senso cattivo, piuttosto che la virtù .

Ahimè , le persone virtuose sono gene-ralmente noiose; e gli osservatori sono vi-ziati dalla marea di notizie e selezionanofatti e persone più appassionanti, spesso aprescindere dal motivo che li ha portatialla ribalta.

È compito dell'educatore distinguere leerbe buone dalle cattive, a cominciaredall'educazione infantile. Cosi' non si dan-no solo notizie e ragioni, ma si abituanogli esseri umani a distinguere il bene dalmale. Impresa assai complicata purtroppo.

Questo concetto mi aiuta a collegarmicon il tema principale di questo supple-mento, "i protagonisti', appunto. Senzanulla togliere alle analisi sociologiche deicomportamenti delle masse, all'influenzadell'economia, del clima, degli aggregati(che non sono mio compito), vorrei sof-fermarmi sulla missione di alcuni indivi-dui, almeno non ci si accuserà di ambizio-ne analitica.

Per questo abbiamo intervistato alcune“signore” dell’insegnamento elementare emedio, che hanno alle spalle decenni dieducazione dei bambini e degli adolescen-ti: e il loro metodo, il loro approccio, sonostati giustapposti al metodo e all’approcciodi oggi. Questi interessanti confronti sonoin quarta pagina, dedicata ormai stabil-mente alla promozione della lingua italianae al rapporto con scuole e università.

Per questo abbiamo ottenuto anche ilcontributo di alcuni protagosnisti delle re-lazioni culturali e sociali tra Italia ed Egit-to, persone che amano profondamente idue Paesi e che, individualmente e in so-cietà, non mancano di perseguire questaamicizia e anzi agevolano le attività cultu-rali dell'Istituto italiano.

Collegandoci al concetto di "impresa ecultura" già affrontato nell'edizione di lu-glio 2016 di questo giornale, presentiamo

un articolo del rappresentante del presti-gioso gruppo "Fenosa Gaz », esempio dimoderno mecenatismo.

Quanto alla pagina archeologica, Giu-seppina Capriotti anche stavolta citaesempi illustri di cooperazione tra i duePaesi e continua la carrellata sui MuseiEgittologici in Italia: ora è la volta delMuseo Egizio di Torino.

Nella pagina dedicata alla promozio-ne della lingua italiana, oltre agli arti-coli sull’educazione sopra citati, ripor-tiamo commenti e ricordi di altri"attivisti" del settore scolastico e uni-versitario. Frutto della cooperazionein quest'ambito, un sunto della tesi dilaurea del   neo-Dott. Ahmed M.A. Ab-dallah, laureatosi nelle scorse settima-

ne con uno studio su Primo Levi, e al-tri articoli di italianisti egiziani.

L'attualità culturale è presentata nellealtre pagine con l'ambizioso progetto“scrivendo la Divina Commedia”, da noilanciato nei mesi scorsi, con un adden-dum del calligrafo italiano Silvio Ferraginae una citazione dell’Istituzione partner, ilCentro Culturale Cinese al Cairo.

L'Addetto Culturale Sandro Cappellipresenta la strategia dell'Istituto nel set-tore cinematografico e altri articoli pre-sentano protagonisti della cultura edell'amicizia tra le due sponde del Medi-terraneo come Erminia Gambarelli Ka-mel, per la penna dell’insigne giornalistaNeliana Tersigni. Il resto, da scoprire !

Paolo Sabbatini

I protagonisti Architetti italiani in Egitto :una lunga storia di creatività

Editoriale

Il Progresso ImparzialeInserto mensile in lingua italiana del Quotidiano “Le Progrès Égyptien” dedicato alla cultura e all'attualità culturale

a cura dell’Istituto Italiano di Cultura, il Cairo - Direttore Paolo Sabbatini

L’anima italiana del Balletto dell’Opera del Cairo

Union Fenosa Gas, impresa italo/spagnola parteci-pata al 50% da eni e Gas Natural, è operativa in Egittodal 2000, e dal 2005 è entrato in produzione l'impian-to di liquefazione del gas di Damietta per l'esportazio-ne in Spagna e in altre parti del mondo del gas lique-fatto di produzione egiziana.

La dimensione dell'investimento unitamente allacomplessità del progetto e alle caratteristiche delpaese ospitante, hanno comportato non pochiproblemi iniziali,  compensati però da una enormesoddisfazione quando nel 2005 prese il via unodei più grandi progetti di LNG del mondo.

È stato per noi naturale dopo alcuni anni di pienaoperatività del progetto promuovere iniziative scien-tifiche  e di ricerca , volte a rafforzare i legami culturalitra i due paesi, l'Egitto e la Spagna, secondo le consue-tudini e le linee guida di sostenibilità di UFG.

Quando il dottor Galan  , direttore del Consi-glio Superiore di Ricerche Scientifiche ( CSIC ), ci propose di patrocinare il cosiddetto “ProgettoDjehuty”, accogliemmo con grande entusiasmola proposta, consapevoli che promuovere culturasignifichi non solo trarne benefici indiretti istitu-zionali in termini di valorizzazione del marchioaziendale, ma anche favorire le relazioni di busi-ness  a tutti i livelli tra i due paesi.

CSIC è la maggior istituzione pubblica in Spagnadedicata alla ricerca ed ha come obiettivo fondamen-tale lo sviluppo e la promozione delle ricerche in be-neficio del progresso scientifico e tecnologico nelmondo. 

Fare o sostenere la cultura , significa per Union Fe-nosa Gas  dimostrare rispetto e sensibilità per le storiee le abitudini di vita dei paesi nei quali la si promuove ,per questo ha firmato alla fine del 2011 l’accordo dicollaborazione e patrocinio del   Progetto Djehuty,per appoggiare lo sviluppo di progetti culturali e scien-tifici in Egitto.

Il Progetto  Djehuty si sviluppa nella collina norddella necropoli dell'antica Tebe, oggi Luxor, e anni di

lavoro e di ricerca scientifica, hanno permesso di otte-nere grandi successi archeologici, sempre secondoi principi e valori fondanti di UFG e del team di pro-getto : lo spirito di gruppo, il senso di responsabilità,la  solidarietà  e il  rispetto per le comunità  locali.Quest’ultime hanno una altissima considerazione dellavoro di Jose Manuel Galan e del suo team, un teamdi circa 25 professionisti spagnoli di altissimo livello.

Non vi nascondo che questa straordinariainiziativa mi ha anche permesso di provare emo-zioni personali  uniche, quando nel Febbraio del2014 ho potuto assistere all’apertura del sarcofagodi un alto dignitario  della XVII dinastia, untale Neb, per mano della restauratrice Pia Rodri-guez, sarcofago che oggi fa parte della collezionepermanente del museo di Luxor, insieme ad altreimportanti scoperte fatte dal nostro team di ricer-ca, tutte con a fianco il marchio UFG.  

L'Egitto è un paese con grandi possibilità di sviluppo,tuttavia ancora oggi una maggioranza di suoi abitantigode di standard di vita molto diversi dai nostri, chequindi abbisognano di formazione in vista dell’eleva-zione del benessere. Questo progetto, come ho avutol’opportunità di verificare personalmente sul terrenoin varie occasioni,  ha contribuito a migliorare il livellodi vita di una parte della popolazione locale, un centi-naio di persone, offrendo allo stesso tempo la possibi-lità ad alcuni di loro di migliorare la propria formazio-ne e le conoscenze tecniche.

Il progetto archeologico e’ per il momento in unafase di attesa, legata alla necessita’, per l’azienda, di ne-goziare con le controparti egiziane un nuovo accordodi prosecuzione del grande progetto economico aDamietta. Auspichiamo di poter avviare nuovi pro-getti di solidarietà e culturali nello spirito che contrad-distingue  il nostro modo di fare impresa nei paesi incui operiamo.

Cesare CunibertoConsigliere e Direttore Generale

UNION FENOSA GAS

Fare impresa in Egitto con un occhio di riguardoalla straordinaria storia e cultura del paese

Ernesto Verrucci - Ritratto di Ph.A. de Laszlo

Antica Opera House del Cairo

Leggere e tradurre le "Lettere controla guerra" di Tiziano Terzani è stataper me una esperienza morale in-comparabile. Il libro raccoglie 7 pezziin stile epistolare scritti in diverse occa-sioni dopo l'11 settembre 2001, datafatidica che ha segnato l'inizio di unanuova guerra contro il terrorismo.

Tiziano Terzani decise allora dicompiere, nonostante la suamalattia, una sorta di pellegrinaggio inAfghanistan e Pakistan. Fu questo ilsuo ultimo viaggio: intrapreso per ve-dere e capire le reazioni degli abitantidi questi Paesi e raccontarle così alresto del mondo. Così scrive:

Con queste lettere non cerco diconvincere nessuno. Voglio solo farsentire una voce, dire un'altra parte diverità, aprire un dibattito perché tuttiprendano coscienza, perché non sicontinui a far finta che non è successoniente e di non sapere che ora, in questomomento, in Afghanistan migliaia dipersone vivono nel terrore (...)

Secondo me il libro è una sorta dipellegrinaggio nell'anima umana per-corso camminando tra le mine pian-tate nella nostra mente-anima: semprecon il pericolo di farle esplodere. Unracconto che diventa una minaccia perla nostra pace interiore e il nostroconsueto modo di vivere.

Le distanze nel mondo si sonoormai ristrette e sappiamo in un mi-nuto quel che succede a migliaia dikm di distanza: possiamo seguireanche le guerre in diretta. Questa nuo-va dimensione del mondo ci ha fattosviluppare però tanti confini dentro lanostra mente-anima, facendoci consi-derare un mostro chi è diverso econdannando intere nazioni per l'azio-ne di un singolo o di un gruppo di fa-natici. La cosa peggiore è che ci siamoabituati alle scene di distruzione e dimorte come se fossimo davanti a unfilm.

Questi confini distorti sono statitrasmessi anche nella mente e nell'ani-ma dei nostri figli. Terzani si chiede e cidomanda:

Possibile che per proteggere il nostromodo di vivere si debbano fare milionidi rifugiati, si debbano far morire don-ne e bambini? Il mondo è stracolmodi ingiustizia e per ricominciare dacapo bisogna andare in cerca della veraPace. Bisogna accettare che la bellezzadel mondo consiste proprio nella di-versità. Dovremmo cominciare a ca-pire chi siamo e dove siamo e tenendobene presente che solo con la pace ci

possiamo proteggere dal terrorismo.Il messaggio trasmesso dal libro diTerzani è un invito ad esaminare gli"inputs" che riceviamo quotidiana-mente, per distinguere quello che inostri media ci raccontano per mani-polare i nostri pensieri facendoci cosìaccettare tante atrocità commesse innome della sicurezza e con la pretesadi proteggere la nostra cultura.

Dovunque ci siamo fermati in quelleore non ho sentito che discorsi carichidi fanatismo, di superstizione, di cer-tezze fondate sull'ignoranza. Eppure,sentendo parlare questa gente, michiedevo quanto anche noi, pur colti erimpinzati di conoscenze, siamo pienidi preteso sapere, quanto anche noi fi-niamo per credere alle bugie che ciraccontiamo.

Il libro ci invita così ad esaminare ilnostro vero modo di pensare, il modoreale in cui vediamo gli altri e la veritàdei nostri sentimenti e non solo limi-tandoci a quello che dichiariamo cer-cando di mantenere la nostra imma-gine di persone colte e tolleranti.

*La traduzione in arabo delle "Let-tere contro la guerra" di Tiziano Ter-zani è stata edita recentemente dalCentro Nazionale Egiziano per la Tra-duzione.

Amanie Fawzi Habashi

Letture in corsoUn pellegrinaggio sulla via della pace : lettura e traduzione

delle “Lettere contro la guerra” di Tiziano Terzani

Attualità culturale Venerdì 7 Ottobre 20162

Il titolo della rassegna in corso all’IstitutoItaliano di Cultura (11-25 settembre) è unomaggio al celebre film di François Truffaut“L’argent de poche”: tradotto in italiano “Glianni in tasca”.

Con questo breve ciclo si intende farconoscere alcuni film recenti che hannoraccontato momenti di vita vissuta daiprotagonisti nella loro età acerba, inparticolare nel difficile passaggio tra lagiovinezza e l’età adulta. I giovani spetta-tori egiziani avranno così modo diconfrontarsi con problematiche, aspetta-tive, traumi, di personaggi italiani a loropiù o meno coetanei. La retrospettivanon si limita ad un’indagine sui giovanidi ora ma punta ad un’ampiezza tempo-rale e generazionale che permetteràanche al pubblico “più adulto” di ritrova-re qualche momento della loro esistenzanella giovinezza di qualcuno degli eroi inalcune delle opere presentate.

Il primo film del 4 settembre, di GiovanniVeronesi, narra la storia di Ernesto Fioretti,un giovane traslocatore che comincia a lavo-rare col suo furgone negli anni ’60 e che, at-traverso le peripezie della sua professione, ciporta dentro il racconto più ampio dell’Italiadella fine del ‘900. Ernesto è un anti-eroe:“L’ultima ruota del carro” appunto.

Dopo il film di Veronesi, in programmal’ultima opera di un altro grande padre emaestro del cinema italiano contempora-neo: Pupi Avati.

Come Veronesi, che ha seguito per tutta lavita una sua idea di cinema legata al modellodella “commedia all’italiana”, anche PupiAvati è sempre rimasto fedele alla sua visionedelle cose e della realtà. Quello di Pupi Avatiè un cinema fatto di contatti e contrasti tranature umane differenti, accompagnatesempre da un racconto sottile, poetico e de-licato.

In “Un ragazzo d’oro” il regista affronta

una sorta di dramma psicologico in cui ilprotagonista tenta in ogni modo di liberarsida un’ingombrante figura paterna: impor-tante sceneggiatore di film.

L’attore principale è Riccardo Scamarcio,uno dei belli del cinema degli ultimi anni, eaccanto a lui spicca la presenza di SharonStone nel suo primo ruolo in un film italiano.

Il rapporto con la bellezza e con un’illusoriae talvolta deformante costruzione della realtàè il tema anche del film di domenica 18 set-tembre: “Isotta”. Scritto e diretto da MaurizioFiume, “Isotta” racconta la vita diun’adolescente napoletana sovrappeso alleprese con i primi amori e le sue delusioni. Ilregista - in collegamento skype - ci dirà comeha affrontato la complessa realtà dei quartieripiù popolari di Napoli, dove si ambienta ilfilm, e che cosa intende suggerire con il finaledella storia.

Unico film della serie con sottotitoli in ara-bo (gli altri sono sottotitolati in lingua ingle-se), con “Isotta” intendiamo inaugurare unnuovo rapporto di scambio e collaborazionecon gli studenti d’italiano e i loro rispettiviDipartimenti presso le Università.

Il film è stato infatti proposto da Lara Maa-

moun, laureatasi da poco all’Università diAin Shams, facoltà Al Alsun, che ha contat-tato il regista e curato la traduzione dei dialo-ghi. Speriamo che questo sia il primo capitolodi una lunga storia: aspettiamo le propostedi tutti gli studenti interessati a tradurre inarabo i sottotitoli di un film italiano.

Nell’ultimo film della serie, domenica 25settembre, sempre alle ore 19, “Cosmonau-ta” di Susanna Nicchiarelli, si racconta la sto-ria di una giovanissima rivoluzionaria, co-munista, che con il fratello cresce convinta dipoter cambiare un giorno il mondo.

La regista parte da un passato lontano, laguerra fredda e la lotta di classe degli anni‘60, per raccontare l’inizio della ribellione diuna ragazza di fronte alle regole strette siadella casa dove vive che dell’ambiente che lacirconda, proponendo così un modo origi-nale per trovare uno spazio proprio nell’uni-verso complesso dell'adolescenza. Il film havinto il primo premio della Sezione Contro-campo Italiano alla 66ª edizione della Mostrainternazionale del cinema di Venezia e il Ciakd'oro 2010 per la miglior opera prima. Buonevisioni.

Sandro Cappelli

Gli Anni in Tasca, cinema e gioventù all’IIC Cairo L’influenza della letteratura araba sulla nascente

lirica italiana rimane tuttora un problema irrisolto.Infatti, se è nota a tutti l'importanza delle traduzionie dei commenti arabi in discipline come la filosofia,l'astronomia, l'algebra, la matematica, o la medicinache, tradotte in latino, ebbero un grande successodurante tutto il Medioevo europeo, poco o nientesappiamo, invece, della circolazione mediterraneadi forme, idee e generi letterari tra Oriente e Occi-dente.

Per circa 250 anni, dalla presa di Mazara del Vallonell'827 fino all'arrivo dei normanni nel 1091, la Si-cilia fu sotto il controllo arabo. Poeti come Ibn al-Qaṭṭā ,ʿ Ibn al-Ṭūbī, ʿAlī al-Billanūbī o il celebratoIbn Ḥamdīs hanno prodotto versi molto interes-santi in quello stile classico che si poteva ascoltarenelle corti d'al-Andalus, del Cairo, di Damasco o diBagdad.

La conquista della Sicilia da parte dei Normanniavvenne nel rispetto dei vinti, e i vari regnanti pro-mossero un clima multiculturale. Ma la fase di mas-simo splendore coincise con il regno di Federico IIdi Svevia (1194-1250) e di suo figlio Manfredi. No-minato imperatore nel 1220, Federico II che co-nosceva il tedesco, il francese, il latino, l’arabo e ilvolgare siciliano, favorì lo sviluppo delle scienze edelle arti tanto che, alla sua corte, fiorirono i primiesperimenti di una letteratura non più in latino main volgare italiano: la Scuola siciliana.

Mettendo a confronto le poesie di Giacomo daLentini, Cielo D'Alcamo, Stefano Protonotaro, ReEnzo, ecc., tutti vissuti nel XIII secolo, con alcunipassaggi delle liriche dei poeti arabi di Sicilia, vissuticirca due tre secoli prima, appare chiaro che, esclu-dendo il registro puramente descrittivo e laudativo,alcuni motivi propri alla poesia amorosa presentanodelle similitudini sorprendenti. La genesi dell'amoree in particolare il ruolo dello sguardo come motoredell'innamoramento sono ampiamente sviluppatiin entrambe le tradizioni poetiche: temi sicuramenteispirati a testi teorici come Tawq al-Hamama d'IbnHazm o il De Amore di Andrea Cappellano checircolavano tra le due sponde del Mediterraneo.

Così scrive Giacomo da Lentini (1210-1260 cir-ca):

Amor è un desio che ven da corePer abondanza di gran piacimento;e li occhi in prima genera l'amoree lo core li dà nutricamentoBen è alcuna fiata om amatoresenza vedere so 'namoramento,ma quell'amor che stringe con furoreda la vista de li occhi ha nascimento. Ed ʿ Ali al-Billanūbī (m. 1058):La spada dei suoi sguardi recise il mio cuoree il mio sangue tinse le sue guanceal di là dell'incantesimo di Babelec'è solo ciò che mi dicono le sue pupille.La ferita d'amore provocata dall'amante è causa di

malattia del cuore che poi conduce a sicura morte,come in questi versi di Giacomo da Lentini:

Molti amadori la lor malatiaPortano in core che'n vista non pareEd io non posso si cielar la miaCh'ella no paia per lo mio penare;però che son sotto altrui segnoria,né di meve non ò neiente a farese non quanto madonna mia voria,ch'ella mi pote vita e morte dare. Che richiamano i versi di Abū ʿAbd Allāh

Muḥammad Ibn al-Ḥasan al-Ṭūbī (XI secolo):Ringrazierò fino a che vivo la malattia del mio corpoSe non fosse stato per essa mi sarebbe mancato ciò che chiedevoMi visitò l'amante lontanaSia allora benvenuta la malattia anche se non dovessi morire.

Questo tema porta evidentemente alla dialetticaautodistruttiva tra amore/morte come in questi ver-si di Giacomo da Lentini:

Oi lasso, lo meo core,che 'n tante pene è misoche vive quando moreper bene amare, e teneselo a vita.Dunque mor'e viv'eo?No, ma lo core meoMore spesso e più forteChe non faria di morte naturale,

Per voi, donna, cui ama, Più che se stesso brama,e voi pur lo sdegnate:Amor, vostra 'mistate vidi male. Motivo, questo, largamente adoperato dalla poe-

sia araba classica, come nei versi del poeta arabo diSicilia Ibn Ḥamdīs (1056-1133):

O tu che annullasti il mio sonno e il mio sangue versasti,che il nodo scorsoio stringesti dicendo "sì" alla mia morteCon il tuo raggiante occhio volutamente m'hai messo a morteE non c'è nemmeno taglione per chi d'occhi uccide.L'oralità è stata forse il mezzo più probabile di

trasmissione fra le due culture letterarie. Ma allo sta-to attuale delle conoscenze, non ci resta che esserecauti. Diremo, allora, che le nostre osservazioni nonsono altro che semplici speculazioni che si basanoperò su una comparazione tipologica fra le due tra-dizioni che avevano nella Sicilia del XII e XIII secolo,come anche in al-Andalus, chiari spazi d'interazione.

Nel passaggio al Dolce Stilnovo, la poesiaamorosa subisce un profondo mutamento e ilpoeta sembra volersi emancipare dall'amata eliberarsi del giogo di un amore servile che èun'inutile sofferenza, come in questi versi diFrancesco Petrarca (1304-1374):

Già per due lustri io avevo portato al collo la gravecatena, pieno di sdegno d'esser costretto per tantianni a curvarmi sotto il giogo che una donna miaveva imposto ... e io chiamavo la morte ... quandol'amore di libertà cominciò a entrar nel mio cuoreper liberarlo dall'affanno. ... Mi faccio animo, e misforzo di strapparmi di dosso il giogo. ... Tuttavia, iotento, e Dio stesso, sostenendo il mio sforzo, miaiutò a sottrarre il collo all'antico laccio e riuscir vin-citore, mentre ella, sebben ferita, protendeva lamano sul fuggitivo suo servo e dolorosa lo insegui-va... .Estratto della conferenza tenuta il 17 agosto 2016 presso l'Isti-

tuto italiano di Cultura del Cairo.Tutte le traduzioni italiane dei testi arabi sono tratte da I poeti

arabi di Sicilia, a cura di Francesca Corrao, Mesogea, Messina2005.

Danilo Marino

La letteratura italiana delle originie la questione dell'influenza araba

L’Istituto Italiano di Cultura al Cairolancia un grande progetto internazio-nale: la trascrizione calligrafica e grafica

dei primi 21 versi della Divina Comme-dia nelle lingue del mondo, ad opera di

maestri calligrafi dei Paesi interessati eanche di appassionati. Il progetto si av-varrà del sostegno della rete degli Istitutidi Cultura nel mondo, coinvolgendo le

istituzioni simili di altri Paesi, oltre l’Italia.Questi 21 versi sono un compendio di tutta

l'opera, anche perché il 21 è un numero ma-gico, 3 volte 7, ed è, ad esempio, anche quellodei  Tarocchi. Dante era un mistico ed ap-passionato di scienze esoteriche, quindi havoluto condensare in 21 versi il concetto ge-nerale della Divina Commedia , riassumibilein maniera riduttiva, nel seguente schema:l’Illuminazione dopo un periodo di confu-

sione, attraverso un percorso personale disacrificio.

Vista l’importanza del poema di Dantenella storia della letteratura e del pensie-

ro, questo progetto vuole essere unponte ideale tra le varie culture ma

anche la riscoperta dei valori dellospirito, assumendosi come un per-corso ideale valido per l’esperien-

za umana in generale al di là delle storie personali.L’Istituto Italiano di Cultura del Cairo rac-

coglierà le opere calligrafiche e grafiche, chepotranno anche essere composte “ex tempore”in sessioni speciali  in Egitto e in altri Paesi; sa-ranno poi realizzate mostre nei Paesi interes-sati, eventualmente durante giornate tematichededicate alla poesia in generale e a Dante inparticolare.

Sono attualmente pervenute le seguenti opere:1) la trascrizione del testo originale di Dante in

Italiano, opera in inchiostro di China su carta Fa-briano a mano, cm. 70 X 100; autore l’italianoPaolo Sabbatini Rancidoro;

2) la trascrizione in Cinese oracolare antico,opera su carta di riso e inchiostro di China, cm.100 X 2500;  autore l’Italiano Silvio Ferragina;

3) la trascrizione (parziale) in Cinese contem-poraneo, opera in inchiostro di China su carta diriso cinese, cm 250 X 50; autore il Cinese MaZhong Xian;

4) la trascrizione (parziale) in Arabo, opera ininchiostro di China su carta di riso cinese, cm 250X 50; autore l’Egiziano Salah Abdul Khaliq;

5) la trascrizione (parziale) in Arabo corsivo,opera in inchiostro di China su carta di riso cinese,cm 250 X 50; autore il Cinese Chen Kun (Mo-hamed Yusuf);

6) La trascrizione in Esperanto, opera  / palin-sesto in inchiostro di China su vecchi documentiarabi, cm. 70 X 50; autore l’italiano Paolo Sabba-tini Rancidoro.

Le trascrizioni calligrafiche dei versi di Danteattualmente "in cantiere" sono:

1) in lingua copta2) in lingua geroglifica3) in lingua siriana antica4) in lingua araba, calligrafia kufica5) in lingua ungherese6) in lingua latina7) in lingua spagnola8 in lingua portoghese9) in lingua polaccaSono anche in preparazione trascrizioni nei dia-

letti italiani: marchigiano, abruzzese, friulano.Fanno parte della collezione creazioni “meta-

linguistiche”, come:- la trascrizione in linguaggio numerico, creata

attribuendo un numero da 1 a 21 ad ogni paroladei versi prescelti; alla fine di ogni verso, la sommaviene interpretata secondo la Gematria cabalistica.Opera su carta, autore l'italiano Paolo SabbatiniRancidoro; 

- in preparazione: La trascrizione in caratteri asemici, opera in in-

chiostro di China su carta, cm 70 X 100; autrice

l’italiana Marina Misiti;- in preparazione:In linguaggio Braille, per non vedenti ; in colla-

borazione con il Dipartimento di Italianodell'Università Ain Shams, Il Cairo;

- in preparazione:su supporto visivo, trascrizione gestuale per non

udenti.È anche allo studio una trascrizione dei

21 versi in linguaggio musicale. Un com-positore farà uno spartito  in cui le parolesono sostituite (o rappresentate) dallenote musicali. La musica è matematica, ead ogni tonalità corrispondono vibrazioniquantificabili in numeri. Non solo: ad ognigruppo di note, combinate secondo l'ar-monia classica, corrispondono sensazionie sentimenti. Secondo un'antica conoscenza,per esempio la tonalità di "Do minore"(Do – Mi bemolle – Sol -Do) inducenell'ascoltatore un sentimento di attesadel destino, che può essere paurosa se ci sisente in colpa, o rassegnata se si sa di averfatto il proprio dovere. Non a caso Bee-thoven compose la Quinta sinfonia in Dominore, dicono per simbolizzare gli ultimiistanti di vita di Napoleone e il bussarealla porta del destino. Ma lo stesso Bee-

thoven utilizzò tonalità allegre per sugge-rire la gioia, come l'Inno della Nona Sin-fonia, giocata sulle armonie di Re maggio-re e  La maggiore.

Il compositore probabilmente dividerà i versiin gruppi, ognuno dei  quali corrisponde ad unsentimento (la paura, lo stupore, la speranza, ecosi' via) e poi attribuirà la tonalità armonica aciascun gruppo secondo del contenuto, svilup-pandone le relative melodie.

La composizione avrà valore visivo oltre chesonoro, entrando a far parte, come spartito, delgruppo di calligrafie nelle lingue del mondo.

È allo studio anche una parte più ludica:la trascrizione, tramite comunità di appas-sionati,  nei linguaggi fittizi delle serie te-levisive e cinematografiche, o delle opereletterarie di fantasia. Nell’entusiasmo ge-nerato dal progetto sono germinate alcuneiniziative correlate:

-trascrizione a mano dei 21 versi , da parte discolari e studenti, nelle scuole e nei Licei, ad esem-pio nella “Giornata internazionale di Dante ” ce-lebrata ogni anno il 29 maggio, in collaborazionecon la Società Dante Alighieri;

-lettura dei 21 versi nelle varie lingue,  durantegiornate  della Poesia.

Silvio Ferragina

SCRIVENDO LA DIVINA COMMEDIA… NELLE LINGUE DEL MONDO

Nel cercare la giusta via per rac-contare la congerie di impressio-ni, emozioni e sensazioni chequesto mio primo anno di vita edi insegnamento al Cairo ha pro-dotto, mi sono persa nei tanti vi-coli di questa nuova esperienzanon riuscendo a trovare, tra i tanti,un solo percorso da seguire. Allafine mi è arrivato in soccorso unlibro che avevo acquistato pocodopo il mio arrivo in questa me-galopoli, ma che avevo lasciato unpo’ da parte aspettando che almomento giusto lui mi chiamas-se! Quando è successo, è statocome se dovesse essere quello ilmomento e non un altro, in quan-to solo in quel momento, dopoaver vissuto nove mesi in questacittà, avrei potuto davvero goderedella sua bellezza e soprattuttoavrei potuto realmente penetrarei caratteri della storia e la storiastessa. Il libro a cui mi riferisco, eche non ha bisogno di recensioniin quanto famosissimo, è ‘ImaratYa’qubyan’ (Il palazzo Yacou-bian) di Alaa Al- Aswany, scritto-re giornalista più volte premiatoper i suoi scritti e traduzioni.

Leggere questo libro è statocome conoscere, ma per meglio

dire, riconoscere la città che miospita con tanto calore e affetto,conoscere e riconoscere le tipo-logie di caratteri che affollanoquesta enorme città, conoscere ericordare la storia recente e i cam-biamenti della stessa: insomma,un tuffo nella storia e nella culturadi questa città e di questo Paesecosì particolare, ricco di storia an-tica e recente, pieno di bellezze esingolarita’ che si intersecano tradi loro. Si, in quanto questo è untipico romanzo di luoghi, di dic-kensiana memoria, in cui il luogo,in questo caso un antico palazzodegli anni ’30 situato al centro diDowntown, quartiere peculiaris-simo del Cairo che sin dal mioprimo arrivo in città ha catturatola mia attenzione e destato il miointeresse, è il protagonista dellastoria assieme ai suoi inquilini, chenei vari decenni vi si alternano eche rappresentano, incarnandoli,i cambiamenti degli stili di vita,delle ideologie, dei mutamentistorici e sociali del Paese stesso.Ciò che si apprezza maggiormen-te del libro è la straordinaria capa-cità descrittiva dei personaggi, pri-mo tra tutti il palazzo che, con lesue trasformazioni architetto-

niche (si pensi soltanto al cam-biamento di destinazione d’usodelle ‘stanze di ferro’ site sul tettodel palazzo!) finisce con l’esserelo specchio delle trasformazionisocio-politiche del Paese e gli in-quilini che lo affollano, finisconocon l’essere exempla del popolocairota, variegato, multiforme,tanto ancorato alle ‘tradizioni’quanto desideroso di cambia-menti.

In un linguaggio fresco, leg-gero e con un tono ironico, macon una grande capacità di sin-tesi politica, l’autore conducemirabilmente il lettore, e me,alla riflessione profonda sui ve-locissimi cambiamenti deicostumi di una società che insoli settanta anni ha mutatoprofondamente, stravolgendo,secondo l’autore, la sua stessanatura e soprattutto il suostesso ‘progetto di moderniz-zazione’, obbligandolo, e ob-bligando me, ad una riflessionesulle ragioni di questi cambia-menti. Indubbiamente si avver-te un po’ di nostalgia da partedell’autore per ciò che erano lepromesse, rimpianto perun’epoca che lasciava trasparire

possibilità per un futuro che siè realizzato in maniera diversadal previsto. Insomma, Down-town con le sue architetture li-berty e con le sue strade ampieed eleganti e i sui vicoletti pe-donali (che ancora oggi noiriusciamo a riconoscere ed ap-prezzare) ed il Palazzo Yacou-bian, simbolo fisico e metafori-co del quartiere, ma anchesimbolo del Paese, rappresen-tano per l’autore il ricordodell’epoca d’oro per l’Egitto,un’epoca di convivenza trapersone di diversa nazionalità,cultura e religione, di un Egittovolto al progresso e alla moder-nizzazione. Leggere questo li-bro è stato come percorrere aritroso i mesi vissuti in questacittà e rivedermi nei mieitentativi di comprendere, co-noscere, capire, apprezzare,anche con visione critica, larealtà intorno a me, è statocome sintetizzare quell’insiemedi sensazioni ed emozioni,anche fortemente contrastantia volte, che, come dicevoall’inizio, hanno caratterizzatoquesto mio primo anno al Cairo.

Brigida De Feo

Il mondo in un palazzoRacconto della mia esperienza al Cairo attraverso il ‘Palazzo Yacoubian’ di Alaa Al-Aswany

TizianoTerzani in uno degli ultimi ritratti fotografici,mentre osserva il mondo come in un obiettivo della mac-china da presa

C M Y K

ArcheologiaVenerdì 7 Ottobre 2016 3

La formazione della collezione egizia torinese ruo-ta intorno a due differenti processi, antiquario e ar-cheologico, distinti nel tempo. All’inizio, con le col-lezioni di Vitaliano Donati e Bernardino Drovetti, loscopo del Museo era creare una documentazioneenciclopedica della civiltà egizia quanto più ampia ecompleta possibile. Gli oggetti furono recuperatiprincipalmente nell’area di Tebe e apparentementein modo indiscriminato; invece, la raccolta presen-tava criteri di selezione e di valutazione di notevoleintelligenza e apertura di interessi, annoverando nonsolo capolavori, ma anche oggetti semplici e di usoquotidiano.L’importanza della collezione di Drovetti fu subitochiara e sottolineata dall’arrivo tempestivo a Torinodi Jean François Champollion; la raccolta drovet-tiana e la decifrazione del geroglifico si saldaronocosì in un unico preciso evento storico.Nella seconda metà del XIX secolo la ricerca egit-tologica europea era estremamente fiorente, sebbe-ne lo scenario italiano faticasse a tenere quei ritmi,evidenziando le proprie carenze e la necessità quindidi incrementare il proprio patrimonio. Questa sfidafu accolta da Ernesto Schiaparelli, direttore del Mu-seo Egizio dal 1894, che manifestò fin da subito lavolontà di integrazione della collezione. Schiaparelliavviò quindi prima una campagna di acquisti di og-getti e, dal 1903, sostenuto della dinastia sabauda,una serie di scavi archeologici in diversi siti in Egitto.Nei decenni successivi questi scavi furono proseguitidal suo successore Giulio Farina, fruttando nume-rose scoperte e notevoli ulteriori acquisizioni, arric-chendo la collezione di reperti del Predinastico e delMedio Regno, le epoche precedentemente menorappresentate.Dopo la Seconda Guerra Mondiale la direzionedel Museo Egizio passò al Professor Curto e suc-cessivamente alla Dottoressa Donadoni Roveri. Daquesto momento in poi il Museo cominciò ad or-dinare il proprio contenuto sulla base della ricom-posizione dei corredi umani, rendendo il contestodegli scavi sempre più evidente. Per onorare la sua storia ormai bicentenaria, ilMuseo Egizio ha affrontato un imponente progettodi rifunzionalizzazione, ampliamento, restauro emessa in sicurezza.“Un Museo che ripensa se stesso rende con ciòsolamente omaggio alla sua natura e alla sua funzio-ne. Gli oggetti che lo costituiscono e che dall’essereivi custoditi assumono una definita qualità e una de-finita valenza rispetto a quelli o ancora legati ad unimpiego o dimenticati e dispersi, sono disposti a uncolloquio con il visitatore secondo programmi –spesso impliciti – che il Museo suggerisce, o per-mette. […] Il significato di una struttura di questotipo è di continuo rinnovabile anche se material-mente essa resta la stessa: il suo accrescersi non di-pende solo da ragioni in modi quantitativi, ma ancheda nuovi valori che essa va acquistando”.Il significato dato a una collezione e alla sua orga-nizzazione varia il proprio linguaggio e le proprie fi-nalità scientifiche con il mutare della cultura nel tem-po. Ne consegue la consapevolezza che ogni nuovoprogetto di allestimento sia l’ultimo di una serie manon l’ultimo della storia di quel museo e che essoentrerà a far parte di una più ampia riflessione storicaed ermeneutica.Durante la stesura del progetto scientifico si è svi-luppato un acceso interesse a porre in relazione i re-perti della collezione, definendo al contempo i lega-mi storici e la rete di collaborazioni scientifiche congli altri universi museali, nazionali e internazionali,trovando nel pubblico l’ultimo destinatario di unprocesso unitario di ricerca e comunicazione. Talifinalità sono il principale fattore identitario del mu-seo. L’idea comune che si è quindi sviluppata durantela progettazione del nuovo Museo Egizio si puòriassumere nella parola ‘connessioni’, che esprimecontinuità tra la storia del museo e il suo prossimopresente, materializzando nel nuovo allestimento ilmetodo e lo strumento con cui si intende la colle-zione nella sua contestualizzazione archeologica,prosopografica e antiquaria.Uno dei primi criteri museologici adottati è quellodi presentare gli artefatti nella loro valenza di docu-menti storici, contestualizzandoli e fornendo le in-formazioni relative al luogo e al momento del ritro-vamento. La storia del Museo Egizio si concretizzasoprattutto nel raccontare le donne e gli uomini chehanno contribuito a formare, studiare e dare valorealla collezione di Torino.Il Museo si è posto anche il problema di presentarenel modo più corretto possibile la civiltà antico egizia;con l’aiuto delle ‘connessioni’, l’obiettivo era di usciredalla sfera dell’illustrazione della sola civiltà faraonicacercando di illustrare l’ampiezza dei contatti e dell’in-terscambio culturale con tutto il mondo coevo, resievidenti dal rapporto che ebbero Antico Egitto e

Nubia, il cosiddetto corridoio verso l’Africa, oggiespresso nella nuova Sala Nubiana.Lo sguardo archeologico aggiunge inoltre unaquarta dimensione all’oggetto, inserendolo nel flussodel tempo, dal modo in cui è stato prodotto al suouso, e poi al suo abbandono o alla sua sepoltura, at-traverso i segni lasciati dallo specifico ambiente dideposizione, fino alla sua riappropriazione in quantooggetto di interesse. L’archeologia ci insegna a os-servare i dettagli e a metterli in relazione fra loro; in-segna ad usare l’immaginazione per ricostruire ciòche non c’è più; ed insegna il senso del rapporto fra ilpassare del tempo e la forma degli oggetti e del terri-torio, mettendoci in contatto con gli esseri umaniche hanno prodotto e utilizzato quegli stessi oggetti.Questa dimensione “microstorica” è più facilmentefruibile dal pubblico di tutte le età, pur mantenendoun grande potenziale educativo. L’allestimento delnuovo Museo egizio esalta quindi lo specifico carat-tere dei materiali della collezione torinese che ladistinguono rispetto ad altre realtà museali, senzacercare di adattarla a un’illusoria intenzione di com-pletezza cronologica o a un’ideale visione unitaria euniversale della civiltà egizia.La collezione rappresenta l’elemento costitutivo ela ragion d’essere del Museo Egizio. La sua gestione,cura e sicurezza costituiscono il compito di primariaimportanza del museo. Per garantire la piena acces-sibilità fisica e intellettuale dei reperti, si è cercato siarmonizzare la conservazione e la fruizione dei benimediante un attento restauro. È infatti fondamentaleseguire precisi criteri di conservazione preventiva,

attraverso il monitoraggio costante delle condizioniambientali al fine di garantire la sicurezza e la pienafruibilità dei manufatti. Una collaborazione impor-tante in tal senso è il Vatican Coffin Project, un pro-tocollo d’indagine finalizzato allo studio dei pigmenti,delle vernici e più in generale dell’aspetto tecnico edi costruzione dei sarcofagi del Terzo Periodo In-termedio e dell’Epoca Tarda.Il Museo Egizio, con il nuovo allestimento, nonsegna un punto di arrivo, bensì un punto di partenza.Quale ente di ricerca e al fine di sviluppare l’indaginescientifica, esso ha stabilito e intende continuare apromuovere rapporti con altre istituzioni museali,istituti di ricerca, università, esperti e studiosi, avva-lendosi delle loro competenze e risorse per conse-guire risultati di comune interesse. La ricerca costi-tuisce infatti una finalità primaria del museo,assicurando l’accessibilità delle collezioni e curandola comunicazione attraverso i mezzi più moderniper rendere partecipe il maggior numero di perso-ne.La centralità della ricerca è strettamente legataanche al tema della tutela della collezione stessa: il

patrimonio è al sicurofinché è conosciuto eamato. Per far sì chequesto avvenga, essodeve essere oggettocontinuo di studio, inmodo che possa esserevalorizzato e comunica-to. Tutelare il patrimoniovuol dire soprattutto in-segnarne il linguaggio e ilsignificato ad ogni nuovagenerazione, in modoche l’obiettivo dellaconservazione e della si-curezza possa essere

trasmesso insieme al patrimonio che oggi è nostrocompito custodire.Il Museo intende essere fortemente connessoanche con il tessuto sociale locale, cercando co-munque di raggiungere diversi pubblici e rappre-sentando una risposta alle molteplici richieste edesigenze. Uno sguardo attento infatti è stato rivoltoalla “nuova Torino” e alle comunità di recente im-migrazione dal Nord Africa, che grazie alle collezioniesposte potranno conoscere frammenti di storiache appartengono anche a loro.Infine, questo nuovo Museo ha voluto fortementeritornare a fare attività sul campo. Nel maggio del2015, a un mese dalla grande inaugurazione, è stataavviata infatti una nuova stagione di scavi archeolo-gici, grazie a una collaborazione con il Museo Na-zionale di Antichità di Leiden, incentrata sull’esplo-razione e sullo studio del sito di Saqqara, una dellepiù importanti necropoli del Nuovo Regno. La vastaarea archeologica, a circa 30 km a sud del Cairo, siestende sull’altopiano desertico a ovest del corso delNilo fra Abusir e Dahshur. Qui sorgevano le necro-poli principali della capitale storica dell’Egitto farao-nico, Menfi, e qui furono quindi innalzati monu-menti di enorme rilevanza storica, quali ad esempiola piramide a gradini e l’imponente complesso fu-nerario del faraone Djoser (2686-2600 a.C. circa),le tombe a mastaba dei dignitari di corte dell’AnticoRegno e il Serapeum, che custodiva i sarcofagi co-lossali dei tori sacri Api. Le necropoli di Saqqara da-tabili al Nuovo Regno (1550-1292 a.C.) sono loca-lizzate in quattro aree principali: a nord, lungo ilpendio della falesia al confine con Abusir, nell’areacircostante la piramide del faraone Teti, presso il co-siddetto Bubasteion (il tempio e le catacombe de-dicate alla dea gatto Bastet); nella regione desertica asud della via processionale della piramide del faraoneUnas. Quest’ultimo luogo, scelto da personaggi dialto rango sociale, attirò nel 1975 l’attenzione dellamissione archeologica olandese. L’obiettivo della ri-cerca era di ritrovare la tomba perduta di Maya, il te-soriere regale del faraone Tutankhamon. Oggettiprovenienti dalla sua tomba erano stati qui rinvenutiall’inizio dell’800 durante scavi non controllati ederano poi stati trasportati fuori dall’Egitto per entrarea far parte delle collezioni del museo di Leiden. Im-piegando una carta topografica del 1843 dell’egitto-logo Richard Lepsius, sulla quale era segnalata la po-sizione della tomba di Maya, la missione olandeseintraprese dunque i suoi scavi in quest’area. A causadi un errore di misurazione, tuttavia, gli archeologinon rinvennero la sepoltura che cercavano, ma unastruttura ancora più importante, che non era maistata ritrovata dopo il casuale recupero di blocchi

decorati a rilievo che facevano parte della sua deco-razione, avvenuto nei primi anni del XIX secolo. Sitrattava della grandiosa tomba di Horemheb (1319-1292 a.C.), ufficiale dell’esercito del faraone Tutan-khamon, divenuto poi faraone egli stesso. Negli annisuccessivi la missione archeologica olandese rinven-ne numerose altre strutture funerarie (fra cui anchela tanto ricercata tomba di Maya), tutte appartenutead importanti personaggi della XVIII e XIX dinastia. A quarant’anni esatti da quella grande scoperta ilMuseo Egizio entra a far parte della storia dell’esplo-razione di questa necropoli attraverso l’avvio dellamissione congiunta italo-olandese a Saqqara.Durante la prima campagna (2015) gli scavi han-no interessato in particolare gli ambienti sotterraneidi una tomba anonima della XVIII dinastia, indivi-duata nel 2013. Nel deposito che ostruiva il pozzofunerario si sono rinvenuti anche mattoni di fangostampigliati con il cartiglio del faraone AmenhotepII e frammenti di blocchi di calcare decorati a rilievo,ma senza un’indicazione del nome del proprietariodella tomba. Lo scavo è stato esteso all’area situata asud-ovest della cappella ramesside di Tatia. Qui unnuovo pozzo funerario è stato individuato e scavato,da cui sono stati recuperati e documentati fram-menti della decorazione a rilievo originariamenteprovenienti dalla vicina tomba del dignitario Mery-neith. Fra gli oggetti più importanti rinvenuti durantela campagna di scavi vanno annoverati un’interes-sante scultura in calcare di un falco, forse il dio Horo,con un personaggio non chiaramente identificabileinginocchiatogli di fronte, e una rarissima stele aquattro facce, scolpita per un personaggio di nomeSamut. Questa è stata ritrovata nella sua posizioneoriginale e con alcune ciotole in terracotta ancoradeposte ai piedi di uno dei lati, decorato a rilievo conla figura della dea del sicomoro, con vasi zampillantiche dissetano il defunto e sua moglie.

Christian Greco

IL NUOVO MUSEO EGIZIOErnesto Schiaparelli fu chiamato alla direzionedel Museo Egizio di Torino nel 1894, dopo averdiretto, dal 1880, la sezione egizia del Museo Ar-cheologico di Firenze. Schiaparelli era nato nel 1856 ad OcchieppoInferiore, a pochi chilometri da Biella, da una fa-miglia colta e dedita agli studi: il padre LuigiSchiapparelli (con due p) fu professore di StoriaAntica all'Università di Torino, la madre Fran-cesca Corona era benestante.L'errore di trascrizione nei documenti pubbliciche aveva generato da tempo l'uso della doppiap, anche per altri membri della famiglia, fu sanatonel 1871, di conseguenza il nostro nacqueSchiapparelli e morì Schiaparelli! I nomi impostial battesimo furono: Luigi, Clemente e Bartolo-meo; Ernesto, che verrà aggiunto soltanto all'attodella della Cresima, diverrà invece il suo primonome. L'unico fratello di Ernesto, Cesare, fu unvalido dirigente industriale, principalmente co-nosciuto per la sua passione per la fotografia, checertamente non tardò a contagiare il fratello perla documentazione dei suoi futuri scavi.Ernesto Schiaparelli, dopo aver conseguito nel1878 la laurea in Lettere all'Università di Torinocon una tesi intitolata Del sentimento religiosodegli antichi egiziani secondo i monumenti, sottola guida dell'ottimo professore di egittologiaFrancesco Rossi, si trasferì a Parigi per il perfe-zionamento, dove seguì le lezioni del grande egit-tologo Gaston Maspero, con il quale instauròuna profonda amicizia.Rientrato in Italia ebbe, giovanissimo, primal'incarico di Ispettore della Pubblica Istruzione acui seguì quella di direttore del museo fiorentino.Nel 1884, durante il suo primo viaggio in Egittoper acquistare antichità per il museo, venne incontatto con i frati dell'Ordine Francescano, pri-ma al Cairo e poi a Luxor, con i quali instauròuna straordinaria collaborazione che si rivelò fon-damentale per le sue future ricerche archeolo-giche. Del suo arrivo a Luxor ne dà notizia la lo-cale cronaca francescana: “Dovremo dareospitalità per due o tre mesi ad uno scienziatoitaliano, un archeologo che viene a Luqsor percerti suoi studi sui riti funebri degli Antichi Egi-ziani. Dev'essere un gran personaggio, perchèmi scrivono che è già celebre, quantunque nonabbia che 28 anni”. Più avanti si legge: “L'ospiteatteso con desiderio e trepidazione insieme, ar-rivò in una bella giornata dicembrina di quell'an-no 1884. Si chiamava Ernesto Schiaparelli, edera Professore di Egittologia e Direttore dellaSezione Egiziana del Museo Archeologico di Fi-renze.” E ancora: “Ben presto, nelle lungheconversazioni serotine, l'uomo di scienza dimen-ticava i suoi studi prediletti per ascoltare avida-mente i discorsi dell'uomo di Dio. L'argomentoera quasi sempre uno solo: le Missioni e PadreFrancesco, parlandone, versava nell'animodell'ospite tutta la sua pena di frate italiano perl'abbandono in cui la patria lasciava i suoi missio-nari, mettendoli nella necessità di ricorrere a pro-tezione straniera (austriaca). Senza dubbio ilProf. Schiaparelli sarebbe diventato per il piccoloOspizio di Luqsor l'ospite più gradito che mai sifosse potuto immaginare.”Profondamente colpito dalle ristrettezze edall'abbandono sofferti dai poveri frati, appenarientrato in Italia si attivò per dare sostegno e di-gnità ai numerosi religiosi dislocati nelle variestazioni missionarie, dal Cairo ad Assuan, quoti-dianamente impegnati nell'insegnamento eassistenza, anche sanitaria, dei ceti più deboli.Per tale scopo, aiutato da influenti personalità,nel 1886 fondò l' Associazione Nazionale perSoccorrere i Missionari Italiani (A.N.S.M.I.),con sede a Firenze, che in breve tempo si attivòin tutto l'Egitto estendendosi in Oriente fino aPechino. In Turchia, Tunisia, Libia, Eritrea enell'estremo Oriente, ovunque sorsero scuole,orfanotrofi e ospedali. Questa straordinaria atti-vità, oggi poco nota, è ancora operante con nu-merose strutture, come quelle di Luxor, dove ilricordo di Schiaparelli è ancora vivo. A questasorprendente iniziativa filantropica, sorretta dauna profonda fede, presto ne seguirono altre: nel1900 fu tra i fondatori dell' “Opera di assistenzadegli operai italiani emigranti in Europa”, notacome “Opera Bonomelli” e nel 1908 fondòl’“Italica Gens”, per l'assistenza dei nostri conna-zionali emigrati oltreoceano.Giunto a Torino nel 1894, senza tralasciare ilpesante impegno derivante dalla sua attività as-sistenziale, Schiaparelli si dedicò con energia alriassetto del museo che, rimasto troppo a lungoinattivo, rischiava di perdere quel primato che loaveva reso celebre nel mondo. Occorreva rinno-vare gli allestimenti e incrementare le collezioni,colmando le lacune della collezione Drovetti,per tornare a competere con i principali museid'Europa e d'America. Dapprima, come già ave-va fatto per il museo fiorentino, progettò nel1901 una campagna di acquisti che lo portò finoa Tebe dove, anche con l'aiuto dei frati francescani,ebbe modo di riunire molto materiale interes-sante, ma pur sempre privo del suo contesto diprovenienza. Oramai i tempi erano cambiati, alcollezionismo e al culto del “bello”, che aveva ca-ratterizzato il secolo precedente, si era sostituitala ricerca scientifica con le sue precise regole, chesempre più si ispiravano ai nuovi dettami di unapiù matura disciplina egittologica. Era necessarioreperire i fondi per pianificare una serie di cam-pagne di scavo, individuando quelle località utili

a fornire il materiale archeologico mancante allecollezioni torinesi. In questo Schiaparelli potevacontare sull'amichevole sostegno del suo maestroGaston Maspero, passato alla direzione del Ser-vice des Antiquités de l'Egypte al Cairo e potevaappoggiarsi, per gli aspetti logistici, alle numerosestazioni missionarie disseminate sul territorio.Con astuzia fece sollecitare ufficialmente, da par-te egiziana, la presenza italiana nell'elenco dei ri-cercatori stranieri già operativi in Egitto, con lapossibilità di affidamento di ampie aree di ricercache sarebbero poi state destinate a coltivazione.Intanto Schiaparelli aveva già avuto modo dipresentare direttamente a S.M. Vittorio Ema-nuele III il suo ambizioso progetto, guadagnan-dosi il pieno compiacimento del sovrano e pocodopo l'aiuto concreto che gli permise, nel 1903,di fondare la Missione Archeologica Italiana(M.A.I.), anche beneficiando del successivosostegno dei Ministeri della Istruzione Pubblicae degli Affari Esteri. L'attività di ricerca della M.A.I., iniziata nellostesso 1903, si prolungò fino al 1920, promuo-vendo dodici campagne di scavo in undici im-portanti località egiziane: da Giza ad Assuan, in-dividuando sapientemente i siti da esplorare sullabase delle necessità del museo e senza tralasciarela vicinanza delle provvidenziali “oasi francesca-ne”.Affiancarono Schiaparelli nelle ricerche figuredi notevole capacità, tra queste Francesco Balle-rini, originario di Como, che lo accompagnò suigrandi cantieri dell'area tebana: Valle delle Regi-ne e Deir el-Medina e ancora Giza, Eliopoli, Qauel-Kebir e Assiut. Della sua breve esistenza, morìa soli 33 anni nel 1910, ci restano i suoi preziosiappunti e disegni, oltre alle centinaia di lastre fo-tografiche che documentano momenti irripeti-bili dello scavo. A quegl'anni, tra il 1903 e il 1910,sono legate alcune tra le più importanti scoperte:la Valle delle Regine, esplorata nei primi anni,che restituì grandiose tombe reali tra esse, nel1904, quella della regina Nefertari e ancor primaquella del principe Khaemuaset che, riutilizzata,conteneva ben ventisette sarcofagi di eccezionalefattura, mummie e centinaia di frammenti di cor-redo. Ma è a breve distanza dalla Valle, nella ne-cropoli del villaggio di Deir el-Medina, che Schia-parelli compì la scoperta più celebre: il 20febbraio 1906 Schiaparelli scriveva da Luxor alMinistro della Pubblica Istruzione comunican-do: “Eccellenza, mi è sommamente grato di co-municare a V.E. che, dopo alcune settimane dipermanente lavoro nella parte della necropolitebana che è designata sotto il nome di Deir- el-Medinet, questa missione scoperse una scala sca-vata nella montagna e che scendeva profonda-mente nella medesima e dava accesso ad unatomba intatta.” Era venuta alla luce la tomba inviolata di Kha eMerit che custodiva, intatto, il corredo funerarioe le mummie dei coniugi. La campagna prece-dente aveva consentito l'esplorazione dei restidel villaggio permettendone una prima detta-gliata descrizione, mentre presso il tempio tole-maico dedicato alla dea Hathor, tra i resti di alcu-ne case, furono scoperte due grosse giare sigillatecontenenti decine di papiri amministrativi diepoca tolemaica. L'unica campagna di lavori condotta a Gizanel 1903, sotto la sorveglianza di Evaristo Breccia,futuro direttore del Museo greco-romano diAlessandria, permise la scoperta di decine ditombe rupestri e a mastaba, nei cimiteri a orientee occidente della grande piramide, consentendoil recupero di molto materiale lapideo, tra cui ar-chitravi e stipiti di elaborate falseporte e il sarco-fago in granito rosa del principe Duaenra. L'area di Eliopoli, indagata tra il 1903 e il 1906,si presentò subito assai compromessa: il terrenoera cosparso di migliaia di frammenti di pietra eterracotta di ogni forma e epoca, “come se unaoscura forza devastatrice avesse sconvolto ognicosa” scriveva sconsolato Ballerini; inoltre la pre-senza di acqua freatica nello scavo ostacolò no-tevolmente i lavori. Nondimeno i ritrovamentifurono soddisfacenti, tra essi i frammenti di unadecorazione parietale risalente al regno di Djoserdella III din. e i resti di un grosso tabernacolo inpietra del sovrano Seti I (1290-1279 a.C.).Accogliendo la richiesta dell'Accademia deiLincei, Ernesto Schiaparelli aveva volentieri ade-rito alla promozione di di una missione archeo-logica congiunta nell'area di Ermopoli (Asmu-nein), con l'obiettivo di cercare papiri greci. Ilavori vennero affidati allo specialista EvaristoBreccia che seguì le ricerche nel 1903 e 1904.Durante la seconda campagna gli fu compagno

il giovane Giacomo Biondi, che lo sostituì quan-do venne chiamato alla direzione del museo diAlessandria. Il materiale rinvenuto confluì prin-cipalmente a Firenze, mentre a Torino perven-nero elementi architettonici e papiri figurati. Allaterza e ultima campagna di scavi del 1909, parte-cipò Giulio Farina, futuro direttore del museotorinese.I cantieri di Qau el-Kebir e della vicina Ham-mamya furono esplorati nel corso degli anni1905 e 6. La necropoli di Qau el-Kebir, l'anticaAntaeopoli, un fiorente centro che godette dinotevole autonomia durante il Medio Regno(1980-1700 a.C.), conservava le monumentalitombe appartenute ai governatori del luogo, chela missione esplorò sistematicamente. Giunserocosì a Torino lo straordinario sarcofago di Ibu,una statua di grandi dimensioni dalla tomba diUahka II e molto altro materiale proveniente datombe minori.Le ricerche svolte contemporaneamente nellanecropoli di Hammamia, furono condottedall'archeologo classico Roberto Paribeni erestituirono numerose deposizioni a partiredall'epoca preistorica a quella cristiana e araba.Ai numerosi collaboratori a cui Schiaparelli af-fidava i gravosi compiti di organizzazione econduzione degli scavi, spesso svolti contempo-raneamente il località anche distanti tra loro, vaaggiunto Virginio Rosa, una giovane promessaandata perduta quasi subito; a lui, che mai avevamesso piede in Egitto, venne affidato nel 1910,dopo la morte di Ballerini, la gestione degli scavidi Gebelein e Assiut. Partito da solo il 26 di-cembre 1910 da Mombarone, presso Asti, rag-giunse Alessandria e poi il Cairo dove lo atten-deva Bolos Ghattas, un indigeno cristiano che loavrebbe accompagnato a Gebelein, poco a suddi Luxor. Lo attendeva una massacrante campa-gna invernale di scavi, che tuttavia diede risultatisorprendenti. Mise in luce la tomba monumen-tale di Iti e Neferu con le sue preziose pitture,poi staccate e ricomposte a Torino, oltre ad altreimportanti sepolture ritrovate intatte. I lavori,durati oltre tre mesi, proseguirono nel sito di As-siut, esplorando vaste aree con l'aiuto di ZaccariaBerti, un frate francescano di quel luogo. Un pre-ziosissimo “Giornale di Scavo” documenta quo-tidianamente e minuziosamente l'avanzamentodei lavori e le scoperte, mentre centinaia di im-magini riproducono i momenti salienti dei lavori. Restano da menzionare le ricerche del 1914nei pressi della località di Assuan, nella necropolirupestre dei principi di Elefantina. Dopo la morteprematura di Virginio Rosa, avvenuta nel 1912,accompagnavano Schiaparelli in Egitto l'antro-pologo Giovanni Marro e il sacerdote Don Mi-chele Pizzio.Il Marro era stato chiamato a partecipare allemissioni nel 1913, quando a seguito del moltomateriale antropologico emerso dagli scavi diGebelein e Assiut, si rese necessaria la figura diuno specialista che mettesse in valore le preziosetestimonianze umane raccolte.Con lo scoppio della Grande Guerra l'attivitàarcheologica si fermò e per Schiaparelli ebbeinizio un nuovo pressante impegno. La guerraaveva coinvolto in vario modo e con diversa gra-vità, quasi tutti i Paesi dove sorgevano ospedali,scuole e orfanotrofi italiani, ovunque missionari,suore e laici erano in grave pericolo. Immediata-mente si avviò un piano di rimpatrio per il per-sonale con la chiusura delle scuole italiane inTurchia, Albania, Palestina e Siria. Il personalemedico fu dirottato negli ospedali italiani diconfine per soccorrere i feriti. A OcchieppoInferiore, paese di origine di Schiaparelli, vennecreato dalle suore rimpatriate un centro diassistenza per i militari al fronte, provvedendoalla spedizione giornaliera di centinaia di pacchicon generi di soccorso. In mezzo a questa buferac'era Schiaparelli, impegnato tra Ministeri eConsolati nel tentativo di fare liberare prigionieri,rimpatriare il personale e inviare aiuti. A guerra finita, nel 1920, un'ultima campagnadi scavi vedrà Schiaparelli sul campo a Gebelein,ancora in compagnia del Marro, del Pizzio e delfidato Bolos Gattas che, dietro suggerimento deifrati di Luxor, lo aveva accompagnato findall'inizio degli scavi, nell' oramai lontano 1903.Il molto materiale raccolto venne stoccato,come di consueto, presso i magazzini della sta-zione missionaria di Luxor e vi rimase fino al1923, quando Schiaparelli, compiendo il suo ul-timo viaggio in Egitto, ne dispose la spedizione aTorino.Successivamente, assistito dal suo collaborato-re Pietro Barocelli, si dedicò al riordino delletante antichità giunte a Torino e il 19 ottobredel 1924, alla presenza di Vittorio Emanuele III,suo primo mecenate, vennero aperte al pubblicodue nuove sale dedicate alle scoperte compiutea Gebelein e Assiut. Appena un mese prima, il18 settembre, era stato nominato, contro la suavolontà, Senatore del Regno.Oramai Schiaparelli era stanco e malato e a chilo consigliava di curarsi meglio rispondeva: ” Lofarei se fossi giovane; ma oramai la macchina èusata; non vuol più saperne di funzionare”.Il Senatore Ernesto Schiaparelli veniva meno il14 febbraio del 1928, nella sua casa torinese, av-volto dal silenzio e dalla solitudine che tantoamava, al termine di una vita intensa, interamentededicata al prossimo e al suo museo.

Beppe Moiso

L’EGITTO DI ERNESTO SCHIAPARELLI

L’Egitto a Torinoa cura di Giuseppina Capriotti Vittozzi, Manager del Centro Archeologico Italiano, Il Cairo

Galleria dei sarcofagi

L’area a sud-ovest della cappella di Tatia in corso di scavo

Galleria dei Re

L’argomento che andrò a trattare è unconfronto tra l’opera di Primo Levi “Sequesto è un uomo” e il film di RobertoBenigni “La vita è bella”. Questo perchésono rimasto colpito dai due diversi pun-ti di vista con cui hanno rappresentato lastessa situazione. I modi di raccontare lastessa storia sono diversi: da una parte,Primo Levi descrive la sua esperienza vis-suta nei campi di concentramento inmodo drammatico e tragico; dall’altraparte, Benigni esprime la trama del filmsenza averla vissuta direttamente e inmodo più comico. Benigni fa questo inmodo tale che possiamo comprendere lasua idea senza troppe immagini orribili,rendendo l’argomento tragico e triste inmaniera più semplice e visibile da unpubblico più ampio.

L’opera “Se questo è un uomo” esprimelo scopo dell'autore che, con competenzaquasi scientifica, analizza l'animo umanoin condizioni di estremo disagio piuttostoche insistere sulla propria identità di cal-pestato e oppresso. In effetti, la sua inda-gine mette in evidenza uno spirito filo-sofico, al limite scientifico, teso adanalizzare le conseguenze che il Lagerproduce sull'animo umano.

Faccio quindi un paragone tra il film“La vita è bella” di Benigni e la sua trama,e l’ opera di Primo Levi contrapponendo

le due diverse visioni. Benigni ha avutoimmenso coraggio a raccontare una sto-ria così delicata, però bisogna sottolinea-re che l’opera rimane una storia roman-zata sui campi di concentramento, adifferenza dell’esperienza che ha vissutoPrimo Levi: un orrore che ti rimane den-tro, mentre il film ha una chiave fa-volistica.

Il 22 febbraio1944, Levi ed altri 650 tradonne e uomini, vengono stipati su untreno merci (oltre 50 individui per vago-ne) e destinati al campo di sterminio diAuschwitz in Polonia. Levi è qui registrato(con il numero 174.517) e subitocondotto al campo di Buna-Monowitz,allora conosciuto come Auschwitz III,dove rimane fino alla liberazione da partedell'Armata Rossa, nel 27 gennaio 1945.E` uno dei venti sopravvissuti fra i 650che sono arrivati con lui al campo.

Primo Levi diviene ateo dopo la terri-bile esperienza del lager: "Devo dire chel'esperienza di Auschwitz è stata tale perme da spazzare qualsiasi resto di educa-zione religiosa che pure ho avuto. C'èAuschwitz, dunque non può esserci Dio.Non trovo una soluzione al dilemma. Lacerco, ma non la trovo", dichiara in un'in-tervista.

“Se questo è un uomo” dimostra la fol-lia e la crudeltà dell'uomo e come un in-

dividuo possa essere privato della suaumanità e dignità. Il titolo del romanzoderiva da una poesia scritta all'inizio dellibro, con la quale si rivolge a chi non havissuto questo tormento e chiede se puòessere considerato uomo chi vive incondizioni massacranti, picchiato ecostretto a lottare per un pezzo di pane.

Considerate se questo è un uomoChe lavora nel fangoChe non conosce paceChe lotta per mezzo paneChe muore per un sì o per un no.Non è possibile definire uomo un esse-

re in cui l'odio porti a delle conseguenzepari a quelle dei lager.

“Se questo è un uomo” nasce dunquedall’uomo, ma non è un’opera della suafantasia, non può essere recepito cometale; scrivere queste pagine è costato sof-ferenza e, in qualche modo, lo scrittorepretende da noi uno sforzo analogo, disu-mano: cancellarci come lettori, sentiredentro noi quella stessa sofferenza fisica,fatta di ore, giorni e anni, sentire sotto lenostre scarpe pesanti il pantano o, almeno,tentare di immaginare che qualcuno quellesofferenze le ha provate veramente.

Tutte e due opere “Se questo è unuomo” e “La vita è bella” parlanodell'ingiustizia, del modo in cui esseriumani sono stati maltrattati e la

discriminazione che hanno sofferto.E la vita nei campi di concentramentoera orribile. Tuttavia, nel film, Guidolavora per rendere la vita nel campo diconcentramento come un gioco al finedi non spaventare suo figlio. Egli fa ap-parire ciò come un'avventura, da cuifuggirà ad un certo punto. Guido è co-raggioso e ha un obiettivo per tutto ilfilm da compiere: salvare suo figlio. E'un padre delicato, è ottimista e tienenella speranza che può salvare il suobambino. Egli non ha paura di fare tut-to ciò che serve per realizzare questoobiettivo. D'altra parte, il libro descri-ve esattamente quello che è successodal punto di vista di Levi. Levi è moltoscuro e senza speranza nel libro. Eglinon vede alcun motivo per vivere ed èmolto pessimistico. Egli vede ognigiorno come se fosse l'ultimo e cosìegli non combatte per mantenere lasua umanità. Egli non ha alcuna spe-ranza.

Il film ha un punto di vista comico delcampo di concentramento. Lo mostra inmodo più allegro di quanto non sia inrealtà. Ma nel libro, Primo Levi scriveesattamente quello che è successo neicampi, senza senso dell'umorismo o dispensieratezza. Si può notare che l’otti-mismo di Guido è nato dalla sua preoc-

cupazione per il figlio e la moglie, si senteresponsabile di loro e nasconde il suo or-rore. Si vede nella fine del film quandoviene guidato dal soldato e guarda suofiglio nascosto con uno sguardo triste,uno sguardo di chi sa che sarà uccisodopo un po’, ma poi sorride al figlio e fadei gesti ridicoli per non spaventarlo.Mentre Primo Levi è pessimista perchènon ha nulla da perdere: sta da solo nel

campo, non c’è con lui nessuno della fa-miglia, non ha nessuno per cui sacrificarela vita. La morte, per lui, potrebbe esserel’unica salvezza. Per concludere, è importantericordare il motivo per cui sono statescelte queste opere: riflettere perché ifatti accaduti allora non si debbano maipiù ripetere, è un monito alla memoriaper evitare di sbagliare ancora.

Ahmed M.A. Abdallah

Il 13 ottobre, giorno de-dicato alla festività delbeato Gerardo, fondatoredell’Ordine di San Gio-vanni, noto ai più comeOrdine di Malta, saràinaugurato un ambulato-rio per la prevenzione e lacura del diabete mellitopresso il dispensario diNazlet Gattas, nel gover-natorato di Minia, gestitodalle Suore di Nostra Si-gnora della Carità delBuon Pastore. La realizza-zione è stata possibile gra-zie al contributo di Ansal-do Energia in Egitto, suprogetto dell’ambasciatadell’Ordine al Cairo.L’ambulatorio è dotato diun sistema di indagine dia-gnostica a ultrasuoni (eco-grafo) e un elettrocardio-grafo, acquistati in Egittoinsieme ai presidi e gli au-sili che lo completano. Inquesti giorni un tecnicodella ditta che ha fornitole apparecchiature me-diche sta istruendo i me-dici sul loro uso.

Secondo gli ultimi datidell’International Dia-betes Federation, nel pae-se ci sono in totale 7,8 mi-lioni di persone affette dadiabete, il 14,9% della po-polazione adulta (20-79anni), e nel 2015 ci sonostati 78.184 decessi a cau-sa della malattia. Tali datifanno ben comprendere

l’importanza di un ambu-latorio per la prevenzionee la cura del diabete, so-prattutto in un’area, comequella che circonda NazletGhattas, distante da cli-niche o centri specializza-ti. Il dispensario offre curemediche gratuite ai più bi-sognosi.

Nel 2013 l’ambasciata hacontribuito all’allestimen-to dell’ambulatorio di oto-rinolaringoiatra, donandoun audiometro diagnosti-co/timpanometro digitale.

In Egitto siamo su unfronte che è propriodell’Ordine: con umiltà edeterminazione portiamoavanti la missione di “eser-citare la carità verso ilprossimo e specialmenteverso i poveri e gli infer-mi”, così come recita lanostra preghiera.

L’Ordine di San Giovan-ni nasce a Gerusalemme

nell’anno 1048, grazie adalcuni mercanti dell’anticarepubblica marinara diAmalfi che ottennero dalCaliffo d’Egitto il permes-so di costruire una chiesa,un convento e un ospedaleper assistere i pellegrini diogni fede o razza: è quindila più antica missione me-dica al mondo, neutrale,imparziale e benefica.

Il nome ufficiale e legaledell’Ordine di Malta è So-vrano Militare OrdineOspedaliero di San Gio-vanni di Gerusalemme diRodi e di Malta. Abbrevia-zioni spesso utilizzate inatti legali, diplomatici enei testi di divulgazionesono Sovrano Militare Or-dine di Malta, SovranoOrdine di Malta o Ordinedi Malta. In origine i suoimembri erano noti comeCavalieri Ospitalieri (oOspedalieri), proprio in

riferimento alla loro mis-sione, ma anche Cavalieridi San Giovanni o Giovan-niti, con riferimento alSanto protettore dell’Or-dine, San Giovanni Battista,o Gerosolimitani, con rife-rimento a Gerusalemme,luogo di fondazionedell’Ordine. Dopo laconquista dell’isola diRodi, nel 1310 i membridivengono Cavalieri diRodi e nel 1530, dopo chel’Imperatore Carlo V ce-dette all’Ordine l’isola diMalta, Cavalieri di Malta,oggi tra tutti il nome piùconosciuto.

Come ho spiegato nelmio precedente articolonell'edizione di luglio 2016di questo giornale (culturae carità al lebbrosario delCairo) la sede attualedell'Ordine e' a Roma, inun antico ed artistico palaz-zo a via Condotti. Ma l'atti-vità dei Membri e volontaridell'Ordine e' nel mondo,con entusiasmo ed altruis-mo. Sono personalmentefelice di poter svolgere lamia missione in Egitto,Paese importante sotto tut-ti i punti di vista, e speroche i lettori del giornalepossano trarre dai miei ar-ticoli spunto di ispirazionenella vita quotidiana.

Mario CarotenutoAmbasciatore del

S.M.O.M. in Egitto

Il Sovrano Ordine di Malta in EgittoBenvenuto in Egitto !Seguitemi, faremo una gita in

una chiesa bellissima ed in unamoschea meravigliosa.

La Chiesa SospesaLa chiesa sospesa è una delle

chiese più belle del MedioOriente, e` la chiesa più anticad’Egitto ed è un santuario reli-gioso importante che fa partedel patrimonio copto al Cairo.

La chiesa è stata costruita in-torno al terzo secolo, è situatanel quartiere del vecchio cen-tro del Cairo e si trova in mez-zo a un complesso di monu-menti che comprende lamoschea di Amr Ibn Al Aas, lachiesa di San Mina, la chiesadel martire Mercurio (Abu Sei-fien) e tante altre chiese.

La chiesa viene denominata "La Sospesa " perché è stata costrui-ta su due torri della fortezza ro-mana (fortezza di Babilonia),costruita durante l'impero diTraiano nel secondo secolod.C, ovvero la chiesa si trova adun'altezza di 14 metri dal suolo.Si può vedere questo dislivelloattraverso una lastra di vetronel pavimento della chiesa.

Secondo una leggenda la Sospe-sa è stata costruita sulle rovinedel luogo dove la Sacra Fami-glia (Vergine Maria, San Giu-seppe e il bambino Gesù) si erarifugiata durante i tre anni trascorsiin Egitto, per sfuggire allapersecuzione del re Erode.

La Sospesa è composta di duepiani, ha una forma rettangola-re e davanti alla chiesa si trova

una fontana. La lunghezzadell’edificio è di 23,5 metri, lasua larghezza di circa 18,5 me-tri e la sua altezza è di circa 10metri.

La chiesa è piena di icone, di-segni storici e reliquie dei Santiche risalgono all'epoca dei mar-tiri cristiani durante il dominiodell'imperatore romano Dio-cleziano, oltre ad ospitare letombe dei diversi Patriarchicopti.

In questa chiesa venivanoeletti i Patriarchi della Cattedradi San Marco sino alla fine delXII secolo d.C e questo rendela chiesa molto importante peri copti d' Egitto.

La Moschea di Ahmed IbnTulun

La moschea di Ahmed IbnTulun si trova nel quartiere diSayeda Zeinab è un esempiounico nella storia dell'architet-tura islamica ed è famosa per lasua forma e struttura originale.

Fu fondata da Ahmed Ibn Tu-lun tra gli anni 263 AH e 265

AH, su una grande superficie di6,5 ettari. Ibn Tulun chieseall’ingegnere copto Saeed ibnKateb el Farghani di costruirela moschea in modo che fosseresistente al fuoco e alle inon-dazioni e questo forse spiega ilmotivo delle fortificazioni chela circondano.

La moschea ha 19 ingressi.Attualmente, l’ingresso prin-cipale si trova accanto almuseo di Gayer Anderson,un inglese che è vissuto edha lavorato al Cairo alla finedel XIX secolo. Grande ap-passionato di arte islamicaacquistò le case che ora ospitanoil museo, ristrutturandole etrasformandole, a testimo-nianza della grandezza dellostile dell’arte e dell’architet-tura araba.

La moschea di Ibn Tulun haun minareto unico che si consi-dera uno degli elementi più im-portanti e più belli della mo-schea. Questo minareto èsimile a quello della moschea

di Samarra in Iraq. Al centrodel complesso si trova poi la fa-mosa struttura con la fontanaper le abluzioni da fare primadella preghiera. Questo edificioè quadrato alla base, poi la suaforma cambia e diventa primacilindrica e poi ottagonale; edè coperto da una cupola la cuialtezza è di circa 40 metri.

Molti terremoti sono accadu-ti in Egitto nel corso della sto-ria e molto distruttivo fu so-prattutto quello del 702 AHche fece crollare la maggiorparte dei minareti, ma il mina-reto della moschea di Ibn Tu-lun è rimasto intatto senza su-bire danni.

Vale la pena ricordare che,oltre ad essere luogo di pre-ghiera, in questa moscheavenivano studiate la scienzadella medicina, dell’astrono-mia, della giurisprudenza,della lingua araba ed altrescienze religiose, oltreall’educazione degli orfani.

Marina Naem

IN GIRO PER IL CAIRO

Promozione e diffusione della lingua italiana Venerdì 7 Ottobre 20164

Abitudini e tradizioni variano da un luogoall'altro. Queste usanze rappresentano il ca-rattere speciale ed unico di ogni singolo pae-se. Ci sono pratiche che non esistono piu ,̀scomparse nella nostra vita di oggi con iltrascorrere del tempo, mentre altre invecerimangono ancora radicate nella vita e nelleanime delle persone.

La tradizione di cui parlero ̀e ̀nata in Ita-lia ed e ̀ tutta napoletana.Ha fatto la suacomparsa a Napoli nel secondo dopoguerra:all’epoca una città con tante difficoltà eco-nomiche, dove nessuno aveva i soldi nem-meno per un caffe :̀ davvero triste!

Quel momento di vita difficile creò peròuna tradizione meravigliosa: quella di lascia-re un "caffè offerto all'umanità". Andiamoavanti per scoprire di cosa si tratta.

La tradizione e ̀nata nei bar a Napoli. Ungiorno, una persona non di Napoli ando ̀albar a prendere un caffe ̀e dopo cinque mi-nuti entrarono due persone, uno di loro dis-se al barista: " Cinque tazze di caffe ,̀ tre diquesti sospesi". "Sospesi!!! Quali sospesi?Dovrò attendere per capirlo" pensò lo stra-niero.

Nel frattempo altri tre amici vennero e dis-sero al barista : "Sette tazze di caffe ,̀ di cuiquattro di loro sospesi". "Sospesi" era la pa-rola che attirava di piu ̀l'attenzione dell'uo-mo, era così curioso di sapere cosa stessesuccedendo che decise di chiederlo al baristama improvvisamente, un uomo povero cheindossava abiti logori e vecchi, si avvicino ̀albancone del bar e chiese: " C'e ̀un sospeso?”“Si, eccolo" rispose il barista.

Ecco svelato il mistero dell'antica abitudinepartenopea di lasciare un caffè pagato al barper qualcuno che non puo ̀pagarselo.

I napoletani più abbienti non pagano un

solo caffe ̀ma ne pagano due, uno per loroe uno per l'avventore che viene dopo e chenon puo ̀permettersi un caffe .̀ Gli italianihanno un buon cuore!!!

Nel 2008, lo scrittore napoletano LucianoDe Crescenzo ha scritto un libro in cui parladi questa tradizione, che si intitola appunto"Il caffe ̀sospeso"

« Quando un napoletano è felice perqualche ragione, invece di pagare un solocaffè, quello che berrebbe lui, ne paga due,uno per sé e uno per il cliente che vienedopo. È come offrire un caffè al resto delmondo... » Scrive Luciano De Crescenzo.

Questa pratica e ̀cominciata ed è diven-tata comune a Napoli, e ̀un gesto di tolle-ranza e solidarieta ̀verso chi e ̀piu ̀sfortu-nato. Mi piacerebbe però vedere questogesto diffondersi in tutta Europa, nei bar diLondra e nei caffé di Parigi, ma soprattutonella nostra societa ̀araba, non solo per ilcaffe ̀ma anche per i panini e gli spuntini ...Sarebbe proprio bello che il cameriere di-cesse a una persona povera: " Questo spun-tino e ̀per te ed e ̀stato pagato da un amicoo un’amica che non ti conoscono!"

Ahmed Mostafa

Il caffe` sospesoIl Progresso Imparziale ha chiesto il

parere di rappresentanti della pedagogiasu quale fosse il concetto educativo nelpassato e quale sia oggi: diciamo,  l'evo-luzione  pedagogica degli ultimi qua-rant'anni.  2 voci: la Maestra JolandaStefoni , insigne educatrice marchigia-na, e la Prof.ssa Patrizia Raveggi, gia' Di-rettore dell'IIC Cairo dal 2008 al 2011,che ha lasciato un ricordo molto buonodi dedizione e altruismo.

IPI – Cosa ricorda della Sua carrieradi insegnante?

Jolanda Stefoni – Ho iniziato nel1956, direttamente con una classe diQuinta Elementare. Il Programma diStato era molto severo ed esigente, cosi'come ovviamente erano diversi gli sco-lari di allora da quelli di oggi.

Le prospettive di vita e di occupazionefacevano sì che il periodo di studio fossemediamente la meta', o addirittura unterzo di quanto sia ora : in 5, o in 8 anni,occorreva fornire un'educazione di basequanto piu' possibile comprensiva.Oggi il percorso educativo della vita diun giovane, o una giovane, e' general-mente almeno di 12/13 anni senzacontare l'universita', diventata popolare.

Quindi l'esame di Quinta Elementareera quasi un avviamento alla vita,soprattutto nell'Italia del dopoguerra; ein tutta la mia carriera di insegnante hocercato di trasmettere, appunto, la fidu-cia nella vita, la speranza di un futuromigliore, l'entusiasmo del lavoro e dellariuscita. Attraverso le nozioni e le tec-niche cercavo di sottintendere il sensodello Stato, quelli che una volta si chia-mavano "i buoni principi" dell'educazio-

ne civica e morale: rispettare gli anziani,aver cura del bene pubblico, voler beneal proprio simile. In una parola, impararea sviluppare la propria personalita' non aspese degli altri. Equilibrio molto difficile.In seguito ebbi altre classi, generalmentein continuita' didattica dalla Prima allaQuinta Elementare. Certo mi hannodato grande soddisfazione, perche' ve-devo maturare in loro i valori in cui hosempre creduto: e aver raggiunto un'eta'in cui generazioni di scolari continuanoa ricordarsi di me e di quello che ho in-segnato, e' il piu' bel regalo e la ricom-pensa per un impengo continuo, soste-nuto e talvolta assai gravoso.

Il mestiere di insegnante era, ed e' unamissione, direi, quasi umanitaria. Esserealla guida esclusiva di una classe permolte ore di seguito corrispondeva adun viaggio in un mare talvolta in tem-pesta, talvolta in secca. E bisognava an-dare sempre avanti, se mi consente, senon c'e' vento occorre remare.

Ricordo una mattina di febbraio, inuna piccola scuola di campagna. Fuoriera scuro come di notte e vedevo I miei30 piccoli, spauriti e silenziosi come uc-cellini caduti dal nido. Mi feci forza ecominciai a cantare un inno alla Prima-vera, al sole che viene sempre, e splendeal di la' delle nuvole, ai fiori che sbocce-ranno  comunque, alla bellezza delCreato, alla gioia di vivere comunque edovunque… e leggevo la successionedei sentimenti negli occhietti degli sco-lari. Dapprima era come se pensassero"la Maestra oggi si e' ammattita?" , poi ilbuonumore contagiava  la classe e,come per incanto, si risvegliava il solitobrusio: si udivano le risatine, gli scherziinnocenti, le domande di ogni bambi-no. Insomma l'incantesimo si era rottoe la vita riprendeva il suo verso. E hoavuto la gioia di incontrare, anni dopo,uno di quei bambini, uomo maturo,che mi disse: "Maestra, ogni qualvoltala vita mi ha presentato un problema,

quando ho avuto un periodo buio, horisentito la sua voce, quella mattina difebbraio : e ho preso il coraggio per an-dare avanti". 

Ora ovviamente la situazione e' cam-biata radicalmente; gli scolari, gli studentihanno a disposizione mille mezzi perdistrarsi, imparare, divertirsi. La sfidaformidabile dell'educazione oggi, secon-do me, sta proprio nella difficolta' didistricarsi e di scegliere.

IPI- domandiamo ora alla Prof.ssaRaveggi: quali sono le somiglianze e ledifferenze tra l'educazione in Europa equella in Egitto, dal Suo punto di vista? 

Patrizia Raveggi – Per quanto ho po-tuto sperimentare nei miei anni di inse-gnamento in Italia, e di osservazionedella pedagogia in Egitto, posso dire chein questo ultimo Paese e' ancora moltoforte il principio dell'autorita' degli inse-gnanti, che ha i suoi lati positivi perche'permette uno svolgimento pacatodell'insegnamento. Occorre comunqueintensificare l'interazione  con gli stu-denti, e abituarli al senso critico. Anchein questo caso occore moderazione,perche' troppa critica induce alla confu-sione, come purtroppo accade spessoin occidente. 

Malgrado tutto io credo che i vantaggidella critica e  dell'approccio dialetticocon gli studenti, siano superiori aglisvantaggi e al rischio di trasformare lelezioni in una commedia di polemiche. 

L'altro elemento di differenza e' l'abi-tudine al metodo di apprendimento.Ho constatato che gli studenti egizianicontano molto sulla memoria, piuttostoche sull'interiorizzazione  di quanto si

studia e sulla successiva trasformazionein parole ed espressioni proprie epersonali.

Per entrare in considerazioni più ge-nerali, richiamandomi all'esperienza diuna delle grandi personalita' della pe-dagogia italiana moderna, Anna Go-betti Marchesini Prospero,  vi cito il bi-sogno che sentii, una volta entrata nelmondo della scuola, di applicarecostantemente una sua massima : "nonlasciamoli mai soli". Questo concetto dieducazione permanente ispiro' la pub-blicazione del "Il Giornale dei genitori",chiamati ad esprimere, in modo ragio-nato, critiche e proposte.

Mi chiedo quanto la necessaria in-terazione con la famiglia sia, nei fatti,seguita nel sistema educativo. Occor-re una disposizione costante, generosae non repressiva o vessatoria da partesia dei genitori che degli insegnanti.Una presenza concreta che si palesaquando gli studenti / figli hanno biso-gno. Purtroppo al giorno d'oggi man-ca il dialogo tra genitori e figli; en-trambe le categorie sono troppoimpegnate in mille altri problemi, altreoccupazioni, o anche per mera distra-zione. A volte ad un genitore non pas-sa neppure per la mente che il figliopossa aver bisogno di aiuto. Il figlionon sa chiedere, o non osa chiedere.

In questa ottica, visto l'impegno del vostrogiornale, suggerirei di intervistare anchequalche genitore: magari nessuno ha chiestoil loro parere, e potrebbe essere un'occasio-ne importante, in nome e in onoredell'illustre pedagoga Anna Gobetti. Intervista a cura di Paolo Sabbatini

L’educazione : un approccio sempre cangiante

La perdita dell’umanità : Confronto tra “Se questo è un uomo” e “La vita è bella”