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CAP 6 RISTRUTTURAZIONE INDUSTRIALE E CRESCITA, 1975-85
La rincorsa frenata
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Anni di piombo e solitudini europee Inizio anni Settanta: profonda crisi. Fine della produzione
di massa, della domanda pubblica e dell’inflazione controllata (per mantenere alta la domanda privata e bassa la disoccupazione) e della stabilità monetaria
Spagna e Grecia fino a circa la metà degli anni Settanta sono sotto dittatura; 1979 gli Usa perdono la guerra in Vietnam; continuava la guerra in Medio Oriente
1973, 1977-79 grossa crisi petrolifera La CEE adotta nel 1979 il Sistema monetario europeo
(SME) per contenere le fluttuazioni (il cambio fra le monete europee deve fluttuare in una banda del 2,75% sopra o sotto i valori consolidati)
In Italia si crea un grosso scontro interno: si svalutava spesso per abbattere l’inflazione e l’indebitamento interno (si negozia una banda del 6%)
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In tutta Europa gli anni Settanta sono segnati da forte disordine economico e esplosione terroristica
Si va verso una riorganizzazione del sistema produttivo 1980 in Italia: grossi scontri sindacali, pesanti attacchi
delle brigate rosse e della mafia. 1980: muore Tito in Jugoslavia, i militari fanno un colpo di
stato in Turchia, in Polonia si avvia lo sgretolamento del regime comunista
Si chiude un ciclo politico e produttivo (fine della produzione di massa)
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Alla fine degli anni Sessanta si investe in automazione e in meccanizzazione di singole funzioni dentro le fabbriche, ma non nell’organizzazione complessiva della produzione (basata su rigide sequenze di fasi)
Il mondo cambiava: rivolte studentesche e operaie, prezzi alle stelle delle materie prime, inflazione e instabilità dei cambi, richiedeva un’estensione del mercato diversa e una riorganizzazione della produzione
Negli anni Cinquanta l’organizzazione produttiva si basava o sulla produzione di massa (vantaggi di scala) o di differenziazione (nicchia). Le barriere all’entrata erano date dalle dimensioni delle imprese
La grande impresa lasciava nicchie di specializzazione per le PMI
Dalla produzione di massa alla concorrenza globale
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I mercati erano regolati dalla relazione tra: dimensione efficiente di produzione e tassi di crescita dei volumi di domanda
Ci si aspettava che la qualità della domanda non sarebbe cambiata nel tempo
Questo insieme di regole di produzione e di mercato era definito “fordismo” (catena di montaggio, prodotto standardizzato, prezzo fisso)
Su questo modello erano cresciuti: il new deal americano, l’Europa, il Giappone del dopoguerra, l’Italia del miracolo economico
A metà anni Settanta queste regole non valgono più: il mercato di massa si satura
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Cambiando l’organizzazione del mercato deve cambiare l’organizzazione della produzione
Diventa necessaria una continua innovazione tecnologica: incide su qualità della produzione e su metodi di comunicazione fra impresa e mercato
Con il calo della domanda si è tentato di mantenere inalterata la produttività vendendo in altri mercati con struttura della domanda simile
Aumenta il commercio intraindustriale: aumentano gli operatori presenti sul singolo mercato nazionale (FIAT si trova sul mercato italiano Opel, Renault, Volkswagen, Citroën, Mercedes)
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Entra un nuovo potente concorrente: l’industria giapponese
Fino alla metà degli anni Settanta si cresceva sulla domanda dei mercati interni controllando tutta la rete distributiva sul mercato nazionale
Dopo la concorrenza avviene su una domanda di sostituzione, la concorrenza di prezzo si basa su caratteri di innovazione del prodotto. Occorre accelerare il tasso di sostituzione dei prodotti
Le innovazioni di prodotto verranno presto imitate e superate da quelle dei concorrenti. Il leader nazionale non è più protetto da barriere tariffarie e dalla sua struttura di produzione e commercializzazione: deve gestire diversi prodotti e diversi mercati contemporaneamente
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Il mercato diviene globale: tutti contro tutti senza piùbarriere protettive
Da un punto di vista organizzativo e produttivo occorre aumentare il numero di tipi di prodotti in produzione in contemporanea (gamma), riducendo il numero di unità per ogni tipo (volumi)
Economie di scala e di scopo (stesse risorse, impianti, know how, C(x,0)+C(0,y)>C(x,y)
Importante l’uso del marchio e dei contenuti innovativi del prodotto rispetto ai concorrenti
Fine anni ’70 – primi anni ’80 le imprese hanno riorganizzato complessivamente la produzione (e le altre funzioni aziendali) in relazione al mutare dell’estensione del mercato
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La globalizzazione ha le sue radici nelle riorganizzazione industriale degli anni Settanta (1975-80 in Italia)
Anni Novanta: internet e la liberalizzazione dei mercati dei capitali hanno dato la dimensione attuale alla globalizzazione
Le ristrutturazioni sono sia interne alle singole imprese, sia con acquisizioni e fusioni. La parola chiave diventa: flessibilità
Si destruttura la grande impresa integrata verticalmente del ciclo fordista
Si creano: holding con controllo finanziario e direzione strategica, impianti specializzati, imprese funzionali all’interno dei gruppi (Toyota, IBM, 3M: gestiscono imprese distribuite in diversi continenti secondo un’unica gestione con strategie diverse per prodotto e per mercato)
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In Italia si ha una destrutturazione non tanto della grande impresa fordista (auto, chimica) quanto dell’intero sistema industriale che si va frammentando in un’esplosione di imprese di piccole dimensioni in gruppi a controllo familiare
Si crea una rete di subfornitori che organizzano i primi nuclei di coordinamento produttivo in aree che verranno definite “distretti industriali”
Dilaga il “sommerso” per sfuggire alla spinta sindacale e all’instabilità del ciclo della domanda e alla pressione fiscale
Queste reti sono più complementari che alternative al sistema tradizionale della grande impresa, sono più flessibili e reggono meglio la concorrenza
Si sviluppano al di fuori della struttura bancaria e finanziariadel paese che continua a seguire il nocciolo del capitalismo
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Il vertice dell’industria italiana si era da poco ammodernato (fine anni Sessanta) e il sistema finanziario si era compromesso nel duplice sforzo di sostenere gli impianti in crisi e supportare gli investimenti in nuovi impianti
La struttura fordista integrata verticalmente (con impianti rinnovati di recente) diventa ora barriera all’uscita dal settore e vincolo per l’ingresso in nuovi settori
La ristrutturazione diventa anche un problema sociale (i dipendenti della grande impresa si dimezzano): occupazione e risultati di esercizio delle imprese toccano limiti minimi intorno al 1982 per poi riprendersi (il solo risultato di esercizio) progressivamente fino al 1989 e ripiombare dal 1990 al 1993.
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A livello europeo le grandi imprese a metà degli anni Ottanta richiedono un grande mercato unico su cui poter crescere
L’Italia spera su alcuni fattori positivi: politica nazionale espansiva, domanda europea in ripresa recupero di produttività
ma quando a livello europeo si va verso una concentrazione, che fa emergere i leader europei, il sistema industriale italiano non regge il confronto anche a causa del grosso deficit interno dato dai costi della ristrutturazione e dal sostegno alla domanda interna
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La riorganizzazione degli impianti e delle imprese I nuovi investimenti della grande impresa tendono a
risparmiare sia lavoro che capitale I mutamenti hanno modificato le mansioni operative e
l’organizzazione complessiva del ciclo di produzione oltre ad una ridefinizione della concezione dei prodotti Es automobile: negli anni ’50-’60 la FIAT aveva alcuni modelli base
che produceva in grandi quantità (500, 600, 1100)
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Le innovazioni venivano realizzate per serie successive: 1100 serie D, serie E, fino alla R)
Il modello di innovazione degli anni Ottanta invece si basa su pochi modelli base in una vasta gamma differenziata per motorizzazione, carrozzeria, finiture e continuamente innovata.
La fabbrica anni ’50 aveva linee di produzione lunghe, integrate ognuna per modello. Per introdurre una innovazione bisognava interrompere la linea, sistemare la catena e ripartire (es. per invertire il modo di apertura della portiera della 600 la linea si fermò 3 giorni)
La linea era continua e l’innovazione discontinua
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La fabbrica anni ’80 diventa una grande matrice in cui si producono gruppi di componenti comuni a più modelli che vengono assemblati diversamente fra loro per differenziare i modelli (non si perdono i vantaggi di scala nella realizzazione delle singole parti)
Si abbandona la produzione per linee parallele e l’impresa si organizza a matrice (ogni impianto produce una famiglia di beni differenziati): scompaiono magazzini e magazzinieri
Su ogni mercato e per ogni prodotto l’impresa deve giocare una propria strategia di attacco o di difesa
Non aumenta la quantità di beni prodotti, si ridimensiona l’occupazione nelle grandi imprese
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Per essere competitivi non importa più essere grandi ma innovatori nel prodotto, nel processo e nel mercato con aggressive politiche di marchio
In Italia hanno saputo adottare queste strategie nel tessile abbigliamento (Benetton, Armani), edilizia (piastrelle), alimentare (Barilla)
Primi anni ’80: per essere leader di mercato occorre essere in grado di acquisire imprese esterne controllandone le attività senza dover ridefinire la struttura interna
Per rispondere a questi requisiti le imprese si sono dovute ristrutturare attraverso: Riorganizzazione delle attività produttive interne Cessione di attività acquisibili all’esterno Acquisizione rapida di attività essenziali
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1983: 184 fusioni e acquisizioni 1985: 436 1990: 1466 (in particolare tra imprese private italiane nel
chimico, farmaceutico, macchine di produzione, alimentare)
Il modello organizzativo che emerge è quello di “gruppo”con una catena di controllo a più livelli: holding finanziaria, holding operative, capogruppo settoriale, imprese operative. Ampia autonomia gestionale operativa e accentramento delle funzioni strategiche nella capogruppo (innovazione, finanza, controllo del mercato)
Oltre ad acquistare quote di mercato delle controllate si acquisiscono competenze qualificate
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Piccole imprese e distretti industriali Negli anni Settanta in cui la crisi tocca il culmine si scopre
una “Terza Italia” (fra nord-ovest industriale e sud), quella dei distretti industriali, calcolata in un centinaio di aree
Aree con: forte specializzazione produttiva su base locale, forte divisione del lavoro fra imprese guida che vanno sul mercato
con propri marchi, imprese di subfornitura Imprese di fornitura di macchine e servizi
Vantaggi rispetto al grande impianto integrato: Possibilità di contrarre ed estendere il volume di produzione
decentrando ad un numero variabile di produttori esterni la realizzazione di beni semplici
Praticare prezzi contenuti, grazie ai bassi costi unitari (condizioni di lavoro diverse rispetto a quello nelle imprese strutturate)
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Capacità di gestire volumi di beni con lotti differenziati Adattamento alle tendenze qualitative della domanda (rapida
imitazione dei prodotti dei leader del momento)
Essendo svincolate dalla grande impresa non ne subivano l’influsso negativo
Negli anni Ottanta mentre la grande impresa contraeva il personale le PMI hanno garantito la crescita dell’occupazione
Compaiono dei leader: Benetton, Del Vecchio (Luxottica): controllano le fasi di progettazione e distribuzione imponendo alle altre imprese standard tecnici vincolanti e si rivolgono a fornitori esterni alla tradizionale area di riferimento
Accumulano in quegli anni capitali tali da divenire nel decennio successivo leader mondiali dei propri settori
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Queste imprese diventano organizzatrici dell’intero ciclo, divenendo esse stesse società di servizio per l’intera area Es Benetton: assume il controllo delle fasi: posizionamento di
mercato, innovazione di prodotto, logistica di produzione, pubblicità, finanza, rete distributiva
Decentra invece produzione e proprietà dei negozi
Il nuovo processo di internazionalizzazione si configura nell’ambito della globalizzazione della concorrenza: si confrontano imprese multiprodotto, in grado di operare su più segmenti e più mercati locali sfruttando vantaggi produttivi diversi su vari posizionamenti di mercato