capitolo 12 l’obesita’ e lo sport giovanile 1. … · più frequenti malattie come la...
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CAPITOLO 12
L’OBESITA’ E LO SPORT GIOVANILE
1. Introduzione
Secondo la professoressa Alessandra Simonelli dell’università di Padova, oggi l’obesità
esiste non solo nei cosiddetti Paesi sviluppati, ma anche in nuovi Paesi dove prima erano
più frequenti malattie come la malnutrizione e le malattie infettive (es. l’Asia), arrivando a
rappresentare una delle principali fonti di preoccupazione nella sanità pubblica di quei
Paesi.
Nel bambino, l’obesità aumenta drammaticamente nell’America del Nord ed in Europa. In
Italia, un bambino su dieci è obeso. A questo problema sono interessati insegnanti,
genitori e medici. Secondo alcune ricerche la progressione dell’obesità è tale (150% in 10
anni) che fa temere un’evoluzione americana. Ora, l’80% dei bambini obesi diventano
adulti obesi. L’obesità rappresenta un vero problema di salute pubblica, in particolare nei
giovani.
Nel 1998, l’OMS ha definito l’obesità come un’epidemia globale, che coinvolge sia gli
adulti, sia i bambini, ed è il risultato di fattori sociali e ambientali.
In questi ultimi anni, il problema dell’obesità è diventato sempre più importante anche nel
nostro Paese, giungendo all’attenzione di diversi operatori sanitari. Il Ministero della
Sanità, per l’anno 2003, ha promosso una campagna per una sana alimentazione,
finalizzata all’adozione di abitudini di vita che contrastino la crescente tendenza della
popolazione al sovrappeso e all’obesità.
Tali patologie, secondo diverse ricerche, hanno un’insorgenza sempre più precoce:
mediamente, su 10 soggetti nella fascia di età 6-13 anni, 2 risultano sovrappeso e 2 obesi;
ma il dato più preoccupante è che, al momento, tale prevalenza non sembra predire
un’inversione di tendenza.
La cura dell’obesità infantile è necessaria per prevenire l’obesità in età adulta, che è spesso
associata a patologie quali diabete mellito (o di secondo tipo), cancro e malattie
cardiovascolari.
È lecito, secondo diversi autori, ritenere che gli insuccessi del trattamento dell’obesità
possano essere riferiti anche ad un inadeguato equipaggiamento metodologico
nell’impostazione diagnostica e nel trattamento stesso. Non è un caso, infatti, che il
trattamento della maggior parte dei soggetti obesi richieda un impegno diagnostico e
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terapeutico che necessita dell’apporto di altre competenze specialistiche, in particolare di
quelle attinenti alla psicologia (Simonelli, 2002).
Infatti, è possibile indagarne anche gli aspetti psicologici, aspetti che, però, spesso
vengono trascurati. Importanti sono le percezioni del bambino riguardo alle figure di
riferimento, poiché influenzano l’immagine di sé, l’autostima e i legami familiari e di
attaccamento (Bilello, Bonomi, Bulf, Frezza, 2003).
Un importante lavoro degli anni ’60 di Stunkard e Mc Laren-Hume dimostra che la
maggior parte dei pazienti in trattamento non è in grado di perdere peso o di mantenere i
risultati ottenuti, e questo dimostra, secondo gli autori, che psicologi e psichiatri devono
iniziare a lavorare insieme ai clinici per trovare modalità terapeutiche appropriate ed
efficaci.
Di certo, uno degli effetti negativi più evidenti ed immediati è rappresentato dal disagio
psicologico che affligge i soggetti obesi, specialmente i bambini più grandi e gli
adolescenti, disagio causato dalla consapevolezza di non avere un aspetto gradevole e dal
timore di suscitare la critica o il giudizio negativo degli altri. Tale timore è tutt’altro che
infondato, dal momento che il bambino viene spesso deriso dai suoi compagni fin
dall’inizio della scuola, venendo talora escluso dalla vita di gruppo importantissima ai fini
di un normale sviluppo psico-fisico (Stunkard e Mc Laren-Hume).
La società attuale tende, d’altra parte, a considerare, come ideale di bellezza, la figura
snella e alta, motivo per il quale le implicazioni emotive che l’obesità comporta diventano
particolarmente avvertite in età puberale, aggiungendosi ai disagi già eventualmente
presenti e finendo con accentuare o costruire vere e proprie reazioni depressive, legate
soprattutto alla scarsa autostima (Bruch, 1970).
Infine, Daniele (2003) ricorda che, secondo la relazione sullo stato sanitario nel nostro
paese, diffuso dal Ministero della salute e relativo agli anni 2001 e 2002, gli obesi sono il
25% in più rispetto al 1994.
Inoltre, dallo stesso rapporto risulta che soltanto il 21% della popolazione adulta pratica
uno sport una volta alla settimana o più e che un bambino su cinque non fa alcuna attività
fisica.
In Europa, il 10-20% degli uomini è in sovrappeso. Quanto alle donne, la quota va dal 10
al 25%.
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2. Definizione di obesità
L’obesità rappresenta una condizione in cui esiste un eccesso di massa corporea, dovuto
essenzialmente ad accumulo di grasso. Comunemente è considerata quindi ECCESSO DI
MASSA GRASSA. È un complesso disordine della regolazione dell’appetito e del
metabolismo energetico, influenzato da differenze genetiche tra gli individui (Bilello,
Bonomi, Bulf, Frezza, 2003).
Gli studi riguardanti l’obesità si basano su criteri nazionali, sebbene a volte si tenti di
usare dati riferiti ad altri Paesi. In realtà, gli indici variano considerevolmente da Paese a
Paese, perciò, nonostante considerevoli problemi, la tendenza attuale è quella di migliorare
(o risolvere) questa situazione con un consenso internazionale che prescinda da incertezze
e compromessi.
Gli standard usati per definire l’obesità sono differenti di volta in volta anche in Italia,
rispetto a studi precedenti.
Secondo alcuni autori, l’obesità può essere vista come una condizione eguale e contraria
all’anoressia: entrambe sono collegate ad un’errata percezione della fame e del proprio
corpo, non sono riducibili ad un’unica causa, né si possono chiarire con un’unica
spiegazione, quanto piuttosto dipendenti dall’intrecciarsi di varie forze indipendenti
(mangiare troppo o mangiare poco sono due modi opposti, ma inseparabili, della stessa
ossessione verso il cibo).
La classificazione principale propone due tipi di obesità:
- ESSENZIALE (o PRIMARIA o SEMPLICE);
- SECONDARIA
Quest’ultima può essere originata da cause:
- endocrine: Sindrome di Cushing, ipotiroidismo, panipopituitarismo (deficit selettivo
dell’ormone GH), disfunzioni ipotalamiche, pseudoipoparatiroidismo, Sindrome di
Mauriac;
- genetiche: Sindrome di Cohen, Sindrome di Klinefelter, Sindrome di Down.
In Italia, dal 10% al 30%, i soggetti in età pediatrica sono in sovrappeso o obesi. Ciò non
va considerato solo per gli aspetti negativi legati a quel particolare momento della vita, ma
anche come condizione predisponente di obesità nell’età adulta (Bilello, Bonomi, Bulf,
Frezza, 2003).
Sebbene gli effetti a lungo termine del sovrappeso e dell’obesità sull’insorgere di malattie
e sulla mortalità nei bambini non sono ancora ben documentati, diversi studi suggeriscono
che l’obesità nell’infanzia è seguita da serie conseguenze nell’età adulta.
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Esistono una varietà di definizioni dell’obesità infantile, e non ci sono ancora standard
comunemente accettati. La definizione ideale, basata sulla percentuale di grasso corporeo
è inutile per un uso epidemiologico.
Nel primo anno di vita, il bambino presenta naturalmente un eccesso di massa grassa (12%
del suo peso corporeo). Questa diminuisce fino ai 5 anni, e mantiene un decremento fino ai
10 anni. Si verificano, infatti, delle modificazioni a livello degli adipociti, che si erano
enormemente moltiplicati negli ultimi mesi della vita intra-uterina. Gli adipociti, stabili nel
primo anno di vita, cominciano a ridursi di volume dal secondo al quinto. Nei bambini
obesi, gli adipociti subiscono variazioni numeriche e volumetriche diverse da quelle
suddette: manca la temporanea riduzione di volume di queste cellule dopo il primo anno di
vita e l’incremento numerico risulta di gran lunga superiore a quello del soggetto
normopeso. Tali modificazioni spiegherebbero, secondo alcuni autori, le difficoltà che si
incontrano nel tentativo di ridurre l’adiposità.
Dal momento che, raggiunta una certa età, il numero di adipociti non può diminuire le
obesità infantili, sono particolarmente resistenti alle terapie e maggiore è il rischio di
recidive (Simonelli, 2003).
Secondo il criterio ISTOLOGICO, si possono distinguere due tipi di obesità:
- obesità ipertrofica (aumento di volume degli adipociti);
- obesità iperplastica (aumento del numero degli adipociti)
In realtà, in entrambe le forme ci sarebbe un aumento in volume degli adipociti, perciò
sarebbe più corretto considerare un’obesità ipertrofico-iperplastica e un’obesità ipertrofica
pura.
La prima forma di obesità è particolarmente importante quando si parla di obesità
infantile, perché gli adipociti mantengono la capacità di moltiplicarsi. Nelle obesità
infantili e adolescenziali, l’aumento del tessuto adiposo avviene per un aumento
prevalentemente numerico degli stessi.
L’obesità in età pediatrica è definita come un sovrappeso superiore al 20% del peso ideale,
calcolato in base a sesso, altezza ed età. Tuttavia la definizione di obesità nell’infanzia e
nell’adolescenza non rimane chiara. Negli adulti la co-insorgenza di malattie insieme
all’obesità può essere usata per stabilire il cut-off, che viene fissato laddove il rischio per
la salute del paziente comincia a crescere drasticamente, ma nei bambini altre malattie
subentrano meno frequentemente e il ruolo della distribuzione del grasso corporeo non è
stato ancora studiato completamente all’interno dei processi di crescita (Simonelli, 2003).
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La definizione stessa di obesità infantile diventa prioritaria, anche se ostacolata da
numerose difficoltà. È necessario risolvere questa questione prima di poter parlare di
diffusione dell’obesità infantile a livello mondiale (Simonelli, 2003).
Poiché il BMI ha qualche svantaggio, sarebbe auspicabile ricorrere anche ad altri metodi,
quali il calcolo del peso relativo percentuale [ (Preale/Pideale) * 100] e la misurazione del
tessuto adiposo.
2.1 Definizione del DSM-IV
“I disturbi dell’alimentazione sono caratterizzati dalla presenza di grossolane alterazioni
del comportamento alimentare”.
Il DSM-IV inserisce l’obesità tra i disturbi ancora da validare, escludendola dai disturbi
dell’alimentazione, perché non ritenuta correlata in modo certo con sindromi psicologiche
o comportamentali.
Si parla di “disturbo di alimentazione incontrollata” (BED = Binge Eating Disorder),
definito come “episodio ricorrente di alimentazione impulsiva associato con indicatori
soggettivi e comportamentali di riduzione del controllo e di disagio significativo
concernenti l’alimentazione impulsiva, in assenza dell’uso regolare dei comportamenti
compensatori inappropriati, che sono caratteristici della bulimia nervosa”.
I pazienti affetti da BED presentano gravi difficoltà nel controllare il loro peso e nel
continuare una dieta; riferiscono che il mangiare senza controllo dipende da alterazioni
dell’umore quali depressione e ansia.
Tali pazienti si caratterizzano sulla base ad alcuni tratti:
- difficoltà di regolazione delle emozioni;
- depressione e ansia;
- insoddisfazione riguardo il proprio corpo;
- dissociazione (stato di trance);
- alexitimia (difficoltà nel descrivere e riconoscere le proprie emozioni).
Va sottolineato che non tutti i pazienti obesi presentano anche un disturbo
dell’alimentazione incontrollata e questo evidenzia la ristrettezza della categoria
diagnostica.
2.2 Definizione dell’OMS
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’obesità in base all’indice di massa
corporea (BMI = Body Mass Index).
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Grazie a questo indice, si distinguono vari livelli di obesità nell’adulto, ma non può
tuttavia essere utilizzato con l’anziano, poiché la sua statura si riduce a causa dello
schiacciamento delle vertebre o il curvarsi della colonna vertebrale.
Allo stesso modo, non può essere utilizzato per i bambini, a causa della diversa relazione
tra gli indici di peso e altezza, e così si utilizzano percentili in funzione dell’età e del
sesso.
La classificazione distingue 4 livelli di sovrappeso, 1 di normopeso e 3 di sottopeso.
3. Diagnosi (segni e sintomi) e rischi
Secondo la letteratura, i principali comportamenti alimentari anomali accompagnati
all’obesità sono:
• Iperfagia (mancato senso di sazietà, esagerato senso di fame):
comporta senso di soddisfazione o frustrazione;
• Assunzione di piccole quantità di cibo molte volte durante la giornata:
associato a depressione o ansia;
• Sonno interrotto per ricerca di cibo;
• Bulimia nervosa;
accompagnata da sensazione di perdita di controllo;
• Assunzione compulsava di particolari alimenti:
attuata con lo scopo di ottenere gratificazione.
L’ipotesi nota è che le persone obese soffrano di disturbi emotivi e abbiano valori più
elevati per la depressione, l’isteria, l’ipocondria e l’impulsività (Simonelli, 2003). Molti
autori concordano sul fatto che parte dei soggetti obesi soffra di una psicopatologia, ma
che questa sia secondaria all’obesità stessa e probabilmente collegata al pregiudizio e alla
discriminazione che tali soggetti subiscono.
Solitamente, le persone in sovrappeso non si arrabbiano quasi mai, perpetuando la favola
degli obesi allegri e paciocconi, invece dietro una facciata di contentezza sono nascosti
seri problemi emotivi che prendono il sopravvento nell’abbandono ad eccessi alimentari in
seguito a sconvolgimenti emozionali. Ciò potrebbe spiegare perché gli obesi hanno una
mortalità superiore alla media per via di numerose malattie collegate ad un’alimentazione
scorretta ad eccezione dell’incidenza al suicidio che risulta significativamente ridotta
(Bilello, Bonomi, Bulf, Frezza, 2003).
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4. Classificazione di Mayer
Mayer propone una classificazione delle obesità di tipo fisio-patologico, che tiene conto
della distribuzione del tessuto adiposo nella diverse parti del corpo. Così, distribuzioni che
coinvolgono parti diverse del corpo avranno alla base tipi diversi di obesità.
Il ricercatore suddivide le obesità in:
a) regolatrici-alimentari;
b) non combustive/non iperfagiche.
Le due categorie, con le sottocategorie corrispondenti, sono caratterizzate da particolari
distribuzioni morfologiche del tessuto adiposo.
Obesità regolatorie-alimentari: il sovrappeso si verifica a seguito di un eccessivo introito
energetico. Si dividono in:
- obesità alimentare da sovralimentazione (tipo 1). Caratterizzata da un disordine sia
qualitativo che quantitativo del comportamento alimentare, è la conseguenza di un eccesso
alimentare, con l’introduzione di enormi quantità di cibo ipercalorico, anche se tale
introduzione è regolare nei tempi di assunzione. Questi obesi sarebbero relativamente
insensibili agli stimoli interni verso il cibo e dipendenti, invece, dagli stimoli esterni: le
caratteristiche esteriori del cibo e le circostanze nelle quali viene consumato.
- obesità alimentare da crisi ipoglicemiche (tipo 2). Obesità conseguente ad iperfagia
per piccole assunzioni di alimenti a elevato valore calorico; è causata da una disfunzione
ghiandolare dovuta ad un’anomalia del metabolismo, che porta ad una caduta del livello di
glucosio ematico.
- obesità alimentare da bulimia nervosa (tipo 3). L’elemento eziologicamente
determinante è dato dalla struttura della personalità del paziente e dalla dinamica dei suoi
conflitti: si riconosce, quindi, un’origine psicologica dell’obesità. La bulimia può essere
accompagnata da senso di vuoto, di bisogno, che viene somatizzato come senso di fame.
Dopo le introduzioni coatte di cibo è presente un senso di colpa molto acceso. Queste
“orge alimentari” si svolgono principalmente durante un periodo della giornata, ad
esempio di notte o durante i fine settimana.
Obesità non combustive/non iperfagiche. Si fanno risalire ad un’alterazione metabolica
specifica, non essendo dimostrabile un’alterazione del comportamento alimentare.
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Mayer critica la concezione classica, secondo cui l’obesità viene considerata una malattia
e curata su questa base con diete ipocaloriche e farmaci anoresizzanti. L’effetto è quello di
un dimagrimento che spesso è temporaneo e che porta ad una corporatura disarmonica.
L’autore, invece, ritiene che l’obesità non possa essere considerata una malattia, ma un
sintomo di malattia, che, presentandosi in forme cliniche assai diverse, presuppone
l’intervento di momenti eziologici diversi, ciascuno caratterizzato dall’accumulo di tessuto
adiposo, ma in parti specifiche del corpo, con caratteri morfologici differenti..
Se, poi, ci si chiede cos’è una malattia, e la si definisce come un’alterazione dell’integrità
strutturale e funzionale dell’organismo, diventa imprescindibile per impostare una
diagnosi corretta un inquadramento morfometrico del paziente, cioè un’accurata disamina
morfometrica, con svariate misurazioni morfometriche che analizzino i diametri di vari
segmenti del corpo e delle pliche cutanee (Simonelli, 2003).
Accanto all’indagine morfologica, ci si avvale anche dell’indagine anamnestica,
dell’indagine sulle abitudini alimentari del paziente, delle analisi in laboratorio.
Infatti, ad esempio, l’obesità di tipo 1 di Mayer presenta caratteristiche morfologiche
sovrapponibili alle varie forme cliniche di obesità.
In questo caso, solo un’indagine anamnestica porterà ad una diagnosi differenziale
corretta.
I bambini obesi sembrano avere statura superiore ai coetanei ed un anticipo sulla
maturazione puberale e scheletrica (Simonelli, 2003).
Non esiste, invece, una struttura psicologica tipica per tutti i bambini obesi. Si evidenzia
un elevato grado di variabilità nei comportamenti di tipo:
- alimentare: iperfagia globale o selettiva, continua o limitata ai pasti principali;
- psicosociale: tendenza all'isolamento versus buone competenze sociali.
Nei bambini obesi si trova la difficoltà a vedere la madre come base sicura dalla quale
partire, e, pertanto, sono spesso bambini timidi e timorosi, che mostrano un minor
adattamento a situazioni nuove. A questo proposito, Bruch (1974) evidenzia come i
bambini obesi mostrino profonda incapacità a far da soli, in ogni aspetto della vita
quotidiana, legata ad un profondo sentimento di insicurezza e timore dei contatti sociali.
Questi bambini non manifestano apertamente comportamenti aggressivi: il mangiare
soddisfa i loro impulsi e la loro mole è un modo per farsi valere, come se nel loro essere
grassi trovassero il senso di sicurezza che non trovano altrove. Di fianco a questa visione
rassicurante c’è la visione negativa, cioè il senso di colpa e vergogna per la mancanza del
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dominio di sé e di volontà: l’esser grassi è la pubblica ammissione del loro fallimento.
L’avversione per la grassezza è il simbolo di tutto quello che il bambino detesta di sé.
Il bambino obeso ha una personalità caratterizzata dalla tendenza alla passività (maggiore
nei maschi che nelle femmine) e alla dipendenza dall’oggetto materno, dalla presenza di
vissuti depressivi, dalla credenza di essere responsabile della propria condizione.
L’autostima negativa determina una bassa considerazione del proprio valore globale e la
non accettazione di sé.
Gaspard sostiene che bambini obesi, proprio a causa della loro passività, non usano tutte le
potenzialità intellettuali a loro disposizione: dati di una sua ricerca dimostrano che il QI di
un bambino obeso varia da 87 a 117.
L’obesità infantile è in relazione a diverse forme di psicopatologia:
- depressione;
- tratti assimilabili ad una struttura nevrotica immatura;
- narcisismo;
- apatia;
- timidezza;
- aggressività;
- tratti ossessivi;
- tratti fobico-ossessivi;
- alexitimia.
Frequente è la presenza di tic nervosi, enuresi, insuccesso scolastico.
Un sovrappeso di modesta o media entità comporta solo disagi di tipo psicologico come
caduta dell’autostima, difficoltà relazionali di coppia e di gruppo, senso di vergogna e
frustrazione.
Con sovrappeso conclamato si associano disturbi di sovraccarico meccanico come abilità
diminuita, movimenti difficoltosi e minore tolleranza a sforzi fisici.
Aggravandosi l’obesità, i disturbi possono arrivare a limitare di molto le attività quotidiane
del soggetto (Simonelli, 2003).
5. Cause ed eziopatogenesi
Per quanto riguarda l’obesità, solo alcuni casi sono riconducibili ad un unico fattore noto,
mentre in tutti gli altri casi le cause non sono inequivocabilmente dimostrabili (Simonelli,
2003).
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Questo porta a suddividere l’obesità nel seguente modo (Bilello, Bonomi, Bulf, Frezza,
2003):
1. riconducibile ad un unico fattore
- obesità associate a SINDROMI PLURIMALFORMATIVE (alterazioni genetiche e
cromosomiche, es. Sindrome di Down)
- obesità ENDOCRINE PRIMITIVE (eccessiva o ridotta funzione ormonale, es.
ipotiroidismo)
2. riconducibili a più fattori: l’obesità è una condizione polifattoriale il cui studio
necessita la separazione dei vari aspetti che la compongono, senza dimenticare che
nessuno singolarmente può spiegarla:
- fattori genetici (studi sui gemelli monozigoti e analisi dei geni candidati confermano che
il rischio di obesità è maggiore in soggetti con familiari obesi). La più parte degli studi dà
a questi fattori la maggiore importanza.
- fattori ambientali (considerati diversamente dai vari autori: chi crede che l’obesità sia
una risposta all’ambiente si focalizza sulla modifica dell’ambiente considerato patogeno;
altri credono che l’interazione tra fattori genetici e ambientali possa portare allo sviluppo
dell’obesità). Il principale fattore ambientale è l’eccessiva introduzione di cibo spesso
accompagnata da ridotta attività fisica. Altro fattore non marginale è il lavoro sedentario.
L’obesità essenziale infantile si ritiene dovuta ad un’incapacità dell’organismo di regolare
il rapporto tra introduzione e dispendio energetico (Simonelli, 2003).
Le cause di questa incapacità sono:
fattori congeniti → es. iperalimentazione della madre in gravidanza;
fattori genetici → correlazione tra obesità dei genitori e del bambino;
fattori acquisiti → alimentazione eccessiva durante il primo anno di vita.
Secondo alcuni autori, esperienze traumatiche (es. separazione dei genitori, conflitti
familiari, malattie gravi del bambino, nascita di fratelli, eventi stressanti acuti o cronici)
porterebbero ad una disorganizzazione nel processo di attaccamento, per cui il bambino si
identifica con una figura depressa e prova un senso di vuoto affettivo. In questa situazione,
si instaura un’elevata sensibilità agli stimoli interni ed esterni, che porta a supplire le
emozioni incontrollabili con l’assunzione di cibo. Uno studio di Thomas e Chess ha
trovato una relazione tra difficoltà di temperamento, rapidità nell’assunzione di cibo ed
obesità nell’infanzia.
Secondo altri autori, particolarmente patogene per l’obesità infantile, sono le famiglie
caratterizzate da:
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-perfezionismo (le necessità e le ambizioni dei genitori sono al primo posto, per cui il
bambino ha la sensazione, crescendo, di non avere controllo sulla propria vita);
-disaccordo (comporta chiusura sociale, uso del cibo come strumento di premio/punizione,
incapacità di costruire un rapporto empatico con il bambino).
Kaplan e Kaplan, però, affermano che la struttura di personalità, la storia familiare e i
fattori psicologici che possono essere associati all’obesità non sono specifici della
patologia. Tuttavia è necessario individuare le caratteristiche psicologiche del bambino
obeso al fine di approntare programmi di educazione e terapia che tengano conto della
complessità dei fattori psicobiologici alla base della patologia alimentare.
Tra i fattori ambientali riconosciuti come rilevanti per l’emergere dell’obesità, molti autori
individuano la diffusione di internet, dei videogames e della televisione.
Riguardo a quest’ultima, la prima ricerca è del 1985, ad opera di Dietz e Gortmaker.
Il campione era costituito da bambini (6-11 anni) e da adolescenti (12-17 anni).
Il livello di obesità è stato misurato attraverso le pliche cutanee tricipitali, mentre le ore
passate davanti alla televisione o spese in altre attività rilevate attraverso questionari ai
genitori per i bambini e self-reports per gli adolescenti.
I risultati portarono alla conclusione che guardare più televisione aumenta la prevalenza di
obesità (la relazione è unidirezionale) rispetto al guardarne meno; l’associazione
persistette quando vennero controllate le variabili “terze” che normalmente influenzano
l’obesità infantile (un’obesità precedente, caratteristiche socioeconomiche).
Negli adolescenti, ogni ora in più davanti al televisore, aumentava la prevalenza di obesità
del 2%.
Il meccanismo, causa di obesità, può essere spiegato considerando che guardare tanto la
televisione influenza sia la spesa energetica (serve meno energia a guardare la televisione
che a giocare a nascondino!) che l’intake energetico (aumenta gli spuntini, aumenta il
consumo dei cibi pubblicizzati).
6. Determinanti psicosociali dell’obesità
Durante l’infanzia, le modifiche fisiche relative alla crescita sono solitamente lente e
graduali. I piccoli cambiamenti nell’aspetto e nell’aumento dell’altezza, generalmente, non
richiedono revisioni su larga scala dell’immagine che il bambino ha del proprio corpo.
Similmente, attraverso altri stadi della vita, il corpo cambia in maniera impercettibile e fa
l’immagine del corpo.
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Al contrario, i rapidissimi cambiamenti durante l’adolescenza, come l’aumento della
statura, le modificate proporzioni dei segmenti corporali, le caratteristiche sessuali
primarie e secondarie e l’aspetto del volto significano che piccole modifiche
nell’immagine del corpo, per alcuni individui, non sono sufficienti (Polmonari, 2001). È
anche importante ricordare che, mentre gli aggiustamenti e le imitazioni con i
cambiamenti nell’immagine del corpo sono importanti per molti giovani, l’immagine del
corpo non ha un’importanza e un significato uniformi per gli adolescenti attraverso
l’intero periodo di crescita (Bonino).
Secondo la letteratura, l’adolescenza è un periodo in cui la consapevolezza del proprio
aspetto e del proprio corpo può diventare molto importante. Tuttavia, questa
consapevolezza di sé può comparire molto prima, per esempio, all’inizio della scuola
elementare, e può provocare un deterioramento delle abitudini alimentari oppure della
partecipazione alle attività fisiche. L’influenza dei mass-media, come la televisione, può
essere molto determinante.
Come ricordano diversi autori, il confronto sociale, durante la pubertà e l’adolescenza, è
particolarmente rilevante.
L’adolescenza è un periodo di cambiamenti fisici e psicologici, che per molti implica una
stressante rivalutazione della concezione di sé e dei rapporti interpersonali (Polmonari,
1997). Molto prima dell’avvento della pubertà, addirittura durante gli anni delle scuole
elementari, gli individui imparano che la magrezza nelle donne e l’aspetto atletico negli
uomini sono considerate caratteristiche fisicamente attraenti e socialmente desiderabili.
Dietz ha affermato che la conseguenza principale dell’obesità nell’infanzia è psicosociale.
Secondo l’autore, esistono molti esempi di discriminazione verso le persone grasse di tutte
le età, ma, potenzialmente, la più dannosa conseguenza potrebbe essere per il benessere
psicologico dei bambini obesi.
Da diverse ricerche risulta che i bambini obesi sono sempre presi in giro dai loro coetanei
come pigri, sporchi, brutti, imbroglioni e bugiardi.
Altri studi, che hanno preso in considerazione le preferenze riguardo a diverse forme di
disabilità, inclusa l’obesità, hanno mostrato che bambini e adulti consideravano l’obesità
in maniera molto negativa. In generale, i bambini con altri tipi di disabilità venivano
considerati come vittime sfortunate dell’ambiente, mentre gli obesi erano considerati
“responsabili” della loro situazione.
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Il marchio sociale, che viene associato all’apparente goffaggine delle persone obese, è uno
dei problemi con cui queste persone devono confrontarsi ed è un problema pochissimo
riconosciuto e incompreso (Pařízkavá, Hills, 2001).
Nei paesi in cui, il corpo maschile, per essere considerato piacente e desiderabile, deve
possedere le qualità dell’altezza e della magrezza e deve essere atletico, gli obesi, spesso,
sono ridicolizzati e vengono trattati come vittime di un’emarginazione sociale. Questo è
particolarmente vero per i bambini e gli adolescenti (Polmonari, 1993).
Oltre al marchio sociale, gli obesi, comunemente, riferiscono un timore nel partecipare ad
attività sociali, sport e attività ricreative (Pařízkavá, Hills, 2001): molte persone obese
sono terrorizzate all’idea di essere visti in luoghi pubblici, o di indossare costumi da bagno
e abbigliamento sportivo.
Come già detto, i bambini obesi sono potenzialmente più sensibili e, perciò vulnerabili, ai
commenti dei coetanei. Di conseguenza, provano a evitare sia le attività fisiche che,
sovente, anche i contatti sociali (Pařízkavá, Hills, 2001).
Sempre secondo gli autori, la necessità del consenso degli altri per l’autostima e per il
proprio valore è un fattore di fondamentale importanza per essere una persona equilibrata.
Se queste caratteristiche venissero danneggiate, o mancassero del tutto, le persone obese
finirebbero con il considerare se stesse brutte e non attraenti per le persone che li
circondano, il che porterebbe all’infelicità e alla depressione. Questo scenario dà origine e
mantiene costante un circolo vizioso, a causa del quale la sofferenza e l’insoddisfazione
per il proprio aspetto fisico possono rendere l’assunzione di cibo come un conforto per il
malessere, con il conseguente aumento di peso e ulteriore malcontento.
Nel 1970, la Bruch sostenne che “gli atteggiamenti sociali verso il corpo, l’interesse totale
per l’aspetto fisico e una distruggente enfasi sulla bellezza”, nella nostra società erano i
fattori che contribuivano alla distorsione dell’immagine del corpo, in forme lievi, per le
persone non obese, durante la crescita. Questi fattori sono considerati, dall’autrice,
strettamente correlati con l’estesa condanna delle persone in soprappeso e degli obesi, che
sono visti come indesiderabili e brutti.
Questo illustra il contesto psicologico e sociale in cui i giovani con problemi di peso si
ritrovano.
Alcune recenti ricerche, infine, indicano che la preoccupazione degli adulti per il peso
corporeo, le diete restrittive e gli altri metodi, alquanti dannosi, per la regolazione del peso
sono pratiche comuni anche nell’infanzia e nell’adolescenza.
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7. Definizione di “body image”
Secondo Schilder, per “body image” si intende la rappresentazione che ognuno ha del
proprio corpo. Si tratta di un concetto autoriferito, che è stato descritto in diversi modi.
Mentre il termine in se stesso è stato identificato come una definizione generica, la sua
interpretazione dipende dalle definizioni date dalle ricerche condotte.
In letteratura, l’immagine del corpo viene considerata come un complesso, dinamico e
multidimensionale aspetto della personalità (Pařízkavá, Hills, 2001). Di conseguenza,
esistono diverse critiche alla semplicistica definizione di Schilder, poiché si sostiene che
essa è alquanto imprecisa. Tuttavia, non sono ancora state proposte alternative adeguate.
Fisher, basandosi sulle ricerche effettuate sull’argomento, suddivise il concetto di body
image in nove aree focali. Queste sono:
- percezione e valutazione dell’aspetto fisico;
- esattezza della percezione delle dimensioni del corpo;
- sensibilità corporea;
- posizione spaziale;
- confini del corpo;
- distorsioni associate a psicopatologie e/o danni cerebrali;
- reazione a danni al corpo;
- alterazioni cosmetiche;
- identità sessuale.
Per quel che riguarda l’obesità e l’essere in soprappeso, secondo l’autore, fra queste
categorie, le più importanti sono la percezione e la valutazione dell’aspetto fisico e
l’esattezza della percezione delle dimensioni del corpo.
Alcuni autori si domandano se gli obesi hanno un’immagine del corpo disturbata. Per
alcuni, ciò è vero, ma non in tutti i casi. L’insoddisfazione per il corpo non è sempre un
fattore centrale (Pařízkavá, Hills, 2001). Alcuni individui che soffrono di obesità (in
particolar modo gli adulti) riescono a percepire il loro corpo in maniera realistica e
riconoscono di aver bisogno di dieta ed esercizio fisico, senza particolari coinvolgimenti
emozionali. Altri non considerano il loro corpo grasso come indesiderabile, nemmeno per
ragioni personali o culturali (Pařízkavá, Hills, 2001).
291
8. L’immagine del corpo correlata all’aspetto
L’immagine del corpo ha componenti sia autopercepite che soggettive (attitudinali e
affettive) (Garner and Garfinkel). I due autori hanno suggerito che l’immagine del corpo
potrebbe essere suddivisa in due elementi:
1) distorsione dell’immagine del corpo
2) insoddisfazione per il corpo.
La distorsione dell’immagine del corpo può essere considerata indicativa di un deficit di
percezione, mentre l’insoddisfazione per il corpo può derivare da un disturbo di pensiero
e/o affettivo riguardo al corpo. Per questo, esso viene spesso associato ad un desiderio di
modificare l’aspetto fisico (Garner and Garfinkel).
Williamson ha suggerito un’interpretazione alternativa di insoddisfazione per il corpo,
che, secondo l’autore, è composta da due parti:
1) distorsione della grandezza del corpo;
2) preferenza per la magrezza.
In questo modo, il disturbo dell’immagine corporea può derivare da un’incapacità
cognitiva di valutare esattamente l’aspetto fisico (body-image distorsion) o le dimensioni
del corpo (body-size distorsion). In alternativa, il disturbo può essere il risultato da una
valutazione soggettiva che il corpo non si avvicina all’ideale (body dissatisfaction) e, in
particolare, l’ideale magro (preference for thinness).
8.1 La distorsione della dimensione del corpo
La distorsione delle dimensioni del corpo, secondo Williamson e colleghi, coinvolge un
disturbo percettivo, in cui un individuo appare incapace di valutare accuratamente le
dimensioni del proprio corpo. La distorsione della percezione delle dimensioni del corpo
fu studiata per la prima volta da Slade and Russell. Questi autori notarono che i soggetti
anoressici sovrastimavano, in misura maggiore rispetto ai gruppi di controllo, le
dimensioni del corpo. Altri autori suggeriscono che la sovrastima delle dimensioni
corporee non è specifica dei soggetti con disturbi del comportamento alimentare.
Tuttavia, da alcuni autori, è stato proposto che l’incapacità cognitiva di valutare
correttamente le dimensioni del proprio corpo potrebbe rappresentare un importante
criterio diagnostico nella discriminazione fra l’eccessivo ricorso a diete e le abitudini
alimentari disordinate.
292
8.2 L’insoddisfazione per il corpo
L’insoddisfazione per il proprio corpo rappresenta una dimensione attitudinale o affettiva
in cui una persona esprime un certo livello di soddisfazione per il corpo o per una
specifica parte del corpo. L’insoddisfazione per il corpo è associata a diverse condotte
alimentari problematiche e ad alcuni tipi di comportamento che comprendono il sottoporsi
a diete restrittive, una preoccupazione eccessiva per il peso, il “binge eating” e il rischio di
sviluppare disturbi alimentari (Pařízkavá, Hills, 2001).
Nella valutazione dei disturbi alimentari, l’insoddisfazione per il proprio corpo è, secondo
gli autori, il miglior predittore di un regime alimentare fortemente restrittivo. Striegel-
Moore e colleghi hanno notato che, grazie alla presenza di insoddisfazione per il corpo, si
poteva prevedere, in maniera più accurata, gli studenti i cui sintomi alimentari sarebbero
peggiorati durante il primo anno di studi, in associazione alla presenza di stress,
inaffettività, perfezionismo e competitività. Valutando anche le ricerche riguardanti gli
atteggiamenti nei confronti dell’esercizio fisico, Striegel-Morre e colleghi sostengono che
l’insoddisfazione per il corpo può anche influenzare la motivazione alla pratica fisica, in
cui individui insoddisfatti del loro aspetto fisico praticheranno, più probabilmente, esercizi
per il controllo del peso e per aumentare il tono muscolare.
8.3 La preferenza per la magrezza
Il terzo tipo di disturbo dell’immagine corporea proposto da Williamson e colleghi è
indicativo di una personale “dimensione ideale del corpo”, o di una dimensione corporea
che era usata come uno standard per giudicare la soddisfazione per l’attuale dimensione
del corpo.
Alcune ricerche suggeriscono che gli individui che hanno fortemente paura di prendere
peso, preferiscono una dimensione del loro corpo che è significativamente più magra
rispetto a quelli che non hanno tali paure.
8.4 L’insoddisfazione per le dimensioni del corpo
L’insoddisfazione per le dimensioni corporee potrebbe essere il più valido predittore di
tutte le insoddisfazioni per il corpo e venire associato ai comportamenti per la
modificazione del peso corporeo (Pařízkavá, Hills, 2001). La suddivisione di questo
concetto in componenti separate ha reso possibile la ricerca sull’immagine del corpo
relativa all’aspetto esteriore per valutare, in diverse popolazioni, come l’aspetto fisico
viene percepito e gli atteggiamenti riguardo ad esso. Tuttavia, si sono verificati alcuni
293
errori sistematici nelle ricerche verso la valutazione di un certo campione. Le donne di
tutte le età sono state più frequentemente studiate rispetto ai maschi, e gli adulti e gli
studenti universitari sono stati valutati con maggiore regolarità rispetto ai bambini e agli
adolescenti. Di conseguenza, esiste ancora un’insufficienza di dati riguardo alle differenze
di genere durante l’infanzia e l’adolescenza. Dato che l’adolescenza è un periodo
comunemente associato con l’insorgere dei disordini del comportamento alimentare, come
l’anoressia e la bulimia nervosa (e l’obesità) (Polmonari, 2001), è importante cercare di
comprendere le differenze, legate all’età e al genere, relative all’immagine del corpo
correlata all’aspetto dei bambini e degli adolescenti (Pařízkavá, Hills, 2001).
9. Prevenzione
È possibile che il tempo trascorso dai bambini e dagli adolescenti in giochi e attività
ricreative sedentarie aumenti e si riduca il tempo dedicato all’attività fisica.
Si avverte il bisogno di sviluppare e mettere in atto interventi efficaci diretti alla
popolazione volti a prevenire l’obesità. Altrimenti, l’Italia e altri Paesi industrializzati
potranno assistere all’aumento della frequenza di malattie croniche debilitanti e costose
nelle loro popolazioni adulte ed anziane, la cui numerosità tende a crescere (Simonelli,
2003).
I primi interventi da attuare riguardano la prevenzione di cui si distinguono tre livelli:
PRIMARIA → controllo dello sviluppo dell’obesità
SECONDARIA → arrestare aumento del peso ed evitarne il recupero
TERZIARIA → prevenire lo sviluppo di complicanze e il loro aggravarsi
Edmunds, Waters e Elliot ritengono essenziale trattare e prevenire l’obesità nell’infanzia,
poiché i comportamenti che determinano e mantengono l’obesità in età adulta sono poco
definiti nel bambino e quindi più facilmente modificabili.
Ma il bersaglio privilegiato per la modificazione delle abitudini alimentari nell’infanzia e
la prevenzione dell’obesità è la scuola. Gli insegnanti sarebbero un nodo fondamentale per
trasmettere ai loro alunni le conoscenze nutrizionali corrette e per influenzare le scelta
alimentari degli stessi e delle loro famiglie (gli insegnanti di scuola materna, ad esempio,
hanno la possibilità di individuare bambini in sovrappeso ad uno stadio precoce). La
scuola, infatti, può diventare un ambiente sicuro, in cui sviluppare un programma
curricolare che assicuri pasti salutari e attrezzature per l’attività fisica seguita da personale
specializzato. Gli interventi di prevenzione prevedono un approccio multidimensionale al
294
bambino, che include attività fisica, dieta, ed altre componenti educative e psicologiche
incentrate sul rafforzamento dell’autostima.
Ci deve essere un rapporto privilegiato e positivo tra insegnanti, psicologi e nutrizionisti.
Questo certamente si ripercuote sulle scelte dei mass media, portavoce dell’industria
alimentare, che, essendo in una condizione di reciproca influenza con la popolazione, si
devono adeguare alle conoscenze nutrizionali degli utenti.
Questo condizionerebbe infine i comuni e le rispettive mense scolastiche, attraverso un
positivo “effetto cascata” (Bilello, Bonomi, Bulf, Frezza, 2003).
10. La denigrazione dell’obesità
Le attitudini negative nei confronti dei soggetti obesi costituiscono una delle ultime forme
di discriminazione socialmente accettate (Dalle Grave, 2003). Con il progressivo
incremento di persone affette da obesità, il numero delle persone potenzialmente affette da
questo discriminazione è enorme. Numerose ricerche hanno dimostrato che la
discriminazione dei soggetti obesi è un fatto reale ed è presente in molti ambiti e situazioni
Nei paesi ricchi, ci sono messaggi che enfatizzano in modo potente il fatto che essere
grassi significa avere scarse capacità di autocontrollo. Attitudini negative nei confronti
delle persone obese sono state trovate negli adulti e nei bambini, nel personale sanitario e,
paradossalmente, anche tra le persone obese stesse. I bambini di sei anni di età descrivono
un bambino obeso nel modo seguente: pigro, sporco, stupido, brutto, bugiardo e
imbroglione (Dalle Grave, 2003). Indagini di grandi dimensioni hanno mostrato che, in
confronto ai coetanei normopeso, quelli obesi tendono a interrompere la carriera scolastica
più precocemente e hanno più difficoltà a entrare in scuole prestigiose o a trovare lavori
gratificanti. Inoltre, è stato osservato che le donne inglesi e americane guadagnano meno
di quelle normopeso o con altre condizioni croniche e hanno più difficoltà a sposarsi. Le
attitudini negative del personale sanitario (medici, studenti di medicina, dietisti e
infermieri) nei confronti dell’obesità è di particolare importanza. I soggetti obesi che
percepiscono il pregiudizio nei loro confronti tendono a evitare di chiedere un aiuto
medico per la loro condizione. I medici, spesso, non sono molto interessati a gestire i
pazienti obesi, perché li credono deboli, incapaci di controllo e di beneficiare dei loro
consigli. Ad esempio, in uno studio si è osservato che la prescrizione di farmaci
ipolipemizzanti effettuata dai medici di famiglia inglesi era volutamente più bassa nei
soggetti obesi, rispetto a quelli normopeso. Altre forme di discriminazione non molto
studiate, ma spesso osservate, includono il ricevere commenti negativi sul proprio aspetto
295
durante le interazioni interpersonali, l’avere difficoltà a adottare un bambino ed essere
esclusi da una giuria perché si ha un eccesso di peso (Delle Grave, 2003).
Secondo la prospettiva ideologica sociale del dottor Crandall, i valori tradizionali e
conservativi di auto-determinazione, auto-disciplina ed individualismo nordamericani
rappresentano il nucleo centrale delle attitudini sociali negative nei confronti delle persone
obese. Secondo il dottor Crandall, il pregiudizio nasce principalmente dall’idea che
l’obesità sia la conseguenza di scarsa capacità di auto-controllo e auto-disciplina e che
perciò l’individuo obeso sia totalmente responsabile della sua condizione. Sebbene
numerose ricerche abbiano smentito questa interpretazione eziologia (l’obesità deriva
dall'interazione di fattori genetici ed ambientali) la visione moralistica nei confronti delle
persone obese è predominante (Dalle Grave, 2003).
Poiché nella nostra cultura il comportamento alimentare ed il peso corporeo sono
fortemente legate all’idea dell’auto-controllo (vedi sopra) è facilmente comprensibile
perché le persone che sono perfezioniste e che necessitino di forte auto-controllo per
valutare se stesse con più facilità di altre interiorizzino e facciano loro le attitudini sociali
nei confronti della magrezza e dell’obesità. Il processo di interiorizzazione dell’ideale di
magrezza e della denigrazione dell’obesità è favorito se l’individuo ha la tendenza a
conformarsi alle idee e alle convinzioni degli altri, e questo si verifica, in particolar modo,
negli individui con bassa auto-stima, caratteristica frequentemente presente nelle persone
che sviluppano i disturbi dell'alimentazione. Oltre ai tratti di personalità,
l’interiorizzazione dei messaggi socioculturali può verificarsi per l’azione di tre processi:
il rinforzo sociale, il modellamento e il confronto sociale (Delle Grave, 2003). Il rinforzo
sociale si riferisce al processo in cui le persone interiorizzano alcune attitudini e
comportamenti approvati dal rispetto degli altri. Ad esempio, una ragazza adolescente può
cercare di dimagrire con maggiore probabilità se i mass-media glorificano la magrezza. Il
rinforzo sociale dell’ideale di magrezza si può manifestare anche se, ad esempio, persone
famose (dello sport o dello spettacolo) sono preoccupate per il loro peso e forme corporee,
seguono delle diete ipocaloriche e criticano le persone obese.
Il modellamento si riferisce, invece, al processo in cui gli individui direttamente emulano i
comportamenti che osservano. Ad esempio, una donna può fare la dieta con più facilità se
vede una compagna o una persona dello spettacolo che adotta tale comportamento. Il
vedere alla televisione delle persone con disturbi dell’alimentazione o avere dei compagni
affetti da tali disturbi può favorire lo sviluppo negli adolescenti dell’idea che abbuffarsi,
vomitare o seguire delle diete sia una cosa normale. Tutto ciò può favorire l’emulazione di
296
questi comportamenti e lo sviluppo, in alcuni soggetti predisposti, di disturbi
dell’alimentazione.
Il confronto sociale sembra, infine, giocare un ruolo importante nel favorire lo sviluppo di
insoddisfazione corporea e preoccupazione per il peso e le forme corporee, nei soggetti
esposti alle immagine dei media che riportano figure di donne magre ed idealizzate.
Secondo questa prospettiva, gli individui quasi inevitabilmente tendono a confrontare se
stessi con queste immagini “ideali” e conseguentemente giudicano se stessi inadeguati e
difettosi; ciò favorisce lo sviluppo di insoddisfazione corporea e l’adozione di pratiche di
controllo del peso non salutari (Dalle Grave, 2003).
10.1 L’influenza dei mass-media
Numerosi studi hanno dimostrato che i mass-media favoriscono lo sviluppo di disturbi
dell’immagine corporea e dell’alimentazione. Le ragioni dell’effetto pernicioso dei media
sull'immagine corporee sono numerose:
1) L’analisi di contenuto hanno evidenziato che le dimensioni corporee delle modelle,
delle attrici e di altre icone culturali femminili ha dimostrato che esse sono diventate
progressivamente più magre nelle ultime decadi (vedi sopra studio su Miss America e
modelle centro pagina di Play boy). Un quarto circa delle modelle rappresentate nei
settimanali femminili hanno un peso corporeo che soddisfa i criteri diagnostici
dell’anoressia nervosa. La tendenza ad essere sempre più magri si correla con l’aumento
dei disturbi dell’alimentazione ed è stata la prima linea di evidenza che ha suggerito che i
media contribuiscono allo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione. Oltre a ciò, nei media
ci sono poche persone sovrappeso, nonostante che nella popolazione occidentale si sia
verificato un aumento significativo nella prevalenza dell’obesità.
2) I dati delle ricerche suggeriscono che, oggi, c’è una maggiore enfasi sulla dieta e sul
controllo del peso corporeo nei giornali femminili, rispetto a quelli maschili e questo va in
parallelo con la differenza di prevalenza dei disturbi dell'alimentazione nei due sessi.
3) C’è abbastanza evidenza che l’uso di media che contengono immagini di donne
magre si correla con l’insoddisfazione corporea e disturbi dell’alimentazione correnti e
futuri.
4) Gli individui affetti da bulimia nervosa percepiscono una maggior pressione da parte
dei media ad essere magri, rispetto ai controlli, e spesso riferiscono di aver imparato
pratiche non salutari di controllo del peso corporeo dai giornali o dalla televisione (ad
esempio, l'indursi il vomito).
297
5) Studi controllati hanno documentato che l’esposizione acuta ad immagini nei giornali
o nella televisione di donne magre con un corpo “ideale” determinano un aumento
dell’insoddisfazione corporea e delle emozioni negative (ad esempio, depressione,
vergogna e rabbia). È interessante sottolineare che quest’effetto è maggiore se gli individui
hanno già elevati livelli di insoddisfazione corporea ed hanno elevati livelli di
interiorizzazione dell’ideale di magrezza.
10.2 L’influenza della famiglia
Per quanto riguarda le influenze familiari, numerosi studi, in parte già descritti nei fattori
di rischio familiari, che supportano l’ipotesi che alcune pressioni socioculturali sulla
magrezza e la dieta provenienti dalla famiglia favoriscono lo sviluppo di preoccupazione
per il peso e le forme corporee e di disturbi dell’alimentazione (vedi critiche dei familiari
sul peso e le forme corporee, familiari a dieta, e obesità dei genitori come fattori di rischio
dei disturbi dell’alimentazione).
10.3 L’influenza dei coetanei
Negli ultimi anni sempre più ricerche hanno osservato che anche i coetanei possono
contribuire a facilitare lo sviluppo dell’insoddisfazione corporea e dei disturbi
dell'alimentazione.
Le evidenze sono molteplici.
1) Gli individui con bulimia nervosa riportano di aver percepito una pressione più
elevata ad essere magri da parte dei loro compagni, rispetto ai controlli. Molti pazienti
affermano di aver iniziato ad avere comportamenti bulimici dopo aver iniziato una dieta
sotto la spinta di un’amica.
2) L’interesse dei compagni nei confronti della dieta e la presenza di amici con elevati
livelli di interiorizzazione dell’ideale di magrezza si correla con lo sviluppo dei disturbi
dell’alimentazione.
3) Le prese in giro dei compagni sul peso, come già detto, predicono lo sviluppo di
insoddisfazione corporea e disturbi dell’alimentazione.
4) Esiste l’evidenza di un effetto di modellamento diretto: uno studio, ad esempio, ha
evidenziato la presenza di una relazione positiva tra abbuffate e presenza di abbuffate nei
compagni; tale associazione diventa più forte quanto maggiore è il grado di amicizia.
Numerose persone con bulimia nervosa riferiscono, inoltre, di aver imparato a vomitare da
delle loro amiche.
298
5) La pressione dei compagni ad essere magri percepita predice lo sviluppo di
insoddisfazione corporea, comportamenti dietetici e bulimici ed emozioni negative.
In sintesi c’è una grande evidenza che i compagni e gli amici possono influenzare lo
sviluppo di ruolo del partner, ma alcune pazienti hanno riferito di aver iniziato a
restringere la loro alimentazione per perdere peso sotto la spinta del loro fidanzato.
11. Gli adolescenti obesi e lo sport
Secondo una recente ricerca della regione Piemonte (“Giovani piemontesi & salute”),
risulta che il 35% dei giovani piemontesi è in sovrappeso, il 40% non pratica attività
sportiva, il livello di efficienza fisica è inferiore ai dati della letteratura mondiale.
Sono alcuni dei dati annunciati durante la Conferenza programmatica sullo stato di salute
della popolazione giovanile piemontese nell’ultimo decennio, svoltasi nel 2002 presso il
centro congressi “Torino Incontra”, su iniziativa della Regione Piemonte e dell’Istituto di
Medicina dello Sport di Torino.
I lavori sono stati aperti dal Presidente della Giunta regionale, Enzo Ghigo, che ha
sottolineato “l’importanza della pratica sportiva come obiettivo educativo, che deve
coinvolgere i ragazzi, ma anche i genitori e gli allenatori”.
Carlo Gabriele Gribaudo, Direttore dell’Istituto di Medicina dello Sport, durante il
dibattito, si è soffermato sul fatto che “è opportuno esercitare un’azione preventiva sullo
sviluppo di patologie dismetaboliche e cardiocircolatorie, nonché articolari in rapporto a
posture e carichi alterati” e che “occorre indirizzare i giovani verso le attività più
confacenti alle loro caratteristiche fisiologiche, per sfruttare le potenzialità ma anche per
stimolare gli aspetti deficitari”.
Le relazioni sulle proposte per un’attività motoria programmata, sul livello di efficienza
fisica degli studenti, sull’attività sportiva scolastica, sull’alimentazione, sul ruolo della
medicina dello sport in ambito rieducativo e nella struttura sanitaria pubblica hanno reso
ancor più chiaro il quadro della situazione: i giovani analizzati nel corso degli anni hanno
una percentuale di superficie adiposa che va ben oltre i valori normali.
Da diverse parti, la pigrizia è una delle “accuse” maggiormente rivolte ai ragazzi obesi.
Spesso passano tutto il loro tempo davanti alla TV e alla playstation, e non sempre è facile
coinvolgerli in un’attività sportiva. Tuttavia, secondo diversi autori, può non trattarsi solo
di pigrizia, ma anche di insicurezza e vergogna nel non riuscire come gli altri nello sport a
causa del sovrappeso e di trovarsi ad esempio, in costume da bagno con i compagni.
299
Il ragazzo obeso può avere delle difficoltà nelle relazioni sociali, in particolare all’interno
del gruppo classe, dal quale può sentirsi rifiutato, preso in giro, escluso da giochi o altre
attività per la sua condizione di “ciccione”.
Lesne (2000), nel suo libro “Mamma, mi chiamano ciccione”, scrive che le lezioni di
ginnastica possono essere un vero e proprio tormento per i bambini e i ragazzi obesi o in
sovrappeso. Per diverse ragioni:
- Innanzi tutto, le critiche cui sono continuamente sottoposti non cessano all’entrata
degli spogliatoi, della palestra o della piscina. Anzi, raddoppiano. Secondo l’autrice, è
proprio in queste situazioni che tutta l’attenzione si concentra proprio sui corpi. I grassi
non osano mettersi in pantaloncini e, per camuffarsi, rimangono vestiti da capo a piedi
anche se gli sforzi li fanno sudare molto.
- In secondo luogo, più si è grassi e più è faticoso muoversi. “I grassi tossiscono,
ansimano, grondano sudore, diventano tutti rossi, hanno l’impressione che tutta la loro
ciccia ondeggi e ballonzoli. Sono sempre indietro rispetto agli altri. Hanno un solo
desiderio: sedersi e scomparire”. Gli sport di squadra potrebbero andare meglio, ma i
capisquadra non si battono per averli al loro fianco, anzi, talvolta li scelgono come
bersagli.
- Terzo, con tutte queste difficoltà messe insieme, spesso i grassi raggiungono un
basso livello di prestazioni. E a nessuno piacciono le materie in cui si va male. “Eppure,
certi professori usano tutta la delicatezza di cui sono capaci per cercare di coinvolgerli,
per occuparsi di loro o per dare una valutazione mentre gli altri sono assorti nei giochi
collettivi. Purtroppo, per riempire i registri, bisogna valutare le prestazioni, mentre
l’ideale sarebbe aiutare i ragazzi a sviluppare agilità e destrezza, incoraggiare i
progressi, insistere sull’educazione fisica più che sullo sport, vale a dire sulla scoperta e
la comprensione del corpo. Insomma, questi ragazzi hanno davvero tutte le ragioni di
detestare la ginnastica” (Lesne, 2000).
L’autrice, inoltre, ricorda come, ormai, a livello professionistico, in tutti gli sport ci
vogliono sempre più muscoli e niente grasso. Perfino pesisti e giavellottisti hanno
abbandonato le loro riserve di grasso nelle palestre di allenamento per sviluppare la loro
possente muscolatura. Soltanto gli orientali lottatori di sumo lo coltivano ancora come n
bene prezioso.
I grassi, insomma, non hanno possibilità di identificarsi con gli sportivi di alto livello.
Viceversa, vengono un po’ troppo facilmente immaginati come dei mollaccioni passivi,
ignorando che molti di loro hanno sviluppato una considerevole massa muscolare, anche
300
solo per potersi muovere normalmente nella vita di tutti i giorni. Ma la loro massa
muscolare è ricoperta, avvolta dal grasso, e quello che si guadagna in peso spesso perde in
dinamicità. Soprattutto sotto sguardi poco indulgenti (Lesne, 2000).
Come detto sopra, quindi, nelle attività che coinvolgono il corpo, i bambini in soprappeso
sono continuamente esposti a osservazioni e sguardi spietati. A forza di subire
l’atteggiamento negativo degli altri verso il loro corpo, possono arrivare a detestarlo.
Anche tutti gli adolescenti sono sensibili all’influenza dei modelli che vengono loro
proposti, all’immagine ideale del corpo promossa dalla pubblicità, dalla moda o dal
cinema. Ma nelle persone grasse, la cattiva immagine che hanno di sé rafforza
ulteriormente l’accettazione del modello esterno ideale. Questo li induce spesso a evitare
qualsiasi situazione possa rivelare più chiaramente l’abisso che li separa da quell’ideale
inaccessibile, come le attività sportive o le feste tra amici (Lesne, 2000).
Ed è proprio perché l’attività fisica li mette in difficoltà sul piano relazionale e di
autostima, che la maggior parte delle persone obese sono poco inclini a praticare uno
sport, mentre ne hanno ancora più bisogno degli altri per riequilibrare il loro bilancio
energetico e non sentirsi emarginate (Lesne, 2000).
11.1 La ricerca di Peri, Molinari e Valtolina (1991)
La ricerca di questi autori vuole analizzare, in modo preliminare, alcune differenze
psicologiche, comportamentali e motorie tra soggetti obesi e non, al fine di preparare un
adeguato programma terapeutico per i soggetti in eccesso ponderale.
11.1.1 Strumenti e metodi
Lo strumento utilizzato è stato un questionario proposto da Cairella e Jacobelli (1983),
composto da domande riguardanti aree ritenute di interesse dominante per la preparazione
di un programma terapeutico di attività fisica per l’obesità (percezione di sé, stile di vita,
percezione dell’attività motoria, ecc…).
Il questionario è stato somministrato ad un gruppo di 30 soggetti obesi, di età compresa tra
i 27 e i 48 anni. I soggetti, ricoverati preso un istituto ospedaliero per una terapia
dimagrante, presentavano un eccesso ponderale compreso tra il 44% e il 91%.
Il gruppo di controllo presentava le stesse caratteristiche, ad eccezione dell’eccesso
poderale, compreso tra l’1% e il 13%.
301
11.1.2 Risultati
La prima significativa differenza, tra i soggetti obesi e normoponderali, che è stato
possibile rilevare, riguarda il grado di soddisfazione circa la propria attività lavorativa o di
studio. Infatti, solo il 46% dei soggetti obesi si dichiara soddisfatto, rispetto al 73% dei
soggetti non obesi.
Accanto a questo, è possibile notare come gli individui obesi, rispetto agli individui
normopeso, si percepiscano tendenzialmente più ansiosi e più depressi. Ben il 76% degli
obesi, infatti, si definisce molto o abbastanza ansioso, contro il 30% dei normoponderali.
Risultati simili si sono ottenuti anche per quanto riguarda gli stati depressivi (vedere anche
Peri e Molinari, 1986).
Anche le risposte riguardanti la capacità di adattamento indicano come i soggetti obesi
assumano atteggiamenti più problematici nei confronti della realtà (“ansioso”,
“insoddisfatto”, “pauroso”, “svogliato”) rispetto ai soggetti normali (“sicuro”,
“tranquillo”, “tenace”, “riflessivo”).
Per quanto riguarda lo stile di vita, si è evidenziato come solo il 20% dei soggetti obesi
faccia attività fisica o abbia abitudini che comprendano il movimento, contro il 63% dei
soggetti con normale peso corporeo.
È interessante notare che, la maggior parte (70%) degli obesi del gruppo considerato dagli
autori, non modifica le abitudini motorie nemmeno con il cambiamento di stagione
(inverno/estate) o di attività (lavoro/vacanza) e non le modifica nemmeno se l’attività
fisica viene consigliata con motivazioni molto serie (al 60% era stato consigliato dal
medico e al 33% per motivi di salute), segno questo che “l’avversione al movimento” è
ben integrata nella dinamica della personalità e che per essere superata deve presupporre
un programma terapeutico che tenga conto anche del vissuto corporeo.
Per quel che riguarda il tipo di attività fisica e il luogo in cui viene svolta, i
normoponderali cercano maggiormente spazi stimolanti come ambienti naturali o
all’aperto, mentre il 90% degli obesi preferisce la palestra o in genere ambienti chiusi.
Importante, per entrambi i gruppi, risulta essere l’apporto sociale: sia i soggetti obesi che
normali ritengono più stimolante svolgere attività fisica in compagnia, in modo che
stanchezza o perdita di interesse non prevalgano e si decida così di abbandonare il
programma motorio.
In conclusione, i risultati dell’indagine indicano che esiste una notevole differenza di
atteggiamenti e di comportamenti nei confronti dell’attività motoria fra i soggetti obesi e i
soggetti normoponderali. A questo proposito può essere utile sottolineare che l’attività
302
fisica, oltre a benefici fisiologici, può indurre importanti cambiamenti di ordine
psicologico: una regolare e adeguata attività motoria, infatti, distrae dall’assillo del cibo,
riconcilia con il proprio corpo, ridà fiducia nelle proprie capacità (Bruch, 1977), dà
sensazione di benessere e a volte procura euforia (Stern, 1983).
11.2 Sport e adolescenti obesi: osservazioni psicologiche
Durante l’adolescenza il corpo acquista una risonanza del tutto particolare sia per le
modificazioni fisiologico-somatiche che per quelle psicologiche. Il Sé, comprendendo con
questo termine tanto il corpo quanto l’organizzazione psichica e i suoi aspetti, acquista
qualità e attributi che finora non possedeva: si trasforma. L’immagine del corpo ha dunque
un peso molto rilevante nel determinare una rappresentazione del Sé soddisfacente, tale da
permettere all’adolescente un progettarsi nel mondo ricco e articolato, un rapportarsi con
l’altro. Nel corso di questa fase evolutiva cambiano le attitudini verso il proprio corpo, la
soggettività ne accusa ora la statura, il peso, la voce a prescindere dal reale riscontro
fisico, dalla reale statura, dal reale peso: pensiamo ai frequenti disturbi dismorfofobici a
questa età (Andreani C., Belletti D., Ceraioli M.R., Devescovi S., Paolicchi R., Rolla M.,
1985).
Le modificazioni del corpo e i conseguenti spostamenti della libido narcisistica
producono nell’adolescente un senso di perdita e di lutto e fanno in modo che l’Io si
presenti fragile e confuso, impoverito a causa del disinvestimento degli oggetti d’amore
infantili e di pari od oggetti del Sé.
Prima che i nuovi oggetti possano prendere il posto di quelli abbandonati, l’Io può
ricorrere ad attività compensatorie quali sono le identificazioni transitorie di quest’età, e la
strutturazione di stati egoici che comportano un’acuta percezione intima del Sé: nella sfera
corporea, l’adolescente può dedicarsi ad eccessivi sforzi fisici, ad un eccessivo
movimento, nella sfera intrapsichica ad una percezione attenta e talvolta esasperata della
sua vita interiore (Andreani C., Belletti D., Ceraioli M.R., Devescovi S., Paolicchi R.,
Rolla M., 1985).
Questa fase della crescita è intrinsecamente legata ad un processo di disillusione, di
sofferenza e di conflittualità; l’adolescente sente che anche il suo rapporto con l’adulto
subisce un’enorme trasformazione, perché “crescere significa prendere il posto dei
genitori, nella fantasia inconscia crescere è implicitamente un atto aggressivo”, infatti, gli
adolescenti “non saranno contenti se non avranno trovato l’insieme di se stessi e ciò
comprenderà l’aggressività e gli elementi distruttivi che sono in loro così come gli
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elementi che possono essere definiti d’amore” (Andreani C., Belletti D., Ceraioli M.R.,
Devescovi S., Paolicchi R., Rolla M., 1985).
Nell’adolescenza viene meno quella sicurezza conoscitiva che aveva caratterizzato il
periodo di latenza, quando il bambino pensa che gli sia sufficiente essere buono perché gli
adulti possano insegnargli tutto; s’incrina così l’immagine dei genitori come detentori
della conoscenza.
La profonda disillusione riguardo all’onniscienza dei genitori può condurre l’adolescente
ad atteggiamenti cinici, ad una forma di relatività morale per cui “si può fare quello che si
vuole” (Andreani C., Belletti D., Ceraioli M.R., Devescovi S., Paolicchi R., Rolla M.,
1985).
Questi ricercatori, lavorando al Centro adolescenti di Pisa, hanno rilevato che la dieta e
l’attività sportiva da noi prescritte a adolescenti obesi fra i 14 e i 18 anni non risultavano,
nella maggior parte dei casi, mezzi efficaci perché difficilmente osservati da questi
soggetti.
Tra gli adolescenti obesi, è stato enucleato, per questo studio, un gruppo caratterizzato da
segni di disagio psichico, da isolamento sociale e da inattività, cui non è stata consigliata
né dieta né attività sportiva. In questi soggetti, invece, sono state effettuate indagini
psicodiagnostiche, al fine di utilizzare le osservazioni emerse per un migliore approccio
all’adolescente obeso.
La ricerca preliminare si riferisce agli adolescenti obesi giunti all’osservazione dei
ricercatori nel periodo settembre ’84/aprile ’85, i quali rappresentavano il 28% dell’utenza
che si era rivolta al centro per un primo controllo nello stesso arco di tempo.
All’interno di questo campione, circa il 40% degli adolescenti obesi mostrava le seguenti
caratteristiche:
1. fallimento con la dieta anche nei casi in cui il soggetto stesso ne faceva esplicita
richiesta;
2. rifiuto della pratica sportiva;
3. segni di disagio psico-sociale (isolamento dal gruppo dei coetanei e inattività fisica).
Sono state approfondite le caratteristiche di personalità di questo gruppo di adolescenti e
soltanto il 30% ha accettato la proposta di approccio psicologico.
Come metodo di indagine, è stata utilizzata la tecnica psicodiagnostica e psicoterapica di
conoscenza del Sé e dell’immagine di sé elaborata da Senise, nel suo approccio
all’adolescente: lo psicoterapeuta rispecchia gradualmente l’immagine che l’adolescente
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ha di sé per giungere ad enucleare le anomalie dei processi di individuazione e quegli
aspetti e parti dell’Io che prima erano rifiutate.
La relazione con l’adolescente è sempre stata preceduta da un incontro con la coppia dei
genitori per acquisire elementi relativi alle transizioni familiari e concordare con essi il
processo picodiagnostico e psicoterapico. Agli adolescenti di questo gruppo non veniva
somministrato alcun trattamento dietologico e non veniva prescritta alcuna pratica
sportiva.
Gli autori fanno alcune osservazioni preliminari, relative a questa fase iniziale del lavoro
di ricerca.
“L’immagine del Sé degli adolescenti obesi visti è ancorata al corpo, riflette poco i
pensieri, i desideri, gli atteggiamenti del Sé psichico; viene così a mancare
un’integrazione del funzionamento fisico e mentale. Tali soggetti non sembrano disporre
di strumenti appropriati per rispondere ai loro bisogni elaborando le loro esperienze
interiori”.
“Il rapporto madre-adolescente è caratterizzato da un atteggiamento invasivo della
madre. Nel primo colloquio, in presenza del figlio, le madri tendevano a occupare tutti gli
spazi comunicativi, riferendo informazioni non solo sulle attività e i comportamenti, ma
anche dati relativi al mondo interno, ai pensieri e agli affetti del figlio. I loro messaggi
avevano spesso il carattere dell’ambiguità e dell’incoerenza. Inoltre frequentemente sono
stati rilevati, nell’atteggiamento della madre, messaggi deprecatori e critici da cui
l’adolescente non può che dedurre di essere insoddisfacente e inaccettabile “cos’ì
com’è””.
“Questi adolescenti sembrano mettere in atto una negazione del mondo interno inteso
come insieme di stati d’animo, affetti, pensieri, con conseguente inadeguatezza
dell’autopercezione: è apparso carente il recesso di individuazione e di differenziazione
che si articola attraverso esperienze mediante le quali il bambino si sviluppa in un
individuo a se stante, riconoscendosi con esigenze ed impulsi chiaramente differenziati.
Tutto ciò conduce a una scarsa capacità di distinguere tra stimoli provenienti dal di
dentro e dal di fuori, dal corpo e dalla mente, tra i pensieri propri e altrui”.
“Vengono riferite esperienze sgradevoli riguardo al corpo che viene spesso avvertito come
deforme, vergognoso: questi adolescenti raccontano frequentemente di come sia doloroso
per loro essere guardati dagli altri. A questo si accompagna un senso di inadeguatezza e
disprezzo di sé che vengono compensati con l’indulgere nei sogni a occhi aperti, con
fantasticherie”.
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“Le nostre osservazioni evidenziano, in questo gruppo di soggetti, la convinzione
irrealistica che l’eccedenza ponderale è la sola causa dei loro disagi e che una volta
divenuti magri magicamente si dissolverà ogni loro difficoltà. La convinzione è spesso
condivisa dai genitori, i quali si aspettano, come effetto della psicoterapia, il
dimagrimento dei figli e soltanto di questo si servono per valutare il successo o
l’insuccesso del trattamento. Ancora una volta è presente la negazione della realtà
psichica nella sua complessità”.
“La modalità costante utilizzata da questi soggetti nella situazione terapeutica consiste in
un “rapportarsi con l’altro” che difficilmente evolve in momenti di maggior contatto e
accettazione della relazione terapeutica che, come il cibo, viene ingoiata (consumata
senza elaborazione). Quello che colpisce è questo buttar giù le esperienze, buone o cattive
che siano, senza che esse vadano ad articolare e arricchire il sé psichico: quello che
cresce è sempre e solo il corpo”.
“L’isolamento sociale si evidenza come uno degli elementi di più acuta sofferenza.
Mancano quasi del tutto i rapporti con il gruppo dei coetanei, rispetto ai quali i soggetti si
sentono diversi e inadeguati. Essi sfuggono ogni situazione di gruppo che possa essere
occasione di confronto, e il rapporto con i coetanei è vissuto come fonte di frustrazione e
non come fonte di scambi affettivi e di acquisizione di conoscenza. Non si osserva il
passaggio da un’identità familiare caratteristica del bambino ad un’identificazione con il
gruppo dei coetanei”.
“Gli adolescenti obesi appartenenti a questo gruppo dimostrano una resistenza interiore
all’attività fisica che risulta essere ancora maggiore rispetto a quella relativa al
trattamento dietetico. Non si tratta soltanto di una mancata partecipazione ad uno sport,
quanto di un modello di inattività su cui si basa tutta l’organizzazione della loro vita. La
pigrizia è una modalità difensiva: evitando l’attività fisica si sottraggono dall’esporre il
loro corpo che è vissuto come vergognoso. Esiste, per questi adolescenti, una forma di
equivalenza tra l’attività fisica e l’esposizione del corpo allo sguardo impietoso degli
altri. Così ogni cosa viene fatta evitando lo spreco di energie. Così il rifiuto dell’attività e
dello sport esprimono non solo la tendenza a evitare situazioni di gruppo, ma anche la
mancanza di piacere nel vivere il loro corpo in attività e la profonda sfiducia nella loro
capacità di potersi muovere liberamente. I messaggi del corpo così come li recepiamo in
seduta, attraverso una postura rigida, comunicando una staticità che è il riflesso di una
sofferenza interiore la quale non riesce ad articolarsi”. (Andreani C., Belletti D., Ceraioli
M.R., Devescovi S., Paolicchi R., Rolla M., 1985).
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La prescrizione di una dieta e di un’attività fisica non sembrano essere strumenti
terapeutici efficaci, poiché l’adolescente obeso con i segni del disagio, prima ancora di
poter intraprendere una dieta e un’attività sportiva, sembra dover acquisire maggiore
consapevolezza di sé. Sono soprattutto i processi di individuazione ad apparire inibiti e
deficitari, per cui nella relazione psicoterapica è fondamentale avvicinare quegli aspetti
dell’Io da cui dipendono i processi di individuazione per consentire all’adolescente un loro
uso più adeguato. D’altra parte, si constata che l’attività sportiva proposta come esclusiva
cura del corpo, attenzione alla sua estetica e deficienza, può consolidare l’estraneazione
dal mondo interiore: il movimento va allora recuperato come espressione della creatività
dell’individuo.
L’adolescente obeso deve, inoltre, confrontarsi con le immagini sociali dell’obesità che gli
pervengono dal suo interagire con gli adulti e i coetanei. L’obesità è uno stato del corpo
che viene recepito come messaggio. A questo proposito, si possono individuare due
diversi atteggiamenti sociali: il primo che identifica l’obesità come vergognosa. L’eccesso
ponderale viene così attribuito al libero sfogo delle pulsioni e alla mancanza di padronanza
e di volontà, soprattutto quando all’obesità si aggiungono inattività e passività (Andreani
C., Belletti D., Ceraioli M.R., Devescovi S., Paolicchi R., Rolla M., 1985).
Da altre ricerche, si evince come l’adolescenza sia, generalmente, caratterizzata da un
abbassamento della partecipazione alle attività fisiche ed una conseguente riduzione della
condizione fisica. Negli adolescenti la tendenza è particolarmente inquietante. Per
esempio, secondo l’Inchiesta Condizione Fisica Canada, solamente il 24% delle ragazze di
età tra i 15 ed i 19 anni potranno raggiungere un buon livello di forma aerobica.
12. Il bambino obeso e lo sport
Da sempre, l’eccesso ponderale anziché rappresentare disagio e patologie varie ha
simboleggiato stranamente la facondia, la paciosità, la gioia di vivere. Il prototipo
dell’obeso è il bonaccione, sempre contento, sempre pronto a godere della buona tavola e
quindi della bella vita (Cosmai, 1995).
Nella realtà, le condizioni sono ben diverse e l’individuo che soffre di obesità, cioè di una
proporzione molto alta di grasso corporeo, può ricavarne disagi non solo fisici, ma anche e
soprattutto psicologici, in virtù proprio dei significati simbolici attribuiti alla sua
condizione. “Naturalmente, l’aumento ponderale si evidenzia e si segnala soprattutto
quando esiste una qualsiasi attività fisica, lavorativa o meno, e il problema si delinea
pertanto impietosamente soprattutto nel bambino obeso alle prese con una qualsiasi
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attività sportiva, più o meno istituzionalizzata. Se l’adulto obeso può, infatti, evitare o
programmare l’attività fisica o sportiva, non altrettanto si può dire per il bambino
sportivo, “costretto” e dalle istituzioni (per esempio la scuola) e dalla vita di relazione
stessa (giochi, compagnie, amicizie) a confrontarsi non solo fisicamente con se stesso e
con gli altri. Il “fisicamente” è relativo, perché toglierebbe tutta la parte emotiva e
comportamentale a quell’universale e incredibile fenomeno che è lo sport stesso”
(Cosmai, 1995).
Da quanto detto, secondo l’autore, è possibile affermare che il bambino obeso,
innanzitutto, è più sottoposto a stress e frustrazioni, in generale, dell’adulto obeso, in
quanto spesse volte “obbligato” a sostenere confronti e impegni fisici con i coetanei a
differenza dell’adulto che può non di rado abilmente glissare tra inviti e sollecitazioni vari.
Esistono, infatti, come visto, diverso tipi di obesità, dai quali, però, bisogna estrarre la
componente psicodinamica dell’obesità, indiscutibilmente presente e pesantemente
condizionante sia il decorso del disagio, sia la sua accentuazione, nonché il suo
progressivo incitarsi.
Come si può vedere da diversi studi, il bambino obeso, al di là della diagnosi legata ai
fattori organici, soffre di numerosi complessi nei confronti dei compagni con i quali ha un
continuo confronto frustrante. Lo sport, in quest’ottica, “quale componete fondamentale
dell’età evolutiva, può agire impietosamente nei riguardi di ogni bambino che vede
aumentare il suo disagio quasi quotidianamente” (Cosmai, 1995). Se questa in prima
istanza viene vista in fondo come crudeltà, si rivela però purtroppo necessaria come spia
della situazione anche se impietosa. In altre parole, lo sport pone in evidenza un problema
nonché la necessità di trattarlo, laddove in altre condizioni esistenziali il problema
potrebbe essere trascurato per anni, se non addirittura fino all’età adulta con tutte le
conseguenza psicofisiche del caso (Cosmai, 1995).
Nel 1998 è stato pubblicato uno studio statunitense sulla relazione tra attività fisica e
adiposità in età pediatrica. Questo lavoro venne presentato al Simposio sull’Obesità
Pediatrica tenutosi nel corso dell’Ottavo Congresso Mondiale sull’Obesità (Parigi,
settembre 1998).
Lo studio, opera di ricercatori dell’Obesity Research Center, St.Luke’s/Roosvelt Hospital,
Columbia University College of Physicians and Surgeons, New York and Island Trees
Middle School, Levittown, New York (USA).
La relazione tra la scarsa attività fisica e l’incremento dell’adiposità corporea è
ampiamente documentata in diversi studi in ambito pediatrico. Tuttavia, a detta degli
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autori, l’incremento dell’attività fisica occupa un ruolo “critico” nel trattamento
terapeutico dell’obesità pediatrica.
Per poter promuovere l'attività fisica, viene ritenuta importante l’identificazione dei fattori
che influenzano l’inattività fisica ed, eventualmente, le attitudini dei bambini verso la
stessa.
Gli autori hanno somministrato un questionario, in presenza degli insegnanti, durante le
ore di solito dedicate allo studio della lingua inglese. Il questionario ha richiesto un tempo
di compilazione di circa 30 minuti. Servendosi di questo questionario i ricercatori hanno
interrogato un campione di soggetti (305 ragazzi e 269 ragazze) con una scolarità
corrispondente alle classi 3ª, 4ª, 5ª elementare italiana di una scuola della periferia di New
York. La scuola è situata in un quartiere della borghesia medio-bassa, quasi totalmente
bianca e a maggioranza d’origine italiana. Il campione preso in esame non era costituito
solo da soggetti obesi e sovrappeso, ma anche da soggetti normopeso.
Scopo dello studio è stato quello di analizzare l’associazione di due variabili: “stuzzicare”
[il prendere in giro] con battute che solitamente i ragazzi si scambiano durante l’attività
fisica ed il saper tenere testa a queste “critiche” [o battute pesanti] con la periodicità
dell’attività fisica, la sua intensità, la passione per lo sport praticato ed il modo di
comportarsi autocontrollandosi durante l’attività fisica. Tutto questo allo scopo di capire
come un bambino “cicciotello” è in grado di reagire alle critiche sul suo fisico ed alla sua
incapacità di primeggiare nello sport.
In letteratura (vedi gli studi di L. Epstein) si sottolinea che il bambino “grassottello” è
meno portato all’esercizio fisico.
Brevemente, gli autori riportano i risultati preliminari presentati a Parigi, nell’ambito del
Simposio
Sull’Obesità Pediatrica, svoltosi all’interno dell’ottavo Congresso Mondiale sull’Obesità.
I soggetti considerati sovrappeso/obesi avevano un’età media di circa 10 anni, un’altezza
di 152 ± 12.5 cm ed un peso di 45.2 ± 13.1 kg. Il loro Body Mass Index (indice di massa
corporea) era di 19.4 ± 4.2 kg/m2.
La presenza di uno “stuzzicare”, con battute che solitamente i ragazzi fanno ai coetanei, si
è mostrata correlata con la ridotta attività fisica, ridotta passione per lo sport praticato e
ridotto modo di comportarsi autocontrollandosi durante l’attività fisica. Questo dato è
apparso indifferentemente sia per i soggetti maschi che per i soggetti di sesso femminile.
In altre parole, i soggetti che ricevevano “maggiori critiche” [battute pesanti] dai coetanei
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riguardo l’incapacità a primeggiare sono quelli che rinunciano allo sport e che perdono
entusiasmo per esso.
D’altra parte, i pediatri, non solo quelli americani, ma, ultimamente, anche italiani,
spingono i soggetti in sovrappeso verso una maggiore attività fisica. Esiste, tuttavia, una
differenza sostanziale: infatti, negli Stati Uniti viene data molta importanza allo sport “di
gruppo”, fatto insieme a ragazzi che hanno “lo stesso problema”, in questo caso, il
sovrappeso.
Alla luce di questi risultati preliminari gli autori suggeriscono che, se da una parte,
soprattutto nelle scuole, si spinge per una maggiore attività fisica, dall’altra non si deve
dimenticare l'attenzione verso quei soggetti in sovrappeso che si sentono “diversi” e
criticati dai loro coetanei.