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CAPITOLO 3 - ESTRAZIONE DEL SEGNALE DAL RUMORE CIRCUITI DI ELABORAZIONE DEI SEGNALI ANALOGICI 3.0 Introduzione Le moderne misure fisiche vengono eseguite per mezzo di trasduttori, che convertono la grandezza da misurare in un segnale elettrico (di solito una tensione), e sistemi di amplificazione e condizionamento dei segnali elettrici generati dai trasduttori, che permettono in modo semplice ed economico di esaltare il segnale da misurare e ridurre il rumore. Lo schema a blocchi di un semplice apparato di misura di questo genere è mostrato in fig.3.1 . La grandezza da misurare (ad esempio una potenza radiativa) è G(t): a questa sarà sovrapposto un rumore intrinseco (nel caso della potenza radiativa, il rumore fotonico N(t)). Il trasduttore convertirà la grandezza da misurare in un segnale elettrico, spesso in modo lineare. In tal caso si definisce la responsività del trasduttore come la costante di proporzionalità tra segnale elettrico in uscita e grandezza fisica da misurare. Il trasduttore (un rivelatore di fotoni nel caso della potenza radiativa) aggiungerà al segnale il suo rumore intrinseco R(t): all'uscita del trasduttore avremo quindi un segnale elettrico V(t) = [G(t)+N(t)] + R(t) (3.1) Se il segnale è debole andrà amplificato per mezzo di un amplificatore di segnali analogici con guadagno A tale da elevare il segnale ad un livello misurabile con un voltmetro o visibile sull'oscilloscopio: all'uscita dell'amplificatore avremo un segnale V A (t) = A [G(t)+N(t)] + R(t) + N I (t) (3.2) dove N I (t) e' il rumore dell' amplificatore riportato all' ingresso. Un amplificatore eleva quindi di un fattore A sia il segnale che il rumore: non migliora il rapporto segnale rumore della misura, ma e' necessario per portare il segnale ad un livello sufficiente per essere misurato da normali strumenti di laboratorio. A questo punto si opera un condizionamento del segnale: ad esempio un sistema di filtri inserito tra l' amplificatore ed il voltmetro può eliminare tutte le frequenze non interessate dal segnale, elevando il rapporto segnale/rumore (S/N) della misura. Se il segnale V A (t) e' alternato, si userà un raddrizzatore o un circuito più elaborato per convertirlo in una tensione continua proporzionale all' ampiezza o al valore rms del segnale. La tensione continua V B così ottenuta viene misurata da un voltmetro in DC. Spesso si sostituisce il voltmetro con un convertitore analogico-digitale che converte la tensione V A (t) in forma numerica, in modo da poter essere elaborata e memorizzata da un computer. Questo consente di eseguire un grande numero di misure, che possono essere mediate tra loro o graficate o elaborate in maniera semplice e veloce. E' questo il grande vantaggio dell' acquisizione automatizzata dei dati e più in generale dell'elaborazione elettronica dei segnali. Vediamo ora il caso più semplice possibile di attuazione di questa strategia di misura, prendendo come esempio la misura di piccole correnti. 3.1: Misure di piccole correnti Il galvanometro e' stato per lungo tempo lo strumento più sensibile per la misura di cariche, correnti e tensioni. Per una bobina mobile di area A, con n spire, immersa in un campo magnetico B, e sospesa con una costante di richiamo D, la corrente continua I, scorrendo nella bobina, genera una rotazione della bobina di un angolo

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CAPITOLO 3 - ESTRAZIONE DEL SEGNALE DAL RUMORE CIRCUITI DI ELABORAZIONE DEI SEGNALI ANALOGICI

3.0 Introduzione Le moderne misure fisiche vengono eseguite per mezzo di trasduttori, che convertono la grandezza da misurare in un segnale elettrico (di solito una tensione), e sistemi di amplificazione e condizionamento dei segnali elettrici generati dai trasduttori, che permettono in modo semplice ed economico di esaltare il segnale da misurare e ridurre il rumore. Lo schema a blocchi di un semplice apparato di misura di questo genere è mostrato in fig.3.1. La grandezza da misurare (ad esempio una potenza radiativa) è G(t): a questa sarà sovrapposto un rumore intrinseco (nel caso della potenza radiativa, il rumore fotonico N(t)). Il trasduttore convertirà la grandezza da misurare in un segnale elettrico, spesso in modo lineare. In tal caso si definisce la responsività del trasduttore ℜ come la costante di proporzionalità tra segnale elettrico in uscita e grandezza fisica da misurare. Il trasduttore (un rivelatore di fotoni nel caso della potenza radiativa) aggiungerà al segnale il suo rumore intrinseco R(t): all'uscita del trasduttore avremo quindi un segnale elettrico

V(t) = ℜ [G(t)+N(t)] + R(t) (3.1)

Se il segnale è debole andrà amplificato per mezzo di un amplificatore di segnali analogici con guadagno A tale da elevare il segnale ad un livello misurabile con un voltmetro o visibile sull'oscilloscopio: all'uscita dell'amplificatore avremo un segnale

VA(t) = A

ℜ [G(t)+N(t)] + R(t) + NI(t)

(3.2)

dove NI(t) e' il rumore dell' amplificatore riportato all' ingresso. Un amplificatore eleva quindi di un fattore A sia il segnale che il rumore: non migliora il rapporto segnale rumore della misura, ma e' necessario per portare il segnale ad un livello sufficiente per essere misurato da normali strumenti di laboratorio. A questo punto si opera un condizionamento del segnale: ad esempio un sistema di filtri inserito tra l' amplificatore ed il voltmetro può eliminare tutte le frequenze non interessate dal segnale, elevando il rapporto segnale/rumore (S/N) della misura. Se il segnale VA(t) e' alternato, si userà un raddrizzatore o un circuito più elaborato per convertirlo in una tensione continua proporzionale all' ampiezza o al valore rms del segnale. La tensione continua VB così ottenuta viene misurata da un voltmetro in DC. Spesso si sostituisce il voltmetro con un convertitore analogico-digitale che converte la tensione VA(t) in forma numerica, in modo da poter essere elaborata e memorizzata da un computer. Questo consente di eseguire un grande numero di misure, che possono essere mediate tra loro o graficate o elaborate in maniera semplice e veloce. E' questo il grande vantaggio dell' acquisizione automatizzata dei dati e più in generale dell'elaborazione elettronica dei segnali. Vediamo ora il caso più semplice possibile di attuazione di questa strategia di misura, prendendo come esempio la misura di piccole correnti. 3.1: Misure di piccole correnti Il galvanometro e' stato per lungo tempo lo strumento più sensibile per la misura di cariche, correnti e tensioni. Per una bobina mobile di area A, con n spire, immersa in un campo magnetico B, e sospesa con una costante di richiamo D, la corrente continua I, scorrendo nella bobina, genera una rotazione della bobina di un angolo

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φ = n A B

D

I (3.3)

che può venire misurato grazie ad raggio di luce che si riflette su uno specchietto solidale alla bobina e incide su una scala graduata posta ad una certa distanza. E' ovvio che si può aumentare la sensibilità del galvanometro riducendo la costante di richiamo, ma in questo modo sorgono problemi di rumore. Infatti l'energia potenziale associata alla rotazione della bobina mobile vale (1/2)D φ2, e se il sistema e' all' equilibrio termodinamico a temperatura T, l'angolo φ fluttuerà casualmente in modo che l' energia media associata alla rotazione uguagli (1/2) kT: si avrà quindi

1

2 D ⟨φ2⟩ =

1

2 kT →⟨φ2⟩ =

kT

D (3.4)

Questo è un ulteriore esempio di moto browniano. Dalla (3.4) è evidente che una costante di richiamo troppo piccola corrisponde ad una grande fluttuazione dell' angolo del galvanometro, cioè ad un notevole rumore di misura. La corrente minima misurabile si ricaverà semplicemente come

⟨∆I2⟩ =

D

n A B 2 ⟨∆φ2 ⟩→ Imin = √ ⟨∆I2 ⟩ =

D k T

n2 A2 B2

(3.5)

Per un galvanometro smorzato criticamente, con resistenza R e tempo di risposta τ, si può dimostrare che la (3.5) può essere riscritta:

Imin =

πk T

R τ

=

4 k T ∆f

R

(3.6)

nella quale si riconosce il rumore Johnson di corrente della resistenza interna R del galvanometro. Un ordine di grandezza della corrente minima misurabile può essere ricavato con i seguenti parametri tipici: τ = 2 s; R = 1 kΩ. Si ottiene, a temperatura ambiente, Imin ∼ 3 ×10-12 A. Questa corrente minima può essere ridotta ulteriormente utilizzando un transistor a effetto di campo (FET) come amplificatore di corrente. Il FET è un componente elettronico in cui un canale semiconduttore drogato n ad esempio (dal source al drain) è costruito tra due elettrodi drogati p collegati al gate (fig.3.2). Quando si fa scorrere corrente nel canale, questa scorre tra due regioni di deplezione, le cui dimensioni possono essere variate variando la tensione tra gate e source: questa tensione controlla cioè la sezione di canale utile per la conduzione, e quindi la sua resistenza (vedi Millmann Halkias pg. 310). Il gate è quindi l'ingresso del componente, e controlla la corrente nel circuito di uscita, costituito dal canale tra drain al source. La resistenza tra gate e source Rg è molto grande (decine di MΩ): il componente presenta quindi una resistenza di ingresso molto alta. Le variazioni di corrente in uscita (corrente di drain ∆Id) sono legate alle variazioni di tensione di ingresso (tensione di gate ∆Vg) dalla relazione ∆Id = gm∆Vg dove gm è la transconduttanza del componente. Il FET può essere usato per migliorare le prestazioni di un galvanometro applicando la piccola corrente da misurare al gate, e collegando il galvanometro al circuito di uscita (source o drain). Se Io è la corrente da misurare, e la si applica al gate fluttuante, si genera una ddp ∆Vg = Rg Io, che provoca una variazione di corrente nel circuito d'uscita pari a

∆Id = gm Rg Io (3.7).

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Fig. 3.1: Catena elettronica di elaborazione ed acquisizione segnali analogici

Fig. 3.2: Struttura base di un transistor a effetto di campo (FET) a canale n. (a) schema semplificato. (b) schema dettagliato. (da Millmann Halkias - Integrated Electronics)

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A questa è sovrapposta una corrente di rumore dovuta al rumore Johnson della Rg: questo genera una tensione di rumore in ingresso al gate pari a √4 k T Rg ∆f , che produce una corrente di rumore sul drain pari a

δId = gm √

4 k T Rg ∆f (3.8)

E' chiaro quindi che per sfruttare efficacemente il FET la corrente di rumore in uscita (3.8) dovrà essere inferiore o al massimo uguale alla corrente equivalente di rumore intrinseca del galvanometro, data dalla (3.6). Questo impone che il massimo guadagno di corrente del FET sia gm Rg = [√(Rg/R)], e che quindi la corrente di rumore all' ingresso del FET sia

Io = Imin

gm Rg

=

Imin

____ √Rg/R

=

πk T

τRg

(3.9).

che è molto inferiore alla corrente di rumore della resistenza interna del galvanometro data dalla (3.6), essendo Rg>> R. Quantitativamente si può stimare Rg dalla caratteristica della giunzione di ingresso del FET:

Ig = Ig0 ( eeVg / kT - 1 )

da cui si ha, per Vg ≈ 0:

Rg =

dIg

dVg

-1

Vg = 0

= kT

e Ig0

(3.10)

questo si può sostituire nella (3.9) ottenendo

Io =

πe Ig0

τ

(3.11);

per un normale FET la corrente di gate Ig0 è inferiore al pA, da cui si ottiene, con gli stessi parametri del galvanometro da solo, Io≈ 4 ×10-16 A. Questa e' circa 4 ordini di grandezza inferiore a quella misurabile con il solo galvanometro. La resistenza di ingresso del FET e' dell' ordine di 1010Ω nelle stesse condizioni, con una capacità di ingresso dell' ordine di 5 pF: la costante di tempo del FET è quindi di ∼ 0.1 s, trascurabile rispetto a quella del galvanometro. In questo caso quindi l'introduzione di un trasduttore (il FET, che in realtà trasduce corrente in corrente) ha permesso di migliorare in modo sostanziale le prestazioni del sistema di misura. Al giorno d'oggi i galvanometri non sono più molto utilizzati. Si usano invece correntemente gli stadi di ingresso a FET, seguiti da ulteriori stadi di amplificazione anche essi a FET o ad amplificatore operazionale, che amplificano notevolmente la corrente da misurare. A questi segue poi, secondo lo schema di fig.3.1, un circuito di conversione analogico-digitale, che permette di convertire in forma numerica il risultato della misura e di visualizzarlo su display con un notevole numero di cifre significative. In ogni caso il rumore sovrapposto alla quantità da misurare dipende essenzialmente dal rumore del primo stadio, cioè dal rumore del FET di ingresso, e quindi quanto detto sopra rimane valido anche per i più recenti strumenti di misura di piccole correnti.

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3.2: Trasduttori, Amplificatori e Filtri Riassumiamo in questo paragrafo alcune nozioni basilari su amplificatori e filtri analogici che sono usati nelle catene di elaborazione dei segnali provenienti dai trasduttori o rivelatori di radiazione. Un trasduttore e' in generale uno strumento capace di trasformare una osservabile fisica (posizione, angolo, velocità, forza, pressione, temperatura, flusso di fotoni, flusso di particelle, potenza radiativa...) in una quantità elettrica (carica, corrente o tensione). Il trasduttore si dice lineare se e' lineare la relazione tra la quantità in ingresso e la quantità elettrica in uscita. In tal caso valgono le relazioni (3.1) e (3.2). I trasduttori basano il loro funzionamento su una enorme varietà di fenomeni fisici. Un elenco necessariamente parziale di trasduttori + è riportato in tabella (3.1). L'utilità di questi strumenti consiste nel fatto che le quantità elettriche sono facilmente misurabili ed elaborabili, grazie alla attuale disponibilità di componenti e strumenti elettronici sofisticati ed a basso costo. Nel seguito parleremo di segnale per descrivere la quantità elettrica in uscita dal trasduttore, di solito una differenza di potenziale V(t) proporzionale alla osservabile fisica secondo la (3.1). I segnali elettrici si possono facilmente amplificare (vedi eq. 3.2), mediare, estrarre dal rumore etc., permettendo di ridurre l'errore di misura. Usualmente in fisica ed in astrofisica si è interessati a segnali deboli, che devono essere amplificati per poter essere misurati con sufficiente precisione: l'amplificazione deve essere tale da portare il segnale da misurare ad essere molto più grande del rumore caratteristico del sistema di misura (ad esempio un voltmetro). E' ovvio che se il rumore del trasduttore e' alto, l'amplificatore esalterà anch'esso (vedi eq.3.2), e non potrà migliorare il rapporto segnale/rumore. Solo nel caso contrario (trasduttore con rumore intrinseco trascurabile rispetto al segnale) l'uso di un semplice amplificatore sarà efficiente. Altrimenti sarà necessario utilizzare, oltre all'amplificatore, opportuni filtri o sistemi complessi che amplifichino il segnale e riducano il rumore. Per l'amplificazione di segnali analogici si usano principalmente dei circuiti integrati detti amplificatori operazionali. Il simbolo dell' operazionale è riportato in fig.3.3A. L'operazionale è un amplificatore ad altissimo guadagno in tensione (senza controreazione il prodotto banda × guadagno può essere di 1 MHz), con ingresso differenziale (un ingresso invertente ed uno non invertente) ed uscita singola. Negli operazionali a basso rumore, il rumore bianco in tensione e' dell' ordine di qualche nV/[√Hz], mentre il rumore in corrente e' dell' ordine del pA/[√Hz]. Il rumore di tipo 1/f diventa importante a frequenze inferiori a 1÷5 Hz. In prima approssimazione si possono enunciare le seguenti proprietà dell'amplificatore operazionale:

1) Il guadagno ad anello aperto è così elevato che una minima differenza di potenziale tra gli ingressi forzerebbe immediatamente l'uscita in saturazione (massima uscita possibile). In realtà gli operazionali sono sempre utilizzati insieme ad un circuito di feedback (controreazione), che riporta in ingresso una frazione del segnale di uscita. Il circuito di feedback riduce il guadagno del sistema, ma in compenso lo stabilizza e riduce la distorsione. L'amplificatore operazionale sfrutta il circuito di feedback, aggiustando l'uscita in modo che la differenza di potenziale tra i due ingressi sia sempre circa zero. 2) Gli ingressi non assorbono praticamente corrente (la corrente di ingresso e' dell' ordine di 0.1 nA per un operazionale normale e di 1 pA per un operazionale con ingresso a FET). Grazie a queste proprietà si possono studiare subito i circuiti più semplici di amplificazione con operazionali.

In fig.3.3B è mostrato lo schema di un amplificatore invertente. L' ingresso + e' a massa, così che la tensione sull' ingresso - deve essere anche essa 0 (proprietà 1). Quindi la tensione ai capi di R2 è Vout mentre la tensione ai capi di R1 è Vin. Siccome l' operazionale non assorbe corrente dall' ingresso - (proprietà 2), considerando il nodo - si ha Vout/R2 = -Vin/R1 : abbiamo realizzato un amplificatore con guadagno in tensione pari a -R2/R1 (amplificatore invertente). L'impedenza di ingresso del circuito è semplicemente uguale a R1 (essendo l'ingresso - virtualmente a massa). Notiamo che questo è il principale svantaggio di questa configurazione: se si vuole un alto guadagno R1 tenderà ad essere relativamente piccola, e conseguentemente non sarà alta l'impedenza

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Tabella 3.1

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Fig. 3.3A

Fig. 3.3B Fig. 3.3C

Fig. 3.3D Fig. 3.3E

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Fig. 3.3F Fig. 3.3G

Fig. 3.3H

Fig. 3.3L

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d'ingresso. L'impedenza di uscita dipende dalla configurazione interna dell'amplificatore operazionale, ed è normalmente minore di 1 Ω. Notiamo inoltre che se si connette all' ingresso - più di una resistenza di ingresso si può ottenere un amplificatore sommatore (fig.3.3C): in tal caso infatti si ha

Vout = - ∑

Rout

Ri

Vi (3.12)

ed il fatto che l'ingresso - sia virtualmente a massa garantisce che non ci siano interazioni tra i differenti segnali di ingresso Vi. In fig.3.3D è mostrato lo schema di un amplificatore non invertente. Stavolta la tensione all'ingresso - proviene da un partitore costituito da R1 ed R2 e quindi V- = R1 Vout/(R1 + R2). D'altra parte Vin = V+ = V- permette di ricavare la relazione tra Vout e Vin: si ha evidentemente un amplificatore con guadagno in tensione pari a 1 + R2/R1 (amplificatore non invertente). Con correnti di ingresso dell' ordine di 1 nA ÷ 1 pA, la impedenza di ingresso è dell'ordine di 109 ÷1012Ω. Anche questo è un amplificatore in DC. Nel caso in cui R1 →∞ e R2 → 0 si ottiene un voltage follower (guadagno esattamente uguale a 1) che si utilizza come adattatore d'impedenza. Se si vogliono amplificare segnali AC si inserisce un filtro RC passa alto all'ingresso; nel caso dell'amplificatore non invertente si può rendere unitaria l'amplificazione in DC con lo schema di fig.3.3E. In generale si possono ottenere funzioni di trasferimento con caratteristiche passa alto o passa basso utilizzando gli schemi di fig.3.3F e fig.3.3G, con guadagni in tensione

-

Z2

Z1

; 1 + Z2

Z1

(3.13).

Il circuito di figura 3.3H è un amplificatore differenziale, che permette di amplificare la differenza di potenziale tra due punti ambedue separati da massa. Per questo circuito il guadagno in tensione è dato dalla relazione

Vout =

R2

R1 (V2 - V1) (3.14)

ammesso che le coppie di resistenze siano perfettamente identiche. L'amplificatore differenziale è necessario ad esempio per amplificare segnali provenienti dallo sbilanciamento di un ponte di Wheatstone. L'amplificatore differenziale 3.3H non è perfetto. Gli errori di tolleranza delle due coppie di resistenze introducono un errore di modo comune, ovvero all'uscita dell'amplificatore si produce anche una tensione proporzionale alla somma V1 + V2. Inoltre le impedenze dell' ingresso + e dell'ingresso - sono differenti, e questo può provocare problemi di adattamento di impedenza per sorgenti simmetriche ad alta impedenza di uscita. Ad esempio connettendo i due ingressi dell' amplificatore differenziale 3.3H alle due uscite del ponte di Wheatstone si inseriscono in parallelo alle due resistenze dei due rami bassi del ponte due resistenze pari alle impedenze di ingresso dell'amplificatore, ed essendo queste differenti, si sbilancia il ponte. Una versione migliorata dell' amplificatore differenziale è il cosiddetto amplificatore da strumentazione (fig.3.3L). La combinazione dei due operazionali d'ingresso ha un alto guadagno differenziale (1 + 2R2/R1) alta impedenza di ingresso (si usano gli ingressi +) e guadagno di modo comune unitario; lo stadio di uscita e' un amplificatore differenziale con guadagno unitario che fornisce una uscita singola rispetto a massa e annulla il segnale di modo comune. Questo sistema di 3 operazionali è disponibile anche in singolo chip completo di resistenze di precisione interne.

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Fig. 3.4: Metodo di modulazione. In A) è mostrata l'uscita amplificata di un sistema trasduttivo in DC. L'accuratezza della misura è limitata dalle derive (drift) e dal rumore 1/f del trasduttore e del

sistema di amplificazione. In B) è stato usato un chopper per interrompere periodicamente la grandezza fisica sotto osservazione. In C) il segnale ottenuto in B) è stato fatto passare attraverso un filtro passa alto ed amplificato per mezzo di un amplicatore AC. Evidentemente drift e rumore 1/f sono decisamente ridotti, e per stimare l'osservabile basta misurare l'ampiezza del segnale AC così

ottenuto (da Meade, 1983).

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3.3: Il metodo di modulazione Gli amplificatori in DC hanno notevoli problemi di stabilità del guadagno e dell'offset, a causa della dipendenza dalla temperatura dei parametri dei componenti elettronici. Inoltre sono soggetti al rumore 1/f, che può essere molto superiore al rumore di origine termica (Johnson). Lo stesso si può dire per i trasduttori. In fig.3.4A è mostrata l'uscita amplificata di un tipico sistema trasduttore + amplificatore in DC (segnale VA(t) secondo la nomenclatura di fig.3.1). Sono evidenti drift e rumore 1/f a basse frequenze. Per ottimi amplificatori operazionali il drift in ingresso può essere dell' ordine di 0.2 µV/oC o 0.5 µV/mese se mantenuti a temperatura stabilizzata. Su questo drift si sovrapporrà il segnale sperimentale (vedi eq.3.2). Se questo e' un segnale cont inuo intrinsecamente esente da rumore 1/f e drift, il limite di sensibilità del sistema completo sarà dettato dal rumore del sistema di amplificazione. Di solito è abbastanza facile rendere quest'ultimo trascurabile, grazie alle ottime caratteristiche dei moderni operazionali a basso rumore. Rumore e Drift sono dovuti allora al rivelatore (ad esempio abbiamo visto il rumore 1/f caratteristico dei rivelatori a semiconduttore) o possono essere intrinseci del segnale (ad esempio le fluttuazioni della trasparenza atmosferica, dovute a moti convettivi, generano fluttuazioni di tipo 1/f dei flussi provenienti da sorgenti astronomiche). E' quindi molto probabile che si osservino tracce del tipo di figura 3.4A all'uscita di un sistema di misura in DC. Un metodo che permette di trasformare un segnale continuo in segnale alternato a frequenza f e' detto metodo di modulazione (chopping in inglese), e consiste nell'interrompere periodicamente il segnale da misurare, trasformando quindi il segnale continuo in un segnale ad onda quadra alla frequenza f di interruzione. L'ampiezza dell' onda quadra è evidentemente uguale all'ampiezza del segnale continuo. All' uscita del sistema si otterà così una traccia del tipo illustrato in fig.3.4B. Il segnale alternato così costruito può venire amplificato con amplificatori AC, possibilmente sintonizzati sulla frequenza f, e l'ampiezza dell'onda quadra in uscita viene misurata (demodulazione) per mezzo di un circuito raddrizzatore e integratore, o di un PSD (phase sensitive detector o Lock-In). Se si amplifica in AC si ottiene evidentemente la traccia di fig.3.4C, nella quale il drift è stato eliminato, e l'effetto del rumore 1/f è sensibilmente ridotto. Siccome si conosce perfettamente la frequenza di modulazione, si può ridurre drasticamente la banda di frequenze che vengono amplificate, amplificando quindi il segnale e solo il rumore in una piccola banda intorno alla frequenza di modulazione. A questo scopo si può usare un filtro passa banda ad alto Q, ottenibile con amplificatori operazionali ed opportune reti di controreazione. Una tipica situazione in cui il segnale e' immerso nel rumore è riportata nella traccia oscillografica di fig.3.5A. Non sembra esserci alcuna speranza di estrarre un eventuale segnale. In fig.3.5B si vede lo spettro di potenza dello stesso segnale. Si nota il rumore bianco, alcune interferenze, il segnale (debole) ed il rumore 1/f a basse frequenze. Dopo l'introduzione di un filtro passa banda centrato sulla frequenza di modulazione fo, il segnale è modificato come in figura 3.5C, ed il relativo spettro è visibile in fig.3.5D. Il rumore e l'interferenza sono evidentemente molto attenuati, mentre il segnale è rimasto imperturbato. Una raccolta di diversi spettri di rumore e interferenza che si sovrappongono di solito al segnale da misurare con trasduttori analogici è riportato in fig.3.5E. Il processo di eliminazione di componenti di rumore e interferenza dal segnale e' detto condizionamento del segnale, ed evidentemente può migliorare parecchio il rapporto segnale-rumore. Abbiamo visto nel capitolo 2 come il rumore sia costituito in generale da una componente di tipo 1/f e da una componente 'bianca', che si estende fino alla frequenza massima caratteristica del processo fmax. L'aver modulato il segnale permette di introdurre un filtro passa banda con larghezza B intorno alla frequenza di modulazione, che va scelta nella zona in cui il rumore bianco è dominante rispetto all' 1/f. Questo permette di ridurre il rumore almeno di un fattore √B/fmax.

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Fig. 3.5 : Effetto del filtro passa-banda nell'estrazione del segnale da rumore sovrastante. In A) è

visibile una traccia oscillografica di un segnale composto da segnale periodico immerso immerso in un rumore sovrastante. In B) lo spettro di potenza misurato nelle stesse condizioni. Evidentemente la componente di segnale periodico è molto minore della somma delle componenti di rumore alle

altre frequenze. Si può però passare il segnale attraverso un filtro passa banda centrato alla frequenza del segnale periodico. Il risultato è illustrato in C), dove il segnale periodico è diventato

dominante. Lo stesso si osserva in D) dove è mostrato lo spettro di potenza del segnale dopo il filtraggio.

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Fig. 3.5E: Spettri di potenza di differenti sorgenti di rumore e interferenza che di solito si sovrappongono a segnali da trasduttori analogici (da Meade, 1983).

Figura 3.6: Catena elettronica di misura col metodo di modulazione.

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Questo si vede facilmente calcolando la fluttuazione rms del segnale nei due casi. In assenza di filtro avremo

∆V = √ ⟨∆V2 ⟩ =

⌠ fmax ⌡0

wV df + ⌠ fmax

⌡ fmin

K

f df

=

wV fmax + K ln fmax

fmin

(3.15).

In presenza di filtro avremo

∆V′ = √ ⟨∆V′2⟩ =

⌠ ⌡ B

wV df

= ____ √ wV B

(3.16).

Siccome il filtro è centrato sulla frequenza di modulazione, non modifica l'ampiezza del segnale, e quindi il rapporto segnale rumore viene migliorato di un fattore

(S/N)′

(S/N)

= ∆V

∆V′

=

wV fmax + K ln

fmax

fmin

wV B

fmax

B

(3.17)

dove l'uguaglianza vale nel caso in cui il rumore 1/f è assente (K = 0). Se il fattore di merito Q del filtro passa banda è molto alto (ovvero la banda B è molto stretta) si ha un maggiore rapporto segnale rumore, ma anche lo svantaggio di dover utilizzare una frequenza di modulazione estremamente stabile. In caso contrario il segnale potrebbe scivolare fuori dalla banda di trasmissione del filtro (se la variazione di fo fosse sufficiente), o in ogni caso potrebbe essere modulato da fluttuazioni della frequenza di modulazione, introducendo del rumore moltiplicativo. La soluzione a questo problema è l'uso di un Demodulatore Sincrono (o Lock-In, vedi paragrafo seguente). E' quindi vantaggioso modificare l'apparato di misura di fig.3.1 come mostrato in fig.3.6. Per realizzare in pratica la modulazione della grandezza fisica esistono diversi sistemi. Nel caso di rivelatori di fotoni si inserisce davanti al rivelatore un disco con n fori ad intervalli regolari (chopper), che ruotando a velocità costante (frequenza fr) interrompe il flusso di fotoni a frequenza fo = n fr. Un tipico chopper per sistemi ottici è mostrato in fig.3.7A. Il diagramma a blocchi di utilizzo del chopper è mostrato in figura 3.7B: interrompendo periodicamente il flusso di fotoni tra la sorgente ed il rivelatore, si realizza una modulazione del flusso fotonico, permettendo di eliminare il rumore 1/f del rivelatore e dell' amplificatore. La presenza di una doppia foratura nel disco del chopper permette di interrompere due segnali differenti a frequenze diverse: fo = n fr e finner = n′fr. Questi possono essere sovrapposti sullo stesso rivelatore e poi demodulati da due filtri centrati sulle due frequenze, separandoli (vedi fig.3.7C). Questa possibilità è molto utile nel caso che si vogliano eseguire misure relative. Supponiamo ad esempio di voler misurare la trasmissione T di un certo gas. Potremmo utilizzare il sistema di fig.3.7B, ottenendo un segnale all' uscita del filtro di ampiezza

V = G ℜ E T A ΩB

dove G e' l'amplificazione dell'amplificatore, ℜ è la responsività del rivelatore, B è la brillanza emessa dalla sorgente, A Ω è la rapidità ottica del sistema, ed E è un fattore che tiene conto delle perdite (per riflessione o per assorbimento) del sistema ottico interposto tra sorgente e rivelatore (ad esempio le finestre della cella contenente il gas). Se poi si vuota la cella e si esegue nuovamente la misura, si ottiene un segnale di riferimento di ampiezza

VR = G ℜ E A ΩB

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Fig. 3.7: Catena elettronica di misura di radiazione con modulazione a chopper. A sinistra due tipiche lame da chopper. A destra catene elettroniche di misura a singolo (A) e doppio (B) beam.

ammesso che brillanza della sorgente e responsività del rivelatore siano rimaste identiche. Evidentemente dal rapporto tra le due misure si può ricavare T. Purtroppo non tutte le sorgenti e non tutti i rivelatori sono stabili, specialmente se i segnali in gioco sono piccoli e sono richiesti lunghi tempi di integrazione per eseguire le misure. In tal caso è meglio utilizzare il sistema di fig.3.7C, in cui la luce proveniente dalla sorgente viene separata in due fasci, modulati a due frequenza diverse da un chopper a doppia foratura, e fatti passare attraverso due celle identiche, una contenente il gas e l'altra vuota. I due fasci vengono poi ricombinati sul rivelatore, ed i segnali corrispondenti vengono separati utilizzando due filtri centrati sulle due frequenze di modulazione. Avremo evidentemente

V1 = G ℜ E T A ΩB

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e

V2 = G ℜ E A ΩB ed il rapporto tra i due segnali, eseguibile istante per istante, sarà indipendente dalle fluttuazioni temporali di brillanza della sorgente e di responsività del rivelatore, permettendo così una accurata misura di T. Eventuali asimmetrie nei due bracci di misura potranno essere studiate spostando il gas nella cella di riferimento e vuotando la cella sperimentale. Le prestazioni di un tipico chopper ottico sono le seguenti: 4 Hz < fo< 4 kHz; stabilita' della frequenza ∼ 250 ppm/oC; drift a lungo termine < 2 %; fluttuazioni di fase ∼ 0.2o rms. Il chopper produce inoltre un segnale di riferimento (a frequenza fo) in fase con l'effettiva interruzione del segnale ottico (attraverso una lampadina ed un fototransistor affacciati alle due facce del disco forato): questo segnale e' utilizzato dai lock- in per l'aggancio della demodulazione (vedi paragrafo 3.3). Nel caso di segnali di tipo elettrico si usano degli switch analogici a fet. Esistono inoltre degli amplificatori operazionali detti 'a chopper' che contengono internamente questi switch, e permettono di ridurre il drift a meno di 0.01 µV/oC e 0.05 µV/mese. Nel caso di misure magnetiche (ad esempio NMR), si avvolge intorno al sistema sperimentale una bobina in cui si fa scorrere una corrente alternata: il campo magnetico generato dalla bobina modula il campo da misurare, agendo come un chopper. 3.4: Il Demodulatore Sincrono (Lock-in) Il demodulatore sincrono è un apparato che permette di estrarre il segnale da rumore dominante. Si utilizza il fatto di conoscere a priori alcune proprietà caratteristiche del segnale, generate dal processo di modulazione. Ad esempio nel caso del condizionamento del segnale operato da filtri passa banda si utilizzava la conoscenza a priori della frequenza di modulazione per eliminare parte del rumore e lasciare inalterato il segnale. Nel caso del demodulatore sincrono invece si fa uso della conoscenza a priori della frequenza e anche della fase del segnale generato dal processo di modulazione: ci si aspettano quindi prestazioni superiori. Il modulatore, oltre ad effettuare la modulazione del segnale, deve produrre un segnale di riferimento precisamente sincronizzato alla modulazione. Il termine amplificatore lock- in viene usato proprio per sottolineare il fatto che il demodulatore è agganciato alla modulazione grazie al segnale di riferimento. Nel caso del chopper a disco forato il segnale di riferimento è un segnale a due livelli (ad esempio alto quando il chopper permette il passaggio del flusso di radiazione e basso quando il chopper ne impedisce il passaggio). Sarà quindi una onda quadra perfettamente in fase con il flusso modulato incidente sul rivelatore. L'amplificatore lock- in ha due ingressi: uno per il segnale proveniente dal rivelatore (che conterrà un segnale proporzionale al flusso incidente più rumore: s(t)+n(t)) ed uno per il segnale di riferimento r(t) (l'onda quadra generata dal chopper, perfettamente sincrona col flusso modulato). In fig.3.8 sono mostrate le connessioni di un amplificatore lock- in in esperimenti ad un fascio ed a due fasci. Noi sappiamo che la componente di segnale dovuta al flusso modulato s(t) deve avere una forte correlazione con il segnale di riferimento. E' quindi ragionevole pensare di utilizzare la quantità

vp(t) = r(t) ·[ s(t) + n(t) ] (3.18) per stabilire la presenza o l'assenza di un segnale s(t) anche se immerso nel rumore dominante n(t). L'amplificatore lock- in effettua questa operazione di moltiplicazione; inoltre media il risultato con una costante di tempo τ predeterminata. L'uscita dall' amplificatore lock- in sarà quindi una tensione quasi continua del tipo

vout (t) = ⟨vp(t) ⟩τ = ⟨r(t) ·s(t) ⟩τ +⟨r(t) ·n(t) ⟩τ (3.19).

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Fig. 3.8: Catena elettronica di misura di radiazione con modulazione a chopper e demodulazione per mezzo di Lock-in.

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E' chiaro che il termine ⟨r(t) ·s(t) ⟩, a causa della correlazione tra segnale modulato e riferimento produrrà un risultato costante (positivo se r(t) e s(t) sono in fase, negativo se in opposizione di fase, intermedio negli altri casi, ma in ogni caso proporzionale all' ampiezza del segnale modulato s(t)). Il termine ⟨r(t) ·n(t) ⟩ invece fluttuerà intorno a zero, a causa della completa mancanza di correlazione tra il rumore ed il segnale di riferimento. E' ovvio che la costante di tempo su cui si media dovrà essere inferiore ai tempi tipici di variazione dell'ampiezza del segnale (che è ciò che vogliamo misurare) e dovrà contenere molti periodi di modulazione, in modo da poter efficacemente ridurre il rumore. In queste condizioni, la risposta ad un segnale con ampiezza variabile sarà un segnale in uscita variabile con sovrapposto del rumore. Se l'ampiezza varia lentamente potremo definirla come una tensione continua lentamente variabile, e sarà possibile usare un filtro passa basso con una frequenza di taglio molto bassa per integrare il segnale vp(t), eliminando gran parte del rumore. Cominciamo a vedere la risposta del lock- in nel caso semplice in cui sia il segnale che il riferimento siano sinusoidali, e manteniamo per ora differenti le due frequenze. Avremo

s(t) = √2 Vs cos(ωs t + φs) ; r(t) = √2 VR cos(ωR t + φR) (3.20)

e quindi

vp(t) = Vs VR cos[(ωs + ωR) t + φs + φR] + Vs VR cos[(ωs - ωR) t + φs - φR] (3.21).

Il segnale all' uscita del moltiplicatore è quindi costituito da un termine alla frequenza somma ed un termine alla frequenza differenza. Si passa ora questo segnale attraverso un filtro passa basso con risposta in frequenza HL (j ω), con taglio a frequenze ben inferiori alla frequenza di riferimento, in modo da rimuovere il termine a frequenza somma. Si ottiene una componente di battimento con ampiezza

|Vout | = Vs VR

HL (|ωs - ωR|)

(3.22)

Siccome il filtro è passa basso, attenuerà tutte le frequenze lontane dalla frequenza di riferimento: si vede quindi che la combinazione del moltiplicatore più il filtro passa basso opera come un filtro passa banda intorno alla frequenza di modulazione ωR. Tale filtro è tanto più stretto quanto più bassa è la frequenza di taglio del passa basso: la larghezza di banda del passa banda equivalente è il doppio della larghezza di banda del filtro passa basso (fig.3.9). Useremo questa proprietà per calcolare il rumore sul segnale in uscita. Di solito la frequenza del segnale è ident ica a quella del riferimento (essendo ambedue ottenute dallo stesso modulatore); inoltre lo sfasamento del riferimento e del segnale sono costanti (φs - φR = φ) e l'ampiezza del segnale di riferimento e' costante ben nota. Si ottiene allora dalla 3.22

Vout = VR |HL(0)| cos(φ) ·Vs = a Vs (3.23). L'uscita del lock- in è quindi proporzionale all' ampiezza del segnale Vs attraverso una costante di proporzionalità a che dipende abbastanza debolmente dallo sfasamento (per piccoli sfasamenti tra segnale e riferimento). Tutti i lock- in sono corredati di un circuito che permette di sfasare a piacere il segnale di riferimento rispetto al segnale da misurare: ruotando un potenziometro si introduce uno sfasamento variabile che permette di massimizzare il segnale anche se il riferimento proveniente dal sistema di modulazione non è perfettamente in fase con il segnale proveniente dal rivelatore. Ad esempio questo circuito permette di compensare lo sfasamento introdotto dal tempo di risposta del rivelatore, o un errato posizionamento del sensore di posizione rispetto ai fori o alle lame del chopper. Il rumore in uscita è solo quello presente nella banda del filtro passa banda equivalente. Dato un filtro passa basso con costante di tempo τ la sua banda equivalente di rumore è 1/(4τ) e quindi la banda equivalente di rumore del filtro passa banda sarà 1/(2τ). Se lo spettro di potenza del rumore in ingresso al lock- in è bianco e pari a wn(f), il rumore in uscita dal lock-in sarà semplicemente

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⟨∆Vout2⟩ = a2

⌠ ⌡

wn df = a2 2 wn

τ

(3.24).

D' altra parte se la costante di tempo del filtro è τ si avrà un dato indipendente dal precedente all'incirca dopo un tempo τ. Quindi possiamo identificare la durata della misura con la costante di tempo del filtro passa basso. Il rapporto segnale rumore per un tempo di misura τ è quindi

S

N

=

Vout

√ ⟨∆Vout2⟩

= Vs

wn

(3.25).

Di solito la durata delle misure è maggiore della costante di tempo del filtro passa basso. Si ottengono così molti dati indipendenti (un numero pari al rapporto tra durata della misura e costante di tempo. Questi dati vengono mediati insieme per dare la miglior stima del segnale in uscita. La miglior stima dell' errore sul segnale in uscita sarà pari alla deviazione standard diviso la radice del numero di dati indipendenti. E' evidente quindi che vale di nuovo la (3.25), con τ durata totale della misura. La (3.25) è importante perché permette di calcolare il tempo di integrazione necessario per ottenere il rapporto segnale rumore voluto una volta fissata l'entità del rumore e del segnale. Un moltiplicatore di segnali analogici come quello necessario per realizzare l' operazione (3.18) è fattibile, ma allo stato attuale dell'elettronica analogica introduce sensibili distorsioni del segnale. Ci sono a questo punto due possibilità: la prima è la conversione di segnale e riferimento in forma numerica e l'uso della tecnologia DSP (digital signal processing) per eseguire numericamente le operazioni necessarie; la seconda è l'uso di un phase sensitive detector. La prima soluzione è decisamente costosa e complicata. Usualmente si usa la seconda soluzione (PSD), in cui il moltiplicatore è sostituito da un deviatore elettronico, controllato dal segnale di riferimento. Il deviatore cambia l'amplificazione del segnale s(t) da +1 a -1, (ad esempio +1 quando il riferimento è positivo, -1 quando è negativo) come illustrato nello schema di fig.3.10A. Quando il segnale e' perfettamente in fase con il riferimento si ottiene in uscita semplicemente un segnale raddrizzato (fig.3.10B), a valor medio positivo: all' uscita dal filtro passa basso avremo quindi un segnale positivo. Nella maggior parte dei casi ci sara' un certo sfasamento tra segnale del rivelatore e segnale di riferimento (ad esempio introdotto dal tempo di risposta del rivelatore, o dai filtri di condizionamento del segnale). Si otterranno evidentemente le forme d'onda illustrate in fig.3.10C. Per ottenere quantitativamente la relazione tra segnale in ingresso e segnale in uscita descriviamo l'operazione del deviatore elettronico come la moltiplicazione del segnale in ingresso per una onda quadra a valori ±1 e perfettamente in fase con il riferimento:

r(t) = 4

π

cos(ωR t + φR) - 1

3 cos3(ωR t + φR) +

1

5 cos5(ωR t + φR) - ....

moltiplicando per il segnale, che supponiamo sinusoidale come nella (3.20), si ottiene

vp (t) = 2 √2 Vs

π

cos((ωR ±ωs) t + φR - φs) - 1

3 cos((3ωR±ωs) t + 3φR - φs) +

+ 1

5 cos((5ωR±ωs) t + 5φR - φs) - ....

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Fig. 3.9: Funzione di trasferimento di un filtro passa basso (a sinistra) e funzione di trasferimento che si ottiene usando il precedente passa basso all'uscita di un moltiplicatore tra segnale da misurare e segnale di riferimento. Quest'ultima funzione di trasferimento è un passa banda con ampiezza pari

al doppio della frequenza di taglio del filtro passa basso.

Fig. 3.10: Phase sensitive detector (vedi testo per la spiegazione del funzionamento).

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Assumendo come prima segnale e riferimento alla stessa frequenza, e passando vp(t) attraverso un filtro passa basso a frequenza ben inferiore alla frequenza di modulazione, si rimuovono tutte le frequenze 2ωR, 4ωR, 6 ωR ..., ottenendo di nuovo

vout = 2 √2

π

|H(0)| cos(φ) ·Vs = a cos(φ) Vs (3.26):

di nuovo, a parte il diverso valore della costante moltiplicativa a, si ottiene un segnale proporzionale al segnale di ingresso, come nel lock- in a moltiplicatore. La differenza essenziale è che se il segnale in ingresso s(t) non è sinusoidale, il PSD darà segnale in uscita anche per le componenti a frequenza 3 ωR, 5 ωR ... . Ad esempio in fig.3.10D si mostra che cosa succede alla componente di segnale a frequenza ωs = 3 ωR (terza armonica): in un periodo dell' onda quadra del riferimento capitano 3 periodi della terza armonica, con due semionde negative e quattro positive. E' evidente che il valor medio sarà positivo, con una ampiezza pari a due sesti dell'ampiezza che si ottiene per il segnale a frequenza ωR (solo due semionde su sei contribuiscono al valor medio, mentre le altre quattro si annullano tra loro). Lo stesso ragionamento si può fare per tutte le armoniche dispari. Il PSD risponde quindi anche alle armoniche dispari del segnale in ingresso, con attenuazione pari all'inverso dell'ordine dell' armonica. In pratica il PSD ha una trasmissione alle diverse frequenze del segnale in ingresso illustrata in fig.3.11: una successione di finestre di trasmissione a tutte le armoniche dispari della frequenza di riferimento, e di ampiezza decrescente. Non è detto che questo sia vantaggioso. Evidentemente un lock-in sensibile alla sola frequenza di riferimento (a moltiplicatore, con segnale di riferimento sinusoidale) ha solo una finestra alla frequenza di modulazione, ed è quindi meno soggetto a interferenze sovrapposte al segnale. Calcoliamo ora la risposta al rumore del PSD. E' evidente che ciascuna finestra di trasmissione avrà una larghezza dell' ordine di 2 Bo, dove Bo è la banda del filtro passa basso. Il valore esatto della banda efficace delle finestre dipende dalla funzione di trasmissione del filtro H(ω). La trasmissione di ciascuna delle finestre sarà invece 1/(2k+1), dove k è l'indice della finestra. Se il rumore ha uno spettro bianco wN, la fluttuazione del segnale in uscita dovuto alla k-ma finestra sarà

⟨n2k⟩ =

a

2k+1

2

⌠ ⌡

H k(f) wn df (3.27).

Il valore dell'integrale dipende dalla forma di H(f), ma sarà dell' ordine di Bo wn. Siccome le differenti frequenze del rumore sono tutte scorrelate tra loro, si potranno sommare semplicemente i valori quadratici medi, tenendo conto del fatto che ∑1/(2k+1)2 = π2/8: si ottiene allora

√ ⟨n2 ⟩ = a

wn Bo π2

8

(3.28):

quindi la presenza delle armoniche superiori aumenta il contributo del rumore bianco di circa l'11% (rispetto al caso sinusoidale), una quantità tutto sommato trascurabile. Il rapporto segnale rumore all' uscita del PSD è dato quindi dal rapporto tra la (3.26) e la (3.28):

(S/N)out = √8

π

cos(φ)

Vs

____ √wn Bo

(3.29)

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Fig. 3.11: Finestra di trasmissione di un Phase Sensitive Detector.

Fig. 3.12: Diagramma a blocchi di un Lock- in commerciale completo.

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Questa formula è molto importante perché permette, una volta note le ampiezze del segnale da misurare e del rumore, di calcolare la banda Bo da utilizzare per ottenere un dato rapporto segnale rumore, o, equivalentemente, la durata T della misura, essendo Bo ∼ 1/4T. Faremo un esempio pratico di uso della (3.29) nel paragrafo 3.5.2. Per il segnale in ingresso era

(S/N)in =

Vs

√ wn fmax

(3.30),

quindi il miglioramento del rapporto segnale rumore operato da un PSD nel caso di segnale sinusoidale è dato da

(S/N)out

(S/N)in

= √8 cos(φ)

π

fmax

Bo

(3.31).

Una semplice esperienza che si può fare in aula e che mostra la straordinaria abilità del lock- in nell'estrarre piccoli segnali immersi nel rumore è la seguente. Si usa un LED (Light Emitting Diode) alimentato da un generatore di tensione ad onda quadra. Questo accende e spegne il LED ad una frequenza di modulazione che si sceglierà dell' ordine di 1 kHz. Lo stesso segnale viene utilizzato some riferimento per il lock-in. Come rivelatore si usa un normale fototransistor al silicio accoppiato in DC ad un amplificatore operazionale in configurazione non invertente, con guadagno ∼ 100. Il segnale del fototransistor è connesso ad un oscilloscopio ed all' ingresso del lock- in. In assenza di segnale l'uscita del fototransistor è dominata da un segnale a 100 Hz prodotto dalle lampade che illuminano l'aula. Questo 'rumore' è dell'ordine di 100 mV. Se si avvicina molto il LED al fototransistor, il segnale a 1 kHz diventa superiore al disturbo delle lampade ed è evidente anche sull'oscilloscopio. Se si allontana il LED a circa 1 m dal fototransistor, il segnale diventa invisibile sull'oscilloscopio, ma sul lock-in si legge un segnale di circa 100 µV, con fluttuazioni di circa 10 µV se il tempo di integrazione impostato è 1 s. Per convincersi del fatto che il lock- in stia effettivamente estraendo il segnale del LED dal rumore dominante delle lampade basta interrompere con una mano il percorso luminoso dal LED al fototransistor: l'uscita del lock- in andrà gradatamente a zero. Il rapporto segnale/rumore in uscita è quindi dell'ordine di 10, mentre in ingresso era dell'ordine di 10-3. Se ne conclude che il Lock- in ha permesso un miglioramento del rapporto segnale/rumore di un fattore 104. Nel caso di segnali periodici ma non sinusoidali si potrà scrivere

s(t) =

∑ n = 1

αn cos(n ωt) +

∑ n = 1

βn sin(n ωt)

ed

r(t) =

∑ n = 1

(-1)n cos[ (2n+1)(ωt + φ) ]

2n+1

La tensione in uscita si potrà scrivere

Vout = ⟨s(t) r(t) ⟩ = 2

π

∑ n = 1

(-1)n α2n+1 cos(2n+1)φ

2n+1

- 2

π

∑ n = 1

(-1)n β2n+1 sin(2n+1)φ

2n+1

.

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Si può dimostrare che per ogni insieme di αn e βn esiste un valore di φ, detto di quadratura ed indicato con φQ, che rende Vout = 0, ed esiste un valore di φ, detto φi che rende Vout massimo. Se poi il segnale ha una forma d'onda simmetrica (quadra, triangolare, ...) si può scegliere l'origine dei tempi in modo da sviluppare il segnale in serie di soli coseni (ad esempio), ottenendo quindi αn = 0. Allora si ha che

Vout = ⟨s(t) r(t) ⟩ = - 2

π

∑ n = 1

(-1)n β2n+1 sin(2n+1)φ

2n+1

ed inoltre

dVout

= - 2

π

∑ n = 1

(-1)n β2n+1 cos(2n+1)φ

evidentemente in questo caso φi = 0 e φQ = 90o. Siccome abbiamo spostato l'origine dei tempi è più corretto scrivere

φi = φQ±90o (3.32).

La precedente equazione suggerisce un metodo efficiente per la determinazione dello sfasamento ottimale del riferimento: si sfasa il riferimento fino a trovare segnale nullo (e questo può essere fatto con grande precisione, perché via via che si riduce il segnale si può aumentare l'amplificazione del sistema. Trovato uno zero soddisfacente, si introduce un ulteriore sfasamento di 90 gradi, che permette di ottenere il massimo segnale in uscita. Nel caso di forme d'onda non simmetriche si hanno ancora un φi ed un φQ, ma la differenza tra i due può essere diversa da 90o (non troppo diversa, di solito). Notiamo infine che un segnale ad onda quadra aumenta il segnale prodotto dal PSD di un fattore 1.23, compensando l'aumento di un fattore [√1.23] del rumore. In fig.3.12 è mostrato uno schema a blocchi di un lock-in reale. Oltre al PSD sono di solito inclusi nel lock- in: • Lungo il percorso del segnale da misurare amplificatori a guadagno impostabile, amplificatori differenziali per operare con circuiti a ponte, filtri passa banda, passa basso e passa alto a media pendenza per eliminare rumore a frequenze diverse da quella di modulazione. • Lungo il percorso del segnale di riferimento un phase locked loop, circuito che permette di agganciare la frequenza del segnale di riferimento anche se questo e' periodico di forma qualsiasi, ed anche in presenza di notevole rumore. Questo circuito permette inoltre di generare segnali di riferimento ad armoniche della frequenza di modulazione. • All'uscita del PSD un integratore, che permette di calcolare il valor medio del prodotto su di un tempo impostabile dall'esterno; un amplificatore in DC ed uno strumento di lettura del segnale d'uscita. Esistono poi Lock-in doppi, che generano internamente un riferimento sfasato di 90o rispetto al riferimento proveniente dall' esperimento. Il segnale viene connesso a due PSD (o a due moltiplicatori), uno comandato dal riferimento in fase ed uno comandato dal riferimento in quadratura (vedi fig.3.13). Chiamiamo X l'uscita del moltiplicatore in fase ed Y l' uscita del moltiplicatore in quadratura. Dalla (3.25) avremo subito

X = a cosφ·Vs ; Y = a sinφ·Vs (3.33)

Quindi dalla misura di X e Y si ricavano ampiezza e sfasamento del segnale, senza bisogno di massimizzarlo:

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Vs = R =

_______ √ X2 + Y2

a

; φ = arctan Y

X

(3.34)

Di solito il lock- in doppio contiene un calcolatore vettoriale che esegue direttamente le operazioni (3.34), fornendo direttamente Vs e φ. Notiamo che la (3.25) ha senso solo per lock-in che eseguono la moltiplicazione per un riferimento sinusoidale, o in generale per segnale di ingresso sinusoidale. Solo in questi due casi sarà quindi sensato utilizzare le (3.34). Va notato inoltre il fatto che in presenza di rumore importante (ovvero nelle normali condizioni in cui è richiesto l'uso di un lock- in) le operazioni (3.34) tendono a amplificare l' effetto del rumore, cioè a peggiorare il rapporto segnale rumore della misura. Innanzi tutto il segnale R e' definito positivo, per cui le fluttuazioni positive e negative dovute al rumore e sovrapposte ai segnali X e Y si propagano su R generando fluttuazioni solo positive. Quando si media R per lunghi periodi si ottiene quindi un contributo positivo (offset) dovuto al solo rumore, per cui si può concludere erroneamente di aver misurato un segnale 'diverso da zero' anche in assenza completa di segnale. In generale tutte le migliori tecniche di riduzione del rumore si basano sulla proprietà del rumore di essere equiprobabilmente positivo e negativo, per cui non è ragionevole mettersi in una condizione differente, a meno che il rapporto segnale rumore della misura non sia già sufficientemente alto (almeno 5). I calcoli dettagliati mostrano che l'offset generato dal rumore è dell'ordine di un quarto delle fluttuazioni picco picco del segnale. Il rimedio ovvio è l'uso delle uscite X e Y del segnale, con calcolo del valore di R solo dopo che il processo di media è stato completato. 3.5 Uso del Lock-In in esperimenti astrofisici Illustriamo adesso due classi di esperimenti astrofisici in cui l'uso del lock- in è essenziale per l'esecuzione delle misure. 3.5.1 Radiometria Il radiometro è uno strumento utilizzato per misurare la brillanza assoluta di una regione di cielo. In fig.3.14 è mostrato un tipico radiometro per misure infrarosse o radio. La radiazione proveniente dalla regione di cielo di interesse è raccolta dallo specchio SP, che permette di inseguire la sorgente durante il suo moto diurno, e convogliata verso il rivelatore passando attraverso un chopper a lame speculari C. Il chopper lascia passare la radiazione proveniente dal cielo quando è aperto, mentre riflette verso il rivelatore la radiazione proveniente da un corpo nero di riferimento B quando è chiuso. Il segnale proveniente dal rivelatore viene connesso ad un lock- in comandato dal segnale di riferimento proveniente dal chopper. Calcoliamo la potenza che arriva sul rivelatore quando il chopper è aperto e quando il chopper è chiuso. La Brillanza proveniente dal cielo BC arriverà allo specchio SP attenuata di un fattore Tatm (trasmissione atmosferica); a questa si sommerà una brillanza emessa dall' atmosfera pari a (1-Tatm) BB(TA), con TA temperatura media dell' atmosfera. La brillanza così ottenuta sarà riflessa da S con una efficienza RS (riflettività dello specchio); a questa si sommerà una brillanza emessa dallo specchio pari a (1-RS) BB(TS). Tale brillanza passerà attraverso il chopper aperto, attraverso i filtri del rivelatore (efficienza E, brillanza emessa (1-E) BB(TF) ed arriverà sul rivelatore. La potenza misurata dal rivelatore sarà quindi in totale

PA = AΩ

(1-E) BB(TF) + E

(1-RS) BB(TS) + RS

(1-Tatm) BB(TA) + Tatm BC

(3.35)

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Fig. 3.13: Lock- in a due fasi

Fig. 3.14: Radiometro per misure assolute della brillanza del cielo. Lo specchio SP serve ad inseguire la sorgente in studio durante il suo moto orario; il chopper C serve per alternare sul

rivelatore il segnale proveniente dalla sorgente e quello proveniente da un corpo nero di riferimento CN. F è un filtro che seleziona la banda spettrale di interesse, mentre R è il rivelatore completo di

sistema ottico che definisce il campo di vista e l'area sensibile del sistema.

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Analogamente quando il chopper è chiuso il rivelatore misurerà una potenza

PC = AΩ

(1-E) BB(TF) + E

(1-RC) BB(TC) + RC BB(TB)

(3.36)

dove TC e' la temperatura del chopper e RC la riflettività delle lame, mentre TB è la temperatura del corpo nero di riferimento. Il lock-in permette di estrarre dal rumore del rivelatore l'ampiezza del segnale che si ottiene durante la modulazione. Questo sarà una onda quadra alla frequenza del modulatore, con livelli ℜ PA e ℜ Pc, dove ℜ è la responsività del rivelatore. All'uscita del lock- in avremo quindi un segnale

SLI = ℜ (PA - PC) (3.37)

Il lock- in permette quindi di misurare la differenza tra le due potenze. E' evidente che tutte le sorgenti di emissione presenti nel cammino della brillanza dopo il chopper sono presenti a chopper aperto e a chopper chiuso, e si cancellano nella sottrazione (eq. 3.35 e 3.36). Esempio tipico è l'emissione dei filtri o la stessa emissione del rivelatore se questo è a temperatura ambiente: questa può essere molti ordini di grandezza superiore alla brillanza che si vuole misurare in cielo, e nonostante ciò essere ininfluente nella realizzazione della misura, grazie alla tecnica di modulazione, ed alla presenza di un lock- in che media a zero le fluttuazioni derivanti dal forte background fotonico. Inoltre lo specchio di inseguimento SP ed il chopper C vengono costruiti con lo stesso materiale e lo stesso grado di lavorazione, in modo da avere la stessa riflettività R; mantenendoli alla stessa temperatura avranno anche la stessa emissione, e l'uso del lock- in permetterà la reciproca cancellazione anche di questi termini. Si otterrà quindi un segnale

SLI = ℜ ·AΩ·E ·R

(1-Tatm) BB(TA) + Tatm BC - BB(TB)

(3.38)

La costante ℜ ·AΩ·E ·R può essere determinata montando sopra lo specchio S un secondo corpo nero a temperatura TBB diversa da TB. In questo modo si esegue la calibrazione del fotometro:

ℜ ·AΩ·E ·R =

Scal

BB(TBB) - BB(TB) (3.39)

A questo punto è necessario solo stimare il contributo atmosferico. Si suppone di solito

Tatm = e- τz / cosz (3.40)

dove τz è lo spessore ottico alla lunghezza d'onda di misura allo zenith, e z è l'angolo zenitale. E' possibile separare il contributo atmosferico e quello del cielo se si può inseguire la sorgente, in modo che essa sorgendo, culminando e tramontando subisca una attenuazione atmosferica variabile. Naturalmente questa procedura presuppone che non ci siano altre cause di variazione della trasmissione atmosferica oltre alla variazione di spessore atmosferico attraversato dai fotoni. Nel caso di osservazioni di radiazione di fondo, identica in tutte le direzioni, si può effettuare la scansione zenitale semplicemente inclinando lo specchio S con la temporizzazione voluta. In condizioni di buona trasmissione atmosferica avremo τz / cosz << 1, e riportando le misure di SLI in funzione di 1/cosz (legge di secante), otterremo un andamento lineare:

SLI

ℜ ·AΩ·E ·R

= a

cosz

+ b (3.41)

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Valutando pendenza e intercetta della (3.41) si possono separare i due contributi (atmosferico e del cielo):

a = τz BB(TA) ; b = BC - BB(TB) (3.42)

ricavando così la brillanza del cielo BC. 3.5.2 : Fotometria differenziale e sottrazione dell'emissione atmosferica. A lunghezze d'onda infrarosse l'atmosfera terrestre è molto meno trasparente che nel visibile. Ciò è dovuto in gran parte alla presenza di molecole di vapor d'acqua, O2, O3, CO2, CO: la radiazione infrarossa eccita efficientemente transizioni vibrorotazionali di tali molecole, ed è quindi intensamente assorbita. Le stesse transizioni molecolari producono intense righe di emissione, per cui l' atmosfera e' una brillante sorgente luminosa infrarossa, che rende estremamente difficile la misura dei deboli flussi di radiazione provenienti da sorgenti celesti. Osservare la radiazione da una galassia nell' infrarosso termico presenta la stessa difficoltà di osservarne l'emissione ottica di giorno, con un telescopio ben illuminato. E' quindi essenziale effettuare le osservazioni IR da siti particolarmente secchi e freddi, in modo da ridurre il contenuto di vapor d'acqua presente sulla verticale del luogo. Per buone osservazioni si deve avere un contenuto di vapor d'acqua precipitabile (cioè lo spessore d'acqua liquida che si otterrebbe condensando tutto il vapor d'acqua presente nell' atmosfera) inferiore ad 1 mm. Per questo gli osservatori infrarossi sono situati in alta montagna o in regioni a clima desertico. Anche in condizioni climatiche con vapor d'acqua precipitabile dell' ordine di 1 mm è possibile compiere osservazioni infrarosse solo nelle cosiddette "finestre atmosferiche": regioni spettrali particolarmente lontane dalle lunghezze d'onda delle transizioni del vapor d' acqua. Le più importanti finestre atmosferiche sono tra 3 e 4 µm, tra 7 e 14 µm; tra 17 e 24 µm e oltre 800 µm. Oltre ad una alta trasmissione nelle finestre, viene richiesta una ottima stabilità di pressione, temperatura e contenuto di vapor d'acqua: fluttuazioni nel tempo di queste quantità generano delle fluttuazioni dell' emissione atmosferica infrarossa (dette rumore atmosferico), che si sommano alla emissione degli oggetti celesti da misurare, limitando la sensibilità delle misure. Per questo motivo è prevista la costruzione di un osservatorio infrarosso in Antartide, dove si può sfruttare la straordinaria stabilità climatica, il bassissimo contenuto di vapor d'acqua (meno di 100 µm precipitabili), e l'assenza di insolazione durante i 6 mesi dell' inverno antartico. Per effettuare osservazioni in bande diverse dalle sopra citate "finestre", è necessario portare il telescopio al di sopra della maggior parte del vapor d'acqua atmosferico, montandolo su un aereo (effettuando così osservazioni a quote comprese tra 10 e 14 km), su pallone stratosferico (operando così tra 30 e 45 km), su razzo (massima quota circa 400 km) o su satellite (quote superiori a 400 km). In fig.3.15 è riportato l'andamento della trasmissione dell' atmosfera nell'infrarosso nei primi tre casi. In fig.4.9 è invece riportata l'emissione atmosferica. L'operazione degli osservatori infrarossi su satellite non è affetta dall' emissione atmosferica, e permette di eseguire osservazioni particolarmente sensibili. A terra l'emissione atmosferica è quella di un corpo grigio a temperatura dell' ordine di 300 K ed emissività dipendente dalla lunghezza d'onda. In buone finestre atmosferiche l'emissività non è mai inferiore al 5 %: in tali condizioni l' emissione atmosferica è alcuni ordini di grandezza superiore a quella della sorgente. Per questi motivi si opera una modulazione angolare, inserendo nel telescopio infrarosso un elemento ottico che permetta di osservare alternativamente (e velocemente, più velocemente delle fluttuazioni atmosferiche) due regioni di cielo, una occupata dalla sorgente in studio e l'altra vuota, di riferimento. Usualmente questo tipo di modulazione (sky chopping) si realizza facendo vibrare lo specchio secondario nel caso di telescopi Cassegrain. Questo produce un movimento dell' immagine della sorgente nel piano focale del telescopio. Essendo il rivelatore fissato nel piano focale, l'immagine della sorgente entrerà ed uscirà dall'apertura di ingresso del rivelatore, lasciando il posto all'immagine di una regione adiacente, detta di riferimento. Si realizza così una modulazione (fig.3.16) che può essere sinusoidale (quando la direzione di osservazione si sposta tra due direzioni estreme in modo sinusoidale) o a due campi (quando le direzioni che si alternano sono solo due ben

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Fig. 3.15: Trasmissione atmosferica nell'infrarosso a tre quote differenti : alta montagna (4 Km, curva A), aereo (12 Km, curva B), pallone stratosferico (40 Km, curva C). Da Traub e Stier, 1976,

Applied Optics, 15, 364

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Fig. 3.16: Fotometria differenziale di sorgenti astronomiche realizzata grazie ad uno specchio oscillante (vedi anche par.6.6). Lo specchio oscillante permette di osservare alternativamente con lo stesso rivelatore la sorgente in A ed il campo di riferimento (vuoto) in B (modulazione angolare).

L'emissione atmosferica, presente in ambedue le direzioni, viene eliminata eseguendo la demodulazione con un lock- in.

Fig. 3.17: Possibili movimenti dello specchio necessari per realizzare la modulazione sinusoidale (sinistra), a due campi (centro) e a tre campi (destra). Sotto ogni diagramma del moto è riportato il

corrispondente segnale di riferimento, prodotto dallo specchio ed usato dal lock- in per la demodulazione.

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Fig. 3.18: Dati di rumore atmosferico a lunghezza d'onda di 1 mm misurati contemporaneamente con modulazione a tre campi (A) e a due campi (B). Il valor medio (offset della misura) è stato

rimosso. In (C) e (D) i corrispondenti istogrammi (senza rimozione del valor medio). E' evidente come la misura a tre campi riduca l'entità delle fluttuazioni (deviazione standard) ed anche l'offset

atmosferico (valor medio).

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separate e il movimento dello specchio secondario è praticamente ad onda quadra), o a tre campi (quando la sorgente si trova nella direzione centrale, ed alla sorgente vengono alternate due posizioni di riferimento, una a sinistra ed una a destra della sorgente). Lo specchio oscillante produce anche un segnale di riferimento sincrono con il movimento, usato per comandare il lock- in. In fig.(3.17) sono mostrati il moto dello specchio ed il corrispondente segnale di riferimento nei tre casi. All'uscita di un lock-in a PSD si otterranno nei tre casi i segnali (in assenza di rumore)

VLI,sin = K

T

⌠ T/2 ⌡0

I(

→ θ (t)) dt -

⌠ T ⌡ T/2

I(

→ θ (t)) dt

; → θ (t) =

→ α

2

sin2 πfM t (3.43)

VLI,2 = K

I( → x ) - I( →

x + → α

)

(3.44)

VLI,3 = K

I( → x

) - I( →

x + →

α )+I( →

x - →

α )

2

(3.45)

dove x è la posizione in cielo della sorgente, I(x) è la brillanza proveniente dalla direzione x, e α è un vettore che descrive l'angolo di modulazione. |α| è l'ampiezza di modulazione, detta beam-throw: per ottenere dati indipendenti tra loro questa deve essere maggiore del campo di vista dello strumento (beam-size). Se le due (o più) regioni di cielo si trovano alla stessa elevazione, e la modulazione è sufficientemente veloce (dell'ordine di 10 Hz), l'emissione atmosferica è la stessa nelle direzioni osservate dal rivelatore, e non contribuisce in media al segnale all' uscita del lock- in. Ovviamente ci sono fluttuazioni rispetto a questa situazione, che producono il cosiddetto sky-noise. In questo senso il metodo di modulazione a 3 campi e' superiore agli altri due. Infatti tutti e tre i metodi eliminano l'offset dovuto all'emissione atmosferica quando questa è perfettamente identica nei due o tre beam considerati. D' altra parte, in presenza di sky-noise questo non succederà, e l'emissione atmosferica avrà dei gradienti. Se la distanza tra i beam non è troppo elevata, in prima approssimazione potremo approssimare linearmente l' andamento dell'emissione atmosferica nell'intorno dei campi osservati. A differenza delle altre due tecniche, la modulazione a tre campi, per la sua simmetria, permette di annullare gradienti lineari di emissione atmosferica (basta sostituire I(θ) = a θ+ b nella (3.45) per rendersi conto di questo), permettendo così una maggiore indennità dallo sky-noise. In fig.3.18 sono riportati istogrammi di dati di sky-noise presi contemporaneamente con un modulatore a 3 campi ed uno a due campi: è evidente il vantaggio di usare la modulazione a 3 campi. I gradienti di emissione sulla superficie dello specchio primario del telescopio (e anche le asimmetrie della modulazione) producono un segnale sincrono con la modulazione, generando un segnale costante diverso da zero all' uscita del lock- in (offset di misura). Per questo motivo si deve sovrapporre allo sky-chopping una ulteriore forma di modulazione, ad esempio effettuando una scansione lenta della direzione di osservazione x attraverso la sorgente (fig.3.19): in questo modo l'offset resterà costante, mentre il segnale dalla sorgente produrrà un andamento caratteristico del tipo di modulazione effettuata. In questo modo si potrà separare il contributo della sorgente dall'offset. Facciamo un esempio pratico di utilizzo della (3.29) in un fotometro differenziale. Supponiamo di voler misurare l' emissione termica della polvere interstellare verso il centro Galattico, ad una lunghezza d' onda di 800 µm. A tale lunghezza d'onda le stime teoriche della brillanza sono di 10-14 W/cm2/sr/µm. Supponiamo di voler raggiungere una precisione del 5 %, cioè un rapporto segnale rumore di 20, avendo a disposizione un rivelatore con un rumore di [√(wn)]/ℜ = 10-13 W/[√Hz] (questa e' la radice quadrata dello spettro di potenza del rumore del rivelatore, alla frequenza di

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modulazione che utilizzeremo per eseguire fotometria differenziale sulla sorgente; il numero e' caratteristico di un rivelatore bolometrico di buona qualità utilizzato da terra). Supponiamo che la rapidità ottica del rivelatore sia 1 cm2 sr. La potenza raccolta dal rivelatore dipenderà dalla banda di frequenze infrarosse utilizzata. Se vogliamo una buona risoluzione spettrale, ad esempio λ/ ∆λ = 1000, avremo una banda di circa 1 µm, e quindi un segnale sul rivelatore Vs / ℜ≅ 10-14 W. Usando la (3.29) si può calcolare il tempo di integrazione necessario ad effettuare la misura con il rapporto segnale rumore desiderato

T ≅ 1

4 Bo

= π2

32 wn

Vs

2

S

N

2

(3.46)

va notato il fatto che il tempo di integrazione aumenta con il quadrato del rapporto segnale rumore desiderato e con il quadrato del rapporto tra rumore e segnale in ingresso: è quindi illusorio pensare di poter utilizzare rivelatori molto rumorosi compensando questo difetto con l'aumento del tempo di integrazione: questo può superare facilmente i tempi di integrazione massimi utilizzabili ad un telescopio. Nel caso dell' esempio, infatti, si ottiene T ≅ 12000 s, non proponibile per una misura reale fatta a terra: su questi tempi scala le fluttuazioni atmosferiche non si mediano sufficientemente a zero, e ridurrebbero drasticamente il rapporto segnale rumore. Si deve quindi o cambiare rivelatore (ed i migliori esistenti in questa banda hanno un rumore circa 2 ordini di grandezza inferiore, ma vanno portati nello spazio per evitare il rumore atmosferico) o allargare la banda di frequenze, accettando una risoluzione spettrale peggiore (ad esempio 10): questo è possibile perché stiamo osservando una sorgente a spettro continuo. In ambedue i casi la (3.46) ci assicura che si riuscirà ad eseguire la misura con una riduzione di 4 ordini di grandezza nel tempo di integrazione rispetto al caso iniziale. 3.6: Il correlatore Nelle misure precedenti abbiamo sempre ipotizzato di avere segnali periodici. Capita a volte di dover misurare un segnale che non ha nessuna forma di periodicità: un rumore. Ad esempio, e' interessante misurare sperimentalmente il rumore fotonico: abbiamo visto che questo è (a frequenze relativamente basse) puro rumore bianco, senza nessuna caratteristica di periodicità. Questo rumore provoca nel rivelatore delle fluttuazioni a carattere statistico in eccesso rispetto alle fluttuazioni dovute al solo rumore intrinseco del rivelatore. A meno che il rivelatore non operi in condizioni di BLIP (vedi paragrafo 2.6), le fluttuazioni di origine fotonica sono addirittura inferiori al rumore del rivelatore: si tratta quindi di estrarre un rumore piccolo immerso in un rumore più grande con la stessa struttura statistica. Non si può nemmeno modulare il segnale, perché inserendo un normale chopper di fronte al rivelatore si modulerebbe la brillanza della radiazione osservata, e non le sue fluttuazioni. Un altro esempio di misura di rumore immerso nel rumore dei rivelatori e' quello delle fluttuazioni del campo magnetico interplanetario. Un terzo esempio e' la misura del rumore Johnson di una resistenza a bassa temperatura (termometria di rumore), che può essere inferiore a quello del miglior amplificatore disponibile. La soluzione in questo caso consiste nell'uso di due rivelatori distinti e di un correlatore. Attraverso un beamsplitter (nel caso di misure di radiazione) si fa giungere ai due rivelatori lo stesso segnale fluttuante. Le tensioni all' uscita dei due rivelatori saranno

v1(t) = ℜ1 [ E1 s(t) + n1(t)] ; v2(t) = ℜ2 [ E2 s(t) + n2(t)] (3.47)

dove ℜi sono le responsività dei due rivelatori, e ni sono i rumori dei due rivelatori (in unità della grandezza da misurare); s(t) è il segnale fluttuante da misurare, ed Ei sono le efficienze con cui il beamsplitter ripartisce il segnale in ingresso sui due rivelatori. Ora non c'è nessun motivo per cui i due rumori siano correlati tra loro, essendo generati indipendentemente all' interno dei due distinti rivelatori; per lo stesso motivo non ci saranno correlazioni tra i rumori ni(t) ed il rumore da misurare s(t).

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A B

Fig. 3.19: Strumento di misura delle anisotropie del fondo cosmico (da Watson et al. 1987, Nature, \bf 326, 462). La modulazione a 3 campi è effettuata grazie ad un radiometro differenziale (che

misura la differenza delle brillanze misurate da 2 antenne, modulazione a due campi) accoppiato ad uno specchio oscillante. A destra è visibile il segnale risultante dalla scansione della striscia di cielo

a declinazione + 40 gradi: sono evidenti i due attraversamenti del piano Galattico, con la caratteristica forma dovuta alla modulazione a 3 campi.

Fig. 3.20: Correlatore per l'estrazione di segnali a struttura non periodica dal rumore dei rivelatori (vedi testo per la descrizione del funzionamento).

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Invece il segnale s(t), anche se più piccolo di ni, avrà la proprietà di essere correlato sui due rivelatori, se il beamsplitter esegue efficacemente il suo compito di ripartire istante per istante il segnale in ingresso in frazioni E1 ed E2 sui rispettivi rivelatori. Per misurare la correlazione si esegue il prodotto tra i due segnali e si integra per un certo tempo. Uno schema a blocchi della misura e' riportato in fig.3.20. Si ottiene

⟨v1(t) v2(t) ⟩ = ℜ1ℜ2

E1 E2 ⟨s(t)2⟩+E1⟨s(t) n2(t) ⟩+E2⟨s(t) n1(t) ⟩+⟨n1(t) n2(t) ⟩

(3.48)

L'unico termine a valor medio positivo è il primo, che è una stima della varianza di s(t), cioè proprio ciò che vogliamo misurare. Gli altri termini sono, a causa della mancanza di correlazione, fluttuanti e a valor medio nullo. Integrando per un tempo infinito si potrebbe quindi estrarre il valore RMS del rumore di interesse dal rumore molto maggiore del singolo rivelatore. Per tempi di integrazione finiti T si otterrà un segnale uT = ⟨v1(t) v2(t) ⟩T fluttuante intorno al valor medio u = ℜ1ℜ2 E1 E2⟨s(t)2⟩. Si può calcolare (Pallottino e Anav, 1972, Bendat e Piersol, 1971) la varianza σ2

u delle fluttuazioni del segnale d' uscita uT , nel caso di s(t) e ni(t) con spettri bianchi e rivelatori sensibili ad una banda di frequenze ∆f. Si ottiene la seguente formula per il rapporto rumore su segnale per il segnale in uscita:

σu

u

=

2 + ⟨n1

2⟩2

E22 ⟨s2⟩2

+ ⟨n2

2⟩2

E12 ⟨s2⟩2

+ ⟨n1

2⟩⟨n22⟩

(E1 E2)2 ⟨s2⟩2

2

T

1

∆f

(3.49)

Questa formula ci suggerisce che questo metodo di estrazione del segnale dal rumore sia meno efficiente dei metodi visti precedentemente, dipendendo in modo cosi' sensibile dal rapporto segnale su rumore in ingresso. E' quindi essenziale, al fine di ottenere un rapporto segnale/rumore in uscita ragionevole, avere alte efficienze e rivelatori con rumore intrinseco decisamente basso e larga banda, piuttosto che affidarsi a lunghi tempi di integrazione, che si rivelerebbero inefficaci. Un ultimo commento va fatto nel caso del rumore fotonico. Lo studio della statistica del rumore (e come primo passo la misura della varianza delle fluttuazioni del flusso radiativo da sorgenti astrofisiche) è particolarmente interessante perché assolutamente nuovo. Può dare informazioni sul grado di coerenza temporale della radiazione, e quindi permettere di risalire ai fenomeni fisici presenti nella sorgente in modo completamente indipendente dalle misure fotometriche o spettrali. Tuttavia abbiamo visto (par.2.6) che le fluttuazioni del flusso radiativo hanno due componenti: una poissoniana ed una ondulatoria. Se si considerano i fotoni come particelle materiali, l'effetto del beamsplitter sarà di riflettere (con probabilità R uguale alla riflettività) o trasmettere (con probabilità T uguale alla trasmissione) il singolo fotone sull'uno o sull'altro dei rivelatori. In tal caso non ci sarà mai alcuna correlazione tra i segnali rivelati dai due rivelatori. E' questo che deve succedere per fotoni di energia relativamente alta, nei quali il carattere corpuscolare è dominante. D'altra parte se consideriamo i fotoni come onde, l'operazione del beamsplitter sarà di trasmettere istante per istante una frazione T dell'onda elettromagnetica incidente, e riflettere una frazione R della stessa. I segnali dei due rivelatori saranno allora evidentemente correlati. E' questo che succede per fotoni di bassissima energia (ad esempio a radiofrequenza). La trattazione corretta del problema, che tiene conto della doppia natura ondulatoria e corpuscolare dei fotoni, dimostra che la correlazione ottenibile dal sistema sopra illustrato è dovuta solo alla parte ondulatoria delle fluttuazioni. Anzi, questa proprietà fu utilizzata nell'esperimento di Handbury-Brown e Twiss (1957) per eliminare le fluttuazioni di tipo poissoniano e dimostrare l'esistenza del rumore ondulatorio (wave interference noise) della radiazione.

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Riferimenti Capitolo 3

Bendat J.S., Piersol A.G., 1971, Random Data: Analysis and Measurement Procedures, Wiley, N.Y.. Handbury-Brown R., Twiss R.Q., 1957, Proc. R. Soc., A243, 291 e 300. Meade M.L., 1983, Lock-in amplifiers: principles and applications, Peter Peregrinus Ltd, London. Per ulteriori dettagli sul Lock- in. Millman J., Halkias C.C., 1972, Integrated Electronics, Mc Graw Hill, N.Y.. Pallottino G.V., Anav A., 1972, Nota Interna dell'Istituto di Fisica, Università di Roma.