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Introduzione alla Psicofisica (di Roberto Burro) 33 / 76 CAPITOLO 4 La Teoria della Detezione del Segnale Pur portando ad una buona stabilizzazione delle misure, i “metodi psicofisici classici” non consentono di controllare i processi che mediano la relazione “sensazione – giudizio”. A colmare tale lacuna, ha contribuito, a partire dalla seconda metà degli anni ’50, la Teoria Della Detezione Del Segnale (TDS), spostando l’attenzione dalla misurazione diretta delle soglie sensoriali (assolute e differenziali), alla determinazione delle modalità secondo le quali un soggetto decide che un certo stimolo è presente o assente. Le caratteristiche più rilevanti della TDS sono: 1) un rifiuto del concetto di soglia dello stimolo (come si è già riportato, valore fisico, statisticamente determinato, in grado di elicitare una reazione il 50% delle volte che viene presentato. E’ considerata punto 0 sul continuum delle sensazioni). Al centro di questo vi è una logica considerazione: solo una assenza totale di stimolo non origina alcuna sensazione ed esistono sempre sensazioni elicitate, anche se non vi è alcuno stimolo fisico ben identificabile. Se si impedisce alla vista di cogliere un evento chiudendo gli occhi, è errato dire che non percepisce nulla: si vede il grigio oculare. Allo stesso modo, entrando in una stanza perfettamente insonorizzata, non si ode il completo silenzio, ma il ronzio fisiologico dovuto alla circolazione sanguigna nell’orecchio interno. L’osservatore (o l’ascoltatore) non percepisce uno stimolo per il fatto che questo è d’un valore inferiore ad un certa soglia fisica, ma perché il criterio adottato dal soggetto per stabilirne la presenza, è stato fissato ad un livello troppo alto ai fini d’una risposta emettibile. Si passa, quindi, dal concetto di soglia dello stimolo a quello di soglia di risposta, considerato il vero punto 0 sul continuum delle sensazioni. 2) la convinzione che qualsiasi prestazione discriminativa possa essere vista come il risultato dell’interazione tra due componenti: la SENSIBILITA’ DEL SISTEMA percettivo, ovvero la sua capacità di rilevare la presenza di una sorgente stimolante nell’ambiente esterno (funzione sia dei parametri fisici dello stimolo che dell’apparato sensoriale del soggetto) ed il CRITERIO DI RISPOSTA, ovvero l’insieme di tutte quelle variabili che possono influenzare il soggetto, quali la motivazione, la conoscenza di alcuni fatti, le convinzioni implicite circa la probabilità di comparsa ci certi stimoli, la valutazione in termini di costi / benefici associate ad alcune risposte. Essenzialmente, il CRITERIO DI RISPOSTA, è una misura della tendenza che il soggetto ha a scegliere una tra le due possibili risposte: stimolo assente – stimolo presente.

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Introduzione alla Psicofisica (di Roberto Burro)

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CAPITOLO 4 – La Teoria della Detezione del Segnale Pur portando ad una buona stabilizzazione delle misure, i “metodi psicofisici classici” non consentono di controllare i processi che mediano la relazione “sensazione – giudizio”. A colmare tale lacuna, ha contribuito, a partire dalla seconda metà degli anni ’50, la Teoria Della Detezione Del Segnale (TDS), spostando l’attenzione dalla misurazione diretta delle soglie sensoriali (assolute e differenziali), alla determinazione delle modalità secondo le quali un soggetto decide che un certo stimolo è presente o assente. Le caratteristiche più rilevanti della TDS sono: 1) un rifiuto del concetto di soglia dello stimolo (come si è già riportato, valore fisico, statisticamente determinato, in grado di elicitare una reazione il 50% delle volte che viene presentato. E’ considerata punto 0 sul continuum delle sensazioni). Al centro di questo vi è una logica considerazione: solo una assenza totale di stimolo non origina alcuna sensazione ed esistono sempre sensazioni elicitate, anche se non vi è alcuno stimolo fisico ben identificabile. Se si impedisce alla vista di cogliere un evento chiudendo gli occhi, è errato dire che non percepisce nulla: si vede il grigio oculare. Allo stesso modo, entrando in una stanza perfettamente insonorizzata, non si ode il completo silenzio, ma il ronzio fisiologico dovuto alla circolazione sanguigna nell’orecchio interno. L’osservatore (o l’ascoltatore) non percepisce uno stimolo per il fatto che questo è d’un valore inferiore ad un certa soglia fisica, ma perché il criterio adottato dal soggetto per stabilirne la presenza, è stato fissato ad un livello troppo alto ai fini d’una risposta emettibile. Si passa, quindi, dal concetto di soglia dello stimolo a quello di soglia di risposta, considerato il vero punto 0 sul continuum delle sensazioni. 2) la convinzione che qualsiasi prestazione discriminativa possa essere vista come il risultato dell’interazione tra due componenti: la SENSIBILITA’ DEL SISTEMA percettivo, ovvero la sua capacità di rilevare la presenza di una sorgente stimolante nell’ambiente esterno (funzione sia dei parametri fisici dello stimolo che dell’apparato sensoriale del soggetto) ed il CRITERIO DI RISPOSTA, ovvero l’insieme di tutte quelle variabili che possono influenzare il soggetto, quali la motivazione, la conoscenza di alcuni fatti, le convinzioni implicite circa la probabilità di comparsa ci certi stimoli, la valutazione in termini di costi / benefici associate ad alcune risposte. Essenzialmente, il CRITERIO DI RISPOSTA, è una misura della tendenza che il soggetto ha a scegliere una tra le due possibili risposte: stimolo assente – stimolo presente.

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4.1 La sensibilità del sistema: l’indice dI Si immagini un soggetto dotato di cuffie a cui venga chiesto di rilevare la presenza di un segnale acustico all’interno di un contesto – sottofondo costituito da rumore bianco continuativamente udibile. Le condizioni di stimolazione sono due: 1) NOISE (N) – presenza, nel campo percettivo, del solo rumore di fondo; 2) SIGNAL + NOISE (SN) – presenza, nel campo percettivo, del segnale acustico sovrapposto al rumore di fondo. Si noti come questo semplice paradigma possa essere esteso a tutte le situazioni percettive, essendo di fatto ineliminabile la presenza di “rumore”. Una prima fondamentale assunzione della TDS consiste nel ritenere che, nonostante la condizione N e la condizione SN siano fisicamente sempre costanti, i loro effetti sensoriali non lo siano e cambino, da momento a momento, in un modo che può essere adeguatamente descritto dalla distribuzione normale. In una seconda assunzione si ritiene che la distribuzione di N (indicata usualmente con EN) possa essere rappresentata assieme alla distribuzione di SN (ESN) lungo uno stesso continuum detto asse di decisione. Si veda la figura 12 in cui è rappresentato il caso più semplice e a cui si farà riferimento per la spiegazione: quello con distribuzioni EN ed ESN di varianza omogenea.

Figura 12: distribuzioni EN e ESN a confronto ed indice di sensibilità

Ragionevolmente, la presenza del segnale è tanto più facilmente individuabile quanto minore è l’area di sovrapposizione delle due distribuzioni EN ed ESN. La distanza lineare tra due punti corrispondenti delle distribuzioni considerate (ad esempio i due picchi come indicato in figura 12), può essere considerata un’efficace misura della SENSIBILITA’

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DEL SISTEMA (se vi è omogeneità tra le varianze delle due distribuzioni). Tale distanza prende il nome di indice di sensibilità dI. 4.2 Il criterio di risposta: l’indice c Normalmente, in una prova di detezione, il soggetto deve dire se un determinato evento è presente o assente: si suppone che tale evento produca un effetto di una data grandezza a livello dei sistemi sensoriali. Sulla base della quantità dell’effetto e di varianti contestuali e personali, il soggetto deve decidere se la sensazione esperita è stata determinata da N o da SN. Nel far questo, si suppone che il soggetto selezioni un determinato punto lungo l’asse di decisione, ossia stabilisca un livello sensoriale a destra del quale le sue risposte saranno del tipo “segnale presente” e a sinistra del tipo “segnale assente”. A tale punto, o livello sensoriale, si dà il nome di criterio di risposta c. Si veda la figura 13.

Figura 13: rappresentazione del criterio di risposta

In riferimento alla figura 13, se l’effetto esperito dal soggetto è d’un livello pari a quello indicato con X1, quindi inferiore al criterio c, la risposta del soggetto è “segnale assente”. E’ bene osservare che la posizione del criterio c è del tutto indipendente dalla distanza che separa le distribuzioni EN ed ESN. In breve, qualsiasi sia il valore di dI, la risposta “segnale assente” o “segnale presente” dipende unicamente dalla sensazione esperita in relazione al criterio c: più il criterio c è spostato a sinistra lungo l’asse delle decisioni, tanto più alta è la probabilità di ottenere risposte “segnale presente”. Viceversa, quanto più il criterio c si trova spostato a destra, tanto più alta è la probabilità di risposte “segnale assente”. 4.3 Approfondimento Descrivere la prestazione discriminativa secondo i canoni della TDS, significa, in pratica, calcolare il valore dell’indice di sensibilità dI e del criterio di risposta c.

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Il criterio c taglia le distribuzioni EN ed ESN dando origine a 4 porzioni di area. Ognuna delle 4 aree rappresenta una delle quattro possibili condizioni ottenibili in un compito di detezione. Si veda la tabella 8 e la figura 14.

RISPOSTA del soggetto SI NO

SN (segnale presente) H (Hit)

M (Miss) Segnale

(condizione di stimolazione) N (segnale assente) FA

(false alarm)

CR (correct

rejection) Tabella 8: possibili risposte ottenibili applicando la TDS

Figura 14: rappresentazione delle possibili risposte ottenibili applicando la TDS

H = il soggetto risponde “Sì” ed il segnale è presente

M = il soggetto risponde “No” ed il segnale è presente FA = il soggetto risponde “Sì” ed il segnale è assente

CR = il soggetto risponde “No” ed il segnale è assente

Dato che il valore di probabilità dell’intera area sotto la curva normale vale convenzionalmente ptot =1, si avrà:

pH + pM = 1 e pCR + pFA =1

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dove: pH = (numero di H / numero di SN) = proporzione della condizione HIT pM = (numero di M / numero di SN) = proporzione della condizione MISS pFA = (numero di FA / numero di N) = proporzione della condizione FALSE ALARM pCR = (numero di CR / numero di N) = proporzione della condizione CORRECT REJECTION Accanto alle proporzioni condizionali appena descritte, vi è un’altra probabilità di notevole importanza: la proporzione a priori di N ed SN. Ovvero: pSN = (numero di SN / numero di SN + N) = proporzione a priori di SN pN = (numero di N / numero di SN + N) = proporzione a priori di N 4.4 Calcolo dell’indice di sensibilità dI

Come si è già detto, la distanza tra i picchi delle distribuzioni EN ed ESN (distanza tra le medie delle distribuzioni) costituisce una buona misura della sensibilità del sistema. Tale distanza si calcola in 3 modi diversi, a seconda della posizione assunta dal criterio c, dedotta dal valore di pH e di pFA. Si rammenta che l’area compresa sotto la curva normale è pari ad una proporzione di valore 1 e che, quindi, la media divide la curva stessa in 2 aree (rispettivamente sotto metà curva) di proporzione pari a 0.5. In tutte e tre le modalità di calcolo i passaggi fondamentali sono: 1) il calcolo delle proporzioni pZh e pZfa di area sotto la distribuzione normale (sia ESN che EN) compresa tra il criterio c e la media della distribuzione stessa.

2) la trasformazione delle proporzioni pZh e pZfa appena calcolate nei relativi punti zH e zFA (tramite l’utilizzo delle apposite tabelle). Si sottolinea che, in questa situazione, zH e zFA altro non rappresentano che, rispettivamente, la distanza della media della distribuzione ESN e della distribuzione EN dal criterio c. 3) calcolo dell’indice di sensibilità dI.

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Nello specifico: - Se il criterio c è compreso tra le medie delle distribuzioni ESN ed EN (ciò avviene quando pH > 0.5 e pFA < 0.5), si procede come segue: a) pZh = pH – 0.5 pZfa = 0.5 – pFA

b) trasformazione di pZh e pZfa in zH e zFA tramite “tabelle punti z” c) dI = zH + zFA Per una miglior comprensione di questo caso, che è anche il più diffuso, si veda la figura 15.

Figura 15: criterio c compreso tra le medie delle distribuzioni ESN ed EN

- Se il criterio c si trova a destra della media della distribuzione ESN (ciò avviene quando pH < 0.5 e pFA < 0.5), si procede come segue: a) pZh = 0.5 – pH pZfa = 0.5 – pFA

b) trasformazione di pZh e pZfa in zH e zFA tramite “tabelle punti z” c) dI = zFA – zH

- Se il criterio c si trova a sinistra della media della distribuzione EN (ciò avviene quando pH > 0.5 e pFA > 0.5), si procede come segue: a) pZh = pH – 0.5 pZfa = pFA – 0.5 b) trasformazione di pZh e pZfa in zH e zFA tramite “tabelle punti z” c) dI = zH – zFA

zFA zH

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4.5 Calcolo del criterio di risposta c

Il criterio c è una misura che ci dice se il soggetto sperimentale predilige dare risposte “segnale presente” o “segnale assente”. Per convenzione, i valori di c usati indicano quanto le risposte “segnale assente” tendono ad essere preferite. In breve: se il criterio c ha valore positivo, significa che il soggetto ha dato un maggior numero di risposte “segnale assente” e quindi che il criterio stesso si trova a destra rispetto al punto di contatto delle distribuzioni EN ed ESN. Se il criterio c ha valore negativo, il soggetto ha dato un numero maggiore di risposte “segnale presente” e, quindi, il criterio si trova a sinistra del punto di contatto tra EN ed ESN. Nel caso in cui il criterio passi esattamente per il punto in cui EN ed ESN si toccano, il criterio c avrà valore 0 (cioè non vi è alcuna tendenza a privilegiare una delle due possibili risposte rispetto all’altra). Questa particolare condizione prende il nome di criterio ottimale. La formula per il calcolo del criterio c è la seguente:

2

H FAz zc

+= − (23)

Si veda la figura 16.

Figura 16: rappresentazione del criterio di risposta c

4.6 Il rapporto di probabilità β

Una misura differente del criterio di risposta è l’indice β , ossia il rapporto tra le funzioni di densità, cioè tra i valori in ordinata delle due distribuzioni EN ed ESN nel punto in cui sono intersecate dal criterio. In formula:

( )( )

x

x

f SNf N

β = (24)

Valori di “c” positivi

Valori di “c” negativi

c = 0

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dove i valori di fx (SN) ed fx (N) si ottengono utilizzando le apposite tabelle. Si veda la figura 17.

Figura 17: rappresentazione del rapporto di probabilità

In questo caso, il CRITERIO OTTIMALE lo si ha quando β = 1 (normalmente indicato con 0β ). Le considerazioni fatte fin qui riguardanti il criterio ottimale (sia con riferimento a c che a 0β ) valgono solo se le proporzioni a priori pSN e pN sono uguali ed entrambe di valore pari a 0.5. In caso contrario, tali proporzioni vanno considerate per il computo del criterio ottimale. Precisamente, per calcolare il valore del criterio ottimale al quale la proporzione di risposte corrette è massima, si procede secondo la seguante formula:

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0N

SN

pp

β = (25)

4.7 Rapporto tra criterio di risposta ottimale e criterio di risposta effettivo

I soggetti sperimentali non scelgono praticamente mai un criterio di risposta che coincide con quello ottimale. Da uno studio fatto (Green e Sweet – 1966) risulta che variazioni del criterio dovute alla manipolazione della probabilità a priori e degli schemi guadagno perdita (argomento trattato in seguito), originano un rapporto tra β e 0β come da figura 18.

Figura 18: rapporto tra criterio e criterio ottimale

Essenzialmente, il soggetto manifesta una certa resistenza a impiegare valori molto grandi del parametro β , cosa che lo costringerebbe a rispondere quasi sempre “segnale assente”, oppure molto piccoli, cosa che lo forzerebbe invece ad assumere l’atteggiamento opposto e a rispondere quasi sempre “segnale presente”. E’ come se il soggetto non credesse che le condizioni sperimentali si allontanano molto da quelle “ragionevolmente” prevedibili (cioè, segnale presente / assente circa metà delle volte).

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Va comunque sottolineato che anche se il soggetto non usa il criterio ottimale 0β , egli tende comunque a spostare il proprio β in direzione di

0β . 4.8 Utilità pratica dell’indice di sensibilità dI e del criterio di risposta c (o β)

Si riporta, qui di seguito, un esempio al fine di esprimere meglio il significato dell’indice di sensibilità e del criterio di risposta. Si immaginino queste due situazioni sperimentali: a) alcuni ricercatori sono interessati a verificare se risponde a verità che, in condizioni di leggera trance ipnotica, è possibile indurre in un soggetto una riduzione della sensibilità al dolore; b) alcuni dirigenti di un ospedale sono interessati a controllare se un dato training per il miglioramento delle capacità diagnostiche dei medici nella lettura delle ecografie addominali è efficace oppure no. Entrambi i casi possono essere analizzati applicando la TDS. Nell’esperimento “a”, al soggetto ipnotico vengono somministrate scariche elettriche (poco dolorose) sia in condizioni di veglia che di trance ed il soggetto deve rispondere se la scarica è stata somministrata o meno. Nell’esperimento “b”, ad un medico vengono mostrate, sia prima che dopo il training, ecografie addominali di pazienti sani e di pazienti malati ed in entrambi i casi egli deve indicare quelle in cui sono presenti tracce di tessuto malato. Supponiamo che i risultati finali siano quelli mostrati in tabella 9 e 10.

Tabella 9: dati relativi all’esperimento “a”

Tabella 10: dati relativi all’esperimento “b”

Esperimento “a” Veglia Trance ipnotica

dI = 2.211 dI = 2.169 c = -0.299 c = 0.090

Esperimento “b” Prima del training

Dopo il training

dI = 2.261 dI = 2.666 c = -0.424 c = -0.418

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Nel caso “a” si vede come dI nelle due condizioni rimanga pressoché costante e come invece sia c a cambiare in modo significativo. Ciò indica che l’induzione della trance ipnotica non influenza direttamente la sensibilità del sistema di percezione del dolore, ma agisce sull’atteggiamento dei soggetti: durante lo stato di trance i soggetti sperimentali sono più portati a dire, rispetto alla veglia, che non provano dolore (c positivo spostato a destra). Nel caso “b”, invece, la tendenza del medico a diagnosticare la presenza di tessuti malati è virtualmente identica sia prima che dopo il training, il quale però mostra d’aver influenzato la sensibilità del sistema (ha cioè contribuito ad aumentare le capacità di analisi diagnostica del medico). 4.9 Gli schemi guadagno/perdita

Tra i fattori che maggiormente influenzano la posizione del criterio di risposta lungo l’asse di decisione vanno annoverati tutti quelli che possono essere catalogati come guadagni e perdite legati all’emissione di una risposta piuttosto che un’altra. Se, ad esempio, ad un soggetto viene detto che, ogni volta che egli risponderà (in modo corretto) d’aver percepito il segnale gli saranno dati dei soldi, è molto probabile che egli avrà la tendenza a rispondere più spesso “SI, ho percepito il segnale” piuttosto che “NO, non ho percepito il segnale”. Questo provocherebbe uno spostamento del criterio verso sinistra. I casi più subdoli e meno controllabili non sono però quelli legati a guadagni/perdite “materiali” così come nell’esempio appena visto. Vi sono, infatti, circostanze in cui il soggetto prediligerà certi comportamenti decisionali per motivi che potremmo definire “psicologici”: è possibile, ad esempio, che per far bella figura con lo sperimentatore, egli decida di rispondere più spesso “SI, ho percepito il segnale” al fine di dimostrare una sua particolare abilità nel compito datogli. E’ poi anche possibile che una risposta possa scatenare una catena di conseguenze diverse rispetto alla risposta contraria e, proprio per questo motivo, possa essere preferita. Si pensi al caso di un pilota di caccia che durante un combattimento deve decidere se un battaglione di terra è nemico oppure no. Egli, nell’incertezza, sarà molto più portato a ritenere il battaglione come “battaglione non nemico” piuttosto che nemico (spostamento del criterio verso destra). Se così non fosse, in caso di errore, il pilota rischierebbe di sganciare le proprie bombe contro un battaglione non nemico e le conseguenze sarebbero ben peggiori del non aver bombardato un battaglione realmente nemico. Negli esempi fatti nelle sezioni precedenti in cui non si considerava la presenza di possibili schemi guadagno / perdita, gli schemi stessi erano da sottintendersi strutturati come mostra la tabella 11 sottostante.

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RISPOSTA del soggetto

SI NO SN (segnale presente) +1 -1 Stimolazione

N (segnale assente) -1 +1 Tabella 11: schema guadagno / perdita ideale

In altre parole, le risposte corrette (HIT e CORRECT REJECTION) implicavano un guadagno equivalente alla perdita determinata dalle risposte errate (FALSE ALARM e MISS). Come comportarsi in caso ci si trovi davanti ad uno schema guadagno / perdita del tipo di quello di tabella 12?

RISPOSTA del soggetto

SI NO SN (segnale presente) +5 -5 Stimolazione

N (segnale assente) -5 +500 Tabella 12: schema guadagno / perdita non ideale

In questi casi è possibile determinare una funzione matematica che consente di calcolare il valore del parametro 0β atto a massimizzare il guadagno per situazioni di decisione in cui lo schema guadagno / perdita è sbilanciato. Tale funzione è:

( )( )0

N CR FA

SN H M

p G P

p G Pβ

+=

+ (26)

dove GCR e GH sono rispettivamente i guadagni associati ai CORRECT REJECTION e agli HIT; PFA e PM (scritti maiuscolo) sono le perdite associate ai FALSE ALARM ed ai MISS.

Va detto che, anche in quelle prove in cui guadagni e perdite non sono esplicitamente assegnati ai quattro possibili risultati ottenibili, si trovano spesso valori impliciti. E’ abbastanza usuale che un soggetto si accorga che un FA sia implicitamente “peggio” di un M e che quindi i primi sono da tenere ad una frequenza piuttosto bassa e comunque inferiore a quella dei secondi. Tale auto – istruzione incrementa il numeratore nell’equazione per il calcolo di 0β ed accresce il valore che criterio ottimale stesso.

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4.10 Le curve ROC (Receiver Operating Characteristic)

Come si è detto, il risultato di un esperimento che utilizza il paradigma della TDS può essere sintetizzato da una coppia di numeri, il primo consistente nella proporzione degli HIT ed il secondo nella proporzione dei FALSE ALARM. Assumendo che le distribuzioni EN ed ESN siano di varianza omogenea, tali proporzioni sono sufficienti per effettuare il calcolo di dI e del criterio di risposta (sia esso espresso con c o β ). Supponiamo ora di trovarci di fronte alla situazione rappresentata in tabella 13 ed in figura 19, in cui si mostrano pH, pFA e c ottenute da uno stesso soggetto sottoposto a 5 condizioni sperimentali differenti l’una dall’altra ed organizzate in modo da localizzare il criterio di risposta a 5 diversi livelli lungo l’asse di decisione (ciò è facilmente ottenibile, ad esempio, giostrando sullo schema guadagno / perdita, o sulle probabilità a priori di EN ed ESN).

Esperimento 1 2 3 4 5 Criterio di risposta c1 c2 c3 c4 c5

pH 0.97 0.95 0.84 0.72 0.46 pFA 0.76 0.56 0.22 0.15 0.10

Tabella 13: criteri di risposta a confronto

Figura 19: rappresentazione grafica dei dati di tabella 13

E’ possibile rappresentare i diversi criteri c all’interno di un diagramma che riporta in ascissa le proporzioni di FA ed in ordinata quelle degli H. Le curve risultanti da tale rappresentazione grafica prendono il nome di curve ROC (Receiver – Operating Characteristic). Le curve ROC sono conosciute anche col nome di curve di isosensibilità in quanto, riferendosi ad un’unica coppia di distribuzioni EN ed ESN, esprimono variazioni del criterio c in funzione di un unico valore di dI. Si veda la figura 20.

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Figura 20: rappresentazione grafica di una curva ROC

Quando, così come accade quasi sempre, pH > pFA , le curve ROC si localizzano nella metà superiore sinistra del grafico. Vi sono poi due casi estremi che non avvengono praticamente mai: quello in cui la distanza tra EN ed ESN è uguale a zero (dI = 0) e quello in cui la distanza tra EN ed ESN è infinita (dI = ∞). Nel primo caso la curva ROC coincide con la diagonale principale; nel secondo caso coincide con il punto in alto a sinistra del grafico. La diagonale principale è anche detta linea della scelta casuale. Si veda la figura 21.

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Figura 21: curve ROC a confronto

Nei paragrafi precedenti si è insistito sul parametro β perché, in riferimento alle curve ROC, possiede delle caratteristiche che lo rendono più significativo di c. Esso, infatti, può essere concepito come una misura della pendenza della curva ROC per ogni posizione del criterio. Si può dimostrare che, dato un qualsiasi valore del criterio di risposta β , la retta tangente alla curva in quel punto forma un angolo α con l’asse delle ascisse la cui tangente corrisponde a β . Si veda la figura 22.

Figura 22: pendenza delle curve ROC

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4.11 La rettificazione delle curve ROC

Se le proporzioni in ascissa ed in ordinata (pFA e pH) vengono espresse in punti z, le curve ROC possono essere facilmente trasformate in rette. Tale rettificazione consente una stima piuttosto agevole dell’indice di sensibilità dI il quale può essere calcolato come intercetta della retta ROC sull’asse verticale, quindi come il valore di zH quando zFA è pari a zero. Si veda la figura 23 in cui sono raffigurate le rette ROC ottenute dalla rettificazione delle curve ROC di figura 21.

Figura 23: curve ROC rettificate

Un parametro molto importante espresso dalle rette ROC è il coefficiente angolare b. Esso è fondamentale in quanto è correlato al rapporto tra le varianze delle due distribuzioni EN ed ESN. Se b = 1 come nei casi di figura 23, significa che le due distribuzioni hanno varianza omogenea; se b è diverso da 1, allora le distribuzioni hanno variaza differente (condizione fin qui non trattata, ma che verrà presa in esame in seguito). 4.12 Il calcolo di “di” utilizzando le rette ROC L’uso delle rette ROC è senza dubbio il più indicato per procedere al calcolo dell’indice di sensibilità specie in quei casi in cui, così come spesso

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avviene negli esperimenti di laboratorio, le distribuzioni EN ed ESN hanno varianze differenti. Si distinguono, così, due casi: - Se le varianze delle distribuzioni EN ed ESN sono omogenee (retta ROC inclinata di 45° o quasi), la procedura di calcolo consiste, in sostanza, nella stima dei parametri della retta ROC. Il coefficiente angolare “b”, lo si calcola secondo la seguente formula:

1 1 12

2

1 1

n n n

H FA FA H

n n

FA FA

n z z z z

b

n z z

⎡ ⎤⎛ ⎞ ⎛ ⎞−⎢ ⎥⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎝ ⎠ ⎝ ⎠⎣ ⎦=

⎛ ⎞ ⎛ ⎞−⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎝ ⎠ ⎝ ⎠

∑ ∑ ∑

∑ ∑ (27)

dove: zH = punto z della proporzione condizionale pH zFa = punto z della proporzione condizionale pFa n = numero di coppie di valori zH e zFA

Calcolato b, si può passare al computo dell’intercetta a che, come già si è detto, nel presente caso coincide con dI:

1 1

n n

H FAI

z b za d

n n= = −

∑ ∑ (28)

- Se le varienze delle distribuzioni EN ed ESN non sono omogenee (retta ROC con pendenza diversa da 45°), le cose vanno in maniera diversa. Una tale condizione di non omogeneità oltre a rendere inadeguato il calcolo di dI per mezzo dell’intercetta, introduce anche una indeterminatezza della definizione dello stesso indice dI. Si veda la figura 24.

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Figura 24: varianze non omogenee e dI differenti

Con varianze differenti non esiste un’unica misura possibile della distanza tra le due distribuzioni (quindi di dI). La mancanza di omogeneità delle varianze determina distanze differenti tra i punti di intersezione della retta ROC con gli assi principali e l’origine degli stessi, come mostrato in figura 25.

Figura 25: mancanza di omogeneità tra le varianze e rette ROC

Si necessita, quindi, dell’utilizzo di una metodica che consenta di stimare l’indice di sensibilità dI in tutti i casi in cui non vi è omogeneità tra le varianze delle distribuzioni EN ed ESN (per una buona stima dell’omogeneità delle varianze si faccia riferimento a: il test Fmax di Hartley, il test di Cochran, il test di Bartlett, il test di Levene). Esistono 3 indici (da preferirsi uno all’altro a seconda delle esigenze dello sperimentatore) che descrivono, in tali situazioni, la sensibilità del sistema. Precisamente: - l’indice dI

Δm. Tale indice consiste nel valore di zFA quando zH = 0. Si veda la figura 26.

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Figura 26: l’indice dI

Δm

Sapendo, dalla trigonometria, che il coefficiente angolare b è la tangente dell’angolo α che la retta ROC forma con l’asse orizzontale e che il cateto opposto ad α è l’intercetta a, il calcolo di dI

Δm lo si ottiene facendo:

Im

ad

bΔ = (29)

- l’indice dI

e. E’ questo un indice migliore del precedente, in quanto (si tenga come riferimento la figura 25) dI

Δm era fatto coincidere con dI1, mentre dI

e è un valore intermedio tra dI

1 e dI2 e per questo descrive meglio entrambe le

misure. Si veda la figura 27.

dIΔm

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Figura 27: l’indice dI

e

L’indice dIe è una stima della distanza basata sulla media aritmetica delle

deviazioni standard delle due distribuzioni. E’ calcolabile secondo la formula:

21

Ie

ad

b=

+ (30)

La formula la si spiega a partire dal teorema dei seni che , in riferimento alla figura 27, ci dice:

22

Ied

A = (31)

- l’indice dI

a. E’ questo un indice paragonabile, in precisione, al dIe. L’indice dI

a rappresenta una stima dell’indice di sensibilità basata su una distanza DYX, ovvero la perpendicolare alla retta ROC a partire dall’origine degli assi cartesiani. Si veda la figura 28.

dIΔm

dIe

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Figura 28: l’indice dI

a

L’indice dIa fornisce una stima che tiene conto contemporaneamente delle

due diverse varianze delle distribuzioni. Per il calcolo di dIa si procede come

da formula:

21

2

Ia

ad

b=

+ (32)

oppure, usando la trigonometria: cos 2I

ad a α= ⋅ ⋅ (33)

4.13 Il calcolo di “c” utilizzando le rette ROC

Nel caso in cui la retta ROC abbia un coefficiente angolare b pari ad 1, il calcolo di “c” lo si effettua usando la formula già vista:

2

H FAz zc

+= − (34)

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Se, invece, b è diverso da 1, vi sono 2 modi per calcolare “c". Le procedure sono simili a quelle già viste per dI

e e dIa. Il primo modo, calcolo di ce, è

basato sulla media delle deviazioni standard delle due distribuzioni:

( )

( )2

21e H FA

bc z z

b= − +

+ (35)

Il secondo modo, calcolo di ca, è basato sulla radice quadrata media delle deviazioni standard delle due distribuzioni:

( ) ( )

( )2

2

1 1a H FA

bc z z

b b

⎡ ⎤⎢ ⎥= − +⎢ ⎥+ +⎣ ⎦

(36)

4.14 L’invarianza delle rette ROC

In termini di retta ROC, le variabili non sensoriali che influenzano il comportamento discriminativo del soggetto fanno spostare la prestazione dello stesso lungo una retta di isosensibilità. Galanter e Holman (1967) hanno ampiamente verificato come vi sia una indipendenza, esprimibile in termini di curva ROC, tra sensibilità del sistema e criterio di risposta. In un esperimento in cui manipolavano il criterio di risposta tramite la modifica degli schemi guadagno / perdita, delle probabilità a priori e delle istruzioni date al soggetto, i due ricercatori citati hanno ottenuto la serie di dati schematizzati nelle rette ROC di figura 29.

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Figura 29: l’invarianza delle rette ROC

Le 3 rette ROC ottenute coincidono statisticamente ed il loro coefficiente angolare non differisce significativamente da 1. Ciò dimostra che, nonostante il soggetto modifichi la distribuzione delle proprie risposte SI’ / NO (spostamento del criterio verso destra o verso sinistra), la sensibilità del suo sistema percettivo rimane la stessa. Ciò è dimostrato dal fatto che le tre rette passano più o meno tutte per lo stesso punto sull’asse delle ordinate (il che equivale a dire che i tre dI ottenibili dalle tre rette ROC sono sostanzialmente uguali). 4.15 Le curve di isocriterio

Nello spazio ROC, oltre alle curve di isosensibilità, possono essere tracciate anche le curve di isocriterio che rappresentano il variare della sensibilità del sistema percettivo mantenendo costante il criterio. Si veda la figura 30.

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Figura 30: le curve di isocriterio

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Importante, nel caso di utilizzo di curve / rette di isocriterio, è la determinazione di un indice che consenta di calcolare la proporzione di HIT in funzione di quella dei FALSE ALARM. Sapendo che:

2

H FAz zc

+= − (37)

si deriva: ( )2H FAz c z= − + (38) Ponendo c uguale ad una costante, sarà possibile calcolare per ogni valore di zFA, il rispettivo zH.