censis - considerazioni generali 2014

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Considerazioni generali (pp. IX XXIII del volume)

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Introduction to the last report of the Centro Studi Investimenti Osciali (CENSIS) on the social situation on Italy. It's a traditional pubblication that analyze the main trend of yhe italian society

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  • Considerazioni generali

    (pp. IX XXIII del volume)

  • Dopo anni di trepida attesa, la ripresa non arrivata e non pi data come immi-nente; e quasi si ha il pudore, forse la stanchezza, di continuare a usare un termineormai consumato nel racconto collettivo.

    Si affermano cos altre trame del racconto. Da una parte ci si adagia, con un pizzicodi fatalismo, a introiettare un galleggiamento su antiche mediocrit, senza troppidrammi per le ricorrenti notizie traumatiche, incasellandole con il sorriso dolentedel ce ne faremo una ragione. Mentre dallaltra parte si fugge in avanti moltipli-cando incentivi, riforme e manovre volte a spezzare linerzia del corpo sociale, avalorizzare qualche vecchio o nuovo cespuglio di vitalit, a recuperare credibilit epeso a livello europeo.

    Due modi di vedere le cose che certo non si integrano fra loro, anzi neppure si con-frontano, tanto pi che nellattenzione collettiva precipitano ogni giorno stimoli di-versissimi e parziali (lEbola come diffuse storiacce di cronaca) che riducono lastessa volont di guardare con attenzione la congiunzione fra una sconcertante ras-segnazione collettiva e unaffannosa moltiplicazione dei tentativi per sfuggire adessa. Ne risulta una societ sempre pi informe, sghemba addirittura nei suoi pen-sieri.

    giusto quindi riprendere il filo dei nostri pensieri collettivi a partire dallaggancioa come eravamo qualche anno fa. Non si tratta di un proposito continuista, che sa-rebbe in questo periodo poco di moda e forse rischioso. Si tratta solo di richiamaredue semplici verit: la prima, banale e kirkegaardiana insieme, che non pensabileuna ri-presa dello sviluppo senza unadeguata ri-flessione della base reale su cuioperiamo; la seconda, forse ancora pi banale, che, come tutte le societ complesse,la nostra societ cambia non attraverso svolte (momenti magici decisivi), ma at-traverso processi di transizione, necessariamente lenti e silenziosi.

    Qual allora la societ in cui si sta attuando la strutturale transizione di questi anni?Non c bisogno di inventarsi nuove metafore interpretative per ribadire una realtda tempo chiara: siamo una societ molto differenziata, molecolare, ad alta sogget-tivit, piena di aspettative e di obiettivi diversi. Altri lhanno chiamata societ li-quida e la definizione pu utilmente essere presa a riferimento di base, specialmenteda chi inclina spesso alle metafore idrauliche (si pensi a quanto anche questo Rap-porto ha navigato su fenomeni quali il sommerso, il galleggiamento, la mucillagine).

    Al di l delle metafore, siamo comunque una societ indistinta e sfuggente: indi-stinta, perch non pi descrivibile con forme e figure delineate e significative (sipensi al progressivo successo del termine gente e alla propensione a parlare digentismo); e sfuggente, perch tutto vaga senza radicamenti, per cui impensabileun ritorno ai fili derba e ai cespugli di sviluppo, fenomeni tipicamente terragni, chehanno cio bisogno di terra per sorgere e crescere.

    Ma queste due caratteristiche sono quasi secondarie rispetto alla loro visibile inci-denza su un processo oggi sempre pi impressivo: la societ liquida rende liquefattoil sistema, o almeno mette in crisi le giunture sistemiche della vita collettiva.

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  • Per anni sono stati esaltati i termini sistema e sistemico: labbiamo fatto ai pianialti (il sistema politico, il sistema istituzionale, ecc.); labbiamo fatto a livello eco-nomico (nella programmazione di sistema, nel sistema bancario, nel sistema dellepartecipazioni statali, ecc.); labbiamo fatto nei processi intermedi di decisione e dipartecipazione (il sistema burocratico, il sistema sindacale, il sistema contrattuale,ecc.); e abbiamo finito per farlo anche a livello micro, con linvito a fare sistemache echeggia in tante riunioni e convention collettive. Senza contare la sua massimadeclinazione, il retorico richiamo cio a un sistema-Italia che di fatto non esiste o almassimo copre discutibili ambizioni progettuali.

    Questo lungo innamoramento per lapproccio sistemico si consumato via via neglianni (si pu ricordare che in questa sede avevamo segnalato lesigenza di sostituireil concetto di sistema-Paese con il concetto di Paese contenitore), in parte perlerosione costante e tenace (gutta cavat lapidem) della forza liquida della nostramolecolarit, in parte per la incapacit della stessa cultura sistemica a rivedere i suoifondamentali.

    Stiamo cio diventando una societ a-sistemica, visto che non pi governabile coni tradizionali modelli sistemici (piramidali, collegiali, concertativi); visto che le for-zature sui modelli tradizionali (in particolare laccentuata verticalizzazione del mo-dello piramidale) non sembrano ottenere risultati apprezzabili; visto che le catenesistemiche di comunicazione e di comando (top-down e bottom-up) sembrano sem-pre pi sfilacciate; visto che anche i tentativi di attestarsi su pi ridotte dimensionisistemiche (dal federalismo al localismo esasperato) non sembrano per ora trovarespazio; e visto che anche sul piano del fondamento teorico ormai superato il pri-mato del modello organicistico (che ci aveva guidato dallapologo di MenenioAgrippa in poi), mentre non riesce a imporre concrete relazioni di governance il mo-dello cibernetico destinato a dominare nei prossimi decenni.

    In una societ senza ordine sistemico i singoli soggetti sono a dir poco a disagio:non capiscono dove si collocano, negli anfratti o nei relitti di un assetto sistemicoche essi ritengono comunque necessario; soffrono tutti gli effetti negativi, anche psi-cologici, della crisi radicale delle giunture sistemiche; e si sentono alla fine abban-donati a se stessi (vale per il singolo imprenditore come per la singola famiglia), inuna obbligata solitudine.

    Il sistema finisce per esser vissuto come cosa estranea e resta solo potenziale oggettodi rancore e di denuncia. Con la conseguenza inevitabile che tale estraneit porta aun fatalismo quasi cinico (tanto, tutto fuori controllo e nessuno riesce a padroneg-giarlo) e talvolta anche a episodi di secessionismo sommerso, ormai spesso presentein varie regioni e realt locali, specie al Sud.

    Non c chi non veda come questa crisi profonda della cultura sistemica induca auna ulteriore propensione della nostra societ a vivere in orizzontale. Porta infatti ainteressi e comportamenti (individuali e collettivi, ma tutti segnati dalla solitudine)che si aggregano in mondi che spesso non riescono a dialogare fra loro e, non co-

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  • municando in verticale, restano di fatto dei mondi che vivono di se stessi, senzagrandi confronti esterni.

    La denominazione di questi mondi incomunicanti semanticamente avventurosa(circuiti, strati, vasi, tubi, bigonce), ma in via di consapevole approssimazione sipu avanzare il termine giare, a significare contenitori a ricca potenza interna, macon grandi difficolt a stabilire significativi rapporti esterni. E facendo un pi arri-schiato passo in avanti si pu definire allora lattuale realt italiana come una so-ciet delle sette giare, dove le dinamiche pi significative avvengono allinternodel loro parallelo sobollire, senza processi esterni di scambio e di dialettica. Si pensiai mondi:

    - dei poteri sopranazionali, con la loro crescente cogenza;

    - della politica nazionale, con la emergente istanza del primato della politica;

    - del disordinato funzionamento dei ruoli e dei poteri nelle diverse sedi istituzio-nali;

    - delle minoranze vitali e della loro crescente estraneit ai destini del Paese;

    - della vita, squilibrata e difficile, della gente del quotidiano;

    - della crescente quota di sommerso sempre pi ambiguo;

    - il tutto descritto e segnato dalla quotidiana incidenza di un mondo della comuni-cazione connotato pi dal bisogno dellevento (potenzialmente drammatizzabile)che dalladerenza ai processi reali della societ.

    facilmente constatabile limportanza che questi sette mondi, queste sette giare,hanno nella fase attuale; e ancor pi intuibile la separatezza fra le loro dinamiche.Converr allora analizzarli con pi dettaglio.

    a) La prima giara che vive della propria potenza quella del circuito sovranazio-nale da cui siamo sempre pi condizionati. Molti problemi ci vengono dallat-tuale dinamica geopolitica (si pensi alle vicende anche drammatiche delMediterraneo e del Medio Oriente); ma ancora pi pesante linfluenza da unlato dei comportamenti del mercato finanziario mondiale, dallaltro dei com-portamenti delle autorit comunitarie, attente allequilibrio finanziario dellin-sieme delleconomia europea.

    Sono due comportamenti che la nostra collettivit non domina, non capisce,spesso non conosce. Specialmente ci avviene per il mondo della finanza in-ternazionale, che si regola e ci regola attraverso lindiscutibile strumento delmercato, con procedure (di scelte a tempi ravvicinatissimi, di propensioni spe-culative, di valutazioni quasi automatiche o spesso affidate agli algoritmi, convolumi enormi di disponibilit e movimentazione) che vivono di vita propria.Contrariamente al passato, tali procedure non sono padroneggiate da una cerchia

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  • di protagonisti capaci di fare planning e orientamento al futuro dello sviluppomondiale, ma vanno per proprio conto, lasciando le economie nazionali a fareda spettatrici passive a eventi e periodi di sofferenza (si pensi a quanto noi ita-liani abbiamo sofferto per landamento dello spread) senza mai innervare unareale dialettica con le realt nazionali. Un grande potere senza reale efficaciacollettiva (si riscalda nella dinamica interna alla giara, ma a mala pena trasudada essa), che mai porta a corrispondere alle aspettative collettive, nazione pernazione.

    Le stesse cose si potrebbero dire, con ogni necessaria cautela, sul potere degliorgani comunitari europei. Qui, pi che il mercato, sono importanti i vincoli(parametri, patti di stabilit, fiscal compact, direttive, controlli) volti al rispettodegli equilibri complessivi della costruzione europea. I modi in cui si mettonoin pratica tali vincoli portano a una crescente cessione di sovranit (quasi a unasudditanza) delle diverse realt nazionali, combinata per con grandi vuoti: diprotagonisti stabili e affidabili, di prospettazione di sviluppo futuro, di atten-zione alle aspettative delle diverse popolazioni, di programmazione a medio elungo termine. Il che spinge a un crescente egoismo nazionale e a un continuoduro confronto sui relativi interessi. Le esperienze anche recenti o in corsostanno a certificare la problematica efficacia collettiva dei poteri europei: grandesobollimento di istanze e compromessi dentro la giara, immancabili fotografiedi gruppo, qualche litigio bilaterale, ma poca incisivit complessiva. Tranne na-turalmente la delegazione di fiducia a una forte Banca centrale, che comunquelavora pi in autonomia che per dialogo.

    b) Una dinamica analoga (vivere su se stessa senza efficacia collettiva) la si ritrovanella seconda giara, quella della politica nazionale. Non riuscendo a modificarepi di tanto i citati circuiti di potere sovraordinato, essa costantemente ricon-finata nellambito nazionale; e la sua reazione, accentuatasi negli ultimi mesi, quella di confermare e rilanciare il proprio ruolo, o meglio il primato dellapolitica.

    Era naturale che in una societ molto frammentata e molecolare si fosse creatoun vuoto di decisionalit e di orientamento complessivo del sistema; ed com-prensibile che su questo vuoto si siano costruite unesigenza e unonda di ri-vincita (sulla rappresentanza, sui corpi intermedi, sulle istituzioni locali, sullestesse istanze di terziet); cos come comprensibile lempatia consensuale chesi espressa verso di essa.

    Ma tale primato della politica rischia di restare tutto interno ad essa, senza ef-ficacia esterna e collettiva. Avendo un tetto basso di azione verso lalto (per laperdita di sovranit) e non avendo immediato potere verso il basso (non semprela volont decisionale e/o la decretazione durgenza supportata dai voti di fidu-cia riescono poi a passare allincasso sul piano dellamministrazione corrente epoi dei comportamenti collettivi), la politica rischia di restare confinata al giuocodella sola politica. naturale cio che essa vinca sugli altri protagonisti quando

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  • si tratta di argomenti tutti politici (la legge elettorale, la riforma del Senato,labolizione delle Province e del Cnel, la decostruzione delle strutture dei partiti,la marginalizzazione di segmenti di alcune classi dirigenti, ecc.); ma altrettantonaturale che abbia difficolt nel gestire il rapporto con altre istituzioni, con leinefficienze dellamministrazione pubblica, con i comportamenti collettivi econ latonia di molte zone del Paese. Resta a sobollire, senza efficacia collet-tiva.

    c) Ancora maggiore tale rischio per il terzo circuito che occupa il panoramasocio-politico italiano: quello del funzionamento istituzionale. Per decenni sonostate le istituzioni a dare forma alla nostra societ con lamministrazione statale,con gli organi di giurisdizione, con le strutture formative; poi, per effetto dellamolecolarit e della complessit crescenti della vita sociale, questultima sfug-gita alla regolazione, quasi alla guida delle istituzioni. E cos queste comincianoa vivere in una dinamica tutta loro e ad esprimere quasi una estraneit dalla re-alt quotidiana.

    Cambiano le strutture e si accavallano i ruoli. Abbiamo grandi strutture ormailetteralmente vuote di competenze e di personale; abbiamo grandi ministeri egrandi enti pubblici il cui funzionamento appaltato a societ esterne di consu-lenza o di informatica; abbiamo strutture pubbliche che sono ambigue proprietdi principati personali; abbiamo personale pubblico (anche giudiziario) che peruna parte sente la tentazione di fare politica, ma per unaltra parte passa tran-quillamente a occupare altri ruoli (di garanzia o di gestione operativa, o addi-rittura di commissariamento); abbiamo un costante rimpallo obliquo delleresponsabilit fra le diverse sedi di potere in occasione di crisi varie; abbiamorincorse infinite fra decisioni e ricorsi ad esse conseguenti; abbiamo un aumentodegli scandali direttamente proporzionale allenfatizzazione di una mitica tra-sparenza.

    un mondo tutto a giuoco interno, senza alcun serio servizio alla dimensionesuperiore (la politica) e senza adeguato servizio, al limite anche di comando,verso la dinamica della societ. La giara sobolle in piena inefficacia collettiva.E con qualche sofferenza psicologica, perch i suoi protagonisti avvertono sullaloro pelle la crisi di ruolo e di peso conseguente alla disfatta sistemica di cui si parlato nelle pagine iniziali. E non basta, nel clima attuale di continua denunciadella casta, lenfasi che il mondo delle istituzioni ha dato a due concetti fon-damentali (legalit e trasparenza) per recuperare una qualche credibilit.

    d) Per molti anni, specialmente in questo Rapporto, abbiamo sottolineato e inco-raggiato la speranza che ci fosse in Italia una minoranza vitale capace di fareda traino alla ripresa, prima, e allo sviluppo ulteriore, poi. Non avevamo natu-ralmente la speranza che i suoi componenti fossero un gruppo omogeneo, quasiuna classe neoborghese, ma li ritenevano capaci di trasmettere energia e orien-tamento agli altri segmenti della societ.

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  • Levoluzione di questi ultimi anni andata in altra direzione.

    La consistenza di quella minoranza aumentata significativamente per meritodei medio-piccoli imprenditori che hanno ulteriormente sviluppato il proprioimpegno sul versante dellexport e di una larga presenza internazionale nel com-parto manifatturiero, ma anche nellagroalimentare, nel turismo, nel digitale,nel terziario di qualit. un insieme variegato che si rivelato molto competi-tivo e in crescita, che tende per a non fare gruppo. Preferisce vivere ancoratoalle proprie dinamiche aziendali o individuali (si pensi alle saghe personali deigiovani che vanno a studiare e a lavorare allestero); legato a una concentrazionedellattenzione sulle dinamiche (commerciali o legislative) dei luoghi in cui siopera; con strategie imprenditoriali volte allinnovazione di prodotto o di catenadistributiva calibrata sui Paesi di destinazione; con una durezza della competi-zione (e della difesa della propria quota di mercato) che obbliga i protagonistiad alimentare il proprio gene egoista, riducendo la gamma delle relazioni versolesterno. I vari protagonisti si sentono ben poco assistiti dal sistema pubblico,cos aumenta il loro congenito individualismo e si riducono le loro appartenenzeassociative e di rappresentanza. sconsolante dirlo per un segmento cos me-ritevole, ma vitalit senza efficacia collettiva.

    e) Al destino di essere un mondo che vive di se stesso non sfugge neppure il mondodella gente del quotidiano. enorme, articolato, liquido, molecolare, di molti-tudine, ma non riesce ad avere dinamica: n in avanti, attraverso nuove stagionidi iniziativa e di impegno; n allindietro, attraverso laccettazione di un dow-ngrading della composizione sociale, tanto che la precariet crescente vienevista non come un passo verso la proletarizzazione, ma come una fase perma-nente che comunque regge.

    Questa sospensione delle aspettative non permette una piena coscienza del de-clino complessivo del sistema, visto che lautostima individuale regge e che labassa reputazione complessiva considerata ininfluente rispetto alle aspettativee agli interessi dei singoli. Non c quindi mobilit verticale, sia essa perseguitasingolarmente, sia essa espressa in aggregazioni intermedie (sindacali, profes-sionali, sociali); e non c neppure mobilit orizzontale, perch la vita viene ge-stita incastrandosi in luoghi relativamente stabili (lo sono non solo i piccolipaesi, ma anche molte periferie urbane), capaci cio di garantire minimali aspet-tative di qualit della vita.

    una sospensione che nella sua calma apparente pu incubare sia una lentaemersione di crescenti diseguaglianze economiche e, in prospettiva, di impre-vedibili tensioni sociali; sia una propensione collettiva della popolazione a pen-sarsi come insieme indistinto (come gente), propenso a subire richiami digentismo contenenti una certa dose di populismo.

    Per ora, fino a quando tale incubazione non avr effetto, la scena principale occupata dalla tematica e dalla voglia dei diritti, sia quelli consolidati o in partesuperati (dal posto fisso allarticolo 18), sia e specialmente i nuovi diritti nella

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  • sfera individuale. In effetti, cresce il fervore nelle rivendicazioni soggettive (ildiritto di avere un figlio anche in et avanzata come il diritto alla morte dolce,come il diritto ad avere matrimonio e sepolture di tipo paritario). La crescitadei diritti (si comincia a parlare di diritto al diritto) non ha per la forza emo-tiva di quella crescita o crisi del desiderio su cui ci eravamo fermati anni fa;tanto pi se nel ricercare i relativi successi si tende a lavorare sul piano giuri-sprudenziale o amministrativo (dalle sentenze di corti supreme straniere allevariazioni nei regolamenti cimiteriali comunali). E non azzardato dire chequesta tematica dei diritti finisce per riguardare una minoranza attivista che non capace di indurre grandi trasformazioni sociali (come era invece avvenutonegli anni 70, anni di grandi battaglie sui diritti, ma anche di grandi desidericollettivi).

    f) Fra i tanti circuiti che tendono a vivere prevalentemente in se stessi semprepi consistente e in crescita quello che da sempre vive isolato: il sommerso.

    Quando, proprio in questa sede, oltre quarantanni fa, mettemmo in luce lesi-stenza e la vitalit delleconomia sommersa, eravamo convinti che fosse un fe-nomeno destinato a esaurirsi man mano che la dinamica fisiologica dellosviluppo lavesse incorporato in procedure sempre pi trasparenti. A distanzadi oltre quarantanni dobbiamo constatare che il fenomeno si addirittura dila-tato. Qualcuno ritiene che sia stata la crisi degli ultimi anni a provocare una re-crudescenza congiunturale della propensione di tutti a nascondersi, proteggersie sommergersi; ma chi ha seguito levoluzione italiana recente deve far notareche il sommerso una componente ormai strutturale e permanente, come si purilevare:

    - nella dinamica delloccupazione, visto che la ricerca di qualsiasi occasionedi lavoro conseguente alla crisi spinge a una moltiplicazione, solo parzial-mente trasparente, dei vari spezzoni di lavoro;

    - nella formazione del reddito individuale, familiare, locale (se le povert e lediseguaglianze sociali non hanno finora prodotto tensioni di alta conflittua-lit, pensabile che ci sia dovuto a un flusso di reddito non istituzionale ein diverso modo sommerso);

    - nella propensione al risparmio, vista lottima salute delle sue diverse moda-lit (pi depositi bancari, pi polizze vita, pi affidamenti ai fondi, e si pucominciare a ipotizzare un risparmio anchesso sommerso, in nero, cash).

    Il mondo del sommerso, quindi, rinforza da un lato la sua interna dinamica edallaltro si rende lontano, estraneo alla generale evoluzione e alle generali po-litiche di sistema. Forse i ricercatori e gli studiosi lo capiranno ancora menoche in passato, ma nella quotidianit esso una potenza diffusa: la base deimeccanismi che consentono alle famiglie e alle imprese di reggere; il riferi-mento adattativo di molti milioni di italiani; uno spazio di accumulazione col-lettiva certo pi consistente dei tanti tesoretti di cui spesso si discute.

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  • g) Il panorama dei circuiti che vivono di se stessi, non camminando in relazionecon gli altri, non sarebbe completo se non si prendesse in carico il grande e per-vasivo mondo dei media. un mondo forte, estremamente diffuso, che ha unagrande capacit di vivere di se stesso e di dialogare con gli altri mondi citati inuna intensa reciprocit di rimandi, citazioni, polemiche, convergenze e diver-genze. Ma i mezzi di comunicazione stanno vivendo una doppia dinamica in-terna che in prospettiva li allontana da quel rigoroso mandato di aderenza allarealt e di sua rappresentazione cui implicitamente sono istituzionalmente chia-mati.

    La prima di tali dinamiche viene dal fatto che il mondo della comunicazioneappare incardinato al perno del binomio opinione-evento, in dimensioni tali dadomandarsi quali pezzi di societ alla fine i media rispecchino, di quali blocchisociali avvertano le vibrazioni, di quali ceti intercettino malumori e bisogni, ese abbiano effettivamente antenne protese a comprendere giorno per giorno icambiamenti reali in corso nella societ.

    Pi sottile e profonda la dinamica che deriva dal fatto che la crescita e linno-vazione degli strumenti digitali di comunicazione e relazione si esercitano com-piutamente nella tendenza dei singoli alla introflessione. Lio al tempo stessosoggetto e oggetto della comunicazione mediatica anche perch lautoprodu-zione di contenuti nellambiente web privilegia in massima parte lesibizionedel s digitale. Gli utenti della rete creano a getto continuo contenuti immettendoin rete con grande disinvoltura una quantit di dati personali impressionante:lindividuo si specchia nei media, di cui contemporaneamente contenuto eproduttore. La pratica diffusa del selfie diviene cos levidenza fenomenologicadella concezione dei media come specchi introflessi piuttosto che come stru-menti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con esso.

    E cos alla fine il mondo della comunicazione si relaziona poco con gli altrimondi, con le altre giare, svolgendo solo ruoli di prevalente supporto (il ruolodi trasparenza, di richiamo agli interessi collettivi, di denuncia delle devianze,di espressione del giudizio morale, ecc.). Grande ed evidente presenza, limitataefficacia collettiva.

    Pur se ricco e articolato, il panorama delle sette giare qui analizzate non pu essereconsiderato esaustivo di una complessa interpretazione dellattuale realt. Troppevariabili non sono infatti ad esso riconducibili, dalle tensioni geopolitiche interna-zionali (specie quelle pi contigue a noi) allo squilibrato arrivo e alla difficile inte-grazione degli stranieri, al crescente protagonismo femminile, alla tendenzialedesertificazione del Sud, alle delicate intense dialettiche bioetiche: tutti temi da ri-condurre necessariamente a una carrellata analitica sulla societ di oggi.

    Non per furbizia di giustificazione ricordare in questa sede che linterpretazionenon pu limitarsi alla carrellata analitica; deve invece mettere a fuoco il nucleo fon-dante dellattuale momento della societ. E tale momento si identifica con la com-

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  • presenza di sette mondi distinti e incomunicanti, operanti in orizzontale, che aumen-tano il carattere ad architettura distribuita della nostra societ.

    Qualcuno dei loro protagonisti cerca rapporti in verticale (magari di comando), senzarendersi conto che sono ambizioni comprensibili e generose, ma destinate a restareinoperanti. Lo dimostrano gli esiti non entusiasmanti delle istanze di verticismo deidiversi livelli di autorit: quelli europei nei confronti delle politiche nazionali, quellistatuali nei confronti dei soggetti territoriali, quelli di indirizzo politico verso liner-zia ed estraneit dellapparato amministrativo, e cos via.

    verosimile che le sette giare vadano connesse per come sono, tramite una crescitadella politica come funzione di rispecchiamento e orientamento della societ, lontanadalla tradizionale identificazione con il peso e il valore dellapparato statuale. Sonoevidenti le difficolt che incontra una tale prospettiva in un momento storico in cuila politica viene enfatizzata come arte del comando (e del comando in verticale),ma si tratta di una torsione di responsabilit assolutamente necessaria se si vuoleevitare che la dinamica tutta interna alle sette giare porti a una perdita di energiacollettiva del sistema, a una inerte accettazione collettiva dellesistente, al consoli-darsi della grande articolata deflazione che stiamo attraversando: quella economica,di cui tutti parlano; quella del numero e delle iniziative delle imprese; quella delleaspettative individuali e collettive; quella della mobilit verticale (individuale e digruppo); quella della rappresentanza degli interessi collettivi; quella delle capacitdi governo ordinario (malgrado o forse a causa della proliferazione decretizia di tipoverticistico).

    Se la deflazione cos ampia e pervasiva, il timore emergente che dovremo conessa convivere a lungo, in una stabile mediocrit. Per questo si capisce la crescenteesigenza di una cultura politica che comprenda larticolazione e la separatezza deimondi di vitalit e di potere oggi esistenti, e riannodi i loro meccanismi operativi edi orientamento.

    Pu apparire strano questo riproporre un ruolo trainante a una politica che soffre diun picco negativo di bassa reputazione e fiducia, di rancore diffuso, di anti-politica,di rabbia per lintreccio fra politica e potere statuale. Ma si pu partire proprio dallosciogliere questultimo intreccio, con le sue diverse configurazioni (burocratica, au-toritativa, illiberale, corrotta, inefficiente, ecc.) e restituire alla politica il diritto-do-vere di connettere le aspettative individuali con orizzonti ed energie mirate al futuro.Devono valere le aspettative della gente, non la connessione di vertice fra politica eStato (che nel Paese arrivata anche al partito-Stato).

    Se la politica per vuole, nei confronti della dinamica sociale, essere arte di guida enon coazione di comando, deve operare su se stessa una torsione profonda, almenoin due direzioni.

    In primo luogo, deve fare pulizia delle incrostazioni accumulatesi negli ultimi anni:la tentazione al moralismo come strumento politico di divisione e di delegittimazionedelle controparti; la invadente ipocrisia con cui la cosiddetta societ civile ha osta-

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  • colato ogni tentativo di decisionalit collettiva; linnamoramento per i diritti che hatrasformato in dispute e regolamentazioni giuridiche le spinte a una vitale libertpersonale; la propensione a un bipolarismo predicato senza mai avere chiaro qualefosse il fundamentum divisionis; la presenza di una atonia intellettuale ben pi ve-lenosa della pur circolante atonia etica; la tentazione di una leadership costruita suuna empatia consensuale e generalista. Non avr facile e immediato successo questoimpegno di pulizia mentale, ma un compito che vale la pena di perseguire, nellaconsapevolezza che si attuer non in una svolta, ma in una lenta transizione, confrutti di medio periodo.

    La politica deve altres poter riacquisire coscienza di alcuni suoi fondamentali, dialcune non transeunti virt: in primo luogo, laderenza spietata alla realt (le opi-nioni non radunano, la realt ), prosaicamente ricordando che il nostro sviluppo stato fatto da protagonisti magari conflittuali, ma legati sempre alla situazione reale(da Valletta negli anni 50 ai piccoli imprenditori degli anni 70, allesplosione delmade in Italy negli anni 80); in secondo luogo, la fedelt alle nostre radici (di sche-letro contadino, come abbiamo scritto in altre occasioni) rivisitate non nella retoricadei valori, ma nelladerenza alla seriet e sobriet comportamentale (Giulio Bollati,che ruralista non era, invitando un amico scrive: Qui troverai un po di erba e unabuona minestra di ceci); in terzo luogo, non avere paura della dialettica, lunicostrumento per confrontare opinioni, per maturare decisioni, per far crescere classedirigente; infine, il coraggio di non imporre i propri pensieri, ma di sollecitare glialtri a pensare con la propria testa (anche quando si sospetta che non ce labbiano,la testa).

    Con questo doppio passo (liberarsi dalle incrostazioni e recuperare i fondamentali),il fare politica pu recuperare lantica eredit dei greci (combinare pensiero alto econtaminazione pratica) e pu riprendere la sua funzione di promotore dellinteressecollettivo. Addirittura con lambizione di essere quel soggetto generale dello svi-luppo su cui si articol con successo il ruolo dello Stato, che ha governato lItaliaper lunghi decenni, poi intellettualmente e istituzionalmente soffocato dalla vogliadi potere, di comando, di dominanza dellapparato pubblico, quella voglia ereditatadai partiti.

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