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Classe 1 ^ C Professoressa Adele Papa Assistente tecnico: Salvatore Valletta

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Classe 1 ^ C

Professoressa Adele Papa

Assistente tecnico: Salvatore Valletta

Tema trattato: “Alcuni momenti della civiltà greca ”

Obiettivi : Realizzazione di una monografia sui primi aspetti della civiltà greca

Avvicinare l’alunno al mondo greco attraverso la presentazione della sua civiltà Individuare gli aspetti fondamentali della civiltà e della cultura greca Consapevolezza dell’importanza della civiltà greca che costituisce le “radici” della nostra Capacità di confrontare la civiltà greca con le altre civiltà, oggetto di studio degli alunni Approccio consapevole e meditato con le nuove tecnologie

Capacità di strutturare graficamente il testo ( economia e funzionalità dello spazio comunicativo )

Descrizione dell’attività:

La tematica è stata affrontata dalla prof.ssa Papa per dare direttive organizzative e gli orientamenti per la ricerca. E’ stata elaborata , pertanto , una mappa concettuale che è servita come guida per tutto il lavoro. Successivamente, la classe è stata divisa in gruppi a ciascuno dei quali è stato affidato il compito di effettuare ricerche sui vari argomenti. In laboratorio, infine,il materiale raccolto è stato organizzato in un unico documento Word.

Strumenti dell’attività: • Seminari di approfondimento e dibattiti in classe con la guida dell’insegnante • Filmati • Documenti reperibili in rete • Materiale didattico in forma cartacea sintetizzato e schematizzato al fine di rendere più

accessibile e chiaro l’argomento proposto Modalità d’uso: Si seguiranno criteri di opportunità , secondo le esigenze contingenti.

Alcuni momenti della civiltà Greca.

La preparazione all’ età adulta.

La casa. La nascita della città Greca.

Sistema di difesa e di delimitazione dei centri urbani.

Aγορά.

 

Il μέγαρον.

 

Παιδεία.

La scuola sofistica.

Isocrate e Platone.

Sport nel mondo Greco:I giochi olimpici.

Retorica e oratoria presso i Greci.

I giochi del vino.

Vita nell’ ombra.

Cosa faceva la donna in casa. 

La moneta.

 

La piazza come centro nella vita sociale.

Il liceo di Aristotele. L’ educazione spartana.

L’ educazione nell’ antica Roma.

Gli schiavi. Il computo del tempo.

Il matrimonio Greco.

Le feste pubbliche. Il simposio.

La famiglia Greca. Immagini del canto.

La condizione femminile ad Atene.

“Grecia – la donna”.

“La vita quotidiana della donna nella Grecia antica”.

Il matrimonio. La cosmesi del mondo Greco.

La condizione della donna in Grecia.La vita quotidiana della donna nella Grecia antica.

La famiglia, la vita quotidiana, il matrimonio.

La democrazia: le riforme.

La medicina in Grecia,il culto di Asclepio e

La vita militare ad Atene.

Le Istituzioni.  La vita nell’άγορα.

 

Le quattro operazioni.

La preparazione all’età adulta

Fino a sei anni l’educazione dei bambini,maschi e femmine,era affidata alle donne; in casa proseguiva poi l’educazione delle ragazze,che dalle madri e dalle ancelle apprendevano tutto ciò che serviva per diventare buone massaie.

I maestri che curavano l’educazione dei ragazzi erano privati; infatti in Atene la scuola non era un istituzione statale; lo Stato sorvegliava solamente la moralità dell’insegnamento (statale,invece,era l’educazione a Sparta, impartita secondo un modello più rigido e angusto,che, anteponendo il tirocinio ginnico alla preparazione intellettuale,mirava soprattutto a formare il guerriero perfetto, όπλίτης). I luoghi dove i ragazzi erano impegnati dalle prime ore del giorno fino al tramonto erano la scuola (διδασκαλεǐον) e la palestra (παλαίστρα). Lo schiavo, che accompagnava il ragazzo a scuola e lo andava a riprendere era chiamato pedagogo (παιδαγωγός da πάις , << fanciullo >> e ،αγω , << conduco >> ) : egli assisteva alle lezioni e aiutava il maestro (γραμματιστής�). Nel διδασκαλεǐον i ragazzi imparavano nei primi anni a leggere, a scrivere e far di conto,e gradualmente a suonare la cetra, a interpretare i poeti e a recitare. Il grammatista non esitava a usare la verga per stimolare l’attenzione degli alunni. Nella palestra,invece,si occupava dei giovani il paidotriba (παιδοτρίβης ),cioè il maestro di ginnastica che impartiva una razionale educazione fisica: era infatti considerato senza istruzione (،απαίδευτος �chi non aveva imparato a lottare, a nuotare e a tirare l’arco.

A quindici anni compiuti,i ricchi proseguivano per tre anni la loro educazione nel ginnasio, dove la pratica principale era l’addestramento fisico, ma molta importanza aveva anche la partecipazione agli spettacoli pubblici. L’educazione superiore era impartita da rétori e sofisti (ρητόρης

σοφισταί ), che insegnavano oratoria,scienze,filosofia e storia. Stimolanti per i giovani l’ascolto di conferenze e le discussioni tra coetanei, ma anche con adulti, su argomenti di letteratura e filosofia. Nel IV secolo l’insegnamento superiore era enciclopedico (،έγκυκλος� παιδεία), articolato in discipline letterarie (grammatica, metrica, storia, morale) e scientifiche (aritmetica, razionale, geometria, astronomia, geografia). A diciotto anni tutti i giovani, anche quelli che avevano interrotto gli studi per imparare un mestiere, venivano iscritti nella classe degli efèbi (،έφηβος); iniziava così il secondo dei quattro stadi che scandivano la vita degli Ateniesi (πάις،έφηβος��� ανήρ γέρων bambino, adolescente, uomo, vecchio). Sotto gli insegnanti statali, scelti dalle rispettive tribù (φύλαρχοι , capi del φύλαι ), gli efèbi, che facevano ormai parte dei ranghi militari,erano allenati per due anni al compimento dei doveri dei cittadini (πολίται) e di soldati (στρατιώται): vivevano e mangiavano insieme,si organizzavano secondo il modello della città,si riunivano in assemblea,e nominavano i loro arconti,strateghi e giudici. Il primo anno gli efèbi erano sottoposti ad un intenso addestramento militare, ma seguivano anche conferenze sulla letteratura e sulla musica, la grammatica e la retorica. A diciannove anni prestavano un solenne giuramento (،όρκος) in presenza della Bulè (βουλή, Consiglio dei Cinquecento) con la mano sull’altare nel tempo di Agràulo: con esso si impegnavano a proteggere il territorio e le istituzioni della patria. Per due anni prestavano servizio in guarnigioni di frontiera,ma partecipavano anche a manifestazioni cittadine come processioni e spettacoli. All’età di ventuno anni l’addestramento era compiuto e i giovani,liberi dall’autorità paterna,diventavano cittadini di pieno diritto (،επίτιμοι), e potevano quindi intervenire nell’assemblea generale del popolo (Eκκλησία) e aspirare alla magistrature. La formazione di un cittadino democratico,amante della libertà,era dunque il frutto di un sistema educativo che contemperava armoniosamente l’allenamento del corpo e della mente. Se l’ideale del Greco consisteva nell’essere considerato καλός αγαθός (bello e buono), un’educazione come quella impartita ad Atene forniva gli strumenti per realizzarlo: si prestava cioè meglio di ogni altra al conseguimento della bellezza, che è sanità fisica (καλός),e,non disgiunta da essa,sanità morale (αγαθός).L’educazione era quindi in funzione di un ideale di vita piena,attiva,che si arricchiva dei valori dello spirito,ma non trascurava le qualità della forza, della bellezza, delle iniziative e del coraggio. Non ci si deve stupire che il cittadino ateniese fosse in grado di sedere a teatro un intero giorno come spettatore e giudice dei drammi di Sofocle o di Euripide: egli si era formato in una scuola che, come argutamente affermava il filosofo Aristippo, metteva l’allievo di non essere,quando sedeva in teatro,una pietra sovrapposta ad un’altra.

Terminologia

γυμνάσιον,ου (τò):luogo per gli esercizi del corpo;ginnasio;scuola

βαλανεǐον,ου (τ�):bagno,luogo da bagni (cfr. il latino balneum)

τά θερμά (λουτρά):bagni caldi

ψυχρολουσία,ας ( ή ):bagno freddo

αποδυτήριον,ου (τò):σπογλιατοιο

Κυνόσαργες,ου (τò):Cinosarge (ginnasio a sud del centro di Atene)

Λύκειον,ου (τò):liceo (ginnasio presso il tempio di Apollo)

περίπατος,ου (ò):passeggio; filofico o Peripato

περίπατητικός ,εως (ή): passeggiata; disputa filosofica

‘�καδεμία,ας ( ή ):giardini di Academo; Accademia,scuola Platonica

παιδεία ,ας (ή ):educazione dei fanciulli;educazione,cultura

،απαίδευτος ,ον:ineducato,ignorante,senza istruzione

διδασκαλεǐον ,ου (τò):scuola

διδάσκαλος,ου (ò):maestro precettore

παιδaγωγός,ου (ò):pedagogo;schiavo accompagnatore dei fanciulli

γραμμaτiστής ,ου (ò):maestro di scuola

λογιζέσθαι:far di conto,contare

La casa

L’ateniese del V-IV secolo a.C. passava la maggior parte del suo tempo tra gli altri cittadini, nella piazza ( aγορά, lat. forum), nelle terme, nelle palestre, a teatro, negli stadi, sotto i portici: perciò la casa non rappresentò, in epoca classica, né un luogo di riposo, né un simbolo di prestigio. Essa serviva essenzialmente per dormire o per organizzarvi banchetti, inoltre le donne vi erano tenute al riparo da occhi indiscreti. L’abitazione privata fu la costruzione meno bella della città, almeno nel V secolo a.C; eccezioni si verificarono all’inizio del IV secolo a.C.. Demostene , infatti, mette in rilievo l’integrità degli uomini del passato, come Milziade e Temistocle, affermando che essi, mentre avevano costruito edifici pubblici grandiosi, avevano posseduto, tuttavia, abitazioni tanto modeste da non essere distinte da quelle dei vicini. Ma lo stesso Demostene afferma anche che gli uomini politici a lui contemporanei sono tanto ricchi da costruirsi abitazioni private più sontuose degli edifici pubblici(Orazione XXIIIª, 207-208).La casa greca , stando a quel che dice Vitruvio (scrittore de architetto romano del periodo augusteo ), aveva dimensioni modeste e muri di mattoni di argilla. Le pareti, all’interno, erano affrescate, il tetto era o di tegole o di fango seccato al sole, il pavimento di ciottoli, le porte di legno. Erano annesse anche una stalla ed una cella per il portinaio. Con il passare dei secoli, specie in epoca ellenistica, la casa divenne più lussuosa nelle rifiniture: mosaici per i pavimenti, colonne e statue marmoree per i porticati, giardini con vasche. Le finestre, tuttavia, erano sempre poche e piccole. Quanto agli ambienti, l’antica casa greca si suddivideva in tre parti: un cortile interno(αΰλή), la zona riservata agli uomini (γυναικωνǐτις). Dal cortile interno, ove era l’altare di Zeus, protettore della casa, si accedeva alla sala dei banchetti e dei sacrifici (δόμος, lat. Triclinium). Oltre ad un primo cortile, a seconda delle possibilità economiche, si poteva accedere anche ad un secondo cortile. Al di là della sala dei banchetti, che equivaleva al μέγαρον del palazzo omerico, si trovavano le camere da letto (θάλαμοι, lat. cubicola). Ai lati dell’ αΰλή, infine, si dispiegavano la dispensa, la cucina, le camere degli ospiti e per la servitù. Netta era la divisione tra ανδρωνίτις e γυναικωνίτις, residenze che potevano essere entrambe al piano terra , oppure se la casa era a due piani, l’appartamento delle donne era situato al piano superiore. Esso comprendeva le stanze per le figlie nubili, quelle per le ancelle, una camera di soggiorno e la camera nuziale dei padroni di casa. Le camere erano generalmente buie, per l’esiguità delle finestre , l’arredamento era molto semplice e limitato agli oggetti di uso pratico: letti costituiti da un telaio di legno(κλίναι, lat. lecti), sedie di varie forme (sgabelli a quattro gambe, διφροι⎡ lat. scamna; sedie con schienali, καθέδραι lat. cathedrae; seggioloni con braccioli, θρόνοι, lat. Sellae obliquis anconibus fabricatae); bracieri (εσχάραι, lat. foci).Mancavano gli armadi, sostituiti da casse e ceste

per riporvi utensili, indumenti e coperte.Si pranzava intorno a tavole basse(τραπέζαι, lat. mensae) e durante il pranzo, gli uomini erano semisdraiati, le donne , invece sedute. I bracieri servivano per il riscaldamento e per cuocere le vivande, servite, poi, in piatti di terracotta. Per l’illuminazione, in un primo tempo, si usavano fiaccole, poi lampade ad olio. Nelle case greche mancavano, per lo più, i servizi igienici, un lusso permesso a pochi, mentre la maggior parte dei cittadini si serviva di servizi igienici e bagni pubblici.

Città e casa greca

La nascita della città greca

In Grecia, i primi insediamenti sorgono all’inizio dell’Età del Bronzo (III millennio a.C.). In generale, anche se tali insediamenti sono ancora in caverne, è possibile notare le prime strutture difensive e la divisione dello spazio in città alta e città bassa. In seguito gli insediamenti sviluppano cinte murarie complesse e appaiono nuove tipologie edilizie come la casa a “corridoi”, che mostrano una struttura complessa e la presenza di magazzini. Verso la fine del IV millennio a.C la località più importante per dimensioni è Cnosso, accanto alla quale appaiono altri centri come Festo, Mallia e Mochlos. Il resto dell’isola presenta una diffusa rete di piccoli villaggi, composti da pochi edifici, a carattere agricolo o pastorale, che in alcuni casi sono legati a un centro di dimensioni maggiori con il quale formano un sistema complesso. I primi palazzi esistono già dall’inizio del Periodo Minoico Medio(1900 a.c), periodo in cui gli abitati sono caratterizzati dalla presenza di edifici importanti(Mansions), circondati da laboratori di artigiani, ceramisti, fonditori, incisori di sigilli. La presenza di piccoli santuari fuori dai grandi centri indica che probabilmente le campagne erano abitate da piccole comunità, unite comunque al centro più importante. Rispetto al Bronzo Antico scompare l’uso di impianti viari regolari, con la formazione di isolati abitativi, a favore di case isolate disposte disordinatamente. Nel 1700 a.C l’architettura si monumentalizza ulteriormente con l’utilizzo di materiali preziosi. Il Palazzo diventa centro assoluto dell’insediamento, intorno al quale sorgono altri piccoli palazzi e ville. Il ruolo di queste ville è fondamentale per il controllo del territorio, poiché oltre ad avere la funzione di residenza, essi assolvevano anche uno scopo amministrativo, di magazzinaggio delle derrate, e probabilmente di centro religioso. Intorno al 1450 a.C il sistema delle ville e delle grandi residenze sembra collassare; il territorio governato dal Palazzo viene diviso in quattro province divise geograficamente. Quindi si possono dividere le attività agricole, legate al Palazzo, da quelle private. I prodotti secondari venivano prodotti dal Palazzo sotto forma di tassazioni, mentre in cambio si occupava di fornire mezzi primari di sostentamento e beni artigianali. Con la caduta dei regni micenei si ha un’interruzione nelle linee di sviluppo dell’urbanistica e un lento processo evolutivo che porterà alla polis. Il periodo che unisce i due fenomeni registra una regressione delle strutture sociali e amministrative con il conseguente abbandono di urbanistica e di un’architettura monumentale.

Sistema di difesa e delimitazione dei centri urbani

Nel tentativo di ricostruire il processo di formazione delle città, appare chiaro quanto sia forte la relazione esistente, in ambito greco, tra città e campagna, spazio urbano e villaggi, borghi e fattorie sparse. Infatti vari autori antichi (Ippocrate, Platone, Aristotele, Isocrate), hanno una posizione unanime nel sottolineare l’importanza della campagna, nella fondazione della città; poiché essa, per quanto è possibile, deve trarre vantaggio da più elementi naturali (mari, coste, suolo). Una colonia tipo possedeva un territorio (kωρα) nelle immediate vicinanze della cinta delle mura; ed il sistema e i mezzi di difesa variavano a seconda se si trattava di città commerciali o di città agricole. Infatti,

nel primo caso, il sistema di difesa era concentrato e ravvicinato secondo caso appariva disperso poiché, si trattava di città di pianura, di larga estensione. A partire dal V secolo a.C si trova la presenza di torri rettangolari lungo il circuito murario, che permetteva di mantenere i collegamenti tra la città e il suo porto, così da rendere la città indipendente dal suo territorio, anche in caso di lunghi assedi. La crisi demografica ed economica, con cui si apre il III secolo a.C, non rende più disponibili grandi risorse umane e finanziarie, per cui la mancanza di forze militari adeguate, rendeva inutili i grandi circuiti murari che vengono ridotti ma che vengono arricchiti da camminamenti disposti su più piani, sorretti da archi, e che rendono più difficile la scalata delle mura di parte di difesa con sistemi più complessi.

Aγορά

L’Aγορά era la piazza centrale delle antiche città greche: ne costituiva il centro religioso, economico e politico. L’agorà concentrava tutta la vita pubblica delle città del mondo greco. La più tipica e conosciuta è quella di Atene. Costituita da una vasta area, accoglieva in sé un notevole complesso di edifici eretti tra il VI secolo a.C e il II secolo d.C, quali la sede del Consiglio, l’odeon romano, l’altare dei dodici Dei, il ginnasio, il tribunale degli eliasti, la biblioteca di Panteno, il recinto degli eroi dove si esponevano i documenti pubblici, la zecca e lo Strategion, ovvero l’edificio di riunione degli strateghi. Con il passare del tempo l’Agorà di Atene divenne essenzialmente il centro commerciale della città, in cui si installarono i mercanti con le loro baracche.

Il μέγαρον

Il μέγαρον era l’ambiente più sontuoso dei palazzi micenei. Era costituito da un vestibolo, da un’antisale, cui si accede tramite tre porte a doppio battente, e di una Grande Sala. Il tetto era piatto e le pareti erano ornate con pitture e fregi. In questo luogo si svolgevano le udienze reali, si banchettava, si riuniva la famiglia del principe e si ricevevano gli ospiti.

Παιδεία

Nell’Antica Grecia ai bambini, finché erano molto piccoli, badava la madre. Da lei imparavano le prime fiabe e i primi giochi. Le bambine rimanevano infatti in casa con la madre, dalla quale imparavano a sbrigare i lavori domestici, fino alle nozze. I maschi, invece, a sette anni cominciavano a frequentare la scuola, dove imparavano a leggere, a scrivere, a contare e a memorizzare i versi dell’ Iliade e dell’Odissea. Gli scolari scrivevano su tavolette di legno ricoperte di cera ,che tenevano sulle ginocchia. Su di esse incidevano le parole con lo stilo, un bastoncino di legno appuntito da una parte e piatto dall’altra. Quando commettevano un errore lo cancellavano lisciando la cera con l’estremità piatta dello stilo. Quando la cera si era consumata,la tavoletta veniva ricoperta con un altro strato. Dopo aver imparato a scrivere ,i bambini sostituivano la tavoletta con un libro di scuola formato da due o tre tavolette unite da anelli. Più tardi scrivevano su fogli di papiro con una penna intinta nell’inchiostro. Va osservato che i veri e propri libri greci erano costituiti da rotoli di papiro. Lo studio era intercalato da esercizi di ginnastica e da “sport”. Se l’alunno non si comportava bene ,il maestro lo colpiva con un bastoncino flessibile. I giovanetti appartenenti alle famiglie ricche frequentavano successivamente i ginnasi ,dove si dedicavano alle attività sportive, fino a diciotto anni. La cosiddetta nuova educazione greca comprendeva numerose scuole,la scuola sofistica, la scuola di Socrate e l’accademia di Platone.

 

La scuola sofistica

Nel regime democratico greco gli autori avevano un grande potere. La preparazione specifica veniva curata dai sofisti che apparvero ad Atene intorno al 450 a.C. Essi erano generalmente interessati alle scienze umane e , in particolare ,all’arte della persuasione e avevano lo scopo comune di formare l’uomo politico. I sofisti erano dei pedagoghi il cui metodo può definirsi un precettorato collettivo di durata all’incirca quadriennale. Il primo sofista , Pitagora ,fu anche il primo a proporre un insegnamento di questo tipo per denaro. Il contenuto delle lezioni dei sofisti era l’arte della politica , in senso utilitaristico e pragmatico, che conduceva allo studio della dialettica e della retorica. Il soggetto era: come preparare un discorso; l’allievo doveva prima ascoltare e studiare i discorsi dell’ insegnante che gli venivano forniti anche opportunamente e , infine, imparare a memoria il discorso recitandolo in modo convincente . Socrate si oppose alla linea utilitarista dei sofisti rivendicando sia l’importanza della ricerca della Verità ,sia il fatto che la politica non può essere la questione centrale dell’insegnamento. Isocrate e Platone All’inizio del IV secolo alcuni insegnanti fondarono scuole permanenti di grado superiore con un definito programma di studi. Le più famose e influenti furono quelle organizzate da Isocrate (436-338 a.C.),nella sua stessa casa nel 390 a.C., e da Platone ,presso l’Accademia e i suoi giardini un anno o due più tardi . Nonostante si dissociasse dai sofisti,Isocrate era in sostanza anche lui un sofista e nel suo corso didattico, organizzato in quattro anni,vi si insegnava la tecnica dello stile e della dizione. I giovani non dovevano solo apprendere la teoria del dibattito , ma discutere realmente criticando le proprie argomentazioni e quelle dei compagni secondo principi esposti dal maestro. La scuola di Platone era diversa per molti aspetti da quella di Isocrate. Semplificando la questione,si può riguardare Isocrate come il discendente naturale dei sofisti e Platone come il continuatore delle idee di Socrate, di cui fu discepolo. Nell’accademia si teneva alla Verità e non alla conquista dell’arte del dire. Il metodo dialettico era impiegato per scoprire le idee fondamentali sull’uomo e sul mondo ;era infatti in questa ricerca che si trovava, secondo Platone ,l’essenza delle cose. I principi educativi di Platone vengono esposti nella Repubblica dove si suggeriscono anche alcuni drastici mutamenti nella struttura dello Stato: un sistema di vita comunitario per distruggere gli egoismi , mentre, per combattere l’ignoranza ,gli affari del governo dovevano essere auspicabilmente affidati a coloro che avessero dimostrato la cultura e l’acume necessari per assolvere a questi doveri . Per quanto riguarda la matematica,Platone propone uno studio elementare dei principali concetti matematici da intraprendersi fin dai primi anni di educazione del fanciullo a cui si aggiunge la pratica degli esercizi di calcolo attinti dai problemi pratici . Parallelamente, in geometria egli suggerisce lo studio delle applicazioni numeriche semplici,come la misura di lunghezza di aree e volumi. Punti di vista questi, che hanno la loro origine nella tradizione egiziana. Lo studio della matematica ha, pertanto, nel pensiero di Platone ,uno scopo formativo e propedeutico. Che tipo di associazione era l’Accademia? I suoi studenti al termine

degli studi non ricevevano alcun diploma di frequenza o qualcosa che li aiutasse a trovare effettivamente un lavoro. Del resto , questi erano per di più figli di persone abbienti che avrebbero comunque continuato l’attività della famiglia. L’Accademia aveva una forte struttura istituzionale e si presentava più come una setta che come un’impresa commerciale. Legalmente era un’ istituzione religiosa consacrata al culto delle Muse .L’insegnamento non si svolgeva i n forma troppo dottorale , comprendeva numerosi intrattenimenti familiari, simposi è una certa comunità di vita tra maestro e discepoli. Il liceo di Aristotele Aristotele (384-322 a.C.) fu allievo di Platone e , come lui , interpretava l’educazione in termini dello Stato. Tuttavia ,Aristotele poneva maggiormente l’accento sull’educazione come sviluppo individuale, non solo come aspetto sociale. Egli intravedeva tre fasi nello sviluppo dell’individuo: quella dello sviluppo essenzialmente fisico;il periodo in cui emerge il lato irrazionale dell’anima costituito da desideri e passioni e infine la fase finale , del predominio della ragione. A ciò corrispondono tre momenti dell’educazione :quella del corpo , quella del carattere e quella dell’intelletto . Le discipline formative corrispondenti a queste fasi sono , rispettivamente , la ginnastica , la musica e, come materie atte all’educazione dell’intelletto ,le scienze biologiche e la storia. Altri però sostengono che Aristotele dava grande peso anche alla logica e alla fisica, due campi questi che aveva sempre ritenuto di grande interesse. Il liceo fu fondato da Aristotele nel 335 a.C. nella parte est di Atene . L’anno precedente Alessandro ,di cui Aristotele era stato il tutore, era succeduto a Filippo il Macedone. Certamente il nuovo re aiutò molto,anche economicamente ,il suo maestro nell’organizzazione della scuola che disponeva pertanto di maggiori mezzi ,oltre che di una maggiore propaganda, rispetto all’Accademia di Platone. A Sparta invece l’educazione era severissima e teneva soprattutto alla formazione del soldato. L’educazione spartana A Sparta ,secondo la legislazione di Licurgo della fine del VII secolo, l’educazione era prettamente militare e attenta più alla formazione fisica che a quella spirituale. I maschi ritenuti sani venivano allevati dalla madre fino all’età di sei anni, poi passavano dal controllo domestico a quello della comunità. Dai sette ai diciotto anni seguivano un corso di istruzione generale che diveniva a ogni passo sempre più severo. In seguito, i ragazzi diventavano efebi o cadetti e, dopo due anni di esercitazioni militari, venivano accolti nelle associazioni virili. Solo a trent’anni essi acquistavano i pieni diritti del cittadino. Lo scopo dell’educazione era soprattutto utilitaristico; l’arte , la letteratura e le scienze, tanto apprezzate ad Atene, non trovarono il dovuto spazio nell’educazione spartana. L’educazione nell’antica Roma Nell’antica Roma, nel primo periodo della repubblica, i bambini delle famiglie patrizie imparavano dal padre a leggere , a scrivere e a contare; i plebei invece apprendevano a malapena a tracciare i loro nomi. Col tempo però i bambini appartenenti alle famiglie ricche vennero affidati ad una schiava greca e cominciavano a parlare la lingua greca contemporaneamente a quella latina. Le bambine imparavano a dipingere, a cantare , a danzare e a suonare alcuni strumenti. Divenuti più grandi, i fanciulli e le fanciulle, se erano patrizi avevano un precettore (un maestro privato in casa), mentre se erano plebei andavano ad istruirsi da maestri privati (per lo più schiavi liberati) che facevano scuola a numerosi ragazzi insieme. Le lezioni di questi maestri cominciavano all’alba e duravano sei ore, con una breve pausa per lo spuntino; si svolgevano in una stanza o su una terrazza o in un cortile. I fanciulli sedevano su panche. Scrivevano su tavolette incerate con uno “stilo” di

metallo e contavano con l’aiuto di sassolini detti ”calculi”. Leggevano le parole scritte dal maestro su una tavola coperta di sabbia o di farina. Quando avevano acquistato una certa capacità, cominciavano a scrivere su fogli di papiro o di pergamena (fatta di pelle di pecora) con una cannuccia o una penna d’oca appuntita, intinta nell’inchiostro. Se si dimostravano indisciplinati o disattenti venivano puniti dal maestro. A dodici anni i ragazzi studiavano la letteratura sotto la guida di un grammatico greco e imparavano a parlare e a scrivere correttamente la lingua greca.

Lo sport nel mondo greco

I giochi olimpici

Le competizioni agonistiche, inserite nell’ambito di importanti cerimonie religiose in onore di Zeus ad olimpia, di Apollo a Delfi, di Poseidone all’istmo di Corinto e di Zeus a Nemea, ebbero un ruolo essenziale nella vita politica, sociale e culturale dei greci. Per comprendere meglio il significato e la valenza politica dei Giochi panellenici, può essere utile soffermasi su quanto, a proposito di essi, scrive Isocrate, oratore ateniese del IV sec. a.C. nel suo panegirico pubblicato in occasione della centesima olimpiade nel 380 a.C. :” I fondatori delle nostre grandi feste sono giustamente apprezzati per averci trasmesso l’usanza per la quale, proclamata la tregua e risolte le nostre pendenti contese, conveniamo in un unico luogo, dove, portate a termine in comune preghiere e sacrifici, ci ricordiamo della parentela che esiste tra noi…”. Le classi economicamente più agiate possono dedicarsi alle discipline culturali e dal punto di vista morale sono considerate “eccellenti” (αγαθάι) possono coltivare la cura del proprio corpo e raggiungere un aspetto fisico perfetto tanto da meritare l’appellativo di (καλόι), cioè “belli”. Coloro che, invece, sono dediti ad un lavoro per guadagnarsi da vivere sono κακόι, cioè non belli e non eccellenti, perché occupano il proprio tempo con attività manuali che, non lasciando posto all’esercizio del corpo e della mente, sono disprezzate dai nobili. Il loro aspetto è, quindi, pallido e malandato. La bellezza del fisico corrisponde, insomma, alla perfezione morale (καλοκαγατία). L’attività atletica diventa un elemento di basilare importanza nell’educazione dei giovani, accanto all’insegnamento delle discipline intellettuali. Lo sviluppo di un’armoniosa muscolatura, l’agilità, la destrezza fisica e l’attività ginnica in generale sono considerati nel V secolo a.C. sullo stesso piano e con lo stesso valore delle attività intellettuali. Sorgono e si moltiplicano in tutte le società greche appositi edifici, ginnasi, necessari ed indispensabili per una corretta educazione (παιδεία) dei giovani. Si tratta di un fenomeno che si va affermando in primo luogo ad Atene, nella nuova struttura democratica che amplia a più strati sociali un tipo di cultura che era predominio un tempo della sola aristocrazia. Anche le raffigurazioni sulla ceramica attica di questo periodo riflettono la nuova impostazione culturale. Aitanti atleti, in atteggiamento di riposo o in posizione dinamica, sono raffigurati all’interno di palestre insieme al loro istruttore, accompagnati da una consueta acclamazione che ribadisce appunto gli ideali requisiti fisici e morali di un perfetto rappresentante della gioventù ateniese. Il progressivo arricchirsi del programma olimpico comportò ovviamente una durata maggiore della manifestazione. Dai 2 giorni previsti dopo l’introduzione della corsa dei carri, si passò a 3 con l’avvento, della XXVII olimpiade, di gare per ragazzi che prevedevano le stesse specialità già codificate per gli adulti. Infine, in epoca già classica, si arrivò ad una durata di 5 giorni e di 18 diversi tipi di gare, secondo un programma perpetuatosi fino al 393 d.C. . alla prima luce del giorno, i vincitori delle gare olimpiche si avviano verso il tempio di Zeus. Portano in mano un ramo di palma e hanno intorno alla testa una benda di lana rossa. Dalle più antiche raffigurazioni in legno di Prassidano, vincitore della 59° Olimpiade del 554a. C, e di Rexibios, che vince nel pancrazio nel 536 a.C., Pausania passa in rassegna le statue in bronzo delle epoche successive, soffermandosi non tanto sulla descrizione delle opere, ma piuttosto con aneddotica e ben documentata erudizione, sulle personalità e sui più curiosi episodi, divenuti leggendari della vita

degli atleti. Ma cosa è giunto fino a noi di queste decadenti sculture sportive? Basi più o meno frammentate ci ricordiamo, attraverso una testimonianza episodica, il nome dell’artista, autore della statua, quello dell’atleta e della sua patria e l’indicazione della gara in cui si è riportata la vittoria, mentre meno diretta e completa è la documentazione dell’opera scultorea. Le statue originali giunte fino a noi sono, infatti, assai poche. Dalla rigida impostazione dei Kouioi arcaici, che vibrano di un’intesa vitalità interna, si passa ad una ricerca fondata sulla resa della figura in movimento, espressa dalla rivoluzionaria impostazione del Discobolo di Mirone. L’atleta è colto nel momento del lancio con ardito e straordinario equilibrio; il suo corpo e la sua muscolatura sono tesi e concentrati nello sforzo per vibrare il colpo decisivo. Norme di simmetria, precise proporzioni per le diverse parti del corpo, nuovi ritmi nella ponderazione sono imposti dal canone policleteo, mirabilmente espresse dal Diadumenos (L’altleta che si allaccia la benda della vittoria), o dal Kyniscos, il giovane che si incorona, forse il pugile di Mantinea vincitore nel 460 a.C. nei giochi olimpici. Solo a partire dal IV secolo a.C. si evidenzia una spiccata sensibilità nei confronti di una visione individualistica, volta alla resa di una maggiore espressività. Lissipo e la sua scuola sono i grandi innovatori nella ricerca intesa a riprodurre la figura nello spazio con un effetto tridimensionale, ma ancora più originale è il loro intervento per lo spiccato interesse verso l’individuo e verso la sua personalità. L’Apoxyomenos, l’atleta che si deterge con lo strigile, capolavoro della piena maturità di Lisippo, rappresenta l’apice delle ricerche formali sulla figura dell’atleta non è più idealizzata: non è importante che essa corrisponda ai più rigidi requisiti della bellezza, ma che esprima che esprima le caratteristiche del personaggio, i “segni” della sua attività. L’interesse dell’artista si concentra sulla resa del volto dell’atleta: gli occhi sono sempre più e dallo sguardo profondo ed intenso, l’espressione diventa spesso patetica quasi a sottolineare il duro sforzo richiesto per conquistare la vittoria. L’atleta non è ferio e aitante come nell’età classica, ma stanco e depresso mentre cerca riposo durante la gara o gli allenamenti. Le proporzioni del suo corpo non sono perfette né corrispondenti ad un’ideale perfezione ma si addicono, piuttosto, in una visione naturalistica a chi svolge una pesante attività fisica. Egli è il rappresentante di una nuova professione, quella sportiva, e ne porta sul corpo e sul viso i segni e le cicatrici. “Come l’acqua è il più prezioso di tutti gli elementi, come l’oro ha più valore di ogni altro bene, come il sole splende più brillante di ogni altra stella, così splende Olimpia, mettendo in ombra tutti gli altri giochi”. Così cantava Pindaro di Cinocefale (521-441 a.C.) il grande poeta che celebrò nelle famoso odi olimpiche, pitiche, istimiche, nemee i vincitori delle gare che si disputavano nella località, sedi dei Giochi panellenici. Sebbene i Giochi olimpici dessero ad olimpia un ruolo preminente, tuttavia essa non ebbe mai una funzione politica e diplomatica paragonabile a quella di Delfi. Qui, ai piedi del Parnaso era la sede oracolare più prestigiosa del mondo antico, presso il santuario di Apollo Pizio. In onore del dio si celebravano fin da età molto antica agoni musicali nei quali, accompagnandosi al suono della cetra, i cantori narravano la vittoriosa lotta del dio contro il serpente

Gli schiavi

In Grecia gli schiavi (οι δούλοι lat. servi) erano, per lo più, prigionieri di guerra, che la donna, padrona di casa, controllava, oltre a badare all’ educazione dei figli e all’ amministrazione domestica. Il loro numero variava a seconda della ricchezza dei padroni di casa; erano trattati con una certa umanità, spesso aiutavano i padroni, oppure davano loro consigli. A quelli forniti da una certa cultura erano affidati i bambini, perché li accompagnassero a scuola ed ai giochi, e li istruissero. Le schiave, intanto, collaboravano con la padrona nelle faccende domestiche e le facevamo compagnia, quando ella si recava a visitare le amiche o a fare acquisti. Poiché sia gli schiavi che le schiave erano, per lo più, in buoni rapporti con i padroni, rari erano i casi di ribellione

o tradimento. Elevato era il numero degli schiavi, a tal punto che ad Atene, nel V – IV secolo a. C., essi costituivano i 4/5 della popolazione. Alcuni di essi, più previdenti ed abili degli altri, riuscivano anche a riscattarsi a persino ad acquistare beni di fortuna.

Il computo del tempo

Noi, oggi, calcoliamo il tempo in base alla successione degli anni prima e dopo Cristo; il sistema cronologico greco , invece, era basato sulle Olimpiadi (feste che si celebravano ogni quattro anni ad Olimpia, in onore di Zeus) partendo dalla 1^ Olimpiade, festeggiata nel 776 a.C.: il termine greco ή Oλυμπιάς - άδος indicava il periodo di quattro anni tra una celebrazione e l’altra. Gli anni, in Atene, si potevano anche indicare con il nome dell’arconte eponimo, il primo, cioè, dei dieci arconti in carica in un determinato anno. Nel calendario attico l’anno iniziava a metà luglio e comprendeva 354 giorni, i mesi erano 12, 6 di 30 e 6 di 29. A sua volta, ogni mese era suddiviso in tre parti, dette accadi.

Questi i mesi:

1. Εκατομβαιών, Ecatombeone (luglio/agosto) 2. Μεταγειτνιών, Metagitnione (agosto/settembre) 3. Βοηδρομιών, Boedromione (settembre/ottobre) 4. Πυανεψιών, Pianepsione (ottobre/novembre) 5. Μαιμακτηριών, Maimacterione (novembre/dicembre) 6. Ποσειδεών, Poseidone (dicembre/gennaio) 7. Γαμηλιών, Gamelione (gennaio/febbraio) 8. Aνθεστηριών, Antesterione (febbraio/marzo) 9. Eλαφηβολιών, Elafebelione (marzo/aprile) 10. Μουνιχιών, Munichione (aprile/maggio) 11. Θαργηλιών, Targelione (maggio/giugno) 12. Σκιροφοριών, Sciroforione (giugno/luglio)

Ogni tre anni, per colmare la differenza tra i 354 giorni dell’annp ateniese e i 365 dell’anno solare, si inseriva, tra il sesto mese ed il settimo, un mese intercalare, detto δεύτερος Ποσειδέων (secondo Poseidone) di 30 giorni. Il nome di ogni mese richiama, per lo più, una festività o una ricorrenza:

‐ Nel 1° mese si offrivano i grandi sacrifici ( Εκατόμβαι) a Minerva; ‐ Nel 2° si celebrava la trasmigrazione (μετοικισμός); ‐ Nel 3° avevano luogo le feste in onore di Apollo, detto βονδρόμος (soccorritore); ‐ Nel 4° ricorrevano altre feste dedicate ancora ad Apollo, a cui si offrivano fave (Πυανεψία); ‐ Il 5° era consacrato a Giove, detto Μαιμάκτες (tempestoso); ‐ Il 6° mese e quello intercalare erano entrambi sacri a Poseidone; ‐ Nel 7° si celebravano, per lo più, i matrimoni (γάμοι); ‐ Nell’8° ricorreva la festa dei fiori (Ανθεστήρια) e si celebrava l’inizio della primavera; ‐ Il 9° mese era consacrato ad Artemide, detta ελαφηβολος (cacciatrice dei cervi); ‐ Il 10° era anch’esso dedicato ad Artemide, detta Munichia perché venerata nell’omonima

regione; ‐ L’11° mese rievoca, nel nome, le feste in onore di Apollo e di Artemide, dette Targelie

(Θαργηλία) dal nome del pane impastato con il grano del primo raccolto; ‐ Nel 12° mese, infine, si invocava Atena Scirade (così detta da σκίρας, canicola), affinché la

dea temperasse gli ardori della canicola.

Poiché i mesi erano lunari (nel senso, cioè, che seguivano le fasi della luna), il primo giorno di essi era detto νουμηνία (luna nuova) e coincideva con il primo giorno della prima accade, detta μήν αρχόμενος (mese levante). Il primo giorno della seconda accade era chiamato ημέρα πρώτη μηνος μεσούντος  (il primo giorno del mese, cioè della decade, centrale); il primo della terza decade era, infine, denominato ημέρα δέκατη μηνος φτινόντος (il decimo giorno del mese che finisce, il decimo giorno, cioè, dalla fine del mese): nelle prime due decadi i giorni si contavano in ordine crescente, nell’ultima, invece, in ordine decrescente.

Il matrimonio greco

Nell’età omerica chi voleva avere una moglie legittima,αλόχος, l’acquistava dai suoi genitori versando loro degli έδνα,doni, specialmente capi di bestiame. Tuttavia si poteva condurre nella propria casa, oltre la moglie legittima, una o più donne conquistandole durante un’azione militare, una razzia, un’impresa piratesca; queste erano chiamate παλλάκαι concubine. “l’unione dell’uomo e della donna”, dice il filosofo Aristotele, è “ανώνυνоς” cioè “senza nome”; infatti la parola γαμός indica il giorno delle nozze. Nell’Atene classica ciò che caratterizza il matrimonio è l’εγγύη, l’atto (una stretta di mano) con cui il padre (o fratello consanguineo o il nonno paterno) offriva la propria figlia al pretendente, in presenza di testimoni. Per avere effetto giuridico l’ εγγύη doveva essere seguita dalla coabitazione che iniziava quando il padre o il parente, che aveva l’autorità di dare la fanciulla in sposa, la consegnava allo sposo insieme alla dote, segno concreto del legame fra le due famiglie. Se il matrimonio veniva sciolto, la dote ritornava alla donna perché potesse affrontare un nuovo matrimonio. Le nozze erano precedute dalle προτέλεια, sacrificio offerto per la fanciulla alle divinità protettrici del matrimonio: la promessa sposa (in genere di 13 o 15 anni) dava l’addio alla fanciullezza consacrando alle dee i suoi giocattoli, oggetti personali e ciocche di capelli. Nello stesso giorno si svolgeva il rito di purificazione: i fidanzati, nelle rispettive case, facevano abluzioni e un bagno con le acque attinte dai fiumi, o, come ad Atene, dalla fontana Calliroe, da parte dei parenti. Il giorno successivo si decoravano le porte delle case degli sposi con rami d’ulivo e d’alloro. Mentre le donne,preparavano la sposa sotto la guida della νυμφέυτρια, l’accompagnatrice della sposa, arrivano gli invitati e lo sposo seguito dal testimone. Quando la fanciulla si presentava velata e con una corona in capo, si procedeva ad un sacrificio in onore di Era e poi iniziava il banchetto, offerto dal padre della sposa, durante il quale le donne restavano separate dagli uomini. Un giovane, i cui genitori erano ancora in vita, incoronato di una ghirlanda di piante spinose e ghiande, simbolo della vita selvaggia, distribuiva agli invitati dei pani, simbolo della vita civile, pronunciando una formula augurale: εφυγόν κακόν, ευρόν αμείνον, ”ho fuggito il male, ho trovato il meglio”. Il banchetto si protraeva fino all’imbrunire, quando si formava un corteo: in testa c’era una guida, poi il carro, dove sedeva la sposa tra lo sposo e il testimone, seguito da parenti ed amici. Alla luce delle torce e al suono del flauto un corpo composto da giovani di entrambi i sessi intonava un canto nuziale, l’imeneo(υμέναιος, la cui etimologia non è mai stata risolta), che accompagnava gli sposi sino alla camera nuziale( a partire dall’età ellenistica il canto che era intonato davanti al talamo nuziale verrà chiamato epitalamio). Ad accoglierla nella nuova casa c’erano i genitori dello sposo, che le offrivano dolci e frutti e le facevano compiere un giro attorno al focolare, spargendole sul capo manciate di noci e fichi secchi (κατακύσμα) per sottolineare l’appartenenza all’οίκος e per augurarle fecondità. Gli sposi si ritiravano nella camera nuziale e da quel momento la fanciulla cessava di essere “nubile” e diventava di suo marito. Il giorno dopo, i genitori della sposa insieme ad un fanciullo che indossava un abito bianco e recava in mano una fiaccola, ad una canefora(fanciulla che reca un canestro) e a fanciulle portavano agli sposi dei doni, chiamati επαυλία, come riferisce la Suda. Trascorso un anno di convivenza, il marito

offriva un sacrificio e un banchetto ai membri della fratria, durante la festa delle Apaturie, per comunicare ufficialmente il suo matrimonio.

Retorica ed oratoria presso i greci

All’inizio la retorica fu una pratica molto diffusa presso il popolo greco, come risulta dai discorsi pronunciati dagli eroi omerici: per questa ragione, Omero era considerato dai Greci l’ευρετής l’inventore della retorica. L’uomo greco era per natura portato alla socializzazione ed al colloquio, perciò il λόγος, la parola, acquistò un’importanza sempre maggiore, specialmente quando, tra la fine del VI secolo a.C. e l’inizio del V, nacquero in Grecia i governi democratici: proprio in uno stato democratico, infatti, il cittadino poteva godere del diritto di esprimere la sua opinione (ισηγορία). Secondo la testimonianza degli antichi, la retorica come arte nacque a Siracusa: i primi trattati di eloquenza si fanno, infatti, risalire a due siracusani, Corace e Tisia, suo discepolo. Nel 427 a.C. la retorica siciliana giunse ad Atene con la famosa ambasceria di Gorgia e Tisia, tuttavia, già prima, in Atene, si era sviluppata una tradizione di eloquenza, per l’attività oratoria del poeta e legislatore Solone, del tiranno Pisistrato e di alcuni uomini politici come Temistocle e Pericle. Il poeta Eschilo, inoltre, nelle “Eumenidi” (458 a.C.) ha lasciato un importante esempio di oratoria giudiziaria: il processo di Oreste, davanti all’Areopago, per l’uccisione della madre Clitemnestra. Col passare del tempo, l’arte oratoria si perfezionò sempre di più, soprattutto ad opera dei sofisti: il termine σοφιστής, sofista, indicò in origine, << colui che possiede una σοφία, una saggezza, un’esperienza>>, poi il vocabolo passò ad indicare il maestro di varia sapienza, che, itinerante e ben retribuito, educava i giovani soprattutto alla vita politica, servendosi essenzialmente dell’arte della parola. I sofisti più famosi furono: Gorgia, Protagora, Prodico, Antifonte, Ippia. In Atene, città che nelle “leggi” Platone definisce <<amante di molti ed abbondanti discorsi>>, la retorica ebbe modo di svilupparsi in modo particolare, perché numerose erano le occasioni in cui l’eloquenza si esercitava. C’era, infatti, innanzitutto un’eloquenza politica, esercitata da ogni cittadino cui spettava la libertà di parola, c’era poi, l’eloquenza giudiziaria, esercitata nei processi: in Atene, la procedura obbligava l’accusato a difendersi da sé, e quest’obbligo spingeva tutti alla necessità di una certa preparazione oratoria. In un secondo tempo, chi ne avesse le possibilità economiche, poteva servirsi di discorsi scritti per i clienti da avvocati di professione, i logografi. La terza ed ultima forma di eloquenza era quella epidittica (da επιδεικτικός,dimostrativo), esercitata con discorsi d’occasione nelle pubbliche cerimonie. Gli oratori più famosi (Demostene, Isocrate, Lisia, Eschine, Iperide) hanno lasciato, nei loro discorsi, una documentazione molto preziosa sulla realtà della vita quotidiana ateniese e sull’uomo di quel tempo in tutte le sue manifestazioni.

Le feste pubbliche. Il simposio

Le grandi feste panelleniche cadevano con notevole intervallo di tempo: le Olimpiche (che si tenevano nell’Elide) e le Pitiche (a Delfi) ogni quattro anni, le Istmiche (a Corinto) e le Nemee (in Argolide) ogni due. Ad Atene invece per tutto l’anno si susseguivano “agoni e feste”, come afferma lo storico Tucidide. In effetti, se i Greci non conoscevano il giorno di riposo settimanale quale avevano gli Ebrei, i giorni di festa in Atene non erano certo pochi: in condizioni normali per la polis, essi occupavano quasi un terzo dell’anno. L’anno si articolava in dodici mesi, a partire da quello che gli ateniesi chiamavano Ecatombeone (corrispondente a un periodo a cavallo tra luglio e agosto) fino a quello detto Sciroforione, e ogni mese in Atene aveva le sue feste, che erano insieme religiose e civili, dato il particolare rapporto che vi era tra polis e religione. L’Ateniese era

orgoglioso delle tante festività, che contribuivano a rendere la sua città particolarmente amata dagli dei e richiamavano folle di visitatori ammirati. Erano in certi casi eventi che avevano anche un valore sportivo e culturale, perche vi si tenevano agoni di abilità atletica e letterari. Ricordiamo rapidamente solo le feste più significative. In Ecatombeone, dopo le Cronia, festività simile a quella dei Saturnalia latini, quando padroni e servi banchettavano insieme, alla fine del mese si avevano le Panatenee. Esse duravano abitualmente due giorni, ma ogni quattro anni la durata si raddoppiava. Vi si svolgevano gare atletiche e agoni rapsodici, e infine si aveva la solenne processione (raffigurata nel fregio del Partenone) che vedeva tutta la città salire fino all’Acropoli per offrire alla dea Atena un ricco peplo. Seguiva un grande sacrificio (di qui il nome del mese), che forniva carne per il banchetto di tutti i partecipanti (salvo casi particolari, nei sacrifici si bruciava agli dei solo una parte della vittima, mentre il resto veniva consumato dai sacerdoti e dai fedeli). Nel mese Boedromione (settembre-ottobre) si celebravano i misteri eleusini, mentre in quello seguente la festa più notevole era quella delle Tesmoforie, una festa della fecondità che durava tre giorni ed era riservata alle sole donne sposate. In inverno, nel mese di Poseidone, si avevano altre feste della fecondità, le Dionisie rurali, che vedevano gruppi di partecipanti, i κώμοι, (da cui viene il nome di commedia), avanzare cantando e lanciando frizzi agli astanti. Altre feste dionisiache erano le Ienee (le Λύναι �sono le baccanti, le seguaci del dio) in gennaio, e le Antesterie, in febbraio; ma le più importanti erano le grandi Dionisie, nel mese di Elafebolione, in primavera, quando la navigazione era ripresa (durante la cattiva stagione si evita di affrontare il mare) e la città era piena di stranieri. Era allora che si svolgevano gli agoni poetici più importanti, anche se testi teatrali potevano essere presentati anche nelle Lenee e nelle Dionisie rurali. Con un rituale complesso, che prevedeva una processione, la statua del dio veniva portata nel teatro (uno spazio all’aperto sotto l’Acropoli), dove si aveva prima la gara dei poeti ditirambi (il ditirambo è un canto tipicamente dionisiaco), poi, durante tre giorni, quella dei tragici e infine, l’ultimo giorno, quella dei comici. Negli agoni drammatici davanti al pubblico agivano degli attori e un coro, composto di comuni cittadini, in uno spettacolo che comportava recitazioni (i testi erano in versi), canto e danza. Era un evento solenne, che si apriva con la sfilata dei figli dei caduti in guerra, i quali, armati, andavano ad occupare dei posti d’onore; agli agoni assistevano le autorità (in prima fila sedeva il sacerdote di Dionisio) e gran parte della popolazione. Concludevano il ciclo di spettacoli la premiazione, un sacrificio e una seduta dell’assemblea che doveva approvare il modo in cui si era svolta la festa. Ricordiamo infine le feste Targelie, a maggio in onore di Apollo, in cui si ripeteva un rito che ha paralleli presso altri popoli antichi: si colpivano e si cacciavano dalla città i Φάρμάχοι, due uomini che impersonavano il male e la contaminazione da cui si voleva liberare la comunità. Naturalmente oltre ai giorni di festa imposti dal calendario vi erano quelli dovuti a motivi privati, per esempio un matrimonio, con relativo banchetto e sacrificio; ma vi erano anche altre occasioni in cui si radunavano gli amici per un convito, come quella, resa memorabile da uno scritto di Platone, in cui il poeta tragico Agatone volle celebrare una sua vittoria. Ma anche senza un motivo così significativo si poteva essere invitati da un generoso anfitrione, oppure ci si aggregava a chi era stato invitato. Tra compagni si poteva decidere di organizzare una riunione, portando ciascuno la propria parte di cibo e bevanda (era quello che veniva detto εράνος). Comunque il banchetto, con il conseguente simposio, fin dall’età arcaica diventa un momento caratteristico della vita greca, estremamente importante per la vita sociale (si rinsaldano legami di amicizia o addirittura di complicità), ma anche per la storia della letteratura: si pensi che molti testi lirici (per esempio quelli di Alceo) sono stati composti proprio per essere seguiti in questa occasione. Ma vediamo come si svolgevano le cose. Alla sera (era allora che si teneva il pasto principale) i commensali erano ricevuti da servi che toglievano loro i calzari, li facevano sdraiare sui letti (non si mangiava seduti, ma reclinati su un fianco) e portavano dell’acqua perché si lavassero le mani. Erano presenti al convito solo uomini (le spose e le figlie non partecipavano alla vita sociale), a meno che non si

invitassero delle etere (delle cortigiane), suonatrici di flauto e danzatrici per intrattenere i presenti. Ai convitati si avvicinavano dei piccoli tavoli e cominciava il banchetto: come sarebbe stato a Roma e poi per lungo tempo, si mangiava con le mani e si buttavano gli avanzi per terra. Una volta che si era sazi, si passava al simposio propriamente detto. Uno dei commensali, scelto come simposiarca, decideva in quale proporzione si dovesse versare nel cratere vino e acqua. Una volta fatta la miscela si riempivano le coppe, si cominciava a bere e magari si giocava al cottabo (si trattava in sostanza di lanciare del vino con una coppa centrando il bersaglio). Il simposio poteva essere rallegrato da esibizioni di acrobati o da canti di professionisti; ma gli invitati stessi cantavano prima in coro e poi a turno, a volte improvvisando o ripetendo canti famosi: e ci potevano essere contrasti fra chi preferiva motivi più tradizionali e gli amanti delle modernità. Si parlava anche di politica o di argomenti più futili; ma qualche volta il tono poteva innalzarsi, anche se certo non di frequente si sarà avuto una conversazione in qualche modo paragonabile a quella del simposio platonico, il modello dei conviti di sapienza che il mondo occidentale ha prodotto. Comunque tutti alla fine dovevano essere ubriachi e si addormentavano sul posto o erano ricondotti a casa da un servo. La famiglia Greca Quando ad Atene nasceva un bambino, se il padre decideva di allevarlo,durante una particolare cerimonia il neonato veniva portato attorno al focolare e con ciò entrava a far parte della famiglia. Se per qualche motivo il padre non voleva riconoscerlo, il neonato veniva abbandonato fuori casa, “esposto”; per lo più il bambino moriva o, se veniva raccolto da qualcuno, era destinato alla schiavitù. Ma perché si abbandonavano dei figli? Poteva avvenire o per qualche difetto fisico del neonato, o perché non era un figlio legittimo o anche perché si avevano già uno o più figli e non si voleva aumentare ancora la famiglia. A volte insieme al bambino si abbandonavano degli oggettini, che avrebbero potuto in futuro anche permettere il riconoscimento: questo colpo di fortuna si verificava sempre nella convenzione letteraria, ma, possiamo pensare, quasi mai nella realtà. Era molto più facile che si esponesse una femmina che non un maschio, fra l’altro perché la femmina era sentita come un peso morto, al cui un giorno si sarebbe dovuto assicurare una dote se si voleva darle marito. Questa pratica crudele dell’esposizione non era illegale: anzi in certi casi, a Sparta, era obbligatorio sopprimere un neonato che non desse garanzie di diventare un valido cittadino. Ma tutto ciò non deve farci pensare che i Greci, una volta superato il momento critico della scelta conseguente al parto, fossero dei genitori snaturati. A parte che una discendenza era necessaria per continuare i culti familiari e che i genitori si aspettavano di essere curati dai figli nella vecchiaia, alcuni testi ci mostrano come anche il padre potesse profondamente affezionarsi al bambino, circondarlo di premure e riporre sempre più in lui le sue speranze. Purtroppo la mortalità nell’infanzia e nella fanciullezza era alta, e non di rado capitava che si dovesse piangere la perdita di un figlio. La morte precoce, di colore che ancora non avevano potuto godere nelle gioie della vita e del matrimonio era considerata particolarmente crudele.

Ma seguiamo un po’ la vita di una fortunata coppia ateniese che vede felicemente crescere i suoi figli. Il padre era per lo più impegnato fuori casa, per il lavoro, per i suoi doveri di cittadino,o, in generale, perché la vita degli uomini Greci si svolgeva usualmente all’aperto, in contatto continuo con gli altri abitanti della città. I bambini erano quindi normalmente curati dalla madre e dalle donne di casa, fino a quando i maschi non venivano affidati a un pedagogo, uno schiavo che li accompagnava a scuola e li sorvegliava. Il rapporto del maschio con il padre si faceva via via più stretto, e il buon Ateniese, a seconda delle sue possibilità e della sua generosità, cercava che il suo rampollo non sfigurasse in confronto con i coetanei e potesse degnamente inserirsi nella vita della città: e altrettanto premuroso era di solito con un figlio adottivo.

Immagini del canto

“La pittura è una poesia silenziosa e la poesia una pittura loquace” : con questo verso il poeta Simonide ci comunica mirabilmente lo stretto rapporto che nella cultura greca hanno piano visivo e piano sonoro per quanto riguarda la rappresentazione della scene simposiache in vasi,coppe o anfore che dir si voglia. Ai pittori antichi infatti non era sfuggito lo stretto legame che intercorreva fra vino e poesia, fra momento della festa e momento poetico: era finito infatti il tempo degli aedi (i compositori) e dei rapsodi (i recitanti) che alla fine del pasto allietavano i commensali con il racconto delle mitiche gesta degli eroi epici; ora sono i cori o addirittura gli stessi convitati a produrre poesie, la quale si presenta sotto il nuovo aspetto della lirica. Tutto questo genere poetico viene prodotto per il simposio, e senza esagerare si può dire che “ la storia della lirica è la storia del simposio”.Il bere e il cantare sono così intimamente legati nel simposio che uno può diventare metafora dell’altro, come scrive Pindaro in una sua ode: “come quando tra i convitati sboccia la gioia del simposio mescoliamo un secondo cratere di canti ispirati alle muse…” La metafora del vino è molto spesso usata da Pindaro per parlare della sue odi; il testo poetico circola dal poeta ai convitati giungendo in fine al destinatario; si inviata a cantare come si inviata a bere e i versi passano di mano in mano come le coppe. Ma, tornando al punto da cui siamo partiti, cioè lo stretto rapporto che c’è tra poesia (che abbiamo visto essere momento caratterizzante e peculiare del simposio greco) e pittura, occorre analizzare come i pittori siano riusciti a rendere l’effetto sonoro in campo figurativo. La soluzione che hanno trovato è sicuramente intelligente e originale, poiché non si limita alla sola rappresentazione grafica degli antichi famosi poeti, come Saffo e Alceo, ma introduce un elemento più efficace: l’iscrizione. Essa può essere di natura didascalica, se ad esempio vuole esplicitare i

nomi dei personaggi rappresentati oppure “fuori campo”, se esprime qualcosa di non attinente con la figura, oppure può costituire il segno visibile della melodia, qualora esca dalla bocca stessa del cantore. Nel vaso del pittore di Brygos emergono, sebbene poco visibili tutte e tre queste caratteristiche: alla rappresentazione di Saffo e Alceo si accompagnano, rispettivamente lungo la testa del primo e lungo il collo della seconda, le iscrizioni che li identificano; tra i due in verticale si trova la cosiddetta scritta “fuori campo” che recita : “Damas è bello”, mentre davanti alla bocca di Alceo una seria di cinque O sta a indicare visivamente il suo canto. Altro esempio di iscrizione che diventa oggetto sonoro si può ritrovare in un anfora, in cui è rappresentato un satiro che suona il flauto, accompagnato da un’incomprensibile serie di sillabe che si leggono in verticale lungo il suo corpo: netenareneteneto. Rappresentando il canto dei convitati quindi i pittori aggiungono allo spazio visivo una dimensione sonora e valorizzano tutta la parte verbale e musicale del simposio. Questo tipo di iscrizione può essere comprensibile o incomprensibile. Nel primo caso le sillabe che il poeta produce sono onomatopeiche o rievocano una serie di note. talvolta a iscrizioni di questo genere si richiede soltanto di decorare, riempire il campo delle scena: è quindi l’aspetto puramente grafico e non linguistico ad essere significante. Nel secondo caso invece il breve canto iscritto richiama a temi molto noti alla lirica arcaica,sui quali si può improvvisare a piacimento. In un’altra coppa ad esempio ci mostra un convitato che, col capo piegato all’indietro, canta: “io non posso”. È un verso incompiuto appartenente forse al poeta

Teognide che in alcune liriche si lamenta di non poter cantare perché ha ecceduto un po’ troppo durante la festa. I frammenti di versi presenti nelle coppe e nei vasi da noi conosciuti sono tutti alla prima o seconda persona singolare(io festeggio,io posso,o Apollo, o meraviglioso, ama e …) e dimostrano quindi come questa poesia sia innanzitutto un mezzo di comunicazione fra i convitati, che si scambiano battute poetiche durante il momento del

simposio, coinvolgendosi l’un l’altro nel canto. L’iscrizione non ha un posto fisso all’interno del disegno, e allo stesso tempo non ne è distaccata, ma attraverso le linee che descrive contribuisce a dare dinamismo all’immagine e a formare un tutt’uno con essa. Altre iscrizioni ricorrenti sono le invocazioni degli dei, in particolare di apollo, che ricordano la dimensione rituale del simposio. Qualche volta i pittori hanno rappresentato delle scene, in cui i pedagoghi si servono di testi scritti su rotoli per esercitare i propri allievi la cui educazione musicale e poetica consisteva nel memorizzare testi classici tratti dell’epica e dalla lirica; in queste figure ci si può subito accorgere di come il rotolo che tiene in mano l’insegnante sia in realtà rivolto orizzontalmente verso lo spettatore. Il testo scritto inoltre è perfettamente leggibile: è quindi evidente l’intensione del pittore di dare la possibilità di leggere il contenuto del rotolo a tutti coloro che si fermino a osservare il vaso.

I giochi del vino Attraverso la pittura vascolare si hanno testimonianze dell’attività ludica dei Greci nel momento simposiaco,che consisteva nell’utilizzo di molti oggetti,distolti dalla loro funzione primaria. Si configura come particolarmente interessante il gioco dell’otre. Durante la festa dedicata a Dionisio si faceva largo uso di quest’oggetto,ricavato dalla pelle di capra. Arduo compito dei partecipanti era saltare con un piede solo sull’otre,reso scivoloso dal grasso di cui era cosparso; intorno a questa pratica si hanno diversi esempi nella pittura vascolare,che rappresentano esercizi di equilibrio nei quali sono coinvolte le più svariate parti del corpo . Troviamo,infatti, sulla coppa di Έπίκτητος un bevitore seduto che con il braccio sinistro teso sorregge un cratere e con il destro una brocca;

il primato di questi giochi di equilibri spettava ai satiri che con abile destrezza riuscivano a tenere i vasi sul piede, sulla schiena o sulla punta del loro fallo come si nota nella coppa di Άμβρόσιοι, sulla quale un satiro afferra un’anfora.

Particolare è la funzione che i satiri attribuivano ai vasi, utilizzati come corpi, con cui appagare il desiderio che cresceva con l’aumentare dell’ebbrezza; in questo modo al gioco dell’equilibrio si associava un gioco di sostituzione, chiarito dal proverbio greco: “niente Afrodite senza Dioniso”. Nel simposio il cottabo era il gioco più citato e consisteva nel lanciare il vino contro un bersaglio. Questo non si limitava a un puro esercizio di equilibrio ma coinvolgeva anche l’abilità,la mira e la sicurezza del gesto. La pratica poteva assumere svariate forme a seconda del bersaglio: talvolta bisognava colpire delle navicelle fluttuanti collocate in un bacino d’acqua; altre volte invece i partecipanti dovevano rovesciare un piatto posto in equilibrio su un’asta. Il giocatore nel momento in cui si apprestava a lanciare il vino dedicava il lancio all’amata.

Questi due esempi conferiscono una nuova eccezione al gioco del cottabo, non più riducibile a semplice esercizio di abilità: infatti il capovolgimento dell’oggetto, e quindi la conseguente rottura dell’equilibrio si configurava come il segno di un amore sicuro. Questa rottura materialmente rappresentava il vacillare di un innamorato davanti all’amata; il gioco presupponeva un partner amoroso cui era dedicato il lancio; dalla buona riuscita di questo dipendeva il successo amoroso. Da un certo punto di vista il cottabo tendeva alla divinazione: rappresentava un tentativo di controllare il futuro e di offrire una risposta all’antinomia successo/fallimento. Questa particolare interpretazione derivava dai molteplici modi di utilizzo del vino e di valori simbolici a questo attribuiti.

La condizione femminile ad Atene

L’uomo ad Atene poteva avere tre donne più una supplementare:

1. – La moglie ( damar o γυνή) , per la creazione dei figli , era promessa sposa quando era bambina , si sposava sui 14 anni , non aveva diritti e non partecipava alla vita sociale maschile.

2. – La concubina (pallakè) era spesso straniera , serviva per avere rapporti sessuali stabili , aveva i doveri della moglie ma non aveva protezione.

3. – La compagna per il piacere (etera) era colta , accompagnava l’uomo nella vita sociale ed era a pagamento.

– La prostituta (pornè) che esercitava il suo mestiere nelle strade ed era più povera. La dama poteva chiedere il divorzio , non ereditava il patrimonio paterno. In pratica le donne servivano per soddisfare le diverse esigenze maschili. Secondo gli stranieri nella costituzione spartana c’era una totale mancanza di regole sul comportamento femminile. In effetti , le donne spartane erano libere si dedicarsi al canto , alla danza e agli esercizi ginnici , perché così pensavano gli spartani che esse avrebbero potuto dare figli robusti alla patria. Inoltre erano libere perché ai lavori domestici ci pensavano le schiave e ai bambini provvedevano le nutrici.

La donna in Grecia

Mentre a Sparta le donne godevano di una libertà immensa , ad Atena ogni uomo poteva avere tre donne: la moglie, la concubina e la compagna per il piacere. La moglie apparteneva ad una famiglia amica e veniva promessa al marito o al padre di lui quando era ancora bambina (6-7 anni). Il matrimonio avveniva intorno ai 14 anni, e da lì in poi il suo ruolo era quello di dare figli al marito , per perpetuare il gruppo familiare. Alla moglie non spettava nessun altro compito , tutto infatti era delegato alla schiave. Ella non partecipava in nessun modo alla vita sociale: non andava a teatro ne ai banchetti. La concubina era spesso straniera , con la quale l’uomo greco viveva senza sposarla. Dal punto di vista dei doveri era parificata alla moglie , ma non godeva di alcun diritto. Infine l’etera , una donna che , pur concedendosi pagamento , sarebbe impreciso affiancarla alla prostituta. Le etere erano infatti donne colte , che conoscevano la musica , il canto e la danza; esse accompagnavano gli uomini ai banchetti , dove né mogli né concubine erano ammesse. A questo si aggiunga che per i rapporti davvero occasionali gli uomini avevano a disposizione vere e proprie prostitute , che esercitavano in casa e per strada , e che erano considerate a livello infimo della scala sociale. In età ellenistica le cose cambiarono: in questo periodo le donne godettero di maggiori diritti , questo a causa della disgregazione dei valori classici e del contatto con le grandi monarchie: gli Egiziani ad esempio , avevano da tempo riconosciuto alla donna capacità e diritti.

“La vita quotidiana della donna nella Grecia antica”

Quasi tutti le informazioni scritte che possediamo sulla Antica Grecia sono opere di uomini. Raramente abbiamo notizie dal punto di vista della donna. Qualche cosa sappiamo sulla vita delle donne sulle famiglie dei ricchi; e di donne molto differenti, come schiave ed ex schiave che si esibivano nelle feste degli uomini. Ma le donne di questi due gruppi sono solo una piccola parte della popolazione femminile. La storia delle donne greche comuni è per noi alquanto misteriosa.

Vita nell’ombra

Platone affermava che molte donne avrebbero dovuto essere istruite come gli uomini e considerate alla pari. Questa idea era ostica alla maggior parte dei Greci. Persino le donne, temeva Platone, avrebbero rifiutato il pensiero di condividere il mondo degli uomini. Se la donna apparteneva ad una famiglia ricca, controllava gli schiavi, mentre svolgeva i lavori domestici e per il resto

chiacchierava con le sue parenti. Un anonimo autore si lamentava delle donne benestanti che stavano mollemente sedute senza fare niente. Le donne di condizioni umili preparavano i pasti e facevano le pulizie, ma non effettuavano le compere, un compito affidato agli schiavi. Le donne crescevano i figli fino a quanto non erano abbastanza grandi per andare a scuola. Le femmine generalmente non andavano a scuola, ma imparavano a tenere una casa aiutando la madre. Ad alcune bambine veniva insegnato a leggere e a scrivere, per lo più dalle loro madri ma gli uomini potevano avere da ridire su questo: una donna istruita avrebbe avuto troppo potere! Alle donne ricche, tuttavia, era permesso uscire qualche volta: le feste religiose erano occasioni per incontrarsi, ma anche qualche particolare avvenimento della famiglia, come ad esempio la nascita di un bambino. La maggioranza delle cittadine era povera, per loro uscire a lavorare era una necessità. Le donne potevano lavorare nei campi con gli uomini al tempo della mietitura, oppure potevano vendere cibo e vestiti nei mercati .

Il matrimonio

Nel matrimonio, tra il VI e l’ VIII secolo avanti Cristo, veniva ancora considerata la donna come un dono grazioso e veniva ancora praticata la tradizione della dote. Lo statuto della sposa e delle ricchezze che l’ accompagnavano era molto diverso ad Atene, città dell’ apertura e del cambiamento, e a Sparta, città della chiusura e dell’ immobilismo, anche perché le due città avevano la diversa concezione di comunità cittadina e della sua composizione.

La cosmesi del mondo Greco

Già nell’ Antica Grecia accanto agli oli profumati, le donne utilizzavano cosmetici ricavati da piante, sostanze animali o elementi di origine minerale. La base del trucco era costituita da una preparato contenente biacca ( carbonato di piombo ), che conferiva alla pelle il colore bianco richiesto dai canoni di bellezza femminile allora vigenti; una sorta di rossetto a base di ocra serviva poi a dare alle gote e alle labbra un po’ di colorito, segno di buona salute. Questo era il maquillage ideale per le signore “oneste”, cui non si addiceva un trucco troppo pesante e vistoso; le cortigiane, invece, che per ragioni professionali utilizzavano in aggiunta matite nere o brune per sottolineare gli occhi e le sopracciglia. Era inoltre piuttosto frequente che anche gli uomini nella Grecia antica ricorressero a prodotti cosmetici o unguenti per esaltare la propria bellezza fisica. Nei periodo di lutto non era lecito mostrarsi con il viso imbellettato, così come non lo era indossare abiti che non fossero bianchi o scuri, portare acconciature elaborate e adornarsi il corpo con monili e oggetti preziosi.

La condizione femminile della donna in Grecia. La vita quotidiana della donna nella Grecia antica.

Tutte le informazioni scritte che possediamo sull’antica Grecia cono opere di uomini; raramente si hanno notizie dal punto di vista della donna. La storia delle donne greche, a parte alcune di nobili famiglie , è per noi sconosciuta. Le donne stavano quasi sempre in casa e quando uscivano indossavano lunghi mantelli e cappelli, per nascondersi alla vista degli uomini. Le donne a causa di questo abbigliamento prendevano molto meno rispetto agli uomini, erano più pallide, ed è per questo che in molti vasi la donna è rappresentata con la pelle più chiara di quella dell’uomo. Essere pallida per la donna costituiva un pregio, il colore chiaro della pelle infatti era segno che proveniva

da una famiglia agiata, al contrario la pelle scura era segno che una donna lavorava al sole in un mercato o in un campo , cosa che facevano solo le donne povere.

Ma cosa faceva la donna in casa ?

Se apparteneva ad una famiglia ricca , controllava gli schiavi e chiacchierava con i parenti. Se invece viveva in condizioni più umili , il suo compito , era quello di preparare i pasti e fare le pulizie , di allevare i figli fino a quando non erano abbastanza grandi per andare a scuola , se erano maschi; in genere le figlie femmine non avevano diritto all’istruzione. Ad alcune bambine veniva insegnato a leggere e a scrivere dalle loro madri , ma gli uomini potevano aver da ridire su questo: un donna istruita avrebbe avuto troppo potere! Un personaggio maschile in una commedia diceva: “ Insegnare ad una donna le lettere?”E’ un grave errore! Come dare altro veleno ad un pericolosissimo serpente velenoso”. Le donne potevano avere incontri mondani solo durante le feste pubbliche religiose o in occasione di qualche evento speciale della famiglia. Quando si sposavano portavano la dote al marito , a seconda dello stato sociale. Levi Strauss differenzia lo stato delle donne a seconda che appartenessero a “città fredde” , come Sparta o a “ città calde” come Atene. Nelle città fredde la donna era padrona della sua persona e del suo corredo matrimoniale , mentre nelle città calde era totalmente sottoposta all’autorità del marito. Nel mondo omerico possiamo distinguere due tipi di case e quindi due tipi di vita delle donne. Se una casa aveva solo femmine essa si perpetuava accogliendo altri generi. Le case omeriche quindi praticavano due tipi di matrimonio: quello da ”genero” e quello da “nuora”. Poco cambia nel passaggio dal mondo omerico all’epoca classica. A questa condizione di totale indipendenza della donna dall’uomo , si sottraggono poche donne , diventate famose per questo. Basti ricordare Elena , moglie di Menelao , causa della guerra di Troia; Saffo , la grande poetessa dell’isola di Lesbo; Santippe , moglie , di Socrate , che non ha un ruolo importante ma rappresenta la figura della moglie invadente e pettegola. Infine è necessario riportare anche il pensiero di Platone , che si può definire come uomo dalla mentalità più avanzata rispetto al suo tempo. Egli affermava che la donna avrebbe dovuto essere istruita come gli uomini e considerata alla pari. Questo idea era ostica alla maggior parte dei Greci; persino le donne , temeva Platone , avrebbero rifiutato il pensiero di condividere il mondo degli uomini!

La vita quotidiana , famiglia , il matrimonio.

In Grecia gli uomini vivevano molto poco in famiglia e , quando erano liberi da impegni di lavoro , trascorrevano la maggior parte del loro tempo nella piazza (Άγορά , lat. forum) , o negli stabilimenti balneari. Nella piazza essi passeggiavano sotto i portici e parlavano di affari , di politica e di

rappresentazioni teatrali; talvolta giocavano a dadi ( giuoco , questo , molto antico prediletto dai Greci). In alcune regioni i nobili ed i ricchi praticavano la caccia nei boschi o sui monti. Le donne , invece , svolgevano una vita meno varia e più ritirata: esse, infatti , rimanevano quasi sempre in casa , dedicandosi alle faccende domestiche ed alla cura dei figli; inoltre, praticavano il ricamo e la tessitura e seguivano il lavoro delle ancelle. Quando il padrone della casa invitata gli amici a banchetto , la moglie e le figlie rimanevano nella parte della casa loro assegnata, cioè il gineceo, non potendo partecipare ai conviti. La donna , inoltre ,usciva raramente e mai sola: l’accompagnavano le schiave, quando si recava a fare acquisti o a visitare le amiche. Parecchio tempo era dedicato dalle donne alla cura del corpo ed all’uso dei cosmetici. Le bambine greche per i loro giochi usavano, oltre al cerchio e alla palla . di cui si servivano anche i bambini , le bambole (κόραι lat. pupae) e l’altalena. Raggiunti i sette anni, i maschi andavano a scuola , mentre le bambine rimanevano a casa e la madre provvedeva alla loro istruzione di base: si riteneva inutile ,infatti, un’istruzione più ampia , in quanto la donna greca era destinata, dopo il matrimonio, a rimanere in casa. Nei tempi più antichi, il matrimonio aveva carattere di un rapimento, secondo il quale colui che desiderasse sposare una donna , la rapiva e, poi pagava ai genitori di lei il prezzo del riscatto, che consisteva in buoi o cavalli. In realtà, si trattava di una dote , che il marito versava ai suoceri come pegno dell’unione matrimoniale. In seguito gli usi si capovolsero e fu la donna a portare la dote:in questo modo ella entrando nella casa del marito non era più una schiava, quasi oggetto da lui comprato , ma una vera moglie con una posizione sociale di una certa importanza. All’età di quindici anni , la ragazza era promessa dai genitori ad un uomo più anziano di lei. Prima del rito nuziale , lo sposo chiedeva in moglie la donna scelta o al padre, o al fratello di lei , se la fanciulla era orfana:durante questa cerimonia (Έγγύησις , promessa , lat. vadimonium), si redigeva un contratto, in cui si stabiliva con molta precisione la dote (φερνή, lat. dos)della sposa. Occorre anche dire che i due sposi dovevano essere entrambi cittadini greci e godere dei diritti civili, perché, se avveniva un matrimonio tra un cittadino greco ed una straniera , o viceversa , i figli nati da esso erano considerati illegittimi. Pur rimanendo proprietà della moglie , la dote era data in usufrutto al marito , che la conservava e l’amministrava. La cerimonia nuziale (γάμοι lat. nuptiae) si svolgeva successivamente e , per lo più , in gennaio. Innanzitutto , alla presenza di amici e parenti , si faceva un sacrificio agli dei protettori della famiglia. Seguiva , poi , una banchetto , che terminava la sera; quindi si formava un corteo (πομπή, lat. pompa), che accompagnava , con fiaccole , la sposa nella nuova casa , mentre i cori di fanciulli contavano l’imeneo (canto nuziale). La seconda parte della cerimonia consisteva nel τέλος (parte finale ): la sposa era accolta nella nuova casa dalla suocera , che , con una fiaccola accesa,l’accompagnava nella camera nuziale (Θάλαμος, lat. cubiculum).

La democrazia

Le riforme

La prima riforma organica dello Stato ateniese fu operata nel 594 a.C. dal legislatore (νομοθέτης) Solone. Con le leggi (νόμοι) di Solone si ebbe in Atene il passaggio dall’aristocrazia (Άριστοκρατία) alla timocrazia (τιμοκρατία), da un governo, cioè, di nobili (ευπατρίδης) a un governo basato sul reddito (τίμημα). I cittadini furono divisi in quattro classi diverse, definite non in base all’origine familiare, ma alla rendita fondiaria e in proporzione alla ricchezza posseduta, si poteva aspirare alle magistrature. Così ebbero diritto elettorale attivo e passivo soltanto gli appartenenti alle prime tre classi: i grandi proprietari terrieri, i cavalieri e i piccoli proprietari. Solo fra le prime due classi venivano eletti dall’Έκκλησία(Assembla generale) i nove arconti (‘Aρχωντες che detenevano il potere esecutivo; i piccoli proprietari potevano essere eletti soltanto alle magistrature minori, come quella degli Undici(οί ‘ενδεκα) adibita a compiti di polizia. Gli aspetti

democratici di questa riforma erano rappresentati del diretto concesso a tutti i cittadini, anche a quelli della quarta classe che vivevano del proprio salario (θής), di partecipare all’Assembla generale, e quindi di deliberare sulle questioni più importanti, come anche di accedere all’Elièa (Ήλιαία), tribunale popolare in cui si discuteva sugli appelli contro i verdetti dei magistrati. Del vecchio apparato aristocratico rimaneva intatto solo il tribunale dell’Areopago (‘Aρειος πάγος). La costituzione di Solone fu lasciata inalterata da Pisistrato, un aristocratico, approfittando del malcontento suscitato dal riaccendersi della lotta tra fazioni, si proclamò tiranno (τύραννος), ovvero”signore” di Atene nel 561 a.C. Sotto la tirannide (τυραννίς) di Pisistrato Atene godè trent’anni di pace, durante i quali fiorirono l’agricoltura, le industrie, i commerci, le lettere e le belle arti. Che quello di Pisistrato sia stato un buon governo lo dimostra il fatto che quando egli morì (528 a.C.) gli ateniesi accettarono di buon grado che gli succedesse il figlio di Ippia. A lui non fu possibile, se non gli inizi della nuova tirannide, continuare la felice politica del padre; presto dovette ricorrere a metodi repressivi, specialmente dopo l’uccisione del fratello Ipparco, in un attentato promosso da due aristocratici, Armodio e Aristogitone. Nel 510 a.C. Ippia fu costretto ad abbandonare la città e a rifugiarsi presso il re di Persia. Abbattuta la tirannide, gli aristocratici tentarono di ripristinare il loro predominio; ma i tempi erano mutati e le classi popolari seppero opporsi alla prepotenza nobiliare. Fu proprio un aristocratico passato dalla parte dei democratici, Clistere, che ristabilì la pace nel 508 a.C.

La medicina in Grecia, il culto di Asclepio, Ippocrate.

La medicina greca in origine era legata alla sapienza tradizionale e alla magia delle società primitive; nei primi scritti medici del V secolo a.C., infatti, si trovano ancora elementi di magia: Enterite, per esempio, è considerata una maledizione di Apollo, poiché i suoi sintomi rassomigliano agli escrementi delle rondini, uccelli sacri al dio. Successivamente, tra la fine del V secolo a.C. e l’inizio del IV, nacque la medicina scientifica: al tempo di Aristotele, infatti, l’anatomia aveva cominciato a mostrare un influenza che orientava in senso scientifico le indagini mediche. I primi centri di medicina pratica furono santuari di Asclepio, il dio dell’arte medica e della guarigione e notevoli erano le cure lì praticate in religioso mistero. La diffusione del culto di Asclepio suggerisce l’idea che con il tempo la medicina era diventata ormai una professione o scienza disciplinata, e che esistevano un corpus di conoscenze ed un metodo che potessero essere trasmesse. Permanevano ancora, tuttavia, credenze e in prodigi: si pensava ad esempio che il dito del piede di Epaminonda il Tebano, che il fuoco del suo rogo non era riuscito a consumare, facesse i miracoli di guarigione non appena fosse toccato. Nel Pantheon greco, Asclepio, fu un dio minore, ma molto famoso; il suo culto si incrementò soprattutto a partire dagli ultimi anni del V secolo a.C. . In molti santuari egli subentrò ad un dio-eroe precedente ed il suo culto, dal Peloponneso, raggiunse Atene nel 420 a.C. Anche le ninfe dei boschi e delle fonti erano considerate “ guaritrici”; inoltre, l’eroe oracolare Anfiarao effettuava guarigioni in un santuario ai confini dell’Attica e della Beozia; nell’Agorà di Atene infine si ergeva un santuario dedicato ad un innominato “ Eroe guaritore”. Ma il più importante di tutti nel campo delle guarigioni fu certamente Asclepio, il cui santuario più famoso sorse ad Epidauro: ciò è confermato dal fatto che le nuove feste in onore del dio ad Atene furono chiamate Epidaurie. La città di Epidauro giace lungo il mare, sul golfo Saronico: nella zona interna fu costruito un santuario dedicato a Asclepio, che raggiunse il maggior prestigio nel IV secolo a.C. Nel santuario la cui architettura e scultura erano estremamente ricche, si svolgevano periodicamente delle gare simili ai nostri grandi festival internazionali con corse di cavalli, gare atletiche, musica e poesia. Nel tempio del Dio rimangono, oggi, solo alcuni frammenti e le fondamenta. Sempre ad Epidauro sono state ritrovate iscrizioni, che ricordano le prodigiose guarigioni attribuite ad Asclepio nel campo della chirurgia ed in altre branche della medicina. Ogni nuovo santuario di Asclepio era fondato con l’arrivo di un serpente (animale sacro al Dio): i nuovi santuari apparvero a Kos(nel V

a.C.), a Pergamo e Cirene (IV sec. a.C.), a Neupatto (nel III a.C., per intervento di una delicata poetessa, Anite di Tegea), a Sicione, Corinto, Fliunte, Argo, Patrasso e Pellene.Gli antichi credevano che ogni malattia avesse il proprio Dio, nel senso che potesse essere curata da lui: Apollo, per esempio provocava l’Entenite ed era l’unico che la potesse curare. Si pretendeva in particolare, che Asclepio curasse tutte le malattie: la sua serva, infatti, era “Πάνακεια”, “guaritrice di tutto”, e sua moglie era “Salute”.Nelle arti figurative il Dio appare non severo, come tutti gli altri abitanti dell’Olimpo, ma nella figura di un vecchio benevolo, con accanto un serpente, che era il personaggio più importante del santuario, perchè si riteneva che, se esso avesse leccato gli occhi di un cieco, ne avrebbe curato la cecità. Molto del lavoro medico fatto nei santuari in nome di Asclepio era svolto di notte da medici-sacerdoti, coadiuvati da infermiere-sacerdotesse, mentre i pazienti dormivano, poiché erano state loro somministrate sostanze ipnotiche: al risveglio i pazienti credevano che il Dio stesso fosse venuto a curarli. I santuari di Asclepio non furono soltanto centri di medicina ma anche sedi di oracoli a cui i pazienti credevano consigli intorno alle loro malattie. Coloro che erano guariti offrivano al Dio a titolo di ringraziamento, ex vuoto costituiti per lo più da rilievi che assumevano la forma della parte malata e poi guarita: una gamba, un occhio, un naso, un orecchio. Nel campo della medicina greca il primo nome storico degno di rilievo è quello di Ippocrate, nato a Kos e vissuto nella seconda meta del V a.C. Secondo alcune fonti non attendibili egli discendeva da avi che avevano esercitato la medicina anche essi. Scarse sono le notizie sulla sua vita, ma le diverse fonti di informazione, tra le quali Platone ed Aristotele. Platone, in particolare, in un passo di Fedro, afferma che Ippocrate basava lo studio della medicina “sulla conoscenza del tutto”, cioè sui vari fenomeni naturali cui l’uomo è legato. Sotto il nome di Ippocrate ci è stato tramandato un corpus detto Hippocraticum, comprendente numerose opuscoli, dei quali molti sicuramente spuri: Il discepolo più famoso di Ippocrate, Galeno scrisse, nel II a.C, un commento molto importante sulla teoria Ippocratea cercando di distinguere nel corpus opere genuine da quelle spurie. Si possono tuttavia con certezza attribuire ad Ippocrate alcune scritti dai quali l’opuscolo sui venti, le acque e le regioni(in cui si affronta il problema dell’influenza dei venti e del clima sulla salute degli uomini) e lo scritto sul morbo sacro(nel quale si narrano i caratteri delle epilessia e si dimostra che essa è una malattia come tutte le altre ma con sintomi particolari). Dal corpus Hippocratum ricaviamo importanti notizie sulla condizione dei medici (ιάτροι) i quali specialmente nei tempi più antichi, si spostavano di città in città fondando diversi ambulatori(ιατρεία).Prima di iniziare la loro professione, essi dovevano pronunciare un giuramento(detto giuramento Ippocratico), a cui erano tenuti anche i loro assistenti. Ogni medico aveva il compito di osservare prima attentamente i sintomi di ogni malattia(πρόνοια conoscenza precedente), doveva provvedere alla cura (θεραπεία): tra le misure terapeutiche figuravano, tra l’altro, il riposo, la dieta, i bagni, i clisteri, i salassi, ed alcune droghe.

La moneta

Le prime monete, del mondo greco, apparvero fra l’VIII ed il VII secolo a.C. in Asia Minore e si diffusero, poi, nella penisola.Erano soprattutto d’argento, metallo abbastanza abbondante nei giacimenti del Pangeo e del Laurion. Nell’antica Grecia furono usati vari sistemi monetari, ma fra le tante monete diverse per immagini, iscrizioni e peso, una fu accettata in tutti i mercati: la dracma (δραχμή. lat. drachma) di Atene, che era d’argento, pesava gr.4,366 ed aveva sul retro la testa della dea Atena e sul verso la civetta, animale ad essa sacro, con la scritta << τών Άθηναίων>> (degli Ateniesi).La dracma si divideva in sei oboli (obolo.’Oβολός lat. obolus) e i suoi multipli erano: la mina (100 dracme) ed il talento (τάλαντον lat.Talentum= 6000 dracme, cioè 60 mine).Tra le altre monete avevano un corso legale: il diobolo ( 2 oboli), il triobolo (3 oboli), il didramma ( 2 dracme)

e il tetradramma ( 4 dracme); raro era il decadramma ( 10 dracme). le moneta di minor valore era, infine, il calco(χαλκείον):di rame, essa equivaleva all’ottava parte di un obolo.

La vita militare ad Atene.

Una grande importanza ebbe in Grecia la vita militare. Nei tempi più antichi, che noi riusciamo a ricostruire attraverso la lettura dei poemi omerici, il Re era sia capo religioso che militare del suo popolo: a differenza dei soldati, i quali combattevano a piedi, il Re e gli uomini del suo seguito erano su carri tirati da due cavalli e guidati da un auriga. Poiché la società omerica aveva un ordinamento feudale, non esisteva un vero e proprio servizio militare: infatti tutti i cittadini erano considerati soldati e da tutte le età erano invitati a combattere. Le armi di difesa erano: corazza, schinieri(di metallo e fodera di cuoio), bracciali, elmo (di metallo e guaina di cuoio), scudo; quelle di offesa: spada, lancia, arco con frecce(conservate nella faretra), grosse pietre(raccolte in caso di necessità), il combattimento si interrompeva in genere al tramonto del sole e dal termine di esso gli eserciti avversari si ritiravano ognuno al proprio accampamento. Durante la battaglia, poi donne e vecchi della città assediata, dalle mura incoraggiavano i combattenti. Nei tempi successivi a quelli scritti nei poemi omerici, ci fu un vero e proprio servizio militare o di leva: gli eserciti delle varie città greche non erano formate dai mercenari, ma da liberi cittadini educati all’amor di patria. Perciò ogni città era fornita di balestre e di scuole militari in cui i cittadini avevano l’obbligo di esercitarsi. Ad Atene, il giovane cominciava ad addestrarsi a 16 anni, fra i 18 ed i 20 svolgeva il servizio militare, in seguito poteva essere richiamato sia per una guerra, sia per normali addestramenti, fino all’età di 60 anni. All’armamento presedeva l’arconte polemarco(cui erano affidate funzioni quasi simili a quelle del ministro della difesa negli stati moderni), mentre ai dieci strateghi(= generali, uno per ogni demo dell’antica) competeva organizzare strategicamente l’esercito. Solone divise i cittadini Ateniesi in base al censo, e questa divisione si applicò anche all’esercito: i pentacosiomedimni (con una rendita di almeno 300 medimni) fornivano all’esercito la cavalleria e costituivano la fanteria pesante (cioè gli opliti, che ne erano la parte fondamentale); gli zeugiti, poi, (che possedevano una rendita annua di almeno 150-200 medimni) prestavano servizio come opliti; i teti, infine, (che avevano una rendita inferiore a 150 medimni) combattevano nella fanteria leggera. Gli opliti, ai quali era affidato il combattimento corpo a corpo, erano forniti di armatura pesante: elmo, scudo, corazza, schinieri, lancia, spada. Gli armati alla leggera, o peltasti, seguivano gli opliti, con il compito di difenderli ai fianchi ed alle spalle. Mentre la fanteria era destinata a combattere, la cavalleria, con lance, spade, ed armi difensive leggere, era, per lo più, un corpo di parata, schierata ai fianchi degli opliti. Solo certi corpi speciali, come quelli degli arcieri, potevano essere formati da soldati mercenari. Atene, oltre all’esercito, ebbe anche una grande flotta da guerra, di cui i marinai erano scelti tra i Teti e gli abitanti delle isole Egee. Le navi erano, in primo tempo a vela

successivamente a remi. Quelli a vela, infatti, strette, lunghe e leggere, furono sostituite, poi, da navi più grosse e pesanti, fornite prima di una sola fila, e poi di tre file di rematori e, perciò, dette Trireme. La Trireme era lunga 50 metri, larga 5 ed a bordo di essa oltre ai rematori, c’erano anche alcuni contingenti di opliti e di arcieri, i quali entravano in azione dopo che la nave avversaria fosse stata abbordata con lo speronamento, mediante i rostri.

Le Istituzioni

La riforma di Clistene riorganizzò lo Stato ateniese secondo una prospettiva non più oligarchica, ma decisamente democratica. Clistene lasciò intatte le antiche magistrature e conservò la divisione in quattro classi dei cittadini ateniesi, ma il censo non fu più calcolato in medemni (μέδιμνοι), bensì in denaro, in modo che si potesse classificare anche coloro che godevano di redditi industriali e commerciali. Tutti i cittadini liberi, divisi in dieci tribù (φύλαι), partecipavano, al compimento dei vent’anni, all’Ecclesìa. Ogni tribù, oltre a fornire un reggimento(τάξις) di opliti (oπλίται) e a eleggere uno stratega che lo comandasse (στρατηγός), sorteggiava tra i suoi cittadini, di almeno trent’anni di età, cinquanta rappresentanti da inviare in Atene come membri del Consiglio dei Cinquecento(Βουλή). Il presidente dell’assemblea non era stabile, ma estratto a sorte a turno ogni giorno da ciascuna tribù territoriale (πρυτανεία) ogni bulèuta (βουλευτής) perciò aveva molte probabilità di essere almeno per un giorno il presidente dell’assemblea, il che equivale a dire il capo dello Stato. La Bulè formulava disegni di legge (προβούλευματα) che l’Εκκλεσία poteva approvare o respingere. Poiché tutti i cittadini partecipavano di diritto alla Bουλή, che era l’organo sovrano dello Stato, fu stabilita da Clistene una paga giornaliera per evitare che i meno abbienti disertassero per necessità di guadagno le adunanze e rinunciassero alle cariche. In odio alla tirannide e a garanzia della riforma fu istituito l’ostracismo (οστρακισμός), che deriva il suo nome dai cocci d’argilla (όστρακα), sui quali gli Ateniesi, in numero di almeno seimila, potevano indicare il nome di chi, per il semplice sospetto di congiurare contro le istituzioni vigenti, doveva essere bandito per dieci anni dalla città. L’ordinamento introdotto da Clistene non era certo esente da difetti, discriminazioni e privilegi, ma si po’ dire che con esso furono riposti nel popolo (δήμoς) la fonte e l’esercizio del potere politico e fu instaurata in Atene la democrazia (δημοκρατία). Gli Ateniesi andarono sempre orgogliosi dei loro liberi ordinamenti, come testimonia il famoso elogio della Costituzione ateniese che lo storico Tucidide mette in bocca a Pericle, lo statista che per anni tenne le redini dello Stato: “Abbiamo un sistema di governo che non emula le leggi dei vicini; ma siamo noi stessi un modello piuttosto che gli imitatori di altri. E quanto al nome, per il fato che non si amministra lo Stato nell’interesse di pochi ma di una maggioranza, si chiama democrazia: secondo le leggi vi è per tutti l’eguaglianza per ciò che riguarda gli interessi privati; e quanto alla considerazione di cui si gode, ciascuno è preferito per le cariche pubbliche a seconda del campo in cui si distingue, e non per la classe da cui proviene più che per il merito” (La guerre del Peloponneso, II, 37). E’ questo un giudizio che contiene molta verità, ma è anche molto idealizzato. L’orgogliosa esaltazione della meritocrazia garantita dalle parole di questo studioso, ci piace concludere queste brevi note sul costume, sulla formazione e sulle realizzazioni politiche degli antichi padri della democrazia. “Tutte le qualità degli Ateniesi cooperano a formare la loro città-stato. Si tratta della creazione e della somma del loro coraggio e della loro forza, della loro intelligenza e della loro loquela, della loro mancanza di norme e della loro prepotenza, della loro vanità e del loro patriottismo, della loro adorazione della bellezza e della libertà. Sono ricchi di passioni, ma poveri di pregiudizi. Di tanto in tanto ammettono le intolleranze religiose…; altrimenti essi insistono su un grado di libertà che sembra fantasticamente caotico i loro ospiti orientali. Le istituzioni democratiche non tengono, infatti, conto degli inevitabili inquinamenti che anche il sistema di governo ateniese subì per la disonestà e la pratica della malversazione. Un quadro

obiettivo in cui risaltano le luci e le ombre del carattere e della condotta dell’ateniese medio del V-IV secolo, come si ricava dalle testimonianze più varie, è delineato dal Durant nella sua Storia della civiltà. Ma poiché essi sono liberi, poiché, in ultima analisi, qualunque posto è aperto a qualunque cittadino, e ciascuno è dominatore e dominato a sua volta, essi sono disposti a offrire metà della vita allo Stato. La casa è il luogo dove essi dormono; vivono sulla piazza del mercato, nell’Assemblea, nel Consiglio, nelle corti, nelle grandi festività, nelle gare atletiche, negli spettacoli drammatici che danno gloria alla città e ai suoi dei. Riconoscono allo Stato il diritto di disporre delle loro persone e dei loro beni per venire incontro ai proprio bisogni. Gli perdonano le sue pretese perché sono queste che danno le maggiori possibilità di sviluppo umano che mai nessun uomo abbia conosciuto prima; per lo Stato combattono accanitamente perché esso è padre e custode delle loro libertà. “Così” dice Erodoto “gli Ateniesi aumentarono in forza. Ed è abbastanza chiaro non solo questo, ma da molti esempi, che la libertà è una cosa eccellente; dato che anche gli Ateniesi, i quali, pur continuando sotto il comando dei dittatori, non erano per nulla meno valenti di qualunque dei loro vicini, non appena si sciolsero dal giogo divennero decisamente i primi di tutti”.

Terminologia

νόμος, ου(ό): legge

νομοθέτης, ου(ό): legislatore

φυλή, ης(ή): tribù

φυλακός, ου(ό): filarca, capo di una tribù

πόλις, εως(ή): città, città-stato

πολιτεία, ας(ή): forma di governo, costituzione

πολίτης, ου(ό): cittadino

πολιτεύειν: avere diritti di cittadino

πολιτεύεσθαι: occuparsi di politica

επίτιμος, ον: che gode dei diritti politici

άτιμος, ον: privo dei diritti politici

μέτοικος, ου(ό): meteco, straniero domiciliato in città

δούλος, ου(ό): servo, schiavo

ευπατρίδης(οί): eupàtridi, nobili

αριστοκρατία, ας(ή): aristocrazia

τίμημα, ατος(τό): censo

τιμοκρατεία, ας(ή): timocrazia

μέδιμνος, ου(ό): medimno(misura di capacità)

πεντακοσιομέδιμνοι (οί): pentacosiomedimni, di 500 medimni (I classe)

τριακοσιομέδιμνοι (οί): triacosiomedimni, di 300 medimni (II classe)

ζευγίται (οί): zeugiti (aventi un paio di buoi, III classe)

θήτες(οί): teti (lavoratori salariati, IV classe)

οί ένδεκα: gli Undici (magistrati delle dieci tribù più un segretario)

Εκκλεσία, ας(ή): Ecclesìa, assemblea (generale)

Ηλιαια, ας(ή): Elièa (supremo tribunale dei seimila Eliasti, in dieci sezioni)

Ηλιαστής, ου(ό): Eliaste (giudice nell’Elièa)

‘Aρειος πάλος, ου(ό): Areopago (tribunale che giudicava gli omicidi)

Άρεοπαγίτης, ου(ό): areopagita (membro dell’Areopago)

τύραννος, ου(ό): padrone assoluto, signore, tiranno

τυραννίς, ιδος(ή): potere assoluto, tirannia, tirannide

τυραννοκτόνος, ου(ό): tirannicida

δέμος, ου(ό): popolo

δημοκρατία, ας(ή): democrazia

δημοκρατίζειν: avere sentimenti democratici

δημοκρατίσται: essere retti a governo popolare

δημοκρατικός - ή- ον: democratico, popolare

δημηγόρειν: parlare nell’assemblea

Bουλή, ης(ή): adunanza, Consiglio dei Cinquecento

Bουλευτήριον, ου(τό): Buleuterio: sede del Consiglio

Bουλευτής, ου(ό): bulèuta, membro del Consiglio

προβούλευμα, ατος(τό): deliberazione preliminare del Consiglio

Πρυτανείον, ου(τό): Pritaneo (sede del primo magistrato)

πρύτανεις(οί): pritani, i Cinquecento del consiglio

πρυτανία, ας(oί): pritanìa

οί ‘Aρχοντες arconti

στρατηγός, ου(ό): stratego

τάξις, εως(ή): reggimento

oπλίτης, ου(ό): oplita

oστρακισμός, ου(ό): ostracismo

‘oστρακον, ου(τό): coccio

La vita nell’ ’Aγορά

La piazza come centro della vita sociale

L’ ‘Aγορά era la piazza centrale della πόλις (come il forum dei Romani), dove conveniva il popolo sia per gli affari privati, sia per le riunioni religiose e politiche. L’ ‘Aγορά era quindi il centro della vita urbana, che si affollava nelle ore del mercato, ma continuava ad essere frequentata fino al tardo pomeriggio. Al mattino erano numerosi i piccoli commercianti (κάπηλοι) che portavano al mercato la loro merce (si chiamavano, invece, ‘Eμποροι i mercanti che navigavano e attuavano gli scambia fra le città marittime). Settori determinati erano riservati alle varie mercanzie, per esempio al pesce, agli ortaggi, ai formaggi, ai fiori, agli utensili domestici, ai giocattoli. I bottegai attendevano ai loro affari in baracche di legno che rimanevano chiuse e incustodite quando l’attività del mercato cessava. A far la spesa si recavano gli uomini, non le donne, per le quali era un disonore farsi vedere per strada; se non vi andava il padre di famiglia, il quale comunque era accompagnato da un servo “addetto alle spese” (αγράστης), l’incarico era affidato a una vecchia ancella. L’esercizio del mercato era sorvegliato rigorosamente da vigili che non esitavano a elevare contravvenzioni (‘eπιβολαί). Poteri assai vasti in tale funzione di controllo avevano speciali magistrati (‘αγορανόμοι da ‘Aγορά e da νέμω, “regolo”), il cui compito era quello di assicurare che le merci poste in vendita fossero fresche e non adulterate; a essi si univano i “magistrati della città” (αστυνόμοι), che ispezionavano i pesi e le misure e controllavano i prezzi. Una curiosità: gli αστυνόμοι facevano rispettare anche le tariffe fissate dalla legge per prendere a nolo una flautista (αυλητρίς). Le flautiste, infatti, offrivano il loro servizio musicale, necessario per ogni atto della vita domestica che richiedesse un rito sacro; così era per il banchetto (συμποσίον), in cui era previsto l’accompagnamento del flauto. A proposito del banchetto, è naturale che per prepararlo fossero necessari i cuochi (μάγειροι); perciò anch’essi stazionavano in un settore preciso del mercato in attesa di offrirsi al cliente disposto a pagare meglio. Quella dei cuochi era una professione libera che essi esercitavano assistiti da sottocuochi e da sguatteri attrezzati con marmitte, coltelli e forchettoni di ogni specie. Un’altra attività che aveva come punto di riferimento il mercato era quella dei banchieri, chiamati τραπεζίται da τράπεζα il “tavolo” dei cambiavalute: il luogo dove risiedevano era frequentato non solo da chi intendeva eseguire operazioni finanziarie (ricevere prestiti, fare depositi, cambia, ecc…), ma anche da chi desiderava incontrarsi con gli amici per fare conversazione. Nell’età di Pericle presso i banchi dei cambiavalute era facile incontrare Socrate, che vi si recava verso mezzogiorno, quando il mercato era pieno (‘αγοράς πληθουσης), per sollecitare i cittadini con i quali attaccava discorso a interrogarsi sui grandi problemi morali

Le quattro operazioni

I Greci usavano per i calcoli le stesse quattro operazioni dei Latini e dei popoli moderni:

Addizioni: ’επτά καί πέντε δώδεκα εστίν (7+5=12,lat. Septem et quinque duodecim sunt ),

Sottrazioni: ’οκτώκαίδεκα δυοίν δέοντα ’εκκαίδεκα εστίν[( 18 mancanti di 2)18-2=16, lat.duodeviginti praeter duo sedecim sunt],

Moltiplicazione: (τά) δίς ’εννέα ’οκτώκαίδεκα εστίν[(due volte 9) 2x9=18, lat. Bis terna sunt Duodeviginti)],

Divisione: τών πέντεκαίδεκα ή τρίτη μοîρα πέντε εστίν

[(la 3° parte di 15)15:3=5, lat. Quindecim partium tertia quinque est].