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di Laura Magna ♦ Agli elementi tradizionali che possono incidere negativamente sullosvolgimento del business si aggiungono quelli legati al mondo virtuale: big data, blockchain etutte le nuove tecnologie disruptive. La situazione italiana e le fondamentali necessità del risk

management così come li vede Alessandro De Felice, presidente Anra, l’associazione disettore, e top manager Prysmian

L’Industria 4.0 ridefinisce il concetto di rischio strategico nelle aziende. Non più solo legato all’organizzazione fisica, maanche al mondo virtuale: le tecnologie tipiche dell’interconnessione aumentano la complessità del contesto e con essa i puntidi ingresso dei possibili fattori di rischio. Per questo il compito di chi si occupa di gestione dello stesso diventa sempre piùcentrale e specialistico, «a fronte dei grandi cambiamenti in atto – a livello economico, normativo, tecnologico, ambientaleper citarne alcuni – e delle conseguenti incognite che impattano sui risultati e sulle prospettive di crescita», dice a IndustriaItaliana Alessandro De Felice, Chief Risk Officer di Prysmian, al suo secondo mandato come presidente di Anra, l’associazionecostituita da Risk Officer, Risk Manager e Insurance Manager che operano quotidianamente nella professione, e che dal 1972 èil punto di riferimento in Italia per diffondere la cultura della gestione del rischio e delle assicurazioni in azienda.

22 gennaio 2019

Interconnessione di fabbriche e aziende: lagestione del rischio

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ALESSANDRO DE FELICE, PRESIDENTE ANRA

Cos’è il rischio strategico e come si gestisce

Partiamo con il definire il perimetro: cosa si intende per rischi strategici? «I rischi strategici sono tutti quelli che attengonoalla strategia che un’azienda adotta, a 360°. Quindi possono riguardare prodotto, mercati, tecnologia, sviluppo. E’fondamentale conoscere quali sono i ritorni attesi sul capitale investito di ogni piano strategico, e per farlo bisogna attuare unprocesso che parte da un’analisi qualitativa delle tipologie di rischi e quantitativa dell’incidenza di ognuno di essi sullastrategia stessa», precisa De Felice. La stessa Anra classifica nell’area dei rischi strategici quelli legati a una perdita direputazione, quelli che possono scaturire da operazioni di M&A, dal clima politico o di mercato e dal mutare delle condizionilegate ai macro fattori economici e sociali. Questi sono i punti fermi da monitorare costantemente per comprendere e

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misurare l’impatto dei rischi sulle aziende, per individuare il loro trattamento migliore, trasferimento o ritenzione, e perindividuare il risk appetite, ovvero quella soglia di rischio che l’azienda è disposta e in grado di sopportare.

LA MINACCIA CYBER È UNO DEI NUOVI FATTORI DI RISCHIO PIÙ TEMIBILI NELL’ ECONOMIA INTERCONNESSA

Elementi di rischio nell’industria 4.0

«Ciclicamente tutte le aziende cercano di allineare e mettere in relazione il piano industriale a tre anni o il piano di gestioneannuale, area di business per area di business, con le variabili che incidono sulla sua esecuzione ottimale. Una visione diquesto genere permette al management di agire in modo da ridurre la volatilità dei dati attesi. Questo vale a maggior ragioneper le società quotate, che sono tenute a comunicare obiettivi di business a stakeholder e analisti: tanto più gli obiettivi sonorispettati, tanto più l’azienda è valutata come sana», dice De Felice.

Dunque che genere di analisi si fanno? «Se parliamo di un rischio strategico di mercato o di prodotto, si individuano lecomponenti di riferimento di una certa area di business o di un prodotto, i Key Performance Indicator. Quindi, partendo dalleassumption del modello di business e del prodotto si calcola come quel prodotto o quella strategia possano creare un valoreaggiunto e si mettono in relazione questi elementi di base con tutte le variabili che possono influenzarli (i Key Risk Indicator),dai competitor, al rischio paese, al rischio normativo, all’andamento dell’economia. Un esempio pratico è quello di un’aziendala cui redditività dipende strettamente dal prezzo del petrolio o di altre materie prime, oppure dalla variazione del tasso dicambio tra valute. Questi sono tutti elementi che possono essere analizzati da un punto di vista matematico statistico evalutati per capire la loro incidenza rispetto al risultato atteso».

Proteggere la sostenibilità dalle minacce incombenti

Un altro tema rilevante nell’agenda dei Risk Manager attualmente è quello della sostenibilità e della non financial disclosure,che le aziende quotate devono emettere a corredo di quelli che sono i dati contabili di bilancio e di annual report.«Nell’ambito della dichiarazione non finanziaria, che chiamiamo bilancio di sostenibilità, si va a valutare quanto l’azienda nelsuo insieme sia sostenibile rispetto ai suoi rapporti con stakeholder, fornitori, clienti, azionisti, dipendenti. Una dellecomponenti su cui viene giudicata la sostenibilità di una società è proprio il come attua la gestione del rischio. Un businessdeve essere valutato non solo sulla base della sostenibilità da un punto di vista economico-finanziario, ma anche perl’impatto che ha sulle risorse disponibili del territorio, per le attività che intraprende in relazione ai mutamenti climatici, per

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le ripercussioni sugli ambienti sociali con cui si relaziona», dice De felice avvertendo che questo tema spariglia le carte«perché si esprime in un orizzonte temporale non più a medio-breve termine ma lunghissimo. Gli effetti in queste aree sipossono osservare in un range temporale di 50/100 anni, perciò richiedono al management la capacità di guardare oltre, dirispettare il futuro, a volte rinunciando a risultati immediatamente visibili».

LA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN

I rischi della iperconnessione

A complicare ulteriormente il quadro c’è l’evoluzione tecnologica, che procede a un ritmo mai sperimentato prima e si ponecome un elemento disruptive, chiedendo alle imprese di rinnovarsi continuamente. «Il mondo della tecnologia 4.0, dallablockchain ai Big Data, è completamente nuovo e quindi non valutabile con la chiave di lettura dell’esperienza.Tradizionalmente in un processo di valutazione del rischio si utilizzano dati storici: si mette in relazione il piano strategicocon determinati possibili scenari e si simulano le reazioni dello stesso sulla base di quanto avvenuto in situazioni simili inpassato. Ma per la tecnologia 4.0 non esistono serie storiche: le predizioni sono impossibili. Allora, per non limitarsi ad analisiqualitative che rischiano di avere risultati prettamente teorici, si cerca di fare valutazioni di resilienza. Cioè si ipotizzanoscenari dal punto di vista della possibilità, prescindendo dalla probabilità, che potrebbe essere fuorviante, e si va a vederequanto ogni scenario impatti sull’azienda, e come quest’ultima reagisce nel contesto ipotizzato», afferma il presidente diAnra.

L’applicazione del Risk Management in un’impresa dipende da due elementi chiave, distintivi di ogni realtà: la tolleranza alrischio, ovvero l’ammontare di rischio che l’azienda può sostenere senza mettere in pericolo la propria sopravvivenza o lacontinuità delle attività, e l’appetito di rischio, ossia in che misura l’azienda, stabilita la soglia di tolleranza, decide di correrequei rischi. «Alla base dell’attività del risk manager non c’è la volontà di eliminare o evitare i rischi, ma quella di assumerli inmaniera consapevole, perché possono nascondere enormi opportunità», spiega De Felice: «vale la regola economica di baseper cui all’aumentare del rischio deve crescere la redditività. E in ogni caso, l’azienda deve dotarsi di una exit strategy, un

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piano B che consenta di salvare il salvabile quando i ponti si sbriciolano e non è più possibile tornare indietro. Il Risk basedthinking è questo, ed è alla base della gestione del rischio in un’azienda contemporanea, 4.0».

L’Italia del risk management

A che punto è la consapevolezza dell’importanza del risk management in Italia? Lo rivela un’indagine, presentata nel corsodel recente 19° Convegno Anra, realizzata sui soci dell’Associazione e integrata con i dati europei Ferma (Federation ofEuropean Risk Management Associations, Federazione delle associazioni dei risk manager europei). L’indagine mostraun’attenzione crescente al tema del risk management che in parte chiude il gap con l’Europa, ma resta la peculiaritàdomestica di un maggiore ricorso a consulenti esterni, che sono quasi un quinto del totale. La ragione sta nella predominanzanel nostro tessuto economico di imprese micro che non hanno la potenza di fuoco per dotarsi di una funzione internadedicata.

Inoltre, siamo indietro nell’applicazione dell’Enterprise Risk Management, ovvero di un approccio olistico ai rischi all’internodell’organizzazione. L’integrazione del risk management nelle strategie aziendali è presente solo nel 14% delle aziendeitaliane, contro il 74% europeo. Il rischio più temuto dalle aziende europee è il cyber (42%), seguito dalle incertezze sullacrescita economica (34%), dall’eccesso normativo (33%) e dalle incertezze geopolitiche (31%). L’indagine italiana invece hascorporato le risposte per ogni categoria di rischio, rilevando che al primo posto dei rischi operativi c’è l’Asset e BusinessContinuity, con il 72%, mentre tra quelli finanziaria primeggia il rischio credito (con l’83%). Nel legal & compliance apreoccupare sono i rischi di compliance (79%), seguiti dalle responsabilità contrattuali (71%). Infine, tra i rischi strategici,che qui ci interessano di più, figurano nelle prime posizioni quelli legati al mercato (74%) e reputazionali (73%).

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«In Italia la situazione è migliorata, ma restano le differenze a seconda delle dimensioni», dice ancora De Felice: «le aziendeitaliane quotate hanno una maturità rispetto al risk management in linea con i pari europei: questo è vero per le grandiaziende tecnologiche, dell’aerospazio, dell’aeronautica. Invece, le pmi hanno ancora difficoltà nel comprendere che il riskmanagement è una componente chiave della redditività di impresa, indipendentemente dalle dimensioni. Tuttavia qualchesegnale positivo in Anra lo vediamo, a partire dalle medie aziende: quelle che operano in settori innovativi, oppure che sonoparte della filiera delle big corporate, stanno dimostrando un crescente interesse e una sensibilizzazione al tema dellagestione del rischio.»

«Sono sempre più numerose le persone che, pur avendo in azienda un ruolo che non è strettamente quello del Risk Manager,contattano Anra per partecipare ai nostri corsi di formazione o per informarsi. Sta aumentando la sensibilità, sull’ondadell’allerta mediatica del cyber risk, il più temuto dalle aziende italiane di ogni dimensione. C’è in gioco l’affidabilità di unsistema: il maggior rischio insito nella digitalizzazione è che se non vengono misurati tutti i colli di bottiglia e i rischi diprocesso, si incappa facilmente in errori che fanno perdere redditività. Si corre il pericolo di fare investimenti enormi insistemi che poi risultano non affidabili. Prima di applicare una digitalizzazione “spinta” bisogna essere certi di saperindividuare e correggere gli errori presenti nelle procedure già in atto, se necessario ripensando alla base processi e dinamicheaziendali, in maniera scientifica, senza che nulla sia lasciato al caso».

Insomma, quella per garantire la business continuity è una sfida da giocare su due campi: fisico e virtuale. Nell’epocadell’industria 4.0 la tecnologia cambia il modo di fare impresa e amplifica vecchi e nuovi rischi, creando uno scenario mutevoleche le aziende devono decifrare, per comprendere le minacce e gestirle nella maniera migliore. E’ la sfida principale in unmondo interconnesso: non si tratta più solo di prendere le decisioni giuste, ma di creare un framework in cui anche laprevenzione e il controllo a monte siano automatici.

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23/01/2019 Autore: Alessandro Giuseppe Porcari

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BENVENUTI A LARGO DELRISCHIOSi è celebrato a Milano il diciannovesimo convegnoannuale di Anra. Per risk manager e responsabiliassicurazioni aziendali, guidati da Alessandro DeFelice, i numeri in crescita testimoniano lo sforzo perdiffondere tra le imprese italiane un sistema digovernance che tenga dovutamente conto di tutti ifattori che minacciano il business

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Probabilità e imprevisti. E quel lancio di dadi che in modofatale può cambiare le sorti della partita. C’è chi ha paragonatola vita al Monopoli e chi, come Alessandro De Felice,presidente Anra, vede nel famoso gioco da tavolo la metaforadella professione di risk manager. Così, di casella in casella,passando per un simbolico quanto significativo Largo delRischio, l’associazione ha dato il benvenuto al diciannovesimoconvegno annuale, Imprevisto o probabilità? La carta del riskmanagement, che si è tenuto il 13 e 14 novembre, presso ilMiCo di Milano. Il Monopoli ha fatto da strumento guida perdeclinare il dibattito della due giorni, scandita da tavolerotonde a cui hanno partecipato numerosi esperti,rappresentanti del mondo accademico, assicurativo eaziendale. Secondo De Felice, “i professionisti del rischio sonochiamati a dare risposte chiare, per mettere in piedi un sistemadi risk governance che consenta al top management diprendere decisioni per ridurre l’impatto dei rischi incombentisui risultati attesi”. Per l’Anra, i numeri in crescita testimonianol’importanza del lavoro che si sta facendo perché la cultura delrischio possa diventare una chiave per lo sviluppo del nostrosistema produttivo, a partire dalle piccole e medie imprese.L’associazione, con 434 iscritti, si colloca al quarto posto tra lerappresentanze europee di risk manager, e vede nelle donneun ruolo sempre più importante, come dimostrano i cinqueposti su 11 occupati nel consiglio direttivo. L’intervento di J oWillaert, presidente Ferma e Ifrima, ha ricordato il ruolocentrale di Anra in Europa.

Alessandro De Felice, presidente di Anra

LE PMI SCOPRONO IL RISK MANAGEMENT

Il dibattito della prima giornata è stato focalizzatosull’influenza e il peso del risk management aziendalenell’accesso a finanziamenti e capitali da parte delle Pmi,l’evoluzione dei mercati tra protezionismo e deglobalizzazione,la sostenibilità dell’economia circolare e delle energiealternative. I dati dell’Osservatorio sulla diffusione del riskmanagement nelle medie imprese italiane, realizzato daCineas in collaborazione con Mediobanca, dimostrano chele medie aziende che adottano un framework integrato, ossiala modalità più avanzata di risk management, sono più cheraddoppiate: dal 17,2% al 37,5%. Secondo gli esperti,l’adozione di piattaforme evolute per la gestione del rischio

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implica il cambiamento dei modelli organizzativi gestionali. Lagestione del rischio passa quindi attraverso l’innovazione, chedeve necessariamente tenere conto dei cambiamenti nelmercato internazionale, tra le tensioni delle nuove politicheprotezionistiche e la tendenza verso una deglobalizzazione.

LE MINACCE PER IL BUSINESS

Sostenibilità, digitalizzazione delle imprese, changemanagement, cambiamenti climatici, oltre all’importanza diinvestire e potenziare le soft skills, sono i principali temi chesono stati affrontati nella seconda giornata. Tra le sfide chechief risk officer e risk manager hanno di fronte nel prossimofuturo c’è il miglioramento delle capacità comunicative, inmodo da consentire ai vertici aziendali di comprendere ilvalore dell’analisi del rischio per il perseguimento degliobiettivi aziendali. Un’efficace reportistica del riskmanagement è un fattore strategico che non può più esseretrascurato. Del resto, è dimostrato che l’interruzionedell’attività di impresa a causa di eventi imprevisti sia unrischio tutt’altro che remoto. Nel 2017, circa il 32% dellesocietà dell’indice S&P 500 hanno subito una businessinterruption dovuta a problemi della supply chain, a causa dieventi ambientali, atmosferici o geopolitici. Tra i rischi ormaicentrali nell’attività di impresa c’è quello informatico. Eppure, irelatori hanno sottolineato che ancora oggi, soprattutto nellePmi, il top management non sembra preoccuparsi che unattacco hacker possa minacciare l’attività di impresa. Nelcomplesso, una sottovalutazione dei rischi puòcompromettere la reputazione dell’azienda. Per questo, gliesperti hanno ricordato che lo sviluppo della risk governance èl’arma più efficace per prevenire il rischio reputazionale.

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RISCHIARE INFORMATI RITROVARE GLI UTILICON IL RISKMANAGEMENT

LE PROSPETTIVE NELLAGESTIONE DELRISCHIO AZIENDALE

GLI ITALIANI E ILRISCHIO

Un momento del convegno Anra

VERSO UN NUOVO WELFARE AZIENDALE

La responsabilità delle imprese non riguarda soltanto leprospettive del business, ma direttamente il futuro dei propridipendenti. Una scelta etica dovrebbe portare alla costruzionedi un’alleanza tra vertici aziendali, sindacati e compagnie diassicurazioni, perché si possano diffondere polizze, chetengano conto dei mutamenti demografici in corso nel nostroPaese. Temi che non possono più essere delegati alla politica.Dal convegno Anra è emerso che la gestione dei rischi è unapproccio culturale che deve coinvolgere tutti i cittadini.Anche in questo caso è cruciale il ruolo della comunicazione,che deve mettere in primo piano il tema dell’incapacità futuradello Stato di poter sostenere nel prossimo futurol’invecchiamento della popolazione, con l’aumento dellepersone non autosufficienti. Spazi importanti di business pertutto il settore assicurativo, che dovrebbe fare leva sul welfareaziendale, per migliorare la diffusione delle polizze più adatte agarantire ai lavoratori una vecchiaia serena.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

anra,

Alessandro de felice,

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