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COME ALLA CORTE DI FEDERICO IIOVVERO
PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA
GLI ALGORITMI QUOTIDIANI di Furio Honsell 07
ALGORITMO E ROBOT di Ernesto Burattini 09
MATEMATICA DEL PENSIERO INDIZIARIO, DELLE NARRATIVE, DELLE EMOZIONI ED APPRENDIMENTO di Umberto Giani 11
IL NOBEL E LA MATEMATICA di Achille Basile 13
CONCORSO “DIFFUSIONE DELLA CULTURA SCIENTIFICA – FEDERICO II” di Antonio Saccone 16
IL CODICE DEI PRIMI di Arturo Volpe 18
I MISTERI MATEMAGICI DEI NUMERI PRIMI di Vincenzo Vitagliano 21
PROGRESSI DELLA SCIENZA E STALLO DEL PENSIERO di Cristian Fuschetto 25
LE CELLULE STAMINALI di Maria Teresa Esposito 28
Spesso, senza saperlo, siamo dei matematici-informatici assai migliori di quanto immaginiamo.
Quando ci laviamo i denti, facciamo la doccia, parcheggiamo l’automobile eseguiamo spesso algoritmi ottimali.
Ma cos’è un algoritmo? È una procedura, una ricetta per risolvere un determinato compito o soddisfare una certa aspettativa, i cui passi elementari sono stati individuati e precisati
con così tanta precisione, da poter diventare essa stessa oggetto di studio matematico rigoroso.
Osserviamo la realtà con sorriso matematico! Gli algoritmi quotidiani ci portano, con naturalezza,
alla soglia di problemi matematici affascinanti.
Furio Honsell
Furio Honsell, professore ordinario di Informatica, sposato,
padre di due figli, è nato a Genova il 20 agosto 1958. Si è
laureato in Matematica all'Università degli Studi di Pisa nel
1980 e ha conseguito il Diploma in Matematica presso la
Scuola Normale Superiore di Pisa nel 1983. Ha ricoperto
posti di ricerca e di ruolo presso il Dipartimento di
Informatica dell'Università di Torino (Ricercatore 1983-
1985), Edinburgh University (Research Fellow in Computer
Science 1986-1988), Università di Udine (professore
associato 1989-1990). Nel 1990 è nominato professore
ordinario (K05B) presso l'Università di Udine dove ha diretto
il Centro di Calcolo dal 1990 al 1992, il Dipartimento di
Matematica e Informatica dal 1992 al 1995 ed è stato
Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e
Naturali dal 1995 al 1998. Dal 21 giugno 2001 ricopre la
carica di Rettore dell’Università degli Studi di Udine. Nel 2007 ha pubblicato il libro ‘L’algoritmo del
parcheggio’ sulla matematica nella vita quotidiana per Mondadori.
Attività scientifica
È stato professore visitatore presso Stanford University, École Normale Supérieure di Parigi, Scuola
Normale Superiore di Pisa, Edinburgh University; responsabile di unità nei progetti della UE: HCM Lambda
Calcul Typé, EC SCIENCE MASK, ESPRIT WG TYPES, e nazionali: MIUR COFIN 1994, 1997, 1999;
coordinatore nazionale del progetto MIUR COFIN 2001 "COMETA". Attualmente è responsabile dell'unità
di Udine del progetto della UE "Computer-Assisted Reasoning based on Type Theory (TYPES)".
Coordinatore europeo del progetto della UE Europeindia "ICT for EU-India Cross-cultural dissemination".
Membro di comitato di programma e "invited speaker" per varie conferenze internazionali: MFCS, TLCA,
CSL, FOSSACS, ICALP. Chairman delle conferenze internazionali FOSSACS 2001 e MER?IN 2003. Curatore
di diversi numeri speciali di riviste internazionali, quali: Theoretical Computer Science; ENTC; Higher
Order and Symblic Computation. È Membro dell'"editorial board" della rivista internazionale Mathematical
Structures in Computer Science, del Salzburg Seminar e Membro permanente dell’IFIP WG 2.2. Ha diretto
oltre sessanta tesi di laurea e sette dottorati di ricerca in Informatica.
Interessi di ricerca: semantica dei linguaggi di programmazione, lambda calcolo, logiche dei programmi,
teorie dei tipi, logical frameworks, metodi logici, topologici e categoriali in informatica.
Contributi di ricerca: autore di oltre 50 pubblicazioni scientifiche su teoria degli iperinsiemi non ben
fondati, modelli e teorie del lambda calcolo, logical frameworks, lambda calcoli di oggetti, logiche dei
programmi.
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
GLI ALGORITMI QUOTIDIANI
Furio Honsell
Rettore dell’Università degli Studi di Udine
Spesso, senza saperlo, siamo dei
matematici-informatici assai migliori di quanto
immaginiamo. Chi di noi si lava i denti
procedendo a caso? Chi, forse ancora alla ricerca
della pienezza delle proprie facoltà mentali,
ragiona ogni mattina, su come prepararsi il
caffè, su come farsi la doccia? Nessuno credo.
Nel corso degli anni ciascuno di noi ha elaborato
una procedura fissa che compie quasi
automaticamente. Ma non ha solamente trovato
un modo di procedere che gli permetta di
portare a termine quel determinato compito, per
quanto banale sia. Ha piuttosto perfezionato tale
procedura così da risparmiare qualcosa: il
tempo, l’acqua, lo shampoo, il numero di volte in
cui regolare la temperatura dell’acqua... Avevo
un amico che aveva sviluppato un modo di farsi
la doccia che riducesse l’acqua che gli usciva dal
buco nella tenda, un altro che avendo lo scarico
difettoso, procedeva a intermittenza in modo
che l’acqua non debordasse. (Incidentalmente,
entrambi, a furia di perfezionamenti, finirono per
non farsi più la doccia). Comunque sia, in tutti
questi casi l’operazione che compiamo è quella
di definire un algoritmo che poi andiamo ad
ottimizzare, ovvero a renderlo più efficiente.
Ma cos’è un algoritmo? È una procedura,
un metodo, una ricetta per risolvere un
determinato compito, o raggiungere uno
specifico obiettivo, o soddisfare una certa
aspettativa, che è stata distillata così tanto, i cui
passi elementari sono stati individuati e precisati
con così tanta precisione, da poter diventare
essa stessa oggetto di studio matematico
rigoroso.
Gli algoritmi quotidiani sono
innumerevoli, non sottovalutiamoli. Alcuni ci
portano, con naturalezza, alla soglia di problemi
informatici importanti. Dovendo pagare la
consumazione al bar come possiamo ridurre il
numero di spiccioli di resto che ci verranno dati?
O, come possiamo ridurre il numero degli
spiccioli che abbiamo in tasca? Entrambi gli
algoritmi, il più delle volte, hanno anche il
vantaggio estetico di non farci abbassare
ulteriormente il cavallo dei pantaloni, e regalarci
un sorriso compiaciuto dalla cassiera. Questi
sono algoritmi per risolvere problemi quotidiani,
ma che ci danno il sapore di uno dei problemi
aperti più importanti della matematica, il famoso
P=NP, che assicurerà un milione di dollari al suo
solutore, essendo incluso nella lista dei
“problemi del millennio” dell’Istituto Clay, oltre a
rendere più rapido il compito di allocare
qualunque tipo di risorsa.
In matematica gli algoritmi sono tanti.
Quelli per fare le quattro operazioni. Quello per
risolvere le equazioni di secondo grado. Quello
per calcolare il punto medio di un segmento con
riga e compasso. Quello per calcolare il massimo
comun divisore di due numeri naturali … (A
proposito: se abbiamo due damigianette piene di
vino, ma anche l’olio va bene, una di 7 litri ed
un’altra di 4, ed abbiamo inoltre un’altra
damigiana abbastanza capiente ma vuota, è
possibile lasciare esattamente un litro in una
delle due damigianette a furia di fare travasi tra
le tre damigiane? Se si, come e perché?).
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
L’etimologia stessa della parola algoritmo è
piuttosto interessante. Pur essendo l’anagramma
di logaritmo non ha nulla a che fare con esso,
seppure il concetto di logaritmo ricorra molto
spesso quando si analizzano algoritmi efficienti.
Fa piacere, invece, alla corte di Federico II,
ricordare un’altra corte, quella dello sceicco
abbaside Al Mansur, fondatore di Bghdad, che
diede il via nell’ottavo secolo dC, allo sviluppo
della civiltà araba. Tra i vari letterati, artisti e
scienziati che radunò alla sua corte vi era pure il
matematico Muhammad ibn M s al-Khw rizm ,
che portò la matematica indiana a occidente.
Algoritmo deriva dalla latinizzazione del suo
nome; al-Khw rizm fu un personaggio davvero
notevole.
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
A lui dobbiamo non solo l’etimologia di
algoritmo, ma anche quella di un altro vocabolo
usatissimo in matematica: algebra. Egli fu infatti
l’autore dell’opera al-Kit b al-mukhtasar f is b
al-jabr wa al-muq bala,opera nella quale
descriveva la soluzione delle equazioni di primo
grado e spostava, al-jabr, appunto, quantità da
una parte e dall’altra del simbolo di uguaglianza.
Parlare di algoritmi quotidiani è soprattutto
un’occasione per far riflettere in modo attivo e
partecipativo tutti sulla matematica. Rifuggo la
qualifica di spiegologo della scienza, però. Vorrei
essere considerato un facciofarologo, perché la
matematica o si fa o non è. Gli algoritmi
quotidiani me ne danno un’occasione.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
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ALGORITMO E ROBOT
Ernesto Burattini Professore di Fisica Sperimentale Professore di Informatica Università degli Studi di Napoli Federico II
Un robot è un dispositivo meccanico
versatile, equipaggiato con sensori e attuatori
controllati da un sistema di supervisione.
Un algoritmo è un insieme di istruzioni,
non ambigue, che, se eseguite nell’ordine giusto,
permettono di ottenere il risultato cercato (ad
esempio una ricetta di cucina, un libretto di
istruzioni per il montaggio di un apparecchio,
una serie di operazioni matematiche che
permettono di ottenere diciamo il massimo
comune divisore tra due interi). Sembrerebbe
abbastanza semplice, in prima istanza, collegare
algoritmo a robot, laddove nella definizione data
sopra di robot ricorre l’espressione “sistema di
supervisione”. Questo sistema, infatti, potrebbe
essere realizzato mediante un algoritmo che,
implementato su un calcolatore, riceve i dati dal
sistema sensoriale e li trasforma in comandi per
il sistema di attuatori.
Il problema è: da dove lo tiro fuori
l’algoritmo?
In robotica, e specialmente nella
cosiddetta robotica biologicamente ispirata, il
progettista molto spesso cerca di ispirarsi al
comportamento di sistemi biologici per
implementare i suoi artefatti.
Se riteniamo che dall’osservazione di un
sistema vivente è possibile trarre suggerimenti
per progettare e costruire un sistema artificiale
in grado di assolvere ad uno specifico compito
allora dobbiamo considerare tre aspetti. Primo,
individuare se in natura esiste un qualche
sistema che risolva il nostro problema. Ad
esempio, un problema può essere quello di
ricercare persone intrappolate in un luogo di
difficile accesso a seguito di un incidente o di
una catastrofe naturale come un terremoto.
Come può un robot cercare un essere umano in
maniera rapida ed efficace? Bene, basta pensare
alle zanzare. Non vi è dubbio che se in un dato
ambiente ci sono un uomo e una zanzara,
questa prima o poi lo pungerà, attratta dal
calore del suo corpo. Quindi la zanzara fornisce
una prova che tramite un sistema dotato di
sensori ed effettori adeguati e controllato da un
algoritmo, computazionalmente semplice, è
possibile trovare un essere umano utilizzando il
calore emesso dal suo corpo.
Bisogna ora occuparsi di costruire una
qualche procedura che associ alla
rappresentazione dell’input, nel nostro caso una
fonte di calore, un output, cioè dei comandi ai
motori del robot che lo indirizzino verso la fonte
stessa. Questo può essere pensato come un
algoritmo che individua il centroide
dell’immagine termica, ricevuta in input, pesato
sulla base del calore nelle singole zone, e genera
i comandi per dirigersi verso di esso.
Ovviamente a seguito di movimenti, del
corpo caldo o della zanzara nel suo
avvicinamento all’obiettivo, l’immagine termica
cambia e quindi bisogna ricalcolare più volte il
centroide fino al raggiungimento dell’obiettivo.
Non è detto che l’individuazione dell’obiettivo
avvenga realmente in questo modo nelle
zanzare, ma lo studio del loro comportamento
risulta utile per la progettazione di un robot per
il soccorso.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
Infine, al terzo passo, ci poniamo il
problema di come implementare il processo che
permetta ad un sistema dotato di un sensore
termico di dirigersi verso la fonte di calore.
Nella zanzara i comandi per dirigersi in
una direzione sono elaborati da una qualche rete
neurale, mentre in un robot potrebbero essere
elaborati tramite un algoritmo che calcola
l’angolo tra il centroide dell’immagine termica e
la posizione attuale del robot. Un altro algoritmo
potrebbe essere sviluppato per replicare la
capacità della zanzara di rilevare differenze di
temperature tra sorgenti piccole e vicine, al fine
di non lasciarsi trarre in inganno da fonti di
calore che per questo fastidioso dittero non sono
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
anche fonti di cibo. A questo punto è chiaro che
il robot e il sistema biologico possono non avere
molto in comune relativamente
all’implementazione senso-motoria. Pertanto,
mentre i primi due passi nell’analisi del compito
sono sufficientemente astratti da essere
applicabili a qualunque tipo di sistema, la
differenza tra sistema robotico e sistema
biologico emerge più significativamente al terzo
passo.
Ecco, dunque, come l’osservazione di un
comportamento animale si rivela utile, nella
progettazione e nella realizzazione di un
artefatto robotico e, in particolare, del suo
sistema di supervisione algoritmico.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
MATEMATICA DEL PENSIERO INDIZIARIO, DELLE NARRATIVE, DELLE EMOZIONI ED APPRENDIMENTO
Umberto Giani
Professore di Informatica e Statistica Med a icUniversità degli Studi di Napoli Federico II
Cum Deus calculat et cogitationem
exercet fit mundus (quando Dio fa di conto e
pensa si crea il mondo): il mondo è il risultato di
un calcolo della mente di Dio. Questa frase di
Leibniz pone le basi di una sorta di progetto di
ricerca scientifico-filosofico volto ad esplorare
l’ipotesi che sia possibile rappresentare l’attività
mentale come un calcolo basato su regole
formali. La Characteristica Universalis era basata
sull’idea che tutti i ragionamenti potessero
essere formati da un insieme primitivo di
“pensieri atomici” la cui combinazione desse
luogo a tutti i possibili ragionamenti complessi
(“pensieri molecolari”). Leibniz ipotizzava che le
persone invece di discutere si dovessero sedere
intorno ad un tavolo e dire “calculemus”.
Immaginate i nostri politici che invece di
discutere animatamente dicano “calculemus”?
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È la cosiddetta ipotesi algoritmica della
mente che ha condotto all’idea dell’Intelligenza
Artificiale e si è estesa in diverse direzioni.
Elementare Watson! Per Sherlock
Holmes la soluzione dei casi era basata
sull’applicazione di semplici regole di
ragionamento. Si trattava di quello che poi
sarebbe stato chiamato “pensiero indiziario”
consistente nel risalire alle cause partendo da
indizi. Il creatore di Sherlock Holmes, Conan
Doyle, era un medico e, come si sa, i medici
adottano un metodo di ragionamento indiziario.
Agli inizi del novecento il filosofo americano
Peirce ha posto le basi per la formalizzazione del
ragionamento “abduttivo”. Nella vita quotidiana
gli esseri umani svolgono complessi
ragionamenti abduttivi cercando di congetturare
le possibili cause di una certa serie di
accadimenti controllando l’incertezza delle loro
congetture attraverso l’applicazione
inconsapevole di ragionamenti probabilistici.
Recentemente ci si è resi conto che il
modo di comunicare tra gli esseri umani è di tipo
narrativo. La nostra mente si è formata in un
contesto narrativo: le favole che ci hanno
raccontato i nostri genitori sono l’archetipo del
modo in cui ragioniamo. L’intelligenza narrativa
(una nuova frontiera delle scienze cognitive,
dell’intelligenza artificiale, della statistica)
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
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consiste nell’organizzare il pensiero in modo da
dare senso ad una serie di accadimenti che
altrimenti sarebbero scollegati tra loro. Una
narrazione è una forma di implicita
argomentazione logica volta a persuadere gli
altri che una certa interpretazione degli
accadimenti è ragionevole e condivisibile. Il
modo in cui gli esseri umani apprendono è
essenzialmente narrativo: gli esempi e gli
espedienti didattici utilizzati dai docenti per
spiegare concetti anche astratti sono di tipo
narrativo.
La domanda è allora se è possibile costruire
nuovi ambienti di apprendimento basati sulla
narrazione.
Ad esempio, è possibile costruire
narrazioni che abbiano come obiettivo
l’insegnamento di argomenti anche astratti come
la matematica e la statistica? Alcuni esperimenti
in questa direzione si sono rivelati molto
promettenti, soprattutto se integrati in un
ambiente web based.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
IL NOBEL E LA MATEMATICA
Achille Basile Professore di Fisica Sperimentale Professore di Matematica Università degli Studi di Napoli Federico II
Battute, caratteri … bytes in onore del
magnifico conferenziere. Comunque siano
chiamate, restano un paio di migliaia e sono la
mia tentazione questa sera. E questa sera,
seguendo miti recenti, non resisterò ad alcuna
tentazione, meno che mai a quella di scrivere di
Matematica e premio Nobel.
Non resisterò alla tentazione che
proviene da due eventi concomitanti, il leggere
un’intervista al prof. Göran Hansson del
Karolinska Institute e il conferimento del premio
Nobel per l’Economia due lunedì fa.
Il prof. Hansson, la scorsa settimana in
visita a Napoli, nel ricordarci come vengono
selezionati i premi Nobel (egli contribuisce ad
assegnare quello per la medicina), ha toccato un
nervo scoperto nella professione. Le antipatie tra
Alfred Nobel e Magnus Gustaf Mittag-Leffler
sarebbero state la causa della mancata
istituzione del premio Nobel per la Matematica.
Il timore che il premio finisse per essere
attribuito all’influente (ma antipatico)
matematico svedese è la ragione per cui
generazioni di grandi matematici non hanno
visto riconosciuto il proprio valore alla stregua di
altri grandi delle scienze fondamentali. Un
autentico smacco per la regina delle scienze.
Solo i talenti precoci hanno un riconoscimento
tanto prestigioso nella professione matematica
quanto sconosciuto al grande pubblico: la
medaglia Fields che viene assegnata ogni
quattro anni, solo a matematici che non abbiano
superato i quaranta anni e che per essere capita
deve essere spiegata come “l’equivalente del
premio Nobel per la Matematica”. Come metterla
con Andrew Wiles la cui soluzione del problema
di Fermat è arrivata a 41 anni d’età? Mi viene
facile immaginarlo vincitore del premio Nobel .. .
per le Scienze Matematiche. Peccato che
quest’ultimo non esista.
Curiosa coincidenza, il prof. Hansson
visitava Napoli qualche giorno dopo che due
matematici avevano ricevuto il premio Nobel …
Possibile, a questo punto? Beh, si! Basta che sia
uno di quelli esistenti.
ncora una volta, la volta precedente accadde
un’intuizione di Leonid Hurwicz, terzo premiato,
A
solo due anni fa e il fenomeno ha una ricorrenza
forte, dei matematici hanno vinto il Nobel per
l’Economia. Si tratta di Eric Maskin e Roger
Myerson, entrambi addottorati in matematica
applicata ad Harvard a metà degli anni settanta,
i quali hanno sviluppato, a partire da
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
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la teoria alla base della progettazione di
istituzioni economiche aventi come fine la
riduzione delle inefficienze causate dalle
“impurità” (limiti alla concorrenza, asimmetrie
informative)che segnano le interazioni reali. La
teoria è nota come “mechanism design” e un
“meccanismo” ben progettato consente ad attori
i pure agiscono individualmente in modo i qual
assolutamente egoistico, di produrre risultati che
raggiungono obiettivi globali di efficienza che
non sarebbero altrimenti conseguibili. Come
dire? Quando la mano invisibile (o la “suprema
mano” per dirla con Galiani) non basta…
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Concorso “Diffusione della cultura scientifica - Federico II”
seconda edizione
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Correttezza dell’informazione e chiarezza comunicativa dovrebbero ispirare chi si assuma il
compito
Tali criteri sono stati tenuti a mente dai quattro studenti che hanno conseguito il premio
intitolat
La loro sagacia nel coniugare precisione de e limpidezza espositiva (talora resa più
coinvolg
Antonio Saccone Professore d
Professore di Letteratura It
di far circolare presso il largo pubblico i contenuti e le implicazioni culturali, etiche e sociali
della scienza.
o alla “divulgazione della cultura scientifica”, bandito per il secondo anno consecutivo dalla
Federico II, e in quest’occasione circoscritto sui temi delle cellule staminali e dei numeri primi. La
giuria, composta da autorevoli biologi (Campanella e Nitsch) e matematici (Alvino e Olanda), delegati a
sorvegliare il rigore tecnico, oltre che, assieme a chi scrive, l’efficacia discorsiva degli elaborati, ha
verificato con piacere che i giovani vincitori si sono tenuti lontani dal pressapochismo che di frequente
caratterizza il lavoro divulgativo.
i dati
ente dal ricorso ad espedienti narrativi) fa ben sperare sulla possibilità che nelle coscienze delle
nuove generazioni il confronto tra la cultura scientifica e quella cosiddetta umanistica si declini come
imprescindibile intreccio.
i Fisica Sperimentale aliana moderna e contemporanea
Università degli Studi di Napoli Federico II
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
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I NUMERI PRIMI
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IL CODICE DEI PRIMI
rturo Volpe
e della Cultura Scientifica Federico II
Federico è teso. È davanti al suo
comput
Federico ha sempre avuto una passione
estrema
Quando a scuola la professoressa ha
iniziato
mero naturale,
non de
rico abbia
mai scr
A
° Classificato 1Premio Diffusion‘I numeri primi’
er, in classe. La professoressa di
informatica sta dando le ultime istruzioni prima
dell’inizio della prova. Da questo momento i
ragazzi hanno 2 ore di tempo per terminare.
per i computer. La rete wireless con cui
i suoi giochi interagiscono l’ha installata da solo
quando aveva 5 anni. Ed alle elementari ha
costruito un piccolo robot, programmandone il
processore in modo da poterlo gestire via web.
Ma nulla lo diverte come superare le protezioni
del calcolatore di suo padre. È una cosa che ha
imparato a fare assorbendo voracemente tutto
ciò leggeva sulla sicurezza informatica. Non solo
attraverso internet. Ha sempre adorato farsi
regalare libri per ragazzi che gli spieghino i
segreti degli hacker. E suo padre assecondando
la sua passione lascia sempre una partizione del
computer di casa a disposizione degli attacchi
informatici del giovane pirata. Nella giocosa sfida
è sorprendente constatare quanto sia più difficile
per il papà trovare ogni volta una nuova
protezione, che per suo figlio violarla.
a spiegare l’importanza della crittologia
nella sicurezza informatica, Federico la sapeva
già lunga sull’argomento: un messaggio viene
modificato, trasformato in qualcosa di
incomprensibile e solo il destinatario conosce il
modo di risalire al testo originale. In informatica
ogni messaggio non è che un numero binario, un
insieme di 1 e 0 che viaggia nella rete. Criptare
un messaggio vuol dire dunque trasformare un
numero in un altro numero, ovviamente
attraverso un procedimento matematico: solo
chi conosce la chiave di decodifica può riottenere
il numero di partenza e leggere il contenuto del
messaggio. Ovviamente il metodo di criptazione
deve essere semplice da applicare e difficilissimo
da violare. Fu leggendo da piccolo la storia della
geniale intuizione dello scienziato del MIT di
Boston, Ron Rivest, che Federico entrò a
contatto per la prima volta con i numeri primi.
Ma procediamo con ordine.
Un numero primo è un nu
cimale, divisibile solo per sé stesso o per
1. È interessante come si possa dimostrare che
ogni numero naturale può essere espresso dal
prodotto di numeri primi, e che tale
rappresentazione è unica, a meno di non
considerare l’ordine dei fattori. Per convenzione
1 non è un numero primo: infatti se lo fosse,
ogni numero potrebbe avere infinite
combinazioni diverse di fattori; 6 potrebbe
essere rappresentato non solo come 2*3 ma
anche come 2*3*1 o ancora 2*3*1*1.
Fra i primi programmi che Fede
itto c’è proprio un’applicazione per dare
la caccia ai numeri primi. In fondo non è un
procedimento molto difficile: in una sequenza di
numeri naturali, partendo da 2 si cancellano i
suoi multipli, i numeri pari. Poi si passa al
numero successivo che non è stato cancellato, il
3, e saltando di 3 posizioni alla volta, si
eliminano i suoi multipli. Il 4 è già stato
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
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eliminato. Poi c’è il 5 e saltando di 5 in 5 ne
cancelliamo i multipli. I numeri selezionati da
questa specie di setaccio sono i numeri primi 2,
3, 5, 7, 9, 11, 13, 17, …
Il computer di Federico riesce ad estrarre
i primi
mi sono infiniti: è un
teorem
quando lesse della
vicenda
oprietà che si scoprono sui primi
spesso
più gen
ia
ancora
da insiemi anche molto grandi. Ne viene
fuori una sequenza strana, quasi casuale, forse
del tutto casuale. Federico, incuriosito,
aumentava il limite massimo dell’insieme di
partenza: 100, 1000, poi 1 seguito da svariate
decine, poi centinaia di zeri, fin quando il
calcolatore non avesse dichiarato la sua resa
incondizionata.
I numeri pri
a che Euclide aveva già dimostrato nel
300 a.C. Ciò vuol dire che da millenni
matematici e scienziati hanno subito il fascino di
un insieme che sfugge ad una legge che ne
possa determinare l’ordine, come se il criterio
con cui sono distribuiti all’interno dei numeri
naturali fosse un segreto che si rifiutasse di
svelarsi all’intelletto. È evidente però che i primi
esercitano un’attrazione che va al di là
dell’interesse scientifico, se esistono matematici
alla ricerca di particolari numeri detti omirp, con
cui, invertendo l’ordine delle cifre, si ottengono
altri numeri primi: omirp è d’altronde “primo”
scritto al contrario.
Federico si stupì
, tuttora irrisolta, del numero primo
illegale. Un programma per la decodifica della
protezione di alcuni DVD era descritto, in
formato binario, da una certa sequenza di 1 e 0
che naturalmente rappresenta anche un
numero: in quel caso un numero primo. Nel
2001 alcuni avvocati cercarono di far dichiarare
il numero in sé ed il suo possesso una violazione
di copyright, dunque illegali negli Stati Uniti, ma
la questione per fortuna non fu mai portata in
giudizio.
Le pr
rimangono semplici congetture, prive di
una dimostrazione formale, definitiva. Esistono
dei numeri primi detti “gemelli”, la cui differenza
è 2: ad esempio 3 e 5, 5 e 7, ma anche 659 e
661. Fu Eulero ad affermare che le coppie di
gemelli sono infinite: eppure ad oggi nessuno è
riuscito ancora a dimostrarlo. Come ancora non
dimostrata è la congettura di Goldbach, una
curiosa proprietà dei numeri pari che possono
essere scritti come somma di due numeri primi.
4 è uguale a 2+2, 10 a 5+5 oppure 7+3.
Si cerca insomma di arrivare a teoremi
erali partendo da proprietà specifiche,
tentando di intravedere una struttura ordinata
laddove ordine apparentemente non c’è. Ma
questa impresa sembra davvero ardua. Federico
capì fin dal primo momento perché i numeri
primi siano stati fondamentali per la crittografia
di messaggi: i teoremi e le congetture danno
una descrizione approssimata dell’insieme, ma
spesso sono di poco aiuto nel calcolo pratico.
Solo la congettura di Riemann, lasc
qualche speranza. Il matematico tedesco
ricavò una funzione chiamata Funzione Zeta, la
quale, pur avendo importanza teorica generale,
sembrerebbe avere un notevole impatto nella
teoria dei numeri primi. Esistono dei numeri
particolari, chiamati zeri, per i quali la funzione
assume valore nullo. Riemann espresse una
congettura sulla distribuzione di questi zeri,
congettura che attende ancora una
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
dimostrazione. Esiste però un collegamento fra
gli zeri di Riemann e la l’insieme dei numeri
primi. Dimostrare la congettura di Riemann
potrebbe portare a conoscere come sono
distribuiti i primi all’interno dell’insieme dei
numeri naturali, significherebbe cioè
comprendere se esiste un forma di regolarità
nell’andamento della successione dei numeri
primi. Potremmo prevedere se un numero fatto
di migliaia di cifre è primo, senza lunghi e
complicati procedimenti.
Ritorniamo all’int
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
uizione di Rivest di cui
parlava
ro ricavo il
numero
mo. Le difficoltà incontrate nel calcolo dei
numeri primi sono state, fino a poco prima che
Federico nascesse, proibitive. Ciò garantiva la
sicurezza di tutti quei sistemi che utilizzano
come chiavi per decodificare un messaggio due
numeri primi estremamente grandi.
Moltiplicando le chiavi fra lo
N, il lucchetto, che utilizzo per la
codifica. La criptazione è tale che per poter
risalire alle chiavi bisognerebbe trovare i fattori
primi di N, ovvero due numeri primi con un
numero spropositato di cifre, un’operazione
considerata per lungo tempo di estrema
complessità, ma che il progresso della tecnologia
ha reso risolvibile con semplici mezzi.
Federico infatti sa che ormai nessun
computer moderno si affida più esclusivamente
ai numeri primi: criptazione quantistica, reti
neurali ed intelligenza artificiale costituiscono
una buona difesa contro i più violenti attacchi
alla sicurezza degli elaboratori. Tuttavia quella
mattina anche il codice a numeri primi che la
professoressa gli ha assegnato da violare, gli
sembra una difesa invalicabile. Nessun compito
di informatica gli ha mai dato tanti grattacapi.
Mancano pochi minuti, quando una finestra gli
segnala che il suo programma sembra
funzionare. Con sollievo inserisce la firma
digitale e salva il file: “Compito di Informatica –
12 aprile 2073”.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
I MISTERI MATEMAGICI DEI NUMERI PRIMI
Vincenzo Vitagliano
2° Classificato Premio Diffusione della Cultura Scientifica Federico II ‘I numeri primi’
Tra tutti gli esoterismi numerici con cui,
sin dagli albori del pensiero scientifico, si sono
arrovellate le menti più brillanti della storia della
matematica, i numeri primi, cioè quei numeri
maggiori di 1 che possiedono la diabolica
proprietà di non essere divisibili per alcun
numero eccezion fatta che per l’unità e per se
stessi, occupano sicuramente un posto d'onore.
Le leggende tramandate da biografie,
ufficiali o meno, ci hanno tramandato figure di
veri e propri eroi della conoscenza, che si sono
districati tra enigmi e duelli, vivendo fra fughe
rocambolesche, brillanti vittorie o cocenti
sconfitte.
Seguendo un filo d’Arianna dipanato nel
labirinto del tempo e dello spazio, si potrebbe
essere testimoni della genesi della teoria dei
numeri nel fervore culturale fiorito in seno alla
biblioteca di Alessandria a cavallo del III secolo
a.C.: qui lavorano Euclide ed Eratostene; fu il
primo dei due, nei libri 7,8 e 9 dei suoi Elementi,
a definire il concetto di primalità e a dimostrare
che la classe di numeri primi contiene infiniti
componenti, mentre il secondo ideò un semplice
metodo, detto proprio crivello di Eratostene, che
consentiva di ricavare tavole complete di tutti i
numeri primi fino ad un certo numero naturale n
eliminando di volta in volta i multipli di 2, 3, 5...
A partire da quei tempi lontani, praticamente
ogni matematico ha avuto modo di affrontare la
ricerca di un algoritmo, una formula che
consentisse di ricostruire, senza alcuna
esclusione, e serrare i ranghi
dell’apparentemente indisciplinato plotone di
numeri primi: gli insuccessi non furono pochi... Il
maggior impulso nello studio della teoria dei
numeri è sicuramente connesso alla decisione di
abbandonare, in qualche modo, questo delirio di
matematica onnipotenza per volgere invece
l'attenzione allo studio delle proprietà medie
della distribuzione dei primi; dopo uno studio
sulle tavole dei numeri primi, Gauss notò che,
detto n un qualunque numero intero ed A(n) il
numero di primi contenuto fino ad n, il rapporto
A(n)/n vale all'incirca 1/log n, non solo, ma
questa approssimazione migliora quanto più è
grande n: il matematico ipotizzò dunque che
asintoticamente (per n grandissimi) le due
quantità si dovessero uguagliare. L'ipotesi di
Gauss ha trovato finalmente la sua conferma
solo a circa cento anni dalla formulazione! Lo
stupore per la scoperta è ancor più alimentato
dal fatto che il comportamento medio della
distribuzione dei primi viene descritto da una
funzione logaritmica: due concetti matematici,
apparentemente disconnessi, sembrano essere
intimamente in relazione fra loro. Del resto, lo
stesso Gauss era solito ripetere che, se la
matematica è la regina delle scienze, la teoria
dei numeri è la regina della matematica!
Non è difficile fornire un piccolo assaggio
dei principali misteri tuttora irrisolti che
circondano i numeri primi. Si potrebbe, ad
esempio, citare la congettura di Goldbach: in
una lettera ad Eulero, egli osservava che, in
tutte le verifiche empiriche potesse effettuare,
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
ogni numero pari (tranne il 2, che è esso stesso
un primo) poteva essere rappresentato come
somma di due numeri primi come 18 = 11+7
oppure 30 =17+13; i maggiori problemi sono
connessi al fatto che i primi sono definiti a
partire dalla moltiplicazione, mentre la
congettura riguarda un’altra operazione, la
somma. Il miglior risultato cui si sia potuti
giungere è la dimostrazione che un numero pari
abbastanza grande può sempre essere espresso
come somma di un numero primo e del prodotto
di due numeri primi.
L’altro problema di cui si tramanda
storicamente la difficoltà è la congettura dei
primi gemelli: spesso e volentieri si trovano
coppie di numeri primi che differiscono di 2,
come per esempio 11 e 13; è possibile
dimostrare che esistono infinite coppie del
genere?
Per finire questa breve carrellata, non si
può non citare la cosiddetta ipotesi di Riemann
che è legata alla ricerca degli zeri dell’omonima
funzione (ovvero dei punti in cui essa si
annulla): l’aspetto più interessante è connesso al
fatto che l’andamento di tale funzione è
intrinsecamente correlato alla distribuzione dei
primi; a quanto pare, lo stesso Riemann era
riuscito a dare una dimostrazione della
congettura, ma, avendo abbandonato la propria
casa di Gottinga in seguito all’occupazione
prussiana del 1866, tutti i suoi preziosi appunti
finirono... nel camino, bruciati dall’eccesso di
zelo di una governante. Un avviso per i giovani
matematici che non lo sapessero o per chi si
appresta a intraprendere una carriera fra i
numeri: c’è una taglia di un milione di dollari
(!!!) offerta dal Clay Mathematics Institute a chi
riuscisse a “catturare” l’ipotesi di Riemann (uno
dei sette problemi del Millennio).
Anche se spesso non lo sappiamo, non è
raro avere a che fare con numeri primi: anzi,
succede molto più di quanto ci si aspetti, come
quando, ad esempio, utilizziamo la nostra carta
di credito per fare acquisti on line o per altre
transazioni che prevedano scambi di
informazioni personali; questa ingegnosa
applicazione della teoria dei numeri primi è il
frutto della brillante idea di tre scienziati del MIT
di Boston: nel 1977, i tre scienziati Rivest,
Shamir e Adleman riuscirono a mettere a punto
una tecnica per permettere la codifica di dati e la
successiva trasmissione con elevati standard di
sicurezza. L’idea di fondo su cui si basa il
metodo è legata alle eccezionali difficoltà che si
incontrano nel tentativo di fattorizzare un
numero derivante dal prodotto di due numeri
primi con molte cifre. Al contrario, ciò che rema
a favore del mittente del messaggio criptato è la
relativa facilità con cui, grazie ad opportune
formule, si possono scegliere i numeri primi di
partenza; nell’utilizzo corrente si sfruttano
numeri anche con 100 cifre e più: se si pensa
quanto sia già complesso scomporre a mano un
numero come 899 nei suoi fattori 29 e 31, non ci
si mette molto a capire quanto sia difficile fare la
stessa operazione con cifre titaniche!
Che la matematica sia il linguaggio con
cui la natura comunica con noi, è cosa assodata:
cosa ne pensa dunque Madre Natura della teoria
dei numeri primi? Bisognerebbe chiedere alle
cicale periodiche, voraci animaletti che nel 2004
invasero letteralmente le campagne statunitensi
(16 milioni di cicale per kmq!!!) quanto ne
abbiano apprezzato i vantaggi… La maggior
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
parte delle cicale ha un ciclo vitale compreso tra
i due e gli otto anni, ma quelle del genere
Magicicada mostrano una caratteristica unica:
l’eccezionalità di questi insetti risiede nel fatto
che le larve rimangono rintanate in uno stato
latente per 17 anni,prima di svilupparsi nella
loro forma definitiva. Nel 1966 fu avanzata
l’ipotesi che uno stadio larvale di questa durata
abbia contribuito in maniera determinante
all’eliminazione di qualunque parassita
antagonista; essendo 17 un numero primo, i
parassiti delle cicale avrebbero a disposizione
solo due cicli vitali che permettano di accrescere
la frequenza delle coincidenze con lo sviluppo
delle cicale adulte: cicli annuali o di 17 anni.
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
Nel primo caso, per 16 generazioni i
parassiti dovrebbero affrontare una totale
mancanza di cibarie; nel secondo caso,
avrebbero dovuto seguire un’evoluzione che di
anno in anno li avrebbero condotti a questo ciclo
vitale, passando per cicli di 2, 3… 15, 16 anni,
cicli durante i quali essi non avrebbero potuto
pasteggiare con le succulenti cicale per
2x17=34, 3x17=51…16x17=272 anni! La teoria
sembra trovare conferma nell’esistenza di una
cicala simile, con un ciclo, stavolta, di 13 anni:
ancora un numero primo, con gran gioia per gli
insetti in questione ed altrettanto disappunto per
i contadini che ne devono affrontare le orde…
23
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
LE CELLULE STAMINALI
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
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PROGRESSI DELLA SCIENZA E STALLO DEL PENSIERO
Cristian Fuschetto
1° Classificato Premio Diffusione della Cultura Scientifica Federico II ‘Le cellule staminali’
Incuriosito dal fatto che le mungitrici
delle fattorie inglesi, una volta infettate dal
fastidioso ma non mortale vaiolo di origine
bovina (il vaiolo “vaccino”), sembravano
diventare “immuni” al terribile vaiolo umano,
uno sconosciuto medico di campagna decise di
effettuare un esperimento deontologicamente
molto scorretto. Nel maggio del 1796 costui
decise di inoculare il siero del vaiolo vaccino nel
braccio di James, un ragazzino di otto anni,
esponendolo successivamente al mortale pus del
vaiolo. Per fortuna sua e di tutta la scienza
medica, James sopravvisse, segnando così la
nascita dell’immunologia. Quel medico era
Edward Jenner e, come è noto, la sua scoperta,
quella dei “vaccini”, ha rappresentato una svolta
epocale nella cura delle malattie infettive. Ma
l’evidenza del risultato non bastò a convincere
da subito tutti i suoi contemporanei.
L’ibridazione, la commistione di siero
animale e di siero umano, l’oltraggiosa
mescolanza di ciò che la natura si era premurata
di tenere ben separato, tutto questo veniva
percepito come il portato luciferino della
tracotanza scientifica. Questo, in sostanza, fu il
segno dell’obiezione, presto perdente, alla
tecnica di Jenner. Il celebre caratterista James
Gillray immortalò da par suo queste inquietudini,
rappresentando uomini e donne “vaccinati” come
esseri chimerici, dalle fattezze e dalle
escrescenze bovine. Si sa, la storia, compresa
quella medica, non si ripete. Eppure la polemica
che in questi ultimi tempi si sta svolgendo in
Inghilterra, prontamente amplificata e, per certi
versi, drammatizzata, in tutta la comunità
scientifica internazionale, rievoca suggestioni e
obiezioni già note al nostro medico di provincia.
Agli inizi del 2007 l’Autorità inglese per
la fertilizzazione umana e l’embriologia (HFEA)
ha infatti deciso di organizzare una pubblica
consultazione, comprendente tutta la comunità
scientifica e vari gruppi di rappresentanza della
società civile, al fine di chiarire la controversa
questione relativa all’opportunità etica e
giuridica di creare degli embrioni ibridi uomo-
animale. Tutto è nato dalla richiesta di due
gruppi di ricerca, uno guidato dal professor
Minger del King’s College di Londra e l’altro
guidato dal professor Armstrong del North East
England Stem Cell Institute di Newcastle,
intenzionati a utilizzare cellule uovo animali per
clonare embrioni umani. La scelta di ovociti di
vacche (rieccole!) o di coniglie non nasce,
ovviamente, da una stravagante predilezione dei
ricercatori per gli animali da fattoria, ma nasce
dalla necessità di sopperire alla scarsissima
disponibilità di ovociti umani.
La tecnica utilizzata è in tutto simile a
quella della clonazione: la cellula uovo animale
viene privata del suo nucleo e poi fecondata con
il nucleo di una cellula umana adulta (di solito di
una cellula epiteliale). L’embrione ottenuto
sarebbe per il 99.5 per cento del suo corredo
genetico di derivazione umana e per lo 0.5 per
cento di derivazione animale. L’utilità della
tecnica consisterebbe nella possibilità di
produrre embrioni da cui estrarre cellule
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
staminali per scopi di ricerca. In particolare
questa ricerca consentirebbe di approfondire la
comprensione della natura genetica di alcune
malattie, a cominciare da quelle di tipo
neurodegenerativo. Infatti, a essere impiantato
nella cellula uovo animale enucleata potrebbe
essere il nucleo di una cellula epiteliale di una
persona affetta da Parkinson. Incuriosito dal
fatto che le mungitrici delle fattorie inglesi, una
volta infettate dal fastidioso ma non mortale
vaiolo di origine bovina (il vaiolo “vaccino”),
sembravano diventare “immuni” al terribile
vaiolo umano, uno sconosciuto medico di
campagna decise di effettuare un esperimento
deontologicamente molto scorretto. Nel maggio
del 1796 costui decise di inoculare il siero del
vaiolo vaccino nel braccio di James, un ragazzino
di otto anni, esponendolo successivamente al
mortale pus del vaiolo.
Per fortuna sua e di tutta la scienza
medica, James sopravvisse, segnando così la
nascita dell’immunologia. Quel medico era
Edward Jenner e, come è noto, la sua scoperta,
quella dei “vaccini”, ha rappresentato una svolta
epocale nella cura delle malattie infettive. Ma
l’evidenza del risultato non bastò a convincere
da subito tutti i suoi contemporanei. Ciò
consentirebbe di produrre un embrione con una
precisa caratterizzazione genetica, di farlo
maturare fino allo stadio di blastocisti, e quindi
di estrarre le staminali embrionali. Sfruttando la
totipotenzialità di queste cellule, ovvero la loro
possibilità di diventare cellule di qualsiasi tipo,
alcune di esse potranno essere fatte
“differenziare” in cellule neuronali, permettendo
così una diretta comparazione tra esse (affette
da Parkinson) e cellule neuronali normali. Una
comparazione di questo tipo potrebbe
rappresentare un notevole vantaggio nella
comprensione di eventuali errori nel meccanismo
molecolare delle cellule malate, agevolando così,
almeno in linea teorica, la strada per la messa a
punto di nuove terapie.
I ricercatori inglesi hanno ripetutamente
e espressamente chiarito di non avere alcuna
intenzione di protrarre lo sviluppo degli embrioni
oltre il quattordicesimo giorno – il che sarebbe
ad ogni modo illegale - e che non utilizzeranno le
staminali così prodotte per eventuali trattamenti
terapeutici. La produzione di questo tipo di
staminali, dunque, servirà esclusivamente alla
comprensione di modelli concernenti lo sviluppo
di malattie a forte componente genetica. Come è
facile immaginare, le voci critiche sono state e
continuano ad essere tante, a cominciare da
quella governativa (e siccome si parla del
governo britannico e non di quello italiano, è una
notizia).
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
In particolare, però, Josephine
Quintavalle, direttore del Comitato Inglese di
Etica riproduttiva, ha denunciato che «non si può
intaccare la sacra distinzione tra uomini e
animali, poiché ciò svaluterebbe la nostra vita».
Ma, scusate, questa storia non l’avevamo già
sentita? Ecco, la questione sollevata dalla cellule
staminali, questione cruciale per la medicina del
nostro prossimo futuro, rischia di sollevare delle
controversie così velenose da far tornare
inutilmente e pericolosamente indietro l’orologio
dei dibattiti sui limiti da imporre alla scienza o,
fa lo stesso, sulle sue irrefrenabili ambizioni. La
scoperta di cellule che, come le staminali, sono
capaci di dar vita ad un molteplicità di linee
cellulari e di tessuti, in special modo quando si
tratta di cellule di derivazione embrionale, ha
rappresentato un’autentica svolta nella storia
della medicina.
Con esse, infatti, nasce la possibilità di
una “medicina rigenerativa”, fino a qualche
decennio fa nemmeno un’utopia. Ma alla svolta
nel “fare” del mondo scientifico rischia di non
accompagnarsi una svolta nel “pensare” del
mondo umanistico, che invece dovrebbe
raccogliere e rilanciare gli obiettivi cambiamenti
epistemologici che i nuovi scenari suggeriscono.
Così, ad esempio, a prescindere dal fatto
specifico dell’ibridazione uomo-animale, sarebbe
certamente più fecondo trovare nuove tracce di
discussione, piuttosto che tornare agli stessi
argomenti di condanna adottati dagli oppositori
di quel medico di campagna che con i suoi
azzardati innesti finì col fondare l’immunologia.
Intanto è dal versante degli stessi
ricercatori che si fanno i migliori tentativi di
rinnovare, al tempo stesso eticizzandola, la
questione. Markus Grompe, direttore dello Stem
Cell Center dell’Oregon University, lavora sulla
possibilità di clonare cellule che godano di tutte
le proprietà delle staminali embrionali, senza
tuttavia essere originate nell’embrione.
Ciò sarebbe possibile “costringendo” la
cellula donatrice a produrre una proteina (detta
nanog) prima che il suo nucleo sia trasferito
nell’ovulo, il che altererebbe il processo di
riprogrammazione in modo che questo non sfoci
in un embrione ma dia luogo a una cellula molto
simile ad una staminale embrionale. Rudolf
Jaenisch, biologo del MIT, lavora invece sulla
disattivazione di un gene (il CDX2) nella cellula
adulta prima del suo trasferimento in una cellula
uovo, in modo da dar vita a una entità biologica
che dovrebbe essere incapace di sviluppare un
embrione, ma tuttavia ancora utile al fine di
estrarre staminali embrionali.
Oppure si pensi ancora alla scoperta
dell’italiano Paolo de Coppi, primario al Great
Ormond Street Hospital di Londra, circa la
possibilità di derivare cellule staminali da liquido
amniotico. La ricerca sulle staminali è un chiaro
specchio di come, a fronte di una ricerca
scientifica proiettata in un futuro sempre più
pronto a trasformarsi in un presente
“migliorato”, un pensiero timido e incapace di
innovare, anzitutto innovandosi, finisca suo
malgrado con l’assumere una prospettiva di
sterile retroguardia. Ed è un vero peccato.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
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LE CELLULE STAMINALI
Maria Teresa Esposito
2° Classificato Premio Diffusione della Cultura Scientifica Federico II ‘Le cellule staminali’
La ricerca sulle cellule staminali
costituisce una promettente area della scienza.
Attraverso lo studio di queste cellule in futuro
potrebbe essere possibile una maggiore
comprensione dei meccanismi che portano allo
sviluppo di un intero organismo da una singola
cellula, ma potrebbero anche aprirsi nuove
possibilità terapeutiche, come sostituire o
riparare le cellule di un tessuto danneggiato con
cellule capaci di svolgere le stesse funzioni
secondo ciò che oggi è chiamata medicina
rigenerativa o riparativa.
Sebbene le cellule staminali siano state
individuate in tessuti adulti più di quaranta anni
fa, la vera rivoluzione della medicina è avvenuta
soltanto venti anni fa quando è stato scoperto
che è possibile ottenere cellule staminali da
tessuti embrionali di topo. Più tardi, nel 1998,
sono state isolate cellule staminali da embrioni
umani ottenuti da procedure utilizzate per la
fecondazione in vitro e donati allo scopo di
ricerca. La scoperta delle cellule staminali
embrionali ha aperto un dibattito bioetico di
difficile risoluzione; la fobia della selezione degli
embrioni e del determinismo genetico ha
sollevato un profondo allarmismo che non
coinvolge solo i cattolici ma che in generale
scuote anche la morale laica. Da allora sono stati
fatti numerosi passi avanti e sono state
individuate cellule staminali in moltissimi organi
dell’organismo adulto spostando l’area di
dibattito intorno alle nuovi fonti di cellule
staminali.
Le cellule staminali adulte sono cellule
non differenziate di organi o tessuti adulti,
capaci di autorigenerarsi e di differenziarsi nei
tipi cellulari del tessuto o dell’organo.
Nell’organismo adulto queste cellule sono
deputate al mantenimento e al riparo del tessuto
nel quale si trovano; non è ancora chiaro se
esista una vera e propria nicchia o
microambiente nei tessuti laddove esse risiedono
e rimangono quiescenti fin quando uno stimolo
appropriato come una malattia o un danno le
stimola a proliferare.
La loro storia comincia circa 40 anni fa,
negli anni ’60, quando è stato scoperto che il
midollo osseo contiene due tipi di cellule
staminali, le ematopoietiche e le mesenchimali.
Le caratteristiche che rendono queste
cellule così interessanti nell’ambito della
medicina rigenerativa riguardano la loro capacità
autorigenerativa cioè la capacità di crescere, di
proliferare e dividersi e, d’altra parte, la loro
capacità di differenziarsi in risposta a stimoli
adeguati in cellule specializzate capaci di
rimpiazzare quelle danneggiate.
Intensi studi hanno cercato di definire il
rapporto tra le strategie di autorigenerazione e
di differenziamento delle cellule staminali, dal
momento che queste cellule sono le uniche in cui
si mantiene un equilibrio così sottile tra due
fenomeni biologici apparentemente in antitesi,
l’autorigenerazione e il differenziamento.
Attualmente il modello più accreditato per
spiegare come si rigenerino le cellule staminali è
il modello asimmetrico, secondo il quale la
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
cellula staminale da luogo a più cellule figlie che
possono essere staminali oppure progenitori
committed, vale a dire che a ogni divisione
cellulare non necessariamente si generano due
cellule staminali, o due progenitori committed o
tutte e due i tipi, ma che le divisioni cellulari
possono essere differenti e contribuire una volta
all’arricchimento della popolazione staminale e
una volta a quello della popolazione
differenziata. Questa asimmetria è spiegata
tenendo in considerazione sia la segregazione
ineguale di proteine determinanti il destino
cellulare (asimmetria divisionale) sia
considerando che la cellula staminale può essere
ai margini di due differenti ambienti (asimmetria
ambientale).
In questo modo è possibile spiegare
come nei tessuti si mantenga un equilibrio tra le
cellule staminali e i progenitori committed e
come il compartimento staminale non venga
esaurito nel tempo.
Per quanto riguarda il differenziamento,
le cellule staminali si differenziano in risposta a
segnali intrinseci ed estrinseci, alcuni dei quali
sono stati identificati e hanno indotto a capire
che alcuni aspetti della nicchia delle staminali
sono conservati tra i tessuti adulti. La possibilità
di manipolare il microambiente al fine di indurre
il differenziamento di queste cellule in un tipo
specifico apre le porte a terapie cellulari
sostitutive per moltissime patologie.
Le cellule staminali adulte possono
differenziarsi in tipi cellulari specifici del tessuto
da cui provengono, per tale motivo vengono
definite multipotenti e differiscono dalle cellule
staminali embrionali che sono pluripotenti in
quanto sono capaci di dar luogo alle cellule dei
tre foglietti germinativi, mesoderma, endoderma
ed ectoderma. Per citare degli esempi possiamo
ricordare che dalle cellule staminali
ematopoietiche derivano tutti i tipi cellulari del
sangue, ma non le cellule di derivazione
mesenchimale. Tuttavia, negli ultimi venti anni
molti esperimenti hanno suggerito che le cellule
staminali tessuto-specifiche o adulte posseggono
capacità simili ai loro progenitori più immaturi,
sono cioè non solo multipotenti ma anche
pluripotenti poiché possono differenziarsi in tipi
cellulari diversi da quelli del tessuto da cui
derivano; ad esempio è stato dimostrato che le
cellule staminali ematopoietiche, tramite questo
meccanismo, possono differenziarsi in neuroni,
cellule muscolari scheletriche, cellule muscolari
cardiache.
Questi risultati hanno generato grandi
entusiasmi nella comunità scientifica, ma hanno
anche incontrato un certo scetticismo: se queste
ipotesi dovessero essere vere verrebbero meno
tutti i presupposti su cui si è fondata la biologia
dello sviluppo dell’ ultimo secolo.
I meccanismi che sono alla base di
questo processo noto come trans-
differenziamento non sono completamente
conosciuti ed è probabile che le cellule staminali
dei diversi tessuti invochino meccanismi
differenti. Attualmente sono accreditate alcune
teorie che affermano che questo processo possa
essere dovuto all’attivazione di un programma
normalmente silente nelle staminali di uno
specifico tessuto; al de-differenziamento di una
cellula tessuto specifica a una più primitiva e
multipotente che potrebbe differenziarsi in una
cellula di un lineage completamente diverso;
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Gli algoritmi quotidiani
all’esistenza di un'unica rara cellula pluripotente
da cui originerebbero cellule di diversi lineage; o
alla fusione di cellule adulte con una staminale
multipotente o pluripotente per dar luogo a una
cellula con nuove caratteristiche capace di
differenziarsi in un altro tipo cellulare. Tuttavia
ad oggi i lavori sperimentali che dimostrano e
sostengono la tesi del trans-differenziamento
ricevono diverse critiche dal momento che
occorre dimostrare che la popolazione in esame
è dotata di capacità autorigenerativa, che può
differenziare in specifici tipi cellulari e che in vivo
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
queste cellule possono integrarsi con il resto dei
tessuti. Sulla base di quanto detto appare chiaro
che esistono delle differenze tra le cellule
embrionali e quelle adulte e che l’uso clinico di
un tipo o di un altro dipende dalla finalità
terapeutica: le cellule staminali embrionali
offrono capacità differenziative superiori a quelle
adulte, tuttavia la possibilità di isolare cellule
staminali adulte da un paziente, espanderle in
coltura e poi ri-trapiantarle nel paziente stesso
consente di eludere quei meccanismi immunitari
che portano al rigetto di un trapianto.
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