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UNITÀ PASTORALE Barbarano Mossano Villaga 2018 Anno B Claudio Unità Pastorale Barbarano, Mossano, Villaga. Commento e letture per i lettori del mese di Ottobre

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UNITÀ PASTORALEBarbarano Mossano Villaga

2018

AnnoB

ClaudioUnità Pastorale Barbarano, Mossano, Villaga.

Commento e letture per ilettori del mese di Ottobre

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XXVII Domenica del tempo ordinario07 ottobre 2018

Come avviene in tutti i corpus letterari,anche nella Bibbia il primo libro ha unafunzione chiave; e in esso i primi capitoli as-sumono un'importanza particolare. Come glialtri popoli, anche Israele ha cercato nellapropria storia antica le radici della suaidentità. Da qui nasce anche la peculiaredifficoltà a cogliere con chiarezza il senso diun testo che raccoglie insieme, apparente-mente solo sovrapposte, riletture dellescritture più antiche e nuove interpretazioni,che offrono ulteriori prospettive di rispostaagli stessi problemi che hanno dato vita aquelle scritture. Gen 2 non sfugge a questaregola. In particolare, Gen 2,4a («Queste leorigini [thôledôth, "generazioni"] delcielo e della terra, quando vennero creati»)si pone come enigmatico portale, da unaparte a conclusione dell'Inno dei SetteGiorni, celebrativo dell'azione creatrice edel riposo sabbatico di Dio, dall'altra comeintroduzione al racconto della creazionedell'uomo e per lui del giardino in Eden. Lafrase di 2,4a appare in tutto 10 volte inGenesi e lo qualifica come libro dellaGenealogia di Israele, sullo sfondodell'intero universo, preparando l'eventodell'esodo e la costituzione del popolosacerdotale con il suo Tempio. Il «secondoracconto della creazione». All'interno di

tale cornice si colloca il così chiamato«secondo racconto della creazione»,polarizzato, dall'inizio alla fine, sull'uomoe sulla sua felicità nell'armonia dellarelazione con Dio. Giova ripercorrerebrevemente la sua sequenza narrativa.«Nel giorno in cui Dio fece terra e cielo»(2,5) non ci sono cespugli o erba, non c'èpioggia né uomo a coltivare; solo una pollad'acqua che sgorga e irriga «tutta la faccia

della terra» (2,6). Allora Dio, con la polvere del suolo, plasma l'uomo e gli soffia nelle narici un alito di vita cosìda farlo vivere. Poi Dio pianta un giardino in Eden. Là fa crescere gli alberi e fa sgorgare un fiume, che sidivide in quattro corsi d'acqua. Nel giardino pone l'uomo che ha formato, «perché lo coltivi e locustodisca» (2,15). E gli permette di mangiare ogni frutto eccetto quello dell'albero della conoscenza dibene e male, pena la morte. È a questo punto che Dio pensa che non è bene che l'uomo sia solo (lō' tôb:alla «cosa molto buona» di Gen 1,31 sembra manchi ancora una bontà). Prova a offrirgli compagnia

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creando ogni sorta di animali. Ma il dare loro un nome (segno di sovranità e quindi di superiorità) nonbasta all'uomo. Non trova tra loro, per quanto amabili, chi gli sia pari. Allora Dio decide di offrireall'uomo «un aiuto», aiuto che è segno della sua presenza e cura (nell'AT il termine 'ezer indica solol'aiuto di Dio); che sia come lui, che gli stia vicino, «che gli corrisponda»: nella diversità e distinzione,nella pari dignità, in un rapporto sorprendente e creativo. Così Dio fa scendere sull'uomo un sonno esta-tico, sonno profondo, proprio dei momenti della sua rivelazione (cfr. Gen 15,12) e da una delle sue costole«costruisce» la donna (dalla radice del verbo banah derivano «la casa/il tempio», e anche «i figli») e glielapresenta, quasi come si presenta una sposa allo sposo. L'uomo riconosce la strettissima parentela che, a dif-ferenza degli animali, lo lega alla donna e le dà un nome affine al nome con cui lui viene chiamato ('ish –'isshah). La "vocazione" insita nell'unione matrimoniale. A questo punto il narratore interviene con uncommento che, mentre descrive quanto avviene nel matrimonio, ne dà una interpretazione assolutamenterivoluzionaria, ben oltre quanto avviene in genere nelle varie culture. Sulla base del modo con cui la donna viene"costruita", egli afferma che nell'unione matrimoniale uomo e donna realizzano una vocazione nascosta nel lorostesso essere, diventando sempre di nuovo quella «carne unica» da cui si è formata la loro alterità e la lororelazione. Rivoluzionario è comunque quanto precede: che l'uomo «abbandoni» suo padre e sua madre, perunirsi, «aderendo» e quasi «incollandosi» alla sua donna, così da realizzare una nuova unica carne, una nuovaunica umanità che per molti aspetti contiene qualcosa di sacro: nel linguaggio deuteronomista (cfr. Dt 13,5;23,2; Ger 16,11), i due verbi sono usati per indicare l'abbandono degli idoli e l'adesione a Dio, accogliendola sua alleanza (cfr. anche Ml 2,14-16). Secondo Gen 2 la relazione tra l'uomo e la donna, l'unico rapportofamiliare in cui i partner prima si conoscono e poi si accolgono/scelgono (non avviene così tra genitori efigli e viceversa, tra fratelli e sorelle, tra cugini e parenti acquisiti...), ha priorità sulle loro relazioni dipartenza: il padre, la madre, il clan, e tutto il bagaglio culturale che queste strutture trasmetto no eimpongono. Questo significa una visione nuova dell'uomo, la scoperta del valore unico del suo scegliere,superiore al valore del suo provenire, luogo in cui si invera il suo essere persona. Questo significa la fiduciadata e il rispetto chiesto verso l'inimmaginato che ciascuno è e che ogni nuova famiglia porta con sé. Il soffio diDio nell'uomo si realizza nella comunione dell'uomo e della donna: attraverso di essa diventa fecondo esi moltiplica. Attraverso di essa trova il suo senso più pieno il giardino costruito per loro da Dio. Vita infunzione della vita, comunione in funzione della comunione, trascrizione nell'umano della vita divina.Questo forse può voler ribadire l'ultimo versetto del capitolo, non letto oggi: «Ora tutti e due erano nudi,l'uomo e sua moglie, e non provavano vergogna» (2,25). Essere nudi significa essere indifesi, in unasituazione di debolezza, ma anche di verità ("la nuda verità") di fronte ad altri. Non provarne vergognapuò significare la sicurezza di essere fatti segno solo ad atti di donazione, di rispetto e di comunione,

come può avvenire tra marito e moglie; come puòavvenire a dei bambini piccoli nella loro innocenza.

Salmo responsoriale Sal 127

Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita, —II Salmo 127(128) appartiene alla serie dei salmigraduali, cantati dai pellegrini mentre salivano aGerusalemme, salmi che uniscono temi sapienzialialla contemplazione della storia della salvezza cheha al suo centro Sion e il suo tempio. Continuaidealmente il Sal 126(127) che canta la beatitudinedi coloro cui il Signore fa dono dei figli, veraricchezza e protezione. II Salmo viene diviso in dueparti da una beatitudine (v. 1) e una benedizione(v. 4) in terza persona, entrambe riguardantil'uomo «che teme il Signore (YHWH)». Seguono,in seconda persona, i due auguri. La primabeatitudine, frutto del temere il Signore ecamminare nelle sue vie, è la gioia di mangiaredella fatica del proprio lavoro, una fatica che ha

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successo. E attorno al tavolo, a compimento della gioia, la moglie, delizia del cuore, e i figli, speranza divita. Il mangiare insieme nella gioia assume un significato escatologico, ricollegandosi al banchettopreparato dal Signore sul monte dei Tempio (cfr. Is 25,6). La vite è simbolo di Israele; quanto all'ulivo,la tradizione lo identifica con l'albero della vita del paradiso terrestre. La seconda parte del Salmo continuala prima parte augurando la benedizione. Questa viene da Dio e dal suo tempio e si allarga ad unadimensione collettiva. Essa si incentra sul vedere e sul futuro: possa tu vedere il bene di Gerusalemme,e la tua discendenza, per lunghi giorni. Dimensione familiare, religiosa, nazionale, cosmica e storica siintersecano e si arricchiscono reciprocamente. Esse incoraggiano il fedele a camminare sulle vie deiSignore sicuro di realizzare così le sue più grandi aspirazioni, nella gioia della benedizione divina.

Comincia con questa domenica la letturacontinua della lettera agli Ebrei, con unascelta di brani pregnanti dal punto di vistadel contenuto teologico. La lettera è inrealtà un sermone, una «parola diconsolazione» (lógos paraclèseōs, così vienechiamata in Eb 13,22; cfr. anche At 13,15),costruita non semplicemente per argomentare, masoprattutto, mostrando il compimento delleScritture in Cristo, per sostenere, per esortareinfondendo entusiasmo. È articolata in modomolto attento, con annunci dei temi chevengono poi sviluppati, alternandol'argomentazione scritturistica con alcuneesortazioni molto concrete ad essa collegate.

C'è notevole consenso tra gli esegeti neldelimitare le prime parti della lettera, di cui ilbrano odierno fa parte. L'esordio (1,1-4) introduce in modo solenne l'argomento, presentando prima ilcompiersi dell'azione rivelatrice storica e cosmica di Dio attraverso il Figlio (vv. 1-2); e mostrando poiil punto di arrivo della multiforme azione del Figlio nella sua intronizzazione alla destra di Dio (v. 3).Questo fatto conferma che, attraverso il Figlio, Dio si è rivelato in modo definitivo; e questo l'autore diEbrei comincia a provare sulla base degli eventi e della Scrittura, attraverso una serie di confronti. IIconfronto con gli angeli. Il primo, annunciato al v. 4, è il confronto con gli angeli. Tale confronto èfondamentale, per l'importanza attribuita dal giudaismo del tempo agli angeli come mediatori tra Dio egli uomini, e perché l'incarnazione sembra oggettivamente porre il Figlio al di sotto delle perfezioniangeliche. Il confronto viene sviluppato mostrando in primo luogo che Gesù è più vicino a Dio diquanto lo siano gli angeli (1,5-14). A questo segue l'esortazione a non staccarsi dal vangelo, per nonessere puniti ancor più severamente di quelli che non osservarono la legge da loro portata (2,1-4). Ilsecondo confronto mostra che Gesù è più vicino agli uomini di quanto lo siano gli angeli e quindi ha piùtitoli per essere il mediatore tra Dio e l'umanità (2,5-18). È la sezione a cui appartiene il brano che si leggeoggi. Questa seconda argomentazione comincia affermando che Dio non ha sottomesso il mondo futuro adegli angeli, ma a Cristo (2,5), e questo perché Cristo si è fatto vicino alla creazione e agli uomini fino acondividere la loro morte. Tale affermazione viene presentata come compimento di una profeziacontenuta nel Salmo 8: Dio ha reso il Figlio per un momento di poco inferiore agli angeli (perl'incarnazione, passione e morte), ma poi lo ha coronato di gloria e di onore e ha messo tutto sotto i suoi

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piedi. A questo punto l'autore distingue due tempi: il tempo in cui Cristo riceve gloria e onore, tempogià inaugurato a partire dalla sua risurrezione e intronizzazione alla destra di Dio; e il tempo, nonancora totalmente compiuto, in cui ogni cosa è sottomessa ai suoi piedi (qui il Sal 8 e il Sal 110 sitoccano e permettono il collegamento con il sacerdozio regale e imperituro di Melchisedek). La perfezioneattraverso la sofferenza. L'affermazione sorprendente con cui inizia la lettura di oggi riguarda laspiegazione della ragione per cui il Cristo è già fin da ora coronato di gloria e di onore: a motivo dellamorte che ha sofferto. E questo «gustare la morte» non ha portato gloria a lui solo, ma è stato ed è «avantaggio di tutti», mostrando una nuova e inimmaginata via alla divinizzazione. L'autore offre poi unsuo commento, con il quale salda opera di Dio e ragionevolezza umana: «conveniva». C'è infatti unaqualche logica, ancorché imparata a partire dall'opera di Dio (cfr. Is 26,9), nel fatto che la guida allasalvezza abbia aperto lui stesso la via ricevendo la perfezione attraverso l'annichilimento della morte(dià pathēmátōn teleiôsai, «rendesse perfetto per mezzo di sofferenze», 2,10; cfr. 5,7-9). La frase «luiche conduce molti figli alla gloria» viene riferita a Dio. Qui si apre come un abisso di mistero, chel'autore esplora ancora in 12,1-12: nella sofferenza degli uomini è Dio ad agire direttamente, quasisostituendosi alla Guida, alla Via, quasi scostando il Velo, Cristo (10,19-21), lasciandoli soli davanti allaloro angoscia che sembra senza fine. Ma è lì che gli uomini partecipano a pieno titolo alla lororedenzione (Col 1,24). Il brano si chiude spiegando che il Figlio si prende cura dei suoi fratelli assumendo laloro carne e il loro sangue (2,14-18), cosa che non fa per gli angeli, per poter venire in loro aiuto e portarli aDio.

Delineiamo il percorso proposto dalle letture:

L'amore è il "segno" di Dio nella storiadell'umanità. La chiesa lo ha elevato alla dignitàdi "sacramento" nella forma della comunione divita tra gli sposi, a fondamento della famiglia.Sacramento vuol dire "segno efficace" e visibiledella presenza di Dio, per costruire una storiadi comunione, in alternativa ad una storia diconflitti e di odio. L'amore reciproco diventacosì il segno più elevato della libertà umanamessa al servizio della comunità degli uomini:l'amore che vuole la vita, non la morte, deglialtri, perciò l'amore come fonte e garanzia dieternità. Anche la risurrezione di Gesù èopera dell'amore del Padre: così anche lasperanza della nostra personale risurrezione èfondata sullo stesso amore divino, del qualesiamo chiamati a dare testimonianza. Il vangeloannuncia il mistero dell'amore: vivere in essocomporta impegno di fedeltà, richiede unosguardo reciproco fiducioso e trasparente,come quello dei bambini. La benedizione diGesù riguarda proprio chi è capace di questo

sguardo amorevole, e lo diffonde ovunque: così infatti si costruisce il regno di Dio su questa terra.

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L'ideale di questa comunione è proposto sin dalla prima lettura, che ci riporta alle "origini,' ossia alprincipio fondante della comunità umana. Gesù lo rievoca nel vangelo e lo affida come "missione" atutti quelli che crederanno in lui. Questa origine, da cui tutti proveniamo e alla quale tendiamo, èrichiamata anche dalla seconda lettura: in Cristo, primogenito di molti fratelli, l'umanità può ritrovare lacomunione originaria.

Commento al vangelo:

Come ascoltare e accogliere la parola di Dio che parla dell'unità tra uomo e donna e dell'inscindibilità delvincolo matrimoniale quando nel nostro tempo la fedeltà e l'indissolubilità della coppia sembrano utopiche e,ancor più, sono ritenute una valenza culturale del passato? Come non relegare tra i miti fantastici ilracconto del libro della Genesi, inserendo anche le parole di Gesù a complemento della favola? La parola diDio, nella sua interezza, «è viva ed efficace»; è parola per questo momento, è per noi. La fatica concreta cheuomini e donne sperimentano nel vivere la loro unione in modo stabile, costruttivo, fecondo, viene illuminata esostenuta dalla parola di Dio. Gesù rimane sempre il fratello che ha sperimentato la sofferenza e l'angoscia dellimite umano e delle sue conseguenze; lui, il Figlio di Dio. Vittorioso del male, accompagna tutti, ciascuno conla propria personale fatica, all'incontro con il Padre, all'abbraccio della sua misericordia. Dio ha creato tuttoper la vita. La sua è legge di vita che promuove l'uomo, non che lo opprime. L'unione indissolubile trauomo e donna è la verità inscritta nell'essere umano, che libera e rende autentica la sua capacità e il suobisogno di amare e di essere amato. È la celebrazione della dignità suprema dell'uomo e della donna,«immagine e somiglianza» di Dio.

O Dio, fonte di ogni bene, che esaudisci le preghiere del tuo popolo al di là di ogni desiderio e di ognimerito, effondi su di noi la tua misericordia perdona ciò che la coscienza teme e aggiungi ciò che lapreghiera non osa sperare.

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XXVIII Domenica del tempo ordinario14 ottobre 2018

La lettura odierna appartiene alla sezionecentrale del libro della Sapienza. Nei primi seicapitoli del libro l'autore si rivolge a coloro chereggono la terra per mostrare loro i differentiesiti delle esistenze di giusti ed empi e aiutarlia riflettere sulla causa di tale differenza.Questa lunga sezione annuncia (in 1,4.6; 3,11)la tesi che solo attraverso la sapienza si puòottenere la giustizia che viene da Dio edessere a lui graditi. Alla conclusione dellasezione, nel c. 6, l'autore invita i sovrani aricercarla, perché «non abbiano a cadere»(cfr. 6,9) e possano «regnare per sempre»(6,21). Conclude poi il capitolo (6,22-25)annunciando la sua intenzione di esporre checosa sia la sapienza, la sua origine e i suoisegreti. La figura dell'autore, che si riveste deipanni di Salomone, emerge nitidamente e sistaglia come mediatore autorevole dellaconoscenza dei misteri di Dio, sulla base deldono da lui ricevuto, ottenuto attraverso lapreghiera. La sezione seguente (7,1-8,21) èarticolata concentricamente attorno all'elogioe alla descrizione della sapienza (7,21-30).Presenta la sapienza nella sua ricchezza, neivantaggi che offre, nella sua superioritàrispetto ad ogni altro bene desiderabile e

prepara la grande preghiera del c. 9, la richiesta a Dio della vera sapienza, riscrittura ideale dellapreghiera di Salomone a Gabaon (1 Re 3,5-12). In 7,1-6, quasi a provare la propria autorevolezza,l'autore comincia descrivendo la propria origine, dal concepimento alla nascita (tematica ripresa in 8,17-21); in questo modo si mostra simile a tutti gli altri uomini, e nello stesso tempo mostra a tutti se stessocome esempio, in quanto, per ottenere la sapienza, si è orientato verso la preghiera: «Per questo pregai e mi fuelargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza» (7,7). È questo il punto da cui comincia laprima lettura. L'immediato esaudimento della preghiera suggerisce di pensare alla sapienza come a un donoche Dio (non nominato) è desideroso di concedere, aspettando soltanto una qualche manifestazione diapertura ad essa e fiducia in lui (cfr. 1,2; 6,12). Il nucleo tematico. Quanto viene dopo costituisce il centrotematico del testo: la descrizione di come l'autore orante riceve il dono divino, e il risultato che ne ottiene. Daun punto di vista letterario il brano è costruito con molta attenzione: in una prima sequenza (vv. 8-9) l'autoredescrive con tre verbi («la preferii», «stimai un nulla al suo confronto», «non la paragonai») la sua scelta di acco-gliere la sapienza in modo persino esclusivo di altri beni («scettri e troni», «la ricchezza», «una gemmainestimabile»), il cui ambìto possesso caratterizza la vita dei sovrani e le conferisce splendore. A tale sceltasegue una motivazione articolata su due paragoni: in confronto ad essa «oro» e «argento» sono come «sabbia» e«fango». In una seconda sequenza (v. 10) sono riproposte le scelte dell'autore in favore della sapienza(«l'ho amata», «ho preferito»), questa volta davanti a beni più essenziali, più inerenti alla vita di ciascuno:«salute», «bellezza», e infine «la luce», la prima creatura di Dio. Anche qui segue una motivazione, concisama definitiva: «lo splendore che viene da lei non tramonta». Risultato (v. 11): scegliendo la sapienza(apparentemente privandosi di altri valori in quanto ha scelto un dono solo, per importante che sia), l'autore ha

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sorprendentemente ricevuto «tutti i beni» , e ne ha goduto (non sempre al possesso dei beni segue il lorogodimento, cfr. Qo 6,2). Quale la ragione? Perché ricchezze incalcolabili stanno tra le mani della sapienza. Essali guida fino alla casa di chi la accoglie, perché è loro madre (v. 12, non letto oggi), anche se questi non losapeva. Non lo sapeva prima di sceglierla, l'ha scoperto dopo averla presa nella sua casa come una sposa (8,2.9).Il discernimento del vero bene. Pur riecheggiando la preghiera di Salomone a Gabaon, il brano mostracomunque una evoluzione in senso sapienziale e universalistico: la sapienza viene ritenuta più importantenon tanto di beni in qualche modo legati alla prosperità di uno stato (ad esempio, la vittoria sui nemici),quanto piuttosto di ricchezze da godere in modo individuale e di beni fisici quali salute e bellezza,particolarmente apprezzati dai Greci. In qualche modo, poi, l'inizio e la fine del brano si toccano: all'inizioall'autore viene concesso il discernimento, la capacità di distinguere tra il bene e il male; alla fine egli preferi -sce la sapienza alla luce. Entrambi, discernimento e luce, si ritrovano nei primi capitoli della Genesi emostrano come si possa in qualche modo ricomporre la frattura creatasi con la prima trasgressione.Pregando e accogliendo il dono della sapienza ogni uomo può mangiare il frutto dell'albero dellaconoscenza del bene e del male senza con questo venir allontanato dal giardino. Al contrario, egli puòassimilarsi alla luce, inizio della creazione di Dio e simbolo della sua salvezza. Degno di nota rimane inoltrenel brano lo strano articolarsi di ricerca e conseguimento, dove all'esclusione inerente ad ogni scegliere segueuna inimmaginata pienezza. Questo comunque solo quando oggetto di tale scelta è la sapienza.

Salmo responsoriale Sal 89

Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo persempre. – Del Salmo 89/90, l'unico salmoattribuito a Mosè, si leggono oggi alcuniversetti appartenenti alla sezione finale (vv. 12-17). Il Salmista, dopo aver constatato laprecarietà della condizione umana davanti allapotenza di Dio, si volge a lui con accoratasupplica. La serie delle intercessioni sembraarticolarsi secondo una forma concentrica.Innanzitutto chiede al Signore di saper valutarela brevità della vita, commisurandola allapotenza divina, per giungere alla sapienza delcuore. Gli chiede poi il dono della suacompassione e della sua grazia, fonti di gioiaperenne. Ritorna quindi a chiedere diconoscere, sperimentandone la gioia, l'operache il Signore sta compiendo, così da poter asua volta realizzare opere sapienti, che ilSignore confermi con la sua bontà, gloria e potenza. Lo sguardo del salmista sembra essere quello di unuomo che ha responsabilità su altri: cerca la sapienza, per sé e per tutti, e si preoccupa della crescitadella comunità.

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Dopo aver narrato l'abbassamento el'esaltazione di Cristo, in Eb 2,17 l'autoreannuncia due sviluppi tematici: attraverso il suomistero pasquale Gesù si è manifestatosacerdote misericordioso e fedele, capace divenire in aiuto a coloro che, come i destinataridella lettera, sono sottoposti a prove epersecuzioni. Nelle sezioni seguenti sviluppa, inordine inverso, i due temi (3,1-6: Gesù sacerdotefedele; 4,15-5,10: Gesù sacerdote miseri-cordioso). E, come alla narrazione della vicendadi Cristo in 2,516 aveva fatto precedere unaesortazione ai lettori (2,1-4), così orainframmezza le due brevi trattazioni sullafedeltà e la misericordia del nuovo sommosacerdote con un'altra esortazione (3,7-4,14),sviluppata sulla base di due parole del Sal 94/95:«oggi» e «riposo». Egli invita i suoi ascoltatori a

continuare a credere e ad affrettarsi pur in mezzo alle prove verso il riposo a loro riservato da Dio. In questocontesto la seconda lettura di oggi viene introdotta come ragione («Infatti la parola di Dio è viva») di un invitoprecedente. È l'invito conclusivo della sezione: «Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessunocada nello stesso tipo di disobbedienza» (4,12). La lettura di questo breve testo richiama alla mente il Salmo139/138, nel quale il Salmista riconosce l'intima presenza di Dio nella sua vita, lo loda per il prodigio della suaesistenza, lo prega di scrutare anche il suo comportamento e di guidarlo sulla via della vita. Richiama anche il Sal18/19 («La Legge del Signore rinfranca l'anima», v. 8; «ti siano gradite le parole della mia bocca», v. 15). «Matutte le cose sono nude...» : il tema della nudità riporta all'Eden, ad Adamo che si scopre nudo davanti a Dio dopoaver tentato malamente di discernere da se stesso il bene e il male. «... E scoperte (tetrachēlisména)»: il rarotermine greco fa pensare a qualcuno esausto dopo una lotta, richiamando forse la lotta di Giacobbe con l'Angelo.Proprio questi confronti aiutano a percepire la profonda intuizione dell'autore della lettera agli Ebrei: dove iltesto biblico parla di Dio, egli pone la Parola Vivente, la vede come Persona, confermando così l'inizio dellalettera, dove contempla Dio che parla attraverso il Figlio (in 4,12 il greco ha: «ho lógos tú theú», la parola diDio; il latino: «sermo Dei»). Stilisticamente, i vv. 12-13 si presentano come un unico, lungo periodo nel qualeritorna continuamente la congiunzione "e", ottenendo così l'effetto di amplificare oltre misura, concontinue aggiunte, quasi che il già detto non basti mai, la grandezza della Parola: «Vivente è la Parola,ed efficace, e più tagliente [ ... ], e penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, dellegiunture e delle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore; e non vi è creatura che possanascondersi davanti ad essa, ma tutte le cose (pánta) sono nude e scoperte agli occhi di lei, davanti allaquale a noi la parola (il dovere di parlare, di rendere conto/ragione)». Anche se in italiano una traduzionecosì letterale suona impervia, il ricorrere dello stesso termine per indicare la parola di Dio e il doveredell'uomo di rendere ragione davanti ad essa, apre ad orizzonti impensati. Fa vedere che la Parola nonsolo giudica l'uomo facendogli conoscere che cosa si agita nel profondo del suo cuore e nei suoi pensieri,ma anche che essa è all'origine del suo parlare, fonte di quel conoscere che poi essa illumina. Al suo cospettol'uomo ha il dovere della parola, non può nascondere a se stesso e a lei che egli sta parlando, chericeve quindi da lei la luce di quella verità che lo conosce e giudica le sue scelte. «Chi mi rifiuta e nonaccoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell'ultimo giorno» (Gv12,48). In questo modo l'autore trova un argomento molto forte per la sua esortazione alla fedeltà:perseverare fedelmente significa portare a compimento quella verità di se stessi che la parola ha giàinscritto nel più profondo del cuore.

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Delineiamo il percorso proposto dalle letture:

Di fronte alla tentazione, così presente nellanostra cultura consumistica, di fare dellaricchezza l'unico obiettivo dell'esistenza ilvangelo di Gesù indica la via stretta dellamoderazione, la quale può insegnarel'apertura del cuore e la disponibilità a rendercisensibili alle necessità di chi sta nel bisogno.Infatti, non la ricchezza (il denaro) in sé ècattiva, ma l'uso distorto ed egoistico che se nepuò fare. Disponibilità allora significa impararea mettere l'avere al servizio dell'essere,imparare la prospettiva sapienziale per cui«tutto l'oro al suo confronto è un po' disabbia», imparare che gli idoli (di qualsiasiforma) allontanano dal regno di Dio. II vangelopone anche a noi la domanda più fondamentale:che cosa fare per avere la vita eterna? Gesùrisponde proponendo la scelta del distacco delcuore da tutto ciò che può creare schiavitù. Lareazione dell'anonimo che poneva tale domandaa Gesù mostra quale ostacolo possa esserel'attaccamento alla ricchezza per la scelta diseguire Gesù. La prima lettura orienta nellamedesima direzione: esorta a chiedere a Dio

una sapienza che non si fonda sulle coseterrene, ma che solo lui può donarci. Questasapienza può renderci interiormente liberi edisponibili. Una sapienza che la secondalettura concretizza nella parola di Dio, «viva, efficace e più tagliente di ogni spada »,l'unica che può aiutare il credente adiscernere con verità i sentimenti e ipensieri del suo cuore.

Commento al vangelo:

Vi è nell'uomo un ineludibile bisogno di vita, di pienezza, di felicità. Il saggio è colui che trova modo di ri-spondere a questa domanda, che la maggior parte delle persone non sa neppure mettere a tema e a cui rispondedi fatto con una ricerca spesso ossessiva di sempre nuovi effimeri piaceri. La Parola di oggi ci invita acollocarci nell'atteggiamento giusto per discernere anzitutto qual è la vera sapienza e per indicarci poicome riceverla; sì, perché essa è dono, il dono di una Persona che ci ama infinitamente. Nell'Antico

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Testamento la sapienza era stata individuata in un progressivo crescendo da realtà esteriori a benispirituali. Essa era stata poi personificata, alle soglie del Nuovo Testamento, come colei che «pone le suedelizie tra i figli dell'uomo» (cfr. Pr 8,31), ma è in Gesù che essa ci svela pienamente il suo volto. EGesù chiama ciascuno valorizzando l'impegno che ha posto nel ricercare il bene. Sta a noi non fermarci,non lasciarci ingannare dalle false ricchezze, non indietreggiare davanti alle sue esigenze. Se ci chiedecon imperativi incalzanti di lasciare tutto per lui, dobbiamo avere il coraggio di farlo e di rinnovarecontinuamente questa scelta, perché non potremo più essere felici se avremo allontanato i nostri passi da lui.Tutte le false e presunte ricchezze non potranno mai reggere il confronto con la sua povertà, né saziare lanostra fame di amore, di verità, di bellezza. Il suo sguardo continuerà a seguirci, silenziosamente, con unrispetto infinito della nostra libertà, e non si darà pace, finché noi non avremo trovato in lui la nostra pace.

Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché, sorretti dal tuo paterno aiuto, non cistanchiamo mai di operare il bene.

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XXIX Domenica del tempo ordinario21 ottobre 2018

Negli anni che seguono il ritorno dall'esilio, guidapolitica dei rimpatriati è il governatoreZorobabele, discendente di Davide; sacerdote èGiosuè, della famiglia di Zadok. Nel 520, tempodi sommovimenti in tutto l'impero persiano per lelotte di successione al trono dopo la morte diCambise, i profeti Aggeo e Zaccaria incoraggianoZorobabele a ricostruire il tempio. Improv-visamente però in Zc 6,9-15 il nome diZorobabele non appare più e oracolioriginariamente diretti a lui vengono riferiti alsommo sacerdote Giosuè. Perché Zorobabele,l'ultimo davidide al potere, improvvisamentescompare? I documenti non danno risposta. Sipuò quindi immaginare molto, anche che vengaaccusato e ritenuto responsabile di una rivoltacontro il nuovo imperatore (lui stesso forse unusurpatore), che venga ingiustamente ucciso,forse anche per il tradimento del suo popolo,segnando così la fine del potere politico dellacasa di Davide. Questi oscuri frangenti possonofornire un contesto storico relativamente

plausibile alle parole della prima lettura, tratte dal quarto canto del Servo (Is 52,13-53,12). In questocanto il profeta annuncia un evento paradossale, mai avvenuto prima: il Servo verrà rigettato, umiliato,trafitto a morte, sepolto con gli empi; ma dopo il suo tormento, che egli sopporta con incredibile umiltà eobbedienza, il Signore ha in serbo per lui un futuro di luce e di gloria di portata universale. Ancora piùsorprendente è la lettura che il profeta dà del mondo interiore del Servo, gli atti che gli propone divivere, la visione dell'effetto di salvezza spirituale che ne scaturisce; e inoltre che il profeta annoverianche se stesso, insieme al popolo, tra i beneficiari dell'offerta di sé vissuta dal Servo. Il quarto canto si apre(Is 52,13-15) e si conclude (53,11b-12) con parole pronunciate da Dio. In mezzo, quattro strofe dispostein modo parallelo. Nella prima (53,1-3) e nella terza (53,7-9) il profeta descrive la parabola mortale delServo, il suo venir condannato ed escluso dal popolo eletto, e la sua obbedienza e silenziosa accettazionedi un immeritato destino di morte. Nella seconda (53,4-6) e quarta (53,10-11a) strofa il profeta interpretacon sorprendente sicurezza il significato che la vicenda del Servo ha agli occhi di Dio, preparando ilpronunciamento finale da parte del Signore. Il disegno di Dio sul Servo. Si legge oggi la quarta strofa, ilcommento del profeta alla vicenda del Servo (vv. 10-lla); e i primi due stichi della conclusione delcanto, in cui è il Signore stesso a prender la parola («Il giusto mio servo», v. 11b). La breve unità si aprecon una parola del profeta, che offre una interpretazione di sintesi degli eventi: ciò che è accaduto alServo non si deve leggere solo secondo schemi umani, come uno sfortunato esito del progetto diricostruzione del tempio, o come un subdolo tradimento da parte di altri capi del popolo. Si deve vedere inquella vicenda il disegno di Dio: «a lui è piaciuto prostrarlo (letteralmente: frantumarlo, polverizzarlo) condolori» (v. 10). Già questo sorprende, ma non è tutto. Il progetto che è stato messo in moto dalbeneplacito divino attende, per compiersi, che il Servo corrisponda ad esso «ponendo la sua vita (comesacrificio di) riparazione» (cfr. Lv 5,16). Quando egli rovescerà il significato del destino di morte che subisceingiustamente, e vedrà in esso non tanto una ingiustizia contro se stesso ma la possibilità di diventare eglistesso quel sacrificio espiatorio che copre i peccati del popolo, e accetterà questo («Egli portava il peccatodi molti e intercedeva per i colpevoli», Is 53,12), allora per mezzo suo la volontà del Signore potrà

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compiersi; per mezzo suo Dio giustificherà molti e lui vedrà — proprio al contrario di quanto avvenuto(«Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità?», Is 53,8) — ilmoltiplicarsi di una nuova discendenza nata miracolosamente dal suo immolarsi. Si può dire che questo testoprofetico tocca vertici inauditi nell'esplorare il mistero del rapporto tra Dio e Israele, tra Dio e l'umanità.Luogo dell'incontro diventa l'atto di autodonazione del Servo a Dio per il suo popolo, anzi, per i peccati«di molti», vissuto nell'accettazione di una tragica spoliazione esteriore ed interiore, subita proprio dai suoifratelli. Ci si chiede chi possa essere il personaggio capace di tanto, rivestito di una dignità tale darealizzare questo atto pienamente, in tutta la sua sconvolgente potenza.

Salmo responsoriale S a l 3 2

Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo. —Costruito su un fine gioco di rimandi tematici, ilSalmo 32/33 è un inno di lode alla gloria delSignore, la cui parola ha creato e ordinato il mondo,il cui consiglio sta saldo per sempre, il cui sguardo«depone i potenti dai troni e innalza gli umili». Ilsalmo consta di 22 distici, quante sono le letteredell'alfabeto ebraico: vuol essere un canto alla gloriadi Dio. Al suo centro sta la beatitudine: «Beata lanazione che ha il Signore come Dio, il popolo cheegli ha scelto come sua eredità» (v. 12). Essa èpreceduta dal doppio invito a lodare (vv. 1-3) e atemere (v. 8) il Signore, rivolto ai giusti (v. 1) e atutta la terra (v. 8). Seguono due ricche serie dimotivazioni (vv. 4-7.9-11) che magnificano lagiustizia, la fedeltà, l'amore misericordioso delSignore. Egli ha creato e ordinato il mondo, ecome ha imbrigliato il mare sempre inquieto,così rende vani i sommovimenti delle nazioni. Laseconda parte del salmo descrive ulteriormente l'azione di Dio: egli dal cielo scruta il cuore di tutti gliuomini, che conosce fino in fondo come loro creatore (vv. 13-15); e mentre tutta la loro forza non puòdare vittoria (vv. 16-17), è ancora il suo sguardo misericordioso e fedele a custodire e salvare chi lo temee spera nel suo amore (vv. 18-19). Per questo il salmista, insieme al popolo, protesta davanti al Signore lasua attesa, la sua confidenza, la speranza nel suo amore (vv. 20-22). Del salmo si leggono oggi i vv. 4-5 e 18-21. Essi danno voce all'immaginata preghiera del Servo nella sua prova: il suo Dio è il Signore, ed egli conpiena confidenza nella sua amorevole fedeltà si attende da lui ogni salvezza e liberazione.

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La breve lettura odierna, tratta dalla letteraagli Ebrei, è materialmente la continuazionedel brano proclamato la domenica precedente.Essa conclude la sezione esortativa che inizia in3,1 e allo stesso tempo introduce il nuovosviluppo tematico, annunciato in 2,17: Gesùsommo sacerdote misericordioso. L'unità si articolain una duplice sequenza di motivazione edesortazione: la prima sequenza al v. 14; laseconda, amplificata, ai vv. 15.16. Due terminicollegano il testo odierno con l'inizio della sezioneesortativa, immediatamente dopo Eb 2,17: homo-loghía (confessione/professione della fede)presente in 4,14 e 3,1; e boétheia (aiuto), presente in4,16 e 2,18. In questo modo il passaggio da un

argomento all'altro avviene in forma graduale, quasi inavvertitamente. La prima esortazione(«manteniamo ferma la confessione») rappresenta una sintesi conclusiva degli ammonimenti fatti acominciare da 3,1: innanzitutto perché la formulazione richiama 3,6 («se conserviamo la libertà e lasperanza di cui ci vantiamo») e 3,14 («a condizione di mantenere salda fino alla fine la fiducia»); poiperché vi si riscontra la presenza del tema del cielo («che ha attraversato i cieli», 4,14; «vocazioneceleste», 3,1), legato a sua volta all'entrare nel riposo di Dio (4,1-12 passim). Esortazione alla perseveranza ealla fiducia. Dal canto suo, la seconda esortazione («accostiamoci dunque con piena fiducia al trono dellagrazia») si addice meglio al nuovo tema introdotto, alla visione del sommo sacerdote che sa compatirele nostre debolezze per essere stato lui stesso provato in ogni cosa eccetto il peccato. Così Cristodiviene il fondamento di due esortazioni in qualche modo tra loro dialettiche: l'esortazione alla perse-veranza sulla base della sua fedeltà, e l'esortazione alla fiducia, sul fondamento della sua misericordia.Infatti, per mantenere salda la confessione di fede occorre forza interiore, che maturi una decisioneferma e costante anche in mezzo alle prove. Tale atteggiamento trova il suo fondamento in Colui che haattraversato i cieli, un passaggio ben più impegnativo di quello dei deserti dell'esodo. Se lui, uomocome loro, ha fatto tanto, anche i suoi discepoli possono impegnare tut te le loro forze per seguirlo:«Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perchénon vi stanchiate perdendovi d'animo» (12,3). Purtroppo tutti sono avvolti di debolezza. Ecco allora la se-conda esortazione: «accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia», perché se il trono èin alto, irraggiungibile, colui che «si è assiso alla destra del trono della Maestà nei cie li» (8,1) patisceinsieme a loro le loro infermità, per essere stato provato in ogni cosa. L'unica visione del Cristo nella gloriadel Padre fonda quindi la felice situazione dei credenti, i quali, come i loro antenati nella fede, possono«trarre vigore dalla loro debolezza» (11,34). Essi ora «tutto possono, in colui che dà loro forza» (cfr. Fil4,13), in colui che «da ricco che era, si è fatto povero per loro, perché diventassero ricchi per mezzodella sua povertà» (2 Cor 8,9). L'umanità di Cristo, il suo sangue, il velo della sua carne, diventa per tuttila «via nuova e vivente che egli ha inaugurato» attraversando su di essa i cieli, e dà a tutti «piena libertà diaccostarsi a lui». In 10,19-23 l'autore ripete di nuovo gli stessi temi del brano odierno, mostrando così disentirli come uno dei capisaldi del suo pensiero, l'esperienza che non si stanca di condividere eriproporre.

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Delineiamo il percorso proposto dalle letture:

Gesù ha posto tutto se stesso a servizio degliuomini, ha dato la sua vita per noi. Questoannuncio radicato essenzialmente nel vangelocristiano è difficile da comprendere: comepossono la sofferenza e la morte salvare? Larisposta, non facile da tradurre in concetti eparole, è però intuibile: tutta la vita di Gesù,gesti e parole, fino alla morte è stata un con-tinuo atto di amore. E l'amore non può finirenel nulla: questa è la base anche percomprendere l'annuncio della risurrezione e lasperanza di condividerla con chi ci ha tantoamato. Nel vangelo Gesù propone, oggi comeallora, lo stesso messaggio: chi vuole essere"primo" nella comunità dei discepoli deveimparare a servire e a dare la propria vita. Laprospettiva del servizio sostituisce quella delpotere o, meglio, esprime il vero potere affidato aidiscepoli. La prima lettura anticipa con lafigura profetica del "servo sofferente" la vita ela missione di Gesù: Dio si compiace nel suoservo, che offre la sua vita per il popolo, segno diun amore forte e deciso, che salva. La lettera agli Ebrei, nella seconda lettura, riprende questa prospetti-va e invita i cristiani ad «accostarsi con fiducia al trono della grazia» poiché Gesù mantiene anchenell'oggi la sua offerta di salvezza per tutti coloro che aprono il cuore alla sua misericordia.

Commento al vangelo:

La Parola ci viene incontro per 'convertirci', ossia, secondo l'etimologia greca, per `farci cambiarementalità'. E oggi in particolare offre un nuovo orientamento alla nostra istintiva sete di grandezza, aldesiderio più o meno inconsapevole di essere importanti. Anche noi, come tutti, siamo attratti da un prestigioappariscente, da un'autorità a vasto raggio di influenza, ma Gesù ci ammonisce: «Fra voi però non sia così». Eci insegna ad aspirare a una forma poco ambita di grandezza: quella dell'amore incondizionato che si faumile servizio al prossimo, fino al dono della vita.È un capovolgimento dei valori consueti, ma ci dà la chiaveper comprendere la missione di Cristo tra noi e ci pone davanti a una scelta ineludibile: egli è il modello dicui dobbiamo riprodurre in noi l'immagine e la somiglianza. Dobbiamo? Non è forse impossibile? Come un'ecorisponde il vangelo della scorsa domenica: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio!». È ilpeccato infatti ciò che ci separa da Dio e sfigura in noi i tratti del suo volto, ma il Signore stesso soccorre lenostre infermità ed espia tutto l'umano peccato, chiedendo al suo Figlio innocente di portarne su di sé leconseguenze. Se la rivelazione della sconfinata misericordia divina ci pone in silenzio, la contemplazione diGesù che assume il peso delle nostre iniquità per aprirci la via alla comunione con Dio, ci aiuta a uscire dainostri schemi e a perseguire la grandezza vera. Il Dio tre volte santo ci perdona per il sangue del suo Figlio:venite, adoriamo! Il Signore si fa servo: venite, camminiamo sulla sua via!

Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti conlealtà e purezza di spirito.

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XXX Domenica del tempo ordinario28 ottobre 2018

Siamo negli anni immediatamente precedenti oseguenti il 622 a.C., l'anno del ritrovamento, neltempio, di un rotolo di leggi che il giovane re Giosiauserà, anche su consiglio della profetessa Culda (2Re 22,12-20), per dar vita a una imponente riformainsieme religiosa e politica, di cui è difficileesagerare la portata. Sono ormai passati circacento anni dalla conquista di Samaria (721 a.C.)e dalla deportazione di migliaia di Israeliti versoaltri territori nell'immenso impero assiro,secondo la politica degli invasori di normalizzareogni regione trasferendovi altre popolazioni sottola loro amministrazione unitaria. All'epoca diGiosia, però, l'impero assiro è ormai l'ombra dise stesso: indebolito dalle sanguinose campagnedi conquista, lacerato da interne lotte dinastichealla morte di Assurbanipal nel 627 a.C., pressatoda ogni parte da poderosi nemici esterni, nel 612perderà l'immensa capitale nuova, Ninive, con lasua doppia cinta di mura, e verrà alla fine annientatonel 609. Il messaggio di speranza del profeta. Inconcomitanza con questi eventi, la regione deldistrutto regno del Nord diventa rapidamente terradi nessuno. È a questo punto che Giosia conce-pisce l'ambizioso piano di ricostituire l'unicoregno sotto la guida della dinastia davidica,esteso su tutto il territorio delle antiche 12 tribù.Al piano politico si accompagna la riformareligiosa attraverso una nuova alleanza con ilSignore, una nuova legge e la centralizzazione delculto. Il profeta Geremia si inserisce in questarinascita e predica nei territori del regno del Nord unmessaggio di speranza, ora raccolto nel cosiddetto «Libro della consolazione» (Ger 30-31). Egli per primoannuncia il progetto di Dio di far ritornare i discendenti dei deportati di Samaria dai lontani territori delladispersione, annuncio che prepara quello del ritorno da Babilonia, cento anni più tardi. Il testo che si leggeoggi nella liturgia (Ger 31,7-9) porta le dirette parole del Signore, omettendo però l'introduzione, che èbene trascrivere: «Verrà il giorno in cui le sentinelle grideranno sulla montagna di Èfraim: "Su, saliamo aSion, andiamo dal Signore, nostro Dio". Poiché dice il Signore: "Innalzate canti di gioia per Giacobbe..."»(31,6-7a). Questa introduzione evidenzia la portata epocale dell'annuncio fatto dalle sentinelle in Efraim.Compito delle sentinelle è quello di scrutare l'orizzonte per poter così avvertire il popolo di pericoliimminenti; qui invece sono proprio esse ad avviare il cammino, invitando il popolo a salire verso la capitale delregno del Sud, una volta nemico, perché là abita il Signore di tutto Israele, nel tempio che Giosia ha rinnovato.Alla loro voce fa seguito quella del Signore stesso, che invita ad annunciare la sua opera di salvezza infavore di Giacobbe: egli riconduce in patria il resto dei deportati. Segue la descrizione di tale miracolosoevento di gioia: il Signore stesso li raduna e riserva una cura particolare ai più deboli, così che tutti possanopartecipare alla gioia del ritorno e giungano in gran folla alla casa del Signore. L'oracolo parla poi delle modalitàdel ritorno, co n f r o n t an d o l e co n q u e l l e de l l a d o l o r o s a p a r t en z a p e r l ' e s i l i o : al posto delle

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lacrime la consolazione, al posto dell'arsura del deserto le sorgenti d'acqua, invece di vie impervie unastrada dritta senza ostacoli. In questo modo il Signore dimostra di aver scelto Israele come suo popolo e didare a lui di nuovo la vita. La ricostituzione del "resto' . Quello che Geremia canta è qualcosa di insperabile eche risulta ancor più sorprendente se si pondera il contesto del suo annuncio: a cento anni di distanza dalladistruzione di Samaria i discendenti dei deportati forse non sanno nemmeno più da dove sono emigrati nelleterre che ora abitano, forse non ricordano che alcune delle parole della lingua dei loro antenati, forse non sannoa quale Dio appartengono. Similmente, con "resto" di un popolo si indicava un gruppo umano avviato alla mortedella propria cultura, lingua e tradizioni, irrimediabilmente sconfitto e assimilato, in posizione subordinata allavita, alla cultura e alla religione dei vincitori. Che il Signore richiami alla loro terra natale questi dispersi assumeil sapore di una nuova creazione, della gestazione di un popolo nuovo. Questo giustifica il titolo che Dio siattribuisce: egli si dimostra di nuovo il vero padre di Efraim suo figlio prediletto. Di modo che e Efraim possafinalmente capire le parole dette da Osea più di cento anni prima: «Che ho ancora in comune con gli idoli, oÈfraim? Io l'esaudisco e veglio su di lui; io sono come un cipresso sempre verde, il tuo frutto è opera mia» (Os14,9). L'esperienza del ritorno fa nascere il popolo a una nuova, più decisa ed esclusiva scelta di Dio (Os 13,4).

Salmo responsoriale Sal 125Grandi cose ha fatto il Signore per noi. –

L'aspetto verbale ebraico chiamato 'perfetto'('compiuto') denota un'azione non tanto in quantopassata, ma in quanto compiuta, sicura nella suarealizzazione. In questa prospettiva, l'inizio delSal 125/126 si potrebbe intendere non di unevento già accaduto, quanto piuttosto di unevento 'perfetto', compiuto nella speranza che siappoggia sulla parola del Signore, anche se nonancora avvenuto esternamente: «Nel far tornare ilSignore i prigionieri di Sion ci sembrerà disognare... allora la nostra bocca si riempirà disorriso... allora si dirà tra le genti ... ». Letto inquesto modo il salmo diventa un canto struggentedi speranza, culminante nell'invocazione: «Faitornare, Signore, la nostra prigionia, e sia come iltumultuoso scorrere in primavera dei torrenti delNegheb!». Il salmo si chiude enunciando untema, sviluppato nell'ultimo versetto, che suonacome una rilettura in chiave di speranza delminaccioso proverbio di Os 8,7: «Hanno seminatovento, raccoglieranno tempesta». Al piantopresente, per chi ha il coraggio di seminare,

succederà la futura gioia del raccolto. Anzi, sulla base della logica dell'immagine si innesta un significatoparadossalmente positivo: proprio la fatica di continuare a vivere come popolo eletto anche 'disseminati'(la 'diaspora') in mezzo ad altri popoli porta ad un abbondante raccolto, ad un accrescimento delpopolo, come il Salmo 126/127 immediatamente successivo conferma: «dono del Signore sono i figli, concui egli costruisce la casa...» .

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In Eb 5,1-6 l'autore continua a svilupparel'argomento annunciato in 2,17: Cristo «sommosacerdote misericordioso e degno di fede». Dopoaver trattato, in 3,1-6, della fedeltà di Cristo, e dopouna lunga parentesi esortativa (3,7-4,16), l'autoreora tratta dell'aspetto della misericordia, qualificanecessaria della funzione sacerdotale. La consideraa partire prima da affermazioni generali, verificatepoi nell'antico Israele, e infine compiute in Cristo.Nello stesso tempo, mentre mantiene questoschema, intreccia nella sua argomentazione un filotematico che da una parte appartiene al campo dellamisericordia, dall'altra lo supera e prepara sviluppisuccessivi: il tema della scelta divina. Gesù veropontefice. Prendendo in considerazione i due temi, apartire dal secondo l'autore innanzitutto affermacon chiarezza, in termini validi per ogni cultura ereligione, che nessuno può appropriarsi da se stessodelle funzioni sacerdotali, ma deve essere chiamatoda Dio. Infatti, se deve fare come da ponte tra gliuomini e la divinità, da una parte deve appartenere alla comunità umana, dall'altra deve avere una qualchecertezza di essere collegato anche alla sponda divina, e questo può realizzarsi solo a partire da una sceltaproveniente dall'alto. Quanto al tema della misericordia, l'autore mostra che un sacerdote deve partecipare delladebolezza e fragilità degli uomini dei quali diventa mediatore verso Dio, per poter davvero portare a lui la lorocondizione e così salvarla, ponendola in contatto con la santità di Dio. L'autore continua verificando questi dueaspetti del sacerdozio nel quadro dell'antica alleanza con Israele, e perciò in riferimento ad Aronne. A suoriguardo, sulla base di testi che non cita formalmente, ricorda che egli non si appropria da se stesso dellafunzione sacerdotale, ma ad essa viene chiamato da Dio. Quanto alla sua solidarietà con la fragilità delpopolo, l'autore la mostra indicando l'obbligo che il sacerdote ha di offrire sacrifici non solo per ipeccati del popolo, ma anche, e anzi prima che per il popolo, per i propri peccati, in modo da potereffettivamente portare a termine la sua funzione mediatrice e santificatrice. La scelta divina della“generazione”: In un terzo momento, infine, l'autore verifica i suoi assunti rispetto a Gesù. Lo fa sulla basedi due testi biblici (Sal 2,7 e Sal 109/110,3-4) che parlano della scelta divina nella sua forma più alta ecoinvolgente, la generazione. Per quanto riguarda il Sal 2, egli lo cita direttamente («Tu sei mio figlio, oggiti ho generato»); lascia invece sottinteso il riferimento testuale del Sal 109/110. In esso il Signore dice alMessia: «A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell'aurora, comerugiada, io ti ho generato»» (Sal 109,3). L'autore cita invece il versetto seguente, dove il profeta dice alre: «Il Signore ha giurato e non si pente: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek"» (Sal 109,4). Sulla base del punto comune della "generazione", l'autore usa i due testi come complementari. Cosìcolui che è generato è «Figlio» (Sal 2) e «sacerdote per sempre secondo l'ordine di Melchìsedek» (Sal109/110). Con questa ultima qualificazione egli guadagna un punto capitale: Gesù non è semplicemente unrappresentante di breve periodo della funzione sacerdotale, come era Aronne all'interno del sacerdoziolevitico, ma è colui nel quale tale funzione giunge a compimento, il sacerdote unico ed eterno. Tra l'altro, leprime parole del Sal 109/110 sono quelle che offrono all'autore la visione sulla quale egli poi costruisce tuttal'argomentazione della lettera. Infatti, quanto il Salmo proclama («Oracolo del Signore Dio al re miosignore: "Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi"»), egli lo vederealizzato in Cristo: «Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestànell'alto dei cieli» (Eb 1,3). In questo modo inoltre l'autore può anticipare (in 5,6) l'annuncio (che faràin 5,10 e in 6,20) della trattazione del tema del sacerdozio «secondo l'ordine di Melchìsedek», tema chefinalmente sviluppa in 7,1-28. La fine della lettura, al v. 6, non permette di ascoltare l'ultimo puntosviluppato dall'autore, la verifica cioè rispetto a Cristo dell'aspetto della misericordia, della capacità disentire compassione per i fratelli a motivo della propri debolezza. Tale capacità viene documentata

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narrando la vita del Signore (vv. 7-10), nella quale l'autore vede realizzata la necessità ovunque validadi «offrire doni e sacrifici per il peccato» (v. 1), a cui sottostà anche l'economia dell'antica alleanza: ilsommo sacerdote «deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso» (v. 3). Infatti Cristo «offrìpreghiere e suppliche, con forti grida e lacrime» (v. 7), durante tutta la sua vita terrena, a Colui chepoteva liberarlo dalla morte. Per la sua pietà fu esaudito e consacrato sommo sacerdote, diventando cosìcausa di salvezza eterna per coloro che fanno propria la sua obbedienza, quella obbedienza che egliimparò dalle cose che patì. È in questa direzione che va cercata la spiegazione dell'aspetto dellamisericordia inerente al sacerdozio di Cristo: egli offre come sacrificio per i peccati la sua umanità chesottomette alla morte (cfr. Eb 1,9). Così fa propria la morte di tutti, e offre a tutti la sua vita risorta eascesa al cielo, come viva via nuova: coloro che vengono da lui santificati possono percorrerla, vivendola sua obbedienza, per giungere dove lui è.

Delineiamo il percorso proposto dalleletture:

In quanto credenti siamo sempre come ilcieco del quale narra il vangelo diquesta domenica, possiamo gridare«Gesù, abbi pietà di noi» e "Che ioriabbia la vista!" Anche per noi, infatti, ilcredere non è un atto scontato, ma èpiuttosto un cammino impegnativo cherichiede sempre orientamento e scelte, habisogno di luce e di sostegno. Anche pernoi è sempre necessario che Gesù "passi dilà'”, ossia si manifesti nella nostraquotidianità, così che lo si possaincontrare: una manifestazione che rima-ne misteriosa ed esige la nostra attenzione eapertura di cuore e mente. Il vangelo ècostruito su un dialogo tra il cieco e Gesù.Il cieco, che non vede Gesù ma ne intuiscela presenza da quanto accade attorno alui, ha il coraggio di gridare a lui la suasofferenza. Il segno operato da Gesùrichiama questo bisogno di aiuto e di

luce. La conclusione è illuminante anche per noi:”subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per lastrada”. La prima lettura descrive la gioia del ritorno in patria degli esuli. Geremia presenta il ritorno comeopera di Dio: esso è figura e, per così dire, un anticipo della salvezza promessa da Dio al piccolo resto chegli è rimasto fedele. Nella seconda lettura l'autore della lettera agli Ebrei presenta Cristo come guida eluce dei cristiani. Egli è ora il mediatore della salvezza e in questo consiste il suo ruolo sacerdotale:egli rivela il volto di Dio a chi lo cerca.

Commento al vangelo:

Quante volte la nostra storia personale o la considerazione dell'umana vicenda ci dà l'angosciosa impres-sione di un brancolamento di ciechi! Circondàti da una fitta tenebra di incertezze e contraddizioni, incapaci di

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intravedere un senso in ciò che stiamo vivendo, spesso finiamo per accasciarci ai margini della vita per men-dicarne le briciole ai più fortunati, che sembrano percorrere senza intralci la via. Siamo noi, allora, quei po-veri che la Parola oggi viene a risollevare recando la buona notizia: Gesù attraversa le strade dell'uomo, hacompassione delle nostre infermità, condivide la nostra debolezza (cfr. la seconda lettura). Beati noi se, toccatidall'annunzio, sappiamo gridare il suo nome e invocare la sua misericordia! L'amore non deluderà le nostreattese. Gesù però ci interpella, ci chiede che cosa vogliamo davvero. Guarire, 'vedere' è un impegno,dobbiamo saperlo. Un impegno per la nostra fede, che deve crescere per aprirsi al miracolo, e un compitoper il nostro futuro. Il Signore, infatti, è la luce della vita e risplende nella nostra oscurità per fare di noidei viventi, per rialzarci dall'abbattimento, dalla stasi di chi si è assuefatto a limiti angusti. Egli che è la Viatraccia a noi, esuli nella terra straniera dell'infelicità, il cammino per tornare alla patria d'origine, allacomunione con il Padre: questa è la 'strada diritta' su cui chi lo segue non inciamperà (cfr. la primalettura). È però necessario passare attraverso la croce, attraverso la morte a noi stessi. Davvero vogliamovedere e, sanati, seguirlo? Il Signore illumini gli occhi del nostro cuore «perché possiamo comprendere aquale speranza ci ha chiamati» e ci doni la gioia e la forza di percorrere, dietro a lui, la via che a talesperanza conduce.

Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità e, perché possiamo ottenere ciòche prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi.