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COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO 1. ALLE BASI DEL COMPORTAMENTO: PERSONALITA’ E DIFFERENZE INDIVIDUALI 3. MOTIVAZIONE 4. EMOZIONI, STRESS E BENESSARE ORGANIZZATIVO 5. GRUPPI 6. DECISIONI 8. CONFLITTI 10. LEADERSHIP 1. ALLE BASI DEL COMPORTAMENTO: PERSONALITA’ E DIFFERENZE INDIVIDUALI 1. Determinanti e conseguenze del comportamento individuale: un modello base 2. La personalità 3. Tratti e fattori della personalità 4. La personalità i n ambito organizzativo 1. Determinanti e conseguenze del comportamento individuale: un modello di base La complessità della realtà non è facile da spiegare e da schematizzare. Il comportamento individuale è azionato dall‟interazione delle caratteristiche dell‟individuo e dell‟ambiente. L‟ambiente, interagendo con le caratteristiche dell‟ individuo, genera il comportamento. Bisogna notare come un individuo possa apprendere dal proprio comportamento e dai suoi effetti, orientando nuovamente le sue caratteristiche individuali, quali atteggiamenti, valori, motivazioni e successivamente come il comportamento possa influenzare e cambiare l‟ambiente esterno. - AMBIENTE: altri individui, eventi, oggetti - INDIVIDUO: ereditarietà, conoscenze, atteggiamenti e valori, capacità, bisogni, personalità - COMPORTAMENTO: ogni reazione e visibile ( espressioni verbali e non verbali) - CONSEGUENZE: produttività, conflitti, reazioni altrui, rinforzi. 2. La personalità Usiamo il termine personalità nel senso vero del termine e quindi utilizzato per indicare l‟insieme relativamente stabile delle caratteristiche psicologiche di una persona, dunque un modello duraturo di caratteristiche che definiscono l‟unicità di una persona e che influenzano il modo in cui interagisce con le persone e l‟ambiente circostante. Prospettive teoriche sulla personalità: A. prospettiva genetica, B. prospettiva cognitiva: socializzazione e apprendimento C. prospettiva evoluzionista La PROSPETTIVA GENETIVA nasce dal concetto che la personalità è ereditaria, quindi genetica. La PROSPETTIVA COGNITIVA gli studiosi sostengono che niente è innato e che tutto è appreso. Sicuramente noi nasciamo con un carattere genetico, che rappresenta le fondamenta della personalità. Successivamente però siamo esposti a processi di socializzazione e apprendimento che forgiano il carattere, il temperamento e la personalità dell‟individuo. La socializzazione è un processo attraverso cui un individuo impara e acquisisce valori, opinioni, accettando comportamenti legati ad una cultura o società o organizzazione o gruppo. L‟apprendimento avviene nel momento in cui all‟interno del comportamento, si ha un cambiamento potenziale o relativamente permanente, attribuibile all‟esperienza. Si apprende quando, davanti allo stesso stimolo ci si comporta in modo diverso. Apprendimento e comportamento sono concetti diversi: - il comportamento non assicura sempre che un individuo abbia appreso - apprendimento non assicura che avvenga sempre un cambiamento nel comportamento.

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COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO

1. ALLE BASI DEL COMPORTAMENTO: PERSONALITA’ E DIFFERENZE INDIVIDUALI

3. MOTIVAZIONE

4. EMOZIONI, STRESS E BENESSARE ORGANIZZATIVO

5. GRUPPI

6. DECISIONI

8. CONFLITTI

10. LEADERSHIP

1. ALLE BASI DEL COMPORTAMENTO: PERSONALITA’ E DIFFERENZE INDIVIDUALI

1. Determinanti e conseguenze del comportamento individuale: un modello base

2. La personalità

3. Tratti e fattori della personalità

4. La personalità i n ambito organizzativo

1. Determinanti e conseguenze del comportamento individuale: un modello di base

La complessità della realtà non è facile da spiegare e da schematizzare. Il comportamento individuale è azionato

dall‟interazione delle caratteristiche dell‟individuo e dell‟ambiente. L‟ambiente, interagendo con le caratteristiche dell‟

individuo, genera il comportamento. Bisogna notare come un individuo possa apprendere dal proprio comportamento e

dai suoi effetti, orientando nuovamente le sue caratteristiche individuali, quali atteggiamenti, valori, motivazioni e

successivamente come il comportamento possa influenzare e cambiare l‟ambiente esterno.

- AMBIENTE: altri individui, eventi, oggetti

- INDIVIDUO: ereditarietà, conoscenze, atteggiamenti e valori, capacità, bisogni, personalità

- COMPORTAMENTO: ogni reazione e visibile ( espressioni verbali e non verbali)

- CONSEGUENZE: produttività, conflitti, reazioni altrui, rinforzi.

2. La personalità

Usiamo il termine personalità nel senso vero del termine e quindi utilizzato per indicare l‟insieme relativamente stabile

delle caratteristiche psicologiche di una persona, dunque un modello duraturo di caratteristiche che definiscono l‟unicità

di una persona e che influenzano il modo in cui interagisce con le persone e l‟ambiente circostante.

Prospettive teoriche sulla personalità:

A. prospettiva genetica,

B. prospettiva cognitiva: socializzazione e apprendimento

C. prospettiva evoluzionista

La PROSPETTIVA GENETIVA nasce dal concetto che la personalità è ereditaria, quindi genetica.

La PROSPETTIVA COGNITIVA gli studiosi sostengono che niente è innato e che tutto è appreso. Sicuramente noi

nasciamo con un carattere genetico, che rappresenta le fondamenta della personalità. Successivamente però siamo

esposti a processi di socializzazione e apprendimento che forgiano il carattere, il temperamento e la personalità

dell‟individuo. La socializzazione è un processo attraverso cui un individuo impara e acquisisce valori, opinioni,

accettando comportamenti legati ad una cultura o società o organizzazione o gruppo. L‟apprendimento avviene nel

momento in cui all‟interno del comportamento, si ha un cambiamento potenziale o relativamente permanente,

attribuibile all‟esperienza. Si apprende quando, davanti allo stesso stimolo ci si comporta in modo diverso.

Apprendimento e comportamento sono concetti diversi:

- il comportamento non assicura sempre che un individuo abbia appreso

- apprendimento non assicura che avvenga sempre un cambiamento nel comportamento.

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Un approccio per capire l‟apprendimento è il modello del condizionamento (pavlov) che nel suo esperimento

condizionò un cane associando il suono della campanella al momento di sfamarsi.

All‟interno della prospettiva cognitiva, vi è la TEORIA DEI RINFORZI. In sostanza è una teoria che si impiega per

descrivere e comprendere situazioni nelle quali il comportamento è influenzato dalla conseguenze. Questa teoria si

focalizza più sulle conseguenze delle risposte che sugli stimoli. Possiamo essere consapevoli di alcune conseguenze, ma

non di tutte. Le conseguenze sono sempre collegate ai comportamenti. Esse possono verificarsi in diversi modi che

condizionano sia la velocità di apprendimento sia quanto il comportamento perduri al cambiamento.

Sempre all‟interno della prospettiva cognitiva, c‟è la TEORIA DELL‟APPRENDIMENTO SOCIALE (O VICARIO),

ossia gli individui possono imparare anche osservando e imitando gli altri modificando così il proprio comportamento.

Questo apprendimento è detto vicario. Coinvolge il pensiero, le intenzioni, la definizione di obiettivi, il ragionamento e

il prendere decisioni.

Sono 4 le condizioni necessarie per l‟apprendimento vicario:

1. occorre avare una ragione per prestare attenzione al modello comportamentale o allo stimolo

2. è necessario memorizzare un discreto numero di informazioni per impegnarsi a seguire il modello

3. è indispensabile possedere le capacità necessarie per riprodurre i comportamenti

4. deve esistere elemento di rinforzo o motivazione e deve esserci sensazione di un riconoscimento

LA PROSPETTIVA EVOLUZIONISTA teorizza che la personalità è il prodotto congiunto di geni e ambiente, che si

sono modificati e adattati nel corso della storia. L‟apprendimento avviene perché innescato da un meccanismo e visto

che non può verificarsi in sua assenza, si costata che è il meccanismo stesso dell‟apprendimento a essere non appreso e

quindi innato.

3. Tratti e fattori della personalità.

I tratti di personalità sono specifiche caratteristiche della psiche. Si tratta di tendenze personali a livello emotivo o

comportamentale in un preciso modo. Considerando gli studi di Allport e Odbert, partendo da una lista di oltre 4.000

parole e termini per identificare la personalità, Cattel è riuscito a individuare 12 fattori che sono alla base del test di

personalità da lui creato, il questionario 16PF. Ci sono stati altri studi che sono confluiti tutti nell‟identificazione del

BIG FIVE, ossia i cinque macro fattori della personalità.

NEVROTICISMO: valuta l‟adattamento in relazione all‟instabilità emotiva, identifica individui predisposti a stress

psicologici, idee non realistiche, desideri o impulsi eccessivi e risposte di disattamento.

ESTROVERSIONE: valuta le qualità e l‟intensità dei rapporti interpersonali, il livello di attività, il bisogno di stimoli,

la capacità di provare gioia.

APERTURA: valuta la ricerca proattiva e apprezza l‟esperienza spontanea, la tolleranza e il piacere di esplorare ciò che

non è familiare.

AMABILITA’: valuta le qualità degli orientamenti interpersonali in una serie di pensieri, sentimenti e azioni che vanno

dalla compassione all‟antagonismo

COSCENZIOSITA‟: valuta il grado di organizzazione delle persone, quanto sono perseveranti. Contrapponne le

persone sicure ed esigenti a quelle trasandate ed indolenti.

PUNTEGGIO + ALTO SCALE DEI TRATTI PUNTEGGIO + BASSO

preoccupato,nervoso, emotivo,

insicuro,inadeguato, ipocondriaco NEVROTICISMO

calmo rilassato, non emotivo, sicuro,

soddisfatto

socievole, attivo, loquace, interessato alle

persone,ottimista, ama divertirsi, affettuoso ESTROVERSIONE

riservato, sobrio, distaccato, impegnato nel

dovere, chiuso

curioso, ampi interessi, creativo, orginale,

anticonformista APERTURA

conformista, realista, pochi interessi, non

creativo

gentile, fiducioso, disponibile, indugentem

ingenuo e e leale AMABILITA'

cinico, rude, sospettoso, non collaborativo,

vendicativo, irritabile

organizzato, affidabile, lavoratore, puntuale,

ordinato, ambizioso COSCIENZIOSITA'

privi di scopo, infaffidabile, pigro, trascurato,

negligente, volontà debole

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Tratti e orientamento al lavoro: affettività positiva e negativa

Affettività e negatività sono due tratti generali che possono esprimere orientamento nell‟individuo nei confronti del

proprio lavoro.

- AFFETTIVITA’ P: forte/positiva consapevolezza del proprio star bene, attivi, coinvolti in attività piacevoli

- AFFETTIVITA’ N: spenti, accidiosi, indolenti, simile al fattore nevroticismo

Nota bene: le ricerche questi due tratti sono indipendenti, quindi non esistono come estremi di un continuum. Essendo

indipendenti, una persona può possedere alto/basso grado di affettività sia positiva che negativa

4. La personalità in ambito organizzativo

La personalità è elemento chiave per comprendere l‟adattamento al lavoro e alla carriera e all‟orientamento al problem

solving, alla decisioni, alla leadership e infine al potere. Inoltre è un fattore importante nelle dinamiche motivazionali

individuali, di gruppo e nella gestione dei conflitti interpersonali. L’impatto della personalità sull’azienda è

analizzabile secondo la sequenza ATTRAZIONE – SELEZIONE – ATTRITO. Secondo questo approccio le

persone le persone sono attratte e tendono a selezionare le situazioni in cui vogliono essere coinvolte. L‟organizzazione

attrae persone simili ed esclude quelle estranee. Nelle micro organizzazione di un gruppo, la riduzione delle differenze

individuali può portare a fenomeni di groupthink, mentre a livello di macro organizzazione può generare culture

monolitiche e resistenti al cambiamento.

MANIFESTAZINI DELLA PERSONALITA‟: LA PROSPETTIVA SITUAZIONE

Quando è più probabile che la personalità di manifesti e quando diventa il principale motore del comportamento?La

personalità diventa meno determinante nel comportamento nelle situazioni altamente strutturate( parata militare). Il

ruolo della personalità nel comportamento è molto più evidente nelle situazioni deboli, ossia poco strutturate, in cui le

caratteristiche della personalità diventano una più forte spiegazione del comportamento.( prove/concerto). Per

individuare una personalità, bisogna allentare il controllo, le aspettative e dare ampio grado di libertà

PERSONALITA‟ E DATTAMENTO ALLA VITA LAVORATIVA E ORGANIZZATIVA

Premesso che gli individui si adattavano alle organizzazioni e viceversa, la socializzazione e la personalità giocano un

ruolo importante su come una persona lavora e sui livelli di soddisfazione. Un modello che affronta queste tematiche è

quello degli orientamenti organizzativi della persona. Da questa teoria nascono 3 possibili profili:

1. istituzionalizzato (forte impegno, forte appartenenza, cerca riconoscimenti e avanzamenti, bassa tolleranza per

ambiguità, rispetta la gerarchia, enfatizza gli obiettivi organizzativi,

2. professionista ( si identifica col suo lavoro, percepisce autorità con esercizio irrazionale, non è disposto a

compromessi organizzativi, ricerca riconoscimento di altri professionisti, vuole far bene)

3. indifferente ( lavora per lo stipendio, considera il lavoro non importante della sua vita, può anche svolgerlo bene

ma senza provare coinvolgimento, separa il lavoro dagli aspetti più importanti della sua vita)

LOCUS OF CONTROL E CONCETTO DI SE

E‟ una dimensione di personalità che influenza l‟opinione dell‟individuo circa la localizzazione dei fattori interni ed

esterni che determinano il suo comportamento. Locus of control interno credono di poter avere un controllo sugli eventi

della propria vita e che sentono con sforzi impegno e capacità possono determinare quanto accade loro. Locus of control

esterno, credono di non aver alcun controllo e credono che gli eventi siano determinati da fattori esterni come la fortuna,

la sorte, la casualità, l‟influenza di persone potenti.

MACHIAVELISMO

Gli individui machiavellici hanno un elevata autostima e fiducia in se stessi e agiscono sempre nel proprio interesse.

Sono individuati come persone fredde e calcolatrici, approfittatori e stringono alleanze che persone di potere. Usano

falso ed esagerati elogi per manipolare gli altri.

AUTOVALUTAZIONE E CONCETTO DI SE.

Quando una persona entra in un organismo porta all‟interno tutte le sue caratteristiche personali: motivazioni, emozioni,

conoscenze, intelligenza e carattere. Noi siamo in grado di valutarci? La core-self-evaluation può aiutarci a rispondere a

questa domanda. Questo processo considera: conoscenza di se stessi, autostima, stabilità emotiva, senso di autoefficacia.

Tanto pià si avrà una elevata CSE, tanto più si tenderà ad avare maggior autostima, ecc.

LE DIMENSIONI DI MYERS-BRIGGS

Questo modello è basato su un sistema di preferenze individuate in una relazione a dimensioni bipolari, che si

interscambiano in modo dinamico, facendo scaturire modo di pensare, di interessi, di agire, motivazioni.

Myers –Briggs individuano 4 chiavi di preferenze individuali:

1. SENSAZIONE-INTUIZIONE (usano le informazioni)

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2. PENSIERO- SENTIMENTO (prendono decisioni)

3. INTROVERSIONE-ESTROVERSIONE (usano la loro energia)

4. PERCEZIONE.GIUDIZIO ( percepiscono i giudizi)

Ogni tipo di preferenza individuale rappresenta due possibilità opposte. Sensazione (raccolgono informazioni

sistematicamente, precise, pragmatiche). Intuizione ( ispirazione del momento, no ripetitività no rountine). Pensiero

(ricercano verità generali, fatti obiettivi, non sono emotive). Sentimento (cercano il benessere, l‟armonia individuale,

amano compiacere altri persone. Introversione (ricevono energia dall‟interno,valutano con attenzione le situazioni.

Estroversione ( ricevono energia dall‟esterno e la dirigono verso l‟esterno, no attività lente, si varietà e azione).

Percezione( si adatta al cambiamento, gradisce nuove idee, può lasciare problemi in sospeso. Giudizio (tende a

pianificare il lavoro e a seguirlo piano.

Diverse finalità del modello: analisi degli stili di comunicazione, selezione del personale, miglioramento processi.

Inoltre viene definito anche la reciprocità degli opposti, ossia ognuno ha bisogno del suo opposto per completarsi e per

l‟equilibrio della relazione che si sta intrattenendo.

3. MOTIVAZIONE

1. Motivazione, capacità e prestazione

2. Le teorie della motivazione: contenuto e processo

3. Le teorie del contenuto

4. Le teorie del processo

1. MOTIVAZIONE, CAPACITA’ E PRESTAZIONE.

Perché due project manager, con stesse competenze, stesso team, stessi tempi e costi, possono raggiungere risultati

differenti? La risposta è la motivazione.

Esempio tennis. Questo esempio ci permette di considerare insieme i due fattori della performance che sono capacità e

motivazione, che prese singolarmente non sono sufficienti per raggiungere alti livelli di prestazione desiderata.

Performance = motivazione x capacità.

La performance, motivazione e capacità sono fattori collegati. Un ruolo determinante nel determinare una prestazione è

svolto dal contesto, ossia l‟insieme di fattori situazionali che costituiscono l‟ambiente e definiscono le condizioni

all‟interno nei quali l‟attività si svolge.

Ascisse (motivazione bassa>alta). Ordinata (performance bassa>alta)

COSA SI INTENDE PER PRESTAZIONE.

Per prestazione si intende il risultato di uno sforzo fisico o mentale. Le componenti della prestazione o performance

fanno riferimento al task, al contesto e all‟etica.

- TASK: si tratta di attività richieste per lo svolgimento della propria mansione e del proprio lavoro (archiv.)

- CONTESTO: si tratta di comportamenti che vanno oltre lo svolgimento della propria mansione e si riferiscono

alle azioni che aumentano l‟efficacia organizzativa, migliorano il clima lavorativo e contribuiscono al

raggiungimento degli obiettivi. (supporto del libraio in alcune attività extra)

- ETICA: la dimensione dell‟etica della prestazione si riferisce al fare le cose eticamente corrette. ( corruz)

COSA SI INTENDE PER CAPACITA‟

Per capacità si intende l‟insieme delle caratteristiche dell‟intelletto, delle abilità, del livello delle conseguenze e del

grado di utilizzo della tecnologia nello svolgimento di una certa attività. La performance è multidimensionale.

Le capacità possono essere innate o apprese, se innate rappresentano un patrimonio da sviluppare. Possono essere

sepolte per anni, sono indicatori di potenziale, che se non attivate nulla servono.

COSA SI INTENDE PER MOTIVAZIONE.

Storia: primi studi: filosofi greci che hanno scritto su edonismo e ricerca del piacere

- 700/800: Bentham e Mill: gli individui tendono a compiere azioni per motivi di piacere e soddisfazione.

Trascurano il fatto che si possono o si devono svolgere attività non piacevoli. >

- Fine 800: Si arriva alla teoria degli istinti ma trascura l‟effetto dell‟apprendimento

- 1920: teoria dei rinforzi: qui le origini della motivazione sono ricondotte e ricercate nel passato, nell‟esperienza

passata e nella capacità di apprendimento.

- 1940: con il contributo delle teorie cognitive, integrano la visione del passato con una orientata al futuro. La

spinta ad agire è influenzata dalla volontaà di soddisfare alcuni bisogni e obiettivi futuri.

Le definizioni di motivazione in letteratura sono numerose e diverse. Nel caos di definizioni appena descritto, il termine

motivazione ha assunto comunque almeno due connotazioni.

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1^ connotazione di tipo manageriale:la motivazione è vista come un‟attività svolta a stimolare negli individui un

comportamento tale da produrre effetti positivi, i risultati

2^ connotazione di tipo psicologico: fa riferimento allo stato mentale in relazione alla sua origine, alla persistenza,

all‟intensità e al fine di un determinato comportamento.

Nel libro per motivazione si intende l‟insieme dei motivi che ci spingono ad agire, che sono in relazione a diversi

obiettivi e interessi e che sono guidati da processi cognitivi ed emotivi.

Il processo motivazionale parte da uno stato interiore di non equilibrio, originato da una mancanza, accompagnato da un

senso di tensione e attesa. Seguono comportamenti atti a ricercar mezzi e strumenti per soddisfare il bisogno. Raggiunta

la meta e riscontrando il grado di soddisfazione, seguono rivalutazioni e una successiva modifica dello stato interiore di

non equilibrio.

Elementi necessari alla motivazione:

- Per svolgere un compito occorrono capacità specifiche e differenti

- Un individuo può essere motivato nello svolgimento di alcune attività, altre meno

- Per alcune componenti della prestazione, possono essere necessari alti livelli di tecnologia

- Le capacità tecnologiche e umane possono essere intercambiabili.

2. Teorie della motivazione: contenuto e processo.

Le teorie del contenuto sottolineano l‟importanza delle cause che originano il comportamento, spiegano dunque gli

aspetti del comportamento medesimo, questo in relazione ai bisogni umani e ai fattori specifici che lo muovono.

Le teorie del processo descrivono e spiegano il modo in cui i comportamenti cambiano e come un individuo inizia ad

agire in modo differente.

TEORIA DEL CONTENUTO TEORIA DEL PROCESSO

Quali le motivazioni che influenzano la motivazione Quali i processi decisionali sottostanti la motivazione?

A.Gerarchia dei bisogni A. Rinforzi

B. Erc B. Goal setting

C. Fattori duali C. Aspettativa - valenza

D. achievement - potere - affiliazione D. Giustizia organizzativa

3. Le teorie del contenuto

A. Gerarchia dei bisogni: la motivazione si sviluppa in sequenza secondo una scala gerarchica di cinque livelli

predefini di bisogni.

Fisiologici, bisogni fondamentali per sopravvivere ( fame, sete, sonno, sesso)

Sicurezza: riflettono il desiderio di sicurezza ( protezione da pericoli, minacce, privazioni)

Appartenenza: desiderio di amore, affetto e comprensione ( socialità, affetto, accettazione, amore, gruppi sociali)

Stima: di dividono in autostima ed etero stima (fiducia in se stessi, indipendenza/status, riconoscimento)

Autorealizzazione: desiderio di realizzare la proprie potenzialità (sviluppo potenzialità, sviluppo se stessi)

B. Erc, ossia bisogni esistenziali, relazionali e di crescita: Partendo dal lavoro di Maslow, altri studiosi hanno provato

a identificare un numero inferiori di livelli. Alderfer li ricuce a tre, definendoli esistenziali, relazionali e di crescita.

ESISTENZIALI: racchiudono i bisogni fisiologici e di sicurezza.

RELAZIONALI: quelli di appartenenza

CRESCITA: quelli di stima e di autorealizzazione.

L‟innovazione principale è il concetto di continuum tra diversi livelli, versus la gerarchia maslowiana, che ha integrato

il meccanismo di Maslow della soddisfazione – progressione con quello della frustrazione – regressione.

C. Fattori duali: Gli studi di Herzberg e colleghi hanno sostenuto che i fattori che influenza gli individui sul lavoro

sono di due tipi: igienici e motivatori. Il loro programma prende avvio da due ipotesi di fondo:

- gli individui in quanto animali tendono a evitare il dolore fisico e le privazioni (principio edonistico)

- gli individui in quanto esseri umani tendono a crescere psicologicamente

Fattori igienici si riferiscono alle modalità si supervisione, alle relazioni interpersonali, all‟ambiente fisico, al livello

retributivo, alle condizioni fisiche e a quelli di sicurezza.

Fattori motivatori sono l‟autonomia, il contenuto del lavoro, il raggiungimento degli obiettivi, il riconoscimento dei

risultati raggiunti, livello di responsabilità, il contenuto del lavoro.

Punti deboli:

- Distorsione metodologica ( rif. Teoria dell‟attribuzione causale)

- Incoerenza con le altre ricerche( altri studi non avevano dato gli stessi risultati, evitando errore sperimentale

- Differenze individuali: si trascura le differenze individuali nella struttura della personalità

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D. successo – potere – affiliazione

McClelland, questo modello si basa sui motives( motivi-moventi) intesi come reti di emozioni disposte secondo una

gerarchia di intensità e importanza.. Essi vengono appresi, sono quindi aspetti della personalità che si sviluppano con

essa. Esistono 3 tipi di motives:

successo-riuscita (need for achievement); potere (need for power); affiliazione ( need for affilation)

I livelli di motivazioni legati ai tre bisogni sono misurabili con un test di proiezioni psicologica ( TAT).

1. SUCCESSO – RIUSCITA: importanza attribuita al successo. Intensità del movente è legata alle prime

esperienze socializzanti. Quando il bisogno di achievement è generalizzato, il soeggetto cercherà il successo in

modo indifferenziato e in tutti i campi. In questo caso si tende a preferire situazioni che attivano il bisogno di

successo. La situazione deve essere impegnativa ma non impossibile, ossia a rischio intermedio. Altra spinta è

quelle di evitare il fallimento.

2. POTERE: l‟interesse per il potere e le sue implicazioni sul comportamento organizzativo sono la naturale

conseguenza del lavoro sull‟achievement. Spinta verso il potere. Il bisogno di potere si può manifestare

secondo tre modalità. La prima consiste in azioni forti come l‟aggressione, l‟assistenza, il controllo, la

persuasione o il tentativo di impressionare gli altri. La seconda in azioni che provocano forte sensazione negli

altri, indipendentemente dalla forza dell‟atto stesso. La terza modalità è legata alla reputazione e può tradursi in

azioni dirette al suo accrescimento o al suo mantenimento. Il livello di potere può avere manifestazioni

personalizzate o socializzate. Potere personalizzato: rapporto diretto con l‟avversario. Gli individui di questo

tipo preferiscono situazioni caratterizzate da aperta competizione. Potere socializzato si manifesta in modo

inpersonale. Pensano di esercitare il proprio potere in funzione di un bene altrui. Pensano che ogni vittoria porta

ad una sconfitta. Gli individui con queste caratteristiche sono denominati leader motive pattern.

3. AFFILIAZIONE il bisogno di affiliazione è collegato al bisogno di socialità/appartenenza di Maslow, ossia al

bisogno di interazione sociale e a quello di stringere relazioni con altri.

4. Le teorie del processo

C‟è un assunto di base. I bisogni sono path-dependent ossia influenzati dalla storia e dalle esperienze passate. Secondo

questa prospettiva le persone raggruppano stimoli e formano concetti al fine di dare senso e significato al loro specifico

ambiente vissuto. I bisogni sono visti come manifestazioni di operazioni cognitive che ler persone effettuano. Fattori

come esperienza, memoria, passato, giudizio di valore e aspettative future sono variabili delle teorie del processo che

hanno come base la teoria delle decisioni e la teoria cognitivista e fanno particolare attenzione alle decisioni riguardanti

la motivazione a partecipare e la motivazione a produrre.

- Motivazione a partecipare ( entrare rimanere uscire) è funzione delle alternative organizzative percepite come

raggiungibili. Motivazione a produrre ( livello di contributo da fornire) è funzione dell‟equità percepita tra

incentivi ottenibili e contributi richiesti

A. Rinforzi

Questa teoria sancisce che il comportamento che produce conseguenze positive tende a essere ripetuto, mentre quello

che ne produce di negative tende ad essere interrotto. Ne consegue che è possibile influenzare il comportamento

mediante uno schema di incentivazione-disincentivazione. La prima è attuabile attraverso rinforzi positivi e negativi,

la seconda con punizioni e l‟estinzione.

- Punizione e rinforzo negativo > approcci con effetti nel breve termine

- Rinforzo positivo > ruolo chiave nella motivazione, alimenta la crescita e lo sviluppo di lungo periodo

Altro aspetto importante della teoria dei rinforzi: distinzione tra motivazione intrinseca (stimolo ad agire

interiorizzazione del valore dei compiti sia gratificante) ed estrinseca (aumenti retributivi, benefit, elogi)

B. Goal setting

Semplice premessa. La prestazione è causata dall‟intenzione personale a fornire la prestazione agendo. L‟intenzione di

agire è un fattore determinante. Conseguenze: chi si pone obiettivi ambiziosi avrà una prestazione migliore. Chi ha

obiettivi chiari, avrà una prestazione migliore.

IDEE DI BASE DEL GOAL SETTING.

- Esiste una relazione lineare positiva tra difficoltà e performance. Obiettivi difficili portano a risultati

migliori. Si è arrivati a questa conclusione grazie ad approfondite ricerche svolte. Questa ipotesi non è valida se

gli obiettivi sono eccessivamente difficili e se la risorsa non ha le competenze necessarie

- Obiettivi specifici portano ad una prestazione migliore degli obiettivi generici

- La partecipazione è legata alla prestazione. Uno studio effettuato ha dimostrato che la prestazione è

positivamente legata alla specificità degli obiettivi, mentre la partecipazione alla fissazione degli stessi non fa

registrare incrementi di performance. La partecipazione non opera sulla performance, ma agisce attraverso il

rapporto, quindi coinvolgimento e impegno, che lega le persone agli obiettivi. Rimane ovvio che se le persone

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hanno reale possibilità di scelta sul modo di raggiungere obiettivi, questo aumenta il coinvolgimento, e quindi

l‟impegno. Il processo di partecipazione non può limitarsi a coinvolgere i collaboratori nella selezione degli

obiettivi, ma deve coinvolgere altri aspetti del lavoro. La partecipazione deve essere infine effettiva e quindi le

persone devono avere realmente possibilità di scelta per compiere i compiti, ovvio è che devono disporre di

tutte le informazioni necessarie.

- È necessario il feedback su rapporto prestazioni-obiettivi

CRITICHE. Non tiene in considerazione le differenze individuali ( autostima) e la complessità degli obiettivi.

C. Aspetti valenza

Premessa. Gli individui indirizzano i propri sforzi verso quelle attività che possono portare all‟ottenimento dei risultati

desiderabili. ( esempio venditore di automobili, cercare continuamente clienti/aspettare che i clienti entrino in salone. Ci

sono anche altri aspetti oltre al successo o fallimento, come l‟iter di carriere, rapporti con colleghi, soddisfazione

personale.

ASPETTATIVA è la stima o il giudizio sulle probabilità che un determinato evento si verifichi. Esistono due tipi di

aspettativa: sforzo-prestazione e prestazione risultato. Successivamente si arriva al legame prestazione-riconpensa.

Ognuno attribuisce a ogni conseguenza importanza diversa. Questa preferenza viene nominata VALENZA e si intende

per valenza una valutazione personale sulla soddisfazione o non che un determinato risultato può generare.

PRINCIPI CHIAVE

- Le persone tendono a intraprendere il percorso più rapido e indiretto per raggiungere l‟obiettivo valorizzato

- La valenza dell‟obiettivo è esterna al processo di raggiungimento dell‟obiettivo medesimo

- Le persone compiono zioni motivate dalla valenza data agli obiettivi e non per l‟azione di se

CRITICHE: non considera la motivazione intrinseca ( ossia persone motivate dal lavoro in quanto tale)

D. Giustizia organizzativa

Si basa sulle percezioni individuali di quanto si venga trattati in modo equo e giusto in ambito lavorativo, e dobbiamo

distinguere tra giustizia distributiva e procedurale.

Giustizia distributiva: si riferisce a quando le persone credono di essere trattate in modo equo in relazione ai risultati del

lavoro, all‟impegno e agli sforzi e relativo guadagno.

Fa riferimento alla teoria delle equità> fattori chiave: imput, risultati, riferimento.

Esistono diverse modalità per ristabilire equità:

- A. modificare gli input, ossia diminuire l‟impegno

- B. modificare gli output, cercare aumento retributivo, maggior potere, maggiori privilegi

- C. razionalizzare input e output con un processo psicologico chiamato task enhancement, convincendosi del

fatto che il proprio lavoro ha un importanza maggiore di quanto egli stesso creda e attraverso questa distorsione

potrebbe modificare il giudizio riguardo la propria attività

- D. intraprendere azioni nei confronti del riferimento; E. cambiare il riferimento; F. arrendersi

Giustizia procedurale: si riferisce a quanto le persone credono di essere trattate equamente in relazione a come vengono

prese le decisioni circa le materie e i temi che influenzano la loro vita lavorativa

Condizioni particolari affinchè si possa sviluppare giustizia procedurale:

- A. Controllo sul processo, ossia la possibilità di evidenziare la propria posizione entro le decisioni

- B. Controllo decisionale, ossia il grado di influenza che si può avere nel processo decisionale

- C. Giustizia relaz., la ratio del processo decisionale venga spiegato e che sia trattati con rispetto e dignità

4. EMOZIONI, STRESS E BENESSARE ORGANIZZATIVO

1. Le emozioni

2. Lo stress

3. Le strategie di coping

4. Le fonti di stress

5. Indicatori di benessere organizzativo

6. Differenze individuali e stress

1. Le emozioni

Al contrario del tema delle motivazioni sul lavoro, quello delle emozioni è stato affrontato solo di recente. E‟ molto

difficile misurare, calcolare, controllare le emozioni, e soprattutto sono difficili da riconoscere.

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Recentemente il tema delle emozioni è stato analizzato in modo sistematico da Goleman, Weiss e Cropanzano, Ashforth

e Humpherey. Un modello interessante è stato proposto da Plutchick, in cui assoda che esistono emozioni primarie, che

combinandosi tra loro generano altre emozioni più complesse, miste.

- Emozioni primarie: rabbia, disgusto, tristessa, sorpresa, paura, accettazione, gioia, anticipazione

- Emozioni complesse: contempt, rimorso, disappunto, awe, sottomissione, amore, ottimismo, aggressività.

Le emozioni sono considerate discrepanze rispetto ai piani, alle mete e come precursori di sistemi motivazionali

complessi e fondamentali. Esse sono combinazioni complesse, relativamente stabili, che scaturiscono da combinazioni e

trasformazioni di affetti e rappresentazioni sul piano del comportamento. Il modo in cui il nostro lavoro della mente

determina pensieri e azioni da intraprendere è influenzato dalle emozioni.

EMOZIONI SUL LAVORO E LAVORO EMOZIONALE.

Emozioni sul lavoro: emergono nei contesti aziendali dalle interazioni interpersonali, dal sostegno nei processi di

costruzione di senso e possono determinare pozioni diverse nelle scelte e dinamiche organizzative. Grado di

manifestazione destrutturato e individuale, possono produrre comportamenti cooperativi o competitivi.

Lavoro emozionale: il modo in cui i ruoli e i task organizzativi contengono e controllano gli schemi emotivi. Hoshshild

teorizza come le organizzazioni, attraverso sistemi di gestione del personale, costruiscono e sviluppano una realtà

sociale in cui i sentimenti diventano commodity finalizzate al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

2. Lo stress

È una condizione fisica o psicologica che insorge in una persona quando si trova ad affrontare situazioni che richiedono

risorse interne o esterne superiori a quelle che ritiene di avere. Diversi studi hanno dimostrato come essa diminuisca la

produttività e di conseguenza la competitività d‟impresa.

L‟AMBIENTE DELLO STRESS

AMBIENTE OGGETTIVO DIFFERENZE INDIVIDUALI

Sociale: lavoro, famiglia, comunità percezione di se, resistenza fisica

Fisico: rumore, inquinamento, clima locus of control, autostima,

competenze e abilità

VALUTAZIONE VALUTAZIONE

COGNITIVA PRIM. COGNITIVA SEC.

AMBIENTE PSICOLOGICO MANIFESTAZIONI DI STRESS

Percezioni e interpretazioni di fisiologiche

condizioni di lavoro psicologiche STRATEGIE DI COPING

Relazioni di lavoro comportamentali ricerca di informazioni

Fattori non lavorativi Azioni dirette

Reazioni psicologiche

STATO DI TENSIONE

Quando i fattori di stress vanno oltre le risorse personali, l‟individuo prova una stato di tensione, reagendo

negativamente. Vi sono diversi tipi di tensione:

- Tensione fisiologica, ossia i cambiamenti del corpo ( adrenalina, zucchero sangue aumenta, muscoli tesi)

- Tensione psicologiche, ossia emozioni pensieri e sentimenti

- Tensione comportamentale, le persono possono reagire in modo differente( fumo, bere, assenteismo)

- Burnout; risposta prolungata a fattori cronici di stress, 3 dimensioni ( esaurimento, cinismo e inefficacia)

3 Le strategie di coping

È un processo secondario di valutazione cognitiva, in cui si diventa consapevoli dello stato di stress. Due principali

funzioni di coping. La prima consiste nel tentare di cambiare la situazione o il suo comportamento per far diminuire o

annullare le tensioni di stress. La seconda è quella incentrata sulle emozioni e quindi sulla gestione delle reazioni

fisiologiche ed emotive, che non agisce sulle situazioni stressanti cercando di modificarle.

Le principali strategie di coping:

RICERCA DI INFORMAZIONI: è il tentativo di scoprire quali siano i fattori di stress e qual è la loro causa. L‟esito

sarà tanto più produttivo tanto più si riuscirà a eliminare il fattore incertezza, caratteristica dello stress.

AZIONI DIRETTE: possono essere di diverso tipo. Può lavorare più intensamente, a bere, farmaci, cambiare lavoro

REAZIONI PSICOLOGICHE: inazione e negare la situazione. Questi trucchi ti auto convincimento distorcono la realtà

e costituiscono modalità non autentiche di affrontare situazioni stressanti, generano ancora più stress.

4. Le fonti di stress

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Lo stress è il risultato della transazione e dell‟interazione fra persona e ambiente. I fattori stressanti ambientarli possono

trovarsi sia nell‟ambiente oggettivo sia in quello psicologico.

Fonti di stress sul lavoro: Vengono analizzati tre fattori di natura lavorativa. Tipo di occupazione, pressione di ruolo e

sfide e ostacoli.

Fonti di stress non inerenti il lavoro: fattori cronici ( seccature giornaliere o fastidi quotidiani). La solitudine e

assenza totale di supporto sociale. Il concreto aiuto da parte degli altri attenua lo stress, poiché le risorse sembrano

maggiori, le richieste ambientali possono essere soddisfatte e si riduce la possibilità di burnout

5. Indicatori di benessere organizzativo

Benessere e salute organizzativa si riferiscono a quelle condizioni presente in un‟organizzazione che stimolano,

mantengono e migliorano la salute e il benessere fisico, psicologico e sociale delle persone che vi lavorano.

Sempre più imprese investono in tal senso, favorisco questo approccio e monitorizzano l‟azienda attraverso degli

indicatori. Indicatori positivi attengono a tre livelli:

- Individuale, ossia soddisfazione, impegno, desiderio di recarsi al lavoro, partecipazione

- Di gruppo, ossia le relazioni interpersonali positive sono il senso di appartenenza

- livello organizzativo, credibilità e stima per il management e la percezione di successo dell‟impresa.

Indicatori negativi, sempre a tre livelli

- Individuale, ossia stati d‟animo, sentimenti e comportamenti

- Di gruppo, ossia l‟ostrancismo, il ridicolo, le maledicenze, l‟elusione

- livello organizzativo, ossia confusioni in termini di ruolo, venir meno a propositività/iniziativa, assenteismo

5. GRUPPI

1. Che cosa è un gruppo

2. I tipi di gruppo

3. Perché si formano i gruppi

4. Condizioni di efficacia del lavoro di gruppo

5. Fattori di contesto

6. Dinamiche e processi di gruppo

1. Che cosa è un gruppo

Lavorare in gruppo nella realtà è una delle attività più complesse e delicate all‟interno delle organizzazioni e spesso da

origine a conflitti e frustrazioni. Esserne consapevoli, come dice il testo, è già un buon punto di partenza.

Definizione di gruppo. È un insieme di individui che INTERAGISCONO TRA LORO IN MODO RECIPROCO sulla

base della condivisione di interessi e scopi comuni, caratteristiche e regole date, che sfanno sviluppare ruoli e relazioni

interne. Il gruppo esiste nel momento in cui questi individui definiscono se stessi come membri e quando la sua

esistenza è riconosciuta da almeno un altro individuo. Il team è una particolare forma di gruppo che di prassi a compiti,

ruoli determinati e alto impegno dei componenti, deve generare risultati.

Quali sono i fattori che fanno creare un gruppo?

- Aumento della necessità di creare ambienti di lavoro partecipativi

- Costituzione dei team based organization

- Aumento di imprese che si fondono o incorporazione

- Evoluzione e tecnologia ha permesso la formazione di team virtuali

- Il gruppo è una modalità di coordinamento dell‟azione collettiva impiegata per risolvere molte questioni.

Questo è un punto di vista macrosociale, es inquinamento e coordinamento internazionale.

Alcuni dicono che sia solo una moda manageriale con conseguenti malfunzionamenti ( depersonalizzazione,

pregiudizio, inerzia sociale, groupthink. Altri invece sostengono che gli esseri umani sono esseri di gruppo e che i

gruppi sono parte inevitabile dell‟esperienza umana. La relazione tra individui e gruppi è stata definitiva come il

problema dei problemi in quanto la domanda sottostante è se ci sia qualcosa di più della somma degli individui che

ne fanno parte.

2. I tipi di gruppo

GRUPPI PRIMARI. Prime esperienze di socializzazione, determinano valori, credenze e atteggiamenti. Gruppi di

persone con cui ci identifichiamo, anche senza esserne membri e dai quali siamo influenzati.

GRUPPI FORMALI. Nascono per iniziare, gestire e portare a termine un‟ attività con scopo definito.

GRUPPI INFORMALI. Nascono in risposta ai bisogni delle persone di appartenere e alla predisposizione naturale che

alcune persone provano in modo reciproco. Aggregazione volontaria per condividere interessi e valori. I gruppo

informali possono nascere nei luoghi di lavoro perché gli elementi desiderano stringere buone relazioni con gli altri.

Questi gruppi possono essere impiegati a favore dell‟organizzazione.

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3. Perché si formano i gruppi?

I gruppi si formano per molti motivi, possiamo comunque ricondurli a quattro determinanti:

- FATTORI INDIVIDUALI

- INTERESSI E OBIETTIVI

- POTENZIALE DI NFLUENZA

- OPPORTUNITA‟ DI RELAZIONE

FATTORI INDIVIDUALI INTERESSI ED OBIETTIVI

Condivisione di valori, atteggiamenti e credenze attività fisica che richiede cooperazione. Confronto

bisogni di sicurezza e affiliazione intellettuale. Protezione, attenzione amicizia

FORMAZIONE

GRUPPO

POTENZIALE DI INFLUENZA OPPORTUNITA' DI INTERAZIONE

potere negoziale prossimità fisica

influenza reciproca previsione di interazioni future

opportunità di team leadership

4. Condizioni di efficacia del lavoro di gruppo

Occorre analizzare le condizioni che determinano l‟efficacia del lavoro di gruppo, ossia i fattori classificabili in

funzione del grado di controllabilità.

- FATTORI DI CONTESTO, fuori controllo diretto del team

- DINAMICHE E PROCESSI DI GRUPPO, sotto il controllo del team

FATTORI DI CONTESTO DINAMICHE E PROCESSI DI GRUPPO

SETTORE Dimensioni

ciclo di vita del business ( + efficaci nei servizi) Struttura

personality intensive (vantaggio comp e persona) maturità EFFICACIA

ORGANIZZAZIONE Status e norme performance

cultura organizzativa e people management Team leaderiship atteggiamenti

SPONSORSHIP Relazioni di influenza comportamenti

Goal setting, risorse, comunicazione, visibilità Tendente attrattive - evitative

Nel dettaglio alcuni fattori

FOCUS SU FATTORI DI CONTESTO

SPONSORSHIP ( nei fattori di contesto):

- Goal setting: lo sponsor ha il diritto e dovere di fornire indicazioni generali per la definizione di obiettivi del

lavoro di gruppo e ciò in ragione del fatto che ha maggiori informazioni sulla strategia d‟impresa

- Risorse: lo sponsor deve aiutare il team nel reperimento di tutte le risorse, interne ed esterne, necessarie al buon

andamento del lavoro. Necessaria quando si scelgono gli elementi del team

- Comunicazione: lo sponsor deve preoccuparsi che l‟attività svolta dal team dia nota a tutta l‟organizzazione.

- Visibilità continua: lo sponsor deve dare visibilità nei confronti dell‟organizzazione di quello che il team fa

FOCUS SU DINAMICHE E PROCESSI DI GRUPPO

DIMENSIONI. Diade, triade, piccolo gruppo. Ottimale tra le 5>8 persone. Effetti che si producono al crescere del

gruppo: diminuiscono le opportunità di partecipare,diminuisce la coesione di gruppo, diminuisce la soddisfazione,

aumenta il grado di formalizzazione, gli effetti sulla performance di gruppo dipendono dalle caratteristiche del compito

STRUTTURA. È data dall‟insieme dei ruoli e delle funzioni e dalle forze che ne mangenono l‟organizzazione il

funzionamento. E‟ dinamica e mutevole. L‟efficacia di un gruppo dipende sia dalla corretta progettazione organizzativa

sia da un adeguato sviluppo di funzioni e ruoli sociali. Si possono verificare tensioni di ruolo e ci compone di tre fasi

principali: 1 emissione delle aspettative, 2 assunzione del ruolo, 3 comportamento

MATURITA‟ I gruppi attraverso stadi differenti, in elenco le principali fasi di un gruppo.

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ORIENTAMENTO CONFLITTUALITA' COESIONE STRUTTURAZIONE

bisogni di sicurezza valutazione azione comune consenso su obiettivi senso di appartenenza

appropriazione territorio censimento risorse interne followship spinta al riconoscimento gruppo

definizione scopi obiettivi tensioni gradimento reciproco gestione del potere vs organizza

definizione attività ostilità fiducia tolleranza e costruttività

definizione priorità resistenze regole e norme condivise gestione conflitti

definizione regole eventuali sottogruppi cooperazione flessibilità

incertezza/confusione sfida alla leadership standard raggiungimento obiettivi

leadership formale/informale illusione, dis e accettazione

FORMING STORMING NORMING PERFORMING

IMMATURITA' MATURITA'

STATUS E NORME

STATUS. Si intende la posizione relativa di una persona in un gruppo o in una società. È in funzione delle sue

caratteristiche ,delle sue qualità e dalla natura delle sue interazioni con gli altri e delle caratteristiche della situazione in

cui opera. I criteri più comuni sonno: titolo di studio, capacità personali, livello di responsabilità. Incoerenza di status si

manifesta quando i membri del gruppo attribuiscono uno status maggiore o superiore a quanto gli altri si ritengano.

NORME. Rappresentano uno strumento importante per conseguire controllo e prevedibilità di un gruppo. Le norme

sono aspettative di comportamento condivise e si riferiscono pertanto a come i membri devono comportarsi. Danno

maggiore o minore libertà ai componenti.

TEAM LEADERSHIP All‟interno di uno scenario e obiettivi spesso definiti da altri il team deve perseguire risultati non

completamente definiti a priori, operare in ambienti di incertezza e interagire con svariati fattori. Il ruolo del team leader

è legittimato dalla responsabilità che gli è stata assegnata. Si fonda su autorevolezza che deriva da competenze e

richiede uno stile di direzione orientato alle relazioni sociali.

Le caratteristiche più diffuse del team leader:

Ruoli interpersonali:

- Ruolo di liason, ossia link tra membri interni ed esterni al pro di ottenere informazioni e benevolenza

- Ruolo di leader, centrale per la gestione dei conflitti, creazione di clima di fiducia e motivazione

- Ruolo di figure head, ossia di rappresentante dell‟organizzazione in tutte le questioni formale

Ruoli informativi:

- ruolo di monitor, ossia di ricevente e collettore delle informazioni

- ruolo di disseminator, di trasmissione di informazioni vs organizzazione, efficacia del comunicare

- ruolo di spokesma, ossia di portavoce delle informazioni verso l‟ambiente esterno

Ruoli decisionali:

- ruolo di entrepreneur, ossia non decide la direzione ma può influenzarla

- ruolo di disturbance handler, ossia di gestore delle difficoltà che possono minacciare il lavoro del team

- ruolo di resource allocator, connesso alle azioni di gestione delle risorse

- ruolo di negotiator, verosimilmente una delle dimensioni centrali.

Intelligenza sociale:

- capacità di alimentare relazioni e di conservare amicizie, di stabilire legami personali

- l‟abilità di risolvere conflitti e di negoziare soluzioni

- l‟essere abili nell‟analisi sociale e quindi di individuare interessi, motivazioni ed emozioni negli altri

- capacità di organizzare gruppi e di riconoscere le proprie emozioni e di saperle gestire

RELAZIONI DI INFLUENZA. È un processo attraverso cui si cerca intenzionalmente di ottenere acquiescenza dagli

altri e mediante il quale il comportamento di una persona hanno un impatto sul comportamento di altre persone. Il

miglioramento e il peggioramento nella performance indotti dalla presenza altrui, fenomeni denominati di facilitazione e

inibizione sociale, dipendono dalla natura della performance richiesta e dalla risposta dei membri del team.

L‟influenza può portare negativamente al conformismo, all‟inerzia sociale. Positivamente alla cittadinanza

organizzativa.

TENDENZE ATTRATTIVE-EVITATATIVE. Le dinamiche e i processi di gruppo si caratterizzano per due tendenze

sottostanti. Una tendenza attrattiva verso il compito primario del gruppo. L‟altra evitativa del compito primario,

generata dalla formazione, presenta alcuni assunti di base che Bion ha elencato:

- dipendenza, per cui i membri del gruppo che pensano che debba essere soddisfatto ogni loro bisogno e che il

leader debba prendersi cura di loro

- attacco-fuga, per cui i membri del gruppo pensano che ci sia un nemico da cui fuggire o un ostacolo da evitare e

attendono direttive dal leader senza agire in autonomia

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- fatalismo, per cui i membri del gruppo pensano che in caso di difficoltà qualcosa accadrà per risolverla.

6. DECISIONI

1. Modelli decisionali

2. Gli errori da evitare

3. Stili decisionali e differenze individuali

4. Miti decisionali

5. Processi decisionali di gruppo

1. Modelli decisionali

I diversi modelli che permettono di analizzare i processi decisionali sono valutabili in termini di capacità di legare

risultati e obiettivi. I modelli sono 5 :

1. MODELLO RAZIONALE EMOTIVO

Il modello presuppone che coloro che decidono applichino una serie di criteri nazionali durante il processo decisionale,

anche quest‟ultimo considerato razionale. E‟a carattere normativo perché si basa sull‟osservazione di errori reali. Il

decisore tende a massimizzare i risultati e a ottimizzare il processo con razionalità assoluta.

Il processo: Identificare e definire il problema>ricercare soluzioni alternative>valutare ciascuna delle alternative

secondo criteri definiti> scegliere la soluzione ottimale>implementare la decisione.

Questo modello è applicabile solo: chiarezza del problema, alternative conosciute, preferenze chiare, preferenze

costanti, assenza di vincoli, massimizzazione del risultato atteso.

2. EURISTICO

Queste le parole chiave di questo modello: razionalità limitata e satisficing. Le decisioni vengono prese con razionalità

limitata e le abilità umane come sappiamo sono fallibili, limitate e l‟informazione non è mai completa. Lo si usa per

arrivare ad una decisione molto velocemente ed efficientemente. Fisseremo quindi una procedura o una best practice.

Quando esistono procedure o routing, non deve fare una lista di alternative, è sufficiente applicare la procedura. La

selezione è più rapida e le alternative sono minori. Una volta individuate le si confronteranno con un minimo di

parametri e criteri accettabili, optando la prima che soddisfi. Questo processo è il satisficing.

3. GARBAGE CAN

Il modello garbage can, ossia contenitore dei rifiuti considera la gestione delle decisioni multiple. È adatto nelle

organizzazioni che operano ad elevata incertezza in cui le preferenze individuali sono articolate. Difficile è inoltre

identificare e analizzare i problemi,trovare alternative ed esprimere giudizi di preferenza. Un‟ idea può essere

implementata senza che sia stata pensata intenzionalmente quale soluzione di problemi, oppure un problema può

continuare a esistere senza che venga affrontato pur esistendo idee per risolverlo. Si compone di 4 elementi:

1. i partecipanti al processo e le loro diverse priorità; 2. i problemi da risolvere; 3. le soluzioni da scegliere e da

applicare; 4 le opportunità di decisione.

4. CIBERNETICO

Alcune decisioni vengono prese in modo cibernetico, inducendo un comportamento automatico, di routine, basato sulla

teoria del condizionamento classico. Per decidere occorre adottare una strategia prova-errore e discernere tra i tipi di

conseguenze possibili. Si utilizza una tecnica valutativa. Quelle che funzionano vengono implementate e trattenute,

quelle no vengono espulse. Qui la scelta dei modelli è l‟imitazione di azioni di successo. Punti di forza di questo

processo sono i notevoli risparmi di energia cognitiva ma allo stesso tempo c‟è un limite sulla applicabilità a situazioni

decisionali che si ripetono con caratteristiche simili nel tempo.

5. INCONSCIO-INTUITIVO

Esistono decisioni guidate dall‟inconscio e dall‟istinto, che si prendono senza pensare troppo. L‟istinto può essere

ottima guida per situazioni per portano a scelte difficili ed in particolare quelle ad elevata complessità. In quest‟ultime è

consigliabile non riflettere molto, ma agire d‟istinto. Ciò è spiegabile dal fatto che nelle situazioni complesse, il cervello

riesce a mantenere una visione sistemica d‟insieme, prendendo velocemente in esame gli aspetti caratterizzanti e più

importanti. Non si tratta di affidarsi al caso, ma scelta dettata inconsciamente dall‟unione di esperienza passata,

conoscenza e comprensione della attuale situazione

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2. Gli errori da evitare nella selezione e definizione del problema

Quali sono gli errori nella selezione e nella definizione? La selezione e la definizione del problema sono elementi critici

del processo decisionale. Einstein usava dire che un problema senza soluzione è un problema mal impostato e che non si

possno risolvere i problemi con gli stessi schemi con cui li abbiamo creati.

Gli errori nella scelta del problema da affrontare e nella sua definizione nascono da diversi 11 fattori

1. Effettuiamo errori di disponibilità (usiamo informazioni che si ricordano, che sono più salienti e familiari

2. si possono compiere errori da ancoraggio ( facciamo stime partendo da punti di riferimenti, siamo ancorati)

3. compiamo errori di rappresentatività (consideriamo il singolo caso come rappresentativo di intera categoria)

4. i bias nelle nostre percezioni ci rendono consapevoli di alcuni problemi e non di altri.

5. la sequenza degli eventi influenza ciò che scegliamo di affrontare

6. i problemi che percepiamo come emergenze e quelli che possiamo risolvere hanno priorità

7. tendiamo ad essere iperattivi ( piuttosto che essere razionali, scegliamo l‟azione)

8. i problemi sono spesso scarsamente definiti

9. il modo con cui definiamo un problema può portare a una soluzione preconfezionata, che ci distrae

10. spesso passiamo alle soluzioni molto prima di aver ben definito il problema

11. spesso il problema viene definito in modo che per altri risulti una minaccia

MIGLIORARE LA SELEZIONE DEL PROBLEMA.

Innanzitutto occorre riconoscere che nulla è un problema finchè qualcuno non lo considera tale poiché i problemi non

esistono i natura. Problema è una discrepanza tra situazione percepita e desiderata. La selezione può essere migliorata

confrontando le nostre percezioni con altri. Ancora può essere migliorata compilando una lista di problemi e

ordinandoli per priorità. Altro ancora è la chiarezza e l‟esplicitazione dei valori che può permettere di non girare attorno

al problema.

MIGLIORARE LA DEFINIZIONE DEL PROBLEMA.

Partiamo dal detto che la fretta è cattiva consigliera. Vi è una diffusa sensazione che non abbiamo mai tempo

sufficiente e questo fa saltare l‟analisi andando direttamente al tentativo di soluzione. Tipico delle persone presuntuose,

narcisiste e arroganti. Migliorare la definizione del problema aiuta ad ottenere informazioni giuste riducendo così

incertezze e aumentare le opportunità di soluzione.

ERRORI NELLA GENERAZIONE E VALUTAZIONE DELLE SOLUZIONI

Appena si arriva ad un idea, tendiamo a promuoverla immediatamente. Troppo spesso dimentichiamo la definizione del

problema quale fonte di ulteriori soluzioni alternative. Blocchi percettivi ci coprono gli occhi e gli schemi cognitivi ci

conducono alle nostre abitudini o routine mentali.

MIGLIORARE LA GENERAZIONE DELLE SOLUZIONI

Una tecnica importante consiste nel separare la generazione di idee dalla loro valutazione, poiché quando si valuta

un‟idea si tende a non generarne di nuove. Spesso si tende a considerare i problemi in termini di relazioni lineari,

cercando le cause nell‟azione avvenuta immediatamente prima della sua comparsa. Qui l‟utilizzo di un pensiero

sistemico ci aiuta ad analizzare le interrelazioni tra le diverse variabili del processo decisionale e il modus operandi sta

nel capire le relazioni esistenti e le nostre presunzioni in merito.

MIGLIORARE LA VALUTAZIONE DELLE SOLUZIONI.

Al termine del processo, ogni idea deve essere valutata e vagliata attraverso il nostro setaccio mentale ed motivo. Si può

testare le idee, organizzarle in cluster differenti, oppure stabilire i criteri da usare nelle valutazione delle alternative. La

valutazione delle soluzioni può essere migliorata se si conoscono le tendenze personali.

MIGLIORARE L‟ATTUAZIONE DELLE DECISIONI.

Premettiamo che alcune decisioni sono semplici da applicare, altre possono richiedere implementazioni complesse.

Problemi cognitivi: la dissonanza post decisionale può impedire l‟attuazione di una soluzione perché si può diventare

dubbiosi, ansiosim cauti ed eccessivamente meticolosi. Errori percettivi e dissonanze cognitive sono altri elementi che

possono inficiare una decisione. A volte si prendono decisioni e le si considerano valide per lungo tempo, anche se si

sono rivelati inefficaci. L‟escalation di commitment può farci sentire intrappolati perchp non vogliamo ammettere di

aver commesso un errore o perché non vogliamo apparire incompetenti.

Consapevolezza e miglioramento dell‟implementazione e della valutazione: bisogna diventare consapevoli che la

dissonanza post decisionale e fisiologica. Vi sono minimo 3 modi per risolverla:

- perseverare nella decisione originaria, per riaffermarla ( dopo le analisi procedere secondo i piani)

- modificare o abbreviare l‟attuazione ( non modificando la decisione, ma rallentando l‟attuazione)

- annullare la decisione originaria ( quando costi benefici superano il limite, occorre rinunciare

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3. Stili decisionali e differenze individuali

Rowr e Boulgarides hanno individuato le dimensioni di analisi rilevanti per delineare il profilo degli stili decisionali

Il modo di pensare ( razionale-intuitivo) e la tolleranza per l’ambiguità ( bassa alta). L‟incrocio ortogonale permette

di individuare 4 stili decisionali prevalenti:

- DIRETTIVO, bassa tolleranza per ambiguità, alta ricerca di razionalità. Efficienza e logica essenziali. Qui si

prendono decisioni velocemente focalizzandosi sul breve termine.

- ANALITICO, maggiore tolleranza verso l‟ambiguità. Tendono a ricercare maggiori informazioni e alternative

prima di prendere decisioni. Sanno affrontare contesti sempre nuovi. Vogliono essere razionali.

- CONCETTUALE, chi tende ad allargare i confini del problema e ricerca più possibili alternative. Orientato al

lungo periodo e valido per soluzioni creative ai problemi.

- RELAZIONALE, tipico di chi vuole prendere decisioni con il consenso degli altri, comporta capacità di

notevole ricettività dei suggerimenti e tendenza ad evitare il confitto.

Grafico: ascisse razionale>intuitivo. Ordinata bassa tolleranza per ambiguità>alta. Partendo dal punto zero in ordine

orario: direttivo, analitico, concettuale, relazionale

4. Miti decisionali

MITO REALTA'

AD prende le decisioni strategiche

Le decisioni strategiche sono prese in modo simultaneo da diverse

persone chiave a diversi livelli dell'organizzazione

le decisioni sono prese insieme nella stanza dei bottoni molte decisoni sono prese in modo riservato, in 2 o 3

Le decisioni richiedono esercizio intellettuale le decisioni sono complessi processi sociali, emotivi e politici

i manager analizzano poi decidono le decisioni sono spesso prese in sequenze non lineari

i manager dedidono poi agiscono Le decisioni si formano attraverso un processo di scelta azione

i manager prendono decisioni consapevoli Le decisioni sono sempre prese a consapevolezza limitata

5. Processi decisionali di gruppo

L‟attivazione di processi decisionali di gruppo comporta vantaggi e svantaggi e questi dipendono soprattutto dalle

caratteristiche intrinseche del lavoro in team, dalle condizioni di efficacia del lavoro di gruppo e dalla caratteristiche

della team leadership.

- VANTAGGI: si forma una meta competenza di gruppo, il gruppo possiede più informazioni del singolo; la

generazione di approcci alternativi al problema è maggiore, la partecipazione alla definizione degli obiettivi e

alle decisioni aumenta il potenziale di commitment e il livello di condivisione degli obiettivi

- SVANTAGGI: pressione al conformismo, paura del dissenso; social loafing ossia l‟anonimato del gruppo e la

diminuzione del senso di responsabilità. Paradossalmente il fatto di essere tutti responsabili, deresponsabilizza.

Altro fenomeno il groupthink, ossia quando il bisogno di coesione prende il sopravvento sugli obiettivi del

gruppo.

In particolare i principali sintomi del groupthink sono 8:

1. illusione di invulnerabilità ( si crede di essere protetti da critiche o accuse)

2. razionalizzazione ( il gruppo tende a rigettare idee che possono determinare cambiamenti della situazione)

3. illusioni di moralità ( il gruppo crede di agire in nome e per conto di una giusta causa

4. stereotipi ( i potenziali oppositori esterni al gruppo sono considerati nemini

5. pressione al conformismo ( le idee e le opinioni all‟interno del gruppo vengono considerati devianti

6. autocensura ( i componenti del team tendono a minimizzare i sentimenti di dubbio o contrarietà)

7. illusione di unanimità ( silenzio assenso, quindi il silenzio è visto come unanimità)

8. autodifesa mentale ( i componenti si comportano in modo da proteggere il gruppo da opinioni contrarie)

Risk shift: tendenza a prendere decisioni colletive che comportano rischi maggiori o minori di quelli che si

assumerebbero individualmente. Si sceglie se il rischio è minore o maggiore. Polarizzazione: tendenza da parte dei

membri a rafforzare in seguito alla discussione il proprio punto di vista dominante e iniziale.

QUANDO USARE IL GRUPPO PER DECIDERE?

Due criteri per attivare un processo decisionale per scegliere se prendere decisioni in gruppo o meno sono:

Criterio di qualità, ossia implica la fattibilità e gli aspetti tecnici del problema e quindi, l‟uso di fatti, l‟analisi di dati e

l‟oggettività

Criterio di accessibilità, questo coinvolge i sentimenti, i bisogni, le emozioni di coloro che sono coinvolti, quindi un

criterio soggettivo.

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QUALI MODELLI PER DECIDERE?

VROOM-YETTON proposero cinque tipi di processi decisionali che variavano in funzione dei collaboratori. Ad un

estremo troviamo la decisione unilaterale presa dal manager, dall‟altra la decisione partecipativa.

- AI, prendete la decisione utilizzando le informazioni a disposizione in quel momento

- AII, ricercate tra i vostri collaboratori le informazioni, ma decidete da soli

- CI, condividete il problema con i collaboratori, ma singolarmente. Senza riunioni, prendete una decisione

- CII, condividete il problema in una riunione che ha scopo di ottenere idee, prendete decisione da soli.

- GII, i problemi vengono condivisi col gruppo, management partecipativo, soluzione data dal gruppo.

COME INDIVIDUARE QUALE DEI 5 MODELLI DI DECISION MAKER SEGUIRE?

- CS1, importanza sulla qualità della decisione

- CS2, quantità di informazioni necessarie posseduta dal decision maker ( preferenze collaboratori, presenza

assenza di motivi razionali che consentano di giudicare la qualità delle alternative

- CS3, grado di strutturazione del problema

- CS4, importanza dell‟accettazione da parte dei collaboratori

- CS5, probabilità che una decisione autocratica venga accettata

- CS6, motivazione dei collaboratori a raggiungere obiettivi organizzati

- CS7, disaccordo tra i collaboratori riguardo le soluzioni del problema.

QUALI TECNICHE PER IL DECISION MAKER DI GRUPPO?

Analizziamo alcune tecniche per migliorare i processi decisionali di gruppo

- Brainstorming

- Nominal group

- Del phi

- Avvocato del diavolo

BRAINGSTORMING. Richiede che i membri del team di esprimere qualsiasi idea, qualsiasi. Ciò deve essere fatto

velocemente e senza inibizioni. Le idee non devono essere criticate da nessuno. Viene incentivata la quantità e qualità di

idee e la possibile congiunzione, integrazione con altre emerse.

NOMINAL GROUP. Tecnica per ottenere idee/alternative di soluzioni quando il gruppo è grande o se persistono

situazioni di conflitto. Ognuno formalizza la propria idea, successivamente ad ogni idea viene dato punteggio.

DELPHI. Tecnica utilizzata quando i membri sono fisicamente lontani. Predisposto un questionario, inviato e i membri

formulano le risposte. Sono riassunte da un team leader e re inviate. Viene poi inviato un secondo questionario di follow

up sulle risposte iniziali, riviste in base dei primi suggerimenti. Si continua fino alla decisione

AVVOCATO DEL DIAVOLO. Obiettivo è apprendere informazioni che solo pochi individui hanno. Spesso si finisce

per decidere anche se non si dispongono di tutte le informazioni. Qui il team leader svolge il ruolo di avvocato del

diavolo con domande di questo tipo: che cosa possiamo sapere che non stiamo condividendo?

8. CONFLITTI

1. Livelli, dimensioni e punti di vista

2. Il conflitto come processo

3. Fattori scatenanti il conflitto

4. Come diagnosticare il conflitto

5. La gestione dei conflitti

6. Conflitti intragruppi e intergruppi

1. Livelli, dimensioni e punti di vista.

QUALI SONO I LIVELLI DEL CONFLITTO

- MICRO:

faccia a faccia, i conflitti possono essere intrapersonali e interpersonali.

INTRAPERSONALI : avvengono all‟interno della persona. Agiscono simultaneamente secondo 4 modalità individuate

da Lewin

1. conflitto di doppio avvicinamento ( di due obiettivi se ne può colpire uno solo)

2. conflitto di doppio evitamento ( due situazioni entrambe negative, la sola soluzione è la fuga)

3. confitto di avvicinamento- allontamento (caratteristiche positive negative insieme, es venditore scono)

4. conflitto di doppio avvicinamento-allontamento ( sommare aspetti pos/ negativi, confronto genera conflitto)

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INTERPERSONALI sono quelli che avvengono tra due o più parti e sono associati a questioni lavorative come obiettivi

da perseguire.

- MESO

Si tratta di conflitti a livello intermedio considerando dimensioni e complessità. Le parti coinvolte possono essere

gruppi e organizzazioni e possono partire da un conflitto interpersonale ed estendersi a tutti gli individui del gruppo.

- MACROCONFLITTI. I macroconflitti si verificano quando vengono presentati gruppi con interessi differenti.

Si manifestano anche in grandi aggregati politico-economico-sociali.

QUALI SONO LE DIMENSIONI DEL CONFLITTO

Galtung ne ha fatti emergere 3

1. COMPORTAMENTALE, ossia alle azioni compiute e osservabili dalle parti ( es. disputa verbale, molestie)

2. ATTEGGIAMENTI E PERCEZIONI, frame cognitivo con cui si vede se stessi, l‟altro, il conflitto, la relazione

3. BASE DEL CONFLITTO, ovvero quale è l‟interesse, quale la base ( es. controllo dei territori)

Le dimensioni del conflitto sono interdipendenti, ossia possono portare comportamenti accomodanti o aggressivi

PUNTI DI VISTA SUI CONFLITTI

Vi sono innumerevoli punti di vista sui conflitti, nati da dibattiti continui e opinioni divergenti.

- PDV UNITARIO-TRADIZIONALE. Il conflitto è visto come una perdita di tempo

- PDV PLURALISTA-RELAZIONALE, conflitto come evento naturale, evidenziare cause, gestirle e risolverle

- PDV INTERATTIVO, addirittura di cercare e stimolare conflitti

- PDV RADICALE, deriva da teoria del capitalismo marxista. Conflitto visto come lotta di classi sociali

- PDV DEL LIBRO. Possono essere prevenuti cercando di far cambiare atteggiamenti e comportamenti.

Possono essere evitati se i manager interpretano il loro ruolo creando relazioni di lavoro positive, attraverso

regole e procedure che assicurino equità. Secondo il PDV degli autori, conflitto non significa necessariamente

guerra, ma confronto sul piano delle idee e insorgenza di informazioni fondamentali per avviare progetti di

miglioramento all‟interno dell‟organizzazione. L‟assenza di conflitto può condurre a eccessiva compiacenza e

una esagerata rigidità del rispetto dello status quo. Le cause possono essere: 1. presenza di manager circondati

da collaboratori che sono sempre d‟accordo. 2 collaboratori che temono di ammettere la loro incertezza o

perdita di competenza. 3 decisioni prese mediante il compromesso, perdendo così di vista calori e obiettivi di

lungo termine. 4 sistema di valori manageriali con la tendenza ad assicurare aspetto armonico e collaborativo. 5

sistema di valori manageriali che ritiene la popolarità più importante della performance. 6 eccessiva tendenza

manageriale a prendere decisioni con il consenso di tutti. 7 impiegati resistenti al cambiamento. 8 mancanza di

realizzazione di nuove idee. 9 inusuale basso livello di turnover impiegati. Infine diciamo che a livelli ottimali

troviamo quelle realtà organizzative in cui esiste una cultura positiva del conflitto e nelle quali i conflitti non

sono sedati ma fatti emergere, perché considerati momenti importanti per l‟apprendimento sia individuale che

colletivo.

2. Il confitto come processo

Condizioni antecedenti il conflitto>conflitto percepito>conflitto manifesto>risoluzione del conflitto> dopo conflitto

3 Fattori scatenanti il conflitto

FATTORI INDIVIDUALI FATTORI SITUAZIONALI FATTORI ORGANIZZATIVI

valori, atteggiamenti e convinzioni grado di interdipendenza specializzazione e differenziazione

bisogni e personalità bisogno di consenso goal setting

percezioni e giudizio differenze e incongruenze di status scarsità di risorse

ambiguità e sovrapposizione di respons influenza e autorità multiple

regole e procedure

4 Come diagnosticare un conflitto

Per comprendere appieno e sapere affrontare un situazione conflittuale, occorre considerare le dimensioni del conflitto

- Le materie in questione (difficili principio, semplici problemi concreti)

- Le dimensioni degli interessi (maggiori sono gli interessi, maggiore sarà lo sforzo per risolverli)

- La struttura del gioco negoziale (positivo per uno, no per l‟altro/ compromesso)

- La continuità dell‟interazione (durata del rapporto, Più è lungo più si troveranno accordi)

- La leadership ( se c‟è leaderiship è più facile da risolvere di quando fosse assente. Se sono due è facile

- Il coinvolgimento di terze parti (mediatore, fa aumentare le propabilità di negoziare la risoluzione

- La percezione dell‟andamento del conflitto ( chi ha ceduto di più nel conflitto sarà più rigido

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5 La gestione dei conflitti

Per gestione dei conflitti intendiamo l‟assunzione di un ruolo attivo nell‟indirizzare le situazioni di conflitto e

nell‟intervenire se necessario. Si considerano 3 tipi di gestione del conflitto:

SELEZIONE E USO DI STILI TECNICHE DEL CONFRONTO INTERVENTI ORGANIZZATIVI

evitare i conflitti bargaining ( compromesso) goal setting integrativo

essere accomodanti mediazione e arbitrato regole, procedure, politiche

competere negoziazione per principi allocazione di risorse

cercare il compromesso job ratation e formazione ad hoc

In particolare la NEGOZIAZIONE PER PRINCIPI si enfatizza il problema e tenta di far collaborare le parti in conflitto

per un vantaggio comune. Si articola in 4 fasi principali:

1. Separare le persone dal problema ( invece ci incolparsi a vicenza, si cerca di convididere percezioni e bisogni)

2. focalizzarsi sugli interessi non sulle posizioni ( ogni parte deve definire e rendere espliciti i propri interessi)

3. inventare opzioni a vantaggio reciproco

4. insistere su criteri oggettivi ( valutare su opzioni in modo oggettivo, imparzialità e fattibilità.

GOAL SETTING INTEGRATIVO. Gli obiettivi dovrebbero essere definiti in modo da incoraggiare le unità

organizzative a compiere maggiori sforzi di collaborazione.

6. Conflitti intragruppi e intergruppi

INTRAGRUPPI.

Il conflitto all‟interno del gruppo si manifesta quando i suoi membri, che per loro natura operano in condizioni di

interdipendenza, hanno punti di vista, preferenze, interessi, obiettivi differenti se non contrastanti. Questi conflitti

possono avere natura distruttiva o costruttiva,

DISTRUTTIVA. Sono caratterizzate da modalità di comunicazione tipicamente competitive e aggressive. Win lose

COSTRUTTIVO. Quando sono consapevoli che il disaccordo è fisiologico e fattore chiave per il successo. Win-win

I conflitti tra componenti dello stesso gruppo si manifestano in modo differente nelle fasi del CDV del progetto. Le aree

di maggior conflittualità riguardano i seguenti aspetti:

priorità tra progetti; procedure gestionali di progetto; compromessi tecnici; persone da inserire nel team; cost control

scheduling; personalità

- FASE INIZIALE: i conflitti maggiori sono su scadenze, costi, sull‟assegnazione dei ruoli e allocazioni risorse

- FASE INTERMEDIA: conflitti su scadenze, su procedure gestionali e iniziano i primi compromessi tecnici

- FASE FINALE: conflitti su costi e scadenze.

La risoluzione dei conflitti può avvenire con approcci differenti:

attenuazione, confronto, compromesso, pressione, rinuncia, disaccordo.

INTERGRUPPI

Il conflitto può stimolare a maggior impegno per raggiungere gli obiettivi. I conflitti col tempo tendono a vedere

negativamente l‟altra parte. Si presterà attenzione al rivale con una mentalità mors tua vita mea

10. LEADERSHIP

1. L’approccio dei tratti

2. L’approccio comportamentale

3. Teorie contingenti

4. Teorie del processo

5. Teorie del risultato

DEFINIZIONE. Leadership è un processo di influenza sugli altri per far loro comprendere e accettare le decisioni che

devono essere prese e le azioni che devono essere intraprese, facilitando gli sforzi individuali e collettivi per il

raggiungimento di obiettivi. La leadership è una esigenza organizzativa e una delle forme più efficaci di controllo

sociale, perché comporta influenza personale, il guidare le persone e l‟assumere ruoli di responsabilità

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1. L’approccio dei tratti

Diversi studi hanno esaminato fattori quali età, altezza, intelligenza, pensiero laterale, cv accademico, spirito

d‟iniziativa, bisogno di achievement e potere, autostima ecc. I risultati hanno portato alla conclusione che nessun tratto

specifico sembrava essere correlato alla leadership nelle svariate situazioni.

BIG FIVE E LEADERSHIP. Non solo sono un importante spiegazione della motivazione di performance e della

soddisfazione sul lavoro, ma sono strettamente collegate alla leadership.

LEADER MOTIVE PATTERN DI MCCLELLAND. La configurazioni di dimensioni della personalità che è risultata

maggiormente correlata all‟efficacia manageriale è :

- Bisogno di potere predominante su quello di affiliazione

- Alta inibizione al potere

Il bisogno di potere si riferisce al desiderio di una persona di avere impatto sulle emozioni e sui comportamenti altrui.

Un basso desiderio di affiliazione implica che l‟individuo non necessità ne di interazione con gli altri, ne di accettazione

positiva. Inibizione al potere significa che la persona è disciplinata e ha un forte autocontrollo dell‟uso del potere.

LA TASSONOMIA DEI TRATTI DI LEADERSHIP DI BASS E STODGILL.

Si è osservato che raggruppando tratti all‟interno di più classi generali di fattori, si possono cogliere differenze tra leader

efficaci e meno. Le caratteristiche dei primi sono:

- Capacità: si riferisce all‟abilità individuale nel risolvere i problemi

- Achievement: i leader efficaci tendono ad avere risultati universitari migliori, maggiori conoscenze e atleti…

- Responsabilità: i tratti specifici sono affidabilità, iniziativa, persistenza, aggressività, fiducia in se stessi

- Partecipazione e coinvolgimento: leader efficaci tendono ad essere più socievoli

- Status: i leader efficaci hanno un più alto status socio economico e riscuotono maggior successo

2. L’approccio comportamentale

Questo tipo di approccio analizza il grado di efficacia delle azioni del leader. Le classi di comportamento che hanno

ricevuto maggiore attenzione nell‟approccio comportamentale fanno riferimento alla DISTRIBUZIONE DEL POTERE

DECISIONALE, ai COMPITI, e alle RELAZIONI SOCIALI.

Distribuzione del potere decisionale

Ci sono 3 diversi stili di leadership ( si può anche fare il grafico/ ascisse stili di leadership, ordinate influenza sui

processi decisionali del follower):

1. AUTOCRATICO, accentra tutte le decisioni e non permette ai collaboratori nessuna influenza nel processo

2. PARTECIPATIVI, consultano i collaboratori su determinate materie e permettono loro di influire

3. LAISSE-FAIRE. Piena autonomia decisionale dei collaboratori, raramente esercitano un controllo diretto

Compiti e comportamenti sociali

UNIVERSITA‟ DI OHIO E MICHIGAN. La ricerca si pose come obiettivo quello di verificare se i leader efficaci

enfatizzassero maggiormente le attività legate ai compiti da svolgere oppure tendessero a cercare di mantenere buone le

relazioni e alti livelli di coesione nel gruppo.

OHIO. 2 dimensioni comportamentali:

CONSIDERAZIONE ossia si riferisce al comportamento del leader che instaura relazioni di lavoro basate su fiducia e

rispetto per le idee dei collaboratori e che generalmente nutre interesse per i loro sentimenti.

SPEFICIZAZIONE DEL METODO DI LAVORO si riferisce al comportamento del leader che definisce e struttura il

proprio ruolo e quello dei collaboratori in funzione di schemi e modelli, regole e procedure ben definite.

La maggior parte degli studi mostra che la considerazione è generalmente correlata a un „elevata soddisfazione dei

dipendenti, molto meno alla performance. La specificazione del metodo di lavoro è correlata alla soddisfazione sul

lavoro ma con minior frequenza a elevata produttività, basso assenteismo e basso turnover.

UNIVERSITA‟ MICHIGAN . Il comportamento di leadership può essere descritto mediante due stili:

LEADERSHIP CENTRATA SULLA PRODUZIONE ( alti livelli di produzione, esercita forti pressioni)

LEADERSHIO CENTRATA SULLA RELAZIONE (interesse per sentimenti collaboratori,atmosfera di mutuo rispetto)

Uno studio successivo portò a definire 4 tipi di comportamenti di leadership:

- Supporto, comportamento che accresce la consapevolezza altrui del proprio valore e importanza

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- Facilitazione d‟interazione, comportamento che incoraggia a sviluppare relazioni soddisfacenti

- Enfasi sull‟obiettivo, entusiasmo per il raggiungimento di risultati

- Facilitazione lavorativa, stimola attività di programmazione, coordinamento, pianificazione e fornendo supporti

3. Teorie contingenti

Queste teorie consideravano sistematicamente fattori situazionali che potevano trasformarmi in differenti relazioni tra

comportamento del leader e relativa efficacia. Ci sono 4 teorie contingenti che possiamo distinguere:

- MODELLO FIEDLER

- LA TEORIA DEL PERCORSO-OBIETTIVO

- IL MODELLO VROOM-YETTON

- IL MODELLO BLANCHARD E HERSEY

MODELLO FIEDLER

E‟ stata proposta una spiegazione teorica di come l‟orientamento della leadership, la composizione del gruppo e le

caratteristiche dei compiti interagissero nell‟influenzare la performance di gruppo.

Aspetti importanti: 1. fattori relazionali, 2. orientamento alla leadership, 3.sua efficacia, 4. teoria della risorsa cognitiva

1. 1 FATTORI RELAZIONI

- Variabili situazionali: relazioni leader- membri del gruppo ( quando fiducia ha il gruppo nel leader)

- Prescrittività dei compiti ( obiettivi chiari, obiettivi raggiungibili, discrezionalità limitata se non assente

- Posizioni di potere( alta base di potere legittima il compito e l‟autonomia)

2. ORIENTAMENTO ALLA LEADERSHIP

- Possiamo misurarla con la scala LPC ( least preferred co-worker, collega meno gradito)

3. EFFICACIA DELLA LEADERSHIP

- Forte se relazione con i membri sono buoni, prescrittività dei compiti, alta posizione di potere

- I leader è efficace ad alto livello LCP quando c‟è un livello moderato di controllo situazionale.

4. TEORIA DELLA RISORSA COGNITIVA.

direttivo caratteristiche dei collaboratori: soddisfazione sul lavoro

supportivo locus of control ricompense

partecipativo autoritarismo accettazione del leader

orientato al successo abilità comportamenti motivati

Il ruolo del leader secondo la teoria del percorso obiettivo:

………ridurre incertezza………….

compiti/ attività__ostacoli__risultati__ricompense

sotto compiti: incremento valenza compiti/sotto ostacoli; rimozione ostacoli/incremento valenze ricompense

MODELLO VROOM

Proposero cinque tipi di processi decisionali che variavano in funzione dei collaboratori. Ad un estremo troviamo la

decisione unilaterale presa dal manager, dall‟altra la decisione partecipativa.

- AI, prendete la decisione utilizzando le informazioni a disposizione in quel momento

- AII, ricercate tra i vostri collaboratori le informazioni, ma decidete da soli

- CI, condividete il problema con i collaboratori, ma singolarmente. Senza riunioni, prendete una decisione

- CII, condividete il problema in una riunione che ha scopo di ottenere idee, prendete decisione da soli.

- GII, i problemi vengono condivisi col gruppo, management partecipativo, soluzione data dal gruppo.

MODELLO BLANCHARD HERSEY

- Da una serie di analisi non esiste un one best way nella leadership

- Hanno caratterizzato lo stile di direzione in terrmini di quantità di direzione (orientamento al compito) e di

supporto (orientamento alla relazione) fornita da un leader ai suoi collaboratori. Per orientamento si intende il

grado in cui un leader impartisce direttive alle persone, in modo specifico sul cosa fare, come farlo, quando,

dove, come. Per orientamento si intende invece il grado con cui il leader si impegna in una comunicazione a due

sensi con le persone, fornendo sostegno, incoraggiamento, gratificazioni psicologiche.

- Altro aspetto interessante è che lo stile di leadership che dovrebbe adottare dipende dal livello di maturità del

collaboratore, intese come capacità e disponibilità ad assumersi rischi, al conseguimento di obiettivi.

Questo modello propone 4 stili possibili:

1. PRESCRIVERE, si presta molta attenzione al compito e poco alla relazione

2. VENDERE, presta molta attenzione al compito e alla relazione. Il leader definisce ruoli e mansioni, chiedendo

loro suggerimenti e idee

3. COINVOLGERE, si presta poca attenzione al compito e molta alla relazione

4. DELEGARE, si presta poca attenzione sia al compito che alla relazionee

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4. Teorie del processo

Alcune teorie recenti, dette teorie del processo, spiegano i processi mediante cui si sviluppa la relazione tra leader e i

collaboratori, facendo riferimento a due teorie, leader trasfomazionale e teoria dello scambio leader-follower:

LEADERSHIP TRASNAZIONALE

I collaboratori sono agenti di negoziazione che trattano per massimizzare la propria posizione relativa. Gli assunti:

- Il comportamento umano è influenzato dagli obiettivi e gli individui si comportano in modo razionale per ragg

- I comportamenti che procurano ricompense persistono nel tempo, gli altri vengono abbandonati

- Le norme di reciprocità governano le relazioni di scambio

Lo stile del leader transazionale può essere schematizzato in 3 punti:

1. utilizzare ricompense contingenti ( ricompense associate a performance e al raggiungimento di obiettivi

2. gestire per eccezioni ( il leader agisce anticipando le deviazioni delle performance dallo standard

3. assumere un approccio permissivo ( il leader adotto uno stile laissex-fair)

LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE.

Si base sugli effetti del leaders sui valori, autostima, fiducia nei follow e impatto motivazionale ad avere una

performance al di la del proprio dovere. Quella transazionale opera all‟interno del contesto, questa lo prova a cambiare

Le 4 caratteristiche del leader trasformazionale:

1. utilizzare il proprio carisma

2. creare ispirazione

3. utilizzare la considerazione

4. stimolare intellettualmente

L‟estrema espressione della leadership trasformazionale è la leadership carismata:

- persistente devozione alla santità eccezionale, eroismo o carattere esemplare

- certa qualità di personalità non ritenuta comune

- provengono da una origine divina e in base a questo la persona è identificata come leader

- alcuni attributi comuni sono: visione, sensibilità all‟ambiente, sensibilità ai bisogni altrui, assunzione rischi, ecc

TEORIA DELLO SCAMBIO LEADEER-FOLLOWER

Questa teoria chiamata SLC analizza la relazione tra il leader e il followe con approccio diversi tra modelli:

- considera le risposta sia del leader che del collaboratore in funzione alla loro relazione

- vengono misurati l‟accordo tra leader e collaboratori in termini di fiducia, competenza dei collaboratori, lealtà e

altri fattori simili.

- Le relazioni leader-collaboratori sono classificate in : in-group e out-group

- In-group, ossia relazioni strette, leader dedica molto tempo ed energia, attengiamenti collaboratori positivi

- Out-group, leader dedicano minor tempo a prendere decisioni, non si offrono volontari per attività extra.

5. Teorie del risultato

La leadership oltre che essere caratterizzata dagli attributi, dal processo, dal comportamento, lo è anche dai risultati. Il

focus si sposta dagli imput ai risultati del leadership.

Elenchiamo 4 criteri per giudicare se un leader è orientato ai risultati:

1. equilibrio, i risultati sono equilibrati nelle principali performance organizzativa(risorse, organizz,clienti, investi)

2. strategicità, i risultati si collegano fortemente alla strategia d‟impresa e alla relazione posizione competitiva

3. durata, i rislutato sono conformi sia agli obiettivi di breve che di lungo periodo

4. selfless, i risultati sostengono l‟intera organizzazione e oltrepassano l‟interesse personale

Variabili demografiche: durata dell‟impiego, eterogeneità dell‟esperienza, della formazione e funzionale

Variabili comportamentali: integrazione sociale, frequenza di comunicazione, comunicazione informale

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APPROCCIO ALLE COMPETENZE

manuali di RU (o di CompOrg) tendono a presentare l‟approccio delle competenze come superamento (o per lo meno

come alternativa) degli approcci “mainstream” (basati sulle posizioni o sulle motivazioni)

In ambito organizzativo si possono individuare due tipi di competenze

Competenze professionali: Conoscenze, Saperi, Qualità, Abilità, Esperienze

Le caratteristiche delle competenze professionali: Visibilità; Misurabilità; Acquisibili attraverso percorsi formativi;

Acquisibili attraverso esperienze strutturate; Acquisibili attraverso esperienze non strutturate.

Le caratteristiche delle competenze comportamentali: A differenza delle competenze professionali sono meno visibili,

meno misurabili, meno acquisibili attraverso percorsi formativi o attraverso esperienze strutturate e non strutturate

Limiti di un approccio basato sulle competenze: sottovalutazione delle competenze professionali; Approccio

psicologico-individualistico, punto di vista del singolo individuo, visione non collettiva

Competenze professionali in ambito organizzativo possono essere suddivise in: Conoscenze (sapere come funzione

un processo/attività); Sapere empirico (conoscenze apprese per pratica); Meta-conoscenze (conoscenze sulle proprie

conoscenze)

Competenze comportamentali possono essere anche ricondotte a due tipi di competenze: Intelligenza emotiva (

Consapevolezza di sé, padronanza di sé, motivazione; Competenza sociale (Empatia, abilità sociali)

La RBV è la teoria per la quale: è vero che la strategia indica in che modo l’impresa può conseguire una

performance superiore rispetto ai competitor, ma la fonte del vantaggio competitivo sostenibile è rappresentata

dalla capacità dell’impresa di sfruttare il bundle di risorse di valore, rare e difficilmente imitabili di cui essa

dispone o a cui ha accesso.

Definizione dei concetti chiave della teoria (Barney, J., 1991)

- RISORSE: capitale umano; capitale organizzativo

- VANTAGGIO COMPETITIVO: Adozione e implementazione di una strategia capace di creare valore che non

sia simultaneamente adottata e implementata da altri competitor reali o/e potenziali …

- SOSTENIBILE : … e i cui vantaggi non siano duplicabili da altri competitor reali o/e potenziali

Definizione RBV in termini operativi: Il vantaggio competitivo sostenibile da parte dell‟organizzazione (impresa) è

acquisibile attraverso la capacità di combinare, coordinare e sfruttare il potenziale delle risorse a cui l‟organizzazione ha

accesso e non attraverso l‟analisi dell‟ambiente e la scelta corrispondente di una strategia sulla base della quale adattare

o procurarsi le risorse.

Critiche alla RBV. La critica relativa all‟inapplicabilità della RBV è fondata su DUE questioni:

PRIMO Il contesto in cui la teoria dovrebbe essere applicabile non è specificato e la definizione di risorse data dalla

RBV è omnicomprensiva

RISPOSTA DI BARNEY Proprio perché vuole essere una teoria generale e non riferirsi a nessun settore specifico, la

RBV non fornisce un elenco preciso di risorse che generano vantaggio competitivo sostenibile, né settori specifici

(individuare i confini dei quali, oggi, sarebbe comunque un problema) dove applicarla, ma alcune caratteristiche

generali che le risorse devono avere per generare vantaggio competitivo sostenibile.

SECONDO. Gli aspetti delle risorse che possono generare vantaggio competitivo non sono manipolabili dal

management in quanto non hanno carattere prescrittivo.

RISPOSTA DI BARNEY Questo non significa che la RBV non abbia alcune implicazioni manageriali; Non è vero,

dunque, che la logica della RBV non è manipolabile dal management, ma è vero che l‟RBV non ha carattere

prescrittivo.