comunicazione, media, cittadinanza riassunto

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Comunicazione, Media, Cittadinanza Parte 1 1: La Comunicazione 1.1: La comunicazione e la cultura in un mondo connesso Oggigiorno si è aggiornati in tempo reale su tutto ciò che accade in ogni angolo del mondo raggiunto dalla tecnologia. Ciò è possibile grazie alla velocità dei mezzi di comunicazione che hanno cambiato la percezione e la rappresentazione del reale negli attori sociali, sempre più sottoposti a processi di disaggregazione. Nonostante tutto si sente il bisogno di relazioni aggreganti per recuperare spazi ed interstizi sociali in cui manifestare esigenze e istanze. Nella contemporaneità, ciò che balza subito all’occhio è la percezione del mutamento dei fenomeni sociali, che avviene non per lente metamorfosi, ma per rapide discontinuità. Maggior rappresentante di tale discontinuità è stato l’11 settembre 2001, col crollo delle Twin Towers, che ha permesso di affrontare le paure e le incertezze nei confronti di ciò che arriverà. 1.2: Comunicazione, informazione, globalizzazione A fondamento della comunicazione umana, la componente relazionale è molto importante; essa implica: - La relazione con se stessi in quanto capacità di progettare ed instaurare un dialogo con la propria interiorità che porta a formare un pensiero da codificare in segni e simboli. - La relazione con l’altro in quanto destinatario di un messaggio. Le azioni che sono alla base degli atti comunicativi sono quelle di ascoltare e parlare. L’atto del parlare è rivolto ad altri partecipanti e mette in gioco elementi come la gestualità, le espressioni facciali, la postura, la mimica e altri elementi che rendono complessa la comunicazione. L’informazione presuppone l’esistenza di qualcuno da formare, mentre la comunicazione presuppone l’altro non come destinatario del messaggio, ma come compartecipe alla sua creazione.

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Riassunto del libro "Comunicazione, media, cittadinanza" della prof.ssa G. Antonelli per facoltà di Lettere e Scienze della Comunicazione

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Page 1: Comunicazione, Media, Cittadinanza Riassunto

Comunicazione, Media, Cittadinanza

Parte 1

1: La Comunicazione

1.1: La comunicazione e la cultura in un mondo connesso

Oggigiorno si è aggiornati in tempo reale su tutto ciò che accade in ogni angolo del mondo raggiunto dalla tecnologia. Ciò è possibile grazie alla velocità dei mezzi di comunicazione che hanno cambiato la percezione e la rappresentazione del reale negli attori sociali, sempre più sottoposti a processi di disaggregazione. Nonostante tutto si sente il bisogno di relazioni aggreganti per recuperare spazi ed interstizi sociali in cui manifestare esigenze e istanze.Nella contemporaneità, ciò che balza subito all’occhio è la percezione del mutamento dei fenomeni sociali, che avviene non per lente metamorfosi, ma per rapide discontinuità.Maggior rappresentante di tale discontinuità è stato l’11 settembre 2001, col crollo delle Twin Towers, che ha permesso di affrontare le paure e le incertezze nei confronti di ciò che arriverà.

1.2: Comunicazione, informazione, globalizzazione

A fondamento della comunicazione umana, la componente relazionale è molto importante; essa implica:- La relazione con se stessi in quanto capacità di progettare ed instaurare un dialogo con la propria

interiorità che porta a formare un pensiero da codificare in segni e simboli.- La relazione con l’altro in quanto destinatario di un messaggio.

Le azioni che sono alla base degli atti comunicativi sono quelle di ascoltare e parlare.L’atto del parlare è rivolto ad altri partecipanti e mette in gioco elementi come la gestualità, le espressioni facciali, la postura, la mimica e altri elementi che rendono complessa la comunicazione.L’informazione presuppone l’esistenza di qualcuno da formare, mentre la comunicazione presuppone l’altro non come destinatario del messaggio, ma come compartecipe alla sua creazione.L’aumento di comunicazione comporta un’accelerazione della conoscenza per cui gli orizzonti degli individui si allargano.L’informazione occupa uno spazio notevole grazie alla diffusione dei mass media.A seconda dell’ambito specifico cui ci si riferisce, il termine “globalizzazione” assume valenze semantiche diverse.Tendiamo a considerare la globalizzazione come processo di comunicazione globale per evidenziare il carattere multi direzionale in cui sono intrecciati strutture e soggetti individuali.

1.3: Comunicazione e riflessività: Margaret Archer e la “conversazione interiore”

Margaret Archer si chiede cosa vuol dire essere umani oggi, in un epoca di incertezze che sembra indebolire il soggetto umano e di risponde che essere umani significa esistere nella tensione tra solitudine e società, incontrandosi con l’altro solo dopo aver superato la soglia della solitudine.

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Per fare ciò occorre la conversazione interiore, un processo che avviene dentro le persone che opera tramite la struttura e l’azione sociale.La riflessività è l’attività interiore del soggetto umano circa la vita buona, che consiste negli interessi ultimi della persona intesi come risultati di scelte compiute per raggiungere le finalità proposte.Archer propone la riflessività come momento trascendente i momenti soggettivi e oggettivi e costituisce il medium che ne connette le dimensioni che così acquisiscono una nuova significanza.La mutazione delle strutture sociali dipende dall’intervento del soggetto che, avendo realizzato una riflessione, riversa il cambiamento su di esse.Dalla conversazione interiore dipende infatti la dinamicità della nostra soggettività dal momento che tutti modificano le finalità delle proprie azioni alla luce della loro fattibilità e adattandole alle pratiche ritenute maggiormente realizzabili.La Archer ci propone una tipologia di conversazioni interiori che definiscono lo status del soggetto in relazione alle risposte date all’ambiente.Questa tipologia comprende quattro tipi di persone:

- Il tipo riflessivo comunicativo : hanno bisogno che la loro conversazione interiore sia confermata da altri;

- Il tipo riflessivo autonomo : sostengono una conversazione interiore auto-consistente che li porta direttamente all’azione;

- Il tipo meta-riflessivo : sono critici con la loro stessa conversazione interna e con gli effetti della loro azione nella società. Producono critiche verso loro stessi, la società e le relazioni che hanno con essa;

- Il tipo riflessivo fratturato : non possono condurre una conversazione interiore capace di porsi delle finalità perché sperimentano internamente grandi tensioni e disorientamento. Hanno difficoltà di integrazione sociale e sistemica.

In base al tipo di appartenenza di una persona, se ne può intuire anche il carattere.

1.4: Comunicazione e pluralismo culturale

Le società occidentali contemporanee sono caratterizzate da pluralismo culturale. Questo termine indica due aspetti della cultura moderna:

- La coesistenza di diversi sistemi simbolici, scarsamente correlati tra loro nonostante lo siano;- La specifica situazione dell’individuo che, di fronte alla pluralità delle opzioni, è portato a riflettere e

a pensare che la scelta tra valori diversi o contradditori sia un aspetto irrinunciabile della libertà umana.

Il pluralismo culturale riconosce l’esistenza di diverse culture all’interno di una stessa realtà societaria e postula una rigida separazione tra sfera pubblica e sfera privata della vita. la sfera pubblica è normata da leggi universali, mentre quella privata è il luogo della libera espressione delle differenze.Il pluralismo è l’apice del nomadismo umano, con spostamenti ed esodi da una parte all’altra del pianeta. E insieme alle persone si spostano anche le loro culture, i linguaggi e le tradizioni che, incontrandosi, si disarticolano e si compongono originando nuove configurazioni culturali e strutture sociali, che si influenzano a vicenda.

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1.5: La centralità della comunicazione: una conquista recente

La riflessione e gli studi sulla comunicazione, col riconoscimento della sua centralità nella vita sociale, è un fenomeno recente che si situa nel XX secolo.Le motivazioni storiche dello sviluppo della ricerca sulla comunicazione sono per lo più relative allo studio degli effetti dei media, che all’inizio vedeva il pubblico come soggetto passivo del soggetto di comunicazione.

- Prima fase: inizia negli anni ’20 ad opera della scuola di Francoforte, i media sono ritenuti molto potenti, riuscendo a modificare efficacemente i comportamenti del pubblico con effetti immediati e prevedibili;

- Seconda fase: anni ’40, il potere dei media è ridimensionato, il pubblico è in grado di attutire l’impatto mediale;

- Terza fase: anni ’70, i media tornano forti, ma in maniera diversa: non hanno effetti immediati e prevedibili, ma spalmati su un lungo periodo producendo modificazioni cognitive della realtà;

- Quarta fase: anni ’80, si parla degli usi sociali dei media, che il pubblico usa per i propri contesti di fruizione;

- Quinta fase: anni ’90, sviluppo della multimedialità, i media si intrecciano coi new media implementando una comunicazione interattiva che ha comportato una ridefinizione del rapporto col mondo e innescando delle nuove problematiche, soprattutto educative.

Per quanto riguarda le motivazioni sociali, la comunicazione è connessa alla libertà e alla democrazia, e solo con l’epoca delle rivoluzioni francese e americana si vedrà posta in essere la necessità di questi principi, fino ad allora assenti. In occidente però, molte nazioni hanno dovuto attendere la fine della II guerra mondiale.

1.6: La prospettiva della “svolta comunicativa”

La svolta comunicativa ha evidenziato il paradigma comunicativo, secondo il quale a fondamento di qualsiasi azione sociale c’è la comunicazione. Da qui l’affermazione secondo la quale la società è comunicazione.La comunicazione svolge un ruolo di primaria importanza all’interno di ogni sistema, ed è generata dal sistema stesso che si pone in relazione all’ambiente attraverso tre diversi modi:

- Funzione: in quanto rapporto con il sistema sociale nel suo complesso;- Prestazione: che si realizza in rapporto con la funzione;- Riflessione: in quanto attivazione della comunicazione con l’ambiente

George H. Mead pone l’accento sul soggetto simbolico competente sul piano delle rappresentazioni e interpretazioni della realtà e riflessivo, capace di elaborazione e rielaborazione degli stimoli, dei segni e dei simboli.Strumento essenziale della comunicazione è il linguaggio:

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1.7: Writing: creatività contro illegalità

I graffiti sono un fenomeno globale e sono percepiti come segno di disordine urbano e vandalismo.Ultimamente sta venendo considerato anche un’arte e, grazie alla sua presa sui giovani, viene utilizzato anche nella comunicazione, nella pubblicità e nella moda.Disegnare o incidere i muri è una pratica risalente già nell’antichità, come nell’antico Egitto dove esprimevano magnificenza, o a Pompei dove esprimevano messaggi d’amore.Ai nostri tempi hanno significati comunicativi, artistici e sociali.La letteratura degli anni ’70 individua alcune caratteristiche comuni a tutto il mondo dei graffiti:

- Principio di conquista dello spazio che spinge i writers ad allargare la propria sfera d’azione;- Senso di sfida verso la società;- Bisogno di visibilità degli artisti.

Negli anni ’70 molte gang usavano le scritte sui muri per delimitare il loro territorio e l’universo dei graffiti si lega anche con la musica hip hop, identificandone gruppi e crew.In Italia i graffiti sono illegali.

2: La Comunicazione Interculturale

2.1: La comunicazione interculturale

Mentre il concetto di multiculturale rimanda alla descrizione sincronica di una compresenza di gruppi di differente matrice culturale, il prefisso “inter” presuppone la messa in relazione, lo scambio di due o più elementi ed implica pertanto una processualità diacronica che comporta il nascere e l’estinguersi di una catena di conflitti in un farsi processuale di interculturalizzazione. Tale processo dovrebbe produrre una spinta di interdipendenza delle personalità coinvolte nello scambio comunicativo, culturale e sociale e creare una situazione interattiva di mediazione tra soggetti con pari dignità culturale.La strategia interculturale cerca di intervenire dove la multicultura agisce, ovvero a livello delle inter-relazioni che le persone hanno o stabiliscono con i gruppi sociali che li circondano, riferendosi a sistemi di significato, a idee, a valori, prospettive d’azione e anche antagonisti. L’interculturalità si propone come un nuovo modo di essere in relazione, implica un approccio inter-culturale ed inter-soggettivo che abbandoni l’aggressività della logica egoistica e competitiva, una reale disponibilità di ascolto e di dialogo il più possibile affrancata da pregiudizi. Si tratta di acquisire una nuova modalità di intelligenza relazionale ed una nuova maturità etica.La considerazione di una centrale responsabilità e creatività dell’individuo rispetto alla costruzione del suo mondo sociale è alla base di ogni approccio al tema della comunicazione interculturale, intesa come comunicazione verso e con la diversità.Il dibattito sull’intercultura nasce negli anni ’70.

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2.2: I fattori in gioco nella comunicazione interculturale

Per poter delineare le dinamiche di sviluppo di una comunicazione e di una competenza comunicativa interculturale non si può prescindere nè dallo studio dalle variabili culturali e sociali che influiscono sull’atto comunicativo nè dall’analisi del significato strutturale che le società attribuiscono a tale interazione al momento del suo porsi come evento sociale nuovo.Per Baraldi la società può essere monoculturale (incapace di considerare la diversità) o interculturale (aperta a cambiamenti strutturali). Il cambiamento di una comunicazione da mono a interculturale è uno degli aspetti più importanti del cambiamento socioculturale.Ogni società è caratterizzata da forme di comunicazione indicative della sua struttura.Le forme della comunicazione sono strutture dei sistemi sociali che si esprimono come forme della cultura prodotta da una società. Sono capaci di orientare la comunicazione secondo il criterio di pertinenza o non pertinenza, garantendo l’autopoiesi della comunicazione (il prodursi di comunicazione a partire da comunicazione antecedente)Le forme della comunicazione orientano l’informazione nei contenuti e nei temi, gli aspetti che riguardano i partecipanti, i risultati della comunicazione e le conseguenze.Le principali variabili delle forme di comunicazione sono:

- La codificazione dei contenuti;- Il trattamento dei partecipanti;- Il trattamento dei risultati della comunicazione.

Di fronte alla presenza della diversità, le società devono operare un mutamento nella loro struttura, creando nuove forme di comunicazione che trovano nel dialogo lo strumento efficace per la produzione di forme culturali differenti.Nella comunicazione monoculturale il significato della diversità non ha possibilità d’espressione, perché essa è fondata sulla distinzione di chi è all’interno della comunità e di chi è all’esterno.La comunicazione interculturale, invece, include il problema della diversità.Per forma della comunicazione interculturale si intende una struttura sociale che rende probabile il successo, l’accettazione della comunicazione nella quale si presenta il problema della diversità culturale.

2.3: Gli strumenti della comunicazione intercultuale

È possibile analizzare l’interazione in maniera emica (analisi sul piano culturale specifico) e in maniera etica (piano generale generico).La prima serve ad analizzare le specificità di una cultura unica, mentre la seconda analizza strategie di adattamento culturale ed empatia.I processi che coinvolgono le dinamiche della comunicazione interculturale e che generano competenza e abilità si dividono, secondo Bennet, in quattro dimensioni:

- Dimensione del linguaggio e della relatività dell’esperienza: mostra che i soggetti coinvolti nella comunicazione sono predisposti dal linguaggio stesso ad operare per certe distinzioni piuttosto che per altre.

- Il linguaggio paraverbale che si sostituisce, si aggiunge e si intreccia con quello verbale: si distingue il linguaggio verbale/digitale (sintassi complessa ed efficace) da quello non verbale/analogico (presenta ambiguità);

- Gli stili di comunicazione come indicatori delle modalità attraverso cui i partecipanti all’interazione esprimono schemi culturali di pensiero: lo stile lineare (occidente) è incentrato su una connessione

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consequenziale degli argomenti, mentre quello contestuale (oriente) si articola come la narrazione di una metastoria;

- Le ipotesi ed i valori culturali indicativi di come la realtà viene definita e giudicata: analizza gli schemi di bene e male che le persone attribuiscono ai modi di stare al mondo. Il metodo d’analisi più usato è il Kluckhon/Strodbeck, che definisce cinque dimensioni fondamentali: la realzione delle persone all’ambiente, tra loro, con l’attività, con il tempo e con la natura dell’essere umano. Ogni cultura presenta al suo interno tutte le posizioni secondo una scala di valori differente, ma una certa posizione è preferita ad altre e diventa valore culturale.

2.4: Gli ostacoli nella comunicazione interculturale

Barna classifica gli ostacoli riscontrabili nell’azione comunicativa interculturale sulla base di sei elementi:- Le differenze linguistiche;- I fraintendimenti non verbali;- L’assunto di similarità: un atteggiamento che sottende l’idea dell’universalità del genere e della

natura umana per cui si elimina qualsiasi possibilità di espressione al problema della differenza.è un ostacolo perché conferma il senso di sicurezza degli interlocutori rispetto a quanto sta accadendo, ostacolando l’adattamento culturale, inoltre interferisce con l’attenzione richiesta per decodificare simboli, segni e segnali non verbali. Per superare l’ostacolo è necessaria cautela e l’accettare l’incertezza di non sapere;

- Stereotipi e pregiudizi: i primi si presentano come porzioni di sapere utilizzate per comprendere un altro gruppo; i secondi si esprimono come opinioni preconcetti acquisiti in base alle opinioni comuni. Sono ostacoli perché cristallizzano la realtà della comunicazione tra persone;

- Lo shock culturale: insieme di reazioni emotive dovute alla perdita di rafforzamenti percettivi provenienti dalla cultura di appartenenza, ai nuovi stimoli culturali che hanno poco o nessun significato, e all’incomprensione di esperienze nuove e differenti. Si favorisce il vecchio rispetto al nuovo. Adler divide lo shock in cinque fasi: euforia del contatto, confusione della disgregazione, rabbia della reintegrazione, rilassata auto certezza dell’autonomia e creatività dell’indipendenza. Bennet utilizza questo schema per creare il Modello Dinamico di Sensibilità Interculturale (MDSI), che analizza l’evoluzione dell’esperienza dello shock e la divide in sei fasi: la negazione (le persone sono incapaci di spiegare le differenze culturali in modi complessi); la difesa (le persone riescono meglio a concettualizzare la diversità, ma le danno ancora valore negativo); la minimizzazione (si cerca di annullare la diversità culturale all’interno di categorie già note di similarità); l’accettazione (le persone si rivelano capaci di riconoscere ed esplorare le differenze culturali); l’adattamento (le persone ampliano la loro capacità culturale); l’integrazione (le persone riconciliano i “frame” culturali che hanno interiorizzato).

Una buona comunicazione interculturale si fonda su una forte identità, consapevole dei valori e degli schemi che influiscono sulla propria cultura e quindi in grado di osservare gli altri in modo empatico partecipando al loro universo comunicativo per mezzo del dialogo.

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2.5: Dialogo ed empatia nella comunicazione interculturale

Per Bennet e Baraldi, empatia e dialogo sono gli unici valori capaci di decostruire atteggiamenti psicologici, schemi culturali e sistemi sociali precostituiti e predeterminati. Per Bennet l’empatia (partecipazione intellettuale ed emotiva dell’esperienza altrui) si oppone alla simpatia (mettersi nei panni altrui), mettendo in gioco la prospettiva sull’evento.La differenza tra atteggiamento simpatico ed empatico viene definita dalla prospettiva di chi la assume: se si assume un atteggiamento empatico si partecipa all’esperienza dell’altro, piuttosto che mettersi nei suoi panni, e l’interesse sarà concentrato sull’esperienza e la prospettiva, piuttosto che sulla posizione.La simpatia ha i vantaggi della facilità, la credibilità, l’accuratezza e il senso di sicurezza; però ha anche alcuni svantaggi: è insensibile alle differenze, è paternalistica, alimenta atteggiamenti difensivi e favorisce l’assunto di similarità.La risposta simpatica è l’elemento distintivo dell’individuo culturalmente insensibile (colui che elude lo scambio comunicativo interculturale). La personalità realmente interculturale dovrà allenarsi allo sviluppo del sentimento empatico che si evolve secondo diversi stadi: assumere la diversità, mantenere la coerenza della propria identità, sospendere il sé e il giudizio, fare in modo che l’immaginazione produca un cambio di prospettiva verso l’altro, accogliere l’esperienza empatica e ristabilire il sé.Alla base dell’atteggiamento empatico c’è l’assunto che ogni essere umano è unico; ciò porta alla consapevolezza che ogni realtà è una costruzione guidata dalla cultura.Secondo Bennet la propria visione della realtà è visibile solo a se stessi; ciò dovrebbe favorire il riconoscimento dell’esperienza diversa altrui e incoraggiare la volontà di parteciparvi.Secondo Baraldi l’empatia è la componente fondamentale del dialogo. Si tratta di mantenere un atteggiamento di apertura intellettuale, emotiva e culturale affinchè il problema dello scambio comunicativo su basi culturali non omogenee possa porti a livello sociale.La comunicazione è interculturale quando produce il significato di una mancata condivisione dei simboli culturali dei partecipanti a causa di una mancata generalizzazione della loro accezione.Baraldi riconosce nel dialogo la forma di comunicazione interculturale per eccellenza che realizza l’unica forma comunicativa capace di superare gli ostacoli dell’apertura illimitata all’alterità (volontà di assimilazione e fusione) e del permanere costante sulla soglia comunicativa (abdicare all’azione comunicativa stessa).Il dialogo definisce le condizioni di apertura all’altro e permette di realizzare soglie di passaggio tra forme culturali, configurandosi come un incontro che crea le condizioni per un’apertura reciproca che permette ai partecipanti di creare nuovi simboli culturali.È importante che ci sia un riconoscimento della diversità altrui.Il dialogo è l’unica possibilità di comunicazione interculturale, poiché si sostanzia come comunicazione bilanciata, fondata sulla consapevolezza che la conoscenza si costruisce nella comunicazione e non è detenuta da un gruppo privilegiato poiché richiede la negoziazione reciproca di simboli e significati culturali nuovi.Affinchè si realizzi il dialogo servono condizioni sociologiche e cognitivo-affettive.Il dialogo è un processo creativo di co-costruzione delle forme culturali nella comunicazione sulla base della partecipazione attiva e dell’empatia, e si rivela capace di definire forme simboliche emergenti.Anche l’approccio ermeneutico all’intercultura sottolinea che l’empatia non può limitarsi ad essere una mera caratteristica della comunicazione, ma deve diventare un processo consapevolmente attivato, in modo da produrre competenze ed abilità realmente interculturali.L’empatia si sostanzia lizza come una “dimensione del sentire con” che permette la condivisione e la comprensione dell’altro in una dimensione fluida e relazionale nella quale nessuno degli attori sociali

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smarrisce la propria identità, poiché entrambi si proiettano nella ricerca aperta e creativa di compenetrazioni, scambi e inferenze, cercando di evidenziare sovrapposizioni, coincidenze e analogie che permettono la costruzione di significati convergenti tra culture diverse, consentendo la comprensione interculturale su ogni livello.L’empatia si rivela un processo intenzionale in cui si entra in rapporto profondo con l’altro senza smarrire la propria identità.Per Stein l’esperienza empatica è originaria in quanto vissuto presente, mentre il suo contenuto non è originario. L’atto empatico è un atto ocncreto e originario attraverso il quale è possibile cogliere in modo non originario un vissuto estraneo.

2.6: Comunicazione interculturale e scuola

La prospettiva interculturale nell’educazione nasce, nella letteratura pedagogica, negli anni ’70, caratterizzati dal fenomeno dell’immigrazione.Nelle scuole italiane, lo sviluppo dell’intercultura ha seguito le stesse fasi delle altre scuole occidentali e dall’assimilazione si è passati alla multiculturalità come scoperta del pluralismo. Le politiche scolastiche si sono evolute da un atteggiamento pedagogico di tipo compensativo ad un atteggiamento di culturalizzazione delle differenze, fino ad arrivare ad una fase universalista dove l’intercultura si pone come progetto globale e costituente dell’educazione stessa e quindi rivolto a tutto il mondo discente.Tenendo conto dei fenomeni migratori e delle trasformazioni che questa realtà causa alle istituzioni scolastiche, una tematica importante delle scienze sociali è la riflessione sull’educazione interculturale come analisi della distanza tra le culture che si incontrano, poiché tale incontro ha conseguenze diverse sotto il profilo della conoscenza e delle comunicazione reciproca.L’educazione interculturale è un progetto educativo intenzionale che si propone di modificare le percezioni e gli abiti cognitivi con cui generalmente si rappresentano sia le diversità sia il nuovo mondo delle interdipendenze. La scuola diventa un punto nevralgico per la costruzione di una interculturalità possibile.L’educazione interculturale ha come oggetto di studio le relazioni con l’altro dal punto di vista umano, psichico, culturale e sociale e si caratterizza da tre elementi distintivi:

- L’opzione dialettica, che sia articola come punto di congiunzione tra diritto alla differenza e ricerca di una coesione sociale;

- La sincronia, poiché si pone come studio di ciò che avviene in presenza di persone, gruppi o culture diverse;

- La progettualità, poiché non può prescindere da una trasformazione reciproca e dinamica dei soggetti coinvolti.

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Parte 2

3: I media

3.1: Il percorso evolutivo dei mezzi di comunicazione di massa

Se pensiamo alla storia dell’uomo e alla comunicazione da lui inventata, bisogna far riferimento a tre punti:- L’invenzione del linguaggio orale;- L’invenzione della scrittura;- L’invenzione della stampa di Gutemberg.

Il XX secolo è stato caratterizzato dalla nascita della comunicazione elettronica.La prima metà del XX secolo è caratterizzata, all’inizio, dai mezzi stampa, a cui successivamente si affiancarono telefono, fonografo e cinema.La seconda metà del XX secolo è segnata dalla televisione, che ha inciso molto sulla cultura dei diversi paesi.I new media sono caratterizzati da interconnettività, accessibilità agli utenti sia come emittenti che come riceventi, molteplicità d’impiego, interattività e delocalizzazione. Hanno rivoluzionato la comunicazione, ma nascono comunque dai vecchi media, sono quindi da considerare nell’ottica della compresenza, piuttosto che della sostituzione.

3.2: I media e i consumi culturali in Italia nel secondo Novecento

Dopo la II Guerra Mondiale, i media si pongono come indicatori dei processi di modernizzazione.I consumi culturali sono prodotti dall’industria culturale nata nel XX secolo a seguito di un’industrializzazione che estende il suo potere sull’intero globo e fu percepita in modo apocalittico nella prima metà di esso. Cinquant’anni dopo inizia la seconda industrializzazione, quella dello spirito, dove la tecnica penetra all’interno dell’umano, dove riversa merci culturali. Importante è la relazione tra produzione e consumo.In Italia, alcune cause hanno condizionato negativamente il trend positivo della modernizzazione:

- Apparati industriali in ritardo nel comprendere l’industria culturale;- Idiosincrasie nei confronti dell’innovazione tecnologica;- La gestualità politica e l’iniziativa legislativa oscillano tra interventismo e freno e latitanza e

dimissione;- Scarsa educazione ai nuovi linguaggi.

Il medium più influente in Italia fu la televisione, arrivata nel 1954 con la RAI. Ha avuto funzioni pedagogiche e di alfabetizzazione.Con la TV commerciale vengono soddisfatti altri bisogni culturali: intrattenimento, informazione, spettacolo, cultura, sport e fiction.Ma a metà degli anni ’90, con l’esaurimento delle risorse televisive e l’avanzare di nuove tecnologie, i media generalisti perdono appeal, a favore della multimedialità dei new media.L’ultimo decennio del XX secolo si chiude con la disinformazione da TV e con un rapporto alternativo ed inedito con la tastiera della comunicazione.

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3.3: I media in Italia nelle ricerche del Censis: 2000-2007

Secondo “Il settimo rapporto sulla comunicazione” (2008), i media devono essere considerati come elementi costitutivi dell’ambiente sociale all’interno del quale ogni comunità ed ogni individuo si trovano a vivere. I media vengono analizzati come sistema all’interno di un tessuto socioeconomico e socioculturale e come sistema dei media che si pongono come nuovi strumenti di comunicazione.I principali consumatori di media sono i giovani, che hanno sviluppato indifferenza rispetto agli strumenti adoperati intesi sia come mezzi che come veicoli di conoscenza.Il digital divide (divario digitale) si percepisce non solo tra giovani ed anziani, ma anche tra chi ha accesso ai new media e chi non ne ha.

3.4: La multitasking generation e i consumi mediali

I media sono massicciamente presenti nella vita dei giovani, tanto che per la generazione attuale sono stati coniati diversi termini: mobile generation, multitasking generation, ecc.

3.5: Media e pubblicità: la via italiana

In Italia la pubblicità televisiva nasce con Carosello, nel 1957.Nel decennio precedente era rilevante la pubblicità cartacea, come i calendari.Anche il film Vacanze Romane (1954) fa pubblicità alla Vespa.

3.6: La pubblicità in Italia dagli anni ’60 alla contemporaneità

Se negli anni ’60 esistevano ancora diversi tabù e si era ancora attaccati alla tradizione.Negli anni ’70, con la pubblicità Peroni, cominciano a cambiare anche i costumi sessuali: sessualità ed erotismo entrano nella pubblicità senza subire censure.Ci furono polemiche, come quelle dovute ai Jeans Jesus.Nel ’76-’77 finisce il monopolio RAI e nasce la TV commerciale, che dovette il suo successo alla pubblicità.Negli anni ’80 il mercato pubblicitario muta e la TV veicola l’idea del possesso di molti beni e della rincorsa delle marche. La moda entra nel vissuto quotidiano.La figura del pubblicitario acquisisce importanza.Negli anni ’90 gli acquisti sono più personalizzati e meno influenzati dalle mode del momento.Il pubblicitario perde potere, la pubblicità ha bisogno di rinnovarsi.Il linguaggio della pubblicità si connota di elementi nuovi, come l’ironia e il riso.Con la crisi odierna, gli acquisti diventano più personali, quindi anche la pubblicità personalizza il suo linguaggio, che esce dal cosiddetto generalismo e sembra rivolgersi più al singolo utente piuttosto che a gruppi omogenei di utenti.

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4: La media education

4.1: L’esigenza di una media education

I media hanno un peso notevole nel processo di socializzazione e si pongono come un’agenzia importante che definisce e crea la realtà sulla base del loro uso; si pongono come ambienti in grado di modellare i processi di conoscenza attraverso linguaggi ed attivazioni sensoriali di varia natura e pertanto necessitano di una educazione che consenta una gestione critica e consapevole di essi.Da qui l’esigenza di una media education intesa sia come:

- educazione con i media, considerati strumenti da utilizzare nei processi educativi generali;- educazione ai media, intesi come linguaggio, risorsa, ambiente e cultura;- educazione per i media, rivolta alla formazione di professionisti dei media.

4.2: Il cammino della media education

Il termine media education nasce in Australia negli anni ’30 e arriva sullo scenario mondiale negli anni ’70.Nel 1982 l’UNESCO riconosce il valore dei media e prospetta la responsabilità di una loro educazione, ponendo la necessità d un percorso congiunto tra scuola, famiglia, policy makers e professionisti dei media.Il Colloquio internazionale di Toulose del 1990 rafforza questa idea.La media education arriva in Italia nel 1988, con la fondazione della Facoltà di Scienze della Comuicazione dell’UPS ad opera di don Roberto Giannatelli.Nel 1996 si costituisce l’associazione italiana per i media e la comunicazione MED, grazie ad un gruppo di docenti universitari.Il suo successo è dovuto a quattro fattori, elencati da Rivoltella:

- la novità della proposta;- l’importanza del network;- l’unione tra teoria e intervento operativo perseguita col metodo della ricerca-azione;- l’apertura internazionale che ha proiettato l’Italia sulla scena mondiale.

L’affermazione della media education in Italia è legata anche alla visibilità di cui essa gode nei programmi scolastici e nelle iniziative ministeriali.

4.3: Gli obiettivi della media education: alfabetizzazione, coscienza critica, nuova cittadinanza

Gli apocalittici hanno uno sguardo luttuoso sul rapporto media-minori, mentre gli integrati si simitano a proporre un uso riflessivo dei media.La media education ha sviluppato la visione dei media come un ambiente da esplorare e conoscere, un linguaggio che caratterizza il nostro tempo e una sfida per l’educazione che deve alfabetizzare i ragazzi nella nuova cultura dei media.La media literacy (alfabetizzazione mediatica) si riferisce alla capacità di utilizzo e di critica dei media. Comporta l’acquisizione di un metalinguaggio come mezzo di descrizione di forme e strutture di diverse modalità di comunicazione.L’educazione al possesso dei linguaggi mediali si declina a vari livelli, come:

- capacità di accesso, in quanto possibilità di reperire i contenuti che interessano utilizzando la tecnologia;

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- capacità di analisi, in quanto scomposizione e comprensione del significato del messaggio in relazione ai generi e alle forme linguistiche impiegate, alle modalità di produzione e distribuzione ed alle consuetudini di fruizione per cui è stato pensato;

- capacità di valutazione, in quanto capacità di espressione di un giudizio critico sul messaggio confrontato con i parametri di riferimento personali;

- capacità di produzione di messaggi in quanto capacità di narrare e raccontare le proprie esperienze con i diversi linguaggi possibili.

4.4: Per un manifesto della media education

1) La media education non è un’istituzione, ma un movimento collettivo;2) La media education è decisiva perché parte dal terreno della comunicazione entrando nel merito

della produzione e dei contenuti;3) La media education si alimenta della forza e del fervore dell’educazione;4) La media education può contrastare le tentazioni striscianti di rottamazione della figura

dell’intellettuale;5) La media education attua una riconciliazione tra adulti e giovani e tra l’istituzione scolastica ed il

mondo esterno;6) La media education, essendo apocalittica, sostiene che sono indispensabili le uscite dal mondo per

esprimere il dissenso della modernità;7) La media education interviene sulle disuguaglianze culturali;8) La media education è un territorio di cambiamento nella misura in cui diventa un’azione concreta.

Mette in discussione la comunicazione mediale dal punto di vista etico e dei valori, e interviene per reinvestire sull’educazione;

9) La media education incide nelle tentazioni prepotenti della frammentazione e dell’individualismo e può contribuire a far uscire la scuola e la pratica educativa dalla stanchezza e dalla routine;

10) La media education valorizza nuove appartenenze.

4.5: “Primi passi nella media education”

Pubblicato nel 2006 per la Erickson, “Primi passi nella media education. Curricolo di educazione ai media per la scuola primaria” aveva l’intento di introdurre le buone pratiche della media education nella scuola primaria.Nella scuola italiana l’educazione ai media è presente dagli anni ’70, con esperienze che spaziano dal cinema alla televisione, al giornalino scolastico; a livello di documenti ministeriali si ricorda “Programmi didattici per la scuola primaria” del 1985 e gli “Orientamenti” della scuola materna del 1991.Si è passati da una programmazione per singoli laboratori alla progettazione di un curricolo di media education inteso come insieme organicamente progettato e realizzato per far conseguire agli alunni i traguardi previsti.Nella struttura del curricolo sono presenti tre elementi fondamentali:

- La distribuzione armonica dei percorsi nel tempo, tenendo d’occhio lo sviluppo dei bimbi e l’intensità delle attività proposte;

- La tipologia dei media considerati, per presentare una serie completa di incontri con ambienti mediali;

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- Il riferimento ad alcune grandi aree concettuali della tradizione della media education, per garantire la robustezza teorica del progetto e per far sì che i percorsi affrontino la riflessione su differenti aspetti dell’universo mediale e contribuiscano a sviluppare tutti gli aspetti della competenza mediale.

Il corso di media education si articola in tre bienni:1) Primo biennio: incontro con le grandi aree espressive dei media attraverso un percorso

sull’immagine fotografica, uno sulla rappresentazione video-televisiva, uno sul suono radiofonico;2) Secondo biennio: approfondimento dei concetti incontrati nel primo biennio ed apertura a tre

modalità espressive tipiche del consumo mediale dei bambini di questa età: fumetto, cartoon, ipermedialità;

3) Terzo biennio: ulteriore approfondimento del mondo televisivo e percorsi d’incontro con la stampa, internet ed i videogiochi.

Tali percorsi disegnano una mappa concettuale che vede il bambino come:- Lettore mediale: l’intenzione è di sviluppare la capacità di leggere i messaggi dei media;- Scrittore mediale: l’intenzione è di sviluppare la capacità di costruire un prodotto mediale;- Critico mediale: l’intenzione è di sviluppare spirito critico attraverso la dimensione etica, estetica e

socioculturale;- Fruitore mediale: l’intenzione è quella di sviluppare la capacità di scelta nei confronti del consumo

mediale all’interno di un panorama di offerte;- Cittadino mediale: l’intenzione è quella di far comprendere che i media mettono in relazione gruppi

di persone e che contribuiscono a costruire società e cultura.

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Parte 3

5: La Cittadinanza

5.1: Le radici della cittadinanza e il suo viaggio nella storia

I concetti di cittadino e cittadinanza si riferiscono a persone che, oltre a vivere nello stesso territorio, condividono leggi, istituzioni, cultura, lingua, bandiera e simboli.Nell’antica Grecia i cittadini erano un anello di congiunzione tra schiavi e governanti, oltre ad essere coloro che si distinguevano dagli stranieri, ottenendo quindi vantaggi sociali nella città e consigliando il governo.Questa idea di cittadino si ritrova nell’antica Roma, dove erano considerati tali il pater familias e il civis romanus.Nel medioevo il cittadino non consiglia più, ma si occupa di commerciare.Con la Rivoluzione Francese, la borghesia si ripropose di governare.Per tutto l’800 in Europa e America si affermarono diritti di libertà e diritti politici, fino al riconoscimento del suffragio universale per uomini e, infine, per donne.Nel ‘900 si affermano i diritti sociali con l’obiettivo dell’uguaglianza sostanziale.Il processo di costruzione d’identità attraverso la concettualizzazione del “noi” e del “gli altri” è messo in crisi dalla globalizzazione.In Italia, nel 1948 si è dato valore alla cittadinanza in termini di inclusione di tutti i cittadini.Cadde la sovranità del re e furono fatti valere i diritti di libertà e la libera determinazione della persona umana nell’intraprendere e svolgere ogni azione che non ledesse la libertà altrui.La chiesa ha valorizzato la famiglia, mentre il socialismo il lavoro e la dignità di classe.Nella nostra Costituzione la cittadinanza è partecipazione democratica alla vita economica, politica, sociale e culturale del paese, senza distinzioni di razza, sesso, religione, ecc.

5.2: Cittadinanza, appartenenza e la struttura concentrica dell’appartenenza

Col termine cittadinanza si intendono sia la condizione di appartenenza di un individuo a uno stato, sia alle questioni relative all’acquisto e alla perdita dello status di cittadino.Col tempo, questo termine è diventato più tecnico, e denota il rapporto tra individuo e l’ordine politico-giuridico in cui vive.L’appartenenza come riconoscimento giuridico può essere rappresentata, secondo Brubaker, da una struttura di cerchi concentrici: al centro ci sono i cittadini veri e propri, mentre all’esterno ci sono i non-cittadini, che possono occupare diversi piani. L’Unione Europea ne rintraccia tre:

- Cittadini appartenenti a uno stato sulla base di un legame privilegiato e costituzionalizzato;- Non-cittadini comunitari;- Stranieri extracomunitari.

Vi sono piani occupati anche da irregolari e clandestini.In questa struttura, più ci si allontana del centro, più il legame d’appartenenza viene meno.L’appartenenza di manifesta nella partecipazione.

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5.3: Cittadinanza: la prospettiva sociologica

La cittadinanza sociologica è divenuta equivalente a cittadinanza sociale, portando altri settori disciplinari ad invitare a non connettere troppo cittadinanza e diritti sociali per evitare di alimentare incongruenze con l’uso tradizionale di cittadinanza, quello politico-giuridico.Nella prospettiva sociologica, il concetto di cittadinanza è usato anche per motivare l’esistenza di comunità non tradizionali e non gerarchiche, corrispondenti alle società del contractus, non dello status.Per Durkheim, la cittadinanza è un elemento della solidarietà organica, opposta all’integrità meccanica.Per Marshall, la cittadinanza produce uguaglianze nella scena sociale.Si ritiene che la cittadinanza costituisca una comunità fatta di intenzioni collettive e non di tradizioni, e che i cittadini diventino autonomi realizzando l’autodeterminazione sociale.Nella prospettiva sociologica risultano conseguenti la potenzialità d’integrazione della cittadinanza e la capacità di affrontare fonti di conflitto sociale come giustizia, comunità e istituzioni politiche.Riguardo i diritti sociali, si individuano tre tipi di iscrizioni: statalista, integrazionista/comunitario, e la democrazia economica.Anche per la cittadinanza giuridica ci sono tre metodi di appartenenza: jus sanguinis (relazione, mediante nascite, ad un’appartenenza originaria), lo jus soli (nascita nei confini dello stato) e la reciprocità delle disposizioni giuridiche.Per il sociologo, la cittadinanza si verifica sia con condizioni materiali ed una certa ridistribuzione delle risorse, sia come utile illusione per edificare una società moderna.Tuttavia i sociologi temono un mancato compimento di uguaglianza, universalità e democrazia, anche per via di alcuni paradossi e tensioni derivanti dai rapporti conflittuali tra giustizia e comunità, ridistribuzione e riconoscimento. Vi sono alcune soluzioni: l’evoluzionistica concettualizza comunità, procedure e giustizia in modo da non farle entrare in conflitto tra loro; la finalistica prevede che i tre principi si coordino in armonia; la filosofica intraprende il percorso dell’impegno normativo forte.Marshall o crede alla prima soluzione, o diffida di tutte e tre perché insoddisfacenti: la prima è troppo semplicistica, la seconda troppo fantasiosa, la terza troppo ideologica o speculativa.Il sociologo pensa allora di separare la giustizia dall’identità e la partecipazione da identità e giustizia e rendere i diritti sociali diritti di mercato, ma questo comporta rischi, per cui se non si vogliono perdere i diritti sociali non si possono separare giustizia e comunità, e se non si vuole rendere irrilevanti i diritti politici non si può attuare una partecipazione senza legami con identità e giustizia.Si può obiettare che un concetto di cittadinanza riferito alla titolarità dei diritti soggettivi o ai diritti sociali è troppo ampio (perché finisce per generalizzare) e troppo angusto (perché insiste troppo sulla centralità dei diritti sociali).La prospettiva sociologica della cittadinanza non integra giustizia e comunità perché ritiene che la giustizia come uguaglianza di diritti non tolleri l’esclusione dei non-cittadini dai diritti goduti dai cittadini.Vi sono due letture contrastanti della visione del cittadino:

- Statalista: cittadino protetto dallo stato, di cui è suddito rispettoso;- Societaria: scopo della cittadinanza è di promuovere l’attività sociale del cittadino.

La prospettiva sociologica non percepisce chiaramente queste due figure di cittadino.Nella discussione contemporanea sulla cittadinanza sono stati teorizzati cinque modelli ideali:

- Tipo contrattuale: il cittadino è colui che, mediante contratto o convenzione, decide di prendere parte ad una comunità politica;

- Tipo organico: i cittadini devono radicarsi in un ordine comunitario pre-politico che risulti immune alle pratiche riflessive ed alla autonomia individuale e che, di conseguenza, l’ordinamento politico dovrà solo rendere visibile;

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- Tipo cosmopolita: nega l’idea di cittadinanza come status specifico e distinto, rendendo la cittadinanza una posizione coestensiva a quella di umanità;

- Tipo post-moderno: contesta e decostruisce il concetto di cittadinanza in nome della crisi dello stato moderno;

- Tipo interazionistico: prevede che la società non sia considerata né un’impresa del tutto riflessiva né del tutto irriflessiva; la solidarietà di cristallizza attorno a principi espliciti e a pratiche corrispondenti a interazioni sociali.

5.4: Il dibattito contemporaneo su cittadinanza e immigrazione

Il problema dei migranti e dei loro diritti emerge come carico di difficoltà, quando si affronta il tema della cittadinanza.La globalizzazione aumenta il numero dei residenti privi dello status di cittadino; ciò rischia di creare conflitti tra le politiche statali e gli standard internazionali sui diritti umani. Per esempio in alcuni paesi i non cittadini non hanno diritto ad alcuni servizi.Questa opposizione tra cittadini e stranieri ostacola le rivendicazioni dei migranti di diritti fondati sull’universale condizione di individuo.Secondo Bourdieu e Sayad, gli immigrati sono percepiti come fuori posto dai cittadini perché ritenuti colpevoli di perturbare l’ordine basato sulla coincidenza tra comunità politica e nazione. Si parla di funzione specchio dell’immigrazione: pensare l’immigrazione vuol dire pensare lo stato.Catherine Neveu identifica in Inghilterra e Francia il concetto di nazionità: una frontiera simbolica che resta ancora largamente il metro sulla base del quale è misurata la legittimità delle domande e delle azioni di individui e gruppi.In Italia, Kossi Komla-Ebri parla della necessità di deterritorializzare l’identità, ossia smettere di etichettare una persona in base alla nazionalità.Non è detto che i migranti desiderino aderire del tutto alle usanze del paese di arrivo; sono interessati ad ottenere diritti, ma non la cittadinanza.Yasemin Soysal sostiene che si stia affermando un’appartenenza postnazionale in cui lo statuto della personalità tenderebbe a sostituirsi alla cittadinanza come fonte dei diritti.I diritti dei cittadini diventano più simili a quelli umani; ciò ne comporta una maggiore rivendicazione.Alcuni parlano di cittadinanza transnazionale (legami duraturi tra persone, reti e organizzazioni attraverso i confini di diversi stati-nazione, più o meno istituzionalizzati) e di diaspore (che permettono di studiare un fatto sociale che racchiude assieme rottura parziale, mantenimento di certi legami con l’origine, ristrutturazione e ricomposizione degli stessi nelle società d’immigrazione).Neveu propone di relegare la nationità nell’ordine del privato e dell’individuale.Alain Touraine sostiene che la democrazia contemporanea deve riconoscere la libertà creatrice del soggetto, la cittadinanza non può consistere nella fusione di tutte le identità in una coscienza nazionale unificante, ma nell’accrescimento della diversità e nel rafforzamento dei diritti di ciascuno.Ralf Dahrendorf sostiene che il reale test di rafforzamento dei diritti di cittadinanza sia l’eterogeneità.Van Gunsteren afferma che il compito della repubblica sia organizzare il pluralismo.Le soluzioni sono, per Gerd Baumann la ricerca di un nuovo concetto di cultura (dialogico, processuale e discorsivo); per Annamaria Rivera di un universalismo non eurocentrico, non primatistico e policulturale in grado di dare il via ad una cittadinanza inclusiva e transnazionale; per Gerard Delanty serve un universalismo differenziato in grado di trovare nuovi criteri di inclusione di tutti; Mezzadra afferma che per rendere la cittadinanza meno esclusiva serve riaprire il movimento costitutivo guardando all’appartenenza

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come ad una forma di identificazione; Fabio Berti sottolinea il ruolo chiave della città, in cui si concretizzano i principi della cittadinanza.

5.5: Kymlicka e la “cittadinanza differenziata”

Secondo Kymlicka le minoranze nazionali richiedono la creazione di una loro realtà, mentre i secondi si adattano, pur respingendo l’assimilazione. Vi sono poi i coloni che cercano di riprodurre la loro società sulla terra di arrivo, della quale rifiutano il modello societario.Perciò Kymlicka contempla tre tipi di diritti di cittadinanza differenziata:

- Diritti di autogoverno: rivendicano l’autonomia politico-territoriale, col trasferimento di poteri a un’unità politica presieduta dalla minoranza nazionale;

- Diritti polietnici: rivendicati da gruppi etnici che vogliono esprimere la loro specificità culturale senza essere penalizzati sui piani economico, politico e sociale;

- Diritti di cittadinanza speciale: rappresentano soluzioni per ridurre le discriminazioniTutti i diritti differenziati contemplano restrizioni interne (reclamate da gruppi nazionali o etnici per difendersi dal dissenso interno) e tutela esterna (gruppi nazionali o etnici respingono le spinte omologanti provenienti dalla cultura dominante).Per Kymlicka i diritti di autogoverno sono ipotizzabili con riferimento agli stati multinazionali e a favore delle minoranze; i diritti polietnici sono ipotizzabili per gli stati polietnici a sostegno di minoranze etniche di immigrati; le rappresentanze speciali sono adottabili in entrambe le situazioni.Le tutele esterne danno il diritto di mantenere il proprio originario modo di vivere, le restrizioni interne impongono l’obbligo di mantenerlo. Kymlicka ammette le prime e respinge le seconde.I diritti differenziati sono ammissibili solo se non compromettono libertà ed autonomia personali.Le tutele esterne assicurano ai membri delle minoranze le stesse opportunità della maggioranza, mentre i diritti differenziati possono arrivare ad imporre a chi condivide la cultura dominante dei sacrifici per il riconoscimento di diritti polietnici o di autogoverno, ma inferiori a quelli sopportati dalla minoranza.

5.6: Habermas ed il “patriottismo costituzionale”

Per Habernas è sufficiente; riconoscere anche politicamente i valori culturali costitutivi di un’identità collettiva; valorizzare le diversità culturali ispirandosi a criteri costituzionali universalistici; riconoscere ai titolari dei diritti individuali un’identità conseguita tramite socializzazione.Le tradizioni culturali non possono essere garantite per via amministrativa, ma essere confermate o messe in discussione da ciascun individuo concepito come libero.Circa la questione dell’integrazione, Habermas distingue due livelli:

- Politico-costituzionale: contrassegnato da una cultura politica comune in cui tutti si riconoscono, una cultura che si esprime nell’interpretazione dei principi costituzionali, sulla quale possono nascere controversie circa le modalità di intendere e di attuare i medesimi principi e i medesimi diritti fondamentali, che sono a fondamento del patriottismo costituzionale che ha un contenuto etico che però non deve compromettere la neutralità del diritto rispetto alla pluralità delle espressioni culturali.

- Sub-politico: integrazione etica non neutrale dove ogni persona è considerata anche come membro di una comunità integrata intorno ad una determinata concezione del bene.

Kymlicka poteva riconoscere i diritti collettivi, per Habermas esistono solo i diritti individuali.

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6: La Cittadinanza europea

6.1: La cittadinanza euroepa: status quaestionis

Bibliografia sulla cittadinanza europea:- Verso la cittadinanza europea (Mario Sica, 1979);- La cittadinanza europea (Vincenzo Lippolis, 1994);- La cittadinanza europea: i diritti dei cittadini dell’Unione Europea (Maria Cristina Pensovecchio,

1994);- Cittadinanza europea e extracomunitari: il fenomeno dell’immigrazione nel processo di

integrazione europea (AA.VV., 1995);- La cittadinanza europea: evoluzione delle norme e suggerimenti applicativi (AA.VV., 1995);- Cittadinanza europea e libera circolazione delle persone (Maurizio Orlandi, 1996);- Educazione civica e cultura costituzionale: la via italiana alla cittadinanza europea (1999);- La cittadinanza europea (convegno, Angela Del Vecchio, 1998);- La cittadinanza europea: evoluzione, struttura e prospettive nuove per i diritti soggettivi (Linda

Cotesta, 2002);- Cittadinanza dell’Unione Europea e libera circolazione delle persone (Massimo Condinanzi, 1993);- 1957-2007: dai trattati di Roma all’Europa dei cittadini (Paola Nicoletti, 2007).

6.2: Cittadinanza europea

La cittadinanza europea è una condizione complementare, che si aggiunge alla cittadinanza di uno stato membro e non la sostituisce. Poiché le condizioni per essere cittadini di uno stato variano a seconda dello stato, lo stesso vale per la cittadinanza europea.La cittadinanza europea comprende:

- La libertà di circolare e soggiornare negli stati dell’UE;- Il diritto di voto e di essere eletti alle elezioni comunali e alle elezioni per il Parlamento Europeo

nello stato membro in cui l’individuo risiede; - Il diritto a una protezione diplomatica e consolare più ampia.

Buona parte dei diritti previsti dalle norme comunitarie sono riconosciuti a chiunque risieda nell’UE, anche a chi non ha la cittadinanza di uno stato membro.L’UE costituisce una forma diversa e più intensa di aggregazione fra i paesi comunitari col compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli stati membri e tra i loro popoli.Nel Trattato di Maastricht viene determinato il contenuto della cittadinanza. Ogni cittadino:

- Gode dei diritti ed è soggetto ai doveri previsti dal Trattato CE;- Ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri fatte salve le

limitazioni e le condizioni previste dal Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso;

- Ha, se residente in uno stato membro senza possederne la cittadinanza, il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto stato;

- Ha, nello stesso caso precedente, il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto stato;

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- Gode, nel territorio di un paese terzo, nel quale lo stato membro di cui ha la cittadinanza non sia rappresentato, della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto stato;

- Ha il diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo;- Può rivolgersi al Mediatore.

La prima proposta rivolta all’istituzione della cittadinanza europea fu avanzata dall’Italia nel 1972, ma venne rinviata al 1974, ma non venne accolta appieno.Nel 1977 fu firmata una Dichiarazione del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione sul rispetto dei diritti fondamentali.La cittadinanza europea prende corpo col Progetto di Trattato del 1984.Nel 1989 il Parlamento adotta la Dichiarazione dei diritti e delle libertà fondamentali e nel 1990 chiede, in “Diritti e libertà fondamentali ed Europa di cittadini”, l’inserimento di trattati di disposizioni volte a sviluppare forme comuni di cittadinanza europea.Nello stesso anno Gonzales proponeva una cittadinanza dell’Unione, e la sua idea venne ripresa dalla Commissione CEE che modificò il Trattato di conseguenza: chiunque fosse cittadino di uno stato membro era cittadino europeo.Nel 1991 si aveva ormai un progetto di articoli del Trattato.Il Trattato conferisce al cittadino altre e nuove situazioni giuridiche, ma risulta carente di riferimenti ai diritti sociali, in particolare al mantenimento e all’assistenza sociale per gli indigenti.Le proposte del Trattato di Maastricht (1992) si sono ampliate col Trattato di Amsterdam del 1997 ed entrato in vigore nel 1999. Con questi trattati l’Europa di è proposta di assicurare la sicurezza delle forntiere esterne, una politica comune in materia di immigrazione e asilo, e un’azione efficace di prevenzione e contrasto della criminalità.Nel 1999 i punti del programma dei Governi dell’UE erano:

- Redazione di una Carta che riunisse i diritti dei cittadini europei;- Creazione di una politica comune d’immigrazione e asilo, e una maggior cooperazione giudiziaria.

Fu istituita una Convenzione i cui tre obiettivi erano:- Definire un testo dal carattere costituzionale, un catalogo di diritti;- Inserire nella Carta diritti sociali ed economici come diritti fondamentali;- Includere i nuovi diritti sanciti solo da alcune costituzioni più recenti.

La Carta dei diritti fondamentali venne proclamata nel 2007 ed entrò in vigore nel 2009.

6.3: Cittadinanza attiva

Iniziative per sostenere la cittadinanza attiva:- Education à la citoyennetè dèmocratique (1997);- Cittadinanza Europea Attiva (2004);- Civil Sociey Index (2007-2013)

Il rapporto tra amministrazioni pubbliche e cittadini è sempre stato fondato su separazione e contrapposizione (paradigma bipolare).Per superare il paradigma bipolare è necessario affermarne uno nuovo che sia sussidiario e risolvere così anche il problema derivante dalla convivenza di amministrazione autoritativa tradizionale e dell’amministrazione di prestazione, su cui si fonda il Welfare State.Lo schema bipolare non è adatto a spiegare il rapporto tra poteri pubblici e cittadini nell’ambito dell’amministrazione di prestazione, che ha incentivato il problema della tutela dei diritti degli utenti.

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I nuovi principi degli anni ’90 stemperano separatezza e contrapposizione fra amministratori e cittadini.Ciò è cominciato nel 1990 con l’ordinamento dei princìpi di trasparenza, partecipazione, semplicità, autonomia, responsabilità, distinzione fra politica e amministrazione, e sussidiarietà.Le amministrazioni pubbliche sono costrette a tenere conto dell’Altro, un soggetto non solo amministrato, ma anche portatore di interessi.Col nuovo modello di amministrazione condivisa, i cittadini attivi attuano qualcosa che ha a che fare con l’essenza stessa della democrazia e con lo sviluppo dei suoi valori.

6.4: Il principio di sussidiarietà come fondamento di cittadinanza attiva

In Italia la cittadinanza come partecipazione attiva assume senso giuridico-formale nel 2001.Riferimenti alla sussidiarietà risalgono al 1997 e al 2000.La sussidiarietà ha il duplice valore di:

- Impiego di tutte le risorse disponibili dello Stato;- Riconoscimento effettivo, in quanto costituzionale, del cittadino come persona umana che esplica

attività.Nella cultura della sussidiarietà orizzontale, la nuova frontiera della cittadinanza deve essere la capacità di auto-organizzazione e l’abilità relazionale di tutti i soggetti di una società complessa, in cui ciascuno di essi stabilisce rapporti autonomi con gli altri e qualificano le proprie capacità di rappresentanza e soddisfazione degli interessi individuali convergenti nell’interesse generale.Va sottolineato il passaggio da cittadinanza come appartenenza alla cittadinanza-amministrazione.Il principio di sussidiarietà viene interpretato in due modi:

- Neoliberista: possibilità di un intervento diffuso dell’iniziativa privata nel campo dei beni comuni, col ruolo di regolare e, nel caso, di acquirente da parte dello stato;

- Democratico: si rivendica il riconoscimento di un’azione diretta dei cittadini nel processo decisionale delle politiche pubbliche.

C’è un nesso tra democrazia e sussidiarietà orizzontale, perché nascono nuove forme di partecipazione democratica che si configurano come una moderna forma di esercizio della sovranità popolare.

6.5: “Cittadinanza responsabile” e educazione alla convivenza civile

La definizione di “cittadinanza responsabile” e il concetto di educazione alla cittadinanza si basano sulle definizioni stabilite dal Consiglio d’Europa nel progetto sull’Educazione per una cittadinanza democratica.Si può affermare che la cittadinanza responsabile riguardi materie legate alla conoscenza e all’esercizio dei diritti e dei doveri civici.L’educazione alla convivenza civile si ricollega a tutte le discipline e si presenta come un ambito di ordinamento tematico delle attività scolastiche, innovativo rispetto alle classificazioni usate finora.Si passa dall’educazione del cittadino attivo a quella alla convivenza civile, dove conta più la sfera privata.Per aumentare la partecipazione giovanile alla democrazia rappresentativa, si utilizza la democrazia anche nelle scuole.Nel 2005, Anno europeo della cittadinanza attraverso l’Istruzione, il Consiglio d’Europa si pose tre obiettivi:

- Aumentare la consapevolezza che l’educazione può sviluppare una cittadinanza democratica;- Rendere l’educazione alla cittadinanza una priorità per gli Stati membri;- Fornire gli strumenti concreti per favorire questi risultati.