conferenza :vita al fronte e nel paese cartina del fronte ...porreca... · gatti – generale e...
TRANSCRIPT
Conferenza :vita al Fronte e nel paese
Cartina del fronte italiano
Nel maggio del 1915 la frontiera tra Italia e Impero austro -
ungarico correva lungo la linea stabilita nel 1886 al termine della
3° guerra d’indipendenza e dell’annessione del Veneto: era un
confine prevalentemente montuoso.
Toccava il punto più basso in corrispondenza del Lago di
Garda,ma in molti punti sfiorava i 4000 m. di quota. La particolare
morfologia dei monti imponeva al confine un andamento assai
irregolare con forti e frequenti dislivelli.
Il fronte si stabilizzò più o meno su questa linea,dividendosi in
due teatri di guerra :uno più propriamente alpino composto dal
saliente trentino e dalla cresta cadore- carnica (Adamello –
Tarvisio),il secondo carsico isontino (da Tolmezzo fino al mare).
Il fronte più propriamente di montagna si estese dall’Adriatico al
passo dello Stelvio per 650 Km e ,per le sue caratteristiche
,impegnò, per quasi tutta la durata del conflitto , i soldati in una
“guerra verticale”combattuta fra le cime. Il terreno roccioso,le
avversità climatiche dovute alle alte quote determinarono il modo
di condurre le azioni e programmare le strategie. La condotta
iniziale della guerra fu lenta,incerta e eccessivamente prudente e
questo permise all’esercito austriaco di rafforzare le difese già
esistenti e di impegnare le posizioni più alte e di più facile difesa.
La sfida diventò dunque ,subito, occupare posizioni sopraelevate,
attraverso camminamenti percorsi con carichi pesantissimi .I
sodati italiani, con un tasso di militarizzazione molto basso , un
addestramento non troppo approfondito se non a volte addirittura
approssimato e un armamento,almeno all’inizio, fortemente
inadeguato,dovettero inoltre abituarsi ad un ambiente
estremamente difficile :venti
fortissimi,temporali,fulmini,temperature sotto zero,scariche di
pietre e valanghe,la neve che ne limiterà ,in modo drammatico ,i
movimenti,isolando i presidi,impedendo i rifornimenti,aggravando
la fame patita dai soldati. Si valuta che sul fronte di montagna,
circa 2/3 dei morti furono vittime degli elementi e solo 1/3 delle
azioni militari dirette :ma i primi furono ignorati e non considerati
tra i caduti di guerra il che comportò,a guerra finita, diverse
conseguenze negative anche per le famiglie.
Dopo solo alcune settimane dall’intervento in guerra,anche gli
stati maggiori dell’esercito italiano si resero conto che il conflitto
non era ormai più quello preparato per decenni.
I mezzi di difesa predisposti non riuscivano a vincere le resistenze
dell’esercito nemico,l’offesa e l’iniziativa si infrangevano sulla
difesa austriaca,gli uomini,di fronte al fuoco,non riuscivano a
rompere,se non per pochi metri, la linea difensiva nemica.
Era la morte definitiva della “bella guerra” romantica e
garibaldina :d’ora in avanti la protagonista indiscussa sarebbe stata
la “trincea “.
Le trincee :
Testo : “Erano partiti sognando un’altra guerra :bivacchi pieni di
canzoni in mezzo ai campi o in piena montagna,marce forzate
sotto la canicola…pattuglie temerarie…scontri turbinosi di masse
in campo aperto ,inebriante franchezza del
combattimento…balenio di spade e sorrisi di bandiere,gridi di
dolore e urla eroiche e la conquista nello spazio di un ritornello,la
vittoria nel giro di una canzone ! Un altro destino li aspettava al
varco :una guerra…incolore,squallida e umiliante,una lotta
sorda,clandestina e taciturna ,una sofferenza opaca e desolante,
una morte oscura,lenta e disperata.” (Paolo Giacomel -Avanti
Savoia )
Nel nostro immaginario “guerra di trincea” e “Prima guerra
mondiale” sono diventati sinonimi,perché fu proprio nella Grande
Guerra che l’interramento della fanteria nelle trincee venne eletto
a sistema ,trasformando profondamente le modalità degli scontri e
delle attività belliche.
Cosa erano le trincee?
Nelle intenzioni iniziali erano scavi rudimentali che dovevano
servire da base di partenza in attesa dello sfondamento. Invece
furono utili per il primo soccorso dei feriti e ospitarono i soldati in
attesa del successivo assalto,ma quando ci si rese conto che la
guerra non avrebbe avuto un’avanzata rapida le trincee divennero
stabilmente casa,fortificazione,cortile,ospedale,cucina e purtroppo
anche cimitero di migliaia di soldati.
Oggi delle trincee non restano che poche tracce .Poco è stato fatto
per preservarle e questo per una scelta precisa avvenuta nel primo
dopoguerra e proseguita con il fascismo :affidare la memoria della
Grande guerra ai sacrari monumentali e agli ossari per celebrare
con la dovuta enfasi l’eroismo,il sacrificio, la vittoria, cancellando
però le sofferenze quotidiane e la durezza disumana del conflitto.
La trincea era uno stretto fossato profondo circa 2 metri,altrettanto
largo ed esteso per diversi chilometri, scavato con enormi sforzi
senza perforatrici meccaniche, sulla dura rocca calcarea, armature
e fascine di vario tipo ne sostenevano le pareti, sul suolo spesso
graticci per non muoversi dentro l’acqua stagnante,ma che non
reggevano alle precipitazioni che ne allagavano buona parte.
Specie sull’Isonzo la trincea si trasformava alla prima pioggia in
un mare di fango rossiccio:
Testo : “In quei giorni di pioggia l’uomo diventa come un rettile
che si muove e si striscia nel fango. Pare incredibile,con le gambe
sepolte nel fango stanno i soldati appoggiati a gruppi l’uno
accanto all’altro col fucile tra le gambe,trovando
sonno……Sembrano uomini di creta,nessuno dei suoi cari
riconoscerebbe in loro i propri figli: sembrano
salvatici”(Giancarlo Romiti – Uomini di creta –Diario)
La conformazione della trincea dipendeva da molti fattori ma in
genere c’era una parte in scavo e una parte fuori terra costituita da
muretti di pietre ,tronchi,sacchetti a terra per fermare i proiettili.
Elementi caratteristici dell’iconografia della Prima Guerra
Testo : “Poi arrivò il sacchetto a terra. Chi ha inventato questo
amico fedele del combattente,questo alleato sicuro,che sostituisce
la pietra e che non lascia vani e ,dove è messo, non si muove più”
(Lucio Fabi –Gente di trincea )
Era inoltre composta da più linee,una dietro l’altra sia da una
parte che dall’altra del fronte e le due trincee erano divise dalla
tristemente famosa “terra di nessuno”dove non potevano
addentrarsi le squadre di soccorso e i feriti restavano abbandonati
al loro destino di morte sicura.
Testo : “Dinanzi al reticolato e alla trincea,verso il nemico, si
estendeva fino all’altro reticolato e all’altra trincea,la squallida
“terra di nessuno”. Di giorno la breve striscia era deserta. L’erba
non vi cresceva più. Se un uccello l’attraversava ,sperduto,non
cantava e spariva,gridando di sgomento. Più triste diventava
quando l’ombra saliva,viva e terribile,perché sembrava che uscisse
dal profondo e si diffondesse a poco a poco nel cielo.” (Angelo
Gatti – generale e scrittore della Prima Guerra Mondiale -_La
guerra senza confini)
Una principale debolezza del sistema era l’assenza di mobilità per
le truppe , le enormi difficoltà di spostamento dei mezzi e i
problemi di approvvigionamento. I fanti erano costretti a pesanti
servizi di trasporto verso le retrovie e anche il cibo raggiungeva
gli avamposti solo a prezzo di pesanti corvée. Ogni spostamento
era una tortura fra lo stato del suolo,il carico, le avanzate
notturne,il dedalo dei cunicoli. Il cosiddetto “labirinto” .
Comprendeva le trincee ma anche
camminamenti,scorciatoie,osservatori . Percorsi tortuosi e
rinforzati per evitare il fuoco nemico.
Testo :”un’idea fissa sopravvive a tutto: arrivare ,fermarsi
finalmente da qualche parte,non importa dove,ma fuggire alla
costrizione e al capriccio tortuoso di questo budello in cui ci si
trova” (testimonianza di un veterano).
E in questo labirinto, i feriti rannicchiati in teli tirati, distesi in
brande intrasportabili perché troppo larghe per i cunicoli,dovevano
spesso ,con un calvario indicibile,guadagnare da soli i posti di
soccorso.
Il popolo della trincea.
Nel corso della Guerra circa sei milioni di soldati furono
richiamati alle armi. Al fronte si passò da un minimo di un
milione all’inizio a più di due milioni nell’ottobre 2017.
Due dati emergono .Il primo è che, nella prima chiamata alle armi,
più della metà dei coscritti fu riformata per motivi fisici ,segno
questo di una grande diffusione in Italia della malnutrizione e
della miseria. Naturalmente ,con il prolungarsi del conflitto, gran
parte dei riformati e rivedibili fu richiamata al fronte.
Il secondo dato è che il 62 % apparteneva al mondo contadino o ai
ceti più bassi urbani e un terzo era analfabeta. Fu proprio questa
gente a sopportare materialmente le sofferenze del conflitto.
Per risolvere la carenza di ufficiali ,i giovani studenti e i borghesi
con una certa istruzione venivano mandati ai corsi ufficiali, gli
operai specializzati era addetti all’industria bellica :il popolo delle
trincee risultava quindi composto nella quasi totalità da proletari
in maggioranza provenienti dalle campagne ,inquadrati da ufficiali
di complemento provenienti dalla piccola e media borghesia e
sommariamente addestrati.
Testo : “Il nostro esercito ,composto da gente umile, obbediente
sino alla remissione,devota e fedele all’autorità, era lo specchio
del popolo di allora :contadini, artigiani e operai per lo più
analfabeti” (testimonianza anonima)
Inadatta la preparazione ,assolutamente inadatto
l’equipaggiamento :partiti nel “ maggio radioso” con le sole
dotazioni estive,convinto il Comando supremo e il governo che la
guerra si sarebbe conclusa in pochi mesi, i soldati si ritrovarono
nella neve dei 3000 metri o nei pantani delle quote basse e nel
freddo dell’inverno con scarpe di legno e divise inadeguate
Testo : “Tornano dal fronte, per i pantani delle
strade,interminabili carovane di fanti imbottiti di cenci,
inzaccherati,sfiniti,come dinastie di zingari” (Comisso –Giorni di
guerra)
Testo :”Di fronte alle piaghe prodotte dal gelo e dalle calzature
approssimative ai soldati non restava che fasciarsi i piedi con
stracci e bende :un espediente da barboni ,che tuttavia qualcuno
volle interpretare come ingegnoso espediente per andare
all’assalto senza far rumore “ (Lucio Fabi –Gente di trincea )
Testo : “le calzature soprattutto denunciavano diverse
manchevolezze .Non tenevano l’acqua, la tomaia era troppo
rigida,i chiodi delle suole..piagavano i piedi di eserciti
che…continuavano a spostarsi a passo di marcia. In questo
contesto appare meno incomprensibile che scarpe e stivali fossero
il più ambito bottino e che molti soldati ,per questo, dopo la
battaglia si aggirassero nella terra di nessuno ..tra i cadaveri “
(Lucio Fabi)
Tutto ciò provocò congelamenti spesso curati con lo stesso grasso
con cui si lucidavano le calzature. Le stesse borracce per l’acqua
erano di legno e le tende per dormire inutilizzabili in caso (molto
frequente ) di pioggia.
I soldati entrarono in guerra con i i chepì e i berretti ornamentali
tipici dell’Ottocento che non fermavano certo le pallottole
nemiche. Solo alla fine del 1915 apparvero gli elmetti ed il
passaggio non fu scevro di problemi di adattamento al nuovo
copricapo che i soldati trovavano scomodo,alimentando la satira:
Testo: “L’elmetto,caro mio, serve a diminuire le ferite alla testa
aumentando quelle al naso. Infatti tutte le volte che fai un salto
,l’elmetto ti batte sull’osso del naso e ti tocca metterci un cerotto”
(I consigli del caporal Piglio- La tradotta)
Contro i reticolati nemici ,per aprire varchi e permettere assalti,il
sistema più semplice era l’uso delle pinze tagliafili ma queste,
almeno all’inizio, erano poco più che cesoie da giardino che non
riuscivano a recidere i fili austriaci spessi 2 centimetri .Così le
missioni avevano un alto grado di rischio con pochi risultati.
Bisognava strisciare come serpenti,evitare mine e tagliole , per
finire poi facili bersagli quando bisognava alzarsi per tagliare i
fili.
Per quanto riguarda i livelli più alti,il popolo della trincea non era
formato da ufficiali di carriera , per lo più utilizzati in incarichi
lontani dal fronte. In trincea l’esercito massa era guidato dagli
ufficiali di complemento. E questo già sembrava una
contraddizione :
Testo : “Pareva una fatalità che quei signori che erano nati per
fare la guerra ,perché avevano scelto la carriera militare ,la guerra
non la facevano…perché la trincea era riservata al proletariato
dell’ufficialità,come era fatta per i servi della gleba tra i soldati “
(Personeni –La guerra vista da un idiota )
La distanza che così si palesava isolò i comandanti dalla realtà del
conflitto e di fatto spaccò l’ufficialità in due : quella che al fronte
combatteva e quella che nelle retrovie comandava. Distanza fisica
che equivaleva a distanza psicologica : per i soldati gli ufficiali
non combattevano la loro stessa guerra. Nonostante questo ci
furono una minoranza di soldati di carriera che riuscirono a
conquistarsi la fiducia e la stima dei propri soldati,interpretando il
proprio ruolo come guide di uomini e non solo come redattori e di
piani e compulsatori di regolamenti. Alcuni ,davanti alle stragi e ai
morti cui assistevano ogni giorno e di cui si sentivano responsabili
, non ressero all’angoscia e scelsero il suicidio
Testo : “ Il prode Colonnello Pedrocchi…,visti i suoi bersaglieri
quasi tutti morti,nel ricevere la notizia del cambio, si è sparato
dicendo “Ah, io non mi allontano dai miei soldati “ “(Monelli –Le
scarpe al sole – diario di un combattente)
Ma quelli veramente vicini all’esercito di massa furono gli
ufficiali di complemento reclutati al momento della mobilitazione
e scelti in modo fortemente disuguale .
Dai laureati avanti con gli anni, ai giovani studenti, a pacifici
padri di famiglia e ai professionisti più disparati. Tutti o quasi con
un addestramento affrettato e nessuna esperienza di guerra,ma non
si poteva fare a meno di loro ed essi fornirono tutti i quadri del
piccolo comando. Essi ebbero un ruolo fondamentale di “cuscino”
tra i soldati e gli ufficiali professionisti, portando nelle trincee una
ventata di umanità e una buona dose di etica e di valori.
Si trovarono con i soldati ad affrontare reticolati e mitragliatrici,
con loro videro morire l’immagine della guerra dell’iconografia
risorgimentale,pagarono un prezzo altissimo oltre che con la
morte, anche in patologie psicologiche e mentali. A farli resistere
fu di certo anche il rapporto forte e solidale con i propri uomini.
Testo :”Altri morirà per l’Italia volentieri
O forse qualcuno per risolvere in qualche modo la vita
Ma io per far compagnia a questo popolo digiuno
Che non sa perché va a morire
Popolo che muore in guerra perché”mi vuol bene”
“per me “ nei suoi 60 uomini comandati
Siccome è il giorno che tocca morire
( Piero Jahier – da “Canti di soldati”- Poeta combattente
volontario negli Alpini )
Accanto al popolo delle trincee si mossero i cappellani militari,
Fu Cadorna ad istituire il Vescovo castrense che aveva il compito
di preparare e dirigere i cappellani militari ,all’inizio poche
decine poi ,alla fine della guerra,oltre duemila. Scaraventati nelle
trincee ,impreparati a quello che trovarono, divisi tra fedeltà al
Vangelo e all’Istituzione,conobbero bene le condizioni disperate
dei soldati e fecero il possibile per portare loro conforto spirituale
e materiale. Il loro impegno per la diffusione di pratiche religiose
e materiali devozionali si incontrò con il patrimonio di cultura
popolare che i fanti portarono in trincea, intriso di superstizione
,producendo una sorta di ibrida mescolanza esaltata dallo stato di
alta tensione che si viveva e dalla continua vicinanza della morte.
I cappellani militari svolsero un efficace ruolo di supplenza alle
carenze dello Stato,nel campo dell’assistenza ai soldati,negli
ospedali da campo ,nella Case del soldato e vissero un’esperienza
lacerante nel conciliare il messaggio evangelico con gli orrori
delle pratiche di guerra.
Testo : “ I soldati ammassati tra gli alberi….formano quadrato
attorno ad un altarino messo su casse di cartucce dove poggia un
taccuino che è un messale e un portauovo che è un calice. Il
cappellano ha ricoperto con una tunichetta nera la sua divisa
grigia da soldato su cui campeggia un gran croce rossa. Durante la
messa l’artiglieria infuria abbattendosi a volte nei pressi del
campo. Pensieri brutti. Messa da requiem.” (Zapponi –Diario)
Un ruolo fondamentale per le sorti del conflitto al fronte lo ebbero
anche le donne e tra queste alcune figure particolari ,che
passarono però in secondo piano nei libri di storia.
Oltre alle Crocerossine ,la cui figura entra spessissimo
nell’iconografia della grande Guerra , che si presero cura dei feriti
,dei mutilati e dei moribondi dando la loro opera nelle pericolose
retrovie e negli ospedali da campo,è qui d’obbligo ricordare le
“portatrici “ della Carnia :eccezionali donne di umili origini che
con il loro contributo per mesi permisero agli alpini di mantenere
le loro posizioni
La linea del fronte ,in questa parte, non era collegata con
magazzini e depositi militari e quindi il trasporto doveva essere
svolto a spalla, su strada .Essendo tutti gli uomini validi impiegati
sul fronte ,furono le donne a rispondere all’appello del Comando
logistico del Genio e il numero arrivò ben presto alle 2000 unità.
Questo gruppo composto di donne dai 12 ai 60 anni ,tutti i giorni
all’alba e a volta anche di notte per le emergenze .si caricavano
sulle spalle le gerle riempite di munizioni ,provviste e altri
materiali per un peso che raggiungeva i 30/40 chili e partivano
senza guide, scalando la montagna con marce massacranti su
dislivelli che arrivavano a 1200 metri e sotto il costante fuoco
delle artiglierie ,in qualsiasi condizione atmosferica con calzature
di pezza o zoccoli di legno .Cantavano per vincere la paura e
,camminando, lavoravano a maglia . A volta ,nel viaggio di ritorno
,trasportavano i feriti o i caduti. In questa zona, nel marzo 1916
,una di queste donne ,Maria Plozner Mentil di 32 anni ,madre di 4
bambini e moglie di un combattente su un altro fronte fu colpita a
morte da un cecchino .La sua salma nel 37 fu traslata accanto ai
1700 soldati caduti nel tempio ossario di Timau e nel 1997 il
Presidente Scalfaro le conferì la medaglia d’oro al valor militare
alla memoria.
Ma non è male ricordare qui quelle donne che vissero della guerra
nella maniera forse più brutale e dura :le prostitute. I casini
militari in Italia furono istituiti sin dal primo mese di guerra .Nella
provincia di Udine si parlava di “ operaie, modiste ,sarte che
concedevano i loro favori a chi sappia destar loro simpatia”.
Queste donne di “dubbia moralità” vennero immediatamente
allontanate dalle zone di guerra e internate ,dal momento che
questa libertà femminile distraeva i soldati e sovvertiva l’ordine.
Così si decise di istituire case di tolleranza sorvegliate e
frequentate solo da militari.
Ma la quotidianità era molto diversa dai racconti dei militari. I
casini furono anche “ campi di concentramento della lussuria”.Il
reclutamento avvenne all’inizio tra le file delle prostitute
professionali,ma poi ,in misura crescente tra le molte donne ,
soprattutto giuliane ,friulane e trentine che avevano dovuto
lasciare i campi e le case essendo cadute nella miseria più nera .
La prevalenza di donne proletarie era nettissima ,con largo apporto
di serve ,domestiche operaie e più raramente contadine. Sulla loro
testa pendevano pericoli e minacce ,correndo il rischio di vedersi
incriminate anche di “spionaggio” o addirittura di essere complici
di una “guerra batteriologica” per la propagazione delle malattie
veneree
.Vita in trincea
Niente era facile in trincea, in un modo sottosopra dove nulla era
come in tempo di pace.
Le condizioni fisiche ,logistiche , il freddo ,la paura , la fame , la
sete,la malattia ,il dolore .il senso di oppressione e di chiusura
intorno, l’attesa dell’attacco e della morte:tutto questo era la vita
quotidiana del soldato.
TESTO: “Qua si soffre il freddo,fame,non abbiamo nemmeno
dell’acqua da bere e se ne avessi un solo bicchiere lo pagherei
anche 50 centesimi,anche magari sporca…..e in questi giorni non
si può avere nemmeno del rancio e non vi parlo nemmeno di
vestirmi e di spogliarmi e…sono in trincee che sembra impossibile
che si possa essere delle genti umane,perché nemmeno le bestie
non starebbero” (Enrico Conti –Diario)
La fame : non mancavano i viveri nei magazzini delle retrovie, e
per gente abituata a diete molto frugali avere la carne una volta a
settimana e alimenti di lusso come il caffè e la cioccolata era
segno di agiatezza. Ma non tutto filava liscio, i rifornimenti al
fronte erano difficili,il cibo arrivava una volta al giorno e non
sempre e spesso freddo insipido,scarso ,nonostante il protocollo
prevedesse razioni abbondanti e nutrienti . Quasi sempre ,così ,i
soldati pativano la fame. Anche perché l’abbondanza significò
penuria per alcuni e spreco per altri .Il cibo passava per troppe
mani e l’accaparramento era all’ordine del giorno.
TESTO:.”mangiava bene chi aveva conoscenze in cucina…”
Ma più terribile della fame era la sete . Il rifornimento idrico nelle
trincee era un problema di difficile soluzione : l’acqua occupava
spazio ,era pesante e difficile da trasportare e ,durante i
combattimenti ,diventava un bene preziosissimo.
I soldati,disperati, si dissetavano con il liquido di raffreddamento
delle mitragliatrici e dei radiatori delle trattrici con il rischio di
morire avvelenati,succedeva spesso che bevessero l’acqua che
ruscellava tra i cadaveri e dalle pozzanghere con le conseguenze
che si possono immaginare. Senza acqua non c’era igiene
personale e la sporcizia e la promiscuità forzata favoriva il
proliferare dei parassiti infestanti, topi, pidocchi e cimici anche
loro facenti parte del “popolo delle trincee” e dell’iconografia
popolare del Guerra.
Soprattutto i topi convivevano felicemente con i soldati in trincea:
TESTO :”Questa notte fu la sagra dei topi .Certi topi slavi,grandi
come gatti,con code interminabili,correvano sulle
panche,passeggiavano sul viso,venivano persino a leccare le
labbra. Non riesco a spiegare come questa notte si sieno dati
convegno proprio qui tutti i topi del Carso. Impossibile chiudere
gli occhi :topi di qua ,topi di là,topi che sbucano dai crepacci,che
scendono dalla scaletta ,che guizzano e saltano da una parte
all’altra “(Soramel –Due anni di guerra-combattente del fronte
dell’Isonzo)
Si viveva tra i topi e con accanto i cadaveri dei compagni che non
potevano essere sepolti .Chi non moriva negli attacchi rischiava la
morte per infezioni e contagi. Del resto la semplice permanenza in
trincea era una malattia :oltre agli assalti e a tutte le affezioni
immaginabili ,il tifo mieteva vittime e diverse migliaia furono i
casi di colera.
La sanità fu approntata per i feriti, ma queste patologie
aumentarono enormemente il numero dei malati e i medici di
guerra (altra figura del popolo delle trincee) si trovarono ad
affrontare ,negli ospedaletti da campo , situazioni da incubo,sfiniti
davanti a compiti superiori alle loro forze e alle forniture mediche
che avevano.
E poi,in ogni momento ,dominava la paura. Il cecchino prima
di tutto:il costante terrore di essere colpiti ad ogni movimento,ad
ogni sporgersi dalla trincea.
TESTO :”Dovevamo essere prudenti ad ogni istante Avevamo di
fronte reparti di tiratori scelti che non sbagliavano un colpo
.Tiravano sempre alla testa e con pallottole esplosive”(Lussu –Un
anno sull’altipiano)
E cosa significava poi trovarsi sotto il fuoco dell’artiglieria
,centinaia di cannoni che sparavano per ore a tappeto?
Un’esperienza spaventosa,indimenticabile per chi la subiva e ne
usciva indenne.
TESTO:”la caverna d’improvviso ha una scossa, poi un’altra e
un’altra ancora. Da questo momento è tutto un fremito,un
tremito,un sussulto. Passano minuti,un’ora,un’altra ora,altre ore e
la terra continua a tremare…schegge di ferro e di pietra si
riversano dall’apertura ,rimbalzano sulla scala,sulle pareti
strappano i fili del telefono…” (Gasparotto-Diario di un fante)
Ma delle tante attese e delle tante angosce nessuna era più
straziante di quella del prossimo attacco. Come dire :l’attesa della
morte. Non una morte sicura ma probabile o l’attesa di un dolore
atroce,di una mutilazione. Il calcolo era presto fatto :la prossima
volta tocca a me.
L’attesa poteva essere di minuti, di giorni o di ore,poi l’ordine
arrivava e si realizzava al grido di “Avanti Savoia”.Si andava
incontro alla morte né si poteva tornare indietro perché dietro la
massa dei soldati c’erano ufficiali e carabinieri :chi non usciva per
l’assalto veniva giustiziato sul posto
.
TESTO:”Un ufficiale ,dopo aver consultato l’orologio
comandò”baionette in canna!”…Gli uomini che avevo vicino si
fecero pallidi in viso e i loro occhi divennero come quelli dei pazzi
e le loro bocche mute. Si guardavano senza parlare,qualcuno
baciava immagini e foto tratte dal portafoglio ….Una tremenda
fucileria del nemico li accolse,li investì,li disperse tutti prima che
giungessero al reticolato nemico.
Dopo un quarto d’ora pochi sopravvissuti rientrarono alla trincea
di partenza”(Tenente X –Glorie e miserie della trincea- Giuseppe
Comelli )
Gli assalti furono un vero massacro : per conquistare pochi metri
di terreno morirono in 4/5 anni migliaia di uomini
La giustizia al fronte
In queste condizioni ,con il prolungarsi di una guerra che non
sembrava portare da nessuna parte,ma imponeva sacrifici,morte,e
frustrazione ,senza vittorie che infondessero entusiasmo,i soldati
si sentivano vittime di una enorme ingiustizia al confronto degli
“imboscati” e del resto degli italiani. Nessuno si preoccupò,
almeno nei primi anni, di fornire sostegno psicologico,sollevare il
morale, dare motivazioni ,accendere entusiasmi, lavorare sul senso
di quella Guerra in termini di propaganda diretta e di spirito di
patria.
L’unico sistema a cui si ricorse fu la giustizia, militare nelle
retrovie, ma sommaria al fronte.
La giustizia amministrativa dei Tribunali militari si occupò nelle
retrovie di reprimere ogni atto che mettesse a rischio la coesione
dell’esercito e la volontà di combattere, cercando di recidere i
legami,ritenuti nefasti ,tra i soldati e il fronte interno. Si
condannava con durezza il disfattismo, la disobbedienza e il rifiuto
della guerra,si controllavano i soldati a riposo, si comminavano
4/5 anni di carcere per un ritardo di due giorni dal rientro di una
licenza.
Davanti al nemico, invece, dove serviva agire in modo immediato
e duttile,si ricorreva alla giustizia sommaria:dalle punizioni
corporali,alla condanna al carcere,alla pena di morte
Testo: “C’è una cosa che mi ripugnava allora e che non ho mai
saputo accettare di questa guerra:il nessun valore dato alla vita
umana ,alla sua dignità. Spesso i soldati,come punizione e perché
la cosa servisse di monito, venivano legati a un palo e lì frustati a
sangue alla presenza di tutto il reparto”( Giovanni Michelucci –
Testimonianza)“
L’esercito italiano fu quello che comminò il più alto numero di
anni di carcere,che portò più soldati di fronte ai tribunali militari.
E’ stato inoltre calcolato che tra l’ottobre del 1915 e l’ottobre del
1917furono eseguite circa 140 esecuzioni capitali per i motivi più
disparati.(ma il numero risulta essere molto più alto secondo altre
fonti :750) Più la Grande Guerra andava avanti , più gli episodi di
crudeltà si moltiplicavano . Ovunque si verificassero disordini,
piccole proteste o episodi di insofferenza si assistette a condanne
a morte. E nel caso di reato commesso da un gruppo dei soldati si
passo addirittura alla decimazione .
FUGGIRE DALLA TRINCEA ?
Da tutto questo molti sarebbero voluti fuggire,moltissimi rimasero
a fare il proprio dovere, molti altri cercarono una strada per uscire
da quell’inferno o per evitarlo. La prima forma di fuga era la
diserzione e sotto questa parola furono considerate non solo il
passaggio al nemico ma anche l’abbandono del posto di
combattimento,la resa, il sonno durante il turno di sentinella,la
disobbedienza o l’indisciplina.
Passare al nemico poteva però rivelarsi e si rivelò quasi sempre
una scelta tragica. Dei 600.000 soldati caduti in mano austriaca ,ne
morirono in prigionia circa 100.000 ,la maggior parte per
denutrizione ,freddo e maltrattamenti. Si disertava anche per
tornare a casa. Scelta rischiosissima e pericolosa perché i
carabinieri controllavano retrovie,stazioni,strade e incroci e la
condanna era la morte. La diserzione più facile era quella del non
rientro dalle licenze contando sull’aiuto e l’omertà della famiglia e
dei compaesani. Ricordiamo che molti casi che furono etichettati
come “diserzioni” non lo furono (come i prigionieri catturati nella
rotta di Caporetto e accusati di essersi consegnati al nemico ). Per
molti di questi è stata da tempo richiesta la riabilitazione.
Disertare era una via, imboscarsi un’altra, simulare un’altra ancora
.
Molti soldati si finsero malati:
Testo :”Uno dei metodi più in voga era mettersi delle foglie di
tabacco sotto le ascelle:ciò procurava violenti attacchi di
febbre.”(Celestino Panati –Testimonianza )
Si auto inflissero ferite:
Testo:”Io per il grande spavento non sapevo più cosa mi
facevo,dicevo tra me: qui bisogna morire…ed io pensai di mettere
il fucile in posizione di sparo e ,cociuto, volevo ferirmi ad una
mano per poi eclissarmi in ospedale ma lo spirito santo non mi ha
concesso,perché se fosse stato di spararmi a bruciapelo poteva
subentrare il tetano ,mi avrebbero riconosciuto e mi avrebbero
mandato alla fucilazione” (Faustinelli-Diario)
Simularono malattie mentali :
TESTO:“ La malattia mentale rappresentava una forma di
fuga,l’estremo rifugio per i soldati che non avevano altro mezzo
per sottrarsi all’inesorabile meccanismo della guerra, alle angherie
dei superiori ,al pericolo di vita “ (A:Gibelli- storico -la Grande
guerra degli italiani)
La repressione fu durissima e le pene severissime, ma non
riuscirono a stroncare il fenomeno e la lotta tra autolesionisti e
giustizia militare durò per tutta la durata del conflitto.
L’ultima e definitiva possibilità per “fuggire “ dalla trincea fu il
suicidio. Soldati che non avevano il coraggio di imbrogliare,che
mantenevano orgoglio,onestà e dignità ma che avevano esaurito
ogni capacità di sopportare scelsero di abbandonare
volontariamente quella vita
TESTO :”Quello di venir fuori da quell’inferno era del resto il
desiderio di ciascuno di noi. Qualcuno trovava la libertà in un
gesto inconsulto:il suicidio. Fu ciò che fece un mio . Legato una
funicella per un capo al grilletto del fucile e l’altro all’alluce del
piede ,si puntò la canna nel mento poi uno strattone e …fine di
ogni preoccupazione”(Mariano Montelpare- Testimonianza)
Ma ,solo in pochi casi ,nell’esercito dei combattenti, il rifiuto e
l’indisciplina raggiunsero il carattere della ribellione collettiva.
Ebbe sempre una dimensione parziale ,individuale o di piccolo
gruppo. Chi si rivoltava ,disertava o disobbediva lo faceva per
riparare ad un’ingiustizia subita o semplicemente perché non ce la
faceva più. Mancava la componente politica,la coscienza della
forza che i soldati rappresentavano . Una notte di rabbia,uno sfogo
cruento e poi tutto tornava come prima.,Questo non significava
che l’esercito fosse tranquillo ma solo che i tempi non erano
maturi.
“Il grido fu pace, non rivoluzione “ (Lucio Ceva)
In conclusione possiamo chiederci : ma cosa spinse tanti e tanti
uomini a continuare a combattere nonostante tutto questo?
Secondo Freud con la guerra l’uomo scoprì il piacere della
distruzione e della violenza bruta. Secondo moltissime
testimonianze i soldati combatterono perché costretti, altro peso
ebbe di certo la rassegnazione ,quasi un annullamento della
volontà. Ma certamente , e le testimonianze lo confermano,giocò
anche una spinta morale che non ha destinatari astratti :Dio e
Patria ,ma guarda ai compagni .Si combatte per fedeltà ai più
vicini,per non lasciarli soli ,forse per salvarli. E’un cameratismo
che nasce dal mondo stesso delle trincee .Nella quotidianità della
sofferenza condivisa uomini diversi finiscono per somigliarsi e
sentirsi FRATELLI
“Di che reggimento siete ,
fratelli ?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli”
Ungaretti 1916
SECONDA PARTE
(I° Slide )Il Fronte interno
Gli abitanti delle retrovie.
Nelle retrovie gli abitanti dei paesi e dei villaggi hanno dovuto
convivere per tutto il periodo della guerra con la presenza costante
dei militari. Ai due milioni di civili si sommarono da maggio
1915 a ottobre 1917 4 milioni di soldati :fu un problema non
indifferente .La macchina militare era certamente ingombrante e
ed i soldati si resero, a volte, protagonisti di eccessi e violenze.
Molti di loro ,quando giunsero nelle retrovie venendo da un lungo
periodo in prima linea ,a stretto contatto con la morte , si
portavano dietro stress, nervosismo, disperazione ,la dedizione di
molti all’alcool portava spesso a risse ,violenze e attenzioni troppo
esplicite nei riguardi delle donne dei paesi. Non rare furono le
violenze sessuali .
Testo :” Come le consoleremo queste povere bimbe friulane che
dentro due anni di guerra ,coi centomila giovanotti che sono
passati sotto la finestra ,furono condannate a sperimentare le
infinite maniere –una per una- che l’uomo ha di lusingare,di
rubare il meglio,di tradire,di scappare e di mancare alla parola
data?” (A.Baldini –Nostro Purgatorio- Scrittore surrealista e
combattente)
Episodi che si moltiplicarono e divennero ancora più gravi in quei
luoghi che fino a pochi mesi prima facevano parte dell’Impero
Austriaco. Le popolazioni dimostrarono freddezza se non aperta
ostilità nei confronti dell’esercito italiano.
Testo :” Persino nei centri che avevano una fama di nazionalismo,
i soldati trovarono strade deserte e imposte chiuse” (Thompson –
La guerra bianca – scrittore inglese)
Testo :”Nei primi giorni di guerra un soldato della cavalleria si è
avvicinato al nonno(friulano) e guardandosi nervosamente intorno
gli ha chiesto “ Dove sono i nemici?”
“Voi siete i nemici” gli ha risposto l’uomo”(Unia –
L’undicesima battaglia)
Un atteggiamento che sorprese non poco i soldati, infarciti di
propaganda patriottica che esaltava la volontà di quelle terre di
essere da noi “liberate”
Testo :” Io penso che i soldati italiani siano stati ingannati .Perché
avevano dietro il “ andate a liberare i fratelli”.Ma quando
parlavano con loro nessuno li capiva “ ( Thompson)
Moltissime furono le persone costrette a lasciare le loro case in
questi territori e poi inviate in internamento nell’Italia
meridionale.
Testo:”I contadini allontanati dalla loro terra erano come
naufraghi. Nessuno piangeva ma i loro sguardi erano come
assenti……Era il convoglio del dolore. La nostra colonna cessò i
canti e si fece silenziosa.”(Lussu –Un anno sull’altipiano)
Testo :”Ma quando fui sul punto di far uscire quei poveri borghesi
composti solo di vecchi ,ragazzini e donne ,il mio sentimento
dovette lottare tra fierezza di soldato e compassione. Ma questa mi
vinse…. non ebbi il coraggio di mandarli fuori e fui costretto ad
andare dal tenente e lasciare a lui l’incarico.
Io pensai a casa e dicevo: se avessero a casa nostra a fare così….”
(Agasso -Cari genitori… da Famiglia Cristiana)
A CASA NOSTRA : LA GUERRA NEL PAESE
Vista dalla trincea e alle sue spalle, si estendeva per i soldati il
paese felice chiamato “casa”. Se la guerra era il mondo capovolto
dove era giusto morire e uccidere,la casa era il mondo dritto dove
tutto era come doveva essere,era la famiglia ,il paese, la terra. Più
il conflitto si faceva atroce ,più “la casa” sembrava un luogo
paradisiaco.
In realtà ,a mano a mano che le risorse di denaro e di attrezzature
industriali messe in campo per finanziare la guerra nei primi tempi
si andavano esaurendo ,lo sforzo bellico non poteva avvenire che a
spese della popolazione civile,il cui tenore di vita andò via via
abbassandosi .Quindi le condizioni di vita della popolazione
subirono ,a partire dal 1916 ,un doloroso giro di vite.
La guerra coinvolse tutta la popolazione civile ,donne e bambini
compresi:le abitudini, il lavoro,i rapporti sociali e la cultura
cambiarono notevolmente rispetto al periodo pre-bellico con la
nascita del Fronte Interno.
Testo:”Tutti ,a qualsiasi categoria sociale e condizione
professionale appartenessero ,dovevano sentirsi impegnati senza
riserve “ ( Gibelli-La grande guerra degli italiani)
Lo sforzo economico :
Viene promossa ,prima di tutto, la Mobilitazione Industriale :si
crea un a vera e propria compenetrazione tra Stato ,divenuto il
maggiore committente, e industria che cresce e prospera al di fuori
delle leggi del mercato. In Italia tra il ’15 e il’17 i profitti della
siderurgia crebbero dal 6,30 al 16,55 quelli dell’industria
automobilistica dall’8,2 al 31,51 Ovunque vi furono incrementi
simili e ovunque esplose il deficit dello Stato. Per sanarlo si
ricorse a rastrellare i risparmi privati attraverso prestiti volontari,
lanciati con grandi campagne pubblicitarie. .Il regime di
mobilitazione industriale italiano ebbe inoltre un un’impronta
autoritaria ,permettendo un ferreo controllo sulla forza lavoro ma
lasciando ampia facoltà ai maggiori gruppi capitalistici di
perseguire i propri profitti. Gli operai specializzati,necessari alla
produzione, pur se non inviati al fronte erano comunque
“mobilitati” e sottoposti alla disciplina militare.
Gli industriali furono tacciati di essere dei “profittatori di guerra”
di essere dei “pescecani” ,vi fu la denuncia di “speculatori” e
“accaparratori” che speculavano sulla guerra provocando
l’aumento dei prezzi e carenza di viveri.
Donne nel Fronte interno
Da subito iniziò la riorganizzazione produttiva :fabbriche
ingigantite,nuovi stabilimenti,ritmi di lavoro pesantissimi. Ma
l’aumentato bisogno di manodopera si scontrava con la necessità
di
coprire le esigenze del fronte nel prolungarsi di una guerra che
richiedeva sempre nuovi soldati .Così,con gli uomini impegnanti
sui teatri di guerra,le donne entrarono in settori prima per loro
preclusi e dalle poche migliaia censite all’inizio della guerra , le
lavoratrici divennero 23.000 alla fine del 1915,89.000 alla fine del
1916, 175.000 alla fine del 1917 e circa 200.000 al termine del
conflitto.(Ecco un commento di Ugo Ojetti,(giornalista
politica,fondatore e collaboratore di diverse riviste italiane
)commento un po’ paternalistico…)
Testo :” la fiumana delle donne penetra, gorgogliando e
frusciando ,nei luoghi degli uomini :campi,fabbriche….Talune è
vero,assomigliano a bambini ,specie quando ancora ne hanno di
propri,si stancano ,si distraggono,sospirano,litigano,s’impuntano,
minacciano,strillano. Ma le più insomma, sono preziose e s’ha
bisogno di loro…La donna è prima di tutto un essere pratico il cui
lavoro sociale è preziosissimo”
Donne in fabbrica,donne alla guida degli autobus,donne negli
uffici,donne in agricoltura :tutte immagini che rompevano con
l’idea di un mestiere “femminile”
Le donne si trovarono per la prima volta ad occupare ruoli
considerati esclusivamente maschili ad assumersi responsabilità
“pubbliche” ad essere “visibili” fuori dalla casa e dal
“focolare”.Tutto questo rappresentò un allarme per il senso
comune e fu guardato con diffidenza ,come un attacco all’ordine
naturale se non un vero e proprio “attentato alla moralità” .
Pur se gli impieghi delle donne erano sempre impieghi a termine,a
parità di mansioni, pagati meno di quelli maschili, e anche se
sempre le donne dovevano lavorare e nello stesso tempo
provvedere alle esigenze quotidiane delle loro famiglie, in
situazioni difficilissime, verso di loro le reazioni popolari furono
malevole. Al sarcasmo sulla condotta morale delle operaie in
fabbrica si accompagnava l’astio per quelle donne colpevoli di
ricoprire un posto in cui qualcuno avrebbe potuto imboscarsi.
Segnali questi che il problema non era la competizione per il
lavoro,ma, in realtà, il panico davanti alla possibilità di
cambiamenti nei ruoli sessuali.
Testo :”Indubbiamente la grande guerra è per gli uomini un lungo
trauma …caricatura mortificante dell’immagine della guerra virile
e trionfante,negazione di tutti i valori della cultura occidentale.
Sprofondati nel fango e nel sangue….in attesa del momento
mortale…vittime talvolta di malattie femminili come
l’isteria,vivono la guerra come una regressione e un’impotenza
pubblica e privata. Quando essi correvano all’assalto ,le donne
aspettavano religiosamente. Ora che ,in loro assenza ,esse
accedono allo spazio e alle responsabilità pubbliche per far girare
la macchina della guerra,hanno paura di essere spossessati e
traditi” (Thébuad -storico)
Tuttavia ,a guerra finita ,le donne furono licenziate in massa e
dovettero lasciare i loro posti ai reduci ,chi riuscì a conservare il
proprio posto dovette subire una forte ostilità e opposizione da
parte dei lavoratori maschi e dei giornali fortemente maschilisti
dell’epoca.
Testo:” Si chiese alle donne di ritirasi in disparte e riprendere la
loro vita domestica e ridare agli affetti familiari la loro indiscussa
importanza “
Testo :”Sono convinto che le donne italiane, da che è scoppiata la
guerra, abbiano dato un esempio meraviglioso di patriottismo,di
abnegazione e di intelligente energia. Confido che alle molte
benemerenze acquistate vorranno aggiungere quest’altra,non meno
degna delle loro virtù :di non complicare i già
numerosi,urgentissimi,gravosi problemi della guerra e del
dopoguerra risollevando inopportunamente e prematuramente la
questione dei diritti della donna “ (Federzoni. Parlamentare
nazionalista)
Ma nonostante questi tentativi di “rientro” delle donne ai loro
compiti familiari ,procreativi e materni ,un seme era stato gettato.
Le prospettive cambiarono ,la rigidità dei costumi si allentò e
soprattutto la consapevolezza delle donne era cambiata. La loro
nuova forza non svanì ,nonostante l’avvento del fascismo e la sua
lunga durata. .La rivoluzione culturale rimase solo in attesa di
compiersi e forse ..non si è ancora veramente compiuta, ma questo
fa parte di un’altra conferenza !
LA VITA CIVILE
Testo:”…mia nonna ,soprattutto nei mesi invernali,quando
tornava dal lavatoio, insieme alle altre donne, tornava in casa a
scaldarsi e raccontavano della Grande Guerra…Parlavano del
passato, del freddo patito quando erano piccole ,dei soldati che
potevano essere i loro mariti ,figli, fratelli e che combattevano in
mezzo alla neve e al gelo e delle donne che ,a casa, filavano la
lana delle pecore per loro e confezionavano ghette,sciarpe, calze.
Morivano in tanti e ,quando in paese arrivava uno sconosciuto ,si
sapeva che avrebbe portato brutte notizie,che un proprio caro non
sarebbe mai più tornato! Non c’era nulla da mangiare si faticava a
vivere e si sopravviveva solo di quello che producevano i propri
orti. Iniziò una grande carestia ,ma anche nel bisogno nessuno
indietreggiava .C’era una grande solidarietà e rispetto reciproci. Ci
si riuniva nelle stalle ,riscaldandosi con gli animali e risparmiando
le candele,ci si incoraggiava a vicenda e si pregava tantissimo…”
(testimonianza privata)
Al momento dell’entrata in guerra il parlamento accordò al
governo i pieni poteri .Ne derivò una crescente autonomia della
burocrazia, la drastica riduzione della lotta politica ,una rigida
censura e un rafforzamento del controllo poliziesco .I poliziotti si
recavano fin dentro le stazioni centrali alla ricerca di disertori e
spie.
Testo:” Con il passar del tempo la sorveglianza politica aumentò
in modo significativo …i poliziotti assistevano a tutti gli spettacoli
della città senza fare eccezioni…(Testimonianza)
.
Si diffuse così anche un’atmosfera di sospetto e di delazione ,in
particolare sul “nemico interno”.Ogni comportamento anche
marginale che poteva essere interpretato come antipatriottico era
duramente represso ,le misure persecutorie furono intensificate
contro i comportamenti cosiddetti disfattisti,ossia tutte le
manifestazioni anche minime di malcontento ,incertezza e
sfiducia.
Testo:”Un operaio condannato per non aver aderito alla
sottoscrizione del prestito nazionale perché “la guerra non l’ho
voluta”,un altro condannato a tre anni per aver detto “accidenti a
questa guerra”,un prete incriminato per non aver voluto battezzare
una bambina con il nome Italia, e così via…”( Bavendamm ,
storica tedesca–Il nemico in casa-)
Visti dalla parte della società civile,i mutamenti della sfera
pubblica portano ,in tempo di guerra ,ad una tale riduzione dei
diritti civili e politici da rendere il cittadino molto simile ad un
militare e l’assottigliamento di questa distinzione e di quella tra
fronte interno e fronte bellico, riguarda un po’ tutti gli aspetti della
vita,in particolare le condizioni materiali.
Anche dove la guerra non arriva materialmente ne arrivano gli
effetti :per la grandissima maggioranza delle popolazioni inizia
presto il caro vita,il razionamento alimentare e dei combustibili,la
penuria di beni essenziali ,il mercato nero,la carestia. A questo la
mobilitazione industriale cercò di porre rimedio ,ma con
accorgimenti caotici e segnati da rallentamenti burocratici. Le
risorse si andavano esaurendo, e quelle che rimanevano erano
indirizzate al rifornimento del fronte, perciò il tenore della
popolazione civile fu sempre più compresso. Già nell’estate del
1916 la razione di pane dei soldati era ridotta da 750 a 600
grammi giornalieri e per i cittadini erano introvabili diversi generi
alimentari,mentre ,per la scarsità del grano ,fu immesso sul
mercato il cosiddetto “pane di Stato”,mal lievitato, greve di acqua
e crusca e venduto raffermo. Prostrazione e malattia furono
l’inevitabile conseguenza di tutto questo.
Si ridusse il consumo di carne a tre giorni settimana ,divennero
introvabili generi considerati come semi- voluttuari come il caffè
,il cacao e lo zucchero.
Minacciosa e foriera di gravi conseguenze fu la crisi provocata
dalla ridotta importazione del carbone : venne intensificata
l’estrazione nazionale di lignite a basso potere calorifico
disboscando intere montagne, ridotta l’erogazione del gas nelle
città, soppressi moltissimi treni.
Testo :” le città durante la guerra erano grigie. Il paesaggio urbano
si fece sempre più cupo,riflettendo l’umore degli abitanti in preda
all’angoscia per il destino dei loro cari” (Jay Winter –Le città)
Tra il 1916 e il 1917 si ebbero moltissime agitazioni contro la
guerra : a Torino, a Firenze, a Mantova .Soprattutto
manifestazioni spontanee di donne che chiedevano il ritorno dei
loro cari e l’aumento dei sussidi. Le agitazioni in Italia, nelle
fabbriche, furono comunque decisamente minori rispetto a quelle
di altri paesi in conflitto, forse a causa dell’annullamento del
potere dei sindacati, del forte controllo e della repressione o della
debolezza della disomogenea classe operaia e dell’attività di
propaganda contro gli operai “imboscati” e i loro “alti” salari
contrapposti agli operai e ai contadini che morivano in trincea.
Testo:” L’imboscato saldo,saldo
Nel suo ufficio fuma al caldo
Ed espone ardito il petto
Contro il fuoco,al caminetto” (da la Tradotta )
Testo:”Mamma,perché nascondi quel figlio tuo, quel mio fratello
alla furia della battaglia?
Perché gli fai gittare in faccia il nome infamante di
IMBOSCATO?
Per risparmiarlo forse?
T’inganni, mamma….No! c’è bisogno di TUTTI i tuoi figli,
di TUTTI i miei fratelli per vincere!” (manifesto di
propaganda)
LA PROPAGANDA
Tra il 1914 e il 1915 si ebbe in Italia un’imponente campagna di
stampa a favore dell’entrata in guerra .L’ala interventista degli
ambienti industriali e economici finanziò i principali organi di
stampa per spingere il governo ad entrare in guerra a fianco
dell’Intesa. Dichiarata la guerra e convinti che il conflitto sarebbe
stato breve ,gli interventi del governo per l’assistenza e la
propaganda rimasero per lungo tempo sporadici e casuali.
Solamente successivamente,con il governo Boselli furono istituiti
due ministeri ,uno per la propaganda e uno per l’assistenza.
Alle carenze dello Stato supplirono molte Associazioni con fini di
educazione nazionale e di assistenza che si coordinarono poi con i
Ministeri.
Gli strumenti della propaganda furono di diverso tipo:
le cartoline : all’ inizio prevalsero i temi sulla necessità
dell’intervento,sul ricordo dei fasti del
Risorgimento,sull’odio per il nemico e l’esortazione retorica
di poeti e letterati, ma con il passare dei mesi queste
immagini furono sostituite da rappresentazioni cupe e tristi,
dolorose e sacrificali :vedove e orfani piangenti ,soldati
provati da un nemico crudele.
Manifesti e locandine :furono usati sia per la pura
propaganda che per quella dei prestiti. I primi ricorsero alle
parole e al disegno scoprendo il valore della grafica con uno
stile linguistico imperativo e conciso. I secondi si riferirono
alla situazione del momento e al fronte interno invitando al
risparmio,a dare il proprio aiuto per abbreviare le sofferenze
dei combattenti,al richiamo al dolore delle vedove e degli
orfani, all’accusa del dito puntato del fante o del mutilato con
la stampella .
In molti manifesti si adatta alla propaganda di guerra anche la
natura,come “patria-natura” ,rappresentata ,in
contrapposizione ai luoghi della guerra, come
bucolica,serena, autentica e soprattutto“propria”.Luogo di
radici e tradizione .E’ per difendere questa “patria “ perfetta
che si chiede agli uomini di morire. In questo luogo ,dopo la
morte, si potrà tornare per trovare una sepoltura degna e
serena.
Un altro simbolo ricorrente è la” patria –donna” :c’è la
madre-patria, austera e sofferente il cui corpo è minacciato
dal nemico invasore e le patrie –ragazze decisamente sensuali
e in attesa del soldato-vincitore. In Italia (e nei paesi cattolici)
a volte è presente la figura della Madonna ,protettrice e
consolatrice dei soldati combattenti e poi bimbe e fanciulle
da proteggere e salvare,ma soprattutto madri ,madri
patriottiche che invitano i propri figli a partire per la guerra
contro un nemico che minaccia la Patria intesa come
Famiglia.
Testo :” La patria è la mamma che sta al di sopra di tutte le
mamme “ (testo scolastico)
I giornali :
Testo : “La guerra non si può pensare muta” (Paolo Orano-
giornalista,prima socialista poi del Partito d’azione aderì poi
al fascismo.Volontario)
Testo:”Anche le parole sono in armi “( Corriere della sera-
1915)
Un altro elemento utile per controllare l’opinione pubblica e
indirizzarne gli umori fu la censura dei giornali. In tutti i
paesi belligeranti fu applicata con rigore.
Ecco un commento ironico di un editorialista francese.
Testo :”Purché non si scriva né dell’autorità, né del
Governo,né della politica o del numero dei morti e
nemmeno…..dei feriti e delle atrocità….si può stampare
qualunque cosa sotto gli occhi di due o tre ispettori della
censura ! ( Capus –Le figaro)
I corrispondenti di guerra ,che conoscevano bene la
situazione del fronte, si trovarono nella scomoda situazione di
doverla tacere al pubblico ,spesso deformando, se non
addirittura falsificando la realtà per seguire i suggerimenti
delle autorità ,desiderose di presentare al pubblico un quadro
ottimistico dei fatti ,ad un pubblico che,peraltro, in verità era
spesso ansioso di leggere , a sua volta, le notizie e buone e
non quelle cattive .Pur avendo la vaga sensazione di essere
ingannati ,i lettori cercavano conferma delle loro illusioni
,per scacciare dalla mente immagini troppo angoscianti.
La censura della stampa viene istituita in Italia già nel
maggio del 1915. Per non rischiare il sequestro, i giornalisti
sottopongono le notizie e gli articoli alla censura preventiva e
,in poco tempo, il bavaglio alla stampa è completo.
L’Associazione Nazionale della Stampa lo accetta senza
opposizioni e dichiara addirittura la propria disponibilità a
una militarizzazione dei propri inviati “ Una resa
incondizionata” “la definirà lo storico Isnenghi .
Testo:” Ci sta innanzi una sola condizione di esistenza ed
essa non comporta che un solo dovere :la disciplina….Oggi
cessa per tutti gli italiani la legittimità della discussione e
della critica, cessa anche per noi….” ( da La stampa)
Ma queste condizioni portarono poi conseguenze nel
dopoguerra, screditando molte testate giornalistiche e
giornalisti. E furono in molti coloro che si adoperarono poi
per correggere l’immagine morale della stampa alterata da
quattro anni di conflitto.
Testo:”Travisavamo le nostre impressioni su questa o quella
fase della lotta ,colorandole con la certezza di fondo che
sopravviveva alle illusioni…Abbiamo fatto tacere la nostra
ragione per lasciar parlare solo la suprema voce del cuore…la
vera ragione della nostra impostura era l’istintivo bisogno di
ingannare noi stessi ,una sete,quando tutto sembrava perduto
,di sperare ancora” ( Corrispondente di guerra)
Cinema e fotografia:
Fin dall’inizio della guerra l’immagine assume un ruolo
centrale nella propaganda e uno sviluppo senza precedenti.
Produzione e diffusione raggiungono le proporzioni di un
fenomeno di massa,tanto il pubblico dimostra di essere avido
di vedere quel che succedeva al fronte. Naturalmente
l’autorità tentò subito di prenderne il controllo e di utilizzarle
per irreggimentare l’opinione pubblica. Fotografia e cinema
diventarono dunque ,per la prima volta,tecniche di
propaganda. Nelle retrovie ,in particolare, i cineasti
autorizzati tentavano di mostrare aspetti della vita al fronte
con intenti patriottici,scene aneddotiche che tenevano lontana
la morte o le immagini troppo crude . Tutto questo veniva
poi riprodotto nei cinegiornali che saranno sempre sottoposti
a censura ,e i cadaveri saranno eliminati dallo schermo per
non spaventare il pubblico e non far assistere alle famiglie dei
soldati ad insopportabili scene di morte. Era preferibile
attenuare l’inconfessabile verità offrendo al pubblico una
visione edulcorata.
La demonizzazione del nemico:
Lo scoppio della guerra rinnova le antiche paure e i cliché
legati alla figura del nemico “primitivo e brutale” .
Durante la prima guerra mondiale cambia profondamente il
significato del concetto di “nemico”: da nemico come “iustus
hostis” ,cioè legittimo e con il quale si può quindi
raggiungere una pace concordata, secondo la tradizione
ottocentesca, a nemico straniero,criminale, eticamente
delegittimato e che va dunque semplicemente annientato. La
guerra si trasforma così in un affare etico in cui i giusti
combattono per sconfiggere i criminali,gli ingiusti,i malvagi.
Testo:” Soldati d’Italia !Tutti gli occhi guardano a voi in
questo momento,tutti i cuori sono sospesi ai vostri cuori.
Sono in pericolo le vostre madri, le vostre sorelle,le vostre
spose,i vostri figli,le loro case, le loro chiese, i loro campi! Se
le orde dei barbari riescono a rompere la barriera dell’esercito
italiano le rovine più spaventose e la più abietta schiavitù
minacciano la sacra terra d’Italia.!Ovunque sarà incendio
,morte e distruzione: la rabbia tedesca e austriaca farà della
più bella terra del mondo un paese devastato,desolato,
violentato “
(Appello del Comitato di propaganda Patriottica )
L’identificazione del nemico con il “Male”ebbe sicuramente un
valore essenziale per il fronte interno : demonizzando e
criminalizzando l’Altro, si tenta di giustificare la necessità di
combatterlo. Questi procedimenti hanno lo scopo di condurre
anche una guerra dell’immaginario che ha un peso
fondamentale nel coinvolgimento della popolazione nelle sorti
del
conflitto,istillando nelle coscienze l’abitudine alla
contrapposizione totale tra “noi” e “loro”.
Testo:”la propaganda politica si fonda molto spesso sulla
divisione della realtà in bene e male,amico ,nemico e ciò è
tanto più vero nei casi di guerra…Il legame tra elemento
morale ed elemento fisico diventa essenziale: la bruttezza e la
deformità servono a descrivere una più profonda e sostanziale
bruttura morale e l’enfatizzazione dei misfatti del nemico
hanno l’obiettivo di accrescere l’odio nei suoi confronti e di
legittimare i sacrifici che il conflitto richiede. L’immagine ed il
linguaggio si fanno crudi e brutali,incitano all’odio.”
(A.Ventrone)
Il nemico venne spersonalizzato,ridotto ai suoi attributi più
immediati e caratteristici (come l’elmo a punta dei tedeschi che
da sé bastava a incutere spavento) e connotato da
comportamenti brutali e incivili:diventa un animale da preda
,un’entità disgustosa e grottesca .Molte le cartoline che
rappresentano il nemico coperto di escrementi, con gli organi
sessuali in vista o illustrano stupri di guerra e sodomie.
Nella propaganda italiana ,che molto si riferisce ai valori e ai
miti del Risorgimento,fu in particolare il nemico austriaco ad
essere rappresentato come un barbaro irriducibile, difensore di
un’enorme prigione di popoli oppressi
Testo estratto da un manifesto di propaganda “Dal
proclama di un generale austriaco :”Soldati! Il buon vino e le
belle donne d’Italia ci aspettano!” NO! Turpissima genia!
Tutta l’Italia è in piedi per
ricacciarvi nelle vostre tane !”
Cinegiornali e riviste illustrate,in particolare, si incaricano di
accreditare l’idea di una “guerra barbara”condotta dal
nemico,mostrando un numero sempre maggiore di immagine
garantite come reali. Le riprese servivano a denunciare
saccheggi,razzie,distruzioni
Testo:”…. adatte a mantenere vivo in noi il sacro odio per
barbari e assassini!” (settimanale cinematografico)
Questa martellante e continua demonizzazione del nemico
penetrò così profondamente nelle coscienze da diventare un
tratto culturale che influì non poco (insieme alle rivendicazioni
territoriali e economiche) sull’atteggiamento implacabile dei
vincitori al tavolo di pace e sul radicarsi di una visione anche in
termini razziali dell’Altro ,visione che tanta nefasta influenza
avrà negli anni successivi.
I Bambini e la guerra:
Nella prima guerra mondiale,essendo un guerra totale,i bambini
come l’insieme delle popolazioni civili diventano protagonisti a
tutti gli effetti del conflitto,diventano un settore del fronte
interno,sia in quanto oggetti che in quanto attori della
mobilitazione.
La barriera protettiva che di solito esclude i bambini
dall’universo combattente e dalle violenze della guerra è
abbattuta fin dall’inizio della Grande guerra. L’infanzia è
“brutalizzata” e resa violenta dalla cultura di guerra .Non può
sfuggire alla guerra ,alle sue realtà più crude e dolorose , né ai
discorsi di mobilitazione elaborati per loro nei rispettivi paesi. I
bambini non avrebbero potuto ignorare la guerra perché essa
penetrò in tutti gli aspetti della loro vita,persino nei giochi ,nei
libri e nella scuola.
Innanzitutto i bambini sono argomento per la mobilitazione :è
per loro che si combatte, è per il loro avvenire che ci si
sacrifica fino alla morte. Così la loro figura è presente in modo
massiccio nelle immagini di propaganda per incitare allo sforzo
comune,ai prestiti di guerra,per evocare le atrocità del nemico.
Ma non solo supporto alla cultura di guerra rivolta agli adulti, i
bambini sono anche specifici destinatari di tematiche studiate
apposta per loro : si tratta di istillare una morale patriottica
che li faccia sentire “piccoli soldati” che contribuiscono alla
vittoria, facenti parti di un popolo , di una nazione .
Bisogna “rivelare” la guerra ai bambini ed è necessario
mostrargliela dettagliatamente :il fronte,gli armamenti,gli
alleati,le tappe della vittoria ma anche la vita quotidiana,i
sacrifici per il cibo,le ferite,l’igiene ,la morte. Ed anche il
nemico: imparare a conoscerlo e ad odiarlo come
l’incarnazione del Male.
Per loro,”soldatini del fronte interno”, il lavoro pedagogico è
anche in funzione di un controllo sociale :per essere all’altezza
di questo compito devono essere bambini
modello,buoni,bravi,studiosi. E se questo viene chiesto ai
maschietti che un giorno saranno soldati , alle femmine in più
viene chiesto di occuparsi della casa ,dei fratelli più piccoli,di
aiutare la madre sola e con il marito al fronte,insomma di
essere quelle “vere donnine” , adulte anzitempo.
Ai bambini è raccomandata parsimonia e sacrificio attraverso
cartoline e manifesti:
Testo “Non consumare troppo le scarpe per saltare a corda, non
sprecare la carta facendo macchie sui fogli, non consumare lo
zucchero….”
Testo:”Ti lagni della tua vita? Facciamo volentieri qualche
sacrificio anche noi pensando ai nostri soldati!”
Vettori di questa cultura di guerra per l’infanzia sono prima di
tutto la scuola e i divertimenti. Maestri e giocattoli si
impongono come i migliori e i primi agenti per integrare i
piccoli nella guerra .I programmi scolastici sono rielaborati alla
luce del conflitto e la scuola assume il ruolo di tramite per
l’esaltazione nazionale ,la condanna del nemico,fino alla
distorsione della storia stessa. Le stesse aule saranno decorate
con i colori della patria.
Testo :” Coraggio, soldati d’Italia!Coraggio ,valorosi difensori
delle Alpi,coraggio sentinelle dei nostri mari! Difendetela
come difendereste vostra madre,dagli attentati di un cattivo che
volesse insultarla o ucciderla. Coraggio,soldati d’Italia! I
fanciulli di tutte le scuole italiane sono con voi,in questi
momenti “ (dettato assegnato agli esaminandi della sezione
14/15)
Ci saranno attività extracurricolari legate alla guerra,i bambini
si faranno tramite per sottoscrizioni,ottenendo medaglie.
Testo :” Nostro padre ha dato la vita per voi ,voi non negherete
il denaro. Sottoscrivete!”
Giochi,giocattoli,romanzi giornalini,album ecc…Tutti i
passatempi infantili saranno contaminati dal discorso della
mobilitazione, con un messaggio massiccio rivolto a entrambe i
sessi e a tutte le età :bambole –soldato, bambole-infermiere,
mini carri armati, armi di tutti i tipi, divise confezionate con la
stessa stoffa di quelle dei padri.
Testo “Non si può mica esser tutti soldati
Specie quando si è piccoli/né marciar con fucile e spada
armati
Ma possiam tutti quanti essere davver soldati nello
spirito/utili e prodi con fervor sincero
Come fanno i soldati” (Corriere dei Piccoli –gennaio
1915)
A questi due vettori si uniscono la religione e la famiglia con
una mobilitazione più diffusa e più sistematica. La religione
veicola un’esaltazione della guerra come “crociata”,i bambini
sono spinti a pregare per la vittoria e per la salvezza del paese e
dei combattenti, incoraggiandoli con pellegrinaggi,offerte, atti
di contrizione. La famiglia interviene attraverso i padri
combattenti che,nelle lettere che inviano dal fronte, li esortano
ad essere giudiziosi,diligenti e persino a sacrificarsi
,contribuendo alla loro precoce responsabilizzazione.
I bambini sono vittime indirette :quasi tutti hanno un padre,un
fratello ,un parente al fronte,moltissimi rischiano di rimanere
orfani o di vedere stravolto il loro nucleo familiare .Loro
saranno i primi ad esperire un lutto di massa. Gli orfani di
guerra sarà una nuova tipologia di bambino da aiutare, una
categoria a sé stante.
Durante la Guerra i bambini saranno forza lavoro per sostituire,
nei campi e talvolta in fabbrica, gli uomini al fronte, per aiutare
le madri a sostenere la famiglia in difficoltà. I bambini sono
soprattutto “testimoni” di guerra .Nei loro disegni,diari e lettere
raccontano ed evidenziano alcune costanti :la fame,l’attesa,la
paura, la tristezza,ma anche che la vita continua con la scuola i
giochi, le malattie Ed anche appare una certa “sacca di
resistenza “ alla guerra
Testo:”mentre salivo le scale ,parlavo con la mamma ,mi
diceva che forse la guerra si sarebbe presto conclusa “Sì!-dissi
con slancio- che finisca !Non importa come ,ma che finisca!”
(testimonianza da” Memorie di una ragazza”)
I bambini del 1914 sono però anche gli adulti del 1940. Si
tratta perciò di un’intera generazione che ,per due volte,si è
dovuta confrontare con la guerra :violenza reale e fisica della
fame,dei bombardamenti, dei lutti. Così molte delle
rappresentazioni del loro immaginario ,createsi durante il
primo conflitto, sono poi state riesumate nel secondo:la paura
del nemico-mostro già vissuto,delle violenze e della morte.
Solo che adesso loro stessi sono “classe 1940”: soldati
combattenti.
Testo da “Il mondo di ieri” di Stefan Zweig “…Noi che nel
nuovo secolo abbiamo imparato a non lasciarci più sorprendere
da alcuno scoppio di brutalità collettiva, noi che da domani
aspettiamo più atroci eventi che dell’ieri, siamo ben più scettici
circa la perfettibilità degli eventi.”
Il Crollo demografico
Solitamente si pensa alle conseguenze demografiche delle
guerre per l’aumento della mortalità che generano, ma in realtà
i conflitti hanno un impatto altrettanto notevole su altri
componenti demografici,come la nuzialità e la natalità.
La grande guerra è un esempio molto interessante in questo
senso , proprio per la brusca riduzione dei matrimoni e per le
mancate nascite durante il conflitto, con un effetto frenante
della crescita della popolazione italiana che si è trascinato per
decenni.
La nuzialità:
Testo :”Il richiamo sotto le armi di milioni di uomini e il
disagio economico causato dalla guerra ,esercitano
un’influenza immediata ,nel senso di una diminuzione della
nuzialità” (Mortara- storico)
Infatti il tasso di nuzialità crollò nell’ Europa in guerra da circa
sette milioni ogni mille abitanti a meno di tre nel periodo di
guerra,anche se ,a fine guerra ci fu,un ampio recupero dei
matrimoni “perduti”.Per non restare nubili,le donne
cominciarono a sposarsi con uomini della stessa età o più
giovani, anche perché gli uomini più maturi, erano già morti.
Aumentarono anche le seconde nozze.
La natalità :
Nessuno sforzo , da parte di nessuna autorità, poté impedire lo
schiacciamento della vita. Ne è indice l’andamento
demografico che in Italia ebbe un bilancio negativo (più morti
che nati) per tre anni consecutivi ,1917/18/19 .Tra il 1915 e il
1919 vi furono circa un milione di nascite in meno rispetto al
quinquennio precedente. In alcune zone della Toscana nascono
meno della metà dei bambini che ci si poteva aspettare in base
alle medie prebelliche.
Ma i richiami di massa e la riduzione dei matrimoni non
bastano a spiegare crolli del genere : forse bisogna anche
metter in conto una diffusa rinuncia a far figli sotto l’effetto
della guerra legata anche ad una diffusa mortalità neonatale
,date le condizioni di vita, e all’effetto della spaventosa
epidemia detta “la spagnola”.Appena un bambino su quattro
riesce a superare l’anno di vita.
La mortalità :
Il numero di morti nel primo conflitto mondiale fu enorme ,sia
per le perdite dovute alla guerra di trincea,sia per il
coinvolgimento della popolazione civile. Nel periodo
prebellico la mortalità in Italia era in discesa. Lo storico
Mortara sottolinea che tale tendenza si interruppe bruscamente
:nel periodo bellico il tasso di mortalità arrivò a sfiorare il 40
per mille .La speranza di vita si ridusse di 10 anni fino a
toccare nel 1918 i 30 anni e mezzo per gli uomini e i 32 per le
donne. E’ possibile inoltre pensare che la sovramortalità di
molte persone, in particolare anziane, non sia riconducibile
solo a cause legate alla guerra, ma piuttosto al fatto che
,davanti alla perdita di figli e nipoti si siano lasciati morire per
il dolore o questo ne abbia accelerato il decesso.
Testo:”occorre dunque ,per dare una spiegazione soddisfacente
ad un simile fenomeno,appellarsi allo shock psicologico
indotto dalla sofferenza tra i più anziani e soprattutto i nonni”
(Rouzeau e Becker – La violenza,la crociata e il lutto)
La riduzione della natalità e il forte aumento della mortalità
ebbero conseguenze sul lungo periodo per decenni : un effetto
“eco” che arrivò fino agli anni sessanta e a cui si soprapposero
i disastri e i lutti della seconda guerra mondiale .Le poco
numerose generazioni nate durante la prima guerra mondiale
attraversarono le difficoltà e le tragedie della seconda nel pieno
della loro età riproduttiva…
IL LUTTO E L’ELABORAZIONE DEL LUTTO
L’esperienza di tutti coloro che restavano a casa fu anzitutto
l’esperienza di una perdita ,di un abbandono. Si perdevano
,temporaneamente o per sempre ,i mariti,i fratelli ,i figli. Si
perdevano il reddito, la sicurezza. Si entrava in un lungo,
indefinito periodo di solitudine ,di attesa,di sospensione
angosciosa. L’attesa di notizie dal fronte,come l’attesa di un
ritorno a casa ,magari momentaneo,era una condizione
estenuante ,snervante che poteva senza dubbio rappresentare
l’origine di una profonda sofferenza.
Testo :”Al momento della partenza …..al centro della sala
,accanto a una sedia rovesciata,la mamma era accasciata sul
pavimento,in singhiozzi. Io la raccolsi ,l’aiutai a sollevarsi. Ma
non si reggeva più da sola,tanto ,in pochi istanti si era disfatta.
Tentai di dirle parole di conforto,ma si struggeva in lacrime “ (
Lussu - Un anno sull’altopiano)
Poteva giungere da un momento all’altro la notizia di un lutto,
temuto per mesi o per anni, e ciò poteva essere l’occasione
traumatica in cui ansie che si erano accumulate esplodevano in
crisi nervose. D’altra parte anche chi poteva riabbracciare figli,
mariti, padri doveva affrontare il trauma del loro ritorno :il
trauma del ritorno di uomini profondamente cambiati, a volte
traumatizzati dalla vita di trincea,dall’esperienza di una morte
di massa, oppure feriti, mutilati, ciechi.
Testo:”Ogni anno tra la prima e la seconda guerra mondiale,
morirono uomini per le ferite riportate o per le malattie
contratte. Per molte persone il lutto ebbe inizio dopo anni
passati a prendersi cura di ex combattenti. Grandissima parte di
questo servizio ripetitivo e poco piacevole,venne prestato
all’interno delle famiglie e non ne è rimasta traccia “(Winter-
Lutto e memoria)
L’esperienza del lutto colpì di certo in modo più forte le donne
,in modo tanto forte da essere difficilmente comunicabile .
Testo :Una donna che perde il marito si chiama vedova, ma
come si chiama una donna che perde suo figlio ?”
Testo:” Le componenti fondamentali della tragedia che
attraversò l’esistenza delle madri,……sono qui riassunte : dalla
muta rivolta provata al momento della partenza dei figli
all’impossibilità di dare voce a questo sentimento , al
ripiegamento su se stesse al momento del lutto …”(D’Amelia )
Qualsiasi perdita in tempo di guerra rimanda ad un dolore
intenso. Appena il morto è identificato la terribile notizia è
comunicata alla famiglia.
Testo:”…era il sindaco che comunicava una triste notizia , che
suo marito era morto in battaglia,che la patria lo piangeva con
lei e che ne era fiera. Lucie non lo aveva udito,ma si era alzata
e gli tendeva la mano con molto rispetto,la nonna si era alzata
in piedi e ripeteva “Mio Dio!” ….”(Camus)
La specificità del lutto di guerra è nella solitudine
dell’agonizzante perché ,nella stragrande maggioranza dei casi,
le famiglie non hanno potuto assistere e accompagnare
l’agonia dei morenti .Per coloro che se ne vanno, la morte è
sinonimo di solitudine e per coloro che restano è bisogno di
sapere : le circostanze precise della morte, le sofferenze
patite…. Domande che rimangono spesso senza risposta e che
acuiscono il dolore e la difficoltà dell’elaborazione .La
formalità e l’essenzialità delle lettere militari con cui si veniva
informati della morte del parente generava il bisogno di
Testo:”..condividere gli ultimi momenti ,di sapere quello che
sapeva lui e almeno per un attimo provare quello che aveva
provato “ (Jay Winter)
Testo:”…nella morte di massa il corpo e il nome sono
separati:a corpi senza nome,corrispondono nomi senza
corpi”(Gibelli)
Testo:”Quanto poi alla morte del povero Colombo inutile che
continuate a rammentarmelo. Persuadete pure i suoi genitori
che come già dettovi e nuovamente vi ripeto che lo vidi io con i
miei occhi cadavere e io pure tengo un piccolo crocifisso per
ricordo come altri oggetti come l’orologio ,il portafoglio che li
tiene un altro amico…” (Testimonianza)
Vivere il lutto significa raccogliere tutte le tracce lasciate dallo
scomparso:tutti gli oggetti ,gli stessi abiti militari, diventano
veri e propri oggetti devozionali. Le fotografie in particolare
rappresentano lo spazio fisico che il defunto tende a occupare
nella vita e nell’ambiente di guerra e poi le lettere che aveva
scritto, le cartoline che aveva inviato :tutto compone un lascito
da tramandare alle future generazioni e un gesto simbolico di
ricomposizione dei suoi resti insepolti.
Testo:”E’ come se questi morti in grigio – verde continuassero
ad aggirarsi inquieti ,impedendo alla mente di volgersi altrove”
(Gibelli-L’officina della guerra)
DA LUTTO PRIVATO A LUTTO PUBBLICO:
Il lutto non poteva non generare il mito. Era un fattore troppo
grande ,troppo importante,troppo evidente per non essere
sfruttato dai governi al fine di costruire e rafforzare un
consenso che rischiava di spegnersi con il passare dei mesi e
con l’aumentare della violenza sui campi di battaglia .I defunti
diventano martiri , sono lo spirito della redenzione nazionale e
ad essi si rivolge la stessa Nazione per salvaguardare il loro
sacrificio e i valori riscoperti attraverso la guerra : loro sono
l’immagine del cittadino modello e la rappresentazione di
nuovi valori.
Si troveranno forme varie di commemorazione collettiva. I
simboli usati nella decorazione dei monumenti , la struttura
usata per i cimiteri di guerra ,la cui costruzione iniziò già dal
1915, i complessi rituali per l’inumazione della salma del
Milite Ignoto,rappresentano da subito elementi fondamentali
atti a formare una religione civile in tutti gli Stati Europei.
Testo :”Commemorare era un gesto politico :non poteva essere
un atto neutrale e i monumenti ai caduti si fecero portatori di
messaggi politici sin dai primi giorni di guerra “(Jay Winter )
In Italia ci sarà una specifica forma di celebrazione tra il
pubblico e il privato : la pubblicazione di opuscoli dedicati ai
caduti e destinati alla cerchia familiare e amicale.
Testo:” Il culto dei morti si manifesta in opuscoli
commemorativi e si situa nel punto di intersezione tra il
pubblico e il privato…tra famiglia e nazione, superamento
esistenziale della crisi e strumentalizzazione politica “(Dolci e
Janz-“Non omnis moria”)
Poco a poco il dramma umano vissuto direttamente, diventa
condiviso dall’insieme della società e in alcuni momenti
particolari, come la fine del conflitto,ha un’eco maggiore,
momenti in cui, anche chi non è stato colpito da un lutto ,
percepisce la crudeltà di queste vite spezzate
Testo :”Ciò che ci ha colpito di più in questo giorno ,è veder
piangere,in mezzo all’allegria e all’eccitazione generale, le
nostre compagne ,quelle che avevano perso il padre in guerra.
IN quel momento ho capito quanta sofferenza significasse la
guerra…e questo proprio nel giorno in cui la guerra era
finita”(Pernoud)
Dalla diffusione di un sentimento di dolore collettivo nascerà
quel binomio diritti//doveri costitutivo della situazione sociale
delle persone in lutto:il diritto ad essere aiutate ,ma anche il
dovere di mostrarsene degne. In nome dei caduti, in nome di
una società che se ne assume collettivamente il lutto, bisogna
mantenere un comportamento irreprensibile sul modello della
vittima. Qualsiasi comportamento disdicevole sarà censurato.
Tutte le forme di santificazione del lutto saranno invece
esaltate a cominciare dagli orfani, piccoli eroi in erba , pronti a
tutto per vendicare il padre morto per la patria.
Ma questa “enfatizzazione nazionale “del lutto è davvero un
mezzo efficace per i sopravvissuti? Si tratta davvero di una
risposta alle aspettative delle famiglie affrante e disorientate
dal lutto? Presto cominciarono a formarsi due posizioni
divergenti :da un lato lo Stato che enfatizzava le virtù delle
famiglie che avevano saputo superare con onore e forza gli
orrori e i dolori della guerra e così le rappresentava nei
momenti pubblici ,rimandando un’immagine esclusivamente
etica e che sublimava, in una cornice pubblica, un dolore
privato; dall’altro le famiglie che invece ,non potevano in toto
trasfigurare il loro personalissimo cordoglio nel concetto di
sacro sacrificio per la patria,si racchiudevano nel loro dolore
incomunicabile,si sentivano in qualche modo e alla fine
estranee alle manifestazioni esterne, alla loro retorica, al loro
“rumore” eccessivo così lontano dal loro triste , duro, solitario
percorso quotidiano.
E resta la domanda : come è possibile elaborare un lutto? E
soprattutto come elaborare il lutto di un eroe?Come accettare la
morte di uomini giovani accettando quindi un’inversione del
naturale corso generazionale? Forse la principale caratteristica
di coloro che ebbero parenti caduti fu quella di essere alla
perenne ricerca di una nuova possibile identità, difficile se non
a volte impossibile da raggiungere .Sarà possibile per loro un
giorno vivere fuori dal lutto patologico? E come si potrà
raccontare un simile cordoglio se non si riuscirà ad
affrancarsene ?
Testo:”Forse potrà sembrare assurdo, ma viene da chiedersi -
e la domanda non è del tutto priva di fondamento - quanti
discendenti di coloro che avevano perduto un familiare
durante la guerra del 1915/18 sarebbero stati effettivamente
“altri” senza il lungo dolore del lutto ?” (Rouzeau e Becker)
Il filo rosso che lega Fronte e Fronte interno non sono solo le
lettere, i rapporti di ricordo e nostalgia, le licenze,i ritorni e gli
addii definitivi. Quello che lega questi due “mondi”,che ne fa
una sola cosa nella narrazione della guerra è che ,dalla Prima
Guerra mondiale, scompare la distinzione tra civili e
combattenti :è in questa che il peso della massa dei cittadini,il
loro morale il loro sostegno allo Stato in guerra, sono efficaci
per il buon esito del conflitto quanto le capacità offensive,di
sacrificio, di valore degli uomini che combattevano sui vari
fronti.
Testo:”La prima Guerra mondiale fu la prima guerra
democratica della storia…..in ciascuno dei paesi
interessati,vale a dire nell’Europa intera,colpisce l’universalità
dei cittadini…E’ una guerra democratica perché è fatta di
numeri :dei combattenti, dei mezzi, dei caduti. Ma per questo
motivo più che una vicenda militare è una vicenda civile :più
che un combattimento di soldati è una prova subita da milioni
di persone strappate alla loro esistenza quotidiana” ( Francois
Furet- storico francese)
La prima guerra mondiale è la prima guerra TOTALE. Totale
perché viene meno ogni residua distinzione tra Stato,società e
individuo.
Testo:” La mobilitazione totale non è una misura da seguire,
ma qualcosa che si compie da sé: essa è l’espressione della
legge misteriosa e inesorabile a cui ci consegna l’età delle
masse e delle macchine…La disponibilità alla mobilitazione
era presente in tutti i paesi :la Prima Guerra Mondiale è stata
una delle guerre più popolari che la storia abbia
conosciuto”(Junger-filosofo e scrittore tedesco ,volontario)
Mobilitazione totale e guerra totale e si corrispondono : la
guerra non è più solo lo scontro diretto con l’esercito nemico
ma la distruzione di tutto ciò che lo supporta e lo sostiene,
dunque della stessa popolazione civile:i civili divennero gli
obiettivi diretti e a volte principali della strategia militare,
perché il nemico doveva essere demonizzato, odiato,
disprezzato. La violenza vuole le sue regole e nessuna guerra
che fa appello a sentimenti nazionali di massa può avere un
carattere limitato.
La guerra divenne “impersonale”:uccidere o ferire divennero
piano piano, ai più alti livelli, conseguenze remote di premere
un pulsante o muovere una leva .La tecnologia cominciò a
rendere invisibili le vittime .
Testo:”Di fronte ai cannoni non c’erano vittime ,ma cifre
statistiche,al suolo non c’erano persone ma obiettivi” (
Hobsbawm-Il secolo breve)
Testo :”Il comandante di una squadriglia aerea che a notte
fonda impartisce l’ordine di bombardare ,non fa alcuna
distinzione tra militari e civili e la nuvola letale di gas passa
come un’ombra su ogni forma di vita “ (Junger)
Scrive Altiero Spinelli :
“Il 4 novembre è una data che ricorda il
momento in cui l’Italia è uscita dalla
tradizione del Risorgimento
ed ha
imboccato la politica delle conquiste
nazionalistiche.