connessioni e teorie di gauge

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elementi di matematica della relatività generale, teoria del campi quantistici e Grand Unification Theory: connessioni affini.

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  • Universita` di Pisa

    FACOLTA` DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

    Corso di Laurea Triennale in Matematica

    Tesi di laurea triennale

    Connessioni e teorie di gauge

    Candidato:

    Alessandro Malusa`Relatore:

    Chiarissimo prof.Riccardo Benedetti

    Anno Accademico 20112012

  • Sommario e convenzioni

    Il mio obiettivo in questo lavoro stato quello di approfondire un argomentoche non solo fosse interessante di per s, ma che si prestasse anche ad appli-cazioni alla fisica. Con gli strumenti acquisiti in questo percorso mi statopossibile formalizzare in maniera per cos dire pulita alcuni problemi classicidella meccanica trattata nei corsi di base e affrontare argomenti pi avanzatidellelettrodinamica nel contesto della meccanica quantistica.

    Nel primo capitolo affronto le propriet fondamentali dei fibrati su una varie-t M , ponendo particolare attenzione ai due principali punti di vista possibili:luno globale, laltro locale. Nel primo, la struttura rappresentata da una map-pa di proiezione definita su uno spazio totale E a valori inM con delle proprietdi banalizzazione per certi aspetti molto simili a quelle dei rivestimenti. Il se-condo, invece, consiste nella ricostruzione del fibrato per mezzo di incollamentidi insiemi della forma U F , dove U aperto in M , secondo le regole impostedalle mappe di transizione. Un aspetto molto importante, trattato alla fine, lapossibilit di ricondurre qualsiasi fibrato a uno principale che ne riassume moltepropriet. Questo oggetto permette gi di dare una formulazione compiuta aiproblemi di corpo rigido.

    Passo poi alle connessioni, trattando prima quelle affini su variet generichee passando poi a quelle su fibrati principali. Le prime generalizzano a varietqualsiasi la nozione di derivata covariante, gi affrontata durante i corsi, come unoggetto che consente di formalizzare consistentemente lidea che un dato campovettoriale sia parallelo lungo una direzione, ed eventualmente di valutarne levariazioni: in questo modo possibile dare una formulazione del principiodinerzia anche per ambienti diversi da quello usuale di Rn. Nel contesto deifibrati principali viene introdotto uno strumento simile, espresso in due possibilimodi equivalenti: tramite unopportuna distribuzione o una 1-forma a valoriin unalgebra di Lie, richiedendo in entrambi i casi delle buone propriet ditraslazione. Vengono definiti i sollevamenti paralleli e lolonomia. Tutto questoviene affrontato con una particolare attenzione per le regole di trasformazionedelle rappresentazioni locali degli oggetti in analisi: questo sar un punto chiavenellaffrontare le applicazioni a problemi fisici avanzati.

    Nel capitolo successivo approfondisco la nozione di curvatura, accennatanello studio delle derivate covarianti, estendendola al caso delle connessioni sufibrati principali. In termini della forma differenziale ad essa associata possibileparlare di fibrati piatti, cio a curvatura nulla, e dimostrare che, in questocaso, la distribuzione associata alla connessione integrabile. In questo modorisulta ben definita una foliazione dello spazio totale, che consente di definireun opportuno rivestimento di M che lega lolonomia allomotopia dello spazio.

    1

  • SOMMARIO E CONVENZIONI 2

    Tutto questo viene impiegato nellultima parte per costruire un modello perlelettrodinamica come teoria di gauge, in termini di una connessione data dalpotenziale vettore. Tramite esempi classici come quello del monopolo di Dirac edelleffetto Aharonov-Bohm illustro le applicazioni di quanto visto a questo con-testo, dando una previsione teorica astratta e dando una descrizione consistentedi un fenomeno effettivamente osservato in laboratorio.

    Salvo precisazioni ulteriori, in quello che segue assumo che tutte le varietsiano C, cos come tutte le mappe. User indistintamente le espressioni liscio,differenziabile e C.

    Prima di iniziare lesposizione, vorrei lasciare un saluto e un ringraziamen-to alla memoria del professor Pino Vigna Suria, dellUniversit degli Studi diTrento, venuto a mancare la scorsa primavera.

  • Indice

    1 Fibrati 41.1 Qualche esempio introduttivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.2 Due parole sui rivestimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61.3 Definizioni e prime propriet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

    1.3.1 Punto di vista globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71.3.2 Punto di vista locale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

    1.4 Operazioni sui fibrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121.4.1 Pullback di un fibrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121.4.2 Operazioni su fibrati vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . 13

    1.5 Fibrati principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141.6 Curiosit e considerazioni a posteriori . . . . . . . . . . . . . . . 17

    2 Connessioni 212.1 Motivazioni; principio dinerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

    2.1.1 Il punto di vista delle coordinate . . . . . . . . . . . . . . 232.2 Connessioni affini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

    2.2.1 La derivata covariante in sottovariet di Rn . . . . . . . . 252.2.2 Connessioni affini su variet generiche . . . . . . . . . . . 282.2.3 Il caso di variet riemanniane . . . . . . . . . . . . . . . . 35

    2.3 Connessioni su fibrati principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382.3.1 Derivata covariante indotta . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

    2.4 Olonomia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

    3 Piattezza 463.1 Ancora sulla curvatura nel caso affine . . . . . . . . . . . . . . . 463.2 Curvatura di una 1-forma di connessione . . . . . . . . . . . . . . 483.3 Condizioni equivalenti alla piattezza . . . . . . . . . . . . . . . . 503.4 Olonomia di una connessione piatta . . . . . . . . . . . . . . . . 52

    4 Teorie di gauge 554.1 Background fisico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

    4.1.1 Equazioni di Hamilton e di Schrdinger . . . . . . . . . . 574.2 Lelettrodinamica come teoria di gauge . . . . . . . . . . . . . . . 594.3 Il monopolo di Dirac . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 614.4 Leffetto Aharonov-Bohm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 634.5 Continua... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66

    Bibliografia 68

    3

  • Capitolo 1

    Fibrati

    La struttura di fibrato molto utile per formalizzare e descrivere alcune ideeche in matematica e fisica ricorrono spesso.

    1.1 Qualche esempio introduttivoDi seguito riporto alcune situazioni in cui questo oggetto si rende necessario,per mettere in luce i bisogni che portano a introdurre tale strumento.

    Es 1.1.1 (Fibrato tangente): Data M una variet di dimensione n possibiledefinire, punto per punto, lo spazio tangente: si tratta di uno spazio vettorialedella stessa dimensione di M . Vorremmo costruire un oggetto che esprima benelidea di aver incollato una copia di un certo spazio vettoriale a ogni punto, eche permetta di parlare in maniera consistente di campi vettoriali e della loroeventuale regolarit. Uno spazio costruito come unione disgiunta dei TpM alvariare di p M del tutto inadeguato a questo scopo: esso non ha alcunaovvia struttura differenziabile ereditata da M , n una topologia soddisfacente.C bisogno di qualcosa di pi raffinato.

    Se p un punto di M , esister un isomorfismo tra TpM ed Rn, ma in ge-nerale non uno canonico; analogamente, spazi tangenti ad M in punti distintisono a loro volta differenti, e non possono essere identificati. per possibiledare una base di TpM , e quindi un particolare isomorfismo con Rn, quandoin un intorno del punto definito un sistema di coordinate: in questo casouna base sar definita sullo spazio tangente in ciascuno dei punti dellintor-no. Consideriamo due aperti coordinati Ui e Uj della variet, e supponiamoche questi si intersechino. Lo Jacobiano del cambio di carta fornisce una tra-sformazione delle coordinate dello spazio tangente, ed essendo M una varietC anche questa trasformazione sar differenziabile. Se le carte sono date dai(j) : Ui(j) Ai(j), con Ai e Aj aperti di Rn, questo fornisce delle funzionii(j) : TM :=

    pM TpM Ai(j) Rn che possono essere considerate delle

    parametrizzazioni C: Ui e Uj si intersecano in U =pUiUj TpM , ed ben

    definita una funzione : i(U) j(U) che risulta essere C. Abbiamo quindiuna struttura differenziabile su TM che permette di vedere questo spazio comeincollamento di aperti della forma Ai Rn, cio una variet di dimensione 2n.Inoltre, nelle carte cos costruite, le prime n coordinate della parametrizzazione

    4

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 5

    identificano un punto di M , mentre le altre n individuano un vettore tangentenello stesso. Sar naturale considerare solo carte che godano di questa propriet,poich permettono di individuare in maniera immediata lo spazio a cui ciascunvettore appartiene.

    Es 1.1.2 (Corpo rigido): Considero il moto di un corpo rigido nello spaziotridimensionale. Nellapprossimazione di un punto materiale, la posizione sardeterminata completamente dalle coordinate del centro di massa rispetto a unfissato sistema di riferimento, ma se si considera un corpo esteso occorre tenereconto di ulteriori gradi di libert legati alle possibili rotazioni. utile consi-derare una fissata posizione privilegiata, in cui il centro di massa delloggettosia nellorigine del sistema di riferimento, e sia orientato in un qualsiasi modo.Questo permette, fissato un qualunque punto P , di traslare loggetto dalloriginein P e di considerare lorientazione ottenuta in questo punto come riferimento.A questo punto, una qualsiasi posizione delloggetto con centro di massa in P determinata biunivocamente dalla rotazione intorno al punto che trasformalorientazione di riferimento in quella data. Per passare dal punto materiale alcorpo esteso, quindi, basta associare ad ogni posizione non solo le coordinate delcentro di massa, ma anche un elemento di SO3 che ne esprima lorientazione.Si potr dunque pensare lo spazio delle configurazioni come uno spazio euclideoa cui sia incollata, punto per punto, una copia di SO3. Viene naturale a que-sto punto immaginare che lo spazio che descrive questa situazione possa essereR3 SO3 con la sua struttura di variet differenziabile.

    Una situazione simile, ma pi complessa, quella di un corpo esteso il cuicentro di massa libero di muoversi sulla superficie di una sfera, con lulte-riore vincolo che le rotazioni possibili siano solo attorno allasse radiale dellasfera. Anche in questo caso per determinare una generica configurazione non sufficiente la posizione del centro di massa. Se si dispone, in ogni punto,di unorientazione di riferimento, unaltra generica pu essere espressa tramiteuna rotazione del piano, cio un elemento di S1 (' SO2). Nel caso visto sopra sufficiente unorientazione di riferimento solo nellorigine, poich questo per-mette di costruirne una in ogni altro punto in maniera canonica, ma sulla sferanon ovvio come procedere per avere lo stesso risultato. In R3 si sfruttatoil fatto che, comunque dati due punti, esiste ununica traslazione che mandail primo nel secondo, e sulla sfera vale un risultato simile: se p e q sono duepunti sulla sfera non diametralmente opposti, allora esiste ununica rotazioneche manda p in q fissando lortogonale ai due punti (come raggi vettori). Dun-que, data unorientazione di riferimento in un punto qualsiasi, ad esempio ilpolo nord PN = (0, 0, 1), possibile costruirne una in ogni punto, eccetto quellodiametralmente opposto. Se il centro di massa delloggetto non nel polo sudPS = (0, 0,1), quindi, la sua posizione sar individuata da quella del centro dimassa e da una rotazione del piano: questo permette di vedere lo spazio delleconfigurazioni per cui il centro di massa non sia il polo sud come il prodotto(S2 \ { PS }) S1. Analogamente, per le configurazioni con il centro di massadiverso dal polo nord si ha (S2 \ { PN }) S1. Non chiaro se lintero spaziodelle configurazioni possa essere rappresentato come S2S1, ma sicuramente possibile ricoprire la sfera con aperti per cui questa decomposizione vale.

    Nelle situazioni esposte negli esempi qui sopra si rende necessario introdur-

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 6

    re un oggetto che permetta di formalizzare lidea di incollare a ogni punto diuna certa variet M una copia di una qualche struttura (ad esempio il grup-po che esprime le simmetrie di un corpo libero di muoversi in M), in manieraglobalmente consistente. Questo permetterebbe, inoltre, di parlare di regola-rit di funzioni che assegnano ad ogni punto un elemento della struttura adesso associata: questo corrisponde, nei due esempi visti, a campi vettoriali erotazioni.

    1.2 Due parole sui rivestimentiLa struttura di fibrato richiama quella di rivestimento, affrontata nei corsi isti-tuzionali. Per tale motivo vale la pena riprendere le propriet fondamentali diquesta costruzione prima di introdurre la definizione precisa di fibrato.

    Def 1.2.1: Siano X, E due spazi topologici, pi : E X una funzione continua.Si dice che pi un rivestimento se ogni punto p X ammette un intorno apertoU tale che, per ogni V componente connessa della controimmagine di U , larestrizione pi|V : V U sia un omeomorfismo. Si chiamano aperti trivializzantiquelli che realizzano questa propriet.

    Se E localmente connesso, un rivestimento permette di ricoprire E conaperti della forma Ui Fi, dove gli Ui sono aperti di X, mentre gli Fi rappre-sentano degli spazi discreti (con abuso di notazione, in questa sezione intendercon questa espressione totalmente sconnessi). Dal seguente diagramma, in cuip denota la proiezione sul primo fattore, si pi concludere che, per qualsiasipunto x Ui, lo spazio di Fi omeomorfo alla fibra di x tramite pi. Infatti, laproiezione p : UiFi Fi sul secondo fattore induce un omeomorfismo tra Fie la controimmagine di x tramite p (si tratta di una bigezione tra spazi discreti),mentre la funzione f un omeomorfismo sullimmagine. Per la commutativitdel diagramma, questo induce una bigezione tra Fi e pi1(x), spazio discretorispetto alla topologia di sottospazio: si ha lomeomorfismo cercato.

    Ui Fi f - E

    X

    pi

    ?

    p

    -

    Dunque, ogni punto x di X ammette un intorno (aperto) U la cui immaginepossa essere descritta come U pi1(x). Sar questa la propriet fondamentaledei fibrati.

    1.3 Definizioni e prime proprietLe questioni riguardanti i fibrati su M possono essere formulate sfruttando duediversi punti di vista equivalenti, ciascuno dei quali risulta essere pi o menovantaggioso a seconda del contesto. Il primo globale, e si concentra su di una

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 7

    seconda variet E e una mappa di proiezione su M , con propriet analoghe aquelle dei rivestimenti, a meno di rimuovere lipotesi che le fibre locali sianodiscrete. Il secondo, invece, di carattere locale, e consiste nel ricostruire lavariet E incollando insiemi della forma UiF , con Ui aperti di M con la fibraF , identificando i punti tramite opportune mappe.

    1.3.1 Punto di vista globaleConsidero una varietM , e suppongo siano date unaltra variet E e una funzio-ne differenziabile pi : E M con differenziale surgettivo. Suppongo inoltre chela fibra di ogni punto p M (non lo specificher pi, ma salvo indicazioni ulte-riori intender sempre tramite pi) sia diffeomorfa ad una fissata variet F , chechiamer genericamente fibra, con la seguente propriet: esistono un ricoprimen-to aperto { Ui }iI di M e una famiglia di diffeomorfismi i : UiF pi1(Ui)in modo che il seguente diagramma sia commutativo (pi denota la proiezionesul primo fattore):

    Ui F i- pi1(Ui)

    Ui

    pi

    ?

    pi

    -

    Gli aperti di tale ricoprimento saranno detti trivializzanti, e le mappe itrivializzazioni locali.

    Supponiamo che due aperti trivializzanti Ui e Uj si intersechino: le i ej inducono due diffeomorfismi (per i quali non cambio notazione), a prioridistinti, tra (Ui Uj) F e pi1(Ui Uj). Avr dunque un diffeomorfismo di(UiUj)F in s dato da 1i j , che inoltre conserva la prima componente, equesto permette di associare ad ogni punto p UiUj una mappa tij(p) : F Fdata da f 7 tij(p) f tale che 1i j(p, f) = (p, tij(p) f). Tale mappa sarnuovamente un diffeomorfismo: in effetti, dallipotesi che i lo sia segue che lasua restrizione a { p } F differenziabile e iniettiva, e cos per la sua inversa.

    Sulla fibra F non stata formulata alcuna ipotesi, se non, naturalmente,quella che sia una variet. Tale spazio pu avere della struttua ulteriore, comequella di gruppo, spazio vettoriale o metrico: in tal caso avr senso richiedereche, punto per punto, la mappa tij preservi anche questa struttura, e cio chetij(p) appartenga a un opportuno sottogruppo si quello dei diffeomorfismi di F ins (potr trattarsi di automorfismi di gruppo o spazio vettoriale o di insometrie,in questi casi). Si potr aggiungere lipotesi che tale gruppo abbia a sua voltauna struttura differenziabile: questo far s che tij possa essere definita comeuna mappa da UiUj nel gruppo G considerato, e avr senso lipotesi che anchequeste siano differenziabili.

    Una struttura di questo tipo proprio ci che occorre per affrontare i pro-blemi sopra menzionati. Riassumo nella seguente definizione ci che fin qui stato detto:

    Def 1.3.1 (Fibrato): Siano E, M ed F variet di classe C, G un sottogruppodi Lie dei diffeomorfismi di F in s. Si dice che la mappa pi : E M definisce un

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 8

    fibrato su M con fibra tipica F e gruppo di transizione G se valgono le seguentipropriet:

    1. pi differenziabile e il suo differenziale surgettivo;

    2. La controimmagine di ogni punto p M (indicata come Fp, la fibra di piin p) diffeomorfa a F ;

    3. M ammette un ricoprimento tramite aperti { Ui }iI per i quali esistanodiffeomorfismi i : Ui F pi1(Ui) in modo che limmagine di ognicoppia (p, f) appartenga a Fp, e che per ogni Ui, Uj che si intersechinonon banalmente esista una fuzione tij : Ui Uj G tale che, per ogni(p, f) (Ui Uj) F valga 1i j(p, f) = (p, tij(p) f).

    In tal caso, si dice che E lo spazio totale del fibrato, M lo spazio base, pi chiamata proiezione, mentre gli Ui sono detti aperti trivializzanti, ciascuna itrivializzazione locale, e infine le mappe tij sono chiamate mappe di transizione.G detto gruppo di transizione o di struttura (in contesto fisico di gauge). Siusa chiamare dimensione del fibrato quella di F , e se questo non pu dare luogoad ambiguit si scrive dimE = dimF .

    Sia U M un aperto, s : U E una funzione differenziabile. Si dice ches una sezione locale del fibrato se pi s la mappa identica di U : in altreparole, s una sezione se limmagine di ogni punto appartiene alla sua fibra.Dato un punto p M , esiste sempre una sezione locale in un suo intorno: se(Ui, i) un aperto trivializzante contenente p, f un qualsiasi elemento dellafibra, si pu considerare la mappa sf : Ui E che manda m M in i(m, f).Per definizione di trivializzazione questa mappa in effetti una sezione localein (un intorno di) p. Lesistenza di una sezione globale, invece, non sempregarantita, ed anzi uno dei problemi principali nello studio di un fibrato.

    Es 1.3.1: Se M ed N sono variet, il loro prodotto cartesiano M N hauna naturale struttura di fibrato su ciascuna delle due, tramite le rispettiveproiezioni. Qualsiasi funzione differenziabile f : M N induce una sezioneglobale s : m 7 (m, f(m)) (analogamente per g : N M).

    Es 1.3.2: Il cilindro C e il nastro di Mbius N , costruiti identificando i due bor-di verticali del quadrato [0, 1] (0, 1), rispettivamente preservando e invertendolorientazione, forniscono due esempi di fibrati sulla circonferenza S1. Infatti, inentrambi i casi la proiezione sul primo fattore induce mappe piC e piN a valoriin S1 ' [0, 1]/ , dove la relazione che identifica gli estremi.

    N qN

    [0, 1] (0, 1) qC - C

    S1

    piN

    ? qS1 [0, 1] { 1/2 }

    ? qS1 - S1

    piC

    ?

    Nel diagramma, qN , qS1 e qC denotano le proiezioni ai quozienti. Si verificaimmediatamente che piC e piN sono di classe C e che i rispettivi differenziali

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 9

    sono surgettivi. Siano U1 = (0, 1) e U2 = [0, 1] \ { 1/2 }: le immagini di questiinsiemi tramite qS1 danno un ricoprimento aperto della circonferenza. Sono bendefinite le seguenti mappe: le prime due in maniera immediata, le altre passandoper il quoziente:

    1,C : qS1(U1) (0, 1) C (qS1(x), y) 7 qC(x, y)1,N : qS1(U1) (0, 1) N (qS1(x), y) 7 qN (x, y)2,C : qS1(U2) (0, 1) C (qS1(x), y) 7 qC(x, y)

    2,N : qS1(U2) (0, 1) N (qS1(x), y) 7{qN (x, y) per x < 1/2qN (x, 1 y) per x > 1/2

    Queste mappe sono differenziabili, godono delle propriet delle trivializzazionilocali, e le prime componenti dei loro domini ricoprono S1. Siano GC = { 1 }con lazione banale su (0, 1), e GN = { 1 }, dove 1 agisce mandando y in1 y, tC : qS1(Ui) qS1(Uj) GC la costante 1, tN : qS1(Ui) qS1(Uj) GNche vale 1 nei punti della forma qS1(x) con x < 1/2, 1 altrimenti. Allora le dueproiezioni piC e piN danno fibrati su S1 con le trivializzazioni indicate, gruppi ditransizione GC e GN e mappe di transizione tC e tN .

    Es 1.3.3: Sia M una variet differenziabile n-dimensionale, e sia TM definitocome nellesempio 1.1.1, pi : TM M la mappa che manda ogni elementodi TpM in p. La rappresentazione in coordinate della proiezione mostra ladifferenziabilit di pi e la surgettivit del suo differenziale, e chiaramente la fibradi ogni punto p TpM , isomorfa (e dunque diffeomorfa) a Rn. Dato un atlante diM la costruzione gi fatta permette di individuare delle trivializzazioni locali,le cui mappe di transizione sono date dallo Jacobiano dei cambi di carta. Ilgruppo di transizione sar dunque GLn(R).

    In letteratura esistono diverse definizioni di classi di mappe tra fibrati. Perquesta trattazione sar sufficiente la seguente:

    Def 1.3.2 (Morfismo di fibrati): Siano dati E pi M , E pi M due fibrati,

    f : E E una funzione differenziabile. Si dice che f un morfismo di fibratise pi f = pi, cio se il seguente diagramma commuta:

    Ef - E

    M

    pi

    pi

    -

    Se f un diffeomorfismo tra E ed E come variet, allora si dice che unisomorfismo di fibrati.

    La condizione che f sia un morfismo di fibrati equivale a richiedere chemandi le fibre di pi in quelle di pi. Questa definizione di isomorfismo permettedi confrontare due fibrati e permetter di classificarli.

    Un fibrato si dice banale se equivalente a M F , con la naturale strutturadi fibrato accennata nellesempio 1.3.1. Un esempio di fibrato banale su S1 il

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 10

    cilindro, mentre il nastro di Mbius non pu esserlo: se lo fosse, come varietsarebbe diffeomorfo a S1 (0, 1), cosa che non vale.

    Oss 1.3.1L: e notazioni impiegate per indicare i fibrati sono varie: talvolta ven-gono denotati tramite la 5-upla (E, pi,M,F,G), mentre a volte si usa la nota-zione E piM , o semplicemente E. Naturalmente, specificare soltanto lo spaziobase e la fibra tipica non determina il fibrato, come mostra lesempio 1.3.2.Nemmeno lo spazio totale E, da solo, determina la struttura di fibrato, datoche, ad esempio, nel caso del prodotto cartesiano tra spazi distinti fornisce unfibrato su ciascuno. Addirittura pu non essere sufficiente nemmeno indicareE ed M : le mappe eikt : S1 S1, con k intero non nullo, definiscono fibratisulla circonferenza non isomorfi tra loro (la fibra ha cardinalit |k|). Daltraparte, fondamentale specificare anche il gruppo di transizione, poich al va-riare di questo pu darsi che cambi la classe di banalizzazioni locali permesse.Ad esempio, in maniera del tutto analoga al cilindro, anche il toro ammette unastruttura di fibrato su S1 con la stessa circonferenza come fibra, con gli aper-ti banalizzanti e le banalizzazioni locali costruite nello stesso modo. Se comegruppo di transizione si ammette quello delle isometrie della circonferenza, la2 potr essere sostituita con una mappa che manda (x, y) in 2(x, (y)), dove una riflessione: in questo caso t12(x) = in ogni punto, anzich lidentit.Se per si desidera considerare solo il gruppo delle rotazioni della circonferenza,la famiglia di trivializzazioni costruita non soddisfa le richieste.

    Nonostante queste considerazioni, spesso indicando un generico fibrato sialleggerisce la notazione omettendo di specificare alcune delle sue caratteristiche,purch questo non comprometta la consistenza della trattazione. Io adotterE

    piM .

    1.3.2 Punto di vista locale

    Oss 1.3.2: Se { (Ui, i) }iI un ricoprimento di M tramite aperti trivializ-zanti, le mappe di transizione tij godono delle seguenti due propriet:

    tii = Id per ogni i I; tijtjk = tik per ogni i, j, k per cui Ui Uj Uk 6= . Infatti, applicando

    la definizione, si ha, per ogni p Ui Uj Uk, f F :

    (p, (tijtjk(p)) f) = (p, tij(p) (tjk(p) f)) =

    = 1i j(p, tjk(p) f) =

    = 1i j1j k(p, f) =

    = 1i k(p, f) == (p, tik(p) f)

    In effetti, queste propriet caratterizzano le mappe di transizione: una voltafissati M , F e G e dato un ricoprimento aperto { Ui }iI di M e delle funzioni

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 11

    tij : Ui Uj G con le propriet ora enunciate, esiste un fibrato che abbia letij come mappe di transizione.

    Thm 1.3.3: Siano M , F variet di dimensione r ed s rispettivamente, G ungruppo di Lie che agisce a sinistra su F in modo liscio, { Ui }iI un ricoprimentoaperto di M e tij : Ui Uj G tali che, per ogni i, j, k I, tii = e (elementoneutro di G) e tijtjk = tik. Allora esiste un fibrato con base M , fibra tipica F egruppo di transizione G con tij come mappe di transizione; inoltre, tale fibrato unico a meno di isomorfismo.

    Dim: Sia E = iI Ui F , la relazione binaria su E definita nel seguentemodo: se (p1, f1) Ui F , (p2, f2) Uj F , allora (p1, f1) (p2, f2) se e solose p1 = p2 e f1 = tij f2. Tale relazione riflessiva, poich tii = Id, e transitiva,dato che tijtjk = tik. Inoltre, per ogni i, j I vale t1ij = tji: tijtji = tii = Ide viceversa. Da questo segue la simmetria di , che risulta essere quindi unarelazione di equivalenza.

    Sia E definito come E/ . Per come definita , la proiezione sul primofattore di ciascun Ui passa al quoziente, e induce una funzione pi : E M .Inoltre, per ogni i I la proiezione al quoziente su E fornisce una mappai : Ui F E per cui banalmente (pi i)(p, f) = p.

    Se { (Vj , j) }jJ , { (Wh, h) }hH sono atlanti rispettivamente di M ed F ,allora { ((Ui Vj)Wh, ij h) }, dove ij rappresenta j ristretta a UiVj , un atlante su E . Le ij h inducono mappe anche su aperti Aijk in E. SeAijk interseca non banalmente Almn, le carte inducono una funzione (di cuiometto gli indici) da j(Ui Vj) h(Wh) in m(Ul Vm) n(Wn). Il fattoche gli aperti si intersechino significa che Ui Vj interseca Ul Vm, mentre Whinterseca til(Wn). Si avr

    (x, y) = (lm1ij (x), m(k til(1ij (x)))1(y))

    che per la differenziabilit delle mappe coinvolte a sua volta di classe C.Queste carte mostrano che la proiezione pi anchessa differenziabile e il dif-ferenziale surgettivo, e questo dimostra la struttura di fibrato delloggettocostruito, dato che le trivializzazioni locali sono gi state introdotte e sono ba-nalmente differenziabili. Inoltre, per come stato costruito E, le mappe ditransizione sono quelle richieste.

    Sia ora E piM un fibrato con fibra tipica F e le tij come mappe di transi-

    zione. Allora le trivializzazioni locali i degli aperti Ui definiscono una mappa : E E di classe C, che passa al quoziente e induce una : E Edifferenziabile. Poich le i sono diffeomorfismi sullimmagine, ciascuna di esseammette inversa differenziabile 1i a valori in E . Per definizione di mappe ditransizione, passando al quoziente in E le 1i coincidono dove i domini si inter-secano e permettono quindi di costruire linversa di , anchessa differenziabile.Questo rende un diffeomorfismo tra E ed E, che manda banalmente fibre infibre, ed dunque un isomorfismo di fibrati. B

    Oss 1.3.4: Il risultato ora dimostrato non implica che la costruzione fatta condue famiglie distinte di mappe dia luogo a fibrati non isomorfi: riprendendo latrattazione del cilindro fatta nellesempio 1.3.2, ad esempio, scegliendo tij =

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 12

    Id per i 6= j si otterrebbe un fibrato isomorfo. Per vederlo, basta considerareal posto di 2,C la funzione che manda (x, y) in 2,C(x, 1 y).

    In generale, sempre vero che le mappe tij = Id per ogni i, j I dannoluogo al fibrato banale, ma non vale limplicazione inversa.

    La definizione 1.3.1 propone un punto di vista globale: lidea di fibrato suM con fibra F viene introdotta tramite una nuova variet E ed una mappa diproiezione pi, e lattenzione focalizzata sulle propriet di questi due oggetti.Il risultato appena mostrato, invece, apre la strada a un diverso approccio,che pone laccento sugli aspetti locali della nuova struttura: un fibrato vienecostruito incollando spazi della forma Ui F , secondo le regole espresse dallemappe di transizione. I due punti di vista si equivalgono, ed quindi possibileadottare di volta in volta il pi comodo.

    Oss 1.3.5: Di fatto, quando si definisce il fibrato tangente ad una variet,la costruizione che si fa quella locale: dato un atlante di M , se due aperticoordinati si intersecano lo Jacobiano del cambio di carta fornisce una funzionedallintersezione in GLn(R), dove n la dimensione di M . La famiglia di questemappe soddisfa le ipotesi richieste.

    1.4 Operazioni sui fibratiDati uno o pi fibrati pu essere utile saperne costruire degli altri a partire daquesti. Se ad esempio dato E pi M , naturale aspettarsi che un embeddingdi una variet N in M induca in qualche modo una struttura di fibrato anchesu N . Inoltre, come stato definito uno strumento che consente di trattareconsistentemente i campi di vettori tangenti ad una variet, cos sar possibilecostruirne altri per i vettori appartenenti a spazi legati al tangente, ad esempioil suo duale, e i prodotti tensoriali tra questi.

    Alcune di tali costruzioni danno loccasione di vedere esempi di situazioni incui vengono adottate le due diverse prospettive della teoria dei fibrati.

    1.4.1 Pullback di un fibratoSiano E pi M un fibrato, N una variet ed f : N M una mappa differen-ziabile. Dal momento che pi permette, euristicamente, di incollare a ogni puntodi M una copia di F , ci si pu aspettare che f permetta di fare lo stesso su N ,associando a ogni n la fibra di f(n). Ad esempio, se f un embedding, questopermette di considerare non solo lo spazio tangente ad n in N , ma anche tuttoil tangente a f(n) in M . Un altro caso che pu essere interessante quello diuna curva in M che esprime il moto di un oggetto nella variet, con F ungruppo che ne esprime le simmetrie: la traiettoria pu non essere iniettiva, maha senso considerare a ogni tempo la fibra del punto in cui ci si trova.

    Una tale costruzione possibile, ed detta pullback di pi: la definir adot-tando il punto di vista globale. Sia f(M) definita come il sottoinsieme di NEdei punti (p, u) tali che f(p) = pi(u), pi1 e pi2 le restrizioni a questo insieme delledue proiezioni sui fattori di N E. Se { (Ui, i) }iI un ricoprimento banaliz-zante per M , la controimmagine di Ui tramite f aperta in N per ogni i, e gli

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 13

    insiemi di questa forma ricoprono N . Dato (p, u) f(E) tale che f(p) Ui, possibile definire i : f1(Ui) F f(E) tramite

    1i (p, u) = (p, fi)

    dove fi la seconda componente di 1i (u). Questo fornisce una bigezionetra f1(Ui) F e pi11 (f1(Ui)), e mostra che pi1 banale su f1(Ui). Sep f1(Ui) f1(Ui), allora fi = tij fj : dato che queste mappe sono lisce, lerappresentazioni delle transizioni tra le i tramite coordinate in N ed F sono aloro volta C, e questa costruzione permette di definire una struttura differen-ziale su f(E) che renda regolari tutte le funzioni ora definite, in modo che pi1definisca un fibrato. Le mappe di transizione tij sono definite per composizionecon f .

    1.4.2 Operazioni su fibrati vettorialiA fianco dei campi vettoriali, tra i primi oggetti che vengono definiti quandosi introducono le variet ci sono le forme differenziali: mappe che associano adogni punto p M un funzionale sul tangente. In maniera del tutto analogaal fibrato tangente, si pu definire il cotangente, la cui fibra sar il duale dellospazio tangente.

    Def 1.4.1 (Fibrato vettoriale): Si dice vettoriale un fibrato E piM la cui fibratipica uno spazio vettoriale V e con gruppo di transizione G un sottogruppodi Lie di GL(V ).

    In generale, a ogni fibrato vettoriale pu essere associato il suo duale, cioun altro fibrato la cui fibra lo spazio duale di V .

    Richiamo un risultato di algebra lineare: se V uno spazio vettoriale ef End(V ), esiste ununica f End(V ) tale che, per ogni V e per ogniv V valga

    (f())(v) = f((v))

    Inoltre, (IdV ) = IdV , e per f, g End(V ) vale (f g) = g f. Infatti,per ogni V , v V :(

    (f g) ()) (v) = ((f g) (v)) == (f (g (v))) =

    = (f ()) (g (v)) == (g (f ())) (v) == ((g f) ()) (v)

    Siano { tij } le mappe di transizione associate al ricoprimento banalizzante{ (Ui, i) }iI del fibrato vettoriale E piM : definisco ij = tji. Queste funzionisoddisfano le ipotesi del teorema 1.3.3, e permettono quindi di definire il fibratoduale E.

    Da un altro risultato di algebra lineare risulta che, per ogni endomorfismof di uno spazio vettoriale V , esiste ununica mappa kf End(kV ) tale che

    (kf)(v1 vk) = f(v1) f(vk)

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 14

    Si verifica che, se f, g End(V ), allora k(f g) = (kf) (kg), e chek(IdV ) = IdkV ; di conseguenza, se f invertibile lo sar anche kf , e valek(f1) = (kf)1.

    Dato E pi M un fibrato vettoriale con fibra V e mappe di transizione tijrispetto a un certo ricoprimento banalizzante { (Ui, i) }iI , per ogni p M siha ktij GL(kV ): ancora una volta sono soddisfatte le ipotesi del teorema1.3.3, ed ben definito il fibrato kE con la potenza esterna kV come fibratipica.

    Usando queste due costruzioni si pu formalizzare il fibrato delle k-formedifferenziali su una variet M : da TM si passa a T M , il fibrato duale, e poi sipassa alla potenza esterna k-esima. Per il fibrato di tutte le forme differenziali,invece, manca ancora un passaggio.

    Siano E pi M ed E pi M due fibrati vettoriali (non necessariamente

    sulla stessa variet) con fibre V e V . Questi inducono una struttura di fibratosu M M con fibra V V . Se { (Ui, i) }iI e { (Vj , j) }jJ sono rispettiviricoprimenti banalizzanti, gli aperti della formaWij = UiVj ricopronoMN .Dette tii e sjj le mappe di transizione, su Wij Wij sono ben definite riijjche agiscono su V V componente per componente. Ancora una volta, si pudefinire quello che si usa chiamare il fibrato prodotto, indicato con E E.In maniera del tutto analoga si pu definire un fibrato su M M con fibraV V . Se M = M , identificando M con la diagonale M M tramitelimmersione , il pullback del fibrato prodotto d quella che si chiama sommadi Whitney (o somma diretta) E E, e analogamente si ottiene il prodottotensore E E. Naturalmente queste due costruzioni possono essere ripetutecon un qualsiasi numero finito di fibrati: in questo modo si ottiene il fibratodelle forme differenziali su M sommando tutte le potenze k-esime non banali.

    Bench ristretti alla sola classe dei fibrati vettoriali, questi esempi dannounidea dellutilit del punto di vista locale presentato sopra, fatta eccezione perla somma di Whitney e per il prodotto tensore, che coinvolgono un pullback.

    1.5 Fibrati principali

    Def 1.5.1 (Fibrato principale): Un fibrato E piM detto principale se la fibracoincide con il gruppo di transizione G, e lazione quella sinistra naturalmenteeindotta dalla struttura di gruppo. Tali fibrati sono detti anche G-fibrati su M ,e spesso il loro spazio totale si indica con P anzich con E.

    Nei fibrati principali ben definita unazione destra di G su P . Sia u P ,U un intorno banalizzante di p = pi(u) con trivializzazione , g G tale che(p, g) = u. Per ogni a G, si definisce:

    u a = (p, ga)

    Il punto u a dipende in effetti solo da a e u, e non dalla particlare scelta di U odi . Se infatti V un altro intorno banalizzante di p, la trivializzazione,con u = (p, h) e t la mappa di transizione, avr:

    (p, ga) = (p, t(ga)) = (p, (tg)a) = (p, ha)

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 15

    Inoltre, si tratta proprio di unazione destra, poich

    (u a) b = (p, ga) b = (p, (ga)b) = (p, g(ab)) = u ab

    Oss 1.5.1: Lazione ora definita preserva le fibre: segue immediatamente dalladefinizione che pi(u) = pi(u a) per ogni u E, a G. Essa libera e transitivasu ogni fibra, cio dati comunque punti u1, u2 Fp esiste un unico a G taleche u1 a = u2: se unopportuna trivializzazione locale, con (p, g) = u1e (p, h) = u2, baster scegliere a = g1h, questa lunica scelta possibile.Questa azione liscia, dato che localmente pu essere scritta come composizionedi mappe C:

    u a = (pi (u) , pi2

    (1 (u)

    )a)

    dove pi2 denota la proiezione sul secondo fattore.

    Il seguente risultato, seppure molto semplice, merita di essere messo in evi-denza per via delle sue implicazioni. La struttura di E pi M , come gi statoosservato, determinata completamente dalle mappe di transizione: sembraragionevole che, se queste non vengono modificate, molte propriet del fibratosiano conservate quando si cambia la fibra tipica. Pu essere molto interessanteavere un modo canonico per ricondursi a un caso particolare, come quello deifibrati principali, che sia pi facile da trattare o che si presti a costruzioni piricche e flessibili, ed questo lobiettivo del prossimo teorema.

    Thm 1.5.2: Date due varietM ed F e un gruppo di Lie G agente a sinistra suF in maniera liscia, esiste una corrispondenza biunivoca tra le classi di isomor-fismo di fibrati su M con fibra F e gruppo di transizione G e quelle di G-fibratisu M . Inoltre, tale corrispondenza canonica.

    Dim: Sia dato E pi M un fibrato con fibra F e gruppo di transizione G,{ (Ui, i }iI un ricoprimento banalizzante. Se { tij } la famiglia delle mappedi transizione rispetto a questo ricoprimento, esiste un unico G-fibrato, a menodi isomorfismo, con le stesse mappe di transizione rispetto al ricoprimento { Ui },essendo banalmente vere le ipotesi del teorema 1.3.3.

    In maniera del tutto analoga, dato un qualsiasi G-fibrato ne esiste uno e unosolo, sempre a meno di isomorfismo, che soddisfi le richieste. B

    Due fibrati ottenuti luno dallaltro tramite la costruzione descritta nella di-mostrazione sono detti associati. Limportanza del risultato risiede nel fatto chemolte propriet di un fibrato sono riassunte in quelle del suo associato. Una diqueste, ad esempio, la banalit: infatti, questa equivalente allesistenza di unricoprimento banalizzante le cui mappe di transizione mandino costantementenellidentit di G.

    Oss 1.5.3: Dato il G-fibrato P , la costruzione di quello associato con fibra Fpu essere fatta in maniera alternativa definendo lo spazio totale come quozientedi un prodotto. Pi precisamente, se lazione di G su F (lomomorfismo diG in un opportuno gruppo di trasformazioni di F che ne definisce lazione), siindica con P F lo spazio P F quozientato sulla relazione di equivalenzadata da (u, f) (u g, (g)1f); ben definita una mappa di proiezione pi data

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 16

    da [(u, f)] 7 pi(u). Una trivializzazione locale i di P pu essere impiegata perdefinirne una di questa nuova mappa: si definisce i(p, f) = [(i(p, e), f)]. Sej una trivializzazione il cui dominio interseca quello di i, varr:

    j(p, f) = [(j(p, e), f)] = [(i(p, tij(p)), f)] =

    = [(i(p, e) tij(p), f)] = [(i(p, e), (tij(p)) f)] = i(p, (tij(p)) f)

    Dunque le mappe di transizione di questo fibrato sono le stesse di P .Questa costruzione esplicita sar utile studiando le connessioni per far ere-

    ditare a P F della struttura definita su P .Vale la pena osservare che esiste una corrispondenza biunivoca tra le sezioni

    di PF e le mappe P : P F che soddisfano P(u g1

    )= (g)P (u). Sia

    data ad esempio una sezione del fibrato. Allora per ogni u P esiste un unicof F tale che (pi(u)) sia la classe di (p, f): sia f = P (u). Per ogni g G laproiezione di u g uguale a quella di u, e di conseguenza (pi(u)) = (pi(u g)),e (u g, f ) rappresenta la stessa classe di (u, f) se e solo se f = (g)1f . Datainvece una mappa P con le propriet richieste immediato verificare la buonadefinizione di (p) = [(u, P (u))] per qualsiasi u Fp.

    Un risultato interessante il seguente:

    Thm 1.5.4: Un fibrato vettoriale di dimensione n con gruppo G = GL(V ) banale se e solo se ammette n sezioni linearmente indipendenti.

    Questo segue da un altro teorema, tenendo conto del fatto che un G-fibrato banale se e solo se lo un suo associato:

    Thm 1.5.5: Un fibrato principale banale se e solo se ammette una sezioneglobale.

    Dim: Il G-fibrato banale M G, fissato un qualsiasi elemento g G, ammettelovvia sezione s : p 7 (p, g).

    Sia ora s una sezione globale del G-fibrato P . Sar ben definita una mappaf : M G P data da:

    f(p, g) = s(p) g

    La differenziabilit di f discende da quelle di s e dellazione; le propriet diquestultima mostrano anche la sua bigettivit. Linversa pu essere scrittalocalmente come composizione di mappe C, e risulta quindi anchessa diffe-renziabile. Dunque f un diffeomorfismo tra M G e P , e per costruzionepreserva le fibre: un isomorfismo di fibrati. B

    Anche quando un fibrato principale non banale, emulando la dimostrazioneappena vista si pu dare una procedura per costruire in modo naturale, data unasezione locale s, una trivializzazione sul suo dominio. Si usa chiamare canonicaquesta banalizzazione.

    Dim (Teorema 1.5.4): sufficiente mostrare che in un fibrato vettoriale E nsezioni globali indipendenti corrispondono ad una sezione globale del principaleassociato: questo equivalente alla banalit di P , che a sua volta coimplicaquella di E. Se V la fibra di E, una base di V induce un isomorfismo tra V ed

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 17

    Rn e uno tra GL(V ) e GLn(R) che indico con , il quale anche diffeomorfismo.Sia { (Ui, i) }iI un ricoprimento banalizzante di E con mappe di transizionetij , le (tij) definiscono una famiglia di mappe di transizione per un fibrato Esu M con fibra Rn e gruppo GLn(R). Se le i sono le trivializzazioni localinaturalmente associate alla costruzione di E ben definita una mappa f : E E tale che per ogni i

    f(i(p, v)) = i(p, (v))

    Infatti, se p Ui Uj , vale

    j(p, (v)) = i(p, (tij(p))(v)) = i(p, (tij(p) v))

    f un diffeomorfismo e preserva le fibre, ed quindi un isomorfismo di fibrati.In maniera analoga si mostra che il fibrato P associato ad E isomorfo a Ptramite una mappa naturale definita nello stesso modo di f .

    Lipotesi ulteriore che V sia Rn e che G sia GLn(R), dunque, non lede lageneralit dellenunciato. Siano ora s1, . . . , sn sezioni globali indipendenti su E,e per ogni aperto banalizzante Ui, p Ui, sia vki (p) tale che

    1i (sk(p)) = (p, vki (p))

    Detta Mi(p) la matrice ottenuta accostando gli n vettori colonna vki (p), risultaben definita la mappa

    (p) = i(p,Mi(p))

    Dato che i vki (p), fissati p e i, formano una base di Rn, Mi(p) una matriceinvertibile. La verifica della buona definizione di , a questo punto, immediata:dalle sk si ricava quindi una sezione globale di P . La costruzione vista, infine,pu essere invertita per mostrare limplicazione inversa. B

    1.6 Curiosit e considerazioni a posteriori

    Es 1.6.1 (Il teorema della palla pelosa): Una conseguenza dellultimo teore-ma enunciato, ad esempio, lequivalenza tra il cosiddetto teorema della pallapelosa, secondo il quale ogni campo vettoriale tangente ad S2 si annulla almenoin un punto, e la non banalit del fibrato tangente di S2. Infatti, se esistesseun campo tangente mai nullo sarebbe facile costruirne un secondo ortogonalead esso, e questi darebbero due sezioni globali indipendenti del fibrato tangen-te. Per dimostrare il teorema, quindi, sufficiente studiare TS2, o anche il suoprincipale associato.

    Sia pi : SO3 S2 la mappa data da g 7 g e1, dove la sfera quella unitariain R3, ed e1 il primo vettore della sua base canonica. Dato che lazione C,pi differenziabile. Si avr che Tg SO3 = Lg(TId SO3) per ogni g, dove Lg la naturale azione destra di g su SO3: identificando TId SO3 con lalgebra diLie so3, e indicando con Jei i suoi generatori standard, si ottiene che per ognig G il tangente in g generato dai LgJei . Siano inoltre i le curve date daLg exp(tJi) per un certo g fissato. Con questa notazione facile mostrare cheil differenziale di pi surgettivo, e che la fibra di ogni punto diffeomorfa ad S1:avr che pi2 e pi3 sono trasversali in quanto giacciono su piani distinti la cui

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 18

    intersezione ortogonale a Tpi(g)S2 (rappresentano le due rotazioni attorno agliassi dati da g e2 e g e3), e i loro vettori tangenti al tempo 0 generano Tpi(g)S2,da cui la surgettivit di dpi. Inoltre, pi(h) = pi(g) se e solo se pi(h1g) = e1,cio h1g fissa e1 sulla sfera. Questo significa che la fibra di pi(g) il lateraleg SO2, dove SO2 identificato con il sottogruppo di Lie di SO3 delle rotazionidi Span(e2, e3): ogni fibra quindi diffeomorfa a SO2 ' S1.

    Dato un punto p S2 \ { e1 } possibile costruire in modo canonico unarotazione gp della sfera che manda e1 in p, scegliendo quella che fissa lortogonale.Se p = (x, y, z), r =

    y2 + z2 e = arccos(x), tale rotazione data da

    gp = exp

    (yJe2 + zJe3

    r

    )e dipende quindi in maniera liscia da p, e questo vale anche scegliendo ge1 = Id.Questo permette di costruire la trivializzazione C di pi tramite la mappa

    1 :(S2 \ { e1 }) SO2 - SO3

    (p, ) - gp

    In maniera analoga pu essere definita 2 su S2\{ e1 }, associando ad ogni puntouna rotazione che vi mandi e1 anzich e1. A questo scopo basta consideraregp e scegliere 2(p, ) = gp . Questo dimostra che la pi definita sopra definisceuna struttura di fibrato; non stato per imposto che sia principale, cio cheil gruppo strutturale sia S1. In effetti, con questa scelta delle trivializzazioniquesto non vale: se 1(p, ) = 2(p, ), allora:

    gp = gp = = g1p gpLe mappe di transizione sono dunque della forma g1p gp, che non una rota-zione di Span(e2, e3) poich ne inverte lorientazione (e1 va in e1). Se allorah = exp(piJe2), cio la rotazione di un angolo piatto intorno allasse di e2,modificando 2 in modo che sia

    2(p, ) = gph

    le mappe di transizione diventano della forma

    g1p gph

    e sono in effetti rotazioni del piano.SO3, dunque, stato fornito di una struttura di fibrato principale su S2

    con fibra tipica S1, identificata con il gruppo delle rotazioni del piano orto-gonale a e1. Inoltre, si pu dimostrare che questo fibrato isomorfo a quelloassociato a TS2. In effetti, il tangente della sfera ammette delle trivializzazionilocali costruite in modo analogo a 1 e 2: identificando nuovamente R2 conSpan(e2, e3), siano:

    1(p, v) = gp(v)2(p, v) = (gph)(v) (1.1)

    dove i domini delle 1 sono quelli ovvi. A questo punto evidente, avendodefinito le trivializzazioni dei due fibrati in analisi come lazione di uno stesso

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 19

    oggetto sugli elementi delle rispettive fibra tipiche, che le mappe di transizionesono le stesse. SO3

    pi S2 quindi isomorfo al fibrato principale associato aTS2.

    Infine, quello introdotto ora non un fibrato banale: se lo fosse, il suo spaziototale sarebbe diffeomorfo a S2 S1, cosa che per non vera. Esiste infattiun omomorfismo continuo e surgettivo da S3, come sottogruppo moltiplicativodel corpo dei quaternioni, su SO3, dato dallazione per coniugio sulliperpianodei quaternioni puramente immaginari. Il nucleo di tale morfismo { Id },e si pu mostrare che la topologia quoziente di S3/ { Id } la stessa di SO3.Questo spazio, quindi, ottenuto come quoziente di S3 (il quale semplicemen-te connesso) per lazione propriamente discontinua del gruppo generato dallamappa antipodale. Tale gruppo isomorfo a Z/2Z, e per un teorema sulla teo-ria dei rivestimenti si ha che questo isomorfo al primo gruppo di omotopia siSO3. Daltronde, pi1(S2S1) isomorfo al prodotto diretto dei singoli gruppi diomotopia, ed quindi { Id }Z ' Z. Dunque SO3 non omeomorfo a S2S1,e di conseguenza i due fibrati non sono isomorfi.

    Es 1.6.2 (Ancora sul corpo rigido): Alla luce di quanto visto fin qui si possonofare diverse osservazioni sullesempio 1.1.2. chiaro che, in entrambi i casi,loggetto che occorreva formalizzare un fibrato, rispettivamente su R3 e su S2,con fibre SO3 e SO2 ' S1. Da quanto detto risultava intuitivamente chiaro cheil primo possa essere scritto come R3 SO3, mentre non era ancora evidente sevalga una condizione analoga per il secondo: con il linguaggio ora introdotto sipu dire che il primo un fibrato banale, e che non ovvio se lo sia anche ilsecondo.

    I due gruppi SO3 ed S1 erano stati introdotti per esprimere le simmetrie dioggetti che si muovono tangenzialmente agli spazi in analisi: una rotazione diquesti oggetti corrisponde ad una dello spazio tangente ad R3 o ad S2 rispetti-vamente. Osservato questo, se ne conclude che i fibrati che occorrono in questesituazioni sono quelli principali associati a TR3 e a TS2. Stando cos le cose,la congettura che il primo fosse banale dimostrata, mentre il secondo non puesserlo.

    Unaltra osservazione interessante questa: il modo in cui sono state costrui-te le trivializzazioni locali di questi fibrati (per quanto non fossero stati definiticome tali) in sostanza quello menzionato nel precedente paragrafo, sulla falsariga della dimostrazione del teorema 1.5.5. Infatti, una volta scelto un puntodi TR3 stato riconosciuto un modo canonico per costruire a partire da questouna sezione (in questo caso globale) del fibrato, e da questa la banalizzazione.Trattando il caso della sfera, invece, non era evidente come scegliere una talesezione in modo che fosse globale (in effetti un tale oggetto non esiste, come vi-sto), ma stato comunque possibile mettere in evidenza la struttura di fibratoscegliendone due locali.

    Lipotesi che i moti di rotazione fossero tangenziali allo spazio, fatta in que-sti due casi, non generale. Ad esempio, nel secondo caso si sarebbe potutoassumere che il corpo potesse ruotare liberamente intorno al proprio baricentro:il fibrato che descrive questa situazione non quello associato al tangente diS2. In questo caso, una rotazione delloggetto pu essere associata ad una dellospazio tangente nei punti di S2, ma non alla sfera stessa, bens ad R3, in cui essa immersa. In questo modo appare evidente che loggetto giusto il fibrato

  • CAPITOLO 1. FIBRATI 20

    associato al pullback di TR3 tramite lembedding della sfera nello spazio tridi-mensionale. Tale fibrato, peraltro, banale: il pullback menzionato ammettetre sezioni globali ortonormali date da quelle di TR3.

    Costruzioni di questo tipo possono essere applicate spesso in fisica per espri-mere le simmetrie di un dato sistema meccanico. Negli esempi visti sopra ilfibrato considerato quello associato a un tangente: questultima condizione specifica di queste situazioni, e in generale i fibrati considerati saranno sprincipali, ma senza il bisogno che siano associati ad altri pi semplici.

  • Capitolo 2

    Connessioni

    Da qui in avanti adotter la convenzione di Einstein per le sommatorie: se inprodotto compare due volte lo stesso indice, una volta in alto e una in basso, siintende che la quantit vada sommata su tutti i possibili valori di quellindice,salvo indicazioni contrarie.

    2.1 Motivazioni; principio dinerziaIn uno spazio affine A i vettori sono definiti in modo astratto come elementidella sua giacitura V : si pu sempre parlare di vettore da un punto a un altroo di vettore applicato a un punto senza bisogno di dare ulteriori specificazionisullo spazio a cui questi appartengono, perch si tratta sempre dello stesso (lagiacitura per lappunto). In questo modo non c difficolt nel definire i campivettoriali come funzioni da A in V , n vi alcuna ambiguit quando si parladi campi costanti. Inoltre, spazi di questo tipo ereditano da Rn anche unastruttura differenziale, tramite la quale lo spazio tangente in qualsiasi punto canonicamente isomorfo alla giacitura. La nozione di campo vettoriale, in questocontesto, ben definita senza bisogno di distinguere un tangente per ogni punto,n occorre introdurre alcuna struttura ulteriore sulla collezione di questi spazi:in definitiva non evidente il bisogno di parlare di fibrati.

    In una generica variet M le cose non sono cos semplici: vettori tangentiin punti distinti non possono essere confrontati, n tanto meno sommati, inquanto appartengono a spazi definiti separatamente. Questa la ragione percui, in principio, stato definito il fibrato tangente. Passando a contesti piampi, poi, ci si pu imbattere in altre situazioni che si presentano lo stessoproblema, ossia in cui ha senso considerare in ogni punto di M una copia di uncerto oggetto F , ma per qualche ragione necessario tenerle tutte distinte alvariare del punto in considerazione. La nozione di fibrato stata introdotta indefinitiva per risolvere questo problema, e ha permesso di definire come sezionidi una certa mappa le funzioni che a ogni punto assegnano un elemento dellasua copia di F .

    Si pone per un altro problema: mentre nel caso degli spazi affini ha sen-so parlare di campi vettoriali costanti, questo non possibile in generale, dalmomento che vettori applicati in punti distinti non possono essere confrontati.Lintroduzione del fibrato tangente, in questo caso, non di aiuto: questo

    21

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 22

    definito come uno spazio localmente diffeomorfo a U Rn, U aperto in M , maper avere unidentificazione tra il tangente in un punto e lo spazio delle coordi-nate c bisogno di una trivializzazione locale. Questa nella maggior parte deicasi non canonica: non stato stabilito alcun criterio per preferire una bana-lizzazione ad unaltra, e anzi sono state introdotte le mappe di transizione perconfrontarle nel caso in cui non sia possibile sceglierne una particolare. Inoltre,quando un fibrato tangente non banale (come si visto nel caso della sfera,ad esempio), non esiste unidentificazione globalmente coerente. Tutte questeconsiderazioni valgono in generale per fibrati qualsiasi.

    Un altro oggetto che perde di significato passando da spazio affine a variet quello di retta. I primi sono definiti come oggetti su cui la giacitura agiscesecondo determinate regole, ed ha sempre senso, dati un punto p e un vettorenon nullo v, considerare la famiglia del punti della forma p + v al variare di su R, e chiamare retta questo oggetto, come sottoinsieme su cui Span(v)agisce secondo le stesse regole degli spazi affini. Nel contesto delle variet,invece, i vettori naturalmente legati agli spazi hanno un significato diverso, e illoro ruolo quello di descrivere landamento delle curve passanti per un datopunto. Se negli spazi affini ha senso introdurre questo secondo significato dandoloro una struttura differenziale, il contrario non vale: in una generica varietnon ovvio come dare unazione dello spazio tangente in modo da poter farecostruzioni analoghe. Cambiano leggermente punto di vista, per, e pensandoalle rette affini come curve parametrizzate, esse rappresentano le soluzioni diuna particolare classe di problemi di Cauchy: quelli della forma{

    = v

    (0) = p

    In altre parole, le rette sono le curve integrali dei campi costanti. Questo ri-conduce al problema precedente, ossia quello di stabilire cosa significhi che uncampo costante: se non ha senso questo, non nemmeno possibile parlare dirette come curve con vettore tangente costante.

    Da un punto di vista fisico questa osservazione costituisce un problema nonindifferente, poich compromette il senso del principio di inerzia, secondo il qua-le un corpo lasciato a se stesso conserva il proprio stato di moto o di quiete,cio in definitiva la propria velocit (come grandezza vettoriale). Lintuizionesuggerisce che lo spazio fisico possa essere descritto come R3 (affine), e in que-sto modo la formulazione del principio dinerzia secondo cui un corpo che nonvenga perturbato da alcuna forza ha velocit costante ha effettivamente senso.Appena si abbandona questo modello, per, essa perde di significato, e in effettilimitandosi a questo si corre il rischio di essere troppo restrittivi.

    Tanto per cominciare, riprendendo la situazione dellesempio 1.1.2, ci si puchiedere che significato assuma il principio dinerzia per un corpo vincolato amuoversi su di una sfera (o su una generica superficie) se si dimentica lo spaziocircostante e ci si restringe a questa. chiaro che in queste condizioni loggettonon potr muoversi in linea retta come si abituati a vedere in R3. Si potrebbeobiettare che si tratta di un esempio artificioso, e che di fatto un tale corpo soggetto alle forze vincolari della superficie, e perci non costituisce una seriaminaccia al principio dinerzia, ma vale sempre la domanda: che significato puassumere tale principio se si considerano spazi diversi da R3?

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 23

    La seguente considerazione pu essere pi illuminante: perch, nonostantela nostra percezione sia locale, assumiamo che lintero spazio possa essere rap-presentato da R3? In effetti questa ipotesi non ben giustificata, e sarebbe deltutto legittimo descrivere lo spazio come una generica 3-variet Riemanniana.In questo modo, anche se le regioni che consideriamo si comportano come unospazio affine, nulla vieta che problemi su scala pi ampia impongano un puntodi vista diverso, e, ancora una volta, vanifichino la nostra formulazione del prin-cipio dinerzia, almeno da un punto di vista teorico. Occorrerebbe dunque unoggetto che permetta di esprimere lidea che un certo campo vettoriale (in que-sto caso la velocit) definito almeno lungo una curva rimanga costante lungodi essa, bench i valori assunti istante per istante non possano essere confrontati.

    Questo soltanto un esempio, in un contesto limitato, di come si rendanecessario uno strumento per studiare alcune propriet dei campi vettoriali.In generale, dato un fibrato, pu essere interessante domandarsi anche cosasignifichi che una certa sezione non vari lungo una data curva. A questo scopovengono introdotte le connessioni.

    2.1.1 Il punto di vista delle coordinateNella definizione di variet, o di struttura differenziabile, richiesta lesisten-za locale di sistemi di coordinate compatibili, nel senso che i cambi di cartadebbano essere C. La maggior parte delle argomentazioni che si fanno ogginello studio di questi oggetti, le coordinate sono viste come oggetti transitoriche vengono introdotti alloccorrenza e dimenticati appena possibile. Esiste unpunto di vista, caro alla tradizione passata, utile in alcuni contesti, e largamenteimpiegato in fisica, che si concentra invece sulle coordinate, e secondo il qualemolti oggetti vengono definiti attraverso di esse. Ad esempio, campi vettoriali,tensoriali e forme differenziali vengono introdotti attraverso le regole secondocui le coordinate di questi oggetti variano nel passaggio da un sistema di coor-dinate a un altro. In questo modo, il vettore tangente a una curva definito,in un particolare sistema di coordinate xk (k = 1, . . . , n), dallespressione:

    =dxi

    dtei

    dove xi(t) sono le coordinate del punto (t), mentre il differenziale di unafunzione scalare , come forma differenziale, definita da:

    d =

    xidxi

    In questottica, gli oggetti vengono confusi con le loro rappresentazioni incoordinate, e una stessa quantit, se misurata rispetto a sistemi diversi, pucambiare. Questo principio ben evidente in contesto fisico: le coordinate diuno stesso vettore cambiano a seconda dello specifico sistema di riferimento, ela forma di una stessa funzione pu cambiare nello stesso modo. Si dir che una funzione scalare, o semplicemente uno scalare, se le sue rappresentazioniin coordinate si corrispondono per valore: ad esempio, la temperatura soddisfaquesta condizione, mentre una funzione hamiltoniana, in generale, la viola. Que-sta definizione equivale sostanzialmente alla richiesta che sia una ben definitafunzione su M , a valori reali. Date n funzioni scalari, poi, chiaro che queste

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 24

    non possano in generale rappresentare le coordinate di un vettore: le funzionicostanti ad esempio hanno la medesima rappresentazione in qualsiasi sistema,ma evidente che il campo ek, fissato qualche k, dipende fortemente dalla sceltadelle coordinate, bench sia identificato dalln-upla di funzioni costanti i ik.Si dir dunque che una famiglia di funzioni rappresentate da Xk rispetto a undato sistema di coordinate xk e da X

    hrispetto a xh se vale

    Xh

    =xh

    xkXk

    Questa lusuale regola di cambiamento di coordinate per i vettori. Adottandola definizione intrinseca di spazio tangente, questo risultato pu essere dimo-strato come teorema: secondo questo punto di vista assume invece il valore diuna definizione. In maniera analoga si parla di campi tensoriali qualsiasi, ed da questo contesto che nascono le espressioni di vettori co- e controvarianti:un vettore non definito in maniera intrinseca, ma come una collezione di coor-dinate, e la sua natura determinata dalle regole con cui queste trasformano semisurate rispetto a sistemi diversi.

    In questo punto di vista il problema sollevato nel precedente paragrafo, cioquello di confrontare vettori in punti diversi o di studiare il parallelismo di uncampo lungo una curva, potrebbe non essere tanto evidente. Si potrebbe esseretentati, dati un campo vettoriale X, una curva e un sistema di coordinate inun opportuno intorno di (0), di definire la derivata di X lungo come il vettoreche abbia per componenti le derivate temporali delle componenti di X((t)). Senellottica precedente tutto questo non poteva essere fatto per un problema dicattiva definizione, ora tutto questo ha senso ed lecito: la rappresentazionedi X in coordinate non altro che una funzione definita su un aperto di Rn ea valori in Rn, mentre la rappresentazione di una curva in questo aperto,lungo la quale ha senso derivare la definizione. Quello che non vero in generale,per, che ci che si ottiene sia un vettore nel senso ora introdotto: non detto cio che questa operazione, rispetto a due sistemi distinti, dia risultaticompatibili, cio che si ottengano oggetti che variano secondo le date regole ditrasformazione. In effetti, si pu verificare che:

    Xj

    xk=

    2xj

    xlxhxl

    xkXh +

    xj

    xhxl

    xkXh

    xl(2.1)

    e la violazione alla regola di trasformazione data dal primo termine dellaquantit a destra. Dunque non ben definita la derivazione del campo lungola direzione data da ek, nel senso che loggetto che si ottiene non di naturavettoriale. Un modo per aggirare questo ostacolo quello di definire un nuovooperatore differenziale che faccia le veci dellusuale derivata parziale, in modoche il termine indesiderato sia dovuto alla trasformazione delloperatore, e nona quella delloggetto ottenuto per derivazione.

    Questo punto di vista trattato in maniera approfondita e dettagliata (pre-sentando anche i calcoli qui omessi) in [5].

    2.2 Connessioni affiniAlla luce delle considerazioni fatte nel precedente paragrafo, occorre definire unoggetto che consenta di stabilire quando un certo campo vettoriale tangente a

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 25

    una variet M definito su una curva sia parallelo a se stesso in ogni punto,e in caso contrario di misurarne la variazione nel tempo. Prima di definire as-siomaticamente un simile strumento utile considerare un caso particolarmentesemplice: quello delle variet immerse in Rn.

    2.2.1 La derivata covariante in sottovariet di Rn

    Sia M unipersuperficie di Rn, cio una sottovariet di dimensione n 1. Neicorsi istituzionali di introduzione alla geometria sono stati definiti la mappadi Gauss associata ad una parametrizzazione regolare e loperatore forma, o diWeingarten 1. Richiamo rapidamente che la prima definita come lapplicazio-ne che assegna ad ogni punto di un aperto parametrizzato di M lunico vettoreunitarioN ortogonale ad essa che completi a base positiva quella indotta sul tan-gente dalle coordinate locali. N(p) ha una dipendenza multilineare e alternantedagli elementi del riferimento su TpM e pertanto d una mappa differenziabilea valori in Sn1 definita sullaperto. Il tangente ad M in p e quello alla sfe-ra nella sua immagine coincidono (come sottospazi vettoriali di Rn), pertantolapplicazione lineare indotta L pu essere vista come un endomorfismo di TpM ,che porta il nome appunto di operatore di Weingarten. Esso autoaggiunto ri-spetto al prodotto scalare naturalmente indotto da quello standard dello spazioambiente, e per il teorema spettrale ammette una base ortonormale di auto-vettori, detti direzioni principali, mentre gli autovalori, tutti reali, si chiamanocurvature principali. Il loro prodotto, ossia il determinante di L, porta il nomedi curvatura gaussiana di M .

    Dora in avanti adotter la convenzione, comune nel linguaggio delle varietC, per cui lo spazio tangente ad M in un punto quello delle derivazioni.In questo modo, la velocit (t) di una curva identificata con loperatore cheassegna ad ogni funzione f : M R la derivata di f al tempo t. Per ungenerico vettore X TpM , quindi, la notazione Xf assume questo significato,a meno di scegliere unopportuna curva che passi per p al tempo 0 con velocitX; fX, invece, indica lusuale prodotto per scalare di X per il valore di f in p.

    Se Y un campo vettoriale definito in un intorno di p M , X un vettore inp, lo strumento pi immediato per valutare la variazione di Y lungo X in p laderivata direzionale del campo come applicazione da M in Rn. Questo d comerisultato un nuovo vettore DXY di Rn. Se X e W sono vettori in un punto p,Y , Z campi vettoriali ed f una funzione, definiti in un intorno di p, vale:

    DX(Y + Z) = DXY +DXZ

    DX+WY = DXY +DWY

    DX(fY ) = fDXY + (Xf)Y

    DfXY = fDXY

    (2.2)

    La seconda e la quarta propriet esprimono la linearit di DXY come fun-zione della sola X, mentre la prima e la terza rappresentano un analogo per laregola di Leibnitz per D, e cio il fatto che questo operatore agisce su Y comeuna derivata. Se poi X un campo liscio, anche quello cos ottenuto lo .

    Va osservato che, in generale, loperatore D non d vettori tangenti a M : sead esempio (t) la curva piana data da (cos(t), sin(t)), il suo vettore velocit

    1Questo per le superfici regolari in R3, ma non c difficolt nel passaggio al caso generale.

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 26

    Y (t) = ( sin(t), cos(t)), e D(0)Y (t) = ( cos(t), sin(t)), che non tangentealla circonferenza parametrizzata da . Daltra parte, un qualsiasi vettore in unpunto diM pu essere decomposto in modo unico come somma di uno tangentealla variet ed uno ortogonale ad essa, e ha perfettamente senso la seguente:

    Def 2.2.1 (Derivata covariante): Siano p un punto di una sottovariet M diRn, X un vettore tangente ad M in p e Y un campo definito in un intorno di p(in M). Si chiama derivata covariante di Y lungo X il vettore DXY dato dallacomponente di DXY tangente ad M .

    Loggetto cos definito valuta la derivata di Y , come mappa in Rn anzichcome sezione del fibrato tangente, lungo qualsiasi curva che abbia velocit X,e ne trascura la componente ortogonale ad M . Euristicamente, linformazioneche si ottiene in questo modo la variazione di Y che potrebbe essere misuratada un osservatore che vive in M senza accorgersi che questa immersa in Rn.

    Dati X ed Y come sopra, varr costantemente N,Y = 0, da cui:

    0 = X N,Y = N,DXY + L(X), Y

    Questo implica che la coordinata di DXY ortogonale ad M (data dal prodottoscalare con N essendo questo unitario e ortogonale a TpM) data dalloppostodi L(X), Y , e dunque che

    DXY = DXY + L(X), Y N = DXY + X,L(Y )N

    Questa relazione porta il nome di equazione di Gauss. Dalla linearit di L segueche la derivata covariante gode delle stesse propriet enunciate per D.

    La definizione ora data fornisce gi uno strumento utile per formalizzare ilsemplice problema fisico del moto vincolato, e in definitiva di formulare il prin-cipio dinerzia per punti materiali soggetti a vincoli olonomi. Un oggetto liberodi muoversi nello spazio tridimensionale, cio su cui non agisca alcuna forzaesterna, soddisfa la relazione v = 0, dove v indica il vettore velocit. Se inveceil moto ristretto a una superficie, lassenza di altre forze che quella di reazionedel vincolo equivalente alla richiesta che laccelerazione sia ortogonale a que-sto: la condizione dunque che Dvv abbia componente tangenziale nulla ad ognitempo, cio Dvv = 0. In questo modo, quindi, il principio dinerzia conservala sua forma originale, a meno di considerare la derivata della velocit lungo latraiettoria in un senso diverso da quello solito: occorre impiegare la nuova de-rivata covariante, naturalmente legata alla struttura del vincolo, anzich quellausuale a cui si abituati in R3.

    Siano dati X, Y e Z campi vettoriali qualsiasi, definiti su uno stesso intorno(in Rn) di un punto p. Applicando la definizione di derivata di Lie a ciascunacomponente di Z si ottiene:

    DX(DY Z)DY (DXZ)D[X,Y ]Z = 0

    Se si suppone che i tre campi siano tangenti ad unipersuperficie in Rn, la deri-vata direzionale D pu essere riscritta tramite lequazione di Gauss in terminidella derivata covariante D e della metrica riemanniana che M eredita dallospazio ambiente. Sostituendo nella relazione appena scritta e ricomponendo Z

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 27

    si ottiene:

    DX(DY Z) = DX(DY Z L(Y ), ZN

    )=

    = DX(DY Z L(Y ), ZN

    ) L(X), DYXN == DXDY Z L(Y ), ZL(X) (X L(Y ), Z+ L(X), DYX)N

    DY (DXZ) = DYDXZ L(X), ZL(Y ) (Y L(X), Z+ L(Y ), DXY )ND[X,Y ]Z = D[X,Y ]Z L([X,Y ]), ZN

    Sommando e separando i contribuiti tangenziali ad M da quelli ortogonalisi ottengono le equazioni:

    DXDY Z DYDXZ D[X,Y ]Z = L(Y ), ZL(X) L(X), ZL(Y ) (2.3a)DXL(Y )DY L(X) L([X,Y ]) = 0 (2.3b)

    dove nella (2.3b) sono stati sommati i coefficienti con cui compariva N nellasomma, e sono state applicate la bilinearit del prodotto scalare e larbitrarietdi Z. La (2.3a) si chiama equazione della curvatura di Gauss, la (2.3b), invece,equazione di Codazzi (o Codazzi-Mainardi).

    Lequazione della curvatura di Gauss mette in evidenza che, dati X, Y e Ztangenti ad M , in un punto p fissato loggetto

    R(X,Y )Z := DXDY Z DYDXZ D[X,Y ]Z

    dipende solo dai valori dei campi in p, ed lineare in ciascuno argomento.Inoltre, R espresso in termini della sola derivata covariante, senza riferimentiespliciti allembedding di M in Rn (a cui loperatore di Weingarten prodonda-mente legato), e sembra in qualche senso definito a partire dalla sola strutturaintrinseca di M dato che, come osservato sopra, la stessa derivata covariante stata introdotta nel tentativo di studiare delle propriet delle superficie cheprescindono dalla sua immersione.

    Un risultato classico ed interessante il seguente:

    Thm 2.2.1 (Theorema Egregium di Gauss): La curvatura di una superficiein R3 pu essere espressa in termini della metrica riemanniana e della derivatacovariante.

    Dim: Se p M e X,Y TpM formano una base ortonormale, allora K(p), lacurvatura gaussiana in p, data da R(X,Y )Y,X. Infatti:

    R(X,Y )Y,X = L(Y ), Y L(X) L(X), Y L(Y ), X == L(Y ), Y L(X), X L(X), Y L(Y ), X = detL = K(p)

    B

    La curvatura gaussiana di unipersuperficie stata inizialmente definita apartire dalloperatore di Weingarten: ora questo teorema mostra che, almenonel caso particolare di superfici nello spazio tridimensionale, essa pu essereespressa in termini di oggetti che, almeno euristicamente, sono legati alla na-tura intrinseca di M , cio alla sua metrica e alla derivata covariante. Si pu

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 28

    mostrare, poi, che questultima pu essere costruita a partire dalla metrica stes-sa, a prescindere dallimmersione e dalloperatore D dal quale era iniziata ladiscussione (si veda la sezione 2.2.3). Di conseguenza, la curvatura gaussianapu essere espressa in funzione della sola metrica riemanniana della superficie,bench inizialmente sia stata introdotta in termini di oggetti strettamente legatiallembedding.

    2.2.2 Connessioni affini su variet genericheQuanto visto nella sezione precedente, limitato al caso ristretto di ipersuperficiin Rn, servir ora a giustificare delle nuove definizioni. Sia dunque M unagenerica variet differenziabile.

    Def 2.2.2 (Connessione affine): Per connessione affine su M si intende unoperatore D che, dati un vettore X TpM e un campo Y in un intorno U dip, assegna loro un vettore DXY tale che soddisfi le condizioni (2.2). inoltrerichiesto che, se X un campo su U , DXY definisca a sua volta un campo C.

    Sono naturali, a questo punto, le seguenti:

    Def 2.2.3 (Trasporto parallelo): Un campo vettoriale X definito lungo unacurva si dice parallelo (rispetto alla connessione D) se vale

    DTX 0

    T = essendo il vettore tangente a . Se X definito su un aperto, e soddisfala condizione data, si dice che parallelo lungo .

    Def 2.2.4 (Geodetica): Una curva si dice geodetica se il suo vettore tangenteT parallelo:

    DTT 0

    Se e1, . . . , en sono campi vettoriali linearmente indipendenti definiti in unaperto U (cio formano una base del tangente che varia in modo liscio sullaper-to), sono naturalmente definite n forme differenziali 1, . . . , n caratterizzateda i, ej = ij . Inoltre, la linearit di DXY rispetto a X, saranno ben definitedelle forme ij caratterizzate da:

    ij , X = i, DXej

    Questo consente di introdurre quello che si usa chiamare il punto di vista diCartan, che consiste nello studio delle connessioni per mezzo di forme diffe-renziali. Questo punto di vista sar ripreso pi avanti per studiare i tensoridi curvatura e torsione, e poi ancora per proporre un collegamento tra la teo-ria delle connessioni su fibrati e il punto di vista locale adottato nelle teorie digauge.

    Una volta dati campi ei come sopra, le propriet di D consentono di deter-minare completamente la connessione una volta noti i coefficienti kij definiti

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 29

    da:Deiej =

    kijek

    Infatti, se X = Xiei e Y = Y jej , varr:

    DXY = DX(Yjej) =

    = X(Y j)ej + YjDXej =

    = X(Y j)ej + YjDXieiej =

    = (X(Y k) + kijXiY j)ek

    Secondo il punto di vista di Cartan questi coefficienti kij sono quelli che in-dividuano le forme ij : da ij , ek = i, Dekej = ikj segue luguaglianzaij =

    ikj

    k.Dato che ogni carta permette di definire una base del tangente in ciascun

    punto dellaperto, ad ogni sistema di coordinate possono essere associati i coef-ficienti della connessione kij . evidente che, dato un aperto coordinato Ue una qualsiasi famiglia di n3 funzioni, esiste ununica connessione D su U icui coefficienti rispetto alle date coordinate siano quelle assegnate. Pu essereinteressante, dati due aperti coordinati con intersezione non vuota e delle fun-zioni kij e

    k

    ij associate rispettivamente ai due sistemi, sotto quali ipotesi questefamiglie definiscano la stessa connessione sullintersezione delle carte; equivalen-temente, questo corrisponde a cercare le regole di trasformazione dei coefficientidi una connessione.

    Siano , coordinate definite su uno stesso aperto U , con

    (p) = (x1(p), . . . , xn(p))

    (p) = (y1(p), . . . , yn(p))

    e basi associate rispettivamente (ei) ed (fj). Allora vale:

    fj =xi

    yjei

    da cui, essendo rispettivamente kij e k

    ij i coefficienti di D associati ai sistemi:

    k

    ij

    xm

    ykem =

    k

    ijfk = Dfifj =

    =Dfi

    (xh

    yjeh

    )=

    2xh

    yiyjeh +

    xl

    yixh

    yjDeleh =

    =

    (2xm

    yiyj+xl

    yixh

    yjmlh

    )em

    Da questa relazione possibile ricavare k

    ij , ricordando che lo Jacobiano delcambio di carta invertibile:

    k

    ij =xl

    yixh

    yjyk

    xmmlh +

    2xm

    yiyjyk

    xm(2.4)

    Dunque questa la regola di trasformazione dei coefficienti di una connessione.Daltra parte, naturalmente, dato un aperto coordinato U e una famiglia di

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 30

    funzioni kij , esister ununica connessione che abbia queste come coefficienti.Questa potr essere estesa ad un altro aperto coordinato con altri coefficienti see solo se le due famiglie soddisfano la regola di trasformazione, poich solo inquesto caso definiscono la stessa connessione sullintersezione.

    Il secondo termine della (2.4) somiglia a quello indesiderato in (2.1): ineffetti, sostituendo loperatore D alle derivate direzionali (mal definite) delcampo considerato in quel contesto, si ottiene una regola di trasformazione che,tenendo conto della relazione tra i coefficienti della connessione nelle varie carte,mostra che il risultato ottenuto in effetti un vettore, secondo il senso del puntodi vista delle coordinate.

    Naturalmente, dare le regole di trasformazione per i coefficienti kij equi-valente a dare quelle per le forme ij . Se le

    ij sono le forme associate al sistema

    , ricordando che in questo caso i = dxi e j = dyj , si dovr avere:

    ij =i

    kjdyk =

    =

    (xl

    ykxh

    yjyi

    xmmlh +

    2xm

    ykyjyi

    xm

    )yk

    xadxa =

    =

    (laxh

    yjyi

    xmmlh +

    yk

    (xm

    yj

    )yk

    xayi

    xm

    )dxa =

    =xh

    yjyi

    xmmlhdx

    l +yi

    xmd

    (xm

    yj

    )=

    =xh

    yjyi

    xmmh +

    yi

    xmd

    (xm

    yj

    )(2.5)

    Questa equazione d le condizioni affinch, date delle 1-forme su aperti dellavariet, queste possano essere usate per costruire una connessione. Nel contestodelle teorie di gauge questo punto di vista si rivela fondamentale.

    Oss 2.2.2: Fissato un sistema di coordinate, le ij sono forme differenziali atutti gli effetti: lintroduzione delle loro regole di trasformazione resa necessariadal fatto che le forme associate a due carte sono a priori del tutto indipendenti.Queste regole, quindi, non esprimono come siano rappresentate le ij di una cartarispetto ad unaltra (il che sarebbe banale, perch le regole di trasformazione diuna 1-forma sono note), bens il legame tra queste e quelle di un altro apertocoordinato.

    La rappresentazione della connessione tramite questi coefficienti permette dimostrare degli interessanti risultati di esistenza e unicit di campi paralleli egeodetiche.

    Thm 2.2.3: Sia data : [a, b] M una curva liscia, e sia X0 TpM , conp = (a). Allora esiste un unico campo vettoriale X definito lungo , paralleloe tale che X((0)) = X0.

    Oss 2.2.4: Per campo vettoriale definito lungo intendo una mappa differen-ziabile definita su [a, b] che assegna a ogni t un vettore X(t) T(t)M . Secondoil linguaggio dei fibrati, un oggetto come questo non altro che un sollevamentodi rispetto alla proiezione del fibrato tangente: quello che si cerca, infatti,

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 31

    una nuova curva, definita sullo stesso dominio di ma a valori nello spaziototale del fibrato, in modo che pi X = . Non detto che un campo in questosenso possa essere esteso un aperto contenente la traccia di : ad esempio lacurva potrebbe non essere iniettiva, e X potrebbe avere valori diversi a tempiin cui questa passa dallo stesso punto.

    Dim (teorema 2.2.3): Ogni punto t [a, b] ammette un intorno connessocontroimmagine di un aperto coordinato. A meno di scegliere unopportunafamiglia finita di sottoinsiemi di questo tipo (la cui esistenza garantita dallacompattezza dellintervallo), si pu supporre che la traccia di giaccia per interoin un aperto coordinato.

    Dato un generico campo vettoriale X, la sua derivata covariante lungo ilvettore T della velocit di espressa in coordinate da:

    DTX =(T (Xk) + kij((t))T

    iXj)ek =

    (dXk

    dt+ kij((t))x

    iXj)ek

    dove le xi(t) rappresentano le coordinate di (t). Il problema del trasportoparallelo dunque ricondotto a quello di Cauchy:

    dXk

    dt+ kij((t))x

    iXj = 0

    Xi(a) = Xi0

    (2.6)

    Questo problema ammette ununica soluzione (per via del teorema di Cauchy-Lipschitz), e questa pu essere estesa a tutto lintervallo poich lequazione lineare. B

    Questo risutlato permette di parlare in maniera consistente di trasportoparallelo di un vettore lungo una curva. Dati due punti p, q M , un arco che li connette e un vettore X TpM , quindi, possibile costruire un unicoX TqM per parallelismo lungo larco. Tuttavia, la scelta del cammino tuttaltro che indifferente: il ruolo giocato da questa sar uno degli argomentidel prossimo capitolo.

    Thm 2.2.5: Se p M , X0 TpM , esistono una costante reale positiva eununica geodetica : (, )M passante in p al tempo 0 con vettore velocitX.

    Dim: Data una curva a valori in un intorno parametrizzato di p, con vettorevelocit T , vale:

    DTT =(T (T k) + kij((t))T

    iT j)ek =

    (xk + kij((t))x

    ixj)ek

    Una curva realizza dunque la tesi del teorema se e solo sexk + kij((t))x

    ixj = 0

    (0) = p

    (0) = X0

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 32

    Esplicitando le coordinate di questo sistema assume la forma di un problemadi Cauchy; da qui, nuovamente per il teorema di Cauchy-Lipschitz, si ha la tesi.B

    Una volta che sia data una connessione su una variet naturale cercaredi estendere loperatore in modo da poter derivare campi tensoriali generici,anzich solo quelli vettoriali. Il principio guida in questa estensione sar laregola di Leibnitz: come si richiesto che DX(fY ) = X(f)Y +fDXY , cos sarnaturale imporre che, dati campi tensoriali T1 e T2 valga

    DX(T1 T2) = (DXT1) T2 + T1 (DXT2)oltre alle regole di linearit. Inoltre, se una 1-forma e Y un campo, naturalechiedere che valga

    X(, Y ) = DX, Y + ,DXY (2.7)In coordinate, scegliendo X = ei, Y = ej e = dxk e applicando la (2.7) siottiene

    0 = Deidxk, ej+ kij = Deidxk = ijkdxjQueste regole sono sufficienti per determinare completamente la derivata cova-riante di qualsiasi campo tensoriale lungo una direzione.

    I tensori di curvatura e torsione

    Nel caso delle ipersuperfici lequazione di curvatura di Gauss permette di con-frontare un oggetto espresso esclusivamente in termini della derivata covariantecon una che dipende dalla struttura metrica e dallimmersione, e questo con-sente in dimensione 2 di dimostrare il Theorema Egregium, secondo il quale lacurvatura dipende solo da questo oggetto (fissata la metrica).

    Sia data una connessione su M , e siano fissati campi vettoriali X e Y . Lamappa

    R(X,Y ) : Z 7 DXDY Z DYDXZ D[X,Y ]Zfornisce un quarto campo il cui valore dipende linearmente da quello di Z pun-tualmente, e non da quelli assunti in un intorno. La linearit per somma infatti evidente, mentre quella per prodotto per scalare data dalla somma di:

    DXDY Z = fDXDY +X(f)DY Z +X(Y (f))Z + Y (f)DXZ

    DYDXZ = fDYDY Z Y (f)DXZ Y (X(f))Z X(f)DY ZD[X,Y ]Z = fD[X,Y ]Z [X,Y ](f)Z

    Se poi e1, . . . , en sono campi vettoriali indipendenti, la rappresentazione di Zrispetto a questa base mostra che R(X,Y )Z in un punto p dipende solo daivalori in p delle coordinate. Dunque R cos definito assegna ai campi vettorialiX e Y un campo tensoriale del tipo (1, 1). Inoltre, R(X,Y ) dipende in modobilineare da X e Y (la verifica analoga a quella appena fatta e non presentaalcun particolare interesse, pertanto la ometto). Dunque R un tensore del tipo(1, 3) su M .

    Def 2.2.5 (Tensore di curvatura): Si chiama curvatura di una connessione iltensore R dato da

    R(X,Y )Z = DXDY Z DYDXZ D[X,Y ]Z

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 33

    Dalle propriet di linearit della derivata covariante rispetto alla direzionee dallantisimmetria della parentesi di Lie immediato verificare che R alter-nante rispetto a X e Y . Per questa ragione si usa dire che la curvatura una2-forma a valori in End(TM).

    In questa nuova notazione, lequazione di curvatura di Gauss scritta come:

    R(X,Y )Z = L(Y ), ZL(X) L(X), ZL(Y )

    Lequazione di Codazzi, invece, non pu essere espressa nello stesso modo,poich le quantit coinvolte mescolano la derivata covariante con gli altri oggettilegati alla struttura di variet immersa. Si usa per dare la seguente:

    Def 2.2.6 (Tensore di torsione): Si chiama torsione di una connessione iltensore dato da:

    Tor(X,Y ) = DXY DYX [X,Y ]

    Anche in questo caso le verifiche delle propriet di linearit sono immediatee poco interessanti, e pertanto le ometto. Come per il tensore di curvatura,anche questo antisimmetrico rispetto ai due argomenti.

    Siano U un aperto ed e1, . . . , en n campi vettoriali indipendenti, come nel-lintroduzione del punto di vista di Cartan. Le propriet di linearit e alternanzadei tensori ora definiti consentono di rappresentarli come

    R(X,Y )ej = Rij(X,Y )ei

    Tor(X,Y ) = T i(X,Y )ei

    dove le Rij e le T i sono opportune 2-forme. Queste saranno naturalmente legatealle i e alle ij introdotte sopra: le equazioni che esprimono questa relazionesono chiamate equazioni di struttura di Cartan, e sono equivalenti alle definizionidei tensori.

    Rij(X,Y )ei =R(X,Y )ej =

    =DXDY ej DYDXej D[X,Y ]ej ==DX

    ij(Y )ei DY ij(X)ei ij([X,Y ])ei =

    =X(ij(Y ))ei + ij(Y )

    ki (X)ek Y (ij(X))ei ij(X)ki (Y )ek+

    ij([X,Y ])ei ==(dij , X, Y + ik kj , X, Y ) ei

    Da qui si ricava una delle equazioni di Cartan:

    dij = Rij ik kj (2.8)

    Laltra pu essere ottenuta in modo del tutto analogo dalla definizione di tor-sione:

    di = T i ij j (2.9)

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 34

    Lultimo punto di vista ancora da analizzare quello delle coordinate. Sup-ponendo che la base e1, . . . , en sia quella indotta da un sistema di coordinate,si avr

    i = dxi

    ij = ikjdx

    k

    T i = T ijkdxj dxk

    Rij = Rijkhdx

    k dxh (2.10)dove si pu facilmente riconoscere che T ijk = T

    i(ej , ek) e che Rijkh = Rij(ek, eh).

    In questa notazione, le equazioni strutturali di Cartan assumono la forma:

    Rijkh =(dij +

    ir rj

    )(ek, eh) =

    ijhxk

    ijk

    xh+ irk

    rjh irhrjk

    T ijk =(di + ir r

    )(ej , e, k) =

    ikj ijk

    Confronto tra connessioni

    Siano D, D connessioni affini su una variet M . Applicando la definizione sipu mostrare facilmente che loperatore

    (D D)XY := DXY DXY lineare in ciascuna entrata, anche per coefficienti non costanti. La linearit inX segue infatti da quella di ciascuna connessione, cos come quella per sommain Y . Inoltre, loperatore commuta con il prodotto per scalare in Y , infatti:

    (D D)X(fY ) = (D D)XY +X(f)Y X(f)Y = (D D)XYDa questo segue che la differenza B tra due qualsiasi connessioni su M uncampo tensoriale del tipo (1, 2). Inoltre, immediato verificare che, dati unaconnessione D e un campo tensoriale T di tipo (1, 2), loperatore D definitocome D + T una connessione. Questo permette di considerare sullinsiemedelle connessioni su M una struttura di spazio affine su T 12 (M).

    Lemma 2.2.6: SeD, D sono due connessioni che definiscono lo stesso trasportoparallelo (cio tali che un campo X parallelo lungo rispetto a D se e solo selo rispetto a D), allora sono uguali.

    Dim: Sia p M , con X0, Y TpM , e sia X il trasporto parallelo di X0 rispettoa D lungo una curva che abbia Y come vettore tangente. Allora X paralleloanche rispetto a D, e dunque

    0 = DYX DYX = B(Y,X(p)) = B(Y,X0)Per larbitrariet di X0 e Y si conclude che B 0, e dunque la tesi. B

    Questo risultato permette di affermare che una connessione affine biunivo-camente determinata dal suo trasporto parallelo. Per verificare che due connes-sioni siano uguali, quindi, sufficiente mostrare che i campi paralleli rispettoalluna lo sono anche rispetto allaltra, e viceversa.

  • CAPITOLO 2. CONNESSIONI 35

    Il tensore differenza pu essere scomposto in maniera unica come sommadi uno simmetrico e uno antisimmetrico rispetto ai due indici covarianti. SiaB = S+A tale scomposizione: una propriet interessante di A che pu essereespresso in termini dei soli tensori di torsione delle due connessioni:

    2A(X,Y ) = B(X,Y )B(Y,X) == DXY DXY DYX + DYX [X,Y ] + [X,Y ] == Tor(X,Y ) Tor(X,Y )

    particolarmente interessante il caso in cui B = A, cio B antisimmetri-co: in questo caso, se una geodetica rispetto alla connessione D, varrDTT = DTT B(T, T ) = DTT , e dunque una geodetica anche rispettoa D. Viceversa, se le due connessioni han