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Laquestione dei beni fu-nerari nelle province
ex-italiane riguarda circa 300cimiteri, per un totale di 22mila tombe, un terzo dellequali in condizioni definite dirischio. Circa quattro quintidei suddetti cimiteri e sepolcridiversi sono situati in Istria,nel cui territorio insistono 258complessi funerari con pocomeno di 18 mila tombe, di cui15 mila in Croazia ed il restoin Slovenia.
La media delle sepolture è disei unità per tomba. Si puòquindi ritenere, con ragione-vole approssimazione, che iltotale dei defunti italiani pre-senti nelle tombe istriane sicollochi intorno alle 100 milaunità. La cifra può sembraresottostimata, ma si deve tene-re conto che soltanto alcunetombe erano oggetto di con-cessione perpetua, e non a ter-mine, e soprattutto, che un nu-mero imprecisato ma comun-que notevole di tombe è statodisperso durante il lungo pe-riodo intercorso fra la pro-mulgazione della legge jugo-slava del 1960 (che prevedevala revoca delle concessioniperpetue senza indennizzo) ela nuova legge croata del1998 (che ha ripristinato dettoregime, sia pure a fronte di ca-noni assai maggiorati). Il pe-riodo di «vacatio» è stato par-ticolarmente pregiudizievolenegli anni compresi tra l'av-vento delle nuove Repubbli-che ex-jugoslave e la suddettanormativa di ripristino (esi-stente, al momento, nella solaCroazia, tanto che nell'Istriaslovena le condizioni attualisono ancora peggiori: secon-do un'indagine campionaria,riferita ai cimiteri di Capodi-stria e Pirano, risulta che il22% delle tombe italiane èstato oggetto di cancellazionedelle vecchie incisioni e di so-stituzione con nuove iscrizioniin sloveno, donde l'impossibi-lità di collocare i manufatti inapposito lapidario).
SEGUE A PAGINA 2
La tuteladei cimiteri
istrianie dalmati
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L’ARENA DI POLA - Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1061 del 21.12.2002 ANNO LXII - 3278 - Mensile n. 10 del 30 ottobre 2006
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MERCATO CROATO Iniziativa realizzata
con il contributo del Governo italiano
ai sensi della Legge 193/2004
ALL’INTERNO
La frattura nel mondo
degli esuli evidenziata
dai comunicati stampa
***
Regione Fvg,
tessere sanitarie sbagliate
***
Pola, il ritorno degli esuli
senza chiavi
di Lucia Bellaspiga
***
Odore di cenere
di Mario Frezza
***
A proposito di pesca
di Roberto Stanich
***
Una pagina di storia poco nota“Il Sovrano sconosciuto.
Tomislavo II, Re di Croazia”
di Guido Rumici
***
“Matricola 393719 -
Luciano Cerdonio -
Storia di una tragedia
ancora sconosciuta”
di Maria Renata Sequenzia
***
Lettere in redazione
risponde Silvio Mazzaroli
MERCATO IMMOBILIARE CROATOE RESTITUZIONE DEI BENI DEGLI ESULI
di Carlo Montani
di Pierluigi Sabatti *
di Silvio Mazzaroli
Accesso sì … Accesso no
… Accesso ma … Potreb-
be sembrare il ritornello
di una qualche canzone ed invece
si tratta della ridda di voci che, ne-
gli ultimi mesi, hanno riguardato
l'argomento del libero accesso al
mercato immobiliare croato da par-
te degli italiani. Un bailamme di
notizie e successive smentite, un
rimbalzare di note diplomatiche, in
merito alla reciprocità del provve-
dimento, che sembrerebbero (il
condizionale è d'obbligo) essere
giunti finalmente a conclusione.
Infatti, il 9 ottobre u.s., il Ministro
degli esteri croato, Kolinda Grabar
Kitarovic, ha dato comunicazione
ufficiale dell'apertura di detto mer-
cato anche ai nostri connazionali,
con decorrenza dal 12 dello stesso
mese. Proprio sotto la stessa data,
peraltro, sono spuntati i “ma”, ov-
vero i vincoli all'applicazione del
provvedimento: rimangono esclusi
i terreni coltivabili ed i boschi (lo
sono anche per gli altri cittadini
UE) e, comunque, per l'acquisto di
una casa o di un lotto edificabile gli
italiani dovranno inoltrare specifi-
ca richiesta al Ministero croato del-
la Giustizia.
SEGUE A PAGINA 3
Così la pensano i polesani di oggi
L’Esodo e un’identitàancora da ritrovare
Polaha una sua identità?
La domanda viene
spontanea conoscendo la sua sto-
ria recente, segnata dall'esodo del
1947. Certo l'identità la si trova
nelle pietre: l'Arena, il Tempio di
Augusto, l'Arco dei Sergi, il pic-
colo teatro romano parlano da so-
li e così il Palazzo Civico, la cat-
tedrale, la chiesa di San Nicola, il
cimitero della Marina, il mercato.
La storia si legge in questi edifici.
Ma sui volti quale storia si legge?
«No, Pola non ha un'identità.
Ha fatto parte di grandi imperi
come Roma e l'Austria e porta i
segni di questa “imperialità” - di-
ce netta la gallerista Gorka Cvaj-
ner - come in altri edifici porta i
segni del suo cosmopolitismo,
però ha perso la continuità. Que-
sta città ha perso i pezzi».
Anche per Nelida Milani Pola
oggi non ha una sua identità, però
pian piano se la sta ricostruendo.
«Devono passare come minimo
tre generazioni - spiega - per su-
perare il trauma dell'esodo di ses-
sant'anni fa e adesso si sta comin-
ciando, ma il processo è lento».
Che cosa fare? Ci vuole un pre-
ciso attivarsi da parte delle forze
intellettuali, ma ci vuole anche la
volontà politica. E qui entra in
gioco il partito che ha dominato
Pola (salvo l'intervallo del sinda-
co Luciano Delbianco) e l'Istria
in questi ultimi quindici anni,
cioè la Dieta democratica. Un
partito che ha il grande merito -
viene rilevato dalla Comunità
italiana - di aver fatto uscire gli
italiani dalle catacombe, di averli
fatti partecipare alla vita politica.
Un partito che ha realizzato il bi-
linguismo reale, come scrive lo
scrittore, saggista e giornalista
Milan Rakovac, che ricorda la
coraggiosa battaglia per lo Statu-
to istriano bilingue condotta dal
leader dietino Ivan Nino Jakov-
cic.
In prima fila nello sforzo di ri-
dare un'identità a Pola (non sol-
tanto italiana, ma cosmopolita
com'è nel Dna della città) è il
gruppo nazionale italiano che «si
è aperto - sottolinea la professo-
ressa Vruss - a tutti i cittadini».
Nella splendida sede della Comu-
nità ha trovato spazio il supporto
logistico per il festival del cine-
ma che si svolge ogni anno in
Arena, si è svolto il congresso dei
giovani cattolici croati e della
diaspora, si sono tenuti i concerti
di musica classica di Arena Inter-
national. Oltre alla presenza di
una delle sezioni della scuola di
musica «Luigi Dallapiccola» che
sforna giovani talenti.
Un'attività vasta che permette
di riannodare i fili con la storia
cittadina ricordando personaggi,
come Sergio Endrigo e Alida Val-
li, due glorie polesane recente-
mente scomparse. Inoltre con la
Dante Alighieri viene promossa
la didattica rivolta agli adulti che
vogliono imparare la nostra lin-
gua
* ARTICOLO TRATTO DA
“IL PICCOLO”
PAG. 2 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006
FLASH
A CURA DELLA REDAZIONE
CON LA COLLABORAZIONE
DEI LETTORI
zo, attribuito al greco Lisippo, risale
al IV sec. a.C. è fu perduto dai roma-
ni nel II sec. a.C. nel corso di un tra-
sporto via mare. In un primo tempo,
un po' come i “Bronzi di Riace”, il
reperto era stato denominato il
“Bronzo di Lussino”. Inopinata-
mente, l'Amministrazione fiorentina
ha inteso presentarlo al grande pub-
blico come “L'Atleta della Croazia”,
quasi la località di ritrovamento fos-
se ragione sufficiente per attribuire
al pregevolissimo manufatto la ca-
ratterizzazione croata. Una denomi-
nazione assolutamente fuori luogo;
un'ignoranza assoluta dei più ele-
mentari rudimenti di storia, che non
può in alcun modo essere influenza-
ta dalla geopolitica contemporanea
e che rimane invece saldamente an-
corata ai fatti, agli eventi e alle situa-
zioni nei quali si è verificata. La
Croazia, paese nato nel 1991, ha il
solo “merito”, irrilevante ai fini sto-
rici ed artistici, di essere la nazione a
cui oggi Lussino appartiene.
L'Anvgd ha, pertanto, molto giusta-
mente manifestato il proprio sdegno
agli Amministratori fiorentini re-
sponsabili dell'organizzazione della
mostra e, non avendo ricevuta alcu-
na risposta, ha proceduto, sabato 8
ottobre, davanti all'ingresso della
stessa, alla distribuzione di volantini
a cittadini, visitatori e turisti per
informarli su questa ingiustificata
slavizzazione di un'opera d'arte che
nulla ha di croato e che come unico
risultato ottiene un offuscamento
della verità storica, grazie anche alla
improvvida collaborazione delle au-
torità italiane. Analoga manifesta-
zione di protesta è stata programma-
ta il 28 e 29 ottobre da parte della
Famiglia di Piemonte d'Istria delle
Comunità istriane.
I vertici della ANVGD
incontrano Fassino Il 10 ottobre una delegazione della
Anvgd composta dal Presidente Lu-
cio Toth, dal Vice presidente Renzo
Codarin e dai consiglieri Guido
Brazzoduro e Fulvio Aquilante, ha
incontrato a Milano Piero Fassino,
affiancato da Stelio Spadaro che da
anni segue per la Quercia le questio-
ni degli esuli. In esito all'incontro co-
sì si è espresso l'alto esponente poli-
tico: “E' un dovere morale e politico
mantenere la memoria della tragedia
dell'esodo e tutelare chi ne ha patito
dolore e sofferenza. Per questo e' op-
portuno ripristinare il Tavolo di con-
certazione tra Governo e Federazio-
ne delle Associazioni degli Esuli
presso la Presidenza del Consiglio,
che operò positivamente con i gover-
ni dell'Ulivo”. “Una sede - ha prose-
guito Fassino - per individuare solu-
zioni ai problemi tuttora aperti, a par-
tire dalla questione dei beni perduti.
Anche per questo occorre che la Fi-
nanziaria preveda la conferma degli
stanziamenti della legge 193/2004
per gli esuli istriani e dalmati e per
l'attività' culturale delle comunità ita-
liane di Slovenia e Croazia, nonché
misure di riconoscimento legislativo
in materia di riscatto degli alloggi
popolari a suo tempo assegnati agli
Esuli”. “E un preciso impegno dei
Democratici di sinistra e dell'Ulivo
operare - ha concluso - per questi
obiettivi”. Belle parole già tante vol-
te sentite con gli esiti che ben cono-
sciamo. Pur apprezzando che all'in-
contro la delegazione si sia presenta-
ta come Anvgd, appare abbastanza
evidente che detto abboccamento
con il mondo politico costituisce una
violazione delle prerogative istitu-
zionali della Federazione. Si eviden-
zia, inoltre, l'omissione di Fassino
che, nelle sue dichiarazioni, sembra
aver dimenticato che il Tavolo di
concertazione da lui auspicato è stato
operante, peraltro a fattor comune
con risultati alquanto deludenti, an-
che con il governo Berlusconi.
In merito alla legge 193/2004, in
parecchie sedi, esponenti di governo
hanno sinora garantito il suo rifinan-
ziamento per quanto attiene le atti-
vità dei nostri connazionali oltre
confine, mentre assai scarsi sono i
segnali per quanto attiene quelle del-
le associazioni degli esuli. Indicati-
vo, in tal senso, è il fatto della note-
vole riduzione subita dai finanzia-
menti per la realizzazione, in corso
d'opera, del Museo della civiltà
istriana, fiumana e dalmata, ancor-
ché, il Commissario Esteri della Ca-
mera, Umberto Ranieri, nel corso di
una recente visita a Trieste, abbia de-
finito “magnifica” l'idea del museo.
La tutela dei cimiteriistriani e dalmati
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
Le ultime rilevazioni, relative aisoli sepolcri istriani, hanno cal-colato in 1.154 il numero di quel-li dismessi, ma l'accertamento,per quanto capillare, è certamen-te sottostimato, perché la ricogni-zione che lo ha sorretto ebbe ini-zio soltanto nel 1995, quando lamaggior parte dei guasti era giàstata compiuta, in genere senzapossibilità veruna di recupero(soltanto in qualche caso, si èavuto modo di ritrovare lapidiitaliane oggetto di interramento).
Analisi aggiornate, predispostea cura dell'IRCI, hanno determi-nato in 9.7 milioni di euro il fab-bisogno complessivo riferibile adun programma esaustivo di tutela(mantenimento delle concessioniin caso di scomparsa degli eredi;interventi tecnici di conservazio-ne e restauro; realizzazione di la-pidari attrezzati). Giova ripetereche anche questo fabbisogno siriferisce ai soli cimiteri istriani:pertanto, laddove si inseriscanonella stima anche quelli dalmati,è ragionevole pervenire ad unasomma nell'ordine dei 12 milioni.Le disponibilità dell'IRCl, acqui-site a fronte dello specifico capi-tolo di spesa, hanno consentito,tuttavia, di finanziare programmiminimi: a conti fatti, in base adun flusso di 120 mila euro, qualequello inserito nel budget per il2005, occorrerebbero cento anniper poter portare a conclusione ilprogramma generale (senza direche le stesse manutenzioni ordi-narie delle realtà cimiteriali ri-chiedono tempi di ammortamentoben più ravvicinati).
Sono quindi comprensibili econdividibili le preoccupazionidell'IRCI ma la questione di fon-do, al di là di taluni aspetti tecni-ci di cui si dirà, è di tipo politico,chiamando in causa la responsa-bilità primaria del Governo ita-liano e degli altri Soggetti istitu-zionali: la tutela delle tombe nel-le province ex-italiane è obiettivomoralmente prioritario, che nonpuò essere perseguito con eroga-zioni marginali, idonee a soddi-sfare una parte minima dei fabbi-sogni, e spesso nemmeno tuttiquelli imposti da ragioni infra-strutturali, come dissesti, franeed altri effetti degli agenti atmo-sferici. In altri termini, la carenzadi mezzi finanziari è tale da co-stringere l'Istituto a scelte obbli-gate fra le maggiori urgenze, colrischio di risultati apparentemen-te discriminanti ed impopolari: ilapidari già realizzati o in via di
realizzazione sono una piccolaminoranza.
Si deve aggiungere che la tuteladei beni cimiteriali non si esauri-sce con quella delle tombe in sen-so stretto, ma si estende ai monu-menti ai Caduti, alle Vittime dellefoibe, ed a quelle sepolte in fossecomuni civili o militari. In questosenso, dalla documentazione pre-sente in IRCI emergono fattispe-cie significative, tuttora in listad'attesa (talvolta per la perma-nenza di problemi con le Ammini-strazioni d'oltre confine), ma nonper questo meno meritevoli diuna considerazione moralmenteprioritaria: a titolo di esempio, sipossono citare, in Slovenia, i se-polcri militari di Acquaviva delVena, Cernotti, Loparo e Preloca(in cui riposano complessiva-mente 23 soldati e carabinieriitaliani ignoti, morti nei fattid'arme del 1943), ed in Croaziala foiba di Vines in agro di Albo-na; due fosse comuni in territoriodi Pisino con 42 vittime; quelle diMontona, dove si trova un nume-ro imprecisato di scomparsi; edinfine, quella di Lussinpiccoloche contiene i poveri resti dei 120trucidati del 1945.
Ne emerge la necessità di potercontare su mezzi più idonei, chedel resto venne evidenziata, giàdal maggio 2003, in apposito do-cumento rispecchiante auspicidelle Autorità diplomatiche, delleIstituzioni locali, delle Organiz-zazioni degli esuli, e delle Comu-nità italofone di Croazia e Slove-nia, finora realizzati soltanto nel-la decisione di non fare distinzio-ni fra tombe (perché costituisco-no tutte una testimonianza) ed inquella di compiere una ricogni-zione esauriente; ma non nelleattese di snellimenti burocratici,nell'informazione bilingue (nonsolo in croato) e nella miglioreassistenza agli aventi causa, pernon dire dell'aumento delle risor-se e della convocazione di unconvegno specifico con l'inter-vento dello Stato e degli altriSoggetti interessati.
La tutela dei beni cimiteriali inIstria e Dalmazia ha una rilevan-za etica massima, per ragioni sintroppo evidenti. È auspicabile,pertanto, che le strozzature finan-ziarie e funzionali tuttora presen-ti nel suo perseguimento venganofinalmente rimosse: si tratta di unatto dovuto nei confronti degliesuli e dei valori di coerenza, fe-de e giustizia che determinaronola loro sofferta scelta civile.
CARLO MONTANI
Gli esuli istriani
fanno causa al GovernoQuesta volta l'avvocato americano
Giovanni De Pierro sembra fare sul
serio. Appellandosi alla Convenzione
europea dei diritti dell'uomo e con l'o-
biettivo di rendere operante il diritto
per un risarcimento giusto ed equo
dei beni depredati dalla Jugoslavia di
Tito, ha presentato al Tribunale di
Trieste le prime quaranta cause degli
esuli istriani e fiumani contro lo Stato
italiano. Successivamente dette cau-
se, anche nel resto d'Italia, dovrebbe-
ro salire a 200 e più. Una bella grana
per il governo Prodi, tenendo conto
che vengono chiamati in causa il mi-
nistero dell'Economia e la presidenza
del Consiglio. Secondo De Pierro, i
parametri di rivalutazione, rispetto al
valore del bene del 1938, con cui il
Governo italiano centellina attual-
mente gli indennizzi sono fra il 200
ed il 350 per cento, ma le stesse leggi
che giacciono in Parlamento, presen-
tate sia da Fassino che da Fini, preve-
dono indennizzi i cui coefficienti va-
riano dal 4000 al 5000 per cento. L'i-
niziativa era partita lo scorso anno,
ma poi l'avvocato d'oltreoceano ave-
va deciso di rimandare perché sem-
brava che con la Croazia si potesse
aprire uno spiraglio sulla restituzione.
Ora, poiché l'Italia, come è già occor-
so con la Slovenia, non sembra voler
esercitare il diritto di veto all'ingresso
nell’Ue della Croazia per ottenere la
restituzione dei beni abbandonati, la
stessa è stata ripresa poiché l'unica
strada da percorrere è quella legale.
Vivere il “ricordo”
anche in vacanzaPer iniziativa di Nidia Cernecca
quest'anno il ricordo dell'Esodo è
stato celebrato anche in tempo di va-
canze. Nella sua casa di Gallio (Vi-
cenza), avendovi predisposto un'al-
tare, ha portato un gran numero di
Esuli e non Esuli, amici e conoscenti
ed un sacerdote, nato a Gimino d'I-
stria, don Desiderio Staver, già Par-
roco del Duomo di Pola, di famiglia
italiana e di ideali italiani, ma so-
prattutto di grande ispirazione reli-
giosa. Le semplici ma sentite parole
del celebrante, i canti della tradizio-
ne religiosa istriana scelti per l'occa-
sione, il raccoglimento indotto dal-
l'atmosfera tutta “istriana” della casa
ed i profumi del bosco di conifere e
di ginepri che giungevano dall'ester-
no, hanno fatto vivere agli astanti un
momento mistico e commovente.
Durante l'Eucarestia, tra le preghie-
re, sono stati ricordati nominativa-
mente i Cari defunti delle persone
presenti e quanti, Istriani-Fiumani-
Dalmati, sono Caduti innocenti, per
la sola colpa di essere Italiani e che
dopo l'Esodo dormono il sonno della
Pace nei tanti cimiteri sparsi nel
mondo. Il dopo è stato di divulgazio-
ne, di conoscenza e di solidarietà,
poiché a settembre, nel Museo “Le
Carceri” di Asiago Nidia Cernecca e
Gigi D'Agostini hanno allestito una
Mostra, dal titolo “Istria, Fiume,
Dalmazia - Arte, Storia, Natura, Foi-
be, Esodo”, organizzata dal “Lions
Club Asiago Sette Comuni” con il
patrocinio del Comune. Agli amici
Nidia e Gigi un sentito ringrazia-
mento per la loro opera.
Una nuova, grave
mistificazione
storico-artisticaA Palazzo Medici Riccardi a Fi-
renze è stata recentemente inaugura-
ta una mostra, intitolata “APOXYO-
MENOS” (traduzione letterale: “l'a-
tleta che si deterge”), in cui viene
esposta l'antica statua greca di bron-
zo, raffigurante appunto un atleta, ri-
trovata da un sub belga nel 1997 nel-
le acque di Lussino, dove era rima-
sta per circa 2200 anni, e successiva-
mente restaurata a Firenze. Il bron-
Reso operativo il Comitato di Coordinamento degli Esuli Istriani
COMUNICATO
Il Consiglio del “Libero Comune di Pola in Esilio”, riuni-
to a Mestre il 22 ottobre 2006, ascoltata la relazione del
Presidente Silvio Mazzaroli e gli interventi dei Consiglieri
Argeo Benco e Lino Vivoda, valutate le sin qui deludenti
prese di posizione della Federazione per una incisiva azio-
ne di difesa dei diritti degli esuli, preso atto, inoltre, che il
proprio Presidente, quale Vice Presidente Vicario della
Federazione è stato sistematicamente escluso dalle decisio-
ni assunte in ambito federale e dai contatti con esponenti
politici, esprime il proprio disappunto.
Approva la decisione del Gen. Mazzaroli di dimettersi
dalla carica di Vice Presidente Vicario della Federazione,
evidenziando il fatto che, comunque, egli rimane per dirit-
to, quale Presidente in carica del “Libero Comune di Pola
in Esilio”, membro effettivo dell’esecutivo.
Dà altresì mandato ai propri succitati rappresentanti,
delegati ad operare in seno al “Comitato di Coordinamento
degli Esuli Istriani”, di concorrere al processo decisionale
ed allo sviluppo di tutte le iniziative che in tale ambito,
anche sul piano Europeo, saranno autonomamente avviate a
tutela degli interessi degli Esuli Istriani”.
Le tre associazioni degli esuli
istriani con sede a Trieste
(Associazione delle Comunità
Istriane, Libero Comune di Pola in
Esilio ed Unione degli Istriani) riu-
nite in data 21 ottobre 2006, in con-
siderazione dei nuovi scenari politi-
ci ed economici internazionali e dei
deludenti risultati sin qui raggiunti
nella tutela dei diritti degli esuli,
hanno deciso di rendere ufficiale ed
operativo lo statuto del CoEsI –
Comitato di Coordinamento delle
Associazioni degli Esuli Istriani –
che sarà registrato presso uno studio
notarile e il Tribunale di Trieste.
Il CoEsI opererà autonomamente,
avviando e sviluppando anche a
livello europeo, ad esclusiva difesa
degli interessi degli esuli istriani,
tutte le iniziative che riterrà oppor-
tune per il pieno rispetto dei loro
diritti violati.
Il Sindaco
Gen. Silvio Mazzaroli
L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 3
CO.ES.I.
COMITATO DI COORDINAMENTO
DELLE ASSOCIAZIONI DEGLI ESULI ISTRIANI
Contraddizioni e inconsistenze nelle esternazioni
del Presidente nazionale dell'ANVGD
Non si contano oramai più gli interventi del Pesidente nazionale
dell'Anvgd tesi inutilmente a screditare le Associazioni consorelle,
triestine e non, ed i loro rappresentanti, cha a differenza della sua de-
cennale leadership, le guidano solamente da qualche anno.
Tali esibizioni, non ultimo il comunicato dello scorso 5 ottobre, vi-
sibilmente caratterizzate da assoluta inconsistenza e da palesi con-
traddizioni, contribuiscono negativamente ad evidenziare la paralisi
di una Federazione che a ben nove mesi dal suo rinnovo non si è mai
riunita e non ha mai discusso statutariamente, attraverso la convoca-
zione dei suoi organi, una strategia comune ed una linea di azione ri-
spetto alle aspettative degli esuli.
Lo scorso 4 ottobre, a Trieste, l'avv. Gian Paolo Sardos Alberini,
presidente della Consulta Anvgd del Veneto, in una conferenza
stampa con l'avv. italoamericano Giovanni De Pierro, ha chiaramen-
te denunciato i vari Governi italiani e l'Italia stessa, definendoli non
certo a torto “traditori degli esuli”, come riportato da Fausto Bilosla-
vo nel suo articolo apparso su Il Giornale il giorno seguente.
Ma allora, secondo gli schemi del presidente Toth, anche i migliori
dirigenti dell'Anvgd sono “nemici degli esuli” ?
E' proprio vero, questo sì, che non possiamo perdere altro tempo
con chi rema contro, accusando di conseguenza anche i propri colla-
boratori di malanimo, indebolendo le posizioni negoziali di coloro
che, a qualunque associazione appartengano, dimostrano con azioni
alternative e percorsi nuovi l'inefficacia di una linea che dopo de-
cenni non ha portato concretamente al riconoscimento di nessuno
dei diritti che tutti si aspettano.
IL PRESIDENTE
MASSIMILIANO LACOTA
Trieste, 6 ottobre 2006
La frattura nel mondo degli esulievidenziata dai comunicati stampa
MERCATO IMMOBILIARE CROATO E RESTITUZIONE DEI BENI DEGLI ESULI
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
Tempo previsto per l'esame
della domanda da 6 mesi a 2 anni,
durante il quale sarà controllata
la fedina penale e la solidità eco-
nomica del richiedente, nonché la
compatibilità della richiesta con i
piani regolatori comunali e regio-
nali e, speriamo, … ci si fermi
qui. Inoltre, la Croazia si riserva
la facoltà di congelare il provve-
dimento qualora le dovessero in-
sorgere dubbi circa la reciprocità
del trattamento nei confronti di
suoi cittadini da parte dell'Italia.
Per completezza d'informazione,
dai dati apparsi sulla stampa,
emerge che, nel periodo 1991 -
2006, su 340 domande inoltrate
da italiani, in base alle norme vi-
genti, il 27,6% è stato accolto con
esito positivo mentre relativa-
mente ad altri cittadini stranieri,
le cui domande sono state 6023,
detta percentuale sale al 68%.
Scontata, ed era ampiamente
prevista, l'esultanza del mondo
politico italiano che ha presenta-
to il tutto come il “frutto di una
nuova stagione della politica
estera italiana, non più impronta-
ta sulle rivendicazioni ma sulla
collaborazione con Zagabria”
anche se, in effetti, lo sblocco
della situazione è essenzialmente
dovuto, non alla trattativa bilate-
rale, quanto ad un ennesimo in-
tervento della Comunità euro-
pea. E' fuor di dubbio, infatti,
che l'allineamento della Croazia
alla relativa normativa europea,
era ormai inevitabile, perché in-
sito nell'Accordo di stabilizza-
zione ed associazione, sottoscrit-
to nel febbraio 2005 con l'Unio-
ne europea, e funzionale al suo
ingresso nella stessa, previsto
per il 2009. Ciò non di meno, si
conviene che il fatto costituisce
un positivo passo avanti d'inte-
resse di non pochi italiani e che
può interessare anche qualche
esule, di certo non in quanto tale,
ma solo come italiano.
Prevista, altresì, ma non per
questo meno incomprensibile,
l'esultanza espressa in taluni am-
bienti della diaspora istriana, fiu-
mana e dalmata. Nonostante la
pervicacia con cui esponenti di
governo, da Fini a D'Alema nella
loro vesti di ministri degli Esteri
in carica, si sono ostinati a voler
mescolare insieme il predetto
problema e quello della restitu-
zione dei nostri beni, sembrava ci
fosse tra gli esuli un'ampia con-
cordanza sul fatto che gli stessi
fossero e dovessero rimanere, in-
vece, nettamente disgiunti. Alcu-
ne dichiarazioni formulate al ri-
guardo, in particolare dal Presi-
dente della Federazione (nonché
Vice presidente nazionale
Anvgd), Renzo Codarin, e pub-
blicate su “Il Piccolo” del
11.10.06, vanno esattamente nel
senso contrario. Così, infatti, si
sarebbe espresso: (l'accesso) …
“è un fondamentale passo avanti:
prima si apre questa porta in un
contesto europeo prima, con lo
stesso spirito europeo, come esuli
possiamo chiedere di non essere
discriminati nella restituzione”;
(le parole pronunciate dal Mini-
stro degli Esteri croato) … “sono
propedeutiche ad una nuova
apertura della trattativa sui beni
abbandonati, laddove in prece-
denza un italiano non poteva
nemmeno avere accesso alla pro-
prietà”; (per la riapertura di una
trattativa da giocare sul presup-
posto che) … “libero accesso è
anche diritto al mantenimento
della proprietà” … “non ci sono
più ostacoli”; … “da parte nostra
non c'è alcuna rinuncia alla resti-
tuzione”. Ci mancherebbe altro!
Obiettivamente difficile com-
prendere da che cosa gli derivi
tanto ottimismo, dal momento
che nemmeno esponenti politici
che s'interessano alle nostre co-
se, di governo e d'opposizione, si
sono spinti così in là. Infatti: per
l'On. Ettore Rosato, sottosegreta-
rio agli Interni, “la questione non
va confusa con i beni abbando-
nati”; per l'On. Milos Budin, sot-
tosegretario agli Esteri, “questio-
ni distinte, ma tutto aiuta”; per
l'On. Roberto Menia, deputato di
An, “problema multilaterale;
quello bilaterale tra Italia e Croa-
zia sui beni abbandonati rimane
al palo”. C'è da chiedersi, stante
il notorio rifiuto dei nostri politi-
ci di avvalersi sinora di questo
“diritto violato” per condiziona-
re l'ingresso della Croazia in Eu-
ropa, quali segnali egli abbia
percepito dal Governo italiano di
voler impugnare con fermezza
tale nostro diritto e, da parte
croata, quale segnale di ravvedi-
mento nei confronti di un'even-
tualità, quella appunto della re-
stituzione dei beni, sempre deci-
samente respinta. C'è da augurar-
si che non vengano interpretate
in tal senso le voci in merito alla
volontà croata, di cui si risente
parlare, di voler pagare all'Italia i
famosi 35 milioni di dollari in ot-
temperanza (tardiva) del Trattato
di Osimo, con i quali magari edi-
ficare la “Casa dell'amicizia ita-
lo-croata”. Vera “ciliegina” da
porre sull'auspicata torta della ri-
conciliazione!
L’impressione che si ricava
dalla lettura delle suddette di-
chiarazioni è, a dir poco, irritante
quando non anche sconvolgente.
E’ quella che la cupola della
Anvgd, che peraltro sempre più
spesso tende ad esautorare la Fe-
derazione proponendosi come
unico interlocutore “presentabi-
le” con il mondo politico nazio-
nale, sia persino disposta a men-
tire a se stessa, ancor prima che ai
propri associati. Ciò, nella sua
ostinata e perversa volontà di as-
secondare sempre e comunque le
autorità di governo e nel penoso
tentativo di autoconvicimento ed
autolegittimizzazione dei propri
comportamenti.
Per il bene degli Esuli, spero
tanto di sbagliarmi. Per sapere
dove sta il torto e dove la ragione
non c’è che da aspettare, speran-
do che l’attesa non si protragga
per altri 60 anni.
SILVIO MAZZAROLI
ASSOCIAZIONE NAZIONALE
VENEZIA GIULIA E DALMAZIA
Il modo sbagliato di fare gli interessi degli esuli.
La misteriosa strategia.
Prosegue la misteriosa strategia del presidente dell'Unione de-
gli Istriani che se la prende con i governi italiani, prima Fini e
oggi D'Alema, anzichè prendersela con la sola responsabile del-
l'impasse italo-croata: la protervia ambigua di Zagabria, i cui
esponenti si smentiscono a vicenda sulla restituzione dei beni
degli esuli e sulla libertà di accesso alla proprietà, che costitui-
scono, per la Farnesina e per il Quirinale, un unico nodo da ri-
solvere.
Strano che i suoi amici siano croati e che i suoi nemici siano
tutti italiani: i presidenti della Repubblica, i governi di Roma, di
qualsiasi colore; le comunità dei rimasti; gli Esuli che non la
pensano come lui.
Ma per quale re di Prussia sta lavorando?
L'ANVGD e la Federazione sono in questi giorni impegnate
in Parlamento e a Palazzo Chigi per difendere i diritti degli esuli
in concreto e subito, contro i nemici veri della nostra causa.
Non possiamo perdere altro tempo con chi rema contro, inde-
bolendo le posizioni negoziali degli Esuli, dei rimasti, dello
stesso Governo italiano.
IL PRESIDENTE NAZIONALE
LUCIO TOTH
Roma, 5 ottobre 2006
Errata corrigeNell'articolo "Ma quale costru-
zione", apparso sull'Arena di set-
tembre a pag. 3, il Papa Benedet-
to a cui fa cenno l'autore è Bene-
detto XVI (non XIV)"
Comunicazioniai lettori
Regione Fvg: tessere
sanitarie sbagliateNonostante le numerosissi-
me rassicurazioni ricevute sul-
l’applicazione della Legge
54/89, in questi giorni sono
state distribuite dalla Regione
Friuli Venezia Giulia le nuove
tessere sanitarie che contengo-
no grotteschi errori che riguar-
dano migliaia di cittadini della
regione. Un esempio per tutti è
quello di una donna nata nel
1942 a Fiume. Sulla Carta
regionale dei Servizi il luogo
di nascita è il seguente: “Ju -
Serbia Montenegro”. INVI-
TIAMO TUTTI A RESTI-
TUIRE AL MITTENTE IL
VERGOGNOSO DOCU-
MENTO E A PRETENDE-
RE IL RILASCIO DELLO
STESSO CORRETTO A
NORMA DI LEGGE.
Trieste.
San Tommaso 2006Si comunica che la
“Famiglia Polesana” di Trieste
festeggerà il Patrono di Pola
sabato 16 dicembre 2006, con
la celebrazione di una S.
Messa nella chiesa di Sant'
Antonio Vecchio (Piazza
Ortis) alle ore 11.00, cui farà
seguito, alle ore 13.00, il tradi-
zionale pranzo associativo
presso il Caffè degli Specchi
(Piazza Unità d'Italia). Costo
dell'incontro conviviale € 35.
Quanti fossero interessati pos-
sono rivolgersi, per la prenota-
zione, alla signora Onorina
Bonvillani, tel. 040 811284.
Arena di novembreA causa dell'assenza dalla
Redazione del direttore, Gen.
Silvio Mazzaroli, in ragione
del viaggio che lo stesso effet-
tuerà in Australia, anche per
incontrare i nostri concittadini
colà residenti, è possibile che
l'Arena di novembre subisca
un lieve ritardo nel raggiunge-
re le vostre case. Ci scusiamo
preventivamente, pregandovi
di avere un po' di pazienza.
Chiesa
della Madonna
del MareUn polesano doc, cerca un
opuscolo, una rivista, un libro
o qualsiasi altro rferimento
cartaceo che illustri l'interno
della Chiesa della Madonna
del Mare di Pola. Chi fosse in
grado di dare indicazioni è
pregato di contattare Fausto
D'Asta.
Ho fatto un sogno…A proposito del “sogno” del-
l'amico Carlo Rosenberg
(Arena di settembre) che si
augurava di “poterci ancora
una volta contare”, informia-
mo i gentili lettori che l’autore
precisa che l'indirizzo mail cui
inviare i dati anagrafici richie-
sti è stato modificato come
segue:
PAG. 4 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006
POLA, IL RITORNODEGLI ESULI
SENZA CHIAVI
po la stella rossa di Tito. E le case
in cui eravamo cresciuti, i forzie-
ri di tutti i nostri affetti e delle
speranze, furono da loro posse-
dute - racconta Villa, mentre il
veliero supera un branco di delfi-
ni. L'ultimo ricordo? Il gatto che
abbandonammo sul molo, come
mi guardava. E quel chiudere ca-
sa senza sapere a chi lasciare le
chiavi».
Già, se esiste un istante in cui
l'esilio ha inizio dev'essere quel-
lo: la chiusura della porta e ancor
più l'inutilità delle chiavi. «Quasi
tutti le gettammo in mare - dice
Carmen Ursini, che in quel
1947 aveva 21 anni e che, dopo
un peregrinare di anni, mise nuo-
ve radici a Milano. Era un gesto
simbolico, sapevamo bene che
nelle nostre stanze presto sareb-
bero entrati nuovi padroni: men-
tre il resto d'Italia festeggiava la
pace e la Liberazione da noi co-
minciava una guerra peggiore.
Nelle altre regioni il fascismo la-
sciava il posto agli anglo-ameri-
cani, nei nostri paesi agli sgherri
di Tito e alle foibe...». Anche lei
ha portato sua figlia all'elegante
palazzina dove era cresciuta, a
Pola. Un viaggio che aveva già
trovato il coraggio di fare una
prima volta nel 1975. «Suonai al-
la porta. Dove eravamo vissuti in
sei, il regime di Tito aveva messo
tre famiglie, tutti con un bagno
solo. La casa era andata in rovi-
na, alle finestre nel '75 c'erano
te. Il giorno prima andammo al
cimitero a salutare i nostri morti,
poi l'addio alla parrocchietta di
San Giuseppe. Lì piansi tutte le
lacrime che avevo: a quindici an-
ni hai le amicizie, la scuola, la vi-
ta che ti si spalanca, invece perdi
tutto e parti verso l'ignoto. Asso-
luto!».
Per i trentaquattromila di Pola,
come per tutti i trecentocinquan-
tamila fuggiti dalla Venezia Giu-
lia e dalla Dalmazia, iniziava un
dramma lungo decenni, ancora
più doloroso - se possibile - del-
l'invasione jugoslava: quell'Italia
verso cui correvano non sempre
li volle accogliere. «Siccome
scappavamo da un regime comu-
nista, i comunisti italiani dissero
che quindi eravamo fascisti -
spiega Carmen. Invece usciva-
mo come tutti dal ventennio fa-
scista, l'Italia intera aveva perso
ancora i vetri blu della guerra,
quelli dell'oscuramento... Oggi
per fortuna tutto è cambiato».
Le chiavi, ancora loro. «A Pola
abitavamo su Monte San Michele
- dice Daria Ursini, trentina d'a-
dozione -, eravamo otto fratelli.
Partimmo il 17 febbraio del 1947
alle 21. Papà accese tutte le luci
di casa e spalancò le porte e an-
che le finestre. Poi giù tutti dal
monte in fila indiana verso il por-
to di Pola, dove ci aspettava il
"Toscana", la nave che faceva la
spola carica di profughi verso
l'altra sponda dell'Adriatico. Ad-
dio, non torneremo più pensavo.
Ogni tanto ci voltavamo indietro
e vedevamo la casa illuminata, e
giù lacrimoni...». Oggi, mentre
parla, quella porta si apre al no-
stro bussare: Fia mia, ti xe ti?, la
riconosce l'anziana croata che da
allora ci vive. Si abbracciano e
piangono. Si chiama Erminia, da
piccole giocavano insieme.
Il veliero prosegue la corsa col
suo carico umano di genitori che
raccontano e di figli che vengono
a sapere e finalmente vedono.
Sfiora Fiume, Veglia, Cherso, Ar-
be, Sebenico, si addentra in fiordi
da leggenda, getta l'ancora in
baie dove l'acqua fonda è così
trasparente che si vede il fondo.
Paradisi che di esotico, però han-
no ben poco agli occhi di chi in
queste terre pensava di crescere
un giorno i propri figli. «Invece
vi lasciammo persino i defunti -
dice Franca Palermo, nata a Po-
la nel 1932. Partii sul "Toscana"
il 6 febbraio del '47. Fu strazian-
Chia fine estate lo
vedeva veleggia-
re lungo le coste
di Istria e Dalmazia avrà pensato
al Vascello Fantasma. Così appa-
riva il Maestral, con le sue fian-
cate in legno scuro, le balaustre a
colonnine tornite e i due alberi
impennati verso il cielo: una nave
venuta dal passato e di passato
carica. E in fondo questo era.
nezia la salma di Nazario Sauro,
che fu accolta dai fischi. Ancora
fischi e bandiere rosse anche ad
Ancona, mentre a Bologna, dove
il treno dei profughi fece sosta e
la Croce Rossa aveva preparato
un pasto caldo, i manifestanti co-
strinsero il carro-bestiame a pro-
seguire... «Si viaggiavamo nei
carri bestiame, che venivano
chiusi alla partenza e riaperti solo
all 'arrivo - racconta ancora
Daria. Ognuno di noi aveva una
balla di fieno da buttare a terra
per sdraiarsi fino a destinazione»,
che spesso era decisa dal caso:
Sicilia, Trentino, Liguria... ovun-
que ci fosse un amico o un paren-
te, un punto fermo da cui rico-
minciare. Altrimenti erano i sa-
cerdoti a guidare la fuga verso un
porto sicuro. «Nel cuore di tutti è
rimasto monsignor Raffaele Ra-
dossi, l'ultimo vescovo di Pola -
ricorda Pina Ferro. Il 25 aprile
del 1945 gli altoparlanti diffusero
l'annuncio della radio, "la guerra
è finita", ma monsignor Radossi
da quegli stessi altoparlanti preci-
sò “la guerra è finita al di là del-
l'Isonzo, non qui”. Purtroppo fu
profeta e iniziò la mattanza».
«Non ricordo quando partii.
Non ricordo nemmeno con chi.
So solo che a Pavia i miei due
fratellini finirono in orfanotrofio,
fummo separati. Mamma era ri-
masta a Pola per cercare papà che
era sparito, non ricordo quan-
do...». Tutto un non ricordo, la vi-
ta di Marisella Mazzaroli, trop-
po piccola nel '47 per capire. «Mi
sento in colpa: finora ho rimosso,
oggi che vorrei sapere non ho più
nessuno cui chiedere. Perciò sto
facendo questo viaggio». Suo pa-
dre, ingegnere, era una delle per-
sonalità in vista di Pola, aveva
costruito l'acquedotto in un'Istria
arida in cui le vigne strisciano
sulla terra rossa. Di lui il governo
slavo aveva bisogno, come di tut-
ti i tecnici. «Il comando titino lo
convocò perché collaborasse ma
Testimonianze da bordo del Maestral in navigazione lungo le coste istriane e dalmate
«Dopo tanti decenni torno a
Pola, la città da cui ero partito in
fretta e furia nel 1947 quando
avevo undici anni. Allora per me
fu una partenza senza alcuna spe-
ranza di ritorno, un distacco irre-
versibile. Ora per la prima volta
ho mostrato a mio figlio la casa in
cui ero nato. No, non ho bussato
non ho chiesto di entrare, non ho
avuto nemmeno il coraggio di an-
dare a leggere sul campanello...».
Giuseppe Villa uno dei qua-
ranta esuli polesani che in questo
settembre, dopo tanti anni, hanno
scelto di fare un viaggio nella
memoria e risalire il flusso del
tempo. Indietro, di nuovo a quel-
le terre d'Istria che sessant'anni fa
abbandonarono, quand'erano
bambini o ragazzi, al seguito di
nonni e genitori: si scappava dal-
la furia del dittatore croato Tito,
dalla sua lucida determinazione
di eliminare tutto ciò che sapesse
di Italia, si fuggiva portando ne-
gli occhi i rastrellamenti, le fuci-
lazioni, le foibe. In una parola era
la fine. La fine di un mondo.
«Da un giorno all'altro tutti e
trentaquattromila ce ne andammo
lasciando una città fantasma. Mio
padre, sovrintendente scolastico,
con altre poche autorità partì per
ultimo: il 15 settembre ci fu l'am-
mainabandiera e la consegna del-
le chiavi della città ai titini. I par-
tigiani slavi entrarono scalzi o in
ciabatte, chi in divisa, chi coperto
di stracci, i fucili in spalla, sul ca-
la guerra ma solo noi pagavamo
con le nostre terre, e per rimanere
italiani dovevamo emigrare».
«Ma quando arrivammo ad An-
cona - aggiunge Pina Ferro, oggi
palermitana, nata a Pola nel 1926
- ci radunarono in un campo pro-
fughi e ci presero le impronte di-
gitali, poi fecero la disinfestazio-
ne: credevano portassimo malat-
tie». Famiglie che partendo da
Pola avevano piegato in valigia il
Tricolore ammainato dai campa-
nili tendevano ora le mani all'al-
tra Italia e con sgomento anziché
un rifugio trovavano il rifiuto.
Il 20 marzo del '47 il "Toscana"
fece l'ultimo viaggio e portò a Ve-
lui rifiutò. Non lo vedemmo più».
Non odia, Marisella: «Ho bevuto
latte croato, io, la mia balia Eufe-
mia ai suoi tre figli aveva dato i
nostri nomi. Suo marito vent'anni
fa morendo chiamò la mamma al
capezzale per confessarsi: era
stato lui a tendere l'imboscata a
mio papà. Sapemmo così che era
finito in foiba».
Non odia, Pina: «A Dignano
ho rivisto una vecchia italiana
che è sempre rimasta qui. Le ho
chiesto come va da queste parti...
Cossa la vol, siora - mi ha rispo-
sto -, i nostri fioi gioga con i fioi
de lori, no se pol sempre odiar...».
LUCIA BELLASPIGA
non furono certo benevoli: “Semo zà co'le tesere e i razio-
namenti, figureve adeso cossa che sarà - disse qualcuno, e
qualche altro di rimando - No ne bastava l'Africa e l'Alba-
nia, adeso contro el mondo intiero volemo meterse”. Ma
dato che quel tipo di discorsi poteva diventar pericoloso,
Nin cercò di zittire la compagnia, chiamò le carte e un litro
per dare inizio alla solita partita.
Nin non approvava, in animo suo, il fascismo, era contra-
rio a molti suoi principi e poi ne aveva viste troppe, a Sco-
glio Olivi, di carognate verso alcuni suoi compagni di lavo-
ro, seri, onesti, che avevano solo la colpa di avere un co-
gnome slavo. Come quella sera che raccolse Ive Toncovi-
ch, massacrato di botte in un portone, e lasciato lì a terra
sanguinante. Per lui un uomo era un uomo, indipendente-
mente dal nome che portava, e se questo un regime non era
in grado di capirlo, era difficile immaginare che il destino
potesse riservare ad esso le fortune che in molti auspicava-
no. Ma com'era arduo, in quel momento, giustificare que-
sto suo pacifismo, questo suo spirito di tolleranza! In faccia
a molti poteva sembrare disimpegno, indifferenza per i
grandi problemi che agitavano l'animo degli uomini veri,
dei patrioti. “Guai ai deboli e ai vinti” dicevano le voci del-
la propaganda, ed egli si sentiva così debole da non poter
pensare di non venir sopraffatto in un mondo così: un omi-
no di gesso che una mano qualsiasi avrebbe cancellato, o
prima o poi, dalla tavola nera dell'esistenza. Questi erano
dubbi che lo tormentavano di continuo, ma che egli teneva
per sé. Avrebbe dovuto parlarne con Toni, ma aveva timore
di rovinare quel loro rapporto che viveva di altre cose, ben
più importanti per la loro amicizia. Almeno a lui sembrava
così.
Anche nella famiglia di Toni la situazione politica era
vissuta di rimando, alla lontana. A suo padre Lisandro nes-
suno diceva niente; lui abitualmente aveva altro da fare, ma
una certa opinione sicuramente se l'era fatta. Come quando
lo sentirono bestemmiare la volta che Mario arrivò con la
cartolina di chiamata per l'Africa: erano due braccia che se
ne andavano e la famiglia ne avrebbe sofferto. E quando un
giorno Toni tentò di manificargli i fasti del regime, di cui
sentiva dire in città, il vecchio andò su tutte le furie e gli
disse: “Caro fio mio, no farte impinìr la testa de tute 'ste
monade che se disi adeso. Qua i devi vignir quei siori (siori
li chiamava i fascisti, quasi che la parola potesse suonar of-
fesa alle sue orecchie) a veder che non xe cambià niente. La
tera ghe vol, e lavorarla ben, altro no ocori dir.
Anche il figlio si rese conto che era difficile affermare
che le cose non stessero così, per cui il discorso cadde per
obbiettiva impossibilità di replica.
Quando Toni si iscrisse al PNF non ne fece menzione con
il padre, sperando che il vecchio, quando ne fosse venuto a
conoscenza, avrebbe compreso le sue ragioni. E fu infatti
così.
Con Nin la cosa era diversa, e decise di chiarire la sua si-
tuazione con un discorso più approfondito. Ma neppure
Nin fu disposto ad un più lungo discorrere, e quasi balbet-
tando, disse: “Zermàn mi me dispiasi…So cossa che sucedi
in zità, ma no voio saver altro”. E Toni che si era preparato
un lungo discorso, come quelli che aveva sentito fare alla
Casa del Fascio, non fu più in grado di proseguire. Vide ne-
gli occhi dell'amico, al di là di qualsiasi parola, ciò che si
augurava di poter vedere. E gliene fu grato per sempre. Do-
po di allora, fra di loro, non si parlò più di questo argomen-
to. Anche quella volta a porto Badò, mentre la notte era con
loro, e Toni schizzato da un calamaro che aveva appena ti-
rato a paiolo, trovò spontaneo esclamare: “Go la camisa tu-
ta nera”, Nin lo guardò di sottecchi e, nel tenue chiarore
dello spagnoleto che teneva incollato tra le labbra, sorrise
impercettibilmente e non aggiunse altro. Eppure una battu-
ta se la sarebbe meritata Toni, in quella occasione.
(CONTINUA)
“Odore di cenere” è un racconto pubblicato sul volume“Dai lunghi inverni” edito a cura dell’Unione degli Istriaida Ed. Savioprint (Pordenone) 1996
L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 5
ODORE DI CENEREDue amici per la pelle
di Mario Frezza
Ledue biciclette procedevano lentamente, fianco
a fianco, su per la strada impolverata che dal
cimitero, per una breve erta, raggiungeva le
prime case del paese. Nin fu quello che scese per primo,
mentre Toni proseguì, girando a destra, sulla strada che lo
avrebbe condotto in breve a casa sua. Prima di lasciarsi si
salutarono, più con gli occhi che con un cenno, impercetti-
bile, del capo. Toni e Nin erano amici, ma amici è dir poco.
Anche fratelli è dir poco, perché Toni non aveva, con i suoi
quattro fratelli, la consuetudine che aveva con l'amico Gio-
vanni, come Nin, in effetti, risultava dai documenti.
Nin abitava all'inizio del paese. Era una casa modesta, la
sua, con il piccolo cortiletto sempre ingombro di tutti gli at-
trezzi ed utensili che Nin si era preso il gravoso impegno di
aggiustare. Sì, perché lui era soprattutto un aggiustatore,
anche se in Scoglio Olivi aveva la qualifica di motorista.
Tutto il paese aveva qualcosa da aggiustare da Nin, e lui
non diceva mai di no a nessuno, anche se pochi erano soli-
tamente in grado di pagare, per il lavoro fatto, un qualsiasi
compenso.
Toni, da quando si era sposato, abitava in città, anche se
della campagna si portava dentro tutto lo struggimento di
uno che vi era nato e desiderava morirci. Così, ad ogni mo-
va e non avrebbe mai tralasciato di dare una mano, all'oc-
correnza, possibilmente senza apparire.
Quel giorno si alzarono di buon mattino, attaccarono l'a-
sino, e si avviarono che albeggiava sul carretto traballante
lungo la strada maestra che portava a Medolino. Non è che
la bestia tenesse un passo granchè veloce, ma tant'è, quan-
do c'era da trasportar qualcosa, quello era il mezzo più rapi-
do per arrivare. Ci si alzava all'alba e si rientrava a notte
fatta.
Una luce rosata già schiariva una striscia di cielo verso
levante, dove tra un'ora sarebbe spuntato il sole. L'aria era
già tiepida, come lo era stata tutta quella notte, e tutte quel-
le altre notti serene di fine giugno. Ridendo e chiacchieran-
do fitto stavano per raggiungere il paese. E vi arrivarono
cantando a squarciagola e bacchettando il povero somaro
che, intuita la fine del viaggio, si era lasciato andare ad un
trotto da purosangue.
Gli uomini della stanzia avevano già avviato l'OM e poco
dopo una lunga cinghia di cuoio mise in movimento la treb-
biatrice, e il lavoro ebbe inizio. I covoni già caricati su un
carro erano sollevati, con un colpo di forcone, all'altezza
dell'uomo sulla macchina, il quale li apriva e li passava al
trebbiatore. Questo, occhiali e fazzoletto sulla bocca, era il
vero protagonista della rappresentazione e, a parte la re-
sponsabilità dell'operazione, non avrebbe ceduto il suo po-
sto a chicchessia. Il rumore della trebbia s'era fatto assor-
dante, l'aria polverosa filtrava i raggi del primo sole che il-
luminò di una luce fantastica quegli uomini al lavoro. Dopo
pochi minuti cominciarono ad uscire dagli sportelli poste-
riori i primi chicchi, seguiti da un fiume di grano dorato che
entrava prepotentemente nei sacchi e li riempiva in un
amen.
Barba Nicoletto Bembich era raggiante e passava tra le
dita, da una mano all'altra, il grano che lui stesso aveva se-
minato quasi nove mesi prima. Nove mesi, come una gravi-
danza pensava, e gongolava tutto a quell'idea. Il lavoro pro-
seguì, senza sosta, tutta la mattina. Gli ultimi covoni passa-
rono per la feritoia della macchina che i due campanili del-
la chiesa parrocchiale suonavano mezzogiorno, e molti
sacchi ricolmi erano sull'aia, pronti per essere trasportati
nel granaio. I due amici, con gli altri lavoranti, si lavarono
i toraci nudi, i colli robusti impastati di sudore e polvere,
con l'acqua fresca della pila e, dopo tutta quella fatica, sem-
brò loro di essere rinati. Intanto le donne di casa avevano
preparato all'ombra del grande gelso, sull'aia, il pane, il vi-
no e le vivande per il pranzo. Tutti mangiarono a sazietà, in
allegra compagnia, ed i discorsi di tutta quella gente s'in-
trecciavano variamente, risultandone un mormorio, ora al-
to, ora più grave, che si poteva udire a distanza. Nel pome-
riggio comparve Micel, il vecchio suonatore di rimònica
che girava per le ville, sempre accompagnato da un piccolo
bastardino, affamato più del suo padrone. L'uomo allietò la
festa con il suo strumento e diede inizio ai balli che si pro-
trassero fino al tramonto.
Era già notte quando Toni e Nin, un po' brilli sul loro tra-
ballante mezzo, commentavano gli avvenimenti della gior-
nata. Erano giunti ad oltre la metà della strada di ritorno,
quando all'improvviso l'asino scartò bruscamente da un la-
to. Nin, che lo guidava, lasciò andare un'imprecazione cer-
cando di comprendere la causa di quell'arresto, quando si
senti afferrare da più mani e sbattere a terra. Un violento
colpo alla testa gli fece uscire sangue dal naso e perdette
conoscenza. Toni intanto che, allo scarto dell'animale, ave-
va perso l'equilibrio ed era caduto al suolo, si rialzò, si rese
conto dell'accaduto, ma non ebbe il tempo per organizzare
alcuna reazione che due ombre scure corsero via e, in un
baleno, guadagnarono la campagna. Allora, nel buio, cercò
a terra il corpo dell'amico e tentò di rianimarlo. Nin aveva il
naso come un sanguinaccio e si lamentava da far pena. Toni
lo issò sul carro, cercò di tamponargli l'emorragia, e dopo
un po', constatato che l'amico era ancora tutto intero, avviò
la bestia verso casa.
Si parlò per molti giorni in paese di quell'aggressione
che, nei convincimenti dell'aggredito, aveva tutta la par-
venza di un avvertimento politico. Anche i due amici ne
parlarono, ma alla fine, ne videro più il lato comico che non
quello reale che, invero, di comicità ne aveva ben poca.
Nin, per il fatto di essere ogni giorno in città, ne racco-
glieva tutte le notizie e gli umori e alla sera, all'osteria, do-
ve non mancava mai di fare una capatina per tre raggi di
briscola e un mezzo di nero, ne faceva il resoconto preciso.
Non è che ci fosse un gran interesse per la politica in paese.
C'era, sì, qualche testa calda che aveva però la riprovazione
di tutti. I ritmi naturali, obbligatori, della vita di campagna
erano ben lungi dal lasciarsi sovvertire dalle contingenze
mutevoli della politica. Tutto veniva assopito, neutralizza-
to; se ne parlava per un po' e poi c'erano altre cose, ben più
importanti, a cui badare. Ma, in quel momento, gli avveni-
menti erano di una tale gravità, che appariva molto difficile
restarne fuori.
E proprio quella sera Nin portò la notizia dell'entrata in
guerra del nostro paese, a fianco dell'alleato tedesco. Il fat-
to contribuì a gelare l'atmosfera del locale e i commenti
mento libero, saltava in sella e, in meno di un'ora, era di
nuovo a casa sua. Sua moglie, nata in clivo Grion, come a
dire nel cuore antico della città, non si trovava bene in pae-
se. L'odore di stalla, le strade infangate non si addicevano
alle sue abitudini, così ci andava solamente in rare occasio-
ni o quando non poteva, proprio, farne a meno. D'altronde
questa loro diversità di origine era motivo di sottolineature
sia tra i colleghi di ufficio di Toni, che non tralasciavano
mai di rimarcare un paio di pantaloni infangati o una cra-
vatta mal annodata di lui, sia, dal lato opposto, in paese, do-
ve si commentavano sfavorevolmente le calze di seta o un
capello stravagante di lei. Ma intendiamoci, il tutto rimane-
va nell'ambito del buon gusto e del perfettamente lecito,
tantochè nessuno avrebbe considerato la loro unione come
meno che ben riuscita.
I due amici erano da sempre compagni di ogni avventura.
D'autunno la caccia, a primavera la pesca, d'estate le gite al
mare, non finivano mai le occasioni per stare assieme. E
quando erano più giovani - ma, questo, non lo si doveva
proprio sapere - anche qualche amoretto in comune lo ave-
vano avuto. Oltre a questo, non disdegnavano certo neppu-
re le compagnie del paese perché, essendo Nin un buon-
tempone, organizzavano spesso assieme scherzi atroci dei
quali si rideva per settimane intere. C'era in loro spesso l'e-
sigenza di sottolineare questo loro legame, chiamandosi,
vicendevolmente, zerman, cugino. Era diventato un vezzo
questo loro modo di apostrofarsi, anche se non c'era, in
quella parola, nulla di più veritiero. Tra i due esisteva, pale-
se, una notevole differenza di censo: Nin era operaio e di
famiglia nullabbiente, Toni impiegato e benestante. Eppure
questo fatto non aveva mai rappresentato alcun problema
nei loro rapporti: la loro origine contadina li accomunava,
come e più, di una reale consanguineità o appartenenza so-
ciale. Nin non avrebbe mai chiesto, né avrebbe approfittato
della posizione dell'amico, Toni, d'altronde, questo lo sape-
Gli ultimi covoni passarono per la feritoia della macchina che i due campanili della chiesa parrocchialesuonavano mezzogiorno
Anche quella volta a porto Badò...
PAG. 6 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006A cura della Redazione di Milano diretta da Piero Tarticchio
di Anteo Lenzoni
Viaggio in Istria
Nel tradizionale «Incontro
istriano» che l’ANVGD di
Grado or-
ganizzato alla fi-
ne dell’inverno,
per far conoscere
iniziative e atti-
vità sociali, per
avere suggeri-
menti e proposte,
i presenti manife-
starono il deside-
rio di rivedere o
vedere i luoghi
che essi o i loro
progenitori do-
vettero abbando-
nare. Venne per-
tanto organizzata
un’escurs ione
guidata in Istria.
Non a Rovigno,
Parenzo, Portoro-
se , ma nell’Istria interna ignorata
dai flussi turistici perché rimasta
dignitosamente povera, di limitato
interesse per il turista al quale i
borghi disabitati, le case vuote o
cadenti, con vecchi sulla soglia di
casa nulla dicono, ma a chi vi é na-
to e vi ha abitato, quei luoghi, sem-
pre ricordati e descritti con nostal-
gia, suscitano commossa parteci-
pazione.
Venne pertanto scelto l’tinerario
Rabuiese, Pisino, Lindaro, Galli-
gnana, Pedena, Chersano, Albona,
Porto Albona e Montona. Finalità
della gita far conoscere quel patri-
monio storico-culturale.
Durante il viaggio Tullio Svettini e
Alda Devescovi si alternarono nel-
la lettura di una sintetica esposizio-
ne della geologia e delle vicende
istriane dalla preistoria alla secon-
da guerra mondiale. Prima sosta a
Pisino, oggi Pazin. Stante l’mpos-
sibilità di visitare il castello dei
Montecuccoli, venne deciso di far-
vi ritorno in autunno. Sosta a Gal-
lignana, Gracisce, antico castellie-
re abitato dagli Histri, poi dagli Il-
liri e in epoca preromana dai Celti,
dai Vendi, gli antichi sloveni.
Il centro romano di Gallinianum
nel 1508 fu possedimento venezia-
no; poi feudo austriaco ceduto al
Patriarcato di Aquileia che lo do-
nava alla diocesi di Pedena. Era il
più importante centro della Contea
di Pisino. Lingua d’uso, anche nei
documenti, l’italiano. Era la città
delle sette chiese: alcune esistono
tuttora. Notevoli le costruzioni: la
casa Salamon, già dei Montecuc-
coli (sec.XV) di stile gotico-vene-
ziano; la chiesetta della Madonna
dei sette dolori (1425), quella di
San Antonio con crocifisso ligneo
di autore italiano (XIII sec.) la casa
del Vescovo. I gallignanesi ricopri-
rono importanti cariche nella pub-
blica amministrazione: Francesco
Marincich, imparentato ai veneti
Salamon giunse al grado di mag-
gior generale nell’esercito austria-
con la Grecia e la Magna Grecia.
Nel 177 a.C. Roma conquista l’I-
stria ma non Albo-
na, nominata Al-
vum da Plinio,
perché i liburni,
gente fiera, forte,
bellicosa continua-
no ad opporsi ai
conquistatori. La
pace romana portò
prosperità: Albona
divenne un muni-
cipio. Con la cadu-
ta dell’impero finì
il benessere.
Con la dedizione
alla Serenissima
nel 1420 la città
crebbe d’impor-
tanza. Aumentò il
numero degli abi-
tanti. Alcune fami-
glie notabili, quali Manzin, Scam-
picchio, Lazzarini, Battiala, Negri
e Lucani, abbellirono la città con
edifici patrizi del periodo rinasci-
mentale e barocco. Caduta la re-
pubblica veneta, nel 1797, e cessa-
to l’intermezzo napoleonico, il di-
stretto di Albona venne annesso al-
l’Austria e incorporato nel Circolo
di Pisino. Nel 19l8 alla fine della
prima guerra mondiale le truppe
italiane, sbarcate a Fianona entra-
vano in Albona, rimanendovi fino
all’8 settembre 1943. Alla fine del-
l’ultima guerra la maggior parte
degli italiani, e non pochi slavi, la-
sciarono l’albonese. Dai 320 metri
di Albona, nel pomeriggio, la co-
mitiva si dirigeva al mare di Porto
Albona (Rabaz).
Negli anni Venti era un piccolo
borgo di marinai e pescatori, oggi
è un affollato centro turistico con
strutture alberghiere di pregevole
architettura intonata all’ambiente.
L’escursione si concludeva nella
pittoresca Montona (Motovun)
ove, con la venuta di Roma, si sta-
bilirono comunità di legionari che
vi lasciarono un’impronta indele-
bile. Il castrum Montonae, che an-
noverava tra i suoi abitanti ben
quattro consoli, grazie alle sue for-
tificazioni passò quasi indenne alle
invasioni barbariche e, protetto da
Venezia, scampò alle scorrerie tur-
che. Nel 1797 alla fine della Sere-
nissima passò all’Austria.
Nel 1805, occupata dai francesi,
Montona fece parte del Regno Ita-
lico, ritornando all’Austria nel
18l3. Alla fine della prima guerra
mondiale fu annessa all’Italia. Do-
po la seconda guerra mondiale,
con la ratifica del trattato di Osimo
del 1975, pronubo il ministro degli
esteri Rumor, veniva regalata defi-
nitivamente alla Jugoslavia di Tito.
Al rientro a Grado, dopo 16 ore
nessuno si sentiva affaticato. L’I-
stria con la sua storia, le vestigia, i
panorami aveva affascinato i 52
partecipanti. A.L.
co e fu decorato con l’Ordine di
Maria Teresa e insignito del titolo
di barone.
Dal ciglio dello strapiombo, dietro
la parrocchiale di San Vito, si am-
mirano le ultime Alpi Giulie con la
catena dei Vena e il territorio dei
Cici; il monte Maggiore (alto 1396
m) della catena dei Caldiera che
gradatamente si abbassa fino al
fiordo di Fianona.
A quota 900 c’era il rifugio Du-
chessa d’Aosta (ex Stefania) il cui
custode istriano, già stalliere di
Sissi, raccontava aneddoti veri
(?)della bizzosa principessa.
Si prosegue attraversando Pedena
(Pican) elevata a diocesi al tempo
dell’imperatore Costantino, la
quinta dopo quella di Roma. I ro-
mani, la cui presenza è testimonia-
ta da numerosi reperti: lapidi e pie-
tre lavorate, chiamavano l’abitato
Petinum. D’estate il Vescovo si
trasferiva a Gallignana (distante 3
km) per fruire del fresco clima dei
454 metri di altitudine. Oltrepassa-
ti Chersano (Krkus) e Vosilla (Vo-
silici) per il pranzo si sosta a Du-
brova, frazione di Albona. Albona
(Labin) nella preistoria era un ca-
stelliere abitato dai liburni, popolo
marinaresco. Alcuni reperti con-
fermano i rapporti commerciali
In alto: la comitiva aGallignana;sotto: Palazzo LazzariniBattiala di Albona;a sinistra: Albona vistadall’alto;a destra: la Chiesadella Madonna dei settedolori (1426) aGallignana.
Echi lontani, ma sempre vicini.
Oggi nel 2006, una data così
lontana dalle vicende che
vorrei commemorare, in
un'età in cui il censimento dei vivi
è ridotto rispetto a quello dei cari
che ci precedono nel tempo senza
tempo, chiedo ospitalità alla Vo-
stra pregevole Rivista, affinché mi
aiutiate a ricordare ciò che nella
famiglia Pavesi, di cui siamo ri-
masti in due, Mario e Lucia, insie-
me con nostro cugino Claudio, è
stato sempre raccontato, sintetiz-
zando in poche pagine la vita di
mio padre Ermanno e di mia ma-
dre Lidia, scomparsa il 20 luglio
2006, alla quale dedico quanto ho
scritto, che avevo lasciato in un
diario venti anni fa ed ho ripreso
tra le mani solo ora.
Ho provato un paio di volte
a scrivere qualcosa su Po-
la, su ciò che ha rappre-
sentato questa città vista e amata
solo attraverso gli occhi di mio
padre, ma c'è sempre stato un ele-
mento distraente che mi ha allon-
tanato dallo scopo. Una sera , in
cui avevo quella malinconia che
nasce dal ricordo delle persone e
di ciò che non c'è più, ho sentito il
desiderio di alzarmi dal letto e di
precipitarmi a scrivere qualcosa,
un tentativo almeno, poi invece è
arrivato il sonno…
Forse, se mi fossi mossa, sarebbe
uscita un pagina bella, perché
quella sera ero ispirata, mi investi-
vano i ricordi delle cose racconta-
te da mio padre e da mia madre
che a Pola lo ha incontrato e poi
sposato. Allora, questa città pre-
sente ormai solo nella geografia
del nostro cuore, si era improvvi-
samente animata, le persone si
muovevano, mi sembrava di ve-
dere il papà e lo zio Ego in bici-
cletta, bambini pestiferi, vivaci e
spericolati correre per quelle stra-
de, per la via Tartini, cercando le
discese più ripide, per poi finire
ruzzolando regolarmente dentro
ad un portone della via Zaro. Poi
li vedevo d'estate ai bagni di Sac-
corgiana immergersi in quell'ac-
qua trasparente e profumata di sa-
le. Quindi vedevo la famiglia inte-
ra vestita con abili primaverili,
pronta alla scampagnata di Pa-
squetta, nel bosco di Siana, dove
nell'occasione si raccoglievano
mazzetti di viole e ciclamini. Tan-
te volte mio padre ci ha parlato
della sua scuola, della severità dei
suoi insegnanti nel collegio di Pi-
sino, del plurilinguismo in cui ha
avuto un notevole peso la posizio-
ne mitteleuropea dell'Istria, croce-
via di tanti sbocchi culturali. In
collegio aveva imparato a memo-
ria molti canti della Divina Com-
media che a distanza di anni a mo'
di Pico della Mirandola ci ripro-
poneva, recuperandoli nella sof-
fitta dei suoi ricordi. Poi è arrivata
l'università, la facoltà di medicina,
il famoso caffè Pedrocchi di Pa-
dova, con la sua goliardia raffina-
ta ed elitaria.
Quante volte ci ha raccontato le
fatiche vissute da studente univer-
sitario, chiuso nelle corsie dell'o-
spedale per imparare alla scuola
del professor Pepi, un mito per lui,
e dell'infermiere Checco, più bra-
vo di un medico per la grande pra-
tica acquisita. Anche in quel pe-
riodo Pola lo seduceva invitando-
lo al teatro Cescutti oppure al ma-
re in compagnia di tante belle
"mule"…, invece si ritirava con
alfieriana volontà nell'ospedale
intriso degli odori e dei colori del-
la sofferenza e della malattia. In
questo racconto agiografico che ci
proponeva di se stesso, c'era sem-
pre l'intento educativo, il modello
che voleva essere per noi, riuscen-
doci in pieno, il suo motto era
"volere è potere", ma c'era anche
nello sfondo Pola, la città dell'a-
micizia, pulita dentro e fuori, in
cui le persone erano educate alla
disciplina, al rispetto di sé e degli
altri. La madre vera di tutti i suoi
figli era Pola, con la sua storia, la
sua cultura, il suo passato romano,
i trofei esposti come in una litur-
gia ai visitatori: l'arco dei Sergi, il
tempio di Augusto, l'Arena prima
di tutto.
Poi questa bella signora nel perio-
do della guerra si era vestita di
ferro, si era riempita di divise, di
cannoni, di obici, di navi belliche.
Allora papà mi ha raccontato tante
volte in che modo ha operato, at-
traverso la neutralità della sua
professione, che gli consentiva
anche certi privilegi e opportunità
da utilizzare, salvando e curando
molte vite umane. Mi sembra di
vederlo, moro, con i suoi occhi da
tartaro e i baffetti un po' vanitosi
girare sulla Topolino e trasportare
sotto alle coperte molti feriti, ol-
trepassando i blocchi dei tedeschi,
forte del suo mestiere e della pa-
dronanza della loro lingua.
Anche il capo dei partigiani, buca-
to come un colabrodo venne sal-
vato da lui nella sua eroica mac-
chinetta. Sembrano racconti in-
credibili, quasi inverosimili, se
non li avessi orecchiati tante volte
da lui, dalla mamma che lo aveva
conosciuto in quel periodo e poi
sposato a Promontore, una bella
località posta dentro ad una inse-
natura. Il matrimonio, date le cir-
costanze della guerra era stato or-
ganizzato in modo austero, con
pochi invitati, in una giornata di
fine aprile, ma non erano mancate
le ostriche durante il banchetto ed
il pesce fresco, donato generosa-
mente dal mare Adriatico.
Presto in un palazzo della via Giu-
lia, la loro casa, è nato Gianni, il
primogenito, ma non c'è stato
molto tempo per gioire, perché è
sopraggiunta la tristezza dell'Eso-
do sul piroscafo Toscana e nuove
città hanno accolto gli esuli istria-
ni e dalmati, chiusi nel loro dolore
composto e dignitoso, orgogliosi
di aver fatto una scelta di italia-
nità, anche se ciò ha significato da
allora in poi fare un viaggio in
Istria da ospiti, senza radici, se
non quelle conservate nella pro-
pria memoria o nelle pagine di
qualche rivista per addetti ai lavo-
ri, che vivono di ricordi, di "ciaco-
le" o brindisi fatti alla conclusione
di pranzi in cui l'appello ogni an-
no vede sempre più ridotte le pre-
senze dei "veci".
Intanto tu, o Pola, sopravvivi alla
storia con nuovi abitanti e nuovi
linguaggi, ma sempre imperturba-
bile e orgogliosa della tua bellez-
za, che dedichi a uomini carichi di
memoria e di nostalgia, ma anche
capaci di credere in un mondo
multietnico, senza confini o diritti
usurpati, cittadini di un villaggio
globale che sanno guardare ad un
futuro di pace e di rispettosa con-
vivenza.
PAVESI LUCIA
VIA BRODOLINI, 3
56122 PISA
TEL. 050 533335
Echi lontani...
L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 7A cura della Redazione di Milano diretta da Piero Tarticchio
di Patrizia Pescatori
Refoli de boradi Patrizia Pescatori
di Giorgio Paliaga
di Roberto Stanich
Propio ieri, co’
iera ancora
scuro, la me
ga sveiado, coi sui
diti profumadi de
pin e lentisco de
Stoia, de ginepro e
sangrego de Sac-
corgiana, de salso
de mar. Iera bora
nera. La xe vegnu-
da de Pola per far-
me grizoli. Ciapa-
da dal morbin go
ciolto la bici e via
mi al mar. Qua me
xe rivà l’eco dele
fontane a Verudela,
indove xe un pin,
propio in punta, tu-
to inverigolà dala
bora.
La me diseva: «Ti senti? Son qua. Pi-
cia mia, quando ti vegnerà de là?»
Co’i sui diti la me intrigava i cavei e
la me fasseva grizoli sul colo. Ghe go
dito: «cocola mia, te vedi? Son qua,
son picia, soto la fighera del pare de
mio nono, son a vardar in suso le
grande foie de figo, ricamade da ner-
vature e el ziel scolorado nel verde.
«Tik plok, tac toc fà le ioze de piova
e ne l’aria se pol nasar un odor ama-
ro e dolze de fighi maturi, l’odor
aspro de tera rossa bagnada e me par
de sentir nono Franz che’l me dise:
«voia voia de far sburtime e fame far
meno che posso... Versi la boca, pi-
cia, e te podarà magnar sensa sforso!
Lu, povero, ingrumava indrioman fi-
ghi par mi, ma mi no volevo: iero co-
me in contenplasion...»
I refoli i me sburta, i zoga coi cavei e
mi ghe digo: «bei
mii: son qua, son
picia a Stoia, soto i
pini, cuciada nel
canoto a vardar in
suso i sui aghi e
sento la nona che
me disi: «da brava,
ti ga nudado ba-
stansa: tuta la mati-
na! ‘Desso vien
qua co’ mi che te
conto dela siora Li-
seta. Ciolte l’omlet
che go fato propio
par ti.» La storia
conta de una siora
che la gaveva ‘ssai
caprizi, la iera sen-
pre a farse bela, a
farse distrigar i ca-
vei dala Maritza,
ma la se stancava e la se doveva ripo-
sar parchè tuto ghe dioleva... Sarà par
questo che mi go cavei incolti e, co’
raramente vado dal districacavei ghe
digo «solo robe velocissime!»
«La vol un impaco de crema per ado-
mesticarghe i cavei? La ga un nido de
fil spinado in testa!»
«Solo se la fa presto!»
«Ghe fasso un massagio rilassante?
Xe gratis, xe promossional, el dura
olo venti minuti, me par che la ga un
gran bisogno...», cussì disendo, in
man el tien un arnese bon par ET.
«Nooo!» ghe fazo co’ un zigo de far
invidia a Dracula co’l vedi l’aio.
I refoli me sburta, me cocola fazen-
dome cara-cara, xe come aver una
covertina d’Istria in testa e cussi’, ca-
ressada e proteta, posso lassarme in-
drio tuti i pensieri de la vita. P.P.
P O E S I AMessaggio in bottiglia
Sono sul piccolo aeroplano, ma
poi non tanto piccolo: si tratta
di un BAE 146, detto anche il
piccolo Jumbo, perché alle ali ha ap-
pesi 4 piccoli motori turbofan. I posti
sono piuttosto stretti, mi capita di se-
dermi vicino ad un ragazzone alto
con i capelli rosso chiaro. Mi cede il
passo per arrivare accanto
al finestrino. Ci adattiamo
in qualche modo allo spazio
disponibile. Sotto di noi
scorrono le immagini delle
foreste e dei mille e mille
laghi della Finlandia. Non
ho molta voglia di parlare.
Ho appena appreso la noti-
zia che un caro amico, cau-
sa incidente di moto, ha la-
sciato questo mondo, tutta-
via iniziamo a parlare, facendoci do-
mande reciproche. La mia compren-
sione del suo inglese americano non è
facile. Ma con la mia e la sua buona
volontà riusciamo a comprenderci
anche se il mio inglese non è un gran-
ché... Con l’energia e la franchezza ti-
picamente USA mi racconta che la-
vora per una multinazionale di com-
ponentistica per impianti idraulici, in-
dustriali, anche aeronautici.
E’ in viaggio di lavoro, ma, prima di
rientrare negli USA aspetta la moglie
in Svezia a Goteborg, per passare in-
sieme il fine settimana e festeggiare il
suo compleanno. Così mi pare di ca-
pire. Poi mi parla della sua famiglia,
dei figli grandi acquisiti con il matri-
monio di un fratello pilota di elicotte-
ri, e io racconto la mia. Gli racconto
che i miei genitori abitano in Tosca-
na, io a Varese, che lavoro faccio,
(anche qui c’entrano gli elicotteri) e
così via. Lui mi parla delle città italia-
ne che ha visitato (Firenze, Venezia,
Trieste) e pronuncia alcune parole in
italiano. Chiedo come mai conosce
un poco di italiano e così
vengo a scoprire che sua
madre è di Fiume.
Ora ha sessantacinque anni
ed è venuta via dalla sua
città nel ‘48 quando ne ave-
va circa sette. Non resisto e
gli mostro la mia carta di
identità con nascita a Pola, e
così troviamo alcune radici
comuni. Una bella sorpresa
davvero. Poi a Copenhagen
corriamo verso voli e destinazioni di-
verse: aeroporto di Goteborg lui e
quello di Milano Malpensa io. Beh,
saluti a tutta da parte della mamma
fiumana di Ray (Raimondo), 36 anni,
che vive in USA a Cleveland - Ohio.
Prima di partire ha raccomandato al
figlio di alimentarsi meglio e mangia-
re più verdure e meno zuccheri e me-
no carboidrati, buone insalate come
sa farle la mamma di Ray e gallette
wasa… insomma meno pane e meno
l’amata pasta.
Vorrei che L’Arena pubblicasse que-
sta ambasciata e… chi può facilitare
il viaggio di questo messaggio in bot-
tiglia attraverso l’Atlantico, lo faccia.
Chi sa che non arrivi a destinazione.
G.P.
Aereo daTampere
(Finlandia) aCopenhagen,
nel pomeriggio di venerdì
15 Settembre2006.
AA prproposito de pescaoposito de pesca
Co' iero
p i c i o ,
andavo
a pescar con
mio papà. An-
davimo la do-
menica mati-
na presto a Ve-
ruda, dove che
una volta iera
una grande
grua e una te-
leferica coi
vagonzini. Là
iera un bel
molo, dove
che soto l'Au-
stria atracava
barche grandi
che portava
carbon al ga-
sometro. L'ac-
qua iera alta e
se pescava
ben, senza pe-
ricolo de in-
gossar la to-
gna. Ciapavi-
mo principalmente spari e sarghi
ma bei, grossi. Me ricordo ancora
come che i slusiva in acqua quan-
do che li tiravo su. Come esca
usavimo vermi che ingrumavimo
in mandracio. Ingrumar vermi no
me piaseva perché in mandracio
iera spuza e me fazeva schifo ma
el vermo iera una bona esca e el
pesse magnava. Se no trovavimo
vermi, fazevimo pastela con pan
vecio, un poco de ovo e formaio.
Con la pastela iera più dificoltoso
perché la se distacava de l'amo e
el pesse la magnava senza tacarse.
Pescavimo anche col pedocio. Ie-
ra una bona esca ma mi gavevo
sempre dificoltà a tacarla ben su
l'amo e el pesse mela magnava
senza ciaparse.
A mi più de tuto me piaseva pe-
scar con le scardobole (in italian
paguro). Le ingrumavo nudando
con la maschera vizin le grote e le
metevo in un seceto pien de acqua
per tegnirle vive. Tiravo fora el
granzeto de la sua caseta e lo in-
ganzavo su l'amo. Con le scardo-
bole ciapavo senpre qualche bel
sparo. Le naridole inveze no iera
una bona esca perché se ciapava
solo guati.
Più in avanti, gavemo scominzià a
pescar in maniera più seria. Anda-
vimo con la barca e metevimo zò
tante togne, lunghe fina 100 metri.
Come esca iera obligatorio gaver
el vermo de Rimini. Per chi no xe
pratico, questo xe un vermo gros-
so più de un dito e lungo de uno a
due metri. El xe de color maron
con riflessi de altri colori e con
tante ganbete che se movi in con-
tinuazion. La sua specialità xe
che, anche taiandolo a tocheti, el
resta vivo e el attira el pesse. Con
el vermo de Rimini se ciapava
senpre, massima orade. El proble-
ma iera che 'sto vermo xe difizile
de ciaparlo e no se lo trova senpre.
Iera solo pochi specialisti che i lo
ciapava anche perché el sistema fa
un poco schifo. Dovè saver che el
vermo de Rimini xe attirà dal odor
dei escrementi umani. Per ciapar-
lo, bisogna andar in acqua con una
voligheta fata con una calza de
dona con dentro la m…gavé capì.
Quando che el vermo senti l'odor,
el vien fora del suo buso e se lo
ciapa. No xe una pesca che tuti fa
volentieri e questo spiega la diffi-
coltà de trovar 'sta esca. Go scrito
questo picio trattato sule esche per
dir che pescar no xe facile, ocori
conosser i posti, saver a che ora
che i pessi magna, che tenpo xe
più favorevole. Ma forsi questo
xe el suo bel, zercar l'esca, prontar
le togne, trovar el posto sperando
ala fine de tirar su qualcossa.
Quando che go lassà Pola e me
son trasferì a Milano, go provà a
pescar in tel lago ma no xe la stes-
sa roba. No conossevo i posti, le
esche, i pessi e cussì go lassa per-
der. Però de estate, quando che
tornavo a Pola andavo ancora a
pescar. Iera senpre più difizile a
trovar l'esca, el pesse iera senpre
de meno e più disturbado ma,
istesso gavevo la sodisfazion de
ciapar qualcossa. Mia moglie la
brontolava che saria stà assai più
facile andar in pescheria che tor-
mentarse a zercar el vermo de Ri-
mini che po' me costava più del
pesse che ciapavo. Ma se sa, le
done no capissi gnente de certe ro-
be. Una volta iero in America, in
California per lavoro e i mii amici
me ga organizà una pesca de alto
mare, deep sea fishing, come che i
disi lori. Semo partidi ala matina
con una grande barca e una trenti-
na de pescadori. Davanti, a prua,
iera una grande vasca de acqua
piena de sgonbri e sardelle vivi de
usar come esca. Me disevo, da noi
saria zà bon ciapar quel che qua i
usa come esca. El comandante el
parlava per radio con altre barche
che esplorava el mar con el scan-
daglio e le ghe diseva dove che ie-
ra pesse. I ne ga portado vizin una
piattaforma petrolifera a pescar
tonni "yellow tail", coda gialla.
Apena rivadi sul posto i ga sco-
minzià a butar sardelle e sgonbri
in tel mar per ciamar i pessi. Noi
gavemo inescà le cane e in do e do
quattro tiravimo su bestie de 4-5
chili. Dopo, semo andai a pescar
barracuda. Tuti tirava su, anche el
più mona o chi che no aveva mai
pescà. Xe stà un'esperienza inte-
ressante ma
sta roba me ga
fato pensar.
Come, de noi
d i v e n t e m o
mati a zercar
le esche, el
posto, l'ora,
per ciapar due
pesseti e qua,
basta butar la
cana e ti tiri su
pessi che noi
gnanche no se
insognemo?
Me preoccu-
pava el fato
che, dopo
un'esperienza
conpagna no
gavessi più
trovà el gusto
de pescar in
tel nostro mar.
Inveze, la pas-
sion xe rima-
sta, el bel xe
prontar el ma-
terial, le esche, andar sul posto e,
dopo, se se ciapa bon, se no anca.
Xe come la storia dei branzini.
Una volta magnar branzin iera ra-
ro perché se ciapava pochi e i iera
cari. Adeso, con i alevamenti, in
supermercato i te li tira drio. Ma
no xe la stesa roba. Alora, mi pre-
ferisso magnar sardele. R.S.
UOMO
Sei soddisfatto, uomo,
di ciò che stai facendo?
Vuoi salvar l'umanità?
Non ti accorgi
che fingi ormai di vivere
e distruggi
la vita tua e degli altri
inquinando l'acqua
e l'aria che respiri?
Veleno tu mangi
e tutto stai perdendo.
Non è forse importante
il rendersene conto?
Dovrai saper cambiare
il tuo comportamento,
ogni momento è buono
sol se tu lo vuoi.
Dunque fermati un istante,
metti fine all'egoismo
e togli quei confini
che hai creato
fra genti ed altre genti.
Allor vedrai
che sarà un miglior vivere
su questa amata Terra.
FINCHÉ
Finché dato mi sarà di pensare
soltanto te nella mente avrò.
Finché dato mi sarà di amare
soltanto te nel mio cuore avrò.
Finché dato mi sarà di vedere
soltanto te negli occhi avrò.
Finché dato mi sarà di udire
soltanto la tua voce ascoltare vorrò.
Renzo Zanon
Tra le tante scritte con il gesso lungo le fiancate dei vago-
ni della tradotta militare che nel luglio del 1946 restituiva-
no alla patria e alla libertà i resti (un terzo) delle divisioni
alpine sopravvissuti ai combattimenti massacranti, alle im-
placabili forze della natura, alla fame, alla sete, alle malat-
tie incurabili - come il tifo petecchiale, la dissenteria, la
cancrena, il congelamento - costretti all'abbandono coatto
dei cari compagni ed amici, destinati a scomparire per sem-
pre sotto una coltre di gelo, o sotto le palate di calce viva in
una oscura fossa comune, tra tutti quei proclami esibiti dal-
l'abituale franchezza alpina appariva: “COMUNISTI ITA-
LIANI STATE LONTANI DA NOI”. Questo rifiuto non
scaturiva solo dalla conoscenza diretta delle conseguenze
di un impari scontro bellico, affrontato sopperendo con leg-
gendario coraggio e tenace resistenza all'inadeguatezza de-
gli equipaggiamenti; no, esso nasceva dalla esperienza, vis-
suta nel corpo e nella anima del vero volto del comunismo
sovietico, quello che emerge da tutto il racconto di chi
quelle esperienza aveva vissuto e riportato nel libro intito-
lato: Matricola 393719 - Luciano Cerdonio - Storia di unatragedia ancora sconosciuta.
L'autore, appunto Cerdonio, era nato a Pola da genitori
pure istriani, vissuto a Bolzano, arruolatosi il 3 gennaio
1941 a 19 anni volontario, dal luglio del '42 entrato col gra-
do di caporale, e via via di ufficiale, nel corpo di spedizione
italiano dell'ARMIR nella Russia sovietica. E che questa
tragedia sia rimasta sconosciuta - come lo striscione degli
Alpini - lo dimostra tutta la particolareggiata narrazione dei
fatti che l'hanno caratterizzata, che l'autore dedica al pro-
prio figlio, avendo avvertito il dovere di riaccostarsi alle
memorie per tanti anni taciute. Un lungo silenzio - spiega
nella lettera introduttiva al figlio - al quasi impossibile su-
peramento dell'incubo vissuto, delle cicatrici profonde nel
corpo e nell'anima lasciate da esperienze al limite di ogni
capacità, materiale e morale, di sopravvivenza, rimosse
quasi per “istintivo bisogno di non restarne schiacciati”,
“non tanto per reticenza quanto per pudore”.
Per rendersi pienamente conto della sincerità di questa
ammissione è sufficiente seguire i capitoli in cui il libro
percorre tutta la vicenda, personale e collettiva, di quegli
anni di guerra. Un susseguirsi di episodi di grande interes-
se, come quelli riguardanti la sosta a Varsavia, sulla via del-
l'andata e il primo contatto con la terroristica spietatezza te-
de-
sca verso gli affamati, affranti
ebrei, momentaneamente soccorsi
dai generosi alpini, con “lo stesso
sentimento di impotenza e di pena”
che avrebbero provato al loro ritor-
no, incrociando un treno di mogli
italiane di soldati russi (prevalente-
mente cosacchi), alleati dei tedeschi
che anelavano di ricongiungersi
con i loro mariti, invano avvisate di
non gettarsi nelle fauci del leone!
Altrettanto toccante la descrizione
dell'immensità irreale della pianura russa, degli in essa di-
spersi villaggi - poche isbe di fango e di paglia - abitate da
gente ridotta a una vita primordiale, non perché vi fosse
passata la guerra, ma perché il paradiso delle ideologie non
l'aveva, e non l'avrebbe, intaccata per nulla. Ma di tutti i ca-
pitoli, ricchi di informazioni di ogni genere e che ricostrui-
scono, oltre tutto, il rapporto umano speciale tra soldati e
ufficiali, tra uomini e animali (gli insostituibili muli, an-
ch'essi “caduti”), dove si leggono i nomi di uomini di valo-
re, degni esempi di fedeltà all'onore militare, il più coinvol-
gente e profondamente istruttivo, anche per l'attualità dei
nostri tempi, è il capitolo V, intitolato: Come si distruggeun'armata.
Esso comincia con l'illustrazione “quasi macabra” delle
cifre dei caduti. Nel Mausoleo di Cargnacco (eretto anche
per iniziativa di un eroico cappellano militare, don Brevi)
sono trascritti i nomi di quasi 95.000 soldati e ufficiali,
quasi un terzo di tutti i caduti nella seconda guerra mondia-
le. Ebbene, questi uomini sono scomparsi nel nulla nello
spazio di 2 o 3 mesi e non nei combattimenti sul Don e du-
rante la ritirata, ma nella tragica - ancora sconosciuta - mar-
cia verso la prigionia, annullati dal trattamento subito dai
russi. Solo la lettura sconvolgente - raccapricciante testi-
monianza - può restituire la vaga idea di quale sia stato que-
sto trattamento, che indusse normali esseri umani a gesti
disumani come spogliare i cadaveri dei caduti per riparare
le proprie indifese nudità, ad abbrutirsi nell'usare l'estrema
risorsa del cannibalismo per superare l'infinito protrarsi
della fame.
Le atrocità indescrivibili cessano nell'ottobre 43, allorché
da Mosca giunge l'ordine “nessun prigioniero deve più mo-
rire”. Vita e morte di qualsiasi essere umano dipenderanno
sempre più
da l l 'onnipo-
tente ideologia
comunista, sia
che si tratti de-
gli ex nemici
ormai sconfitti o dei “ricchi”
proprietari contadini o di intere etnie e popoli confinanti;
un'ideologia da far accettare, ora, agli annichiliti prigionie-
ri. Carta da giocare nella disorientata, rinunciataria Italia
sconfitta, che riceverà attraverso quei redivivi il nuovo ver-
bo liberatore, annunciatore di un nuovo paradiso in terra.
Al pari interessanti sono le pagine del libro dedicate alla
preparazione dei prigionieri destinati, nelle intenzioni, a
svolgere il compito di propagatori del messaggio comuni-
sta. Restituiti alla precedente dignità del proprio nome e
grado e ad una vita “complessivamente accettabile”, forniti
persino di cure mediche (Cerdonio poté ricuperare le dita
del piede in cancrena), ridestati gli interessi intellettuali da
parte dei Commissari politici, o di “quella strana genia che
erano i fuorusciti italiani” e di famosi uomini politici (Ro-
botti, Fiamminghi Gottardi, D'Onofrio, la signora La Torre
e figlia), i prigionieri subirono le lunghe prediche, i panegi-
rici sul futuro radioso che essi, aderendovi, avrebbero coo-
perato a costruire in Italia. Un “paradiso” che anche allora
vedevano con i propri occhi, nel vicino lager per i prigio-
nieri civili, della cui sicura eliminazione, ad essi risparmia-
ta per un'esigenza politica, nessuno avrebbe mai risposto.
Alla maggioranza di quei sopravvissuti quegli slogan,
spesso urlati, non potevano inculcare che indifferenza e ri-
fiuto. A qualcuno, più debole, promesse anche di minimi
vantaggi materiali (una pagnotta, una minestra calda) o lu-
singhe varie, bastarono per tradire il giuramento, farsi dela-
tore, mettere a repentaglio la vita dei compagni, prolungan-
done la prigionia. Ché tale era la punizione per chi temera-
riamente resistette apertamente, opponendosi, già allora al-
le menzogne e alle minacce. Esemplare, per tutti, il cappel-
lano militare don Brevi, iniziatore appunto del tempio di
Cargnacco, sacrario degli Alpini, Medaglia d'Oro, che per
il suo coraggio indomabile si vide “sbattuto per tutta l'im-
mensa terra russa” fino 8 anni dopo il ritorno dei compagni.
Da “semplice cronaca individuale”, da “piccolo fram-
mento di una storia” che, anche dopo uscitone, appariva a
Cerdonio ancora “un tale misterioso intreccio di eventi
contrastanti da sembrare talvolta illeggibile”, il libro da lui
dedicato al figlio nel 1992, dopo il crollo del sistema sovie-
tico, si rivela una lezione universale, purtroppo ancora ai
nostri giorni ben poco riconosciuta da chi - i comunisti ita-
liani - ne prolunga, con continue, illusorie, metamorfosi le
distruttive conseguenze. Dopo sessant'anni, può ancora va-
lere l'inascoltato messaggio degli alpini?
MARIA RENATA SEQUENZIA
PAG. 8 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006
Una pagina di storia poco nota
“Il Sovrano sconosciuto.Tomislavo II, Re di Croazia”
E'uscito recen-
temente l'ul-
timo libro di
Giulio Vignoli, docen-
te dell'Università di
Genova e profondo co-
noscitore della Peniso-
la Balcanica, imperniato sulla vicenda di Aimone di Sa-
voia e la sua progettata salita al Trono di Croazia negli an-
ni del secondo conflitto mondiale. Il volume, pubblicato
da Mursia Editore (pp. 188, Euro 18,30) nella sua presti-
giosa collana storica dedicata al Novecento italiano, af-
fronta per la prima volta in modo organico ed esauriente la
tematica relativa ad Aimone di Savoia, duca di Spoleto e
poi d'Aosta, re nominale di Croazia col nome di Tomisla-
vo II.
La vicenda trae origine dallo smembramento della Ju-
goslavia nel maggio 1941 dopo l'occupazione del Paese
balcanico da parte delle truppe italiane e tedesche. Con
l'attacco dell'aprile 1941 i reparti militari dell'Asse aveva-
no infatti sconfitto in pochi giorni le forze armate jugosla-
ve e nel territorio croato il potere era stato preso dagli in-
dipendentisti di Ante Paveli. A Zagabria fu proprio Paveli,
leader del movimento degli ustascia, a proclamare la na-
scita dello Stato Indipendente Croato, alleato dell'Asse, e
a chiedere a Vittorio Emanuele III di designare un princi-
pe di Casa Savoia quale sovrano della nuova entità statua-
le, con lo scopo di rafforzare i legami con l'Italia in un mo-
mento in cui il nuovo paese balcanico cercava di inserirsi
nel contesto europeo che lo circondava. Alla carica venne
scelto Aimone di Savoia, fratello minore del più noto
Amedeo, che sarebbe dovuto quindi salire sul Trono croa-
to con il nome di Tomislavo II. Quando Vittorio Emanuele
III ricevette il 18 maggio 1941 la delegazione croata gui-
data dallo stesso Paveli, disse loro che avrebbe accolto la
richiesta che “ci avete rivolto di designare un principe del-
la Nostra Casa a cingere la Corona di Zvonimiro e fondare
una Dinastia che presieda alle sorti del Regno di Croazia.
[…] Noi salutiamo come lieta speranza per il nuovo ordi-
ne che si afferma in Europa la rinascita della nazione croa-
ta, la cui storia per tanti nessi è collegata alla nostra e che
tenacemente ha orientato nei secoli la sua vita intellettuale
e morale verso la civiltà di Roma”.
Il nuovo regnante, Aimone/Tomislavo, non si recò però
mai a Zagabria anche per la terribile situazione interna
che venne subito a crearsi all'interno del nuovo Stato croa-
to caratterizzato da un regime, quello ustascia di Paveli,
che si contraddistinse fin dall'inizio per le pesantissime
persecuzioni operate contro le varie minoranze etniche e
religiose esistenti sul suo nuovo territorio.
Gli ustascia compirono in breve tempo numerosi e ripe-
tuti eccidi contro serbi ortodossi, ebrei e musulmani, che
colpirono per la loro efferatezza persino gli alleati italiani
e tedeschi, e in tale contesto Aimone di Savoia evitò qual-
siasi passo che potesse accelerare la sua effettiva salita al
trono, fino all'otto settembre 1943 quando gli avvenimen-
to armistiziali fecero considerare decaduta l'offerta da
parte croata.
Giulio Vignoli tratteggia con cura la figura e la posizio-
ne di Aimone di Savoia che non solo non ne volle sapere
di essere re di uno Stato e di un popolo che non conosce-
va, ma dimostrò probabilmente il suo acume nel prendere
le distanze dal problematico rapporto esistente tra i gover-
ni italiano e croato per tutta una serie di tematiche che
crearono crescenti dissidi tra due Paesi formalmente al-
leati ma con interessi spesso inconciliabili. Dopo la guerra
Aimone morirà in esilio in Argentina nel gennaio 1948 e
la sua salma verrà poi portata in Italia dapprima nella te-
nuta del figlio a Il Borro, presso Arezzo, quindi nella crip-
ta di Superga, tomba dei Savoia maschi che non furono re
d'Italia.
L'intera vicenda è stata ricostruita dal prof. Vignoli sulla
base di documenti e materiali reperiti presso l'Archivio di
Stato di Zagabria e presso alcuni fondi privati e getta luce
su una tematica sulla quale ben pochi storici italiani (Od-
done Talpo e Gian Nicola Amoretti) avevano precedente-
mente indagato. Giulio Vignoli è peraltro molto conosciu-
to da parecchi anni per i suoi fondamentali lavori inerenti
l'area balcanica e le vicende legate agli italiani del confine
orientale e, più in generale, dell'Europa dell'est. Dopo es-
sersi in passato occupato delle minoranze italiane in Euro-
pa con due interessanti volumi, I territori italofoni nonappartenenti alla Repubblica agraristica italiana, e Gliitaliani dimenticati. Minoranze italiane in Europa (ambe-
due editi da Giuffrè, Milano), il professor Vignoli ha pub-
blicato diversi studi dedicati alle vicende di Casa Savoia e
alla politica estera italiana nei Balcani, tra cui ricordiamo
La vicenda Italo-Montenegrina. L'inesistente indipenden-za del Montenegro nel 1941 e, per certi versi, su questo
stesso filone d'indagine possiamo inserire l'attuale Il So-vrano sconosciuto. Tomislavo II re di Croazia.
Si tratta, in sintesi, di un lavoro valido e ben riuscito,
che merita di essere conosciuto non solo dalla ristretta
cerchia degli studiosi ma pure da una più ampia gamma di
lettori che potranno apprezzare una pagina di storia ignota
ai più, raccontata con uno stile chiaro e comprensibile a
tutti.
GUIDO RUMICI
“Matricola 393719 - Luciano Cerdonio -
Storia di una tragedia ancora sconosciuta”
L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 9A cura della Redazione di Milano diretta da Piero Tarticchio
L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I
PASSATO
PROSSIMO«Racconto di frontiera» è sotto-
titolato il romanzo di Giancarlo
Re. Il libro, che ha la struttura di
un noir un po’ anomalo, racconta
una storia che si svolge per buona
parte in Istria e per un’altra nel
Nord Est italiano, in una zona non
esattamente indicata, ma che po-
trebbe essere l’area industriale di
Pordenone o di Udine. Attraverso
i racconti dei molti personaggi, le
riflessioni e i ricordi del protago-
nista, vengono rivissute molte vi-
cende, anche lontane, accadute al
di qua e al di là del confine nord-
orientale.
La storia però è attuale, anche se
l’intreccio serve all’autore sia per
rivisitare il passato, sia per rap-
presentare spesso con ironia i
tratti attuali della provincia italia-
na, i suoi miti e le sue illusioni.
Esemplari da questo punto di vi-
sta sono gli incontri del protago-
nista con i venditori di un grande
gruppo televisivo e multimediale,
come lo sono, per altri versi, gli
accenni alle guerre intervenute
sul confine nel passato attraverso
la memoria dei racconti raccolti
da bambino, che ritornano prepo-
tentemente alla mente sollecitati
dalle vicende più recenti.
«Passato prossimo» ha la struttu-
ra narrativa di un noir che, supe-
rata una certa impasse iniziale
dovuta alla struttura ad incastro
dei fatti narrati e inseriti attraver-
so continui flashback di sapore
cinematografico, scorre via velo-
ce fino alla fine. Tutto nasce dalla
scoperta del cadavere di un anne-
gato sulla riviera di Parenzo, at-
torno alla quale si snodano ricer-
che, ricordi, indagini, che non
trovano sbocco e si aggrovigliano
sempre di più, alla ricerca dell’i-
dentità del morto, delle modalità
dell’incidente ( suicidio? omici-
dio? disgrazia?) e le responsabi-
lità del protagonista.
Un ruolo di prim’ordine nella
storia è quello dell’esule istriana
Serena, una donna dalla persona-
lità forte, esuberante, unita a una
prepotente carica sensuale, come
non secondario è quello dell’altra
figura femminile, Mirka, giovane
ed enigmatica ragazza slava.
L’intreccio è raccontato con dia-
loghi serrati usando un linguag-
gio attuale, con un ritmo sostenu-
to e con alcuni inserimenti inte-
ressanti, come la descrizione ap-
passionata dell’azzurro mare e
delle coste dell’Istria e della Dal-
mazia, il viaggio in battello verso
Hvar/Lesina. Spicca il contrasto,
malignamente descritto, tra l’al-
legria disinibita dei piccoli indu-
striali veneti e la rabbiosa tristez-
za degli esuli, per i quali il passa-
to non muore mai.
Si tratta si quel passato prossimo,
come sottolinea il titolo del libro.
Notevole anche il racconto, attra-
verso un serrato flashback, del
clima della Milano degli anni
‘70. Tanti spunti, che vanno oltre
alla stessa storia raccontata nel li-
bro.
L’autore Giancarlo Re ha un pas-
sato da manager nella grande in-
dustria e nella comunicazione,
dopo alcuni lavori editoriali di
buon successo, è al suo primo ro-
manzo. C.C.
Giancarlo Re,
Passato prossimo, 2006,
pp 184, €14,00,
Libra Edizioni
LA LUCE
DI RAGUSACrudezze, nostalgie e stupori
sotto la luce di Ragusa
Nel suo torrentizio e indiscrimi-
nato presentare esordienti, l’edi-
toria di questi ultimi anni non ha
voluto separare il grano dal lo-
glio. La recentistica (non parlia-
mo di critica), quella che di «ca-
polavoro» in «capolavoro» s’im-
medesima col mercato. Nemme-
no evidenziare un’eccezione in
mezzo a una quotidiana eccezio-
nalità è difficile, ma non con que-
sto romanzo. Ragusa era il nome
italiano dell’attuale Dubrovnik e
il libro di Caracci, oltre a cele-
brarne la luce, fin dal titolo, ce ne
racconta i mercati e i mercanti, le
relazioni commerciali, le figure,
le feste e le tradizioni, la storia e
l’anima. Il romanzo è generazio-
nale e comincia con uno schiavo
ai remi, scampato alla peste e fat-
to libero dal suo padrone in virtù
di un delicato còmpito compiuto.
Si sposa con una schiava pur essa
liberta, ma ricade in cattività per
la rapacità dei suoi signori. Emi-
gra, o per meglio dire fugge, ha
un figlio, Dussan, mentre dove
stanno il territorio passa di gover-
no a prìncipi magiari che hanno
sconfitto Venezia. Ora il romanzo
procede per il susseguirsi di tanti
«io» narranti: da Dussan stesso
che torna vogatore a Ragusa, a
Marino suo figlio adottivo che si
sposa con Maria e al quale cede il
testimone della prima persona.
Poi agiranno Bernardo Gundulig,
l’illustrissimo e più gran perso-
naggio del libro, Maria la moglie
di Marino e così via. Fortune che
salgono e fortune che scendono,
transazioni, affari, eredità, seque-
stri e dissequestri, atti e misfatti
di notai e di notabili. Di nuovo la
peste e infine il terremoto: una
storia di famiglie parallela a quel-
la grande dei domìnii, delle guer-
re, dei destini internazionali. Sto-
ria di Ragusa e della sua luce, i
cui tagli, spettri, rifrangenze e ba-
perdute. Lo sradicamento dellasocietà istriana avvenuto con l’e-sodo ha indubbiamente determi-nato una più veloce e malignatendenza alla sparizione di quel-la quotidianità di usi, costumi ecredenze che, grazie alla velocitàdei tempi moderni, si ritrovaovunque ma che per il nostro ca-so si è rivelata particolarmentedevastante. L’area istriana, so-prattutto nella sua dimensionerurale, è stata a lungo luogo diottima conservazione di tradizio-ni che altrove non trovavano ri-scontro già da molto tempo. Inse-rito nel solco delle ricerche deiRanieri Cossàt; dei Vatova, deiVesnavet; dei Babudri, solo percitare alcuni dei cultori delle tra-dizioni nostrane, Giuseppe Rado-le ha dedicato parte della sua vitaal recupero del detto e dell’uso,spaziando dalla musica e daicanti popolari alle credenze e alcostume del vivere quotidiano.»
La miscellanea di abitudini radi-
cate nel tempo, illustra, con dovi-
zia di particolari: le feste religio-
se e laiche, il folclore, le creden-
ze, gli aneddoti, i proverbi, gli in-
ni e le canzoni popolari.
Il dettato segue un ordine preciso
scandito dal trascorrere lento del-
le stagioni. La terra è il soggetto
protagonista e tutto ciò che ci vi-
ve sopra ne diviene il comple-
mento. Un ulteriore tassello si ag-
giunge al raffinato intarsio e ag-
giorna e completa la ricerca del
folclore locale proponendoci una
vasta raccolta di ricette tipiche
istriane. Si tratta si un libro pre-
zioso: da leggere sicuramente,
ma soprattutto da conservare.
Piero Tarticchio
Giuseppe Radole,
Tradizioni Popolari d’Istria,
2006, Ed Italo Svevo,
pp 246, € 15,00
mentata «fragile mucchietto di
ossa» la porta su nel grande letto
e teneramente la copre.
Il primo dei racconti greci è «La
figlia del pope», delicata storia
d’amore, cui segue «La vendet-
ta», racconto forte, tragico, senza
speranza. Se il secondo racconto
ci lascia con l’amaro in bocca, il
terzo «Nascita in un villaggio
greco» è un piccolo capolavoro
di arguzia che ci riporta il sorriso.
Infatti è spassoso, pieno di ironia
ed anche d’amore. Intendo d’a-
more per quel popolo, il popolo
greco, così ricco di gusto per la
conversazione, di interesse per
gli altri, in breve di calore umano.
Il quarto ed ultimo racconto «L’e-
state è finita» è la storia di un pic-
colo adulterio tra una giovane si-
gnora francese e un italiano che
non ha capito che la donna ha
considerato la loro storia come
un gioco d’amore d’estate.
Molto interessante l’appendice:
Ricordi del Villaggio giuliano-
dalmata di Roma in cui tante sto-
rie si intrecciano, tenere e dram-
matiche e che termina con quella
che sembra una battuta e che è la
risposta che il signor Reale, un
napoletano anche lui profugo che
al momento dell’esodo viveva e
lavorava in Istria, dà a un signore
che gli chiede.
«Come mai parlate tutti veneto?»
«Cca simme tutti giuliani».
Sembra il finale di una maldo-
bria. Anna Balducci
Diego Zandel, Verso est,
2006, Campanotto Narrativa,
pp 160, € 11,00
TRADIZIONI
POPOLARI
D’ISTRIAL’autore, mons. Giuseppe Radole
è un religioso di stampo antico e
un raffinato studioso e ricercatore
delle tradizione della sua terra. I
suoi scritti e le sue pubblicazioni
sono fonte inesauribile di docu-
menti che tramandano con punti-
glio il substrato culturale del po-
polo istriano; un popolo compo-
sto da etnie diverse che nei secoli
hanno mangiato il sale della terra,
traendo saggezza, scambiandosi
termini lessicali, usi e costumi e
fondendoli in un unicum i cui
emerge la radice latina.
Nella presentazione al libro Piero
Sardos Albertini e Piero Delbello
scrivono:
«Le indagini etnografiche e il re-cupero della tradizione avviatonel tempo da mons. Giuseppe Ra-dole è stata ed è opera importan-te per conservare e tramandarequella dimensione popolare dellegenti istriane che altrimenti sa-rebbero quasi totalmente andate
lenii, accompagnano umane cru-
dezze, nostalgie, fascinazioni e
stupori.
Claudio Toscani da L’Osservato-
re Romano 25/1/2006
Cristiano Caracci,
La luce di Ragusa, Treviso,
Ed. Santi Quaranta, 2005,
pp163, € 11,0
VERSO ESTRacconti di oltre il confine
orientale e dell’Egeo con i ri-
cordi del villaggio giuliano -
dalmata di Roma.
L’ultimo libro di Diego Zandel,
«Verso Est», è composto di quat-
tro racconti ambientati in Istria,
di altri quattro ambientati in Gre-
cia, e, in appendice, dei ricordi
del villaggio giuliano-dalmata di
Roma.
L’autore è nato nel campo profu-
ghi di Servigliano, nelle Marche,
da genitori fiumani e si è trasferi-
to a tre mesi nel villaggio giulia-
no-dalmata dove è cresciuto; ha
sposato Anna, la figlia di un sol-
dato italiano e di una donna gre-
ca, Despina Xenicou, che non ha
mai interrotto i legami con la sua
terra.
Quindi l’Istria è il mondo che ha
abbandonato e che continua a nu-
trire la sua immaginazione; il vil-
laggio giuliano-dalmata quello
dei ricordi di infanzia e della gio-
vinezza; la Grecia il paese cha ha
imparato ad amare.
Nel primo racconto, «La casa in
riva al fiume», ritroviamo i mina-
tori dell’Arsia, di cui già l’autore
aveva trattato in «Una storia
istriana». Storie di povera gente,
di lavoro duro, di desideri mode-
sti, ma anche di amicizia, di fra-
tellanza.
Bella l’immagine dei minatori
che, dopo aver scaricato le botti,
si passano «di mano in mano, di
bocca in bocca, secondo la tradi-
zione istriana, le boccatelle di vi-
no.» E il pianto finale della ma-
dre, pianto di sollievo per essere
riusciti, lei il marito e il figlio, a
salvare la povera casa dalle forze
scatenate della natura.
Il secondo e il terzo racconto,
«Villa Speranza» e «Quell’amore
che aveva fermato il tempo», pur
diversi fra loro, trattano dell’illu-
sione del ricordo, ma entrambi fi-
niscono con una nota positiva:
Marco, che si emoziona di fronte
al mare e Tony, che si rende conto
che, se anche la vita lo ha ingan-
nato, il ricordo gli ha nascosto «la
tragica ineluttabilità del tempo».
Delizioso quadretto di vita fami-
liare in «Un giorno con la zia»,
un viaggio nel passato in cui riaf-
fiorano i ricordi, i profumi di-
menticati. Dolcissimo il finale in
cui Marco solleva la zia addor-
Per ricordarecon affetto la cara Meri Seka-
cic invio questa bella foto gen-
tilmente ceduta da Maria Frez-
za di Sissano, sua affezionata
amica, nella quale Meri è in
compagnia della mamma, di
Maria Frezza e di un amico. E’
il ricordo di una gita a Grotta-
ferrata nei primi anni ‘60.
Ho avuto il privilegio di cono-
scerla proprio a casa di Maria
Frezza, allora esule a Sabau-
dia. Più tardi le avevo chiesto
la sua tesi di laurea nella quale
aveva raccolto e analizzato tut-
te le leggende popolari istriane
che era riuscita a farsi narrare
direttamente nei paesi. Avevo
sperato di interessare qualcuno
alla loro pubblicazione, ma
non ho avuto fortuna. E’ stato
un peccato.
Spero che questa foto sia gra-
dita a quanti hanno avuto mo-
do di conoscere ed apprezzare
la sua ricca personalità e le sue
doti di docente al Ginnasio
Carducci di Pola.
Licia Micovillovich
PAG. 10 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006
Lettere in Redazionerisponde il sindaco Silvio Mazzaroli
Amare l'Istria
Ho imparato a conoscere l'I-
stria, la sua capretta, l'Arena ed il
mare che la bagna con un'affet-
tuosità che è poi diventata amore,
così, come la maternità che cre-
sce nel grembo di una madre fini-
sce con l'avvolgerla completa-
mente. Sappiamo poco della no-
stra Istria. A scuola ci hanno per
anni taciuto la sua storia ed i gio-
vani d'oggi sono cresciuti creden-
do che ci siano state sempre solo
la Slovenia o la Croazia. Ci si va
in villeggiatura per godere lo
splendore di quel cielo azzurro e
la purezza del mare, limpido co-
me la sua gente. Pochi sanno
quanto è immenso il dolore di chi
a malincuore è stato brutalmente
cacciato da questo paradiso.
L'Istria ha parlato al mio cuore
grazie all'amicizia che mi lega ad
una “piccola” grande donna, Giu-
liana Lanz, nata a Pola. Ci siamo
conosciute per caso o, forse, per
volere di qualcuno che da lassù
muove i fili della nostra vita.
Giuliana è l'Istria! Ne è invasa.
La devozione che porta per la ter-
ra natia è così profonda che la tra-
smette con tutta l'anima, capar-
biamente, a chi le sta vicino. Ti
parla e ti guarda con i suoi occhi
verdi, limpidi come il mare di Po-
la, e ti conquista. Poi vedi i suoi
quadri…ed è sintonia piena. Dio
ha dato il dono a Giuliana di riu-
scire, con le sue composizioni
floreali, a creare quadri che fer-
mano nel tempo tutti i colori del-
la natura. I suoi fiori sono così
belli e vivi che se ti fermi a guar-
darli ne respiri il profumo. Sono
tantissimi i suoi quadri. Non solo
floreali. Le sue dita con i petali
dei fiori riproducono ogni cosa:
l'Arena, l'interno della sua chiesa,
grappoli d'uva, uccellini su un ra-
mo, carretti, cesti, vasi ricolmi di
fiori,…Sempre minuziosamente
vivi! Questo è il suo modo di ren-
dere omaggio all'Istria.
Benedetta Istria! Come tutti noi
italiani dovremmo conoscere a
fondo la tua storia per capire bene
i tuoi lividi! La tua terra rossa co-
no fermato ad una boa per riposa-
re e sul galleggiante vicino c'era
un ragazzo di circa vent’anni che
incitava (in italiano) gli amici a
raggiungerlo. Quando mi sono
stati vicini (due ragazze sui 25/30
anni ed un uomo sui 30/35 anni) li
ho salutati e ho rivolto loro alcune
domande. Ho chiesto dove fosse-
ro alloggiati e hanno risposto al
"BI-Village di Valbandon; ho
chiesto come si chiamasse il pae-
se prima e hanno risposto "Fasa-
na". Fino qui tutto bene, ma alla
richiesta, del nome della vicina
città hanno risposto, proprio co-
me mi aspettavo, "Pula". A questo
punto, un po' seccato, ho ribattuto
con una bugia: "Noi autoctoni sia-
mo rimasti qui per difendere la
lingua italiana e Voi venite qui
dall'Italia a storpiare i nomi dei
paesi che per 2000 anni hanno
avuto un nome italiano. Ma cosa
vi insegnano a scuola, solo stupi-
daggini?” Poi, rivolgendomi ad
una delle ragazze, ho chiesto se
quando si reca a Londra o Parigi
dice di essere stata a London o
Paris; mi ha risposto con un mez-
zo sorriso, in segno di concordan-
za con il mio punto di vista. A
quel punto, a corto di argomenta-
zioni e per paura di altre osserva-
zioni, se ne sono tornati a riva,
con la coda tra le gambe.
Quando i rimasti si comporte-
ranno come ho fatto io, sarò
pronto per la riconciliazione.
SOAREZ DI LAZZARO
( Torino)
Giorni fa mi è capitato casual-
mente tra le mani un inserto del
nefando quotidiano Repubblica
del 5 ottobre, comprendente l' ar-
ticolo "Istria d'autore" di Amalia
Carosi, che non conoscevo. Tutti
i toponimi istriani erano in croa-
to o sloveno, con tanto di Porec e
di Pula. Ho scritto all'autrice una
lettera presso Repubblica, a Mi-
lano, senza intemperanze ma
informandola che mi sentivo
profondamente offeso e che la
invitavo a mie spese al corso
"Istria, Fiume e Dalmazia", ini-
ziato martedì 17 ottobre all'UNI-
TRE di Milano, per erudirla sulla
storia delle nostre terre. Oggi,
ascoltando la radio mentre pran-
zavo, ho appreso che Amalia Ca-
rosi è una redattrice o collabora-
trice del 1° Programma RAI. Po-
veri noi! Mi chiedo: queste no-
stre rabbie e le grandi o piccole
iniziative "private", quale impat-
to hanno sulla realtà che ci cir-
conda? Sappiamo che chi ha fal-
sato la storia per sessant'anni è
bene organizzato, molto più di
quanto noi siamo in grado di im-
maginare, e può fare esattamente
quello che crede, dosandolo op-
portunamente secondo tempi e
circostanze: moti di piazza, TV,
radio, giornali, istruzione dall'A-
silo all'Università, commercio,
pubblicità, film, telefoni, e-mail,
corrispondenza ...Noi altri pos-
sì provata dalle Foibe ancora
chiama i suoi Esuli alla verità, ma
tutto tace…
Ho conosciuto persone che an-
cora ti amano tanto cara Istria e
mi sento privilegiata per averle
avvicinate. Mi sono resa conto di
quanto lavorino, scrivano, s'im-
pegnino per farti ricordare. Per
far sì che nel mondo, dove sono
sparsi tanti Esuli, non muoia mai
nel cuore di chi è stato obbligato
a lasciarti il ricordo dei tuoi dolo-
ri. Si deve tramandare l'Istrianità
ai figli ed ai figli dei figli di ogni
esule. Sempre! Un istriano puro-
sangue è il Generale Silvio Maz-
zaroli, sindaco del “Libero Co-
mune di Pola in Esilio”. E' stato
affascinante constatare quanto è
forte il suo impegno nel portare
avanti la causa dell'Istria. Sono
stata onorata d'averlo conosciuto.
Mi ha regalato il distintivo di Po-
la che conservo con fierezza.
Sento di essere un po' istriana an-
ch'io. Grazie non la dimenti-
cherò.
Parlando dell'Istria penserò
ogni volta che fino a quando ci
saranno istriani come Lei, Giulia-
na, il poeta Otelo, la scrittrice An-
na Maria Mori e altri, che mi
duole non conoscere, sarà sempre
vivo nel cuore degli esuli il ricor-
do dell'amatissima Terra: Pola,
Rovigno, Umago, Fiume, Fasa-
na, Parenzo…, la forte terra ros-
sa, il mare che s'infrange sulle
rocce, il vento che gioca nell'Are-
na, spandendo nell'aria il profu-
mo della salvia, delle erbe selva-
tiche, delle vendemmie…e dei
tanti fiori che creano un tappeto
per far posare i piedi degli angeli.
E' questa la continuità dell'Istria!
E' certezza che, anche sotto altre
bandiere, l'Istria la sentiremo
sempre Italiana! Se strappi ad
una madre il figlio e lo mandi ra-
mingo per il mondo egli rimarrà
solo e comunque della donna che
lo ha partorito. Così sarà sempre
l'Istria per tutti gli Esuli che tanto
la amano!
Grazie! Con cordiale affetto a
tutti gli Istriani.
MILVIA RICCI GLORIA
(Milano)
Carissima Signora, un sentitoringraziamento, non solo da par-te di Giuliana e mio, ma da tuttigli istriani che amano la loroTerra per questa bellissima lette-ra che giustifica pienamente ilsuo “sentirsi un po' istriana”.Avremo sempre un immenso pia-cere ad averLa tra di noi.
L 'avevamo previsto.
Purtroppo!
D'Alema: "Vi aiuteró io perché
siete testimoni nel mantenere vi-
va la lingua e la cultura italiana in
un territorio dove la minoranza
autoctona (dei rimasti) vive da
sempre". Bravo, il sig. Ministro!
Buon sangue atavico non mente!
Peccato che Egli abbia dimenti-
cato che una volta, tempo fa, an-
che noi, esuli, abbiamo testimo-
niato la nostra italianitá sacrifi-
cando vite, averi e tombe mentre
ancor oggi aspettiamo un concre-
to risarcimento dei beni con i
quali il nostro Stato ha pagato le
riparazioni di guerra alla Jugosla-
via.
Peccato che il Ministro E. Let-
ta, a nome del Govemo, abbia
esternato coram populo di essere
molto sensibile ai bisogni e ai
problemi di quella minoranza, di-
menticando i nostri ancora aperti
e insoluti, non facendone men-
zione alcuna.
L'abbiamo previsto che le ri-
chieste dei rimasti prevalessero
sulle nostre screditando, sottova-
lutando e cancellando, anche in
campo politico, il valore dell'E-
SODO, sminuendo la forza delle
nostre legittime rivendicazioni.
Abbiamo anche previsto che
quella minoranza, una volta as-
surta all'attenzione del "Colle"
passasse sopra le nostre teste re-
legandoci in una posizione di se-
condo ordine, approfittando del-
la nostra debolezza dovuta ai
tanti trapassi e al naturale invec-
chiamento dei titolari di diritti
soggettivi. Nondimeno é forte la
delusione nei confronti di altri
Governi che credevamo a noi più
vicini e piú comprensivi. Nono-
stante ció la nostra resistenza,
quella che intendiamo noi, dura
ancora e si trasmetterá da padre
in figlio fintantoché la nostra
questione non verrá equamente
definita.
Allora sí che finiremo di chia-
marci distintamente esuli, rima-
sti, profughi o emigranti e cosí
via, ma solo italiani residenti in
territori diversi nell'ambito di una
Comunitá modernamente allar-
gata. Allora sí che spontanea-
mente ci riconcilieremo con tutti,
rispetteremo le diverse dominanti
culture e sosterremo anche finan-
ziariamente (legge 193/04) chi
avrá più bisogno senza profonde-
re a piene mani il sacro denaro
dei contribuenti. Solo allora si
potra parlare e discutere spassio-
natamente del passato, program-
mare il futuro con il dialogo,
quand'anche con elementi di co-
muni origini istriane, in un conte-
sto civile e democratico.
SERGIO TOMASI
(Trieste)Ben detto!
I nomi storpiati
delle nostre città
Verso la fine di agosto mi sono
trovato a Valbandon (Pola), ospite
dell'amico Salvatore Palermo, in
attesa della crociera in Dalmazia.
Un giorno mentre nuotavo mi so-
Foto inedite
dell'Esodo
Carissimi amici, nel mio
peregrinare nei “mercatini”
di New York ho reperito
queste foto dell' l'Associated
Press Photo, scattate a Pola
nel luglio 1946 durante l'e-
sodo da Pola. Mi sembrano
abbastanza inedite, e per
questo ve le invio certo di
farvi piacere.
ELLIS TOMMASEO
(New York)
Caro Ellis, grazie e conti-nua nelle tue ricerche.
Si vuotano le case
Si ammassano le masserizie prima dell’imbarco
Si ispeziona il bagaglio
Si caricano le masserizie Si afronta con serenità l’incerto futuro
L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 11
siamo solo sperare di riuscire a
migliorare questa deprecabile si-
tuazione.
TITO SIDARI
(Milano)
Nelle edicole ormai si trova di
tutto. Una volta c'erano giornali
che regalavano anche gli spa-
ghetti e altre cose mangerecce.
Oggi i grandi editori di giornali
preferiscono abbinare, e poi far
pagare, libri ed affini. Di recente
anche TV Sorrisi e Canzoni si è
unita alla compagnia ed ha pen-
sato bene di darsi alla “grande”
cultura. Così, ultima novità, ha
tentato di propinare agli ingenui
l' ATLANTE STORICO dell'Edi-
tore De Agostini, che documenta
una “verità” che più cretina non
potrebbe essere. Nella cartina de-
dicata ai territori rapinati all'Italia
con il Trattato di Pace, sulla Ve-
nezia Giulia campeggia la dicitu-
ra: “1943 - 45 Eccidio delle Foi-
be: Nazifascisti uccisi dai parti-
giani jugoslavi”. Tutta qui l'eru-
dizione storica offerta dalla gran-
de (?) casa editrice di Novara!
Poi lamentiamoci delle impreci-
sioni storiche dei grandi editori di
guide turistiche. Le recenti opere
Mondadori nella presentazione
dell'Istria si fermano alla Repub-
blica di Venezia, e poi il nulla!
FERRUCCIO CALEGARI
(Milano)
Carissimi, ho messo assieme levostre lettere perché, a fronte diuna situazione per noi drammati-ca, evidenziano che prima di ad-dossare colpe agli altri, in parti-colare ai rimasti, di cui credo chetutto sommato alcuni si compor-tino come auspicato dall'amicoSoarez, abbiamo davvero di cosarecriminare in casa. Nel propriopiccolo ognuno si dia da fare.
“Sta mia cara
e vecia Pola”
Distinto Direttore, sono nato a
Pola nel 1937 ed ho vissuto nella
Città che mi ha dato i natali fino
al dicembre del 1955, condivi-
dendo con i concittadini, nel bene
il periodo ante guerra ma, soprat-
tutto nel male, il periodo infausto
e tragico del dopo guerra. Mio
Padre rifiutò l'esodo dicendo a
mia Madre “no go fato mai del
mal a nissun e no go niente de
rimproverarme. No gavemo che
el nostro lavor, cossa i ne pol
far?” Del male fatto alle nostre
genti rimaste, è stato scritto e
pubblicato in moltissime occa-
sioni anche da scrittori che mai
sono stati in Istria ma che con una
seria e meticolosa documentazio-
ne, hanno svelato fatti e crimini
perpetuati nei confronti degli Ita-
liani dell'Istria. Lo scempio alla
Cultura ed alla Storia dell'Istria
ed in “primis” della Città di Pola
è tuttora visibile in modo tangibi-
le. L'Arena di Pola con i suoi arti-
coli e testimonianze ha certamen-
te contribuito alla ricerca della
verità di quanto accaduto in tutta
l'Istria.
Dopo l'esodo, a Novi Ligure, in
virtù del Diploma di Tecnico
d'assemblaggio di strutture Nava-
li, ottenuto presso l'Istituto Tecni-
co “Leonardo da Vinci” di Pola e
nel Cantiere Navale “Scoglio
Olivi” (ultimo corso Italiano),
non ho avuto difficoltà ad inserir-
mi nel campo del lavoro.
Ogni tanto negli anni passati
sono ritornato nella mia Città na-
tale con la famiglia, per rivedere
e fare conoscere ai miei figli i
luoghi della mia infanzia e la mia
genia, amici, cugini e parenti,
sempre con tanto rimpianto del
passato e deluso per quanto i miei
occhi vedevano. Alla morte di
mia sorella Ines, nata vissuta
sempre a Pola, ho trovato dei testi
di una vostra pubblicazione,
scritta da Sergio ZUCCOLI che
ha per titolo Sta mia cara e veciaPola edita da " L'Arena di Pola "
nell'anno 1978. I fogli fotocopiati
(trasmessi tra amici italiani resi-
denti) sono ingialliti e sparsi e
molti mancanti, per cui non è
possibile darne una logica se-
quenza. La pregherei, se possibi-
le, avere i testi (che sembrano es-
sere due libri) se ancora sono in
archivio, in originale. Mi invii
per favor, anche i dati per l'abbo-
namento a “L'Arena di Pola”.
RingraziandoLa di cuore riman-
go in attesa fiducioso di una Sua
risposta.
RENATO BOSICH
(Novi Ligure)
Caro Bosich, nella presenteArena che Le invio avrà già tro-vato il bollettino per l'abbona-mento al giornale. Per quanto at-tiene alla Sua richiesta, non sonopurtroppo in grado di soddisfar-La; il/i testi a cui si riferisce nonesistono più in archivio. Magariqualche lettore potrà farglienedono. Io stesso mi avvalgo di untesto (un solo libro) imprestatomida un lettore. Di questo, se la Suarichiesta rimarrà inevasa, cer-cherò di farle avere una fotoco-pia.
...INSIEME
A UN FIORE
... ELARGIZIONI
ALLA MEMORIA
...PERCHÈ
L’ARENA VIVA
Sergio Gioachino
PALMIERI € 19
Maria BASTA € 5
Giulio MOSCHENI € 5
Eleonora MIONI € 20
Giuseppe VILLA € 20
Adriana DOLCE € 10
Famiglia DE SIMONE € 30
Claudio COASSIN € 15
Angelo TOMASELLO € 10
Relda RIDONI € 20
Gemma VACCARO € 10
Claudio PAVESI € 20
Dr. Vittorino
GASPERINI € 20
Maria LUBRANI
MODINA € 20
Maurizia CATTONARO € 20
Giuseppe PUTIGNA € 20
Luciano VERDURA € 10
Ferdinando ROBERTI € 20
Caterina BALBI LIZZUL € 20
Mario COCOLET € 20
Giselda MOSCARDA € 25
Silvia VIRDIS FRANZI € 20
Mario BERGO € 20
Ornella CODIGLIA €20
Ornella NICOLETTI € 10
In ricordo della
Prof.ssa MARIA SECACICH
“L'ultima telefonata
è stata quella di auguri
per il nuovo anno
e una breve chiaccherata
di ricordi passati.
Poi il telefono trillò invano.
Ora “L'Arena di Pola”
mi informa
della tua dipartita.
Ero piccolo quando
dal muro di casa mia
ti osservavo mentre studiavi.
La tua casa divenne
la mia seconda casa,
diventasti la mia
“mamma di giorno”.
Da ragazzo hai voluto
che ti accompagnassi per paesi
e cittadine dell'Istria
per la tua tesi di laurea.
Laureata in lettere
mi hai voluto
nella tua classe
al Liceo Classico.
L'Esodo ci ha divisi,
ma un epistolario
ci ha tenuti in contatto.
Poi gli incontri
nei nostri raduni nazionali,
in quelli di noi ex alunni liceali,
brevi giornate
nelle rispettive
nostre abitazioni.
Tutta la tua vita
è racchiusa
in questa poesia
che assieme ad altre
conservo caramente.
Quando in sogno, ed è spessonon sogno ricchezze ed amore,
ma voi o bionde o brunetestine di bimbi innocenti.
Vedo visetti di rosa a me sollevati
e fissi in me i vostri occhi di cieloprofondi e pensosi.
Vedo allora me adultapiù seria, più buona, più pia.
Le braccia vi tendo e il mio cuore si apre
a voi, voi bimbi tra queste braccia.
E nelle vostre fronti puredepongo un bacio
che è una promessa.E le vostre manine
nelle mie maniavanziamo insieme verso la vita
verso la vostra, che della mia sarà
l'altissimo mio fine e scopo.Vorrei dare la luce
e la fede a chi soffre.A chi soffre e non spera,vorrei dare il mio cuore
a chi amore non ha.
I tuoi allievi ti ricorderanno
come una cara professoressa,
nel mio cuore sarai sempre la
“mia mamma di giorno”.
Ora sei lassù
e la tua mamma certamente
ti preparerà
il suo budino al cioccolato
del quale ero ghiotto”.
Così la ricorda
IGINO UDOVICICH
e devolve € 50 pro Arena
In ricordo del marito
SILVANO
nel XIX anniversario
della sua scomparsa
e della figlia
ELISABETTA
nel XXII della sua dipartita,
ANITA FRANCESCHINI
GROSSI devolve
€ 25 pro Arena
ASTORRE
e MARY MARACCHI,
profondamente addolorati
per la scomparsa del carissimo
amico
DINO FARAÒ
avvenuta a Milano
il 25 settembre scorso,
ricordano la sua fraterna
compagnia vissuta in gioventù
a Pola e quella sempre lieta
negli anni recenti assieme alla
sua cara moglie Renè Vera.
Esprimono
sentite condoglianze
al figliolo Antonio
ed agli altri familiari,
offrono in suo ricordo
€ 50 pro Arena
In ricordo della moglie
LUCINA NADDI,
ALDO RONDOLETTI
elargisce € 20 pro Arena
Per ricordare il caro
ANGELO DANESI,
la sorella GIANNA
offre € 70 pro Arena
Alla memoria di
don PIO CRISTIAN
cappellano della
Caserma “U. Botti”
di La Spezia,
TULLIO TULLIACH
offre € 50 pro Arena
Per onorare la memoria
della tanto amata sorella
LIDIA CECCARELLI
ved. PAVESI,
ADELFO CECCARELLI
elargisce € 30 pro Arena
In ricordo del caro marito
VINICIO LENZONI,
IRIS VANNI offre
€ 100 pro Arena
Profondamente addolorato
per la morte del carissimo
amico di tanti anni
VINICIO LENZONI,
ALBERTO DURIN lo ricorda
e devolve € 100 pro Arena
Per onorare la memoria
della cara compagna
di scuola media
NEVIA BONIVENTO,
IRIS VANNI
elargisce € 20 pro Arena
“Non si potranno mai credere morti coloro che vivono nei nostri cuori”.
Così ROSSELLA BARI
ricorda con tanto affetto
la MAMMA e il PAPA’
e offre € 100 pro Arena
In memoria
della sua carissima
MOGLIE
deceduta il 7 ottobre 1994
(XII anniversario),
VALERIO SALVAREZZA
elargisce € 70 pro Arena
In ricordo di
LICIA BILUCAGLIA
RIGAMO,
le cugine SILVA e FULVIA
BILUCAGLIA
offrono € 50 pro Arena
In ricordo della cara amica
LICIA BILUCAGLIA
RIGAMO,
UCCIO BOICO
devolve € 20 pro Arena
In memoria del
dott. VLADIMIRO
ZUCCONI,
EDDA ZUCCONI MASON
offre € 70 pro Arena
Nel XII anniversario
della scomparsa di
MARIO CASSINI,
la moglie PIERA lo ricorda
con infinito rimpianto
ed elargisce € 100 pro Arena
“Per tornare al suo mare ci ha lasciati
DINO FARAÒ,
(Pola 1922 - Lainate MI 2006)”.
Commossi
lo ricordano
i cinque figli,
il fratello ANGELO,
la sorella ANGELICA,
dieci nipoti e pronipoti
Per ricordare
la recente scomparsa di
NARCISO ARMANDO
DE VESCOVI,
avvenuta negli Stati Uniti,
le cugine ZORA MELZI,
SIRA CIPRIOTTI,
NEDDA FABRETTO
e MORENAAGOSTINIS
elargiscono € 60 pro Arena
In memoria
della scomparsa di
LIDIA ILLUSIG
avvenuta il 29 aprile 2006,
esule da Pola,
il marito SERGIO D'ECCLESIIS
devolve € 50 pro Arena
Per ricordare
i suoi adorati genitori
PIERINA MASSENICH
e ENRICO MILIA,
la figlia NERINA MILIA
devolve € 50 pro Arena
Errata corrigeSul numero di settembre
nella rubrica
“…INSIEME A UN FIORE”
veniva ricordata
dai figli, dalla sorella
e dal cognato,
MARIA SANFILIPPO
e non, come erroneamente
riportato, SANFILIPPA.
Nelresoconto del pri-
mo incontro dell'
ultima mularia de
Pola, pubblicato sull ' Arena
(1988), iniziavo con 1'espressio-
ne: “La pazza idea” (canzone di
Patty Pravo) de riunir l'ultima
mularia... Ora siamo nel 2006,
19° edizione del ritrovo, effettua-
to i giorni 8-9-10 settembre a Li-
gnano Sabbiadoro, presso il gran-
de Albergo Marin 1903, il primo
e più vecchio albergo della loca-
lità balneare friulana.
Forse per molti questo accenno
non avrà alcun significato; in
realtà non è un avvenimento di
grande importanza, ma, conside-
rato che molte iniziative, dopo le
prime edizioni, perdono la loro
importanza, si raffreddano e ven-
gono abbandonate, il nostro ritro-
vo che, invece, continua, ovvia-
mente con diverse partecipazioni,
conserva il suo piccolo e modesto
interesse. Quale interesse? Sol-
tanto quello di trascorrere qual-
che giorno insieme, una volta al-
l'anno, nel ricordo della nostra
giovinezza interrotta dagli avve-
nimenti della guerra e del dopo-
guerra, che ci hanno separati,
rompendo ciò che a quella età
aveva un enorme valore: 1'amici-
zia costruita nella contrada, a
scuola, in chiesa, nello sport; ci
hanno relegati a distanze insupe-
rabili, allora, ma in certe situazio-
ni ancora oggi.
II programma del
ritrovo ha avuto il
suo abituale svolgi-
mento, senza alcun-
ché di particolare:
1'arrivo, gli incon-
tri, la messa conce-
lebrata da padre
Germano (ultra no-
vantenne), il ceno-
ne, la prosciuttata e
... 1'arrivederci al
prossimo anno.
Una edizione quasi
di riflessione. Già,
l 'arrivederci al
2007, la 20° edizione: una rifles-
sione su come organizzare il
prossimo ritrovo, poiché sarà
quello del raggiungimento di un
traguardo, sinceramente, inspera-
to. Eppure è così, ci rincontriamo
da quasi vent'anni: bisognerà far
“festa grande”.
Per propria sod-
disfazione e altrui
informazione è do-
veroso affrontare
un altro argomen-
to: l'adesione al-
l'annuale ritrovo.
Si, è vero, salvo
scarse variazioni
annuali, i parteci-
panti sono sempre
gli stessi, o quasi.
Nei primi anni la
partecipazione raggiungeva il
centinaio e più di presenze; in
questi ultimi anni, a malapena, si
riscontrano una cinquantina di
adesioni, qualche coniuge (extra-
comunitario) compreso. Certa-
mente, negli anni, diversi muli e
mule ci hanno lasciato per “anda-
re avanti”, come dicono gli alpi-
ni: ne conto oltre cinquanta nel
mio modesto annuario, di cui una
trentina, negli anni, avevano par-
tecipato al nostro ritrovo. Ciò che
invece colpisce è 1'assenza, or-
mai prolungata, di
alcuni che ripeto,
alternativamente
negli anni, ci ave-
vano compiaciuto
della loro presenza;
sempre dal mio re-
gistro delle presen-
ze, ne conto alme-
no un centinaio, di
cui quasi la metà
abituali. Qual è il
moti-
v o ?
Certamente, i fatti
(se ben ricordo) de-
gli anni 1992/93
(diatribe sulle ri-
spettivi visuali,
zoccolo duro, rima-
sti, …) hanno pro-
vocato un abbando-
no, dovuto a scon-
tento o divergenza
di vedute che han-
no influito sul nu-
mero dei parteci-
panti. Ma in relazione ai quasi
abituali, questi non rientrano nel
motivo di cui sopra. Sicuramente
la propria salute, i genitori (chi ha
la fortuna di averli ancora in fa-
miglia), i nipotini ecc. incidono
su queste assenze. Ma vale pro-
prio per tutte? Possibile che cin-
quanta persone siano ammalate,
infortunate, abbiano problemi,
contemporaneamente e proprio in
quel momento? Non sarà per ca-
so la vecchiaia incipiente che af-
fievolisce il piacere ed il deside-
rio di incontrarsi una volta all'an-
no? L'allontanarsi sempre più dal
nostro tormentato passato ci fa
dimenticare chi eravamo, ciò che
abbiamo, chi più chi meno, sof-
ferto; non sentiamo più nell'ani-
mo quel romantico sentimento
che è l'amore (o forse lo era solo
un tempo = Dio, patria, famiglia)
per la Terra in cui abbiamo visto
la luce o, comunque, vi abbiamo
vissuto la nostra giovinezza?
Il ritrovo dell'ultima mulària,
dal suo esordio, è stato organiz-
zato sempre nel secondo fine set-
timana di settembre: questo or-
mai lo sanno tutti (ma non lo ri-
cordano). Ritengo che lo si po-
trebbe tenere in considerazione
nel programmare la propria "gita
fuori porta" di fine stagione esti-
va, almeno alternativamente ne-
gli anni.
Desidero ricordare che di anni
ormai ne abbiamo pochi a di-
sposizione e, se sussiste il pia-
cere di rivedere ancora l'amica
mulària di un tempo, bisogna
darsi da fare.
Tutto ciò non viene esternato
per interesse; il ritrovo, finché ci
sarà la salute, avrà luogo con
qualsiasi numero di adesioni:
100-70-50-30. Se in tanti, ci sarà
più lavoro organizzativo, ma non
di certo vantaggi personali.
Quanto detto, vuole essere sol-
tanto uno sprone a muovere "i
crachi" finché c'è tempo e in pre-
visione del raggiungimento del-
l'ambito traguardo della ventesi-
ma edizione. Bisogna festeggiar-
la … in tanti.
Roberto Giorgini
PAG. 12 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006
L’ARENA DI POLAPeriodico dell’Associazione del
“Libero comune
di Pola in Esilio”
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Silvio Mazzaroli
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LIBERO COMUNE DI POLA
IN ESILIO
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Redazione di Trieste:L’Arena di Pola
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Piero Tarticchio, Veniero Venier
e Lino Vivoda
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via Malaspina, 1 - Trieste
19° RITROVO DELL’ULTIMA MULARIA DE POLA
Se anche in sta vita
se vien e se va...
CO XE RIVADO L'ESODO
VALIGIA E SEMO 'NDAI
MILAN, TORINO, NAPOLI,
MESSINA, PARAGUAI.
BONA DE DIO
CHE ANCA L'AUSTRALIAN
XE LINGUA CHE SOMIGLIA
AL NOSTRO POLESAN.
SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA
LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)
SENSA DIMENTICARSE
DE QUEL CHE XE PASSA'
NO PROVO RABIA O ODIO
PER QUEL CHE XE RESTA'…
MA MI ME RABIO
SE UN DRUSE POLESAN
VOL DARME, LUI CROATO,
LESSIONI D'ITALIAN.
SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA
LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)
A OGNI NOVO INCONTRO
XE CHI NO GHE XE PIU'
E TANTI NE SALUDA
LASSU' DAL CIELO BLU.
LI RICORDEREMO
NOI VECIA GIOVENTU'
ANCA SE SOLO I ARGANI
ADESSO NE TIEN SU.
SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA
LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)
EL SINDACO IN ESILIO
XE 'DESSO UN MILITAR
'BITUADO A DAR BATAGLIA
A ROGNE DE GRATAR.
EL NE GA DITO
SERCHEMO DE CAPIR
RESTANDO QUEI DE SEMPRE
VARDANDO A L'AVENIR.
SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA
LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)
FININDO NOI VOLEMO
A POLAANCOR BRINDAR
ALA SUA MULARIA
AL NOSTRO CARO MAR.
DUE PROIBISSIONI
CANTANDO DE STONAR
E COL TI TE RICORDI
DE METERSE A FRIGNAR.
SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA
LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)
di DANILO COLOMBO
canzone per l’“Ultima Mularia”, da intonaresull’aria del “Tram de Opcina”