conto corrente postale n. 38407722 mercato immobiliare

12
La questione dei beni fu- nerari nelle province ex-italiane riguarda circa 300 cimiteri, per un totale di 22 mila tombe, un terzo delle quali in condizioni definite di rischio. Circa quattro quinti dei suddetti cimiteri e sepolcri diversi sono situati in Istria, nel cui territorio insistono 258 complessi funerari con poco meno di 18 mila tombe, di cui 15 mila in Croazia ed il resto in Slovenia. La media delle sepolture è di sei unità per tomba. Si può quindi ritenere, con ragione- vole approssimazione, che il totale dei defunti italiani pre- senti nelle tombe istriane si collochi intorno alle 100 mila unità. La cifra può sembrare sottostimata, ma si deve tene- re conto che soltanto alcune tombe erano oggetto di con- cessione perpetua, e non a ter- mine, e soprattutto, che un nu- mero imprecisato ma comun- que notevole di tombe è stato disperso durante il lungo pe- riodo intercorso fra la pro- mulgazione della legge jugo- slava del 1960 (che prevedeva la revoca delle concessioni perpetue senza indennizzo) e la nuova legge croata del 1998 (che ha ripristinato detto regime, sia pure a fronte di ca- noni assai maggiorati). Il pe- riodo di «vacatio» è stato par- ticolarmente pregiudizievole negli anni compresi tra l'av- vento delle nuove Repubbli- che ex-jugoslave e la suddetta normativa di ripristino (esi- stente, al momento, nella sola Croazia, tanto che nell'Istria slovena le condizioni attuali sono ancora peggiori: secon- do un'indagine campionaria, riferita ai cimiteri di Capodi- stria e Pirano, risulta che il 22% delle tombe italiane è stato oggetto di cancellazione delle vecchie incisioni e di so- stituzione con nuove iscrizioni in sloveno, donde l'impossibi- lità di collocare i manufatti in apposito lapidario). SEGUE A PAGINA 2 La tutela dei cimiteri istriani e dalmati Fondato a Pola il 29.7.1945 - Organo dell’Associazione del “Libero Comune di Pola in Esilio” - Via Silvio Pellico, 2 - 34122 Trieste Direttore responsabile: Silvio Mazzaroli - Redazione: via Malaspina 1 - 34147 Trieste - Telefono e Fax 040.830294 Quote associative annuali per l’Italia: 30 - Per le Americhe 60 - Per l’Australia 66 - da versare sul Conto Corrente Postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola - Trieste Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste per la restituzione al mittente previo pagamento resi L’ARENA DI POLA - Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1061 del 21.12.2002 ANNO LXII - 3278 - Mensile n. 10 del 30 ottobre 2006 TAXE PERÇUE TRIESTE TASSA RISCOSSA ITALY “POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB TRIESTE” MERCATO CROATO Iniziativa realizzata con il contributo del Governo italiano ai sensi della Legge 193/2004 ALL’INTERNO La frattura nel mondo degli esuli evidenziata dai comunicati stampa *** Regione Fvg, tessere sanitarie sbagliate *** Pola, il ritorno degli esuli senza chiavi di Lucia Bellaspiga *** Odore di cenere di Mario Frezza *** A proposito di pesca di Roberto Stanich *** Una pagina di storia poco nota “Il Sovrano sconosciuto. Tomislavo II, Re di Croazia” di Guido Rumici *** “Matricola 393719 - Luciano Cerdonio - Storia di una tragedia ancora sconosciuta” di Maria Renata Sequenzia *** Lettere in redazione risponde Silvio Mazzaroli MERCATO IMMOBILIARE CROATO E RESTITUZIONE DEI BENI DEGLI ESULI di Carlo Montani di Pierluigi Sabatti * di Silvio Mazzaroli A ccesso sì … Accesso no … Accesso ma … Potreb- be sembrare il ritornello di una qualche canzone ed invece si tratta della ridda di voci che, ne- gli ultimi mesi, hanno riguardato l'argomento del libero accesso al mercato immobiliare croato da par- te degli italiani. Un bailamme di notizie e successive smentite, un rimbalzare di note diplomatiche, in merito alla reciprocità del provve- dimento, che sembrerebbero (il condizionale è d'obbligo) essere giunti finalmente a conclusione. Infatti, il 9 ottobre u.s., il Ministro degli esteri croato, Kolinda Grabar Kitarovic, ha dato comunicazione ufficiale dell'apertura di detto mer- cato anche ai nostri connazionali, con decorrenza dal 12 dello stesso mese. Proprio sotto la stessa data, peraltro, sono spuntati i “ma”, ov- vero i vincoli all'applicazione del provvedimento: rimangono esclusi i terreni coltivabili ed i boschi (lo sono anche per gli altri cittadini UE) e, comunque, per l'acquisto di una casa o di un lotto edificabile gli italiani dovranno inoltrare specifi- ca richiesta al Ministero croato del- la Giustizia. SEGUE A PAGINA 3 Così la pensano i polesani di oggi L’Esodo e un’identità ancora da ritrovare Pola ha una sua identità? La domanda viene spontanea conoscendo la sua sto- ria recente, segnata dall'esodo del 1947. Certo l'identità la si trova nelle pietre: l'Arena, il Tempio di Augusto, l'Arco dei Sergi, il pic- colo teatro romano parlano da so- li e così il Palazzo Civico, la cat- tedrale, la chiesa di San Nicola, il cimitero della Marina, il mercato. La storia si legge in questi edifici. Ma sui volti quale storia si legge? «No, Pola non ha un'identità. Ha fatto parte di grandi imperi come Roma e l'Austria e porta i segni di questa “imperialità” - di- ce netta la gallerista Gorka Cvaj- ner - come in altri edifici porta i segni del suo cosmopolitismo, però ha perso la continuità. Que- sta città ha perso i pezzi». Anche per Nelida Milani Pola oggi non ha una sua identità, però pian piano se la sta ricostruendo. «Devono passare come minimo tre generazioni - spiega - per su- perare il trauma dell'esodo di ses- sant'anni fa e adesso si sta comin- ciando, ma il processo è lento». Che cosa fare? Ci vuole un pre- ciso attivarsi da parte delle forze intellettuali, ma ci vuole anche la volontà politica. E qui entra in gioco il partito che ha dominato Pola (salvo l'intervallo del sinda- co Luciano Delbianco) e l'Istria in questi ultimi quindici anni, cioè la Dieta democratica. Un partito che ha il grande merito - viene rilevato dalla Comunità italiana - di aver fatto uscire gli italiani dalle catacombe, di averli fatti partecipare alla vita politica. Un partito che ha realizzato il bi- linguismo reale, come scrive lo scrittore, saggista e giornalista Milan Rakovac, che ricorda la coraggiosa battaglia per lo Statu- to istriano bilingue condotta dal leader dietino Ivan Nino Jakov- cic. In prima fila nello sforzo di ri- dare un'identità a Pola (non sol- tanto italiana, ma cosmopolita com'è nel Dna della città) è il gruppo nazionale italiano che «si è aperto - sottolinea la professo- ressa Vruss - a tutti i cittadini». Nella splendida sede della Comu- nità ha trovato spazio il supporto logistico per il festival del cine- ma che si svolge ogni anno in Arena, si è svolto il congresso dei giovani cattolici croati e della diaspora, si sono tenuti i concerti di musica classica di Arena Inter- national. Oltre alla presenza di una delle sezioni della scuola di musica «Luigi Dallapiccola» che sforna giovani talenti. Un'attività vasta che permette di riannodare i fili con la storia cittadina ricordando personaggi, come Sergio Endrigo e Alida Val- li, due glorie polesane recente- mente scomparse. Inoltre con la Dante Alighieri viene promossa la didattica rivolta agli adulti che vogliono imparare la nostra lin- gua * ARTICOLO TRATTO DA “IL PICCOLO

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Laquestione dei beni fu-nerari nelle province

ex-italiane riguarda circa 300cimiteri, per un totale di 22mila tombe, un terzo dellequali in condizioni definite dirischio. Circa quattro quintidei suddetti cimiteri e sepolcridiversi sono situati in Istria,nel cui territorio insistono 258complessi funerari con pocomeno di 18 mila tombe, di cui15 mila in Croazia ed il restoin Slovenia.

La media delle sepolture è disei unità per tomba. Si puòquindi ritenere, con ragione-vole approssimazione, che iltotale dei defunti italiani pre-senti nelle tombe istriane sicollochi intorno alle 100 milaunità. La cifra può sembraresottostimata, ma si deve tene-re conto che soltanto alcunetombe erano oggetto di con-cessione perpetua, e non a ter-mine, e soprattutto, che un nu-mero imprecisato ma comun-que notevole di tombe è statodisperso durante il lungo pe-riodo intercorso fra la pro-mulgazione della legge jugo-slava del 1960 (che prevedevala revoca delle concessioniperpetue senza indennizzo) ela nuova legge croata del1998 (che ha ripristinato dettoregime, sia pure a fronte di ca-noni assai maggiorati). Il pe-riodo di «vacatio» è stato par-ticolarmente pregiudizievolenegli anni compresi tra l'av-vento delle nuove Repubbli-che ex-jugoslave e la suddettanormativa di ripristino (esi-stente, al momento, nella solaCroazia, tanto che nell'Istriaslovena le condizioni attualisono ancora peggiori: secon-do un'indagine campionaria,riferita ai cimiteri di Capodi-stria e Pirano, risulta che il22% delle tombe italiane èstato oggetto di cancellazionedelle vecchie incisioni e di so-stituzione con nuove iscrizioniin sloveno, donde l'impossibi-lità di collocare i manufatti inapposito lapidario).

SEGUE A PAGINA 2

La tuteladei cimiteri

istrianie dalmati

Fondato a Pola il 29.7.1945 - Organo dell’Associazione del “Libero Comune di Pola in Esilio” - Via Silvio Pellico, 2 - 34122 Trieste

Direttore responsabile: Silvio Mazzaroli - Redazione: via Malaspina 1 - 34147 Trieste - Telefono e Fax 040.830294

Quote associative annuali per l’Italia: € 30 - Per le Americhe € 60 - Per l’Australia € 66 - da versare sul Conto Corrente Postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola - Trieste

Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste per la restituzione al mittente previo pagamento resi

L’ARENA DI POLA - Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1061 del 21.12.2002 ANNO LXII - 3278 - Mensile n. 10 del 30 ottobre 2006

TAXE PERÇUE TRIESTE

TASSA RISCOSSA ITALY

“POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE

IN ABBONAMENTO POSTALE -

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°

46) art. 1, comma 2, DCB TRIESTE”

MERCATO CROATO Iniziativa realizzata

con il contributo del Governo italiano

ai sensi della Legge 193/2004

ALL’INTERNO

La frattura nel mondo

degli esuli evidenziata

dai comunicati stampa

***

Regione Fvg,

tessere sanitarie sbagliate

***

Pola, il ritorno degli esuli

senza chiavi

di Lucia Bellaspiga

***

Odore di cenere

di Mario Frezza

***

A proposito di pesca

di Roberto Stanich

***

Una pagina di storia poco nota“Il Sovrano sconosciuto.

Tomislavo II, Re di Croazia”

di Guido Rumici

***

“Matricola 393719 -

Luciano Cerdonio -

Storia di una tragedia

ancora sconosciuta”

di Maria Renata Sequenzia

***

Lettere in redazione

risponde Silvio Mazzaroli

MERCATO IMMOBILIARE CROATOE RESTITUZIONE DEI BENI DEGLI ESULI

di Carlo Montani

di Pierluigi Sabatti *

di Silvio Mazzaroli

Accesso sì … Accesso no

… Accesso ma … Potreb-

be sembrare il ritornello

di una qualche canzone ed invece

si tratta della ridda di voci che, ne-

gli ultimi mesi, hanno riguardato

l'argomento del libero accesso al

mercato immobiliare croato da par-

te degli italiani. Un bailamme di

notizie e successive smentite, un

rimbalzare di note diplomatiche, in

merito alla reciprocità del provve-

dimento, che sembrerebbero (il

condizionale è d'obbligo) essere

giunti finalmente a conclusione.

Infatti, il 9 ottobre u.s., il Ministro

degli esteri croato, Kolinda Grabar

Kitarovic, ha dato comunicazione

ufficiale dell'apertura di detto mer-

cato anche ai nostri connazionali,

con decorrenza dal 12 dello stesso

mese. Proprio sotto la stessa data,

peraltro, sono spuntati i “ma”, ov-

vero i vincoli all'applicazione del

provvedimento: rimangono esclusi

i terreni coltivabili ed i boschi (lo

sono anche per gli altri cittadini

UE) e, comunque, per l'acquisto di

una casa o di un lotto edificabile gli

italiani dovranno inoltrare specifi-

ca richiesta al Ministero croato del-

la Giustizia.

SEGUE A PAGINA 3

Così la pensano i polesani di oggi

L’Esodo e un’identitàancora da ritrovare

Polaha una sua identità?

La domanda viene

spontanea conoscendo la sua sto-

ria recente, segnata dall'esodo del

1947. Certo l'identità la si trova

nelle pietre: l'Arena, il Tempio di

Augusto, l'Arco dei Sergi, il pic-

colo teatro romano parlano da so-

li e così il Palazzo Civico, la cat-

tedrale, la chiesa di San Nicola, il

cimitero della Marina, il mercato.

La storia si legge in questi edifici.

Ma sui volti quale storia si legge?

«No, Pola non ha un'identità.

Ha fatto parte di grandi imperi

come Roma e l'Austria e porta i

segni di questa “imperialità” - di-

ce netta la gallerista Gorka Cvaj-

ner - come in altri edifici porta i

segni del suo cosmopolitismo,

però ha perso la continuità. Que-

sta città ha perso i pezzi».

Anche per Nelida Milani Pola

oggi non ha una sua identità, però

pian piano se la sta ricostruendo.

«Devono passare come minimo

tre generazioni - spiega - per su-

perare il trauma dell'esodo di ses-

sant'anni fa e adesso si sta comin-

ciando, ma il processo è lento».

Che cosa fare? Ci vuole un pre-

ciso attivarsi da parte delle forze

intellettuali, ma ci vuole anche la

volontà politica. E qui entra in

gioco il partito che ha dominato

Pola (salvo l'intervallo del sinda-

co Luciano Delbianco) e l'Istria

in questi ultimi quindici anni,

cioè la Dieta democratica. Un

partito che ha il grande merito -

viene rilevato dalla Comunità

italiana - di aver fatto uscire gli

italiani dalle catacombe, di averli

fatti partecipare alla vita politica.

Un partito che ha realizzato il bi-

linguismo reale, come scrive lo

scrittore, saggista e giornalista

Milan Rakovac, che ricorda la

coraggiosa battaglia per lo Statu-

to istriano bilingue condotta dal

leader dietino Ivan Nino Jakov-

cic.

In prima fila nello sforzo di ri-

dare un'identità a Pola (non sol-

tanto italiana, ma cosmopolita

com'è nel Dna della città) è il

gruppo nazionale italiano che «si

è aperto - sottolinea la professo-

ressa Vruss - a tutti i cittadini».

Nella splendida sede della Comu-

nità ha trovato spazio il supporto

logistico per il festival del cine-

ma che si svolge ogni anno in

Arena, si è svolto il congresso dei

giovani cattolici croati e della

diaspora, si sono tenuti i concerti

di musica classica di Arena Inter-

national. Oltre alla presenza di

una delle sezioni della scuola di

musica «Luigi Dallapiccola» che

sforna giovani talenti.

Un'attività vasta che permette

di riannodare i fili con la storia

cittadina ricordando personaggi,

come Sergio Endrigo e Alida Val-

li, due glorie polesane recente-

mente scomparse. Inoltre con la

Dante Alighieri viene promossa

la didattica rivolta agli adulti che

vogliono imparare la nostra lin-

gua

* ARTICOLO TRATTO DA

“IL PICCOLO”

PAG. 2 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006

FLASH

A CURA DELLA REDAZIONE

CON LA COLLABORAZIONE

DEI LETTORI

zo, attribuito al greco Lisippo, risale

al IV sec. a.C. è fu perduto dai roma-

ni nel II sec. a.C. nel corso di un tra-

sporto via mare. In un primo tempo,

un po' come i “Bronzi di Riace”, il

reperto era stato denominato il

“Bronzo di Lussino”. Inopinata-

mente, l'Amministrazione fiorentina

ha inteso presentarlo al grande pub-

blico come “L'Atleta della Croazia”,

quasi la località di ritrovamento fos-

se ragione sufficiente per attribuire

al pregevolissimo manufatto la ca-

ratterizzazione croata. Una denomi-

nazione assolutamente fuori luogo;

un'ignoranza assoluta dei più ele-

mentari rudimenti di storia, che non

può in alcun modo essere influenza-

ta dalla geopolitica contemporanea

e che rimane invece saldamente an-

corata ai fatti, agli eventi e alle situa-

zioni nei quali si è verificata. La

Croazia, paese nato nel 1991, ha il

solo “merito”, irrilevante ai fini sto-

rici ed artistici, di essere la nazione a

cui oggi Lussino appartiene.

L'Anvgd ha, pertanto, molto giusta-

mente manifestato il proprio sdegno

agli Amministratori fiorentini re-

sponsabili dell'organizzazione della

mostra e, non avendo ricevuta alcu-

na risposta, ha proceduto, sabato 8

ottobre, davanti all'ingresso della

stessa, alla distribuzione di volantini

a cittadini, visitatori e turisti per

informarli su questa ingiustificata

slavizzazione di un'opera d'arte che

nulla ha di croato e che come unico

risultato ottiene un offuscamento

della verità storica, grazie anche alla

improvvida collaborazione delle au-

torità italiane. Analoga manifesta-

zione di protesta è stata programma-

ta il 28 e 29 ottobre da parte della

Famiglia di Piemonte d'Istria delle

Comunità istriane.

I vertici della ANVGD

incontrano Fassino Il 10 ottobre una delegazione della

Anvgd composta dal Presidente Lu-

cio Toth, dal Vice presidente Renzo

Codarin e dai consiglieri Guido

Brazzoduro e Fulvio Aquilante, ha

incontrato a Milano Piero Fassino,

affiancato da Stelio Spadaro che da

anni segue per la Quercia le questio-

ni degli esuli. In esito all'incontro co-

sì si è espresso l'alto esponente poli-

tico: “E' un dovere morale e politico

mantenere la memoria della tragedia

dell'esodo e tutelare chi ne ha patito

dolore e sofferenza. Per questo e' op-

portuno ripristinare il Tavolo di con-

certazione tra Governo e Federazio-

ne delle Associazioni degli Esuli

presso la Presidenza del Consiglio,

che operò positivamente con i gover-

ni dell'Ulivo”. “Una sede - ha prose-

guito Fassino - per individuare solu-

zioni ai problemi tuttora aperti, a par-

tire dalla questione dei beni perduti.

Anche per questo occorre che la Fi-

nanziaria preveda la conferma degli

stanziamenti della legge 193/2004

per gli esuli istriani e dalmati e per

l'attività' culturale delle comunità ita-

liane di Slovenia e Croazia, nonché

misure di riconoscimento legislativo

in materia di riscatto degli alloggi

popolari a suo tempo assegnati agli

Esuli”. “E un preciso impegno dei

Democratici di sinistra e dell'Ulivo

operare - ha concluso - per questi

obiettivi”. Belle parole già tante vol-

te sentite con gli esiti che ben cono-

sciamo. Pur apprezzando che all'in-

contro la delegazione si sia presenta-

ta come Anvgd, appare abbastanza

evidente che detto abboccamento

con il mondo politico costituisce una

violazione delle prerogative istitu-

zionali della Federazione. Si eviden-

zia, inoltre, l'omissione di Fassino

che, nelle sue dichiarazioni, sembra

aver dimenticato che il Tavolo di

concertazione da lui auspicato è stato

operante, peraltro a fattor comune

con risultati alquanto deludenti, an-

che con il governo Berlusconi.

In merito alla legge 193/2004, in

parecchie sedi, esponenti di governo

hanno sinora garantito il suo rifinan-

ziamento per quanto attiene le atti-

vità dei nostri connazionali oltre

confine, mentre assai scarsi sono i

segnali per quanto attiene quelle del-

le associazioni degli esuli. Indicati-

vo, in tal senso, è il fatto della note-

vole riduzione subita dai finanzia-

menti per la realizzazione, in corso

d'opera, del Museo della civiltà

istriana, fiumana e dalmata, ancor-

ché, il Commissario Esteri della Ca-

mera, Umberto Ranieri, nel corso di

una recente visita a Trieste, abbia de-

finito “magnifica” l'idea del museo.

La tutela dei cimiteriistriani e dalmati

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

Le ultime rilevazioni, relative aisoli sepolcri istriani, hanno cal-colato in 1.154 il numero di quel-li dismessi, ma l'accertamento,per quanto capillare, è certamen-te sottostimato, perché la ricogni-zione che lo ha sorretto ebbe ini-zio soltanto nel 1995, quando lamaggior parte dei guasti era giàstata compiuta, in genere senzapossibilità veruna di recupero(soltanto in qualche caso, si èavuto modo di ritrovare lapidiitaliane oggetto di interramento).

Analisi aggiornate, predispostea cura dell'IRCI, hanno determi-nato in 9.7 milioni di euro il fab-bisogno complessivo riferibile adun programma esaustivo di tutela(mantenimento delle concessioniin caso di scomparsa degli eredi;interventi tecnici di conservazio-ne e restauro; realizzazione di la-pidari attrezzati). Giova ripetereche anche questo fabbisogno siriferisce ai soli cimiteri istriani:pertanto, laddove si inseriscanonella stima anche quelli dalmati,è ragionevole pervenire ad unasomma nell'ordine dei 12 milioni.Le disponibilità dell'IRCl, acqui-site a fronte dello specifico capi-tolo di spesa, hanno consentito,tuttavia, di finanziare programmiminimi: a conti fatti, in base adun flusso di 120 mila euro, qualequello inserito nel budget per il2005, occorrerebbero cento anniper poter portare a conclusione ilprogramma generale (senza direche le stesse manutenzioni ordi-narie delle realtà cimiteriali ri-chiedono tempi di ammortamentoben più ravvicinati).

Sono quindi comprensibili econdividibili le preoccupazionidell'IRCI ma la questione di fon-do, al di là di taluni aspetti tecni-ci di cui si dirà, è di tipo politico,chiamando in causa la responsa-bilità primaria del Governo ita-liano e degli altri Soggetti istitu-zionali: la tutela delle tombe nel-le province ex-italiane è obiettivomoralmente prioritario, che nonpuò essere perseguito con eroga-zioni marginali, idonee a soddi-sfare una parte minima dei fabbi-sogni, e spesso nemmeno tuttiquelli imposti da ragioni infra-strutturali, come dissesti, franeed altri effetti degli agenti atmo-sferici. In altri termini, la carenzadi mezzi finanziari è tale da co-stringere l'Istituto a scelte obbli-gate fra le maggiori urgenze, colrischio di risultati apparentemen-te discriminanti ed impopolari: ilapidari già realizzati o in via di

realizzazione sono una piccolaminoranza.

Si deve aggiungere che la tuteladei beni cimiteriali non si esauri-sce con quella delle tombe in sen-so stretto, ma si estende ai monu-menti ai Caduti, alle Vittime dellefoibe, ed a quelle sepolte in fossecomuni civili o militari. In questosenso, dalla documentazione pre-sente in IRCI emergono fattispe-cie significative, tuttora in listad'attesa (talvolta per la perma-nenza di problemi con le Ammini-strazioni d'oltre confine), ma nonper questo meno meritevoli diuna considerazione moralmenteprioritaria: a titolo di esempio, sipossono citare, in Slovenia, i se-polcri militari di Acquaviva delVena, Cernotti, Loparo e Preloca(in cui riposano complessiva-mente 23 soldati e carabinieriitaliani ignoti, morti nei fattid'arme del 1943), ed in Croaziala foiba di Vines in agro di Albo-na; due fosse comuni in territoriodi Pisino con 42 vittime; quelle diMontona, dove si trova un nume-ro imprecisato di scomparsi; edinfine, quella di Lussinpiccoloche contiene i poveri resti dei 120trucidati del 1945.

Ne emerge la necessità di potercontare su mezzi più idonei, chedel resto venne evidenziata, giàdal maggio 2003, in apposito do-cumento rispecchiante auspicidelle Autorità diplomatiche, delleIstituzioni locali, delle Organiz-zazioni degli esuli, e delle Comu-nità italofone di Croazia e Slove-nia, finora realizzati soltanto nel-la decisione di non fare distinzio-ni fra tombe (perché costituisco-no tutte una testimonianza) ed inquella di compiere una ricogni-zione esauriente; ma non nelleattese di snellimenti burocratici,nell'informazione bilingue (nonsolo in croato) e nella miglioreassistenza agli aventi causa, pernon dire dell'aumento delle risor-se e della convocazione di unconvegno specifico con l'inter-vento dello Stato e degli altriSoggetti interessati.

La tutela dei beni cimiteriali inIstria e Dalmazia ha una rilevan-za etica massima, per ragioni sintroppo evidenti. È auspicabile,pertanto, che le strozzature finan-ziarie e funzionali tuttora presen-ti nel suo perseguimento venganofinalmente rimosse: si tratta di unatto dovuto nei confronti degliesuli e dei valori di coerenza, fe-de e giustizia che determinaronola loro sofferta scelta civile.

CARLO MONTANI

Gli esuli istriani

fanno causa al GovernoQuesta volta l'avvocato americano

Giovanni De Pierro sembra fare sul

serio. Appellandosi alla Convenzione

europea dei diritti dell'uomo e con l'o-

biettivo di rendere operante il diritto

per un risarcimento giusto ed equo

dei beni depredati dalla Jugoslavia di

Tito, ha presentato al Tribunale di

Trieste le prime quaranta cause degli

esuli istriani e fiumani contro lo Stato

italiano. Successivamente dette cau-

se, anche nel resto d'Italia, dovrebbe-

ro salire a 200 e più. Una bella grana

per il governo Prodi, tenendo conto

che vengono chiamati in causa il mi-

nistero dell'Economia e la presidenza

del Consiglio. Secondo De Pierro, i

parametri di rivalutazione, rispetto al

valore del bene del 1938, con cui il

Governo italiano centellina attual-

mente gli indennizzi sono fra il 200

ed il 350 per cento, ma le stesse leggi

che giacciono in Parlamento, presen-

tate sia da Fassino che da Fini, preve-

dono indennizzi i cui coefficienti va-

riano dal 4000 al 5000 per cento. L'i-

niziativa era partita lo scorso anno,

ma poi l'avvocato d'oltreoceano ave-

va deciso di rimandare perché sem-

brava che con la Croazia si potesse

aprire uno spiraglio sulla restituzione.

Ora, poiché l'Italia, come è già occor-

so con la Slovenia, non sembra voler

esercitare il diritto di veto all'ingresso

nell’Ue della Croazia per ottenere la

restituzione dei beni abbandonati, la

stessa è stata ripresa poiché l'unica

strada da percorrere è quella legale.

Vivere il “ricordo”

anche in vacanzaPer iniziativa di Nidia Cernecca

quest'anno il ricordo dell'Esodo è

stato celebrato anche in tempo di va-

canze. Nella sua casa di Gallio (Vi-

cenza), avendovi predisposto un'al-

tare, ha portato un gran numero di

Esuli e non Esuli, amici e conoscenti

ed un sacerdote, nato a Gimino d'I-

stria, don Desiderio Staver, già Par-

roco del Duomo di Pola, di famiglia

italiana e di ideali italiani, ma so-

prattutto di grande ispirazione reli-

giosa. Le semplici ma sentite parole

del celebrante, i canti della tradizio-

ne religiosa istriana scelti per l'occa-

sione, il raccoglimento indotto dal-

l'atmosfera tutta “istriana” della casa

ed i profumi del bosco di conifere e

di ginepri che giungevano dall'ester-

no, hanno fatto vivere agli astanti un

momento mistico e commovente.

Durante l'Eucarestia, tra le preghie-

re, sono stati ricordati nominativa-

mente i Cari defunti delle persone

presenti e quanti, Istriani-Fiumani-

Dalmati, sono Caduti innocenti, per

la sola colpa di essere Italiani e che

dopo l'Esodo dormono il sonno della

Pace nei tanti cimiteri sparsi nel

mondo. Il dopo è stato di divulgazio-

ne, di conoscenza e di solidarietà,

poiché a settembre, nel Museo “Le

Carceri” di Asiago Nidia Cernecca e

Gigi D'Agostini hanno allestito una

Mostra, dal titolo “Istria, Fiume,

Dalmazia - Arte, Storia, Natura, Foi-

be, Esodo”, organizzata dal “Lions

Club Asiago Sette Comuni” con il

patrocinio del Comune. Agli amici

Nidia e Gigi un sentito ringrazia-

mento per la loro opera.

Una nuova, grave

mistificazione

storico-artisticaA Palazzo Medici Riccardi a Fi-

renze è stata recentemente inaugura-

ta una mostra, intitolata “APOXYO-

MENOS” (traduzione letterale: “l'a-

tleta che si deterge”), in cui viene

esposta l'antica statua greca di bron-

zo, raffigurante appunto un atleta, ri-

trovata da un sub belga nel 1997 nel-

le acque di Lussino, dove era rima-

sta per circa 2200 anni, e successiva-

mente restaurata a Firenze. Il bron-

Reso operativo il Comitato di Coordinamento degli Esuli Istriani

COMUNICATO

Il Consiglio del “Libero Comune di Pola in Esilio”, riuni-

to a Mestre il 22 ottobre 2006, ascoltata la relazione del

Presidente Silvio Mazzaroli e gli interventi dei Consiglieri

Argeo Benco e Lino Vivoda, valutate le sin qui deludenti

prese di posizione della Federazione per una incisiva azio-

ne di difesa dei diritti degli esuli, preso atto, inoltre, che il

proprio Presidente, quale Vice Presidente Vicario della

Federazione è stato sistematicamente escluso dalle decisio-

ni assunte in ambito federale e dai contatti con esponenti

politici, esprime il proprio disappunto.

Approva la decisione del Gen. Mazzaroli di dimettersi

dalla carica di Vice Presidente Vicario della Federazione,

evidenziando il fatto che, comunque, egli rimane per dirit-

to, quale Presidente in carica del “Libero Comune di Pola

in Esilio”, membro effettivo dell’esecutivo.

Dà altresì mandato ai propri succitati rappresentanti,

delegati ad operare in seno al “Comitato di Coordinamento

degli Esuli Istriani”, di concorrere al processo decisionale

ed allo sviluppo di tutte le iniziative che in tale ambito,

anche sul piano Europeo, saranno autonomamente avviate a

tutela degli interessi degli Esuli Istriani”.

Le tre associazioni degli esuli

istriani con sede a Trieste

(Associazione delle Comunità

Istriane, Libero Comune di Pola in

Esilio ed Unione degli Istriani) riu-

nite in data 21 ottobre 2006, in con-

siderazione dei nuovi scenari politi-

ci ed economici internazionali e dei

deludenti risultati sin qui raggiunti

nella tutela dei diritti degli esuli,

hanno deciso di rendere ufficiale ed

operativo lo statuto del CoEsI –

Comitato di Coordinamento delle

Associazioni degli Esuli Istriani –

che sarà registrato presso uno studio

notarile e il Tribunale di Trieste.

Il CoEsI opererà autonomamente,

avviando e sviluppando anche a

livello europeo, ad esclusiva difesa

degli interessi degli esuli istriani,

tutte le iniziative che riterrà oppor-

tune per il pieno rispetto dei loro

diritti violati.

Il Sindaco

Gen. Silvio Mazzaroli

L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 3

CO.ES.I.

COMITATO DI COORDINAMENTO

DELLE ASSOCIAZIONI DEGLI ESULI ISTRIANI

Contraddizioni e inconsistenze nelle esternazioni

del Presidente nazionale dell'ANVGD

Non si contano oramai più gli interventi del Pesidente nazionale

dell'Anvgd tesi inutilmente a screditare le Associazioni consorelle,

triestine e non, ed i loro rappresentanti, cha a differenza della sua de-

cennale leadership, le guidano solamente da qualche anno.

Tali esibizioni, non ultimo il comunicato dello scorso 5 ottobre, vi-

sibilmente caratterizzate da assoluta inconsistenza e da palesi con-

traddizioni, contribuiscono negativamente ad evidenziare la paralisi

di una Federazione che a ben nove mesi dal suo rinnovo non si è mai

riunita e non ha mai discusso statutariamente, attraverso la convoca-

zione dei suoi organi, una strategia comune ed una linea di azione ri-

spetto alle aspettative degli esuli.

Lo scorso 4 ottobre, a Trieste, l'avv. Gian Paolo Sardos Alberini,

presidente della Consulta Anvgd del Veneto, in una conferenza

stampa con l'avv. italoamericano Giovanni De Pierro, ha chiaramen-

te denunciato i vari Governi italiani e l'Italia stessa, definendoli non

certo a torto “traditori degli esuli”, come riportato da Fausto Bilosla-

vo nel suo articolo apparso su Il Giornale il giorno seguente.

Ma allora, secondo gli schemi del presidente Toth, anche i migliori

dirigenti dell'Anvgd sono “nemici degli esuli” ?

E' proprio vero, questo sì, che non possiamo perdere altro tempo

con chi rema contro, accusando di conseguenza anche i propri colla-

boratori di malanimo, indebolendo le posizioni negoziali di coloro

che, a qualunque associazione appartengano, dimostrano con azioni

alternative e percorsi nuovi l'inefficacia di una linea che dopo de-

cenni non ha portato concretamente al riconoscimento di nessuno

dei diritti che tutti si aspettano.

IL PRESIDENTE

MASSIMILIANO LACOTA

Trieste, 6 ottobre 2006

La frattura nel mondo degli esulievidenziata dai comunicati stampa

MERCATO IMMOBILIARE CROATO E RESTITUZIONE DEI BENI DEGLI ESULI

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

Tempo previsto per l'esame

della domanda da 6 mesi a 2 anni,

durante il quale sarà controllata

la fedina penale e la solidità eco-

nomica del richiedente, nonché la

compatibilità della richiesta con i

piani regolatori comunali e regio-

nali e, speriamo, … ci si fermi

qui. Inoltre, la Croazia si riserva

la facoltà di congelare il provve-

dimento qualora le dovessero in-

sorgere dubbi circa la reciprocità

del trattamento nei confronti di

suoi cittadini da parte dell'Italia.

Per completezza d'informazione,

dai dati apparsi sulla stampa,

emerge che, nel periodo 1991 -

2006, su 340 domande inoltrate

da italiani, in base alle norme vi-

genti, il 27,6% è stato accolto con

esito positivo mentre relativa-

mente ad altri cittadini stranieri,

le cui domande sono state 6023,

detta percentuale sale al 68%.

Scontata, ed era ampiamente

prevista, l'esultanza del mondo

politico italiano che ha presenta-

to il tutto come il “frutto di una

nuova stagione della politica

estera italiana, non più impronta-

ta sulle rivendicazioni ma sulla

collaborazione con Zagabria”

anche se, in effetti, lo sblocco

della situazione è essenzialmente

dovuto, non alla trattativa bilate-

rale, quanto ad un ennesimo in-

tervento della Comunità euro-

pea. E' fuor di dubbio, infatti,

che l'allineamento della Croazia

alla relativa normativa europea,

era ormai inevitabile, perché in-

sito nell'Accordo di stabilizza-

zione ed associazione, sottoscrit-

to nel febbraio 2005 con l'Unio-

ne europea, e funzionale al suo

ingresso nella stessa, previsto

per il 2009. Ciò non di meno, si

conviene che il fatto costituisce

un positivo passo avanti d'inte-

resse di non pochi italiani e che

può interessare anche qualche

esule, di certo non in quanto tale,

ma solo come italiano.

Prevista, altresì, ma non per

questo meno incomprensibile,

l'esultanza espressa in taluni am-

bienti della diaspora istriana, fiu-

mana e dalmata. Nonostante la

pervicacia con cui esponenti di

governo, da Fini a D'Alema nella

loro vesti di ministri degli Esteri

in carica, si sono ostinati a voler

mescolare insieme il predetto

problema e quello della restitu-

zione dei nostri beni, sembrava ci

fosse tra gli esuli un'ampia con-

cordanza sul fatto che gli stessi

fossero e dovessero rimanere, in-

vece, nettamente disgiunti. Alcu-

ne dichiarazioni formulate al ri-

guardo, in particolare dal Presi-

dente della Federazione (nonché

Vice presidente nazionale

Anvgd), Renzo Codarin, e pub-

blicate su “Il Piccolo” del

11.10.06, vanno esattamente nel

senso contrario. Così, infatti, si

sarebbe espresso: (l'accesso) …

“è un fondamentale passo avanti:

prima si apre questa porta in un

contesto europeo prima, con lo

stesso spirito europeo, come esuli

possiamo chiedere di non essere

discriminati nella restituzione”;

(le parole pronunciate dal Mini-

stro degli Esteri croato) … “sono

propedeutiche ad una nuova

apertura della trattativa sui beni

abbandonati, laddove in prece-

denza un italiano non poteva

nemmeno avere accesso alla pro-

prietà”; (per la riapertura di una

trattativa da giocare sul presup-

posto che) … “libero accesso è

anche diritto al mantenimento

della proprietà” … “non ci sono

più ostacoli”; … “da parte nostra

non c'è alcuna rinuncia alla resti-

tuzione”. Ci mancherebbe altro!

Obiettivamente difficile com-

prendere da che cosa gli derivi

tanto ottimismo, dal momento

che nemmeno esponenti politici

che s'interessano alle nostre co-

se, di governo e d'opposizione, si

sono spinti così in là. Infatti: per

l'On. Ettore Rosato, sottosegreta-

rio agli Interni, “la questione non

va confusa con i beni abbando-

nati”; per l'On. Milos Budin, sot-

tosegretario agli Esteri, “questio-

ni distinte, ma tutto aiuta”; per

l'On. Roberto Menia, deputato di

An, “problema multilaterale;

quello bilaterale tra Italia e Croa-

zia sui beni abbandonati rimane

al palo”. C'è da chiedersi, stante

il notorio rifiuto dei nostri politi-

ci di avvalersi sinora di questo

“diritto violato” per condiziona-

re l'ingresso della Croazia in Eu-

ropa, quali segnali egli abbia

percepito dal Governo italiano di

voler impugnare con fermezza

tale nostro diritto e, da parte

croata, quale segnale di ravvedi-

mento nei confronti di un'even-

tualità, quella appunto della re-

stituzione dei beni, sempre deci-

samente respinta. C'è da augurar-

si che non vengano interpretate

in tal senso le voci in merito alla

volontà croata, di cui si risente

parlare, di voler pagare all'Italia i

famosi 35 milioni di dollari in ot-

temperanza (tardiva) del Trattato

di Osimo, con i quali magari edi-

ficare la “Casa dell'amicizia ita-

lo-croata”. Vera “ciliegina” da

porre sull'auspicata torta della ri-

conciliazione!

L’impressione che si ricava

dalla lettura delle suddette di-

chiarazioni è, a dir poco, irritante

quando non anche sconvolgente.

E’ quella che la cupola della

Anvgd, che peraltro sempre più

spesso tende ad esautorare la Fe-

derazione proponendosi come

unico interlocutore “presentabi-

le” con il mondo politico nazio-

nale, sia persino disposta a men-

tire a se stessa, ancor prima che ai

propri associati. Ciò, nella sua

ostinata e perversa volontà di as-

secondare sempre e comunque le

autorità di governo e nel penoso

tentativo di autoconvicimento ed

autolegittimizzazione dei propri

comportamenti.

Per il bene degli Esuli, spero

tanto di sbagliarmi. Per sapere

dove sta il torto e dove la ragione

non c’è che da aspettare, speran-

do che l’attesa non si protragga

per altri 60 anni.

SILVIO MAZZAROLI

ASSOCIAZIONE NAZIONALE

VENEZIA GIULIA E DALMAZIA

Il modo sbagliato di fare gli interessi degli esuli.

La misteriosa strategia.

Prosegue la misteriosa strategia del presidente dell'Unione de-

gli Istriani che se la prende con i governi italiani, prima Fini e

oggi D'Alema, anzichè prendersela con la sola responsabile del-

l'impasse italo-croata: la protervia ambigua di Zagabria, i cui

esponenti si smentiscono a vicenda sulla restituzione dei beni

degli esuli e sulla libertà di accesso alla proprietà, che costitui-

scono, per la Farnesina e per il Quirinale, un unico nodo da ri-

solvere.

Strano che i suoi amici siano croati e che i suoi nemici siano

tutti italiani: i presidenti della Repubblica, i governi di Roma, di

qualsiasi colore; le comunità dei rimasti; gli Esuli che non la

pensano come lui.

Ma per quale re di Prussia sta lavorando?

L'ANVGD e la Federazione sono in questi giorni impegnate

in Parlamento e a Palazzo Chigi per difendere i diritti degli esuli

in concreto e subito, contro i nemici veri della nostra causa.

Non possiamo perdere altro tempo con chi rema contro, inde-

bolendo le posizioni negoziali degli Esuli, dei rimasti, dello

stesso Governo italiano.

IL PRESIDENTE NAZIONALE

LUCIO TOTH

Roma, 5 ottobre 2006

Errata corrigeNell'articolo "Ma quale costru-

zione", apparso sull'Arena di set-

tembre a pag. 3, il Papa Benedet-

to a cui fa cenno l'autore è Bene-

detto XVI (non XIV)"

Comunicazioniai lettori

Regione Fvg: tessere

sanitarie sbagliateNonostante le numerosissi-

me rassicurazioni ricevute sul-

l’applicazione della Legge

54/89, in questi giorni sono

state distribuite dalla Regione

Friuli Venezia Giulia le nuove

tessere sanitarie che contengo-

no grotteschi errori che riguar-

dano migliaia di cittadini della

regione. Un esempio per tutti è

quello di una donna nata nel

1942 a Fiume. Sulla Carta

regionale dei Servizi il luogo

di nascita è il seguente: “Ju -

Serbia Montenegro”. INVI-

TIAMO TUTTI A RESTI-

TUIRE AL MITTENTE IL

VERGOGNOSO DOCU-

MENTO E A PRETENDE-

RE IL RILASCIO DELLO

STESSO CORRETTO A

NORMA DI LEGGE.

Trieste.

San Tommaso 2006Si comunica che la

“Famiglia Polesana” di Trieste

festeggerà il Patrono di Pola

sabato 16 dicembre 2006, con

la celebrazione di una S.

Messa nella chiesa di Sant'

Antonio Vecchio (Piazza

Ortis) alle ore 11.00, cui farà

seguito, alle ore 13.00, il tradi-

zionale pranzo associativo

presso il Caffè degli Specchi

(Piazza Unità d'Italia). Costo

dell'incontro conviviale € 35.

Quanti fossero interessati pos-

sono rivolgersi, per la prenota-

zione, alla signora Onorina

Bonvillani, tel. 040 811284.

Arena di novembreA causa dell'assenza dalla

Redazione del direttore, Gen.

Silvio Mazzaroli, in ragione

del viaggio che lo stesso effet-

tuerà in Australia, anche per

incontrare i nostri concittadini

colà residenti, è possibile che

l'Arena di novembre subisca

un lieve ritardo nel raggiunge-

re le vostre case. Ci scusiamo

preventivamente, pregandovi

di avere un po' di pazienza.

Chiesa

della Madonna

del MareUn polesano doc, cerca un

opuscolo, una rivista, un libro

o qualsiasi altro rferimento

cartaceo che illustri l'interno

della Chiesa della Madonna

del Mare di Pola. Chi fosse in

grado di dare indicazioni è

pregato di contattare Fausto

D'Asta.

Ho fatto un sogno…A proposito del “sogno” del-

l'amico Carlo Rosenberg

(Arena di settembre) che si

augurava di “poterci ancora

una volta contare”, informia-

mo i gentili lettori che l’autore

precisa che l'indirizzo mail cui

inviare i dati anagrafici richie-

sti è stato modificato come

segue:

[email protected]

PAG. 4 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006

POLA, IL RITORNODEGLI ESULI

SENZA CHIAVI

po la stella rossa di Tito. E le case

in cui eravamo cresciuti, i forzie-

ri di tutti i nostri affetti e delle

speranze, furono da loro posse-

dute - racconta Villa, mentre il

veliero supera un branco di delfi-

ni. L'ultimo ricordo? Il gatto che

abbandonammo sul molo, come

mi guardava. E quel chiudere ca-

sa senza sapere a chi lasciare le

chiavi».

Già, se esiste un istante in cui

l'esilio ha inizio dev'essere quel-

lo: la chiusura della porta e ancor

più l'inutilità delle chiavi. «Quasi

tutti le gettammo in mare - dice

Carmen Ursini, che in quel

1947 aveva 21 anni e che, dopo

un peregrinare di anni, mise nuo-

ve radici a Milano. Era un gesto

simbolico, sapevamo bene che

nelle nostre stanze presto sareb-

bero entrati nuovi padroni: men-

tre il resto d'Italia festeggiava la

pace e la Liberazione da noi co-

minciava una guerra peggiore.

Nelle altre regioni il fascismo la-

sciava il posto agli anglo-ameri-

cani, nei nostri paesi agli sgherri

di Tito e alle foibe...». Anche lei

ha portato sua figlia all'elegante

palazzina dove era cresciuta, a

Pola. Un viaggio che aveva già

trovato il coraggio di fare una

prima volta nel 1975. «Suonai al-

la porta. Dove eravamo vissuti in

sei, il regime di Tito aveva messo

tre famiglie, tutti con un bagno

solo. La casa era andata in rovi-

na, alle finestre nel '75 c'erano

te. Il giorno prima andammo al

cimitero a salutare i nostri morti,

poi l'addio alla parrocchietta di

San Giuseppe. Lì piansi tutte le

lacrime che avevo: a quindici an-

ni hai le amicizie, la scuola, la vi-

ta che ti si spalanca, invece perdi

tutto e parti verso l'ignoto. Asso-

luto!».

Per i trentaquattromila di Pola,

come per tutti i trecentocinquan-

tamila fuggiti dalla Venezia Giu-

lia e dalla Dalmazia, iniziava un

dramma lungo decenni, ancora

più doloroso - se possibile - del-

l'invasione jugoslava: quell'Italia

verso cui correvano non sempre

li volle accogliere. «Siccome

scappavamo da un regime comu-

nista, i comunisti italiani dissero

che quindi eravamo fascisti -

spiega Carmen. Invece usciva-

mo come tutti dal ventennio fa-

scista, l'Italia intera aveva perso

ancora i vetri blu della guerra,

quelli dell'oscuramento... Oggi

per fortuna tutto è cambiato».

Le chiavi, ancora loro. «A Pola

abitavamo su Monte San Michele

- dice Daria Ursini, trentina d'a-

dozione -, eravamo otto fratelli.

Partimmo il 17 febbraio del 1947

alle 21. Papà accese tutte le luci

di casa e spalancò le porte e an-

che le finestre. Poi giù tutti dal

monte in fila indiana verso il por-

to di Pola, dove ci aspettava il

"Toscana", la nave che faceva la

spola carica di profughi verso

l'altra sponda dell'Adriatico. Ad-

dio, non torneremo più pensavo.

Ogni tanto ci voltavamo indietro

e vedevamo la casa illuminata, e

giù lacrimoni...». Oggi, mentre

parla, quella porta si apre al no-

stro bussare: Fia mia, ti xe ti?, la

riconosce l'anziana croata che da

allora ci vive. Si abbracciano e

piangono. Si chiama Erminia, da

piccole giocavano insieme.

Il veliero prosegue la corsa col

suo carico umano di genitori che

raccontano e di figli che vengono

a sapere e finalmente vedono.

Sfiora Fiume, Veglia, Cherso, Ar-

be, Sebenico, si addentra in fiordi

da leggenda, getta l'ancora in

baie dove l'acqua fonda è così

trasparente che si vede il fondo.

Paradisi che di esotico, però han-

no ben poco agli occhi di chi in

queste terre pensava di crescere

un giorno i propri figli. «Invece

vi lasciammo persino i defunti -

dice Franca Palermo, nata a Po-

la nel 1932. Partii sul "Toscana"

il 6 febbraio del '47. Fu strazian-

Chia fine estate lo

vedeva veleggia-

re lungo le coste

di Istria e Dalmazia avrà pensato

al Vascello Fantasma. Così appa-

riva il Maestral, con le sue fian-

cate in legno scuro, le balaustre a

colonnine tornite e i due alberi

impennati verso il cielo: una nave

venuta dal passato e di passato

carica. E in fondo questo era.

nezia la salma di Nazario Sauro,

che fu accolta dai fischi. Ancora

fischi e bandiere rosse anche ad

Ancona, mentre a Bologna, dove

il treno dei profughi fece sosta e

la Croce Rossa aveva preparato

un pasto caldo, i manifestanti co-

strinsero il carro-bestiame a pro-

seguire... «Si viaggiavamo nei

carri bestiame, che venivano

chiusi alla partenza e riaperti solo

all 'arrivo - racconta ancora

Daria. Ognuno di noi aveva una

balla di fieno da buttare a terra

per sdraiarsi fino a destinazione»,

che spesso era decisa dal caso:

Sicilia, Trentino, Liguria... ovun-

que ci fosse un amico o un paren-

te, un punto fermo da cui rico-

minciare. Altrimenti erano i sa-

cerdoti a guidare la fuga verso un

porto sicuro. «Nel cuore di tutti è

rimasto monsignor Raffaele Ra-

dossi, l'ultimo vescovo di Pola -

ricorda Pina Ferro. Il 25 aprile

del 1945 gli altoparlanti diffusero

l'annuncio della radio, "la guerra

è finita", ma monsignor Radossi

da quegli stessi altoparlanti preci-

sò “la guerra è finita al di là del-

l'Isonzo, non qui”. Purtroppo fu

profeta e iniziò la mattanza».

«Non ricordo quando partii.

Non ricordo nemmeno con chi.

So solo che a Pavia i miei due

fratellini finirono in orfanotrofio,

fummo separati. Mamma era ri-

masta a Pola per cercare papà che

era sparito, non ricordo quan-

do...». Tutto un non ricordo, la vi-

ta di Marisella Mazzaroli, trop-

po piccola nel '47 per capire. «Mi

sento in colpa: finora ho rimosso,

oggi che vorrei sapere non ho più

nessuno cui chiedere. Perciò sto

facendo questo viaggio». Suo pa-

dre, ingegnere, era una delle per-

sonalità in vista di Pola, aveva

costruito l'acquedotto in un'Istria

arida in cui le vigne strisciano

sulla terra rossa. Di lui il governo

slavo aveva bisogno, come di tut-

ti i tecnici. «Il comando titino lo

convocò perché collaborasse ma

Testimonianze da bordo del Maestral in navigazione lungo le coste istriane e dalmate

«Dopo tanti decenni torno a

Pola, la città da cui ero partito in

fretta e furia nel 1947 quando

avevo undici anni. Allora per me

fu una partenza senza alcuna spe-

ranza di ritorno, un distacco irre-

versibile. Ora per la prima volta

ho mostrato a mio figlio la casa in

cui ero nato. No, non ho bussato

non ho chiesto di entrare, non ho

avuto nemmeno il coraggio di an-

dare a leggere sul campanello...».

Giuseppe Villa uno dei qua-

ranta esuli polesani che in questo

settembre, dopo tanti anni, hanno

scelto di fare un viaggio nella

memoria e risalire il flusso del

tempo. Indietro, di nuovo a quel-

le terre d'Istria che sessant'anni fa

abbandonarono, quand'erano

bambini o ragazzi, al seguito di

nonni e genitori: si scappava dal-

la furia del dittatore croato Tito,

dalla sua lucida determinazione

di eliminare tutto ciò che sapesse

di Italia, si fuggiva portando ne-

gli occhi i rastrellamenti, le fuci-

lazioni, le foibe. In una parola era

la fine. La fine di un mondo.

«Da un giorno all'altro tutti e

trentaquattromila ce ne andammo

lasciando una città fantasma. Mio

padre, sovrintendente scolastico,

con altre poche autorità partì per

ultimo: il 15 settembre ci fu l'am-

mainabandiera e la consegna del-

le chiavi della città ai titini. I par-

tigiani slavi entrarono scalzi o in

ciabatte, chi in divisa, chi coperto

di stracci, i fucili in spalla, sul ca-

la guerra ma solo noi pagavamo

con le nostre terre, e per rimanere

italiani dovevamo emigrare».

«Ma quando arrivammo ad An-

cona - aggiunge Pina Ferro, oggi

palermitana, nata a Pola nel 1926

- ci radunarono in un campo pro-

fughi e ci presero le impronte di-

gitali, poi fecero la disinfestazio-

ne: credevano portassimo malat-

tie». Famiglie che partendo da

Pola avevano piegato in valigia il

Tricolore ammainato dai campa-

nili tendevano ora le mani all'al-

tra Italia e con sgomento anziché

un rifugio trovavano il rifiuto.

Il 20 marzo del '47 il "Toscana"

fece l'ultimo viaggio e portò a Ve-

lui rifiutò. Non lo vedemmo più».

Non odia, Marisella: «Ho bevuto

latte croato, io, la mia balia Eufe-

mia ai suoi tre figli aveva dato i

nostri nomi. Suo marito vent'anni

fa morendo chiamò la mamma al

capezzale per confessarsi: era

stato lui a tendere l'imboscata a

mio papà. Sapemmo così che era

finito in foiba».

Non odia, Pina: «A Dignano

ho rivisto una vecchia italiana

che è sempre rimasta qui. Le ho

chiesto come va da queste parti...

Cossa la vol, siora - mi ha rispo-

sto -, i nostri fioi gioga con i fioi

de lori, no se pol sempre odiar...».

LUCIA BELLASPIGA

non furono certo benevoli: “Semo zà co'le tesere e i razio-

namenti, figureve adeso cossa che sarà - disse qualcuno, e

qualche altro di rimando - No ne bastava l'Africa e l'Alba-

nia, adeso contro el mondo intiero volemo meterse”. Ma

dato che quel tipo di discorsi poteva diventar pericoloso,

Nin cercò di zittire la compagnia, chiamò le carte e un litro

per dare inizio alla solita partita.

Nin non approvava, in animo suo, il fascismo, era contra-

rio a molti suoi principi e poi ne aveva viste troppe, a Sco-

glio Olivi, di carognate verso alcuni suoi compagni di lavo-

ro, seri, onesti, che avevano solo la colpa di avere un co-

gnome slavo. Come quella sera che raccolse Ive Toncovi-

ch, massacrato di botte in un portone, e lasciato lì a terra

sanguinante. Per lui un uomo era un uomo, indipendente-

mente dal nome che portava, e se questo un regime non era

in grado di capirlo, era difficile immaginare che il destino

potesse riservare ad esso le fortune che in molti auspicava-

no. Ma com'era arduo, in quel momento, giustificare que-

sto suo pacifismo, questo suo spirito di tolleranza! In faccia

a molti poteva sembrare disimpegno, indifferenza per i

grandi problemi che agitavano l'animo degli uomini veri,

dei patrioti. “Guai ai deboli e ai vinti” dicevano le voci del-

la propaganda, ed egli si sentiva così debole da non poter

pensare di non venir sopraffatto in un mondo così: un omi-

no di gesso che una mano qualsiasi avrebbe cancellato, o

prima o poi, dalla tavola nera dell'esistenza. Questi erano

dubbi che lo tormentavano di continuo, ma che egli teneva

per sé. Avrebbe dovuto parlarne con Toni, ma aveva timore

di rovinare quel loro rapporto che viveva di altre cose, ben

più importanti per la loro amicizia. Almeno a lui sembrava

così.

Anche nella famiglia di Toni la situazione politica era

vissuta di rimando, alla lontana. A suo padre Lisandro nes-

suno diceva niente; lui abitualmente aveva altro da fare, ma

una certa opinione sicuramente se l'era fatta. Come quando

lo sentirono bestemmiare la volta che Mario arrivò con la

cartolina di chiamata per l'Africa: erano due braccia che se

ne andavano e la famiglia ne avrebbe sofferto. E quando un

giorno Toni tentò di manificargli i fasti del regime, di cui

sentiva dire in città, il vecchio andò su tutte le furie e gli

disse: “Caro fio mio, no farte impinìr la testa de tute 'ste

monade che se disi adeso. Qua i devi vignir quei siori (siori

li chiamava i fascisti, quasi che la parola potesse suonar of-

fesa alle sue orecchie) a veder che non xe cambià niente. La

tera ghe vol, e lavorarla ben, altro no ocori dir.

Anche il figlio si rese conto che era difficile affermare

che le cose non stessero così, per cui il discorso cadde per

obbiettiva impossibilità di replica.

Quando Toni si iscrisse al PNF non ne fece menzione con

il padre, sperando che il vecchio, quando ne fosse venuto a

conoscenza, avrebbe compreso le sue ragioni. E fu infatti

così.

Con Nin la cosa era diversa, e decise di chiarire la sua si-

tuazione con un discorso più approfondito. Ma neppure

Nin fu disposto ad un più lungo discorrere, e quasi balbet-

tando, disse: “Zermàn mi me dispiasi…So cossa che sucedi

in zità, ma no voio saver altro”. E Toni che si era preparato

un lungo discorso, come quelli che aveva sentito fare alla

Casa del Fascio, non fu più in grado di proseguire. Vide ne-

gli occhi dell'amico, al di là di qualsiasi parola, ciò che si

augurava di poter vedere. E gliene fu grato per sempre. Do-

po di allora, fra di loro, non si parlò più di questo argomen-

to. Anche quella volta a porto Badò, mentre la notte era con

loro, e Toni schizzato da un calamaro che aveva appena ti-

rato a paiolo, trovò spontaneo esclamare: “Go la camisa tu-

ta nera”, Nin lo guardò di sottecchi e, nel tenue chiarore

dello spagnoleto che teneva incollato tra le labbra, sorrise

impercettibilmente e non aggiunse altro. Eppure una battu-

ta se la sarebbe meritata Toni, in quella occasione.

(CONTINUA)

“Odore di cenere” è un racconto pubblicato sul volume“Dai lunghi inverni” edito a cura dell’Unione degli Istriaida Ed. Savioprint (Pordenone) 1996

L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 5

ODORE DI CENEREDue amici per la pelle

di Mario Frezza

Ledue biciclette procedevano lentamente, fianco

a fianco, su per la strada impolverata che dal

cimitero, per una breve erta, raggiungeva le

prime case del paese. Nin fu quello che scese per primo,

mentre Toni proseguì, girando a destra, sulla strada che lo

avrebbe condotto in breve a casa sua. Prima di lasciarsi si

salutarono, più con gli occhi che con un cenno, impercetti-

bile, del capo. Toni e Nin erano amici, ma amici è dir poco.

Anche fratelli è dir poco, perché Toni non aveva, con i suoi

quattro fratelli, la consuetudine che aveva con l'amico Gio-

vanni, come Nin, in effetti, risultava dai documenti.

Nin abitava all'inizio del paese. Era una casa modesta, la

sua, con il piccolo cortiletto sempre ingombro di tutti gli at-

trezzi ed utensili che Nin si era preso il gravoso impegno di

aggiustare. Sì, perché lui era soprattutto un aggiustatore,

anche se in Scoglio Olivi aveva la qualifica di motorista.

Tutto il paese aveva qualcosa da aggiustare da Nin, e lui

non diceva mai di no a nessuno, anche se pochi erano soli-

tamente in grado di pagare, per il lavoro fatto, un qualsiasi

compenso.

Toni, da quando si era sposato, abitava in città, anche se

della campagna si portava dentro tutto lo struggimento di

uno che vi era nato e desiderava morirci. Così, ad ogni mo-

va e non avrebbe mai tralasciato di dare una mano, all'oc-

correnza, possibilmente senza apparire.

Quel giorno si alzarono di buon mattino, attaccarono l'a-

sino, e si avviarono che albeggiava sul carretto traballante

lungo la strada maestra che portava a Medolino. Non è che

la bestia tenesse un passo granchè veloce, ma tant'è, quan-

do c'era da trasportar qualcosa, quello era il mezzo più rapi-

do per arrivare. Ci si alzava all'alba e si rientrava a notte

fatta.

Una luce rosata già schiariva una striscia di cielo verso

levante, dove tra un'ora sarebbe spuntato il sole. L'aria era

già tiepida, come lo era stata tutta quella notte, e tutte quel-

le altre notti serene di fine giugno. Ridendo e chiacchieran-

do fitto stavano per raggiungere il paese. E vi arrivarono

cantando a squarciagola e bacchettando il povero somaro

che, intuita la fine del viaggio, si era lasciato andare ad un

trotto da purosangue.

Gli uomini della stanzia avevano già avviato l'OM e poco

dopo una lunga cinghia di cuoio mise in movimento la treb-

biatrice, e il lavoro ebbe inizio. I covoni già caricati su un

carro erano sollevati, con un colpo di forcone, all'altezza

dell'uomo sulla macchina, il quale li apriva e li passava al

trebbiatore. Questo, occhiali e fazzoletto sulla bocca, era il

vero protagonista della rappresentazione e, a parte la re-

sponsabilità dell'operazione, non avrebbe ceduto il suo po-

sto a chicchessia. Il rumore della trebbia s'era fatto assor-

dante, l'aria polverosa filtrava i raggi del primo sole che il-

luminò di una luce fantastica quegli uomini al lavoro. Dopo

pochi minuti cominciarono ad uscire dagli sportelli poste-

riori i primi chicchi, seguiti da un fiume di grano dorato che

entrava prepotentemente nei sacchi e li riempiva in un

amen.

Barba Nicoletto Bembich era raggiante e passava tra le

dita, da una mano all'altra, il grano che lui stesso aveva se-

minato quasi nove mesi prima. Nove mesi, come una gravi-

danza pensava, e gongolava tutto a quell'idea. Il lavoro pro-

seguì, senza sosta, tutta la mattina. Gli ultimi covoni passa-

rono per la feritoia della macchina che i due campanili del-

la chiesa parrocchiale suonavano mezzogiorno, e molti

sacchi ricolmi erano sull'aia, pronti per essere trasportati

nel granaio. I due amici, con gli altri lavoranti, si lavarono

i toraci nudi, i colli robusti impastati di sudore e polvere,

con l'acqua fresca della pila e, dopo tutta quella fatica, sem-

brò loro di essere rinati. Intanto le donne di casa avevano

preparato all'ombra del grande gelso, sull'aia, il pane, il vi-

no e le vivande per il pranzo. Tutti mangiarono a sazietà, in

allegra compagnia, ed i discorsi di tutta quella gente s'in-

trecciavano variamente, risultandone un mormorio, ora al-

to, ora più grave, che si poteva udire a distanza. Nel pome-

riggio comparve Micel, il vecchio suonatore di rimònica

che girava per le ville, sempre accompagnato da un piccolo

bastardino, affamato più del suo padrone. L'uomo allietò la

festa con il suo strumento e diede inizio ai balli che si pro-

trassero fino al tramonto.

Era già notte quando Toni e Nin, un po' brilli sul loro tra-

ballante mezzo, commentavano gli avvenimenti della gior-

nata. Erano giunti ad oltre la metà della strada di ritorno,

quando all'improvviso l'asino scartò bruscamente da un la-

to. Nin, che lo guidava, lasciò andare un'imprecazione cer-

cando di comprendere la causa di quell'arresto, quando si

senti afferrare da più mani e sbattere a terra. Un violento

colpo alla testa gli fece uscire sangue dal naso e perdette

conoscenza. Toni intanto che, allo scarto dell'animale, ave-

va perso l'equilibrio ed era caduto al suolo, si rialzò, si rese

conto dell'accaduto, ma non ebbe il tempo per organizzare

alcuna reazione che due ombre scure corsero via e, in un

baleno, guadagnarono la campagna. Allora, nel buio, cercò

a terra il corpo dell'amico e tentò di rianimarlo. Nin aveva il

naso come un sanguinaccio e si lamentava da far pena. Toni

lo issò sul carro, cercò di tamponargli l'emorragia, e dopo

un po', constatato che l'amico era ancora tutto intero, avviò

la bestia verso casa.

Si parlò per molti giorni in paese di quell'aggressione

che, nei convincimenti dell'aggredito, aveva tutta la par-

venza di un avvertimento politico. Anche i due amici ne

parlarono, ma alla fine, ne videro più il lato comico che non

quello reale che, invero, di comicità ne aveva ben poca.

Nin, per il fatto di essere ogni giorno in città, ne racco-

glieva tutte le notizie e gli umori e alla sera, all'osteria, do-

ve non mancava mai di fare una capatina per tre raggi di

briscola e un mezzo di nero, ne faceva il resoconto preciso.

Non è che ci fosse un gran interesse per la politica in paese.

C'era, sì, qualche testa calda che aveva però la riprovazione

di tutti. I ritmi naturali, obbligatori, della vita di campagna

erano ben lungi dal lasciarsi sovvertire dalle contingenze

mutevoli della politica. Tutto veniva assopito, neutralizza-

to; se ne parlava per un po' e poi c'erano altre cose, ben più

importanti, a cui badare. Ma, in quel momento, gli avveni-

menti erano di una tale gravità, che appariva molto difficile

restarne fuori.

E proprio quella sera Nin portò la notizia dell'entrata in

guerra del nostro paese, a fianco dell'alleato tedesco. Il fat-

to contribuì a gelare l'atmosfera del locale e i commenti

mento libero, saltava in sella e, in meno di un'ora, era di

nuovo a casa sua. Sua moglie, nata in clivo Grion, come a

dire nel cuore antico della città, non si trovava bene in pae-

se. L'odore di stalla, le strade infangate non si addicevano

alle sue abitudini, così ci andava solamente in rare occasio-

ni o quando non poteva, proprio, farne a meno. D'altronde

questa loro diversità di origine era motivo di sottolineature

sia tra i colleghi di ufficio di Toni, che non tralasciavano

mai di rimarcare un paio di pantaloni infangati o una cra-

vatta mal annodata di lui, sia, dal lato opposto, in paese, do-

ve si commentavano sfavorevolmente le calze di seta o un

capello stravagante di lei. Ma intendiamoci, il tutto rimane-

va nell'ambito del buon gusto e del perfettamente lecito,

tantochè nessuno avrebbe considerato la loro unione come

meno che ben riuscita.

I due amici erano da sempre compagni di ogni avventura.

D'autunno la caccia, a primavera la pesca, d'estate le gite al

mare, non finivano mai le occasioni per stare assieme. E

quando erano più giovani - ma, questo, non lo si doveva

proprio sapere - anche qualche amoretto in comune lo ave-

vano avuto. Oltre a questo, non disdegnavano certo neppu-

re le compagnie del paese perché, essendo Nin un buon-

tempone, organizzavano spesso assieme scherzi atroci dei

quali si rideva per settimane intere. C'era in loro spesso l'e-

sigenza di sottolineare questo loro legame, chiamandosi,

vicendevolmente, zerman, cugino. Era diventato un vezzo

questo loro modo di apostrofarsi, anche se non c'era, in

quella parola, nulla di più veritiero. Tra i due esisteva, pale-

se, una notevole differenza di censo: Nin era operaio e di

famiglia nullabbiente, Toni impiegato e benestante. Eppure

questo fatto non aveva mai rappresentato alcun problema

nei loro rapporti: la loro origine contadina li accomunava,

come e più, di una reale consanguineità o appartenenza so-

ciale. Nin non avrebbe mai chiesto, né avrebbe approfittato

della posizione dell'amico, Toni, d'altronde, questo lo sape-

Gli ultimi covoni passarono per la feritoia della macchina che i due campanili della chiesa parrocchialesuonavano mezzogiorno

Anche quella volta a porto Badò...

PAG. 6 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006A cura della Redazione di Milano diretta da Piero Tarticchio

di Anteo Lenzoni

Viaggio in Istria

Nel tradizionale «Incontro

istriano» che l’ANVGD di

Grado or-

ganizzato alla fi-

ne dell’inverno,

per far conoscere

iniziative e atti-

vità sociali, per

avere suggeri-

menti e proposte,

i presenti manife-

starono il deside-

rio di rivedere o

vedere i luoghi

che essi o i loro

progenitori do-

vettero abbando-

nare. Venne per-

tanto organizzata

un’escurs ione

guidata in Istria.

Non a Rovigno,

Parenzo, Portoro-

se , ma nell’Istria interna ignorata

dai flussi turistici perché rimasta

dignitosamente povera, di limitato

interesse per il turista al quale i

borghi disabitati, le case vuote o

cadenti, con vecchi sulla soglia di

casa nulla dicono, ma a chi vi é na-

to e vi ha abitato, quei luoghi, sem-

pre ricordati e descritti con nostal-

gia, suscitano commossa parteci-

pazione.

Venne pertanto scelto l’tinerario

Rabuiese, Pisino, Lindaro, Galli-

gnana, Pedena, Chersano, Albona,

Porto Albona e Montona. Finalità

della gita far conoscere quel patri-

monio storico-culturale.

Durante il viaggio Tullio Svettini e

Alda Devescovi si alternarono nel-

la lettura di una sintetica esposizio-

ne della geologia e delle vicende

istriane dalla preistoria alla secon-

da guerra mondiale. Prima sosta a

Pisino, oggi Pazin. Stante l’mpos-

sibilità di visitare il castello dei

Montecuccoli, venne deciso di far-

vi ritorno in autunno. Sosta a Gal-

lignana, Gracisce, antico castellie-

re abitato dagli Histri, poi dagli Il-

liri e in epoca preromana dai Celti,

dai Vendi, gli antichi sloveni.

Il centro romano di Gallinianum

nel 1508 fu possedimento venezia-

no; poi feudo austriaco ceduto al

Patriarcato di Aquileia che lo do-

nava alla diocesi di Pedena. Era il

più importante centro della Contea

di Pisino. Lingua d’uso, anche nei

documenti, l’italiano. Era la città

delle sette chiese: alcune esistono

tuttora. Notevoli le costruzioni: la

casa Salamon, già dei Montecuc-

coli (sec.XV) di stile gotico-vene-

ziano; la chiesetta della Madonna

dei sette dolori (1425), quella di

San Antonio con crocifisso ligneo

di autore italiano (XIII sec.) la casa

del Vescovo. I gallignanesi ricopri-

rono importanti cariche nella pub-

blica amministrazione: Francesco

Marincich, imparentato ai veneti

Salamon giunse al grado di mag-

gior generale nell’esercito austria-

con la Grecia e la Magna Grecia.

Nel 177 a.C. Roma conquista l’I-

stria ma non Albo-

na, nominata Al-

vum da Plinio,

perché i liburni,

gente fiera, forte,

bellicosa continua-

no ad opporsi ai

conquistatori. La

pace romana portò

prosperità: Albona

divenne un muni-

cipio. Con la cadu-

ta dell’impero finì

il benessere.

Con la dedizione

alla Serenissima

nel 1420 la città

crebbe d’impor-

tanza. Aumentò il

numero degli abi-

tanti. Alcune fami-

glie notabili, quali Manzin, Scam-

picchio, Lazzarini, Battiala, Negri

e Lucani, abbellirono la città con

edifici patrizi del periodo rinasci-

mentale e barocco. Caduta la re-

pubblica veneta, nel 1797, e cessa-

to l’intermezzo napoleonico, il di-

stretto di Albona venne annesso al-

l’Austria e incorporato nel Circolo

di Pisino. Nel 19l8 alla fine della

prima guerra mondiale le truppe

italiane, sbarcate a Fianona entra-

vano in Albona, rimanendovi fino

all’8 settembre 1943. Alla fine del-

l’ultima guerra la maggior parte

degli italiani, e non pochi slavi, la-

sciarono l’albonese. Dai 320 metri

di Albona, nel pomeriggio, la co-

mitiva si dirigeva al mare di Porto

Albona (Rabaz).

Negli anni Venti era un piccolo

borgo di marinai e pescatori, oggi

è un affollato centro turistico con

strutture alberghiere di pregevole

architettura intonata all’ambiente.

L’escursione si concludeva nella

pittoresca Montona (Motovun)

ove, con la venuta di Roma, si sta-

bilirono comunità di legionari che

vi lasciarono un’impronta indele-

bile. Il castrum Montonae, che an-

noverava tra i suoi abitanti ben

quattro consoli, grazie alle sue for-

tificazioni passò quasi indenne alle

invasioni barbariche e, protetto da

Venezia, scampò alle scorrerie tur-

che. Nel 1797 alla fine della Sere-

nissima passò all’Austria.

Nel 1805, occupata dai francesi,

Montona fece parte del Regno Ita-

lico, ritornando all’Austria nel

18l3. Alla fine della prima guerra

mondiale fu annessa all’Italia. Do-

po la seconda guerra mondiale,

con la ratifica del trattato di Osimo

del 1975, pronubo il ministro degli

esteri Rumor, veniva regalata defi-

nitivamente alla Jugoslavia di Tito.

Al rientro a Grado, dopo 16 ore

nessuno si sentiva affaticato. L’I-

stria con la sua storia, le vestigia, i

panorami aveva affascinato i 52

partecipanti. A.L.

co e fu decorato con l’Ordine di

Maria Teresa e insignito del titolo

di barone.

Dal ciglio dello strapiombo, dietro

la parrocchiale di San Vito, si am-

mirano le ultime Alpi Giulie con la

catena dei Vena e il territorio dei

Cici; il monte Maggiore (alto 1396

m) della catena dei Caldiera che

gradatamente si abbassa fino al

fiordo di Fianona.

A quota 900 c’era il rifugio Du-

chessa d’Aosta (ex Stefania) il cui

custode istriano, già stalliere di

Sissi, raccontava aneddoti veri

(?)della bizzosa principessa.

Si prosegue attraversando Pedena

(Pican) elevata a diocesi al tempo

dell’imperatore Costantino, la

quinta dopo quella di Roma. I ro-

mani, la cui presenza è testimonia-

ta da numerosi reperti: lapidi e pie-

tre lavorate, chiamavano l’abitato

Petinum. D’estate il Vescovo si

trasferiva a Gallignana (distante 3

km) per fruire del fresco clima dei

454 metri di altitudine. Oltrepassa-

ti Chersano (Krkus) e Vosilla (Vo-

silici) per il pranzo si sosta a Du-

brova, frazione di Albona. Albona

(Labin) nella preistoria era un ca-

stelliere abitato dai liburni, popolo

marinaresco. Alcuni reperti con-

fermano i rapporti commerciali

In alto: la comitiva aGallignana;sotto: Palazzo LazzariniBattiala di Albona;a sinistra: Albona vistadall’alto;a destra: la Chiesadella Madonna dei settedolori (1426) aGallignana.

Echi lontani, ma sempre vicini.

Oggi nel 2006, una data così

lontana dalle vicende che

vorrei commemorare, in

un'età in cui il censimento dei vivi

è ridotto rispetto a quello dei cari

che ci precedono nel tempo senza

tempo, chiedo ospitalità alla Vo-

stra pregevole Rivista, affinché mi

aiutiate a ricordare ciò che nella

famiglia Pavesi, di cui siamo ri-

masti in due, Mario e Lucia, insie-

me con nostro cugino Claudio, è

stato sempre raccontato, sintetiz-

zando in poche pagine la vita di

mio padre Ermanno e di mia ma-

dre Lidia, scomparsa il 20 luglio

2006, alla quale dedico quanto ho

scritto, che avevo lasciato in un

diario venti anni fa ed ho ripreso

tra le mani solo ora.

Ho provato un paio di volte

a scrivere qualcosa su Po-

la, su ciò che ha rappre-

sentato questa città vista e amata

solo attraverso gli occhi di mio

padre, ma c'è sempre stato un ele-

mento distraente che mi ha allon-

tanato dallo scopo. Una sera , in

cui avevo quella malinconia che

nasce dal ricordo delle persone e

di ciò che non c'è più, ho sentito il

desiderio di alzarmi dal letto e di

precipitarmi a scrivere qualcosa,

un tentativo almeno, poi invece è

arrivato il sonno…

Forse, se mi fossi mossa, sarebbe

uscita un pagina bella, perché

quella sera ero ispirata, mi investi-

vano i ricordi delle cose racconta-

te da mio padre e da mia madre

che a Pola lo ha incontrato e poi

sposato. Allora, questa città pre-

sente ormai solo nella geografia

del nostro cuore, si era improvvi-

samente animata, le persone si

muovevano, mi sembrava di ve-

dere il papà e lo zio Ego in bici-

cletta, bambini pestiferi, vivaci e

spericolati correre per quelle stra-

de, per la via Tartini, cercando le

discese più ripide, per poi finire

ruzzolando regolarmente dentro

ad un portone della via Zaro. Poi

li vedevo d'estate ai bagni di Sac-

corgiana immergersi in quell'ac-

qua trasparente e profumata di sa-

le. Quindi vedevo la famiglia inte-

ra vestita con abili primaverili,

pronta alla scampagnata di Pa-

squetta, nel bosco di Siana, dove

nell'occasione si raccoglievano

mazzetti di viole e ciclamini. Tan-

te volte mio padre ci ha parlato

della sua scuola, della severità dei

suoi insegnanti nel collegio di Pi-

sino, del plurilinguismo in cui ha

avuto un notevole peso la posizio-

ne mitteleuropea dell'Istria, croce-

via di tanti sbocchi culturali. In

collegio aveva imparato a memo-

ria molti canti della Divina Com-

media che a distanza di anni a mo'

di Pico della Mirandola ci ripro-

poneva, recuperandoli nella sof-

fitta dei suoi ricordi. Poi è arrivata

l'università, la facoltà di medicina,

il famoso caffè Pedrocchi di Pa-

dova, con la sua goliardia raffina-

ta ed elitaria.

Quante volte ci ha raccontato le

fatiche vissute da studente univer-

sitario, chiuso nelle corsie dell'o-

spedale per imparare alla scuola

del professor Pepi, un mito per lui,

e dell'infermiere Checco, più bra-

vo di un medico per la grande pra-

tica acquisita. Anche in quel pe-

riodo Pola lo seduceva invitando-

lo al teatro Cescutti oppure al ma-

re in compagnia di tante belle

"mule"…, invece si ritirava con

alfieriana volontà nell'ospedale

intriso degli odori e dei colori del-

la sofferenza e della malattia. In

questo racconto agiografico che ci

proponeva di se stesso, c'era sem-

pre l'intento educativo, il modello

che voleva essere per noi, riuscen-

doci in pieno, il suo motto era

"volere è potere", ma c'era anche

nello sfondo Pola, la città dell'a-

micizia, pulita dentro e fuori, in

cui le persone erano educate alla

disciplina, al rispetto di sé e degli

altri. La madre vera di tutti i suoi

figli era Pola, con la sua storia, la

sua cultura, il suo passato romano,

i trofei esposti come in una litur-

gia ai visitatori: l'arco dei Sergi, il

tempio di Augusto, l'Arena prima

di tutto.

Poi questa bella signora nel perio-

do della guerra si era vestita di

ferro, si era riempita di divise, di

cannoni, di obici, di navi belliche.

Allora papà mi ha raccontato tante

volte in che modo ha operato, at-

traverso la neutralità della sua

professione, che gli consentiva

anche certi privilegi e opportunità

da utilizzare, salvando e curando

molte vite umane. Mi sembra di

vederlo, moro, con i suoi occhi da

tartaro e i baffetti un po' vanitosi

girare sulla Topolino e trasportare

sotto alle coperte molti feriti, ol-

trepassando i blocchi dei tedeschi,

forte del suo mestiere e della pa-

dronanza della loro lingua.

Anche il capo dei partigiani, buca-

to come un colabrodo venne sal-

vato da lui nella sua eroica mac-

chinetta. Sembrano racconti in-

credibili, quasi inverosimili, se

non li avessi orecchiati tante volte

da lui, dalla mamma che lo aveva

conosciuto in quel periodo e poi

sposato a Promontore, una bella

località posta dentro ad una inse-

natura. Il matrimonio, date le cir-

costanze della guerra era stato or-

ganizzato in modo austero, con

pochi invitati, in una giornata di

fine aprile, ma non erano mancate

le ostriche durante il banchetto ed

il pesce fresco, donato generosa-

mente dal mare Adriatico.

Presto in un palazzo della via Giu-

lia, la loro casa, è nato Gianni, il

primogenito, ma non c'è stato

molto tempo per gioire, perché è

sopraggiunta la tristezza dell'Eso-

do sul piroscafo Toscana e nuove

città hanno accolto gli esuli istria-

ni e dalmati, chiusi nel loro dolore

composto e dignitoso, orgogliosi

di aver fatto una scelta di italia-

nità, anche se ciò ha significato da

allora in poi fare un viaggio in

Istria da ospiti, senza radici, se

non quelle conservate nella pro-

pria memoria o nelle pagine di

qualche rivista per addetti ai lavo-

ri, che vivono di ricordi, di "ciaco-

le" o brindisi fatti alla conclusione

di pranzi in cui l'appello ogni an-

no vede sempre più ridotte le pre-

senze dei "veci".

Intanto tu, o Pola, sopravvivi alla

storia con nuovi abitanti e nuovi

linguaggi, ma sempre imperturba-

bile e orgogliosa della tua bellez-

za, che dedichi a uomini carichi di

memoria e di nostalgia, ma anche

capaci di credere in un mondo

multietnico, senza confini o diritti

usurpati, cittadini di un villaggio

globale che sanno guardare ad un

futuro di pace e di rispettosa con-

vivenza.

PAVESI LUCIA

VIA BRODOLINI, 3

56122 PISA

TEL. 050 533335

Echi lontani...

L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 7A cura della Redazione di Milano diretta da Piero Tarticchio

di Patrizia Pescatori

Refoli de boradi Patrizia Pescatori

di Giorgio Paliaga

di Roberto Stanich

Propio ieri, co’

iera ancora

scuro, la me

ga sveiado, coi sui

diti profumadi de

pin e lentisco de

Stoia, de ginepro e

sangrego de Sac-

corgiana, de salso

de mar. Iera bora

nera. La xe vegnu-

da de Pola per far-

me grizoli. Ciapa-

da dal morbin go

ciolto la bici e via

mi al mar. Qua me

xe rivà l’eco dele

fontane a Verudela,

indove xe un pin,

propio in punta, tu-

to inverigolà dala

bora.

La me diseva: «Ti senti? Son qua. Pi-

cia mia, quando ti vegnerà de là?»

Co’i sui diti la me intrigava i cavei e

la me fasseva grizoli sul colo. Ghe go

dito: «cocola mia, te vedi? Son qua,

son picia, soto la fighera del pare de

mio nono, son a vardar in suso le

grande foie de figo, ricamade da ner-

vature e el ziel scolorado nel verde.

«Tik plok, tac toc fà le ioze de piova

e ne l’aria se pol nasar un odor ama-

ro e dolze de fighi maturi, l’odor

aspro de tera rossa bagnada e me par

de sentir nono Franz che’l me dise:

«voia voia de far sburtime e fame far

meno che posso... Versi la boca, pi-

cia, e te podarà magnar sensa sforso!

Lu, povero, ingrumava indrioman fi-

ghi par mi, ma mi no volevo: iero co-

me in contenplasion...»

I refoli i me sburta, i zoga coi cavei e

mi ghe digo: «bei

mii: son qua, son

picia a Stoia, soto i

pini, cuciada nel

canoto a vardar in

suso i sui aghi e

sento la nona che

me disi: «da brava,

ti ga nudado ba-

stansa: tuta la mati-

na! ‘Desso vien

qua co’ mi che te

conto dela siora Li-

seta. Ciolte l’omlet

che go fato propio

par ti.» La storia

conta de una siora

che la gaveva ‘ssai

caprizi, la iera sen-

pre a farse bela, a

farse distrigar i ca-

vei dala Maritza,

ma la se stancava e la se doveva ripo-

sar parchè tuto ghe dioleva... Sarà par

questo che mi go cavei incolti e, co’

raramente vado dal districacavei ghe

digo «solo robe velocissime!»

«La vol un impaco de crema per ado-

mesticarghe i cavei? La ga un nido de

fil spinado in testa!»

«Solo se la fa presto!»

«Ghe fasso un massagio rilassante?

Xe gratis, xe promossional, el dura

olo venti minuti, me par che la ga un

gran bisogno...», cussì disendo, in

man el tien un arnese bon par ET.

«Nooo!» ghe fazo co’ un zigo de far

invidia a Dracula co’l vedi l’aio.

I refoli me sburta, me cocola fazen-

dome cara-cara, xe come aver una

covertina d’Istria in testa e cussi’, ca-

ressada e proteta, posso lassarme in-

drio tuti i pensieri de la vita. P.P.

P O E S I AMessaggio in bottiglia

Sono sul piccolo aeroplano, ma

poi non tanto piccolo: si tratta

di un BAE 146, detto anche il

piccolo Jumbo, perché alle ali ha ap-

pesi 4 piccoli motori turbofan. I posti

sono piuttosto stretti, mi capita di se-

dermi vicino ad un ragazzone alto

con i capelli rosso chiaro. Mi cede il

passo per arrivare accanto

al finestrino. Ci adattiamo

in qualche modo allo spazio

disponibile. Sotto di noi

scorrono le immagini delle

foreste e dei mille e mille

laghi della Finlandia. Non

ho molta voglia di parlare.

Ho appena appreso la noti-

zia che un caro amico, cau-

sa incidente di moto, ha la-

sciato questo mondo, tutta-

via iniziamo a parlare, facendoci do-

mande reciproche. La mia compren-

sione del suo inglese americano non è

facile. Ma con la mia e la sua buona

volontà riusciamo a comprenderci

anche se il mio inglese non è un gran-

ché... Con l’energia e la franchezza ti-

picamente USA mi racconta che la-

vora per una multinazionale di com-

ponentistica per impianti idraulici, in-

dustriali, anche aeronautici.

E’ in viaggio di lavoro, ma, prima di

rientrare negli USA aspetta la moglie

in Svezia a Goteborg, per passare in-

sieme il fine settimana e festeggiare il

suo compleanno. Così mi pare di ca-

pire. Poi mi parla della sua famiglia,

dei figli grandi acquisiti con il matri-

monio di un fratello pilota di elicotte-

ri, e io racconto la mia. Gli racconto

che i miei genitori abitano in Tosca-

na, io a Varese, che lavoro faccio,

(anche qui c’entrano gli elicotteri) e

così via. Lui mi parla delle città italia-

ne che ha visitato (Firenze, Venezia,

Trieste) e pronuncia alcune parole in

italiano. Chiedo come mai conosce

un poco di italiano e così

vengo a scoprire che sua

madre è di Fiume.

Ora ha sessantacinque anni

ed è venuta via dalla sua

città nel ‘48 quando ne ave-

va circa sette. Non resisto e

gli mostro la mia carta di

identità con nascita a Pola, e

così troviamo alcune radici

comuni. Una bella sorpresa

davvero. Poi a Copenhagen

corriamo verso voli e destinazioni di-

verse: aeroporto di Goteborg lui e

quello di Milano Malpensa io. Beh,

saluti a tutta da parte della mamma

fiumana di Ray (Raimondo), 36 anni,

che vive in USA a Cleveland - Ohio.

Prima di partire ha raccomandato al

figlio di alimentarsi meglio e mangia-

re più verdure e meno zuccheri e me-

no carboidrati, buone insalate come

sa farle la mamma di Ray e gallette

wasa… insomma meno pane e meno

l’amata pasta.

Vorrei che L’Arena pubblicasse que-

sta ambasciata e… chi può facilitare

il viaggio di questo messaggio in bot-

tiglia attraverso l’Atlantico, lo faccia.

Chi sa che non arrivi a destinazione.

G.P.

Aereo daTampere

(Finlandia) aCopenhagen,

nel pomeriggio di venerdì

15 Settembre2006.

AA prproposito de pescaoposito de pesca

Co' iero

p i c i o ,

andavo

a pescar con

mio papà. An-

davimo la do-

menica mati-

na presto a Ve-

ruda, dove che

una volta iera

una grande

grua e una te-

leferica coi

vagonzini. Là

iera un bel

molo, dove

che soto l'Au-

stria atracava

barche grandi

che portava

carbon al ga-

sometro. L'ac-

qua iera alta e

se pescava

ben, senza pe-

ricolo de in-

gossar la to-

gna. Ciapavi-

mo principalmente spari e sarghi

ma bei, grossi. Me ricordo ancora

come che i slusiva in acqua quan-

do che li tiravo su. Come esca

usavimo vermi che ingrumavimo

in mandracio. Ingrumar vermi no

me piaseva perché in mandracio

iera spuza e me fazeva schifo ma

el vermo iera una bona esca e el

pesse magnava. Se no trovavimo

vermi, fazevimo pastela con pan

vecio, un poco de ovo e formaio.

Con la pastela iera più dificoltoso

perché la se distacava de l'amo e

el pesse la magnava senza tacarse.

Pescavimo anche col pedocio. Ie-

ra una bona esca ma mi gavevo

sempre dificoltà a tacarla ben su

l'amo e el pesse mela magnava

senza ciaparse.

A mi più de tuto me piaseva pe-

scar con le scardobole (in italian

paguro). Le ingrumavo nudando

con la maschera vizin le grote e le

metevo in un seceto pien de acqua

per tegnirle vive. Tiravo fora el

granzeto de la sua caseta e lo in-

ganzavo su l'amo. Con le scardo-

bole ciapavo senpre qualche bel

sparo. Le naridole inveze no iera

una bona esca perché se ciapava

solo guati.

Più in avanti, gavemo scominzià a

pescar in maniera più seria. Anda-

vimo con la barca e metevimo zò

tante togne, lunghe fina 100 metri.

Come esca iera obligatorio gaver

el vermo de Rimini. Per chi no xe

pratico, questo xe un vermo gros-

so più de un dito e lungo de uno a

due metri. El xe de color maron

con riflessi de altri colori e con

tante ganbete che se movi in con-

tinuazion. La sua specialità xe

che, anche taiandolo a tocheti, el

resta vivo e el attira el pesse. Con

el vermo de Rimini se ciapava

senpre, massima orade. El proble-

ma iera che 'sto vermo xe difizile

de ciaparlo e no se lo trova senpre.

Iera solo pochi specialisti che i lo

ciapava anche perché el sistema fa

un poco schifo. Dovè saver che el

vermo de Rimini xe attirà dal odor

dei escrementi umani. Per ciapar-

lo, bisogna andar in acqua con una

voligheta fata con una calza de

dona con dentro la m…gavé capì.

Quando che el vermo senti l'odor,

el vien fora del suo buso e se lo

ciapa. No xe una pesca che tuti fa

volentieri e questo spiega la diffi-

coltà de trovar 'sta esca. Go scrito

questo picio trattato sule esche per

dir che pescar no xe facile, ocori

conosser i posti, saver a che ora

che i pessi magna, che tenpo xe

più favorevole. Ma forsi questo

xe el suo bel, zercar l'esca, prontar

le togne, trovar el posto sperando

ala fine de tirar su qualcossa.

Quando che go lassà Pola e me

son trasferì a Milano, go provà a

pescar in tel lago ma no xe la stes-

sa roba. No conossevo i posti, le

esche, i pessi e cussì go lassa per-

der. Però de estate, quando che

tornavo a Pola andavo ancora a

pescar. Iera senpre più difizile a

trovar l'esca, el pesse iera senpre

de meno e più disturbado ma,

istesso gavevo la sodisfazion de

ciapar qualcossa. Mia moglie la

brontolava che saria stà assai più

facile andar in pescheria che tor-

mentarse a zercar el vermo de Ri-

mini che po' me costava più del

pesse che ciapavo. Ma se sa, le

done no capissi gnente de certe ro-

be. Una volta iero in America, in

California per lavoro e i mii amici

me ga organizà una pesca de alto

mare, deep sea fishing, come che i

disi lori. Semo partidi ala matina

con una grande barca e una trenti-

na de pescadori. Davanti, a prua,

iera una grande vasca de acqua

piena de sgonbri e sardelle vivi de

usar come esca. Me disevo, da noi

saria zà bon ciapar quel che qua i

usa come esca. El comandante el

parlava per radio con altre barche

che esplorava el mar con el scan-

daglio e le ghe diseva dove che ie-

ra pesse. I ne ga portado vizin una

piattaforma petrolifera a pescar

tonni "yellow tail", coda gialla.

Apena rivadi sul posto i ga sco-

minzià a butar sardelle e sgonbri

in tel mar per ciamar i pessi. Noi

gavemo inescà le cane e in do e do

quattro tiravimo su bestie de 4-5

chili. Dopo, semo andai a pescar

barracuda. Tuti tirava su, anche el

più mona o chi che no aveva mai

pescà. Xe stà un'esperienza inte-

ressante ma

sta roba me ga

fato pensar.

Come, de noi

d i v e n t e m o

mati a zercar

le esche, el

posto, l'ora,

per ciapar due

pesseti e qua,

basta butar la

cana e ti tiri su

pessi che noi

gnanche no se

insognemo?

Me preoccu-

pava el fato

che, dopo

un'esperienza

conpagna no

gavessi più

trovà el gusto

de pescar in

tel nostro mar.

Inveze, la pas-

sion xe rima-

sta, el bel xe

prontar el ma-

terial, le esche, andar sul posto e,

dopo, se se ciapa bon, se no anca.

Xe come la storia dei branzini.

Una volta magnar branzin iera ra-

ro perché se ciapava pochi e i iera

cari. Adeso, con i alevamenti, in

supermercato i te li tira drio. Ma

no xe la stesa roba. Alora, mi pre-

ferisso magnar sardele. R.S.

UOMO

Sei soddisfatto, uomo,

di ciò che stai facendo?

Vuoi salvar l'umanità?

Non ti accorgi

che fingi ormai di vivere

e distruggi

la vita tua e degli altri

inquinando l'acqua

e l'aria che respiri?

Veleno tu mangi

e tutto stai perdendo.

Non è forse importante

il rendersene conto?

Dovrai saper cambiare

il tuo comportamento,

ogni momento è buono

sol se tu lo vuoi.

Dunque fermati un istante,

metti fine all'egoismo

e togli quei confini

che hai creato

fra genti ed altre genti.

Allor vedrai

che sarà un miglior vivere

su questa amata Terra.

FINCHÉ

Finché dato mi sarà di pensare

soltanto te nella mente avrò.

Finché dato mi sarà di amare

soltanto te nel mio cuore avrò.

Finché dato mi sarà di vedere

soltanto te negli occhi avrò.

Finché dato mi sarà di udire

soltanto la tua voce ascoltare vorrò.

Renzo Zanon

Tra le tante scritte con il gesso lungo le fiancate dei vago-

ni della tradotta militare che nel luglio del 1946 restituiva-

no alla patria e alla libertà i resti (un terzo) delle divisioni

alpine sopravvissuti ai combattimenti massacranti, alle im-

placabili forze della natura, alla fame, alla sete, alle malat-

tie incurabili - come il tifo petecchiale, la dissenteria, la

cancrena, il congelamento - costretti all'abbandono coatto

dei cari compagni ed amici, destinati a scomparire per sem-

pre sotto una coltre di gelo, o sotto le palate di calce viva in

una oscura fossa comune, tra tutti quei proclami esibiti dal-

l'abituale franchezza alpina appariva: “COMUNISTI ITA-

LIANI STATE LONTANI DA NOI”. Questo rifiuto non

scaturiva solo dalla conoscenza diretta delle conseguenze

di un impari scontro bellico, affrontato sopperendo con leg-

gendario coraggio e tenace resistenza all'inadeguatezza de-

gli equipaggiamenti; no, esso nasceva dalla esperienza, vis-

suta nel corpo e nella anima del vero volto del comunismo

sovietico, quello che emerge da tutto il racconto di chi

quelle esperienza aveva vissuto e riportato nel libro intito-

lato: Matricola 393719 - Luciano Cerdonio - Storia di unatragedia ancora sconosciuta.

L'autore, appunto Cerdonio, era nato a Pola da genitori

pure istriani, vissuto a Bolzano, arruolatosi il 3 gennaio

1941 a 19 anni volontario, dal luglio del '42 entrato col gra-

do di caporale, e via via di ufficiale, nel corpo di spedizione

italiano dell'ARMIR nella Russia sovietica. E che questa

tragedia sia rimasta sconosciuta - come lo striscione degli

Alpini - lo dimostra tutta la particolareggiata narrazione dei

fatti che l'hanno caratterizzata, che l'autore dedica al pro-

prio figlio, avendo avvertito il dovere di riaccostarsi alle

memorie per tanti anni taciute. Un lungo silenzio - spiega

nella lettera introduttiva al figlio - al quasi impossibile su-

peramento dell'incubo vissuto, delle cicatrici profonde nel

corpo e nell'anima lasciate da esperienze al limite di ogni

capacità, materiale e morale, di sopravvivenza, rimosse

quasi per “istintivo bisogno di non restarne schiacciati”,

“non tanto per reticenza quanto per pudore”.

Per rendersi pienamente conto della sincerità di questa

ammissione è sufficiente seguire i capitoli in cui il libro

percorre tutta la vicenda, personale e collettiva, di quegli

anni di guerra. Un susseguirsi di episodi di grande interes-

se, come quelli riguardanti la sosta a Varsavia, sulla via del-

l'andata e il primo contatto con la terroristica spietatezza te-

de-

sca verso gli affamati, affranti

ebrei, momentaneamente soccorsi

dai generosi alpini, con “lo stesso

sentimento di impotenza e di pena”

che avrebbero provato al loro ritor-

no, incrociando un treno di mogli

italiane di soldati russi (prevalente-

mente cosacchi), alleati dei tedeschi

che anelavano di ricongiungersi

con i loro mariti, invano avvisate di

non gettarsi nelle fauci del leone!

Altrettanto toccante la descrizione

dell'immensità irreale della pianura russa, degli in essa di-

spersi villaggi - poche isbe di fango e di paglia - abitate da

gente ridotta a una vita primordiale, non perché vi fosse

passata la guerra, ma perché il paradiso delle ideologie non

l'aveva, e non l'avrebbe, intaccata per nulla. Ma di tutti i ca-

pitoli, ricchi di informazioni di ogni genere e che ricostrui-

scono, oltre tutto, il rapporto umano speciale tra soldati e

ufficiali, tra uomini e animali (gli insostituibili muli, an-

ch'essi “caduti”), dove si leggono i nomi di uomini di valo-

re, degni esempi di fedeltà all'onore militare, il più coinvol-

gente e profondamente istruttivo, anche per l'attualità dei

nostri tempi, è il capitolo V, intitolato: Come si distruggeun'armata.

Esso comincia con l'illustrazione “quasi macabra” delle

cifre dei caduti. Nel Mausoleo di Cargnacco (eretto anche

per iniziativa di un eroico cappellano militare, don Brevi)

sono trascritti i nomi di quasi 95.000 soldati e ufficiali,

quasi un terzo di tutti i caduti nella seconda guerra mondia-

le. Ebbene, questi uomini sono scomparsi nel nulla nello

spazio di 2 o 3 mesi e non nei combattimenti sul Don e du-

rante la ritirata, ma nella tragica - ancora sconosciuta - mar-

cia verso la prigionia, annullati dal trattamento subito dai

russi. Solo la lettura sconvolgente - raccapricciante testi-

monianza - può restituire la vaga idea di quale sia stato que-

sto trattamento, che indusse normali esseri umani a gesti

disumani come spogliare i cadaveri dei caduti per riparare

le proprie indifese nudità, ad abbrutirsi nell'usare l'estrema

risorsa del cannibalismo per superare l'infinito protrarsi

della fame.

Le atrocità indescrivibili cessano nell'ottobre 43, allorché

da Mosca giunge l'ordine “nessun prigioniero deve più mo-

rire”. Vita e morte di qualsiasi essere umano dipenderanno

sempre più

da l l 'onnipo-

tente ideologia

comunista, sia

che si tratti de-

gli ex nemici

ormai sconfitti o dei “ricchi”

proprietari contadini o di intere etnie e popoli confinanti;

un'ideologia da far accettare, ora, agli annichiliti prigionie-

ri. Carta da giocare nella disorientata, rinunciataria Italia

sconfitta, che riceverà attraverso quei redivivi il nuovo ver-

bo liberatore, annunciatore di un nuovo paradiso in terra.

Al pari interessanti sono le pagine del libro dedicate alla

preparazione dei prigionieri destinati, nelle intenzioni, a

svolgere il compito di propagatori del messaggio comuni-

sta. Restituiti alla precedente dignità del proprio nome e

grado e ad una vita “complessivamente accettabile”, forniti

persino di cure mediche (Cerdonio poté ricuperare le dita

del piede in cancrena), ridestati gli interessi intellettuali da

parte dei Commissari politici, o di “quella strana genia che

erano i fuorusciti italiani” e di famosi uomini politici (Ro-

botti, Fiamminghi Gottardi, D'Onofrio, la signora La Torre

e figlia), i prigionieri subirono le lunghe prediche, i panegi-

rici sul futuro radioso che essi, aderendovi, avrebbero coo-

perato a costruire in Italia. Un “paradiso” che anche allora

vedevano con i propri occhi, nel vicino lager per i prigio-

nieri civili, della cui sicura eliminazione, ad essi risparmia-

ta per un'esigenza politica, nessuno avrebbe mai risposto.

Alla maggioranza di quei sopravvissuti quegli slogan,

spesso urlati, non potevano inculcare che indifferenza e ri-

fiuto. A qualcuno, più debole, promesse anche di minimi

vantaggi materiali (una pagnotta, una minestra calda) o lu-

singhe varie, bastarono per tradire il giuramento, farsi dela-

tore, mettere a repentaglio la vita dei compagni, prolungan-

done la prigionia. Ché tale era la punizione per chi temera-

riamente resistette apertamente, opponendosi, già allora al-

le menzogne e alle minacce. Esemplare, per tutti, il cappel-

lano militare don Brevi, iniziatore appunto del tempio di

Cargnacco, sacrario degli Alpini, Medaglia d'Oro, che per

il suo coraggio indomabile si vide “sbattuto per tutta l'im-

mensa terra russa” fino 8 anni dopo il ritorno dei compagni.

Da “semplice cronaca individuale”, da “piccolo fram-

mento di una storia” che, anche dopo uscitone, appariva a

Cerdonio ancora “un tale misterioso intreccio di eventi

contrastanti da sembrare talvolta illeggibile”, il libro da lui

dedicato al figlio nel 1992, dopo il crollo del sistema sovie-

tico, si rivela una lezione universale, purtroppo ancora ai

nostri giorni ben poco riconosciuta da chi - i comunisti ita-

liani - ne prolunga, con continue, illusorie, metamorfosi le

distruttive conseguenze. Dopo sessant'anni, può ancora va-

lere l'inascoltato messaggio degli alpini?

MARIA RENATA SEQUENZIA

PAG. 8 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006

Una pagina di storia poco nota

“Il Sovrano sconosciuto.Tomislavo II, Re di Croazia”

E'uscito recen-

temente l'ul-

timo libro di

Giulio Vignoli, docen-

te dell'Università di

Genova e profondo co-

noscitore della Peniso-

la Balcanica, imperniato sulla vicenda di Aimone di Sa-

voia e la sua progettata salita al Trono di Croazia negli an-

ni del secondo conflitto mondiale. Il volume, pubblicato

da Mursia Editore (pp. 188, Euro 18,30) nella sua presti-

giosa collana storica dedicata al Novecento italiano, af-

fronta per la prima volta in modo organico ed esauriente la

tematica relativa ad Aimone di Savoia, duca di Spoleto e

poi d'Aosta, re nominale di Croazia col nome di Tomisla-

vo II.

La vicenda trae origine dallo smembramento della Ju-

goslavia nel maggio 1941 dopo l'occupazione del Paese

balcanico da parte delle truppe italiane e tedesche. Con

l'attacco dell'aprile 1941 i reparti militari dell'Asse aveva-

no infatti sconfitto in pochi giorni le forze armate jugosla-

ve e nel territorio croato il potere era stato preso dagli in-

dipendentisti di Ante Paveli. A Zagabria fu proprio Paveli,

leader del movimento degli ustascia, a proclamare la na-

scita dello Stato Indipendente Croato, alleato dell'Asse, e

a chiedere a Vittorio Emanuele III di designare un princi-

pe di Casa Savoia quale sovrano della nuova entità statua-

le, con lo scopo di rafforzare i legami con l'Italia in un mo-

mento in cui il nuovo paese balcanico cercava di inserirsi

nel contesto europeo che lo circondava. Alla carica venne

scelto Aimone di Savoia, fratello minore del più noto

Amedeo, che sarebbe dovuto quindi salire sul Trono croa-

to con il nome di Tomislavo II. Quando Vittorio Emanuele

III ricevette il 18 maggio 1941 la delegazione croata gui-

data dallo stesso Paveli, disse loro che avrebbe accolto la

richiesta che “ci avete rivolto di designare un principe del-

la Nostra Casa a cingere la Corona di Zvonimiro e fondare

una Dinastia che presieda alle sorti del Regno di Croazia.

[…] Noi salutiamo come lieta speranza per il nuovo ordi-

ne che si afferma in Europa la rinascita della nazione croa-

ta, la cui storia per tanti nessi è collegata alla nostra e che

tenacemente ha orientato nei secoli la sua vita intellettuale

e morale verso la civiltà di Roma”.

Il nuovo regnante, Aimone/Tomislavo, non si recò però

mai a Zagabria anche per la terribile situazione interna

che venne subito a crearsi all'interno del nuovo Stato croa-

to caratterizzato da un regime, quello ustascia di Paveli,

che si contraddistinse fin dall'inizio per le pesantissime

persecuzioni operate contro le varie minoranze etniche e

religiose esistenti sul suo nuovo territorio.

Gli ustascia compirono in breve tempo numerosi e ripe-

tuti eccidi contro serbi ortodossi, ebrei e musulmani, che

colpirono per la loro efferatezza persino gli alleati italiani

e tedeschi, e in tale contesto Aimone di Savoia evitò qual-

siasi passo che potesse accelerare la sua effettiva salita al

trono, fino all'otto settembre 1943 quando gli avvenimen-

to armistiziali fecero considerare decaduta l'offerta da

parte croata.

Giulio Vignoli tratteggia con cura la figura e la posizio-

ne di Aimone di Savoia che non solo non ne volle sapere

di essere re di uno Stato e di un popolo che non conosce-

va, ma dimostrò probabilmente il suo acume nel prendere

le distanze dal problematico rapporto esistente tra i gover-

ni italiano e croato per tutta una serie di tematiche che

crearono crescenti dissidi tra due Paesi formalmente al-

leati ma con interessi spesso inconciliabili. Dopo la guerra

Aimone morirà in esilio in Argentina nel gennaio 1948 e

la sua salma verrà poi portata in Italia dapprima nella te-

nuta del figlio a Il Borro, presso Arezzo, quindi nella crip-

ta di Superga, tomba dei Savoia maschi che non furono re

d'Italia.

L'intera vicenda è stata ricostruita dal prof. Vignoli sulla

base di documenti e materiali reperiti presso l'Archivio di

Stato di Zagabria e presso alcuni fondi privati e getta luce

su una tematica sulla quale ben pochi storici italiani (Od-

done Talpo e Gian Nicola Amoretti) avevano precedente-

mente indagato. Giulio Vignoli è peraltro molto conosciu-

to da parecchi anni per i suoi fondamentali lavori inerenti

l'area balcanica e le vicende legate agli italiani del confine

orientale e, più in generale, dell'Europa dell'est. Dopo es-

sersi in passato occupato delle minoranze italiane in Euro-

pa con due interessanti volumi, I territori italofoni nonappartenenti alla Repubblica agraristica italiana, e Gliitaliani dimenticati. Minoranze italiane in Europa (ambe-

due editi da Giuffrè, Milano), il professor Vignoli ha pub-

blicato diversi studi dedicati alle vicende di Casa Savoia e

alla politica estera italiana nei Balcani, tra cui ricordiamo

La vicenda Italo-Montenegrina. L'inesistente indipenden-za del Montenegro nel 1941 e, per certi versi, su questo

stesso filone d'indagine possiamo inserire l'attuale Il So-vrano sconosciuto. Tomislavo II re di Croazia.

Si tratta, in sintesi, di un lavoro valido e ben riuscito,

che merita di essere conosciuto non solo dalla ristretta

cerchia degli studiosi ma pure da una più ampia gamma di

lettori che potranno apprezzare una pagina di storia ignota

ai più, raccontata con uno stile chiaro e comprensibile a

tutti.

GUIDO RUMICI

“Matricola 393719 - Luciano Cerdonio -

Storia di una tragedia ancora sconosciuta”

L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 9A cura della Redazione di Milano diretta da Piero Tarticchio

L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I - L I B R I

PASSATO

PROSSIMO«Racconto di frontiera» è sotto-

titolato il romanzo di Giancarlo

Re. Il libro, che ha la struttura di

un noir un po’ anomalo, racconta

una storia che si svolge per buona

parte in Istria e per un’altra nel

Nord Est italiano, in una zona non

esattamente indicata, ma che po-

trebbe essere l’area industriale di

Pordenone o di Udine. Attraverso

i racconti dei molti personaggi, le

riflessioni e i ricordi del protago-

nista, vengono rivissute molte vi-

cende, anche lontane, accadute al

di qua e al di là del confine nord-

orientale.

La storia però è attuale, anche se

l’intreccio serve all’autore sia per

rivisitare il passato, sia per rap-

presentare spesso con ironia i

tratti attuali della provincia italia-

na, i suoi miti e le sue illusioni.

Esemplari da questo punto di vi-

sta sono gli incontri del protago-

nista con i venditori di un grande

gruppo televisivo e multimediale,

come lo sono, per altri versi, gli

accenni alle guerre intervenute

sul confine nel passato attraverso

la memoria dei racconti raccolti

da bambino, che ritornano prepo-

tentemente alla mente sollecitati

dalle vicende più recenti.

«Passato prossimo» ha la struttu-

ra narrativa di un noir che, supe-

rata una certa impasse iniziale

dovuta alla struttura ad incastro

dei fatti narrati e inseriti attraver-

so continui flashback di sapore

cinematografico, scorre via velo-

ce fino alla fine. Tutto nasce dalla

scoperta del cadavere di un anne-

gato sulla riviera di Parenzo, at-

torno alla quale si snodano ricer-

che, ricordi, indagini, che non

trovano sbocco e si aggrovigliano

sempre di più, alla ricerca dell’i-

dentità del morto, delle modalità

dell’incidente ( suicidio? omici-

dio? disgrazia?) e le responsabi-

lità del protagonista.

Un ruolo di prim’ordine nella

storia è quello dell’esule istriana

Serena, una donna dalla persona-

lità forte, esuberante, unita a una

prepotente carica sensuale, come

non secondario è quello dell’altra

figura femminile, Mirka, giovane

ed enigmatica ragazza slava.

L’intreccio è raccontato con dia-

loghi serrati usando un linguag-

gio attuale, con un ritmo sostenu-

to e con alcuni inserimenti inte-

ressanti, come la descrizione ap-

passionata dell’azzurro mare e

delle coste dell’Istria e della Dal-

mazia, il viaggio in battello verso

Hvar/Lesina. Spicca il contrasto,

malignamente descritto, tra l’al-

legria disinibita dei piccoli indu-

striali veneti e la rabbiosa tristez-

za degli esuli, per i quali il passa-

to non muore mai.

Si tratta si quel passato prossimo,

come sottolinea il titolo del libro.

Notevole anche il racconto, attra-

verso un serrato flashback, del

clima della Milano degli anni

‘70. Tanti spunti, che vanno oltre

alla stessa storia raccontata nel li-

bro.

L’autore Giancarlo Re ha un pas-

sato da manager nella grande in-

dustria e nella comunicazione,

dopo alcuni lavori editoriali di

buon successo, è al suo primo ro-

manzo. C.C.

Giancarlo Re,

Passato prossimo, 2006,

pp 184, €14,00,

Libra Edizioni

LA LUCE

DI RAGUSACrudezze, nostalgie e stupori

sotto la luce di Ragusa

Nel suo torrentizio e indiscrimi-

nato presentare esordienti, l’edi-

toria di questi ultimi anni non ha

voluto separare il grano dal lo-

glio. La recentistica (non parlia-

mo di critica), quella che di «ca-

polavoro» in «capolavoro» s’im-

medesima col mercato. Nemme-

no evidenziare un’eccezione in

mezzo a una quotidiana eccezio-

nalità è difficile, ma non con que-

sto romanzo. Ragusa era il nome

italiano dell’attuale Dubrovnik e

il libro di Caracci, oltre a cele-

brarne la luce, fin dal titolo, ce ne

racconta i mercati e i mercanti, le

relazioni commerciali, le figure,

le feste e le tradizioni, la storia e

l’anima. Il romanzo è generazio-

nale e comincia con uno schiavo

ai remi, scampato alla peste e fat-

to libero dal suo padrone in virtù

di un delicato còmpito compiuto.

Si sposa con una schiava pur essa

liberta, ma ricade in cattività per

la rapacità dei suoi signori. Emi-

gra, o per meglio dire fugge, ha

un figlio, Dussan, mentre dove

stanno il territorio passa di gover-

no a prìncipi magiari che hanno

sconfitto Venezia. Ora il romanzo

procede per il susseguirsi di tanti

«io» narranti: da Dussan stesso

che torna vogatore a Ragusa, a

Marino suo figlio adottivo che si

sposa con Maria e al quale cede il

testimone della prima persona.

Poi agiranno Bernardo Gundulig,

l’illustrissimo e più gran perso-

naggio del libro, Maria la moglie

di Marino e così via. Fortune che

salgono e fortune che scendono,

transazioni, affari, eredità, seque-

stri e dissequestri, atti e misfatti

di notai e di notabili. Di nuovo la

peste e infine il terremoto: una

storia di famiglie parallela a quel-

la grande dei domìnii, delle guer-

re, dei destini internazionali. Sto-

ria di Ragusa e della sua luce, i

cui tagli, spettri, rifrangenze e ba-

perdute. Lo sradicamento dellasocietà istriana avvenuto con l’e-sodo ha indubbiamente determi-nato una più veloce e malignatendenza alla sparizione di quel-la quotidianità di usi, costumi ecredenze che, grazie alla velocitàdei tempi moderni, si ritrovaovunque ma che per il nostro ca-so si è rivelata particolarmentedevastante. L’area istriana, so-prattutto nella sua dimensionerurale, è stata a lungo luogo diottima conservazione di tradizio-ni che altrove non trovavano ri-scontro già da molto tempo. Inse-rito nel solco delle ricerche deiRanieri Cossàt; dei Vatova, deiVesnavet; dei Babudri, solo percitare alcuni dei cultori delle tra-dizioni nostrane, Giuseppe Rado-le ha dedicato parte della sua vitaal recupero del detto e dell’uso,spaziando dalla musica e daicanti popolari alle credenze e alcostume del vivere quotidiano.»

La miscellanea di abitudini radi-

cate nel tempo, illustra, con dovi-

zia di particolari: le feste religio-

se e laiche, il folclore, le creden-

ze, gli aneddoti, i proverbi, gli in-

ni e le canzoni popolari.

Il dettato segue un ordine preciso

scandito dal trascorrere lento del-

le stagioni. La terra è il soggetto

protagonista e tutto ciò che ci vi-

ve sopra ne diviene il comple-

mento. Un ulteriore tassello si ag-

giunge al raffinato intarsio e ag-

giorna e completa la ricerca del

folclore locale proponendoci una

vasta raccolta di ricette tipiche

istriane. Si tratta si un libro pre-

zioso: da leggere sicuramente,

ma soprattutto da conservare.

Piero Tarticchio

Giuseppe Radole,

Tradizioni Popolari d’Istria,

2006, Ed Italo Svevo,

pp 246, € 15,00

mentata «fragile mucchietto di

ossa» la porta su nel grande letto

e teneramente la copre.

Il primo dei racconti greci è «La

figlia del pope», delicata storia

d’amore, cui segue «La vendet-

ta», racconto forte, tragico, senza

speranza. Se il secondo racconto

ci lascia con l’amaro in bocca, il

terzo «Nascita in un villaggio

greco» è un piccolo capolavoro

di arguzia che ci riporta il sorriso.

Infatti è spassoso, pieno di ironia

ed anche d’amore. Intendo d’a-

more per quel popolo, il popolo

greco, così ricco di gusto per la

conversazione, di interesse per

gli altri, in breve di calore umano.

Il quarto ed ultimo racconto «L’e-

state è finita» è la storia di un pic-

colo adulterio tra una giovane si-

gnora francese e un italiano che

non ha capito che la donna ha

considerato la loro storia come

un gioco d’amore d’estate.

Molto interessante l’appendice:

Ricordi del Villaggio giuliano-

dalmata di Roma in cui tante sto-

rie si intrecciano, tenere e dram-

matiche e che termina con quella

che sembra una battuta e che è la

risposta che il signor Reale, un

napoletano anche lui profugo che

al momento dell’esodo viveva e

lavorava in Istria, dà a un signore

che gli chiede.

«Come mai parlate tutti veneto?»

«Cca simme tutti giuliani».

Sembra il finale di una maldo-

bria. Anna Balducci

Diego Zandel, Verso est,

2006, Campanotto Narrativa,

pp 160, € 11,00

TRADIZIONI

POPOLARI

D’ISTRIAL’autore, mons. Giuseppe Radole

è un religioso di stampo antico e

un raffinato studioso e ricercatore

delle tradizione della sua terra. I

suoi scritti e le sue pubblicazioni

sono fonte inesauribile di docu-

menti che tramandano con punti-

glio il substrato culturale del po-

polo istriano; un popolo compo-

sto da etnie diverse che nei secoli

hanno mangiato il sale della terra,

traendo saggezza, scambiandosi

termini lessicali, usi e costumi e

fondendoli in un unicum i cui

emerge la radice latina.

Nella presentazione al libro Piero

Sardos Albertini e Piero Delbello

scrivono:

«Le indagini etnografiche e il re-cupero della tradizione avviatonel tempo da mons. Giuseppe Ra-dole è stata ed è opera importan-te per conservare e tramandarequella dimensione popolare dellegenti istriane che altrimenti sa-rebbero quasi totalmente andate

lenii, accompagnano umane cru-

dezze, nostalgie, fascinazioni e

stupori.

Claudio Toscani da L’Osservato-

re Romano 25/1/2006

Cristiano Caracci,

La luce di Ragusa, Treviso,

Ed. Santi Quaranta, 2005,

pp163, € 11,0

VERSO ESTRacconti di oltre il confine

orientale e dell’Egeo con i ri-

cordi del villaggio giuliano -

dalmata di Roma.

L’ultimo libro di Diego Zandel,

«Verso Est», è composto di quat-

tro racconti ambientati in Istria,

di altri quattro ambientati in Gre-

cia, e, in appendice, dei ricordi

del villaggio giuliano-dalmata di

Roma.

L’autore è nato nel campo profu-

ghi di Servigliano, nelle Marche,

da genitori fiumani e si è trasferi-

to a tre mesi nel villaggio giulia-

no-dalmata dove è cresciuto; ha

sposato Anna, la figlia di un sol-

dato italiano e di una donna gre-

ca, Despina Xenicou, che non ha

mai interrotto i legami con la sua

terra.

Quindi l’Istria è il mondo che ha

abbandonato e che continua a nu-

trire la sua immaginazione; il vil-

laggio giuliano-dalmata quello

dei ricordi di infanzia e della gio-

vinezza; la Grecia il paese cha ha

imparato ad amare.

Nel primo racconto, «La casa in

riva al fiume», ritroviamo i mina-

tori dell’Arsia, di cui già l’autore

aveva trattato in «Una storia

istriana». Storie di povera gente,

di lavoro duro, di desideri mode-

sti, ma anche di amicizia, di fra-

tellanza.

Bella l’immagine dei minatori

che, dopo aver scaricato le botti,

si passano «di mano in mano, di

bocca in bocca, secondo la tradi-

zione istriana, le boccatelle di vi-

no.» E il pianto finale della ma-

dre, pianto di sollievo per essere

riusciti, lei il marito e il figlio, a

salvare la povera casa dalle forze

scatenate della natura.

Il secondo e il terzo racconto,

«Villa Speranza» e «Quell’amore

che aveva fermato il tempo», pur

diversi fra loro, trattano dell’illu-

sione del ricordo, ma entrambi fi-

niscono con una nota positiva:

Marco, che si emoziona di fronte

al mare e Tony, che si rende conto

che, se anche la vita lo ha ingan-

nato, il ricordo gli ha nascosto «la

tragica ineluttabilità del tempo».

Delizioso quadretto di vita fami-

liare in «Un giorno con la zia»,

un viaggio nel passato in cui riaf-

fiorano i ricordi, i profumi di-

menticati. Dolcissimo il finale in

cui Marco solleva la zia addor-

Per ricordarecon affetto la cara Meri Seka-

cic invio questa bella foto gen-

tilmente ceduta da Maria Frez-

za di Sissano, sua affezionata

amica, nella quale Meri è in

compagnia della mamma, di

Maria Frezza e di un amico. E’

il ricordo di una gita a Grotta-

ferrata nei primi anni ‘60.

Ho avuto il privilegio di cono-

scerla proprio a casa di Maria

Frezza, allora esule a Sabau-

dia. Più tardi le avevo chiesto

la sua tesi di laurea nella quale

aveva raccolto e analizzato tut-

te le leggende popolari istriane

che era riuscita a farsi narrare

direttamente nei paesi. Avevo

sperato di interessare qualcuno

alla loro pubblicazione, ma

non ho avuto fortuna. E’ stato

un peccato.

Spero che questa foto sia gra-

dita a quanti hanno avuto mo-

do di conoscere ed apprezzare

la sua ricca personalità e le sue

doti di docente al Ginnasio

Carducci di Pola.

Licia Micovillovich

PAG. 10 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006

Lettere in Redazionerisponde il sindaco Silvio Mazzaroli

Amare l'Istria

Ho imparato a conoscere l'I-

stria, la sua capretta, l'Arena ed il

mare che la bagna con un'affet-

tuosità che è poi diventata amore,

così, come la maternità che cre-

sce nel grembo di una madre fini-

sce con l'avvolgerla completa-

mente. Sappiamo poco della no-

stra Istria. A scuola ci hanno per

anni taciuto la sua storia ed i gio-

vani d'oggi sono cresciuti creden-

do che ci siano state sempre solo

la Slovenia o la Croazia. Ci si va

in villeggiatura per godere lo

splendore di quel cielo azzurro e

la purezza del mare, limpido co-

me la sua gente. Pochi sanno

quanto è immenso il dolore di chi

a malincuore è stato brutalmente

cacciato da questo paradiso.

L'Istria ha parlato al mio cuore

grazie all'amicizia che mi lega ad

una “piccola” grande donna, Giu-

liana Lanz, nata a Pola. Ci siamo

conosciute per caso o, forse, per

volere di qualcuno che da lassù

muove i fili della nostra vita.

Giuliana è l'Istria! Ne è invasa.

La devozione che porta per la ter-

ra natia è così profonda che la tra-

smette con tutta l'anima, capar-

biamente, a chi le sta vicino. Ti

parla e ti guarda con i suoi occhi

verdi, limpidi come il mare di Po-

la, e ti conquista. Poi vedi i suoi

quadri…ed è sintonia piena. Dio

ha dato il dono a Giuliana di riu-

scire, con le sue composizioni

floreali, a creare quadri che fer-

mano nel tempo tutti i colori del-

la natura. I suoi fiori sono così

belli e vivi che se ti fermi a guar-

darli ne respiri il profumo. Sono

tantissimi i suoi quadri. Non solo

floreali. Le sue dita con i petali

dei fiori riproducono ogni cosa:

l'Arena, l'interno della sua chiesa,

grappoli d'uva, uccellini su un ra-

mo, carretti, cesti, vasi ricolmi di

fiori,…Sempre minuziosamente

vivi! Questo è il suo modo di ren-

dere omaggio all'Istria.

Benedetta Istria! Come tutti noi

italiani dovremmo conoscere a

fondo la tua storia per capire bene

i tuoi lividi! La tua terra rossa co-

no fermato ad una boa per riposa-

re e sul galleggiante vicino c'era

un ragazzo di circa vent’anni che

incitava (in italiano) gli amici a

raggiungerlo. Quando mi sono

stati vicini (due ragazze sui 25/30

anni ed un uomo sui 30/35 anni) li

ho salutati e ho rivolto loro alcune

domande. Ho chiesto dove fosse-

ro alloggiati e hanno risposto al

"BI-Village di Valbandon; ho

chiesto come si chiamasse il pae-

se prima e hanno risposto "Fasa-

na". Fino qui tutto bene, ma alla

richiesta, del nome della vicina

città hanno risposto, proprio co-

me mi aspettavo, "Pula". A questo

punto, un po' seccato, ho ribattuto

con una bugia: "Noi autoctoni sia-

mo rimasti qui per difendere la

lingua italiana e Voi venite qui

dall'Italia a storpiare i nomi dei

paesi che per 2000 anni hanno

avuto un nome italiano. Ma cosa

vi insegnano a scuola, solo stupi-

daggini?” Poi, rivolgendomi ad

una delle ragazze, ho chiesto se

quando si reca a Londra o Parigi

dice di essere stata a London o

Paris; mi ha risposto con un mez-

zo sorriso, in segno di concordan-

za con il mio punto di vista. A

quel punto, a corto di argomenta-

zioni e per paura di altre osserva-

zioni, se ne sono tornati a riva,

con la coda tra le gambe.

Quando i rimasti si comporte-

ranno come ho fatto io, sarò

pronto per la riconciliazione.

SOAREZ DI LAZZARO

( Torino)

Giorni fa mi è capitato casual-

mente tra le mani un inserto del

nefando quotidiano Repubblica

del 5 ottobre, comprendente l' ar-

ticolo "Istria d'autore" di Amalia

Carosi, che non conoscevo. Tutti

i toponimi istriani erano in croa-

to o sloveno, con tanto di Porec e

di Pula. Ho scritto all'autrice una

lettera presso Repubblica, a Mi-

lano, senza intemperanze ma

informandola che mi sentivo

profondamente offeso e che la

invitavo a mie spese al corso

"Istria, Fiume e Dalmazia", ini-

ziato martedì 17 ottobre all'UNI-

TRE di Milano, per erudirla sulla

storia delle nostre terre. Oggi,

ascoltando la radio mentre pran-

zavo, ho appreso che Amalia Ca-

rosi è una redattrice o collabora-

trice del 1° Programma RAI. Po-

veri noi! Mi chiedo: queste no-

stre rabbie e le grandi o piccole

iniziative "private", quale impat-

to hanno sulla realtà che ci cir-

conda? Sappiamo che chi ha fal-

sato la storia per sessant'anni è

bene organizzato, molto più di

quanto noi siamo in grado di im-

maginare, e può fare esattamente

quello che crede, dosandolo op-

portunamente secondo tempi e

circostanze: moti di piazza, TV,

radio, giornali, istruzione dall'A-

silo all'Università, commercio,

pubblicità, film, telefoni, e-mail,

corrispondenza ...Noi altri pos-

sì provata dalle Foibe ancora

chiama i suoi Esuli alla verità, ma

tutto tace…

Ho conosciuto persone che an-

cora ti amano tanto cara Istria e

mi sento privilegiata per averle

avvicinate. Mi sono resa conto di

quanto lavorino, scrivano, s'im-

pegnino per farti ricordare. Per

far sì che nel mondo, dove sono

sparsi tanti Esuli, non muoia mai

nel cuore di chi è stato obbligato

a lasciarti il ricordo dei tuoi dolo-

ri. Si deve tramandare l'Istrianità

ai figli ed ai figli dei figli di ogni

esule. Sempre! Un istriano puro-

sangue è il Generale Silvio Maz-

zaroli, sindaco del “Libero Co-

mune di Pola in Esilio”. E' stato

affascinante constatare quanto è

forte il suo impegno nel portare

avanti la causa dell'Istria. Sono

stata onorata d'averlo conosciuto.

Mi ha regalato il distintivo di Po-

la che conservo con fierezza.

Sento di essere un po' istriana an-

ch'io. Grazie non la dimenti-

cherò.

Parlando dell'Istria penserò

ogni volta che fino a quando ci

saranno istriani come Lei, Giulia-

na, il poeta Otelo, la scrittrice An-

na Maria Mori e altri, che mi

duole non conoscere, sarà sempre

vivo nel cuore degli esuli il ricor-

do dell'amatissima Terra: Pola,

Rovigno, Umago, Fiume, Fasa-

na, Parenzo…, la forte terra ros-

sa, il mare che s'infrange sulle

rocce, il vento che gioca nell'Are-

na, spandendo nell'aria il profu-

mo della salvia, delle erbe selva-

tiche, delle vendemmie…e dei

tanti fiori che creano un tappeto

per far posare i piedi degli angeli.

E' questa la continuità dell'Istria!

E' certezza che, anche sotto altre

bandiere, l'Istria la sentiremo

sempre Italiana! Se strappi ad

una madre il figlio e lo mandi ra-

mingo per il mondo egli rimarrà

solo e comunque della donna che

lo ha partorito. Così sarà sempre

l'Istria per tutti gli Esuli che tanto

la amano!

Grazie! Con cordiale affetto a

tutti gli Istriani.

MILVIA RICCI GLORIA

(Milano)

Carissima Signora, un sentitoringraziamento, non solo da par-te di Giuliana e mio, ma da tuttigli istriani che amano la loroTerra per questa bellissima lette-ra che giustifica pienamente ilsuo “sentirsi un po' istriana”.Avremo sempre un immenso pia-cere ad averLa tra di noi.

L 'avevamo previsto.

Purtroppo!

D'Alema: "Vi aiuteró io perché

siete testimoni nel mantenere vi-

va la lingua e la cultura italiana in

un territorio dove la minoranza

autoctona (dei rimasti) vive da

sempre". Bravo, il sig. Ministro!

Buon sangue atavico non mente!

Peccato che Egli abbia dimenti-

cato che una volta, tempo fa, an-

che noi, esuli, abbiamo testimo-

niato la nostra italianitá sacrifi-

cando vite, averi e tombe mentre

ancor oggi aspettiamo un concre-

to risarcimento dei beni con i

quali il nostro Stato ha pagato le

riparazioni di guerra alla Jugosla-

via.

Peccato che il Ministro E. Let-

ta, a nome del Govemo, abbia

esternato coram populo di essere

molto sensibile ai bisogni e ai

problemi di quella minoranza, di-

menticando i nostri ancora aperti

e insoluti, non facendone men-

zione alcuna.

L'abbiamo previsto che le ri-

chieste dei rimasti prevalessero

sulle nostre screditando, sottova-

lutando e cancellando, anche in

campo politico, il valore dell'E-

SODO, sminuendo la forza delle

nostre legittime rivendicazioni.

Abbiamo anche previsto che

quella minoranza, una volta as-

surta all'attenzione del "Colle"

passasse sopra le nostre teste re-

legandoci in una posizione di se-

condo ordine, approfittando del-

la nostra debolezza dovuta ai

tanti trapassi e al naturale invec-

chiamento dei titolari di diritti

soggettivi. Nondimeno é forte la

delusione nei confronti di altri

Governi che credevamo a noi più

vicini e piú comprensivi. Nono-

stante ció la nostra resistenza,

quella che intendiamo noi, dura

ancora e si trasmetterá da padre

in figlio fintantoché la nostra

questione non verrá equamente

definita.

Allora sí che finiremo di chia-

marci distintamente esuli, rima-

sti, profughi o emigranti e cosí

via, ma solo italiani residenti in

territori diversi nell'ambito di una

Comunitá modernamente allar-

gata. Allora sí che spontanea-

mente ci riconcilieremo con tutti,

rispetteremo le diverse dominanti

culture e sosterremo anche finan-

ziariamente (legge 193/04) chi

avrá più bisogno senza profonde-

re a piene mani il sacro denaro

dei contribuenti. Solo allora si

potra parlare e discutere spassio-

natamente del passato, program-

mare il futuro con il dialogo,

quand'anche con elementi di co-

muni origini istriane, in un conte-

sto civile e democratico.

SERGIO TOMASI

(Trieste)Ben detto!

I nomi storpiati

delle nostre città

Verso la fine di agosto mi sono

trovato a Valbandon (Pola), ospite

dell'amico Salvatore Palermo, in

attesa della crociera in Dalmazia.

Un giorno mentre nuotavo mi so-

Foto inedite

dell'Esodo

Carissimi amici, nel mio

peregrinare nei “mercatini”

di New York ho reperito

queste foto dell' l'Associated

Press Photo, scattate a Pola

nel luglio 1946 durante l'e-

sodo da Pola. Mi sembrano

abbastanza inedite, e per

questo ve le invio certo di

farvi piacere.

ELLIS TOMMASEO

(New York)

Caro Ellis, grazie e conti-nua nelle tue ricerche.

Si vuotano le case

Si ammassano le masserizie prima dell’imbarco

Si ispeziona il bagaglio

Si caricano le masserizie Si afronta con serenità l’incerto futuro

L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006 PAG. 11

siamo solo sperare di riuscire a

migliorare questa deprecabile si-

tuazione.

TITO SIDARI

(Milano)

Nelle edicole ormai si trova di

tutto. Una volta c'erano giornali

che regalavano anche gli spa-

ghetti e altre cose mangerecce.

Oggi i grandi editori di giornali

preferiscono abbinare, e poi far

pagare, libri ed affini. Di recente

anche TV Sorrisi e Canzoni si è

unita alla compagnia ed ha pen-

sato bene di darsi alla “grande”

cultura. Così, ultima novità, ha

tentato di propinare agli ingenui

l' ATLANTE STORICO dell'Edi-

tore De Agostini, che documenta

una “verità” che più cretina non

potrebbe essere. Nella cartina de-

dicata ai territori rapinati all'Italia

con il Trattato di Pace, sulla Ve-

nezia Giulia campeggia la dicitu-

ra: “1943 - 45 Eccidio delle Foi-

be: Nazifascisti uccisi dai parti-

giani jugoslavi”. Tutta qui l'eru-

dizione storica offerta dalla gran-

de (?) casa editrice di Novara!

Poi lamentiamoci delle impreci-

sioni storiche dei grandi editori di

guide turistiche. Le recenti opere

Mondadori nella presentazione

dell'Istria si fermano alla Repub-

blica di Venezia, e poi il nulla!

FERRUCCIO CALEGARI

(Milano)

Carissimi, ho messo assieme levostre lettere perché, a fronte diuna situazione per noi drammati-ca, evidenziano che prima di ad-dossare colpe agli altri, in parti-colare ai rimasti, di cui credo chetutto sommato alcuni si compor-tino come auspicato dall'amicoSoarez, abbiamo davvero di cosarecriminare in casa. Nel propriopiccolo ognuno si dia da fare.

“Sta mia cara

e vecia Pola”

Distinto Direttore, sono nato a

Pola nel 1937 ed ho vissuto nella

Città che mi ha dato i natali fino

al dicembre del 1955, condivi-

dendo con i concittadini, nel bene

il periodo ante guerra ma, soprat-

tutto nel male, il periodo infausto

e tragico del dopo guerra. Mio

Padre rifiutò l'esodo dicendo a

mia Madre “no go fato mai del

mal a nissun e no go niente de

rimproverarme. No gavemo che

el nostro lavor, cossa i ne pol

far?” Del male fatto alle nostre

genti rimaste, è stato scritto e

pubblicato in moltissime occa-

sioni anche da scrittori che mai

sono stati in Istria ma che con una

seria e meticolosa documentazio-

ne, hanno svelato fatti e crimini

perpetuati nei confronti degli Ita-

liani dell'Istria. Lo scempio alla

Cultura ed alla Storia dell'Istria

ed in “primis” della Città di Pola

è tuttora visibile in modo tangibi-

le. L'Arena di Pola con i suoi arti-

coli e testimonianze ha certamen-

te contribuito alla ricerca della

verità di quanto accaduto in tutta

l'Istria.

Dopo l'esodo, a Novi Ligure, in

virtù del Diploma di Tecnico

d'assemblaggio di strutture Nava-

li, ottenuto presso l'Istituto Tecni-

co “Leonardo da Vinci” di Pola e

nel Cantiere Navale “Scoglio

Olivi” (ultimo corso Italiano),

non ho avuto difficoltà ad inserir-

mi nel campo del lavoro.

Ogni tanto negli anni passati

sono ritornato nella mia Città na-

tale con la famiglia, per rivedere

e fare conoscere ai miei figli i

luoghi della mia infanzia e la mia

genia, amici, cugini e parenti,

sempre con tanto rimpianto del

passato e deluso per quanto i miei

occhi vedevano. Alla morte di

mia sorella Ines, nata vissuta

sempre a Pola, ho trovato dei testi

di una vostra pubblicazione,

scritta da Sergio ZUCCOLI che

ha per titolo Sta mia cara e veciaPola edita da " L'Arena di Pola "

nell'anno 1978. I fogli fotocopiati

(trasmessi tra amici italiani resi-

denti) sono ingialliti e sparsi e

molti mancanti, per cui non è

possibile darne una logica se-

quenza. La pregherei, se possibi-

le, avere i testi (che sembrano es-

sere due libri) se ancora sono in

archivio, in originale. Mi invii

per favor, anche i dati per l'abbo-

namento a “L'Arena di Pola”.

RingraziandoLa di cuore riman-

go in attesa fiducioso di una Sua

risposta.

RENATO BOSICH

(Novi Ligure)

Caro Bosich, nella presenteArena che Le invio avrà già tro-vato il bollettino per l'abbona-mento al giornale. Per quanto at-tiene alla Sua richiesta, non sonopurtroppo in grado di soddisfar-La; il/i testi a cui si riferisce nonesistono più in archivio. Magariqualche lettore potrà farglienedono. Io stesso mi avvalgo di untesto (un solo libro) imprestatomida un lettore. Di questo, se la Suarichiesta rimarrà inevasa, cer-cherò di farle avere una fotoco-pia.

...INSIEME

A UN FIORE

... ELARGIZIONI

ALLA MEMORIA

...PERCHÈ

L’ARENA VIVA

Sergio Gioachino

PALMIERI € 19

Maria BASTA € 5

Giulio MOSCHENI € 5

Eleonora MIONI € 20

Giuseppe VILLA € 20

Adriana DOLCE € 10

Famiglia DE SIMONE € 30

Claudio COASSIN € 15

Angelo TOMASELLO € 10

Relda RIDONI € 20

Gemma VACCARO € 10

Claudio PAVESI € 20

Dr. Vittorino

GASPERINI € 20

Maria LUBRANI

MODINA € 20

Maurizia CATTONARO € 20

Giuseppe PUTIGNA € 20

Luciano VERDURA € 10

Ferdinando ROBERTI € 20

Caterina BALBI LIZZUL € 20

Mario COCOLET € 20

Giselda MOSCARDA € 25

Silvia VIRDIS FRANZI € 20

Mario BERGO € 20

Ornella CODIGLIA €20

Ornella NICOLETTI € 10

In ricordo della

Prof.ssa MARIA SECACICH

“L'ultima telefonata

è stata quella di auguri

per il nuovo anno

e una breve chiaccherata

di ricordi passati.

Poi il telefono trillò invano.

Ora “L'Arena di Pola”

mi informa

della tua dipartita.

Ero piccolo quando

dal muro di casa mia

ti osservavo mentre studiavi.

La tua casa divenne

la mia seconda casa,

diventasti la mia

“mamma di giorno”.

Da ragazzo hai voluto

che ti accompagnassi per paesi

e cittadine dell'Istria

per la tua tesi di laurea.

Laureata in lettere

mi hai voluto

nella tua classe

al Liceo Classico.

L'Esodo ci ha divisi,

ma un epistolario

ci ha tenuti in contatto.

Poi gli incontri

nei nostri raduni nazionali,

in quelli di noi ex alunni liceali,

brevi giornate

nelle rispettive

nostre abitazioni.

Tutta la tua vita

è racchiusa

in questa poesia

che assieme ad altre

conservo caramente.

Quando in sogno, ed è spessonon sogno ricchezze ed amore,

ma voi o bionde o brunetestine di bimbi innocenti.

Vedo visetti di rosa a me sollevati

e fissi in me i vostri occhi di cieloprofondi e pensosi.

Vedo allora me adultapiù seria, più buona, più pia.

Le braccia vi tendo e il mio cuore si apre

a voi, voi bimbi tra queste braccia.

E nelle vostre fronti puredepongo un bacio

che è una promessa.E le vostre manine

nelle mie maniavanziamo insieme verso la vita

verso la vostra, che della mia sarà

l'altissimo mio fine e scopo.Vorrei dare la luce

e la fede a chi soffre.A chi soffre e non spera,vorrei dare il mio cuore

a chi amore non ha.

I tuoi allievi ti ricorderanno

come una cara professoressa,

nel mio cuore sarai sempre la

“mia mamma di giorno”.

Ora sei lassù

e la tua mamma certamente

ti preparerà

il suo budino al cioccolato

del quale ero ghiotto”.

Così la ricorda

IGINO UDOVICICH

e devolve € 50 pro Arena

In ricordo del marito

SILVANO

nel XIX anniversario

della sua scomparsa

e della figlia

ELISABETTA

nel XXII della sua dipartita,

ANITA FRANCESCHINI

GROSSI devolve

€ 25 pro Arena

ASTORRE

e MARY MARACCHI,

profondamente addolorati

per la scomparsa del carissimo

amico

DINO FARAÒ

avvenuta a Milano

il 25 settembre scorso,

ricordano la sua fraterna

compagnia vissuta in gioventù

a Pola e quella sempre lieta

negli anni recenti assieme alla

sua cara moglie Renè Vera.

Esprimono

sentite condoglianze

al figliolo Antonio

ed agli altri familiari,

offrono in suo ricordo

€ 50 pro Arena

In ricordo della moglie

LUCINA NADDI,

ALDO RONDOLETTI

elargisce € 20 pro Arena

Per ricordare il caro

ANGELO DANESI,

la sorella GIANNA

offre € 70 pro Arena

Alla memoria di

don PIO CRISTIAN

cappellano della

Caserma “U. Botti”

di La Spezia,

TULLIO TULLIACH

offre € 50 pro Arena

Per onorare la memoria

della tanto amata sorella

LIDIA CECCARELLI

ved. PAVESI,

ADELFO CECCARELLI

elargisce € 30 pro Arena

In ricordo del caro marito

VINICIO LENZONI,

IRIS VANNI offre

€ 100 pro Arena

Profondamente addolorato

per la morte del carissimo

amico di tanti anni

VINICIO LENZONI,

ALBERTO DURIN lo ricorda

e devolve € 100 pro Arena

Per onorare la memoria

della cara compagna

di scuola media

NEVIA BONIVENTO,

IRIS VANNI

elargisce € 20 pro Arena

“Non si potranno mai credere morti coloro che vivono nei nostri cuori”.

Così ROSSELLA BARI

ricorda con tanto affetto

la MAMMA e il PAPA’

e offre € 100 pro Arena

In memoria

della sua carissima

MOGLIE

deceduta il 7 ottobre 1994

(XII anniversario),

VALERIO SALVAREZZA

elargisce € 70 pro Arena

In ricordo di

LICIA BILUCAGLIA

RIGAMO,

le cugine SILVA e FULVIA

BILUCAGLIA

offrono € 50 pro Arena

In ricordo della cara amica

LICIA BILUCAGLIA

RIGAMO,

UCCIO BOICO

devolve € 20 pro Arena

In memoria del

dott. VLADIMIRO

ZUCCONI,

EDDA ZUCCONI MASON

offre € 70 pro Arena

Nel XII anniversario

della scomparsa di

MARIO CASSINI,

la moglie PIERA lo ricorda

con infinito rimpianto

ed elargisce € 100 pro Arena

“Per tornare al suo mare ci ha lasciati

DINO FARAÒ,

(Pola 1922 - Lainate MI 2006)”.

Commossi

lo ricordano

i cinque figli,

il fratello ANGELO,

la sorella ANGELICA,

dieci nipoti e pronipoti

Per ricordare

la recente scomparsa di

NARCISO ARMANDO

DE VESCOVI,

avvenuta negli Stati Uniti,

le cugine ZORA MELZI,

SIRA CIPRIOTTI,

NEDDA FABRETTO

e MORENAAGOSTINIS

elargiscono € 60 pro Arena

In memoria

della scomparsa di

LIDIA ILLUSIG

avvenuta il 29 aprile 2006,

esule da Pola,

il marito SERGIO D'ECCLESIIS

devolve € 50 pro Arena

Per ricordare

i suoi adorati genitori

PIERINA MASSENICH

e ENRICO MILIA,

la figlia NERINA MILIA

devolve € 50 pro Arena

Errata corrigeSul numero di settembre

nella rubrica

“…INSIEME A UN FIORE”

veniva ricordata

dai figli, dalla sorella

e dal cognato,

MARIA SANFILIPPO

e non, come erroneamente

riportato, SANFILIPPA.

Nelresoconto del pri-

mo incontro dell'

ultima mularia de

Pola, pubblicato sull ' Arena

(1988), iniziavo con 1'espressio-

ne: “La pazza idea” (canzone di

Patty Pravo) de riunir l'ultima

mularia... Ora siamo nel 2006,

19° edizione del ritrovo, effettua-

to i giorni 8-9-10 settembre a Li-

gnano Sabbiadoro, presso il gran-

de Albergo Marin 1903, il primo

e più vecchio albergo della loca-

lità balneare friulana.

Forse per molti questo accenno

non avrà alcun significato; in

realtà non è un avvenimento di

grande importanza, ma, conside-

rato che molte iniziative, dopo le

prime edizioni, perdono la loro

importanza, si raffreddano e ven-

gono abbandonate, il nostro ritro-

vo che, invece, continua, ovvia-

mente con diverse partecipazioni,

conserva il suo piccolo e modesto

interesse. Quale interesse? Sol-

tanto quello di trascorrere qual-

che giorno insieme, una volta al-

l'anno, nel ricordo della nostra

giovinezza interrotta dagli avve-

nimenti della guerra e del dopo-

guerra, che ci hanno separati,

rompendo ciò che a quella età

aveva un enorme valore: 1'amici-

zia costruita nella contrada, a

scuola, in chiesa, nello sport; ci

hanno relegati a distanze insupe-

rabili, allora, ma in certe situazio-

ni ancora oggi.

II programma del

ritrovo ha avuto il

suo abituale svolgi-

mento, senza alcun-

ché di particolare:

1'arrivo, gli incon-

tri, la messa conce-

lebrata da padre

Germano (ultra no-

vantenne), il ceno-

ne, la prosciuttata e

... 1'arrivederci al

prossimo anno.

Una edizione quasi

di riflessione. Già,

l 'arrivederci al

2007, la 20° edizione: una rifles-

sione su come organizzare il

prossimo ritrovo, poiché sarà

quello del raggiungimento di un

traguardo, sinceramente, inspera-

to. Eppure è così, ci rincontriamo

da quasi vent'anni: bisognerà far

“festa grande”.

Per propria sod-

disfazione e altrui

informazione è do-

veroso affrontare

un altro argomen-

to: l'adesione al-

l'annuale ritrovo.

Si, è vero, salvo

scarse variazioni

annuali, i parteci-

panti sono sempre

gli stessi, o quasi.

Nei primi anni la

partecipazione raggiungeva il

centinaio e più di presenze; in

questi ultimi anni, a malapena, si

riscontrano una cinquantina di

adesioni, qualche coniuge (extra-

comunitario) compreso. Certa-

mente, negli anni, diversi muli e

mule ci hanno lasciato per “anda-

re avanti”, come dicono gli alpi-

ni: ne conto oltre cinquanta nel

mio modesto annuario, di cui una

trentina, negli anni, avevano par-

tecipato al nostro ritrovo. Ciò che

invece colpisce è 1'assenza, or-

mai prolungata, di

alcuni che ripeto,

alternativamente

negli anni, ci ave-

vano compiaciuto

della loro presenza;

sempre dal mio re-

gistro delle presen-

ze, ne conto alme-

no un centinaio, di

cui quasi la metà

abituali. Qual è il

moti-

v o ?

Certamente, i fatti

(se ben ricordo) de-

gli anni 1992/93

(diatribe sulle ri-

spettivi visuali,

zoccolo duro, rima-

sti, …) hanno pro-

vocato un abbando-

no, dovuto a scon-

tento o divergenza

di vedute che han-

no influito sul nu-

mero dei parteci-

panti. Ma in relazione ai quasi

abituali, questi non rientrano nel

motivo di cui sopra. Sicuramente

la propria salute, i genitori (chi ha

la fortuna di averli ancora in fa-

miglia), i nipotini ecc. incidono

su queste assenze. Ma vale pro-

prio per tutte? Possibile che cin-

quanta persone siano ammalate,

infortunate, abbiano problemi,

contemporaneamente e proprio in

quel momento? Non sarà per ca-

so la vecchiaia incipiente che af-

fievolisce il piacere ed il deside-

rio di incontrarsi una volta all'an-

no? L'allontanarsi sempre più dal

nostro tormentato passato ci fa

dimenticare chi eravamo, ciò che

abbiamo, chi più chi meno, sof-

ferto; non sentiamo più nell'ani-

mo quel romantico sentimento

che è l'amore (o forse lo era solo

un tempo = Dio, patria, famiglia)

per la Terra in cui abbiamo visto

la luce o, comunque, vi abbiamo

vissuto la nostra giovinezza?

Il ritrovo dell'ultima mulària,

dal suo esordio, è stato organiz-

zato sempre nel secondo fine set-

timana di settembre: questo or-

mai lo sanno tutti (ma non lo ri-

cordano). Ritengo che lo si po-

trebbe tenere in considerazione

nel programmare la propria "gita

fuori porta" di fine stagione esti-

va, almeno alternativamente ne-

gli anni.

Desidero ricordare che di anni

ormai ne abbiamo pochi a di-

sposizione e, se sussiste il pia-

cere di rivedere ancora l'amica

mulària di un tempo, bisogna

darsi da fare.

Tutto ciò non viene esternato

per interesse; il ritrovo, finché ci

sarà la salute, avrà luogo con

qualsiasi numero di adesioni:

100-70-50-30. Se in tanti, ci sarà

più lavoro organizzativo, ma non

di certo vantaggi personali.

Quanto detto, vuole essere sol-

tanto uno sprone a muovere "i

crachi" finché c'è tempo e in pre-

visione del raggiungimento del-

l'ambito traguardo della ventesi-

ma edizione. Bisogna festeggiar-

la … in tanti.

Roberto Giorgini

PAG. 12 L’ARENA DI POLA N. 10 del 30 ottobre 2006

L’ARENA DI POLAPeriodico dell’Associazione del

“Libero comune

di Pola in Esilio”

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Silvio Mazzaroli

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Marina Rangan Minisci,

Piero Tarticchio, Veniero Venier

e Lino Vivoda

Stampa:

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via Malaspina, 1 - Trieste

19° RITROVO DELL’ULTIMA MULARIA DE POLA

Se anche in sta vita

se vien e se va...

CO XE RIVADO L'ESODO

VALIGIA E SEMO 'NDAI

MILAN, TORINO, NAPOLI,

MESSINA, PARAGUAI.

BONA DE DIO

CHE ANCA L'AUSTRALIAN

XE LINGUA CHE SOMIGLIA

AL NOSTRO POLESAN.

SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA

LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)

SENSA DIMENTICARSE

DE QUEL CHE XE PASSA'

NO PROVO RABIA O ODIO

PER QUEL CHE XE RESTA'…

MA MI ME RABIO

SE UN DRUSE POLESAN

VOL DARME, LUI CROATO,

LESSIONI D'ITALIAN.

SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA

LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)

A OGNI NOVO INCONTRO

XE CHI NO GHE XE PIU'

E TANTI NE SALUDA

LASSU' DAL CIELO BLU.

LI RICORDEREMO

NOI VECIA GIOVENTU'

ANCA SE SOLO I ARGANI

ADESSO NE TIEN SU.

SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA

LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)

EL SINDACO IN ESILIO

XE 'DESSO UN MILITAR

'BITUADO A DAR BATAGLIA

A ROGNE DE GRATAR.

EL NE GA DITO

SERCHEMO DE CAPIR

RESTANDO QUEI DE SEMPRE

VARDANDO A L'AVENIR.

SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA

LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)

FININDO NOI VOLEMO

A POLAANCOR BRINDAR

ALA SUA MULARIA

AL NOSTRO CARO MAR.

DUE PROIBISSIONI

CANTANDO DE STONAR

E COL TI TE RICORDI

DE METERSE A FRIGNAR.

SE ANCA IN STA VITASE VIEN E SE VA

LA 'RENA PER SEMPREA POLA STARA' (ripetere)

di DANILO COLOMBO

canzone per l’“Ultima Mularia”, da intonaresull’aria del “Tram de Opcina”