corrente. le parole della vita

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Pizziolo, M & Sgarbi, V 2008, Corrente. Le parole della vita, Skira, Milan. The catalogue of the major retrospective dedicated to the Corrente movement, held in Milan at Palazzo Reale. In 1943, when the nightmare of bombing threatened Milan, Ernesto Treccani, founder of the movement, wrote: “In my mind I have a painting, which must be full of life and death. Black, white, grey, and some red, like lightning. We must speak the words of life to men”.

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La giovinezza non è mai un’esperienza facile. Nutrita da un passato troppo breve e bruciata

da un’aspettativa di futuro, avvertita prepotentemente come legittima, che confonde deside-

rio e realtà, in un’improponibile, ma vantata equivalenza di volontà e possibilità, destinata

purtroppo il più delle volte a misurarsi con il metro corto degli anni e le realizzazioni ap-

prossimative che la vita ci concede. Gli eroi non dovrebbero essere longevi.

Se essere giovani non è mai semplice, l’esperienza dei ragazzi che si ritrovarono attorno

alla redazione di “Corrente” a combattere sulla barricata della modernità era complicata

dall’oggettiva difficoltà e pericolosità dei tempi. “[…] in una strada senza vento inoltri / la

giovinezza che non trova scampo”, aveva scritto Vittorio Sereni, in una poesia che poi sa-

rebbe stata pubblicata nella silloge Frontiera, dalle Edizioni di Corrente1. Era il 1941 e la ri-

vista “Corrente” aveva già cessato le sue pubblicazioni, dopo soli due anni di vita: dal gen-

naio 1938 al giugno del 1940. La sua virata, dall’iniziale ortodossia alla fronda e quindi a

una posizione di rifiuto ideologico, per quanto nelle forme ammesse dalla censura, era stata

tollerata dal regime, anche grazie all’intercessione politica del senatore Giovanni Treccani

degli Alfieri, padre del giovanissimo fondatore della rivista. Era stata però giudicata inam-

missibile la pubblicazione sulla prima pagina di “Corrente” di un brano di Carlo Cattaneo

che argomentava sull’inutilità di ogni guerra, anche se vinta2. Era il 31 maggio 1940. Dieci

giorni dopo l’Italia entrava in guerra.

Su quale avrebbe potuto essere l’esito della Seconda guerra mondiale, se Mussolini

avesse accolto l’idea di Giovanni Treccani degli Alfieri, vale la pena aprire una parentesi.

Treccani, infatti, nel 1923 aveva proposto al duce di istituire a Roma una cattedra per tale

Albert Einstein, che si stava affermando in Germania. Ma Mussolini non volle, giudicando

lo scienziato “un senza patria”3.

Ma se Giovanni Treccani, partito come operaio per la Germania e in pochi anni dive-

nuto proprietario di un impero tessile che dava lavoro a quasi quindicimila operai, mecena-

te, fondatore dell’Istituto Enciclopedico che ancora porta il suo nome, è stato senza dubbio

un uomo geniale, non da meno è stato suo figlio Ernesto. Quella di Ernesto Treccani, infat-

ti, è stata un’avventura culturale straordinariamente precoce. A sedici anni è già iscritto al

Politecnico, alla facoltà di ingegneria, dopo aver fatto i tre anni del liceo in uno solo. A di-

ciassette anni, come regalo per i successi scolastici, chiede al padre i mezzi per aprire un

giornale. Fonda così il quindicinale “Vita Giovanile”, che assumerà poi il titolo di “Corren-

te”: rivista che sarà la palestra culturale di un’eccezionale élite intellettuale. Sul foglio la suc-

cessione di firme ha, infatti, dell’incredibile. Da Giulio Carlo Argan ad Alberto Lattuada, da

Antonio Banfi a Luigi Comencini, da Carlo Emilio Gadda a Salvatore Quasimodo, da Vasco

Marina Pizziolo “Dobbiamo parlare agli uomini le parole della vita”

1 V. Sereni, Compleanno,in Frontiera, Edizioni diCorrente, Milano 1941.2 C. Cattaneo Della miliziaantica e moderna, in“Corrente”, 31 maggio1940.3 La vicenda è narrata inuno scritto di GiovanniTreccani, conservato negliarchivi della FondazioneCorrente, a Milano.

Ennio Morlotti, Studio per la copertina di “Uomini e no” di Elio Vittorini, 1945

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Pratolini a Umberto Saba, da Alfonso Gatto a Giancarlo Vigorelli, da Enzo Paci a Elio Vit-

torini. “Bisogna pensare alla situazione assurda in cui mi trovavo”, dichiarerà Treccani, “di-

ciassettenne direttore di giornale, a capo di una redazione e di una rosa di collaboratori pre-

paratissimi: praticamente ogni giorno imparavo qualcosa e mi trovavo già nella condizione

di doverlo scrivere”4.

“Corrente”, comunque, non sarà solo il luogo privilegiato del risveglio politico di tutti

questi giovani eccellenti. Non conoscerà solo una virata ideologica, numero dopo numero.

La peculiarità di questo giornale è proprio la riconoscibilità al suo interno di una profonda

diversificazione di tracciati ideologici. In una nota redazionale apparsa sul secondo numero

si legge: “La nostra parola d’ordine è ‘migliorare sempre’. Come la vita, il giornale che la ri-

flette è un continuo divenire”5. E sul quinto numero, in una nuova nota, questo intento vie-

ne ribadito: “Non bisogna però tacciare di vuoto eclettismo questa disparità di giudizi: il

nostro giornale deve creare un movimento che andrà a poco a poco maturandosi: è dall’urto

delle opinioni che uscirà la ‘tendenza equilibrio’ che noi cerchiamo e che adotteremo, sem-

pre tuttavia rifiutandoci di sottoporre i collaboratori a uno schema mortificante di modi di

pensare ammessi”6.

Sulle pagine di “Corrente”, dunque, i percorsi dei singoli autori si intersecano, si so-

vrappongono, spesso in una reciproca elisione di contrapposte tensioni ideali. Del resto, il

segreto della durata di “Corrente” è non solo nella protezione politica offerta dal padre di

Ernesto Treccani, ma anche in questa polifonia culturale. Su “Corrente” trova spazio sia Eu-

genio Curiel7, allora dirigente del Centro Interno Socialista, sia un esponente del patriziato

lombardo come Gian Paolo Melzi d’Eril. E vi si può leggere sia un articolo del senatore

Treccani sulla Funzione sociale della ricchezza8, dai toni liberali, sia un articolo di Raffaele

De Grada su L’U.R.S.S. e le democrazie occidentali9 che temerariamente arriva a rimprovera-

re ai governi democratici l’errore di aver appoggiato il nazifascismo in funzione antibolsce-

vica, sottovalutando “il pericolo fascista”.

L’ortodossia politica di facciata, garantita dalla presenza fino all’ultimo numero del redat-

tore capo Antonio Bruni, si incrina con l’ingresso in redazione, a partire dal sesto numero, di

Raffaele De Grada, già collegato al partito comunista, di Vittorio Sereni e Dino Del Bo che, a

metà del 1939, avvierà una riflessione profondamente critica sulla necessità di mediazione tra

cattolicesimo e fascismo. Questo mentre, numero dopo numero, Ernesto Treccani, giovane

esponente dell’alta borghesia, compie la sua maturazione politica, che lo porterà nel giro di

poco più di due anni a rinnegare il fascismo, in cui aveva sinceramente creduto, per entrare

nelle fila del partito comunista. Se nel gennaio del 1939 Treccani rivendica ancora la possibi-

lità di essere fascista senza abdicare alla propria libertà di pensiero, affermando “Mussolini ha

detto: ‘Ubbidire. Credere. Combattere’; ora, tutti ubbidiscono, parecchi credono, pochi com-

battono. Vi dirò cosa intendo per ‘combattere’: sarà l’equazione eguagliata al termine ‘pensare

con la propria testa senza pregiudizi’”10, un anno più tardi, sull’ultimo numero del giornale,

dovrà amaramente riconoscere: “A quei tempi credevo ancora alla libertà della mia testa:

grossa ingenuità!”11. E sarà proprio Treccani, nei suoi corsivi, ad avviare una severa critica del-

l’Italietta fascista, che sarà l’espressione più viva del suo avvenuto distacco dall’ortodossia dei

suoi esordi giornalistici: “Perché a volte si sente che così non può andare innanzi: che si ha vo-

glia di ridere, di piangere, di parlare con parole comuni dello stupore di un cielo troppo az-

zurro, di dire ‘sì’ e ‘no’ e non sempre ‘forse che sì forse che no’, e poi di sbagliare, ma di slan-

4 Corrente e oltre. Operedalla Collezione Stellatelli:1930-1990, a cura di M.Pizziolo, Charta, Milano1998, p. 89.5 Nota senza titolo e firmain “Vita Giovanile”, 1febbraio 1938.6 Nota senza titolo e firmain “Vita Giovanile” 31marzo 1938.7 Eugenio Curiel, con lopseudonimo di Pangloss,pubblicò La funzionerivoluzionaria delsindacato sul numero di“Corrente” del 15 maggio1939. Poco dopo lapubblicazionedell’articolo fu mandatoal confino a Ventotene.Durante la Resistenzacreerà il Fronte dellaGioventù e nel 1945 saràucciso a Milano.8 In “Corrente”, 31maggio 1939.Nell’articolo si legge:“L’industria, nobilmenteesercitata, non è unsemplice affarismo, maelemento di progresso edi benessere, perchéapplica i ritrovati dellascienza rendendoli utiliall’umanità e organizza illavoro rendendoloefficiente come forzanazionale. […] Le cosegrandi richiedono grandirischi e gradi sforzi: laricchezza privata è la piùadatta ad affrontare talisforzi e tali rischi. Il suointervento può essereprovvidenziale, specie nelcampo della cultura edell’assistenza”. 9 Radeg (pseudonimo diRaffaele De Grada) in“Corrente”, 15 ottobre1939. “La coalizioneliberale-socialista pensò inun primo tempo che ilFascismo fosse la migliorearma antibolscevica.Questo atteggiamentocontinuò fino a quandocostoro non si accorserodel ‘pericolo fascista’ ilche sul piano internoavvenne quando il potereera già virtualmente inmano del giovanemovimento”. L’articolometteva in guardia controil pericolo di un’egemonianazifascista sull’Europa,domandandosi se il pattorusso-tedesco non fosse in

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cio, come una macchia improvvisa, come uno squarcio non rattoppato! E poi odiare le con-

venzioni, i grandi idoli di cartapesta, di cui non si può parlar male per tema di scomunica, i

grandi piccoli nomi che si puntellano a quelli con grandi genuflessioni e copiano, ricopiati, i

correligionari, di reale valore, il tutto in un bisbiglio di giudizi appena iniziati per paura di

mostrarsi contrari all’interlocutore, in un acre odore di sacrestia”12.

Una delle battaglie di “Corrente” sarà quella della libertà dall’ossequio ai miti culturali

nazionali. La scelta della modernità che, come sostiene appassionatamente De Grada, “non

è argomento di forza di una minoranza faziosa, ma argomento etico di una minoranza pro-

gressiva”13, è una scelta che, come esclude la possibilità di isolare in circoscritti moti regio-

nali la dialettica delle arti – secondo la politica delle mostre sindacali – esclude quella di re-

stringere l’orizzonte culturale all’Italia. “Per la prima volta guardammo in modo nuovo all’I-

talia”, scriverà Antonello Trombadori, “isolata dal resto del mondo, tristemente percossa da

uragani di retorica, tristemente ancorata alle sue viltà borghesi, tristemente benedetta dai

suoi aspersori papali”14. Guardare all’Europa è una necessità che troverà su “Corrente” una

difesa coraggiosa, a tratti temeraria. Come quando Raffaele De Grada arriverà a sostenere

che la capitale della cultura italiana era Parigi e non Roma, insorgendo contro la campagna

di “autarchia intellettuale” intrapresa da alcuni scrittori perché il governo ponesse una limi-

tazione di legge al numero delle traduzioni pubblicabili in Italia, in modo che tale numero

fosse adeguato alla produzione intellettuale italiana. De Grada stila un lungo articolo, Au-

tarchia intellettuale… e altre cose15, in cui prende posizione contro questa campagna “viziata

alla base da uno spirito d’oscurantismo così scandaloso, da far rabbrividire”, e avverte che

“pestare i piedi e rumoreggiare e tuonare non valgono a nulla contro lo spirito stesso, il qua-

le valica le frontiere in barba a tutti e a tutto, e reagisce solo se gli si opponga altro spirito”.

Le idee si combattono con le idee “e non c’è da far assegnamento su una politica doganale

che non può portare se non all’acrimonia e all’isolamento”. De Grada proseguiva quindi nel

dimostrare non solo l’inutilità, ma addirittura la dannosità di una protezione legale del pen-

siero: perché il problema per gli scrittori italiani era quello di trovare la via per arrivare al

cuore del pubblico che, non certo in ragione della semplice presenza sul mercato librario,

continuava a preferire la letteratura straniera.

Per dare nuovo respiro alla letteratura italiana occorreva, invece spalancare le finestre e

far entrare il canto dei poeti: anche di quelli che erano stati ridotti al silenzio. Sulle pagine

di “Corrente” arrivano così in Italia le prime traduzioni di García Lorca. Se sulla questione

della guerra di Spagna il giornale non aveva che riecheggiato le posizioni del regime, con

due articoli perfettamente allineati16, come non dare un significato politico alla pubblicazio-

ne dei versi del poeta spagnolo fucilato dai franchisti: “Prato mortale di lune / e nella terra

sangue. / Prato di sangue antico”17? O dei versi di Jiménez o di Machado, che aveva dovuto

abbandonare la Spagna allo scoppio della guerra civile? E allo stesso modo, come non dare

un significato politico alla pubblicazione delle poesie di Eluard, Eliot o Yeats, proprio men-

tre era in corso una feroce campagna denigratoria contro Francia e Inghilterra, indicate co-

me bieche “plutocrazie occidentali”? Certo, non era una presa di posizione politicamente

esplicita, che del resto la censura avrebbe subito represso, ma era la provocatoria afferma-

zione delle ragioni di un pensiero che ci si ostinava a volere libero. Difendere la libertà della

cultura era il mezzo per assaporare la libertà: che poteva vestire il lutto squarciato di luce di

Guernica18, l’acqua delle parole di Hemingway, la nuova musicalità di Béla Bartók.

effetti che il tentativo diHitler di “cambiaretattica per tentare direalizzare sul pianointernazionale ciò che iconati rivoluzionari nongli hanno ancora dato”. 10 E. Treccani, Nostri scopipresenti e futuri, in“Corrente di VitaGiovanile”, 31 gennaio1939. 11 E. Treccani, Commenti,in “Corrente”, 31 maggio194012 E. Treccani, Gustipolemici, in “Corrente”,15 novembre 1939. 13 R. De Grada, Moltiastratti e un surrealista alMilione, in “VitaGiovanile”, 15 aprile1938. 14 A. Trombadori, Spagnanel cuore, in “IlContemporaneo”, n. 29,21 luglio 1956. 15 In “Vita Giovanile”, 30aprile 1938. 16 Vedi: A. Bruni, Ilriconoscimento di Franco,in “Vita Giovanile”, 1°gennaio 1938 e C.Belingardi, Il nuovonazionalismo spagnolo, in“Vita Giovanile”, 30aprile 1938. 17 F. García Lorca,Canzone della mortepiccina, traduzione di L.Panarese, in “Corrente”,15 gennaio 1940. 18 Guttuso raccontal’importanza simbolicache Guernica rivestì pertutto il gruppo diCorrente: “Nel 1938Brandi mi inviò unacartolina con lariproduzione di Guernica.La tenni nel mioportafoglio sino al ’43,come una tessera ideale diun ideale partito”, inGuttuso, Mestiere dipittore: scritti sull’arte e lasocietà, De Donato, 1972,p. 62. Ricordando leserate passate in casa DeGrada negli anni diguerra Vedova scriverà:“C’erano con noi, giàgrandi e sviluppate, lefotografie di ‘Guernica’, e‘Guernica’ veniva a farparte della storia italiana.A ‘Guernica’ ciispirammo, a ‘Guernica’domandammo le parolepiù forti, l’impeto più

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A un regime che aveva esteso la trama del suo controllo fino a invischiare qualsiasi ma-

nifestazione della vita sociale, a un regime che voleva declinare ogni espressione del pensie-

ro – perché in un’Italia fascista non poteva esistere altro che un’architettura fascista, una let-

teratura fascista, una pittura fascista – gli artisti di “Corrente” oppongono un’arte libera.

L’arte non può essere lo schermo della verità rivelata dal regime, deve saper trovare la verità

in un confronto appassionato con il reale. L’aveva argomentato il filosofo Antonio Banfi,

sulle pagine della rivista: “L’arte non conosce altra norma, altra tradizione che la sua vita

[…]. L’arte è oggi in crisi, come è in crisi la cultura tutta; ma crisi è vitalità più intensa che

percorre – come a primavera – le radici stesse dell’essere. L’arte vuol vivere e la vita è una

cosa sola con la libertà”19.

L’equivoco della vita: quante volte questo termine, in apparenza apodittico, è stato as-

sunto da sistemi ideologici ansiosi di arrogarsi l’assolutezza dell’essere. Anche l’ideologia fa-

scista inizialmente si era proposta come vitalistica: ma in un regime totalitario la retorica

della vita affoga fatalmente nella retorica dello Stato, in cui l’individuo si annulla. Non a ca-

so, al di là della sua nebulosa mistica, quando il fascismo parla di vita, chiama la vita fisica,

la vita come luogo del corpo, sportivo perché forte, forte perché militare. Così come il mito

della salute è il corridoio mentale per giungere alla sanità della razza. La vita rivendicata dai

cantori di “Corrente” è, invece, la vita come luogo del sentimento, accadimento breve che si

nutre del tempo. Non il tempo sovrumano delle realizzazioni collettive, non il tempo politi-

co, ma il tempo etico. Non il tempo della presunzione della ragione, ma il tempo dell’auda-

ce irragionevolezza della passione. Dunque, libertà è anche la possibilità di accordare la

propria vita, la propria arte, alle ragioni del cuore. Se l’edificio crociano dell’unità spirituale

aveva continuato a tenere severamente distinte l’etica dall’estetica, la logica dalla pratica, è

ora il tempo della passione della ragione, della bellezza morale, perché “in arte, come altro-

ve, il problema è un problema d’etica. Bisogna rivalorizzare la persona umana. La qualità

dell’invenzione stessa è a questo prezzo”. Davanti al “dramma quotidiano” non è più possi-

bile abbandonarsi a un beota ottimismo “senza dimetterci dalla nostra posizione di uomi-

ni”20. La contestazione della “pattuglia di Corrente”, salita sulla barricata della modernità,

non può dunque fermarsi al dato formale. Perché le ragioni di questa contestazione “non

sono ragioni di pura forma o colore”, ma riguardano invece “prima di tutto un’evoluzione

di sentimenti”21. Il problema linguistico, che aveva fino ad allora monopolizzato l’attenzione

critica, minacciando “di fossilizzare quei contenuti umani di cui il linguaggio è l’unico inter-

prete ma non l’unico pacificatore”22, mette in guardia De Grada, davanti alla volontà di rap-

portare il discorso artistico alla vita, scade a strumento del dire. “Quando l’arte sia veramen-

te creazione e non mestiere”, continua De Grada, “quando creazione sia necessariamente

novità e novità d’arte, rivoluzione spirituale; allora preoccupiamoci, oltreché dei mezzi di

linguaggio per rivelare noi a noi stessi, per conoscere noi stessi attraverso le immagini della

nostra fantasia, anche del processo civile nella sua complessità, perché i rapporti del fatto

arte col fatto totale siano più chiari, per acquistarne piena coscienza”23.

Questo è il neo-romanticismo degli artisti di Corrente: questo loro guardare alla storia

non come mito in divenire, secondo l’alibi neoclassico di Novecento, ma come realtà che il

ritratto può modificare, in un coinvolgente gioco di specchi. Il fascismo non sapeva che far-

sene di un’arte chiusa nel suo imperterrito solfeggio formale, come non sapeva che farsene

di un’arte persa nel dedalo cerebrale dell’astrazione, dove la vita si era prosciugata. Voleva

deciso” in E. Vedova,Pagine di diario, GalleriaBlu, Milano 1960, p. 23. 19 A. Banfi, Per la vitadell’arte, in “Corrente”,28 febbraio 1939. 20 M.G., Arte e pubblico,in “Vita Giovanile”, 30aprile 1938. 21 G. Ferrata, Bartolini,Cézanne e gli ermetici, in“Vita Giovanile”, 31maggio 1938. 22 R. De Grada, Invito alladiscussione, in“Corrente”, 31 gennaio1940. 23 Ibid.

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un’arte realista: ottenne un’arte che elevò il quotidiano alle gelide soglie del mito o un’arte

di scadente illustrazione. Un’arte realista, capace di attingere al reale non per proporne una

banale riproduzione, ma per modificarne la visione, riuscì invece agli oppositori che, al ripa-

ro dagli “uragani di retorica” del regime, respiravano avidamente il vento delle cose.

Un aggressivo realismoL’aspirazione della generazione di “Corrente”, come scrive Morosini, è dunque a un “ag-

gressivo realismo”24. De Grada puntualizzerà che l’idea unificatrice dell’esperienza di “Cor-

rente” è stata la convinzione “che la rivoluzione romantica non fosse ancora conclusa defini-

tivamente; che i contenuti di libertà che l’avevano animata erano ancora da esaurire; e che

quella rivoluzione, per continuare e concludersi, doveva essere ricondotta alle origini. Il pro-

cesso verso l’astrazione era stata la sua involuzione. Il progresso verso il realismo sarebbe stata

la sua evoluzione”25.

Il realismo di Corrente, inteso come pensiero pittorico del vero, liberato dalle pastoie

del naturalismo e del provincialismo che avevano segnato tanta arte dell’Ottocento italiano,

deve però fare i conti con il fatto che in Italia, dal 1926, un’opera apertamente antifascista

non solo non si poteva esporre, ma costituiva reato. Sarà questa la ragione che impose a chi

aveva abbracciato una poetica che pretendeva di saldare l’etica all’estetica di servirsi del tra-

slato simbolico, quando il contenuto avrebbe rischiato di far calare sulla sua opera il velo

della censura. La religione e il mito, con la loro figurazione fortemente evocativa, forniranno

quindi i codici di accesso alla dimensione dell’opposizione ideologica. Come però sottolinea

De Grada, Corrente ha il grande merito di aver tolto “il mito alle imbolsite metafisiche del

novecentismo ponendolo al servizio dell’uomo”26.

L’opzione realistica, per gli artisti di Corrente, è comunque qualcosa di molto lontano

dalla piatta traduzione veristica. Già nel primo numero di “Vita Giovanile”, il titolo con cui

la rivista appare per la prima volta in edicola, Arnaldo Badodi aveva confutato il presuppo-

sto naturalistico di un vero oggettivo: “Cos’è questo vero che si richiede all’artista, altro che

una banale espressione che vorrebbe richiamarlo a un ordine apparente? Essendo i rapporti

esistenti tra la natura e gli uomini tanti quanti sono gli uomini, giacché ogni individuo riceve

emozioni particolari relative alla sua complessità morale, è evidente che non è possibile am-

mettere in arte un vero categorico ed unico. Ma se non possiamo ammettere un vero assolu-

to possiamo bensì parlare del mondo reale dell’artista. Ma la realtà dell’artista, che è la natu-

ra da lui sognata e quindi espressa, non è altro che ciò che egli rappresenta su una tela od

attraverso una scultura: è quindi ciò che egli fa. Ne deriva che la deformazione è un princi-

pio fondamentale dell’arte; e la deformazione – come volgarmente su usa dire oggi – non

equivale ad abbrutimento”27. Il ritorno all’ordine, invocato dai sostenitori di un’arte tesa ad

esibire “una evidenza estetica” era quantomeno sconcertante: “L’arte è un’ascesa (e non un

ritorno)”28, concludeva Badodi.

All’inconfutabile evidenza formale dei depositari della verità, gli artisti di Corrente op-

pongono quindi la vibrazione della linea, lo sfarfallio del colore. All’ottusa plastica muscola-

re dei titani chiamati dal dittatore, oppongono l’antiretorica delle loro forme umane abbre-

viate. All’orbace nera oppongono il fremito della pelle nuda. I maestri a cui guardare sono

gli espressionisti tedeschi, capaci di flettere il reale con l’esuberanza dell’emozione, e gli im-

pressionisti, con il loro insegnamento di “moralità e di libertà espressiva”29. De Grada, in

24 D. Morosini, Appuntosu Soffici, in “Corrente”,15 febbraio 1940. 25 De Grada, Ilmovimento di Corrente,Edizioni di CulturaPopolare, Milano 1975, p. 25. 26 Introduzione di R. DeGrada in ErhardFrommhold, Arte dellaResistenza. 1922 - 1945,La Pietra, Milano 1970,pp. 12 e 13.27 A. Badodi, Pittura ePubblico, in “VitaGiovanile”, 1° gennaio1938. 28 Ibid.

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una lunga recensione della Biennale di Venezia del 1938, enuncia il suo credo realista: “Se

l’arte ‘bella’ è morta, secondo la profezia di Hegel, non per questo è morta l’arte che si è ar-

mata e si sta armando per dare una forma eterna ai nuovi dilaganti contenuti di vita. E che

questa vita dilaghi, che questo fiume in continuo divenire per il fluire stesso delle acque

straripi e rompa gli argini, questa è la nostra continua speranza, e ci bagni della sua acqua

sempre nuova. Soltanto quando avremo assaggiato la sua acqua noi lo conosceremo e lo sa-

premo di nuovo arginare senza più temerlo con la paura del selvaggio più o meno bene edu-

cato. Che i chierici tradiscano e si sprofondino nei nuovi contenuti di realtà forti del diritto

di arbitrio che non può essere se non libero. In questo senso noi crediamo che il realismo

presieda al rinnovamento dei popoli e delle civiltà e la astrazione alle decadenze. Ma la no-

stra vuole essere la realtà profonda, quella che alla macchina è muta e che risponde soltanto

all’evocazione dell’uomo”30.

Il rapporto tra critici e artisti, nel caso di Corrente, è stato singolare. L’implicazione de-

gli uni e degli altri, la partecipazione a qualcosa che con lucidità era avvertito in divenire,

rende oggi difficile capire se l’affermazione del credo realista ha preceduto o seguito

l’affiorare dalle opere di un’identità linguistica nel segno della realtà. Sono stati i critici a in-

stillare negli artisti l’esigenza di un’appassionata coerenza tra arte e vita, che non poteva che

esprimersi nel linguaggio della realtà? O sono stati gli artisti con i loro quadri “pregni, scot-

tanti e abbandonati”31, come li definirà Ennio Morlotti, con le loro opere, “bolle crepitanti

da una lava colorata”32 secondo le parole di Treccani, a suscitare una riflessione critica dal

valore propositivo, fondante?

Certo è che il movimento di Corrente non è nato dalla promulgazione di un manifesto.

La più compiuta espressione della poetica del gruppo è affidata, infatti, ai numeri speciali del-

la rivista, usciti in occasione delle due grandi mostre organizzate a Milano, nel 1939, proprio

per fornire una serie di immagini di riferimento alla polemica avviata in campo artistico33.

La finalità della prima esposizione, volta a esplorare con un taglio dichiaratamente ten-

denziale la scena artistica milanese, viene indicata nella volontà di evidenziare uno scopo

morale “di protesta contro quanti si trastullano in un impossibile idillio, contro quanti guar-

dano all’antico con la compiacenza del pigro che si sente lusingato nella sua pigrizia e finge

la enfasi del forte a ragion veduta, contro quanti infine guardano alla realtà con gli occhi di

tutti per compiacere tutti”34. Ma sarà la seconda mostra, questa volta a carattere nazionale, a

offrire la possibilità di una precisazione di intenti. Una lunga nota redazionale, posta sotto il

titolo Continuità, chiarisce le ragioni dell’insistenza sul realismo, che era a base della pole-

mica artistica intrapresa dalla rivista. “[Il realismo], questo sì, era un problema che soprat-

tutto preoccupava noi giovani, perché condizione delle nostre certezze spirituali era un libe-

ro esame di quella ‘realtà’ che si andava creando intorno a noi, ‘realtà’ che noi dovevamo

conquistare con le nostre forze per sentirla veramente nostra, senza incertezze”35. Sempre in

prima pagina, un articolo di De Grada ha valore di manifesto estetico: “Di fronte poi alle

eventuali accuse di eclettismo o di faziosità invitiamo a considerare il nostro concetto di una

aristocrazia spirituale che non può pretendere d’incidere aprioristicamente su una cultura,

ma deve da questa stessa cultura nascere siccome il fiore dalla terra per germinazione spon-

tanea. Con ciò si rientra nel naturale concetto di un superiore ‘realismo’ che accoglie per

esempio tutte queste diverse forme di interpretazione spirituale che noi qui abbiamo raccol-

te. È questa la nostra Corrente, quella che si deve formare spontaneamente per un naturale

29 R. De Grada, L’artecontemporanea in Italiaalla XXI Biennale diVenezia, in “VitaGiovanile”, 30 giugno1938. 30 Ibid. 31 E. Morlotti, Ci siriconobbe tra i tanti, in“Realismo”, numeromonografico dedicato allaResistenza, n. 2, marzo-aprile 1955.“Ripensandoci ritengoche la cosa piùimportante di allora fosseil principio corale.C’erano giovani chestavano insieme e sistimavano, credevanoall’autonomia di unagenerazione, avevano lacoscienza dellaminoranza. Disprezzava laburocrazia e l’ufficialità,si opponeva all’indecenzae alla menzogna, premevasulle regioni della poesia estimolava la dignitàindividuale . Era“Corrente” controcorrente. […] Io nonpensavo neanche allorache tutto fosse oro colato,però ognuno di questigiovani avrebbe datoanche la camicia a chi nonl’aveva e aveva veramenteuno sprezzantedisinteresse. […] i loroquadri erano pregni,scottanti e abbandonati”.32E. Treccani, Arte peramore, Feltrinelli, Milano1978, p. 224. “La nostrapittura della generazioneantifascista, in tutti glianni dal ’30 al ’45 ha fattobolle crepitanti da unalava colorata al cui fondostava la rivoluzione,guerra e morte anche sepoi i colori erano ditenere colline o di lucifredde sui vetri”. La notaè datata 1965. E cfr. latestimonianza diTreccani, ivi, pp. 35-36:“Nel pomeriggioMorosini viene a vedere laFucilazione, l’autoritrattoecc. Trova della retorica,specie nella parte disinistra del quadro grandee nell’autoritratto. Evitarela magniloquenza:attenzione almichelangiolismo. Moltaaltra gente vede il quadro;i giudizi sono diversi, tutti

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impulso storico alla successione spirituale

della cultura nelle sue diverse manifestazio-

ni. Essa ripudia l’equivoco morale (‘giocare’

all’arte e alla cultura è redditizia funzione

della maffie dello spirito), così come ripudia

l’astensionismo egoistico di chi vorrebbe un

monachesimo moderno con sacrilego rinne-

gamento dei valori della vita”36.

Ormai l’urlo che aveva infranto la linea

baldanzosa dell’arte imperiale in una vibra-

tile esperienza delle forme deve giungere al

cuore delle cose. Se l’arte si è ricongiunta

alla vita, deve abbandonare il suo silenzio

scontroso. Lo annuncia la riproduzione, nel

numero catalogo della seconda mostra, di

due opere che non saranno invece esposte.

L’impiccato di Domenico Caputi, dove il

messaggio è blandito dall’identità del marti-

re, un gallo, e una Fantasia di Mafai, con

l’accanirsi armato di uomini scuri contro

corpi nudi, inermi. L’urgenza espressiva di

Corrente, dopo aver corroso le forme, in-

tacca la sostanza delle cose, il racconto della

realtà. L’esigenza contenutistica, che assume

accenti sentimentali nelle parafrasi di Birolli

sulla città37, viene argomentata coralmente

sulla rivista dagli interventi di Cantoni, Mo-

rosini, De Grada38, Bini, Formaggio, che si susseguono nei mesi precedenti la seconda mo-

stra. Se Sandro Bini, in una nota su Courbet, indica il realismo come la “prima conversione

storica” della rivoluzione romantica “in un risultato civile”, per aver saputo opporre “al ca-

rattere eroico del romanticismo” “un programma di nuove aderenze alle responsabilità della

vita quotidiana”39, Dino Formaggio allarga la corresponsabilità morale del fatto artistico a

tutti, giacché “tutti, fatti uomini di buona volontà, dobbiamo lavorare con coscienza ed in-

transigenza insieme all’instaurazione dei veri valori spirituali”40.

Le coordinate di un’identità Ma nemmeno sull’identità di Corrente come matrice stilistica c’è parere unanime. De Gra-

da, ad esempio, ha sempre sostenuto il primato del contenuto su quello della forma. Affer-

mazione che si salda alle ragioni morali di un movimento che si identifica in un reale proget-

to di rinnovamento della società. “Il richiamo alla vita, alla concretezza del reale era per noi

continuo”, scriveva nel 1975, “con tutte le contraddizioni che essa tuttavia comportava (le

esaltazioni e le viltà, la prospettiva del domani e lo scoraggiamento dell’oggi, l’idea della

moralità assoluta e la falsa coscienza del fascismo)”41. D’altra parte, al di là delle presunzioni

teoriche, un esame delle opere non può che confermare la sua tesi. Non è sicuramente lo sti-

mi sembrano disorientati.I disegni invece piaccionomolto. Aspetto il giudiziodi Bruno [Cassinari] e diEnnio [Morlotti], speciedi Ennio”. La nota èdatata luglio 1943.33 La prima si aprirà il 18marzo, al Palazzo dellaPermanente, sulla sceltadella sede influì il fattoche il conte GiovanniTreccani era in queglianni Presidente dellaPermanente, la seconda,si aprirà invece il 15dicembre alla GalleriaGrande al numero 2 di viaDante. Sarà proprioquesta seconda mostra aillustrare il fronte artisticoche era andatoformandosi attorno allarivista. Il nucleo storicoformato da Birolli,Cassinari, Migneco,Badodi, Cherchi, Valenti,si arricchisce di alcunielementi romani comeGuttuso, Mafai eFranchina. A questi fannocorona alcuni dei vecchicompagni di strada,Genni, Manzù, Mucchi,Cantatore, Tomea,Panciera, Tallone, ai qualisi aggiungono i nuovi:Fontana, Broggini, HieroPrampolini, AntonioFilippini, Aldo Salvadori,Mauro Reggiani,Santomaso, PericleFazzini, Afro, Mirco (sic),Domenico Caputi,Pirandello, LuigiMontanarini, OrfeoTamburi. 34 N.d.R., Finalità epropositi della nostramostra, in “Corrente”, 31marzo 1939. 35 N.d.R., Continuità, ivi. 36 R. De Grada, Avvio allamostra, ivi. 37 Di R. Birolli “Corrente”pubblicherà una serie diquattro interventi sultema della città: Città: conriferimento all’amore, 31luglio - 15 agosto 1939;Città: con riferimento allapittura, 30 settembre1939; Città conriferimento all’uomo, 15gennaio 1940 e Città conriferimento aun’esperienza, 15 maggio1940. Da Città: conriferimento alla pittura:“L’uomo - però - quando

Locandina dello spettacolod’arte realizzato nel 1941 a Milano dal gruppo di Corrente. Tra gli attoric’è Giorgio Strehler,mentre la regia è di PaoloGrassi

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le il mastice di opere quali Gabbia bianca e foglie di Guttuso, I ragazzi sotto il fico di Migne-

co o Il caos II di Birolli. Il comune denominatore è piuttosto un gradiente di ansia, inquietu-

dine, sofferenza, ira che si esprime nel racconto di storie che hanno il valore di parabole, di-

pinte nel linguaggio della realtà, o meglio della percezione del suo disegno, che ovviamente

è un’espressione del sentire del singolo autore. Uno dei messaggeri riconosciuti di Corrente,

Scipione, aveva scritto: “Le civette gridano, tutto si muove /e l’angoscia riempie l’aria /di in-

quietudine”42. In che misura è stata l’immane portata del dopo a gettare sul movimento di

Corrente un faro destinato a creare una lettura delle cose in un drammatico e perentorio

bianco e nero? Senza possibilità di mezze tinte? In che misura, sull’interpretazione della

portata del movimento, ha inciso la dimensione irrimediabilmente ideologica degli anni del

dopoguerra?

La visibilità è un concetto strano, in ambito storico. Nel senso che, spesso, più un even-

to è lontano meglio si riesce a leggerlo, come se la distanza temporale fosse una lente

d’ingrandimento, capace di mettere a fuoco quanto era distorto dal vento delle passioni.

Una considerazione che, riferita a un movimento come Corrente, frutto di un’ardente pas-

sionalità, civile prima che politica, morale prima che culturale, rivela tutta la sua verità. An-

che perché, trattandosi di un movimento che, limitando qui il discorso al settore figurativo,

investì l’arte e la critica, offrì per anni nel dopoguerra l’insolito scenario di ex-attori nel ruo-

lo di esegeti. Infatti, il connubio strettissimo che vissero critici e artisti, spesso complici nel-

l’elaborazione di un messaggio che doveva essere criptato nei segni e nei colori, per evitare

la censura, se da una parte offrì ai critici un ravvicinato, privilegiato osservatorio, dall’altra,

negli anni successivi, rappresentò il limite invalicabile per offrire una lettura del movimento

scevra di condizionamenti. Ma chi avrebbe potuto vantare una libertà incondizionata nel se-

colo scorso? Quando i concetti diventavano inevitabilmente grimaldelli per accedere al ter-

reno della politica, dove lo scontro non era tra idee ma tra ideologie e tutto era esasperato

nella logica di uno scontro che si voleva di classi, quindi legato a una logica ineluttabile?

Ma, prima di addentrarci in una disamina critica delle opere, è opportuno tracciare delle

precise coordinate al fine di individuare il nostro obiettivo. Coordinate nominali e temporali.

Procediamo, dunque, innanzi tutto all’identificazione dei protagonisti del movimento:

operazione non banale, dal momento che non è possibile individuare gli artisti tramite una

firma in calce a un manifesto. I criteri identificativi sono, invece, molteplici. Nemmeno il

criterio storico fornisce, infatti, indicazioni immediatamente univoche, in quanto l’attività

della rivista fu continuata dalla Bottega di Corrente e poi dalla Galleria della Spiga43, e sfu-

ma nell’attività editoriale collegata. Limiteremo il gruppo agli artisti che hanno partecipato

alle due mostre organizzate dalla rivista? Con la possibilità di includere o meno quelli che

già all’epoca venivano indicati come “compagni di strada”. O lo estenderemo agli artisti

presentati alla Bottega? Oppure adotteremo un criterio storiografico, ossia vorremmo tene-

re conto dell’identificazione fornita in occasione delle rassegne ordinate da testimoni privi-

legiati, come De Grada e De Micheli, o dell’esplicita dichiarazione di appartenenza fornita

dagli artisti aderenti a iniziative celebrative del movimento? Appare evidente la necessità di

applicare più di un criterio. Infatti, se l’indicazione storiografica non è per sua natura univo-

ca, dipendendo dalla lettura dei diversi curatori, l’applicazione di un criterio rigidamente

storico non consentirebbe, ad esempio, l’inclusione di Sassu, che non poté collaborare alla

rivista o partecipare alle due mostre programmatiche per la sua condizione di sorvegliato

le chiacchiere di quartiereo d’ufficio o di studio o disalotto non lo ripieganosull’infimo; l’uomo - però- quando non vive come ilpappagallo in gabbia(padrone della gabbia);quando non scambia iltragico limite per sazietà:involontariamente è vòltoa ritrovare il fondamentodi tanti fattori di vitarimasti inevasi, meglioinattuati e sotto sottopressanti; ma attorniatocom’è da romanticheconcezioni che glipromettono la conquistadei complementari di vita,non può accorgersi cheuna volta spacciate percomplementari le cosefondamentali, egli vi puòdi volta in voltarinunciare, diventandoesigentissimo nelrichiedere lesciocchezze”.38 Cfr.: R. Cantoni, Per gliartisti e con gli artisti.Contro i retrogradi, in“Corrente”, 15 settembre1939; D. Morosini,Appunti su Fontana, in“Corrente”, 15 ottobre1939; R. De Grada,Mostre d’arte, in“Corrente”, 30 novembre1939.39 S. Bini, Courbet (notasociale), in “Corrente”, 30settembre 1939. 40 D. Formaggio, Figuredell’estetica francesecontemporanea. HenryDelacroix di fronte alproblema dell’arte, in“Corrente”, 30 novembre1939. 41 R. De Grada, Ilmovimento di Corrente…cit., p. 27.42 Scipione, Le civettegridano, Milano 1938.43 I progetti espositividella rivista verrannoripresi dalla Bottega diCorrente, aperta aMilano, al numero 9 divia della Spiga, che verràinaugurata il 12 dicembredel 1940 con unapersonale di Birolli. Nel1941, tra gennaio emaggio, la Bottega diCorrente ospiterà lepersonali di Migneco,Paganin, Cassinari,Badodi, Sassu, Broggini,Cherchi, Valenti, e

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speciale, seguente alla detenzione di oltre un anno per motivi politici44. La rosa di artisti in-

dividuati, con tagli inevitabili, allarga il nucleo storico più accreditato del movimento – Ba-

dodi, Birolli, Cassinari, Cherchi, Guttuso, Migneco, Morlotti, Sassu, Treccani, Valenti e Ve-

dova – alle personalità che, in una dialettica molto viva, contribuirono a creare la poetica di

Corrente. O come precessori, nel caso di Scipione, o come “compagni di strada”, nel caso

ad esempio di Manzù o Tomea, o come riconosciuti artisti di riferimento nella definizione

del nuovo ideale di realismo, come Fontana, Pirandello o Santomaso.

Corrente, ad ogni modo, fu tutt’altro che un’esperienza di accettata concordia sui modi

del fare arte. “Una dimensione di scontro. Uno spazio di avvenimenti. Una caduta di miti

imperanti”: questa la definizione che ne darà Vedova45. “Corrente fu soprattutto un luogo di

incontro e di scontri tra alcuni giovani che avevano idee originali ed anche il coraggio delle

loro idee”, testimonierà Guttuso. “Niente era pacifico in Corrente”46. “Un movimento con-

traddittorio”, scriverà Treccani: “vi erano tra noi delle differenze, non soltanto di età e di

temperamento, ma di propositi e di prospettiva”47. Mentre De Grada riconoscerà al movi-

mento il merito “di non aver soffocato gli apporti individuali e originali di ognuno in una

coralità che stava diventando nuova visione del mondo”48. Così, all’appassionato realismo di

Guttuso che guardava a Picasso, scagliandosi contro “il mito della ‘pittura’, un astratto re-

gno, staccato dall’uomo e dai suoi pensieri e dalle sue azioni”49, Birolli, che con il suo

espressionismo lirico si era riconosciuto nell’insegnamento di Ensor e Van Gogh, aveva op-

posto un sentimento meditato delle cose: “Essere naturali in arte è una fatalità dell’artista,

non è un ricordo del vero”50. Questo mentre Morlotti con il suo antivangoghismo e il suo di-

chiarato richiamo a Cézanne e alla lezione cubista “era partito come una specie di ‘anticor-

rente’ (in questo caso di ‘anti-Birolli’) in Corrente”51. E Sassu traeva dallo studio dell’Otto-

cento francese, dalle opere di Delacroix, Courbet, Renoir, il fuoco per far divampare i suoi

quadri di denuncia. All’interno del gruppo le tensioni sono riconducibili, comunque, a due

poli: Birolli e Guttuso, alfieri di quella contrapposizione tra formalismo e contenutismo, ri-

composta solo dall’urgenza etica di costituire un fronte unico negli anni della guerra: “Poi

vennero ad insegnarci il ‘tono’ e la ‘materia pittorica’ e ci fornirono la stolida polemica dei

calligrafi e dei contenutisti con l’obbligo di scegliere o di qua o di là”52.

Se consideriamo poi il problema in una prospettiva diacronica, le cose si complicano

ulteriormente. Corrente, infatti, conoscerà, anche in campo prettamente artistico, non solo

una sovrapposizione di tracciati ideologici, ma anche una rapidissima evoluzione. Il virag-

gio, sincopato in un periodo brevissimo, tra il 1938 e il 1943, è da un dissenso che si limita

alle forme del linguaggio artistico sostenuto dal regime, dalle prime manifestazioni antino-

vecentesche, a una pittura concepita come inderogabile impegno morale e civile. A quell’ur-

lo “con la pittura vogliamo innalzare bandiere”53 che si alzerà dalla barricata dell’arte eretta

contro la barbarie.

E veniamo alle coordinate temporali. Quale periodo prendere in considerazione?

Quello della durata della rivista, dal 1938 al 1940? O fino al 1943, in modo da includere

l’esperienza espositiva della Bottega e della Galleria della Spiga, nonché le indicazioni de-

sumibili dal catalogo delle Edizioni di Corrente? Oppure fino al 1945, considerando que-

sta data un’ideale cesura storica? Per quanto riguarda il primo termine, poi, è utile antici-

parlo al 1930, in modo da cogliere il lievito di opere che precorrono Corrente, anticipan-

done lo spirito polemico? In effetti, Corrente è il centro dove convergono vettori di un’op-

chiuderà in giugno conuna collettiva a cui, oltre aquesti, saranno invitatiBirolli, Fontana, Gauli eLanaro. La progettatamostra di Guttuso sisvolgerà invece allaGalleria Barbaroux, con ilsostegno economico delcollezionista e mecenateAlberto Della Ragione. Esarà Della Ragione apermettere l’aperturadella nuova Galleria dellaSpiga, che assumerà poi ilnome di Galleria dellaSpiga e Corrente, alprimo piano dello stessoedificio che, a piano terra,aveva ospitato la Bottegadi Corrente. La nuovagalleria verrà inaugurata il28 marzo del 1942 conuna mostra di disegniinediti di Scipione, allaquale seguiranno lepersonali di Birolli,Santomaso, Prampolini,Savelli, De Felice,Migneco, Bartolini,Maccari. Nel febbraio del1943 sarà la volta di unamostra a tre – Cassinari,Morlotti e Treccani –mentre in marzo si terràuna personale di Vedova.Proprio durantequest’ultima mostraun’irruzione della poliziapolitica porrà termineall’attività della galleria.L’attività editorialeprogettata dalla rivista sirealizzerà, intanto, inquelle Edizioni diCorrente che tra il 1940 eil 1942 daranno vita a unaserie di pubblicazioniorganizzate in distintecollane: di letteratura,d’arte, di teatro, dimusica. 44 Nel marzo del 1941,quando ormai lapubblicazione della rivistaera stata vietata, Sassuordinerà però la primamostra dei suoi Uominirossi alla Bottega diCorrente.45 Vedova così scriveva inuna litografia per unacartella edita nel 1967, inoccasione della mostraTrent’anni di Corrente,realizzata alla GalleriaTrentadue di Milano.Corrente. Litografie. A.Badodi, R. Birolli, B.Cassinari, S. Cherchi, L.

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posizione, culturale e politica, provenienti da un area geograficamente e ideologicamente

vasta. Un’area che nella stratigrafia del tempo comprende sia la Torino dei Sei, sia la Roma

della Scuola di via Cavour, fino alla Milano di Edoardo Persico54, la Milano dove Sassu, Bi-

rolli e Manzù intorno alla metà degli anni trenta vivono la loro prima stagione. Mario De

Micheli, uno dei teorici del movimento di Corrente, lo conferma: “La rivista di Corrente

ebbe il merito di raccogliere e in qualche modo di tenere insieme, organizzare queste spin-

te culturali d’opposizione, offrendo ad esse una piattaforma d’incontro e di dibattito.

Quando si dice quindi movimento di Corrente, tale denominazione va intesa solo in questo

senso, non già nel senso che sia stata la rivista a suscitare il movimento stesso: la rivista me-

desima diventò importante solo perché in essa, ad un certo punto, si riversò una corrente

di pensiero e d’arte, che già scorreva per vene diverse nel corpo della cultura più viva e

sensibile di quegli anni”55.

Anticipare il primo termine al 1930 permette, in effetti, l’analisi delle opere degli artisti

che, per motivi anagrafici, a quell’epoca avevano già affinato un loro linguaggio e, quindi, di

cogliere eventuali filiazioni stilistiche. Birolli, sicuramente uno dei leader del movimento,

non a caso è il più anziano, essendo nato nel 1905. Tra lui e Treccani, il più giovane, ci sono

quindici anni di differenza: un lasso di tempo davvero importante negli anni della formazio-

ne. Se, dunque, per l’inizio dell’esplorazione si può stabilire un argine temporale fluttuante

tra il 1930 e il 1938, per il termine ultimo l’oscillazione può essere tra il 1940 e il 1945: un

termine non procrastinabile, dato che la fine del conflitto determina un vero salto epocale.

La decisione, nell’ordinare questa mostra, è stata quella di allargare la nostra indagine al pe-

riodo 1930-1945, in modo da cogliere alcuni antefatti emblematici e seguire il severo river-

bero della guerra nelle immagini degli artisti.

Altra direttiva di lavoro, nel comporre il percorso espositivo, è stata quella di privilegia-

re le opere pubblicate su “Corrente”, esposte alle due grandi mostre organizzate dalla rivi-

sta o a quelle ordinate nelle gallerie che ne continuarono l’attività. Questo per ricostruire il

più fedelmente possibile le reali indicazioni estetiche e il clima dell’epoca. Si è voluto poi at-

tingere in larga misura alle opere conservate nei musei milanesi: memoria dell’attenzione a

un movimento la cui storia si interseca in maniera così significativa con la storia di Milano.

Il coraggio della discordia “Non vi può essere forza se non c’è il consenso e il consenso non esiste se non c’è la

forza”56. Questo uno degli enunciati della pratica di governo di Mussolini. Se il fascismo, in-

fatti, ha bruciato chi ha avuto l’ardire dell’aperta eresia politica, non ha commesso l’errore

di reprimere sempre la cultura dissidente. In alcuni casi – e in questo senso la progressiva

lucidità critica che percorre le pagine di “Corrente” ne è la prova – ha tollerato. Se all’arte

italiana è stata risparmiata l’infamante epurazione che subì invece l’arte tedesca, vittima del-

l’operazione Entartete Kunst, arte degenerata, è perché il regime fascista non riuscì mai a ri-

solvere l’equivoco della sua politica culturale: risultante del dissidio interno vissuto dal regi-

me tra la sua linea ortodossa e quella revisionista. Così, mentre il 20 marzo 1939, a Berlino,

in un cortile della Köpenicker Strasse, si accendeva il rogo delle opere d’arte messe

all’indice57, in Italia in quello stesso anno aprivano i battenti a distanza di tre mesi le mostre

del filonazista Premio Cremona e del filomodernista Premio Bergamo: il primo vetrina del

più retrivo realismo fascista, il secondo virtuale galleria dell’arte secondo Bottai. E, proprio

Fontana, R. Guttuso, G.Migneco, E. Morlotti, A.Sassu, E. Treccani, I.Valenti, E. Vedova,Teodorani, Milano 1967.46 AA.VV., Belvedere,Bollettino Galleria GianFerrari, n. 4, Milano1960. Cfr. R. Guttuso,Mestiere di pittore… cit.,pp. 47-74. 47 E. Treccani, Arte peramore… cit., p. 108. Notadatata 1950.48 R. De Grada, Ilmovimento di Corrente…cit. p. 32.49 R. Guttuso, Un mondoconcreto di oggetti e diuomini, in “Prospettive”,gennaio 1942. 50 R. Birolli, Storia di centopittori più uno, in “IlVentuno”, marzo 1935.51 E. Treccani, Arte peramore… cit., pp. 108-109.Nota datata 1950.52 R. Guttuso, Appunti, in“Il Selvaggio”, nn. 9 e 10,30 novembre 1939.53 Primo manifesto dipittori e scrittori, in“Numero”, nn. 8 e 9,settembre 1947, p. 12;anche in T. Sauvage,Pittura italiana deldopoguerra (1945-1957),Schwarz, Milano 1957,pp. 221-222. Sotto iltitolo di Manifesto dipittori e scrittori 1943riprodotto parzialmentein E. Treccani, Arte peramore… cit., pp. 33-35.“Il quadro deve essere pernoi un modo come unaltro di comprometterci.Vogliamo impostare ildiscorso pittorico infunzione rivoluzionaria:che tenda cioè allaagitazione degli uomini ea provocare direttedomande e risposte. […]Domandiamo non unapittura per la pittura,secondo la prosopopea dicerte ultime esperienze;ma pittura come relazionecomune, comune modo diidentificarsi. Noi ciriconosciamo solamentenella generosità del nostrosangue. […] Ci premono itermini popolari comeimmagini prime per unnostro linguaggio chevuole riaffermare lepossibilità di un dialogoridotto ai minimi termini

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per questa insanabile ambiguità ideologica del fascismo, accanto all’oltranzismo dei vari Fa-

rinacci, Interlandi, Pensabene potrà convivere il revisionismo di Bottai, come accanto alle

sue riviste, “Critica fascista” e poi “Primato”58 – dove troveranno uno spazio aperto anche i

protagonisti di “Corrente” – verranno date puntualmente alle stampe riviste antisemite co-

me “Quadrivio” o “Il Tevere”. Riguardo la politica culturale, la distanza ideologica che se-

para la Germania dall’Italia è enorme. Se Goebbels nel 1936, in una riunione del Reichskul-

tursenat, afferma che: “Il Terzo Reich vuol salvaguardare la libertà dell’artista, ma questa

s’ha da contenere nei limiti assegnatile da un concetto d’indole politica e non da un concet-

to d’indole artistica”59; Fausto Brunelli, nella “chiarificazione” premessa al catalogo della se-

conda edizione del Premio Bergamo, potrà invece affermare perentoriamente che: “La ge-

rarchia militare è di valori militari. La gerarchia politica è di valori politici. La gerarchia ec-

clesiastica è di valori ecclesiastici. La gerarchia artistica è di valori artistici”60. Premessa per

la compatta partecipazione del drappello degli artisti di Corrente alla quarta edizione del

Premio Bergamo, nel 1942, e all’affermazione di Guttuso con la sua Crocifissione laica.

“Questo è tempo di guerra e di massacri: Abissinia, gas, forche, decapitazioni; Spagna; al-

trove”, scrive Guttuso nel suo diario. “Voglio dipingere questo supplizio del Cristo come

una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri

peccati… ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio, per le

loro idee… le croci (le forche) alzate dentro una stanza. I soldati e i cani – le donne scarmi-

gliate discinte piangenti –. Al lume di candela (la candela di Guernica?)”61.

Il mondo rappresentato dai pittori e dagli scultori di Corrente è un mondo inquieto.

Preda del silenzio senza tempo che allaga i ginecei, simbolo di un’umanità segregata. Spetta-

tore di una battaglia che divampa solo nei territori del mito. Greve scenario degli oggetti

che affollano le nature morte, irte di teschi, candele, gabbie aperte: relitti sbattuti sulla riva

dalla tempesta immane. Profonde sono spesso le analogie che si evidenziano tra le opere dei

vari artisti. A volte si tratta di analogie dettate dall’identità di intenti e dall’urgenza del mes-

saggio. Come quando Treccani e Cassinari nel 1941, per denunciare un delitto politico, si

ispirano a una poesia di García Lorca e dipingono così due opere d’identico soggetto, im-

pianto compositivo e titolo: Colombi assassinati. Altre volte le analogie sono di scelte poeti-

che, dettate dalla profonda comunione che vivono gli artisti. Come accade nei paesaggi di-

pinti nel 1944 da Cassinari, Morlotti e Treccani, a Mondonico, la località della Brianza dove

i tre erano sfollati. La collina verde, di Treccani, il Paesaggio a Mondonico di Cassinari e Dos-

si di Morlotti, tutte e tre presenti in mostra, rivelano infatti singolari analogie compositive e

linguistiche. Nelle tre opere, una collina invade lo spazio del quadro, fino a spingere

l’orizzonte in alto, mentre il cielo, plasmato quasi nella stessa sostanza della terra, è ridotto a

una minima porzione dello spazio. La collina è inquieta presenza: un magma in espansione,

di cui il colore mette a nudo dolorose nervature, in Morlotti e Cassinari, o pericolosi vortici,

in Treccani. La visione ha comunque la stessa valenza, quella di uno sbarramento semantico

opposto al reale, che rende lo spazio del quadro schermo di una situazione esistenziale. La

collina è la cosa che è cresciuta, fino a impedire di vedere oltre. E i rimandi, gli incroci, gli

echi potrebbero continuare.

L’avventura di Corrente non portò, dunque, all’elaborazione di uno stile, inteso come can-

cello formalistico, ma all’elaborazione di un accorato linguaggio della realtà, che seppe ac-

espressivi. […] Siamocontrari alla metafisicache invita allo stupore e almistero. Siamo contrari alsurrealismo poiché esso,nello scavo di unadimensione oltre il nulla,ha perduto di vistascheletro, carne, cuore.Siamo contrariall’espressionismo asfondo di interiorità,isolamento, convulsione.Di questo movimento nonsappiamo salvare che ilcarattere di profondaurgenza delle sue parole.Siamo contrari alla pitturadella domenica, deicontemplativi (naturalistie candidi). Con la pitturavogliamo innalzarebandiere”.54 Cfr. per approfondire lafigura di questopersonaggio chiave dellacultura italiana tra gli anniventi e trenta, EdoardoPersico e gli artisti. 1929-1936. Il percorso di uncritico dall’impressionismoal primitivismo, a cura diE. Pontiggia, Electa,Milano 1998. 55 M. De Micheli,Consenso, fronda,opposizione. Intellettualinel ventennio fascista,CLUP, Milano 1977, p. 81. 56 B. Mussolini, discorsodel 24 marzo 1924, inBenito Mussolini. Operaomnia, a cura di D. ed E.Susmel, 44 voll., LaFenice, Firenze 1951-1963 e 1978-1981. Il temadella compenetrazione traforza e consensoattraversa la riflessionepolitica degli anni venti.“Forza e consenso”,scrive Croce nel 1924,“sono in politica terminicorrelativi e dove c’èl’uno non può maimancare l’altro”: Elementidi politica, Laterza, Bari1966, p. 17. Sullo stessotema riflette diffusamenteAntonio Gramsci nei suoiQuaderni dal carcere, acura di V. Gerratana,Einaudi, Torino 1975,passim ma in particolareQuaderno n. 10, vol. 1,tomo II. 57 “Nella primavera del1938, mentre venivaemanata una Legge sulla

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cordare i suoi toni a quello della personale poetica dei suoi protagonisti. Così la cadenza

formale di Arnaldo Badodi è quella di un lirismo visionario, che lo pone in assonanza con

Birolli e che trova la sua più genuina espressione nella tessitura di assorte metafore.

Il dipinto L’armadio era stato esposto alla mostra organizzata da “Corrente”, nel mar-

zo del 1939. Una presenza femminile è solo evocata dall’intimità violata di quell’armadio

spalancato. Gli abiti sono i costumi di scena, indossati da un personaggio invisibile. L’arte

è la chiave tentata per aprire un universo incomprensibile, rigorosamente privato.

L’eco della guerra giunge come sotteso spleen, nel frequente racconto di vite relegate

in una sospensione temporale. L’atmosfera di dipinti come Gineceo è, infatti, quella di una

solitudine che si fa metafora del dramma esistenziale. Il gineceo, per Badodi, è il luogo del-

la nudità avvilita dalla mancanza di desiderio, il luogo dell’attesa vana: non è né il bordello

di Grosz o Dix, né l’universo orgogliosamente separato di Birolli, nella cui intimità si con-

sumano arcani riti femminili. La sontuosa definizione spaziale degli harem di Delacroix si

sfalda in effusione tonale, nel tormento di una scrittura pittorica che tenta senza convinzio-

ne i labirinti del segno.

Il cappotto grigio è una sorta di presagio. Sui libri, strumento della ragione, estremo ba-

luardo contro la barbarie, si apre la ragnatela dei guanti, a terra. La sfida lanciata dalla sto-

ria all’artista, che dovrà partire per il fronte russo. Fragile poeta volato fuori da quel cappot-

to, abbandonato in una stanza che rimarrà vuota62. “Io posso essere eroe soltanto dipingen-

do una tela”63, aveva scritto Badodi qualche mese prima di morire sul fronte russo.

Renato Birolli è stato un intellettuale finissimo, un uomo che ha saputo dispensare il sale

delle sue idee anche con una scrittura straordinaria. Come testimonia Ernesto Treccani, nel

1940 “egli era senza dubbio il pittore più autorevole del gruppo”64. Chiarendo le origini di

un dipinto fortemente connotato come San Zeno pescatore, Birolli spiegava: “È un quadro di

origini, un paese del sentimento. Il colore-spazio lo fa sentire; la leggenda romanico-verone-

se anche. […] Potremmo chiamarla il primo segno della conoscenza implicita nell’uomo e

con più esattezza l’integrità collettiva giacente nell’individuo”65.

Nell’arte milanese degli anni trenta, quando la realtà è incupita dalle pesanti ombre di

Novecento o bruciata dall’abbacinante visione dei chiaristi, la cognizione del reale di Birolli

si esprime come vibrante esperienza del colore. Un colore che si qualifica non come mate-

ria, ma come “nucleo emozionale”66. “Nessun colore soggiogato da una forma a priori. Se

mai una tensione universale e tutte le forme”67. E interessantissime sono le annotazioni che

si susseguono nei Taccuini a chiarire come per Birolli il pensiero del reale si risolva sempre

in pensiero cromatico68.

Un capolavoro come I Poeti del 1935 mostra splendidamente come Birolli riesca a for-

mare la realtà nel crogiolo del colore. E il colore, virgolato, vangoghiano, tesse sulla tela la

trama di un ineffabile racconto. Centro gravitazionale del dipinto è il vortice del sole, che

raddoppiandosi nello specchio del fiume riesce a bilanciare il nero delle figure. La lettura di

questo quadro proposta più volte da Mario De Micheli, che riconosce nei poeti i giovani co-

spiratori antifascisti che a metà degli anni trenta si ritrovavano nella periferia milanese, è

una lettura poetica più in sintonia con le asserzioni contenutistiche di De Micheli, che con il

lessico cromatico di Birolli: come testimonia d’altra una lettera che l’artista scrive a Sassu

subito dopo aver terminato il quadro, “Ho finito il quadro dei Poeti che tu vedesti abbozza-

confisca dei prodottidell’arte degenerata, fuquindi costituita unacommissione per la stimadi queste opere, leprincipali delle qualifurono trasferite all’esteroe vendute contro valutapregiata. Il resto fuammassato in unmagazzino di Berlino; pernecessità poi di usarealtrimenti questomagazzino, fu chiesto aGoebbels il consenso alladistruzione di questeopere; consenso cheGoebbels infine diede purcon qualche esitazione.Così il 20 marzo 1939 nelcortile dei vigili del fuocodi Berlino sullaKöpenicker Strasse, siprocedette al rogo del‘fondo non valutabile’:erano 1004 tra dipinti adolio e opere grafiche, tra iquali numerosi lavori diNolde, e inoltre diSchmidt-Rottluff, JankelAdler, Schwitters, Fritsch,Troschel, Heckel,Kallmann”. E. Crispolti,Il mito della macchina ealtri temi del futurismo,Celebes, Trapani 1969, p.658-659.58 Su “Primato” sarannochiamati a esprimersi ingrande libertà i maggioriesponenti della cultura edell’arte del tempo, cuinon sarà mai chiesta latessera del partito. Tra icollaboratori ricordiamo:Mario Alicata, AntonioBanfi, Renato Birolli,Bruno Cassinari, DinoDel Bo, Renato Guttuso,Mario Luzi, GiuseppeMigneco, EugenioMontale, Enzo Paci,Cesare Pavese, GiaimePintor, Vasco Pratolini,Salvatore Quasimodo,Aligi Sassu, VittorioSereni. 59 Il brano è riportato daG. Sommi Picenardi inOrganizzazione, controlloe disciplina dell’arte inGermania, in “La VitaItaliana”, a. XXV,fascicolo CCLXL, maggio1937, pp. 573-583.60 Secondo PremioBergamo. Mostranazionale di pittura. AnnoXVIII, Bergamo 1940.61 Da una pagina di diario

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to a tempera. Come pittura farà girare i coglioni a Milano e fuori. L’ho disegnato con violen-

za ma con amore. Ho ottenuto quattro neri fenomenali e tutto il paesaggio è travolgente.

L’acciaio è temprato. Non c’è che da sbudellare i cialtroni”69. Ma la tenzone di Birolli è sem-

pre squisitamente intellettuale. I giovani in smoking70, che il nero dei vestiti stacca irrimedia-

bilmente dal fondo per trasportarli in un pensoso altrove, hanno perso l’ingenuità dei nudi

dell’Eldorado. Oppongono al festoso scorrere della natura – di brezza, di acqua, di terra

molle – la gravità del pensiero.

Nel Ritratto delle signorine Rossi – esposto alla prima mostra di Corrente e pubblicato

sulla rivista – come nel Ritratto del poeta Quasimodo, dopo la mareggiata di colore della se-

conda metà degli anni trenta, le cose ritrovano l’argine di un profilo più definito. Il racconto

abbandona i percorsi allusivi e sperimenta la cronaca, l’indicativo presente. La forma non è

più la provvisoria apparizione tra i flussi cromatici che attraversavano le tele di pochi anni

prima.

Negli anni della guerra, il precipitare degli eventi sconvolge la ricerca di Birolli, che

non può restare indifferente alla tragedia che si consuma attorno a lui. Eppure tenta dispe-

ratamente di salvare le ragioni della ragione. “Inferociti, convergiamo la violenza al qua-

dro”, scrive nel 1943. “So quanto danno ciò rechi all’arte del dipingere. L’arte d’essere re-

sponsabile di tutte le nostre responsabilità. […] Temo l’involuzione della coscienza, la per-

dita del controllo sulla mia stessa storia. Per caso, così dipingendo (quel poco che è possibi-

le oggi) non perpetueremo nelle forme quel gesto di violenza malvagia, contro la quale lot-

tiamo? […] Violenza delle ultime opere. Le falci scintillanti nel cielo pieno lombardo. I con-

tadini spenti e senza ombre, chiari come meduse. La loro forma bruciata dalla luce. Il loro

essere in quanto sono agglomerati, impasti convulsi di luce e di colore dissolvente. La loro

mancanza di volto. […] Le falci scintillanti, bianche-verdi, bianche violetto. Falci d’erba e

di Guttuso, datata ottobre1940. Pubblicata in R.Longhi, F. Russoli e G.Testori, Renato Guttuso.Mostra antologica dal1931 ad oggi,Soprintendenza alleGallerie, Comune eProvincia di Parma,Parma 1963, p. 69. 62 Mario De Micheli,ricordando l’artista,scriverà: “era un uomoprivo di ostentazioni,dotato di un garbonaturale, di una finezzagentile. Una sera capitòalla Bottega di Corrente,scambiò qualche parolacon gli amici, poi cavò daltaschino del panciotto lasua ‘cipolla’, la guardò edisse: ‘Tra due ore partoper il militare’. Partì e finìsul fronte russo; nonritornò”. Corrente: ilmovimento di arte ecultura di opposizione.1930-1945, a cura di M.De Micheli, Vangelista,Milano 1985, p. 104.63 Da una lettera ad Anita,del 27 ottobre 1942, in M.Falciano, Arnaldo Badodie “Corrente”, El Ma,Roma 1995, p.125.64 E. Treccani, Arte peramore… cit., p. 109. Pocoprima, a p. 107, si legge:“Birolli era uncombattente. Per questosi attirò amore e odio eora ci parve e fu amico ecompagno carissimo, oraun uomo capace diinfliggere delusioniscottanti; ora ci fumaestro e ora dubitammodella sua stessa vocazionepittorica. Dovreiadoperare il singolare,eppure mi viene quel‘noi’, tanto Birolli èmischiato e partecipe, inprimissima linea, allavicende di unagenerazione e di unmovimento, tanto la suafigura e la sua opera sonodeterminanti non perl’uno o per l’altro che gli èvissuto e gli ha lavoratoaccanto, in amicizia e incontrasto, ma per tuttiindistintamente”. 65 R. Birolli, conferenza alGabinetto Vieusseux, inPittura d’oggi, a cura diM. Masciotta, Vallecchi,Firenze 1954. Ora in

Renato Birolli nel suo studiomilanese di piazzale Susa,nel 1933. A sinistra è visibileil dipinto San Zeno pescatore,esposto in questa mostra

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di fiori magri. Magre falci assottigliate dal consumo. Ma sempre alte, contro il cielo. Come

un grido. Come noialtri. Ma portate dalla rassegnazione di chi le regge. Contrasto”71. Que-

sta la temperie morale che presiede all’esecuzione di un’opera come Il contadino nei girasoli,

del 1945. Ma Birolli resiste all’urlo. “L’azione del pungo, espressa come una dottrina, è

l’origine dell’impossibilità del mondo a pensare e – pensando – ad essere intesi”72. Il colore

è ancora, seppur concitata, scrittura delle forme, ma di lì a poco arriverà una tregua doloro-

sa. “Ho cominciato a disegnare, ho interrotto il dipingere. Tregua di colori. Giorni e giorni

di segni neri?”73. Nei lunghi mesi della guerra civile Birolli potrà solo affidare al sussulto del

nero il racconto del silenzio del dopo, in una serie di drammatici disegni che verranno poi

raccolti sotto il titolo Italia 44. “Il caldo è molto forte. Il calore avvicina l’idea di morte.

Odori e fetore di morte. Gli obitori sono pieni. È un via vai nero di feretri sconosciuti. Un

corruccio virile è nell’aria. Anche le donne odiano. La Muti canta canzonacce per le strade.

È un paese in decomposizione. Si celebrano riti di morte. Un immenso lavoro sotterraneo.

Le mandibole pronte a mordere. Solo il morso. La parola è morta”74.

All’avanzata dei titani chiamati dal dittatore, esaltati dalla scultura monumentale dell’epoca,

Luigi Broggini oppone l’inquieto stare delle sue figure femminili. Lo scultore aveva saputo

coniugare la lezione di Degas, Maillol, De Fiori, la loro attenzione anticlassica al tempo del

vivere, e l’impressionismo lombardo di Giuseppe Grandi e Medardo Rosso, con quanto in

quegli anni andava sostenendo a Milano Edoardo Persico. Alla sintesi volumetrica degli

scultori di Novecento, alla loro plastica aggressivamente muscoleggiata, Broggini oppone

così un disegno delle forme che indugia in minuti rilievi, con un modellato ceroso capace di

catturare e riflettere la luce, assecondando le instabili movenze dei suoi morbidi corpi fem-

minili, la danza accattivante che le sue donne eseguono sulle note del tempo che passa.

Il tempo declinato dalle sue figure è quello del presente, in sintonia con l’urgenza vitali-

stica dei pittori di Corrente. La sua Donna chinata, la sua Ragazza allo specchio – esposta alla

seconda mostra di Corrente e pubblicata sulle pagine della rivista – il suo Nudo rosa non

aspirano a una retorica eternità, ma protestano con il loro agire la loro appartenenza a un

tempo breve, che appartiene alla quotidianità del vivere.

Elio Vittorini, presentando la personale di Bruno Cassinari alla Bottega di Corrente

nel 1941, aveva parlato del bisogno dell’artista di “frugare, scavare nel mondo, sudando

anche sangue stesso, per strappargli grida di colore”75. Tre delle opere che erano esposte

alla Bottega sono oggi in questa mostra. Natura morta con conchiglie, Il tappeto sulla sedia e

Paesaggio d’agosto. La Natura morta in giallo, invece, era stata esposta alla mostra di Cor-

rente del marzo del 1939. È un universo gioioso, plasmato con un colore che indugia in

una scrittura ridondante delle cose, quello delle nature morte che Cassinari dipinge intor-

no al 1939. Le forme urgono in un colore che pulsa la propria aderenza alle ragioni del

sentimento. Per Cassinari il colore è il canto delle sirene: “Il colore è un canto continuo,

non esiste il buio, la notte”76.

La necessità di una puntuale connotazione psicologica spinge Cassinari ad approdare

nel Ritratto di vecchia signora a una pittura più solida, dove il colore non serpeggia più in

fluenti arabeschi, ma si accontenta di disporsi entro gli argini della forma. Superando

l’aneddotica fisionomica, il ritratto si pone come sintesi poetica dell’idea di madre, per la

AA.VV., Renato Birolli,catalogo della mostra,Università di Parma –Centro Studi e Archiviodella Comunicazione,Dipartimento ArteContemporanea,quaderno 34, Parma,1976, pp. 106-107.66 R. Birolli, Taccuini.1936-1959, a cura di E.Emanuelli, Einaudi,Torino 1960, p. 23. “Ilcolore non è materia, ènucleo emozionale”.67 Ivi p. 42, nota n. 5. Cfr.ivi pp. 108-109. “Scopertadei rapporti e deisignificati delle cose. […]O misura dello stupore!Un occhio sobrio ma cheguardi a lungo e non sistanchi di guardare.Crescerà la sua luce conl’accendersi delle cose enon si spegnerà quandoessi si spengono, perchénon c’è ombra mediatricedel giorno e della notteche allenti la virtù delcolore. I colori si farannopiù cupi e noi vedremochiaramente che sonocupi. Chiameremo viola,grigia o azzurra la notte,ma non vi sarà ombra.sono sempre leciti i cielistellati di Van Gogh .Esclama e urgi alle cose eai loro colori”.68 Cfr. ivi p. 24 nota n. 3,p. 31 nota n. 2, p. 111nota n. 3 e pp. 217-218. 69 Lettera di Birolli adAligi Sassu del 18 gennaio1935, Archivio Centraledello Stato, TribunaleSpeciale per la Difesadello Stato, busta 578.70 “Ho dipinto unacomposizione di giovaniin smoking (i poeti)”:lettera di Birolli aGiuseppe Marchiori del22 gennaio 1935. Lalettera è pubblicata inRenato Birolli 1935, acura di F. LanzaPietromarchi, Galleriadello Scudo, Verona1996, p. 31.71 R. Birolli, Taccuini…cit., pp. 207-208. Notadatata 22 settembre 1943.72 Ivi, p. 183. Cfr. anchepagina seguente. 73 Ivi, p 173.74 Ivi, p. 231.75 E. Vittorini, BrunoCassinari, catalogo della

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dolcezza della figura, per l’accorata rappre-

sentazione delle mani, la cui vecchiaia no-

dosa non è vinta dalla grazia del ventaglio,

per il tentativo di alleggerire la dimessa of-

ferta di sé con il tracciato di un foulard, che

però riesce solo a far colare sull’abito il gri-

gio dei capelli, il pallore terroso del viso. La

conduzione del colore anticipa, negli ideali

tasselli dello sfondo e nella minuta sfaccet-

tatura dei piani che compongono al figura,

quella frantumazione dello spazio che sarà

l’esito della ricerca di Cassinari.

Il traslato simbolico, come abbiamo

detto, era negli anni della dittatura uno dei

mezzi per aggirare il veto della censura.

Nell’iconologia di Corrente, il Vitello squar-

tato è il luogo poetico ricorrente di una vio-

lenza consumata, additata in segno di com-

mossa protesta.

La pazza, di Sandro Cherchi, è senz’altro la

scultura che meglio esprime il clima morale

di Corrente, di cui è una sorta di emblema

plastico. Pubblicata sulle pagine della rivi-

sta ed esposta alla personale che Cherchi

terrà alla Bottega di Corrente nell’aprile del

1941, esprime nel suo dolente modellato,

nella mutilazione degli arti, una struggente

condizione di impotente isolamento. “La

Pazza è la lontananza da casa, la fame, la di-

sperazione, soprattutto la disperazione per-

ché non essendo inquadrato nel regime fascista ero completamente isolato e non avevo ami-

ci se non quei pochi che facevano parte di Corrente”77, scriverà lo scultore. Una prova poe-

tica importante, preceduta da un’inquietante Ritratto familiare. Toti Scialoja, nel 1942, ave-

va registrato l’apparizione di certi ritrattini “dai visi esili dissanguati in una plastica avara e

divorati da enormi occhi a caverna”. Queste “maschere di malinconici insetti”78 erano

l’antitesi della fiera romanità imperiale che si affermava nelle piazze d’Italia.

“Degli artisti contemporanei Fontana è tra i pochi a trasporre spiritualmente nell’opera –

nel modo più sensibile e comunicativo – i temi di probabilità e di dramma ricavati dalle

stesse divergenze e compensazioni della vita”79. Così scriveva Morosini nel 1939. Lucio Fon-tana parteciperà alla seconda mostra organizzata da “Corrente” e alla collettiva alla Bottega

di Corrente. Per le Edizioni di Corrente uscirà anche una piccola monografia sui suoi dise-

gni80. Tuttavia Fontana non poteva far propria l’eticità esistenziale di Corrente, né la sua fe-

mostra, Bottega diCorrente, Milano 1941.76 B. Cassinari, Scrivere dimattina in G.A.Dell’Acqua e G. Anzani,Cassinari, catalogo dellamostra, Palazzo Farnese,Comune di Piacenza1983, pp. 51-52. 77 Sandro Cherchi. Opere1932-1987, a cura di P.Dragone, A. Gelli e M.Rosci, Fabbri, Milano1987, p. 30. 78 T. Scialoja, SandroCherchi, in “Beltempo”,Edizioni della Cometa,Roma 1942. 79 D. Morosini, LucioFontana, in “Corrente diVita Giovanile”, 31gennaio 1939.80 D. Morosini, LucioFontana. 20 disegni conuna prefazione di DuilioMorosini, Corrente,Milano 1940.

Monografia realizzata per la collana d’arte delle Edizioni di Corrente

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de realista. Il 1934 è l’anno della creazione di una scultura come Signorina seduta, presente

in mostra, che sarà pubblicata sulle pagine di “Corrente”. Una scultura che sembra testimo-

niare l’adesione di Fontana al movimento milanese. Ma il 1934 è anche l’anno delle sculture

astratte che Fontana presenterà l’anno successivo in una straordinaria mostra alla galleria

del Milione. Per Fontana la forma o l’immagine sono solo l’esito temporaneo del moto in-

ventivo che le genera, inteso come flusso fenomenologico vitale, per sua natura irriducibile

in dogma ideologico. L’artista deve essere libero di raccogliere le suggestioni della materia, il

suo farsi cosa nello spazio, al di là di qualsiasi preconcetto formale. Morosini, uno dei primi

esegeti dell’artista, era ben consapevole di questa “impossibile coerenza”81 di Fontana. La

prosaica ieraticità della splendida Signorina seduta – oggi conservata nella Civiche Raccolte

d’Arte del Comune di Milano, fondo dell’irrealizzato Museo del Novecento – si copre di co-

lore. “Effettivamente l’adozione del colore ha segnato un momento decisivo nella scultura

di Fontana”, scrive Morosini. L’artista si è servito “di una trasposizione cromatica come del-

l’elemento più astratto, di un valore lontano tanto da un naturale rapporto, quanto da una

convenzione decorativa. Così per un legame tra l’esperienza sensibile e l’invenzione: qualco-

sa di più che un colore riferito, una superiore allusione spaziale”82.

È un colore che pulsa la sua fortissima tensione emotiva la cifra della ricerca di Piero Gau-li. Il piccolo Gineceo, nella sua scrittura abbreviata delle forme, fonde figure e spazio in un

crogiolo incandescente che diviene misura di una percezione tragica del tempo, che tutto

divora con le fauci della luce. Anche nella Composizione con le spighe le forme sono modu-

late da una vibrante conduzione cromatica. La scrittura pittorica plasma i contorni delle

cose, fiammeggiando. Sul piano, luogo del buio, si accendono il bianco della brocca, del-

l’oca, dei piatti: termini primi di una riflessione sulla realtà che accorda i suoi toni con

l’intimità del vedere.

Jenny Wiegmann o Genni, come decide semplicemente di farsi chiamare quando, allonta-

natasi dalla Germania hitleriana, sposa il pittore Gabriele Mucchi ed entra nella costella-

zione degli artisti e degli intellettuali di Corrente, rappresenta un’occasione per riflettere

sul significato di un’insistente indagine plastica sul nudo. È la grande lezione di Barlach e

Lehmbruck, contaminata dall’incontro con la nuova mitologia dell’umano di Corrente.

Quel respiro europeo che, secondo Guttuso, Genni ebbe il merito di portare nella Milano

degli anni trenta.

E sarà la travolgente esperienza umana della guerra a sciogliere il suo lin guaggio pla-

stico dall’iniziale ieraticità arcaicizzante, per portarlo a una stupita narrazione del vero: do-

ve la mensura non è mai la bellezza, non è mai un’anacronistica calligrafia figurativa, ma

una lucida ricerca della forma forzata fino al limite, sentito da Genni come invalicabile, del

dato naturalistico.

La scelta di Renato Guttuso è quella di una pittura che non rinuncia mai all’esaltato raccon-

to delle forme della realtà, plasmate da una pennellata sensuale, che assegna alle cose il pro-

filo aggressivo della linea. Le nature morte, che negli anni quaranta rappresentano il fulcro

della sua ricerca poetica, sono lontanissime, dal punto di vista linguistico, dalle indagini mo-

randiane sulle possibilità di forme ripetute. Sono parate bellicose di oggetti pronti a colpire.

81 D. Morosini, Appunti suFontana, in “Corrente”,30 settembre 1939. 82 Ibid.

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Ordigni di un pensiero della realtà destina-

to a farsi azione. “Perché un’opera viva, bi-

sogna che l’uomo che la produce sia in col-

lera ed esprima la sua collera nel modo che

più si confà a quell’uomo”, scrive Guttuso

nell’estate del 1941. “Un’opera d’arte è

sempre la somma dei piaceri e dei dolori

dell’uomo che l’ha creata. Intendo dire che

non è necessario per un pittore essere d’un

partito o d’un altro, o fare una guerra, o fa-

re una rivoluzione, ma è necessario che egli

agisca, nel dipingere, come agisce chi fa una

guerra o una rivoluzione. Come chi muore,

insomma, per qualche cosa”83.

Ecco le ragioni che presiedono all’elaborazione di dipinti come Gabbia bianca e foglie.

La lezione cubista non arriva a cancellare la scrittura della realtà, ma imprime agli oggetti

una sfaccettatura nervosa, una sorta di dolorosa slogatura che si fa misura di un urlo tratte-

nuto. Gli oggetti schierati sono simbolo di una violenza annunciata. “L’arte non si fa per

‘grazia’ di Dio o per rivelazione ecc.”, scriverà Guttuso in una lettera a Morlotti. “Dio non

c’entra, né la grazia, ma solo la quantità di noi stessi, come sangue, intelligenza e vita morale

che ci si butta dentro”84. Questa lezione di collera è la lezione di Picasso. Guttuso che, ha

già dipinto La fuga dall’Etna, drammatico esodo invocato per sfuggire al fascismo, guarda

ormai a Guernica: intende la pittura come professione appassionata di fede nella realtà.

Se numerose nature morte eseguite nella primi anni quaranta sono gremite di simboli

di una violenza annunciata, La finestra blu, accostando la bottiglia a spirale di opaline, cita-

zione dell’universo morandiano, simbolo dell’aventinismo, con la prosa di due fiaschi di vi-

no, dichiara la necessità di uscire dalla torre eburnea per abbracciare la vita. Interrompono

la sequenza di nature morte, due ritratti: il Ritratto di Mario Alicata e il Ritratto di Antonino

Santangelo esempi di quella galleria testimoniale che Guttuso compose attraverso gli anni,

ritraendo i compagni di una vita.

La ricerca di Dino Lanaro è centrata fin dagli esordi sulla suggestione del colore. Sulle pagi-

ne di “Corrente”, in occasione della prima mostra organizzata dalla rivista alla quale Lanaro

partecipa proprio con il dipinto Piante bianche esposto in questa mostra, Renato Birolli scri-

ve: “Bilingue ieri tra realismo ed espressionismo, questo artista si è risolto da qualche tempo

in un modo liricamente evocativo che si propone di conciliare il suo temperamento positivo

al bisogno morale di congiunzione – sé e la natura – fino al limite più avanzato dalla fantasia

consentitogli”85. Nel Paesaggio con nudi, dipinto nel 1942, lo sfarfallio del colore cede il po-

sto al livido racconto di un’umanità che vorrebbe farsi terra.

Presentando la seconda mostra organizzata da “Corrente”, nel dicembre del 1939, De Gra-

da parla “dell’unità di quel gruppo romano, che si nutre di memoria e di ripensamento

d’immagini”86. Mario Mafai ha il merito di aver portato nella pittura di paesaggio il lievito

mentale di una riflessione sul senso della storia. In una lunga recensione della XXI Biennale

83 R. Guttuso, Pensierisulla pittura, in“Primato”, 15 agosto1941. 84 Da una lettera a EnnioMorlotti, datata luglio1943, pubblicata in M. DeMicheli, Arte Contro.1945-1970 dal realismoalla contestazione,Vangelista, Milano 1970,p. 282.85 R. Birolli, Dino Lanaro,in “Corrente”, 31 marzo1939.86 R. De Grada, Avvio allamostra, in “Corrente”, 15dicembre 1939.

Birolli e Guttuso, in divisada ufficiale, nella casermadi Sant’Ambrogio a Milano,nel 1936

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di Venezia, ancora De Grada sulle pagine di “Vita Giovanile” sottolinea che “pochi hanno

la finezza di sfiorare come Mario Mafai un mondo decadente”. E prosegue: “i suoi fiori, i

suoi paesaggi romani arrivano a chiarire il problema espressivo di questo pittore che ripensa

criticamente le immagini nell’atto di esprimerle e ci offre così un’aria di paradiso perduto

dell’arte bella”87. Occorre possedere una bussola potente per tentare ancora la via di un tra-

monto. Mafai non indulge a quella “fattura moderna di sentimenti ruminati” che potrebbe

rendere le sue opere piacevoli. E invece assapora e ripropone una Roma “borrominiana e

berniniana, di fasti notturni e silenziosi”88. Interessante il confronto tra il Tramonto sul Lun-

gotevere del 1929, con la sua limpidezza descrittiva, e il Tramonto su Roma del 1941, conge-

stionata parafrasi di un tempo difficile.

Testimonianza preziosa dell’humus culturale antinovecentista che nutrirà la crescita di “Cor-

rente”, è un bassorilievo di Giacomo Manzù. La Deposizione, uno sbalzo in rame argentato

eseguito nel 1933, esprime nel suo sintetismo formale quel “gusto dei primitivi”89 che la ri-

flessione di Lionello Venturi aveva richiamato in quegli anni all’attenzione del mondo arti-

stico. L’arcaismo sembrava allora l’antidoto più efficace contro la magniloquenza dell’arte di

regime, la chiave per ottenere una ripresa del reale antiretorica. La purezza lineare, la sem-

plicità del disegno erano il filtro intellettuale che consentiva di recuperare un dialogo con il

vero, senza perdersi nelle secche del naturalismo.

Il bassorilievo di Manzù, esempio di una serie di sbalzi a soggetto religioso che l’artista

eseguì nella prima metà degli anni trenta, affronta il tema della deposizione con assorta

commozione. La sua opera non è devozionale, né lo saranno, nel senso deteriore del termi-

ne, le successive importanti prove: la morte di Cristo è la morte di un uomo tra gli uomini,

raccontata con lo sgomento di chi ha assistito a un fatto e vuole tramandarne memoria. Se

il nudo è sempre stato utilizzato in arte come medium per superare i confini di una banale,

circostanziata temporalità, Manzù procede all’opposto e, rivestendo alcuni personaggi de-

gli abiti del suo tempo, trasferisce la scena in un drammatico hic et nunc. Il suo diventa al-

lora uno straziante lamento laico davanti alla morte, che non attiene all’eterno, ma è solo

umana. Diventa l’eco del pianto di un uomo che già avverte il sinistro memento mori dei

tamburi di guerra.

Sono delle fiabe livide quelle che dipinge, tra il 1939 e il 1940, Giuseppe Migneco. Ragazzi

sotto il fico, opera capitale, subito esposta alla seconda mostra organizzata da “Corrente”, an-

nuncia questa splendida stagione. Il colore ha acquistato una grafia corsiva, si contorce alla

maniera vangoghiana, ma in un’originale, acida dimensione tonale. L’implosione delle figure,

che si chiudono su se stesse, è accentuata dal serpeggiare del colore, che pone le loro forme

in vibrazione con lo sfondo, al punto che braccia, gambe, teste hanno lo stesso andamento

tortuoso dei misteriosi tracciati che solcano la terra secca, delle piante che in basso allungano

i loro tentacoli, dei rami del fico chi si allungano quasi a ghermire i ragazzi. Joppolo, sulle pa-

gine di “Corrente”, dichiarava di trovare nella pittura di Migneco “i segni di una colluttazio-

ne diretta col mondo”90. De Grada scriverà che Migneco “Feriva con il macabro proprio di

certi antichi Trionfi della Morte, con l’ossessione delle grottesche di una cattedrale protogoti-

ca”, riconoscendo che l’artista “aveva portato a Milano un mondo di disperazione ancestrale,

di origine sicula, dalla quale egli trovava requie in una cabala di segni e colori”91.

87 R. De Grada, L’artecontemporanea in Italiaalla XXI Biennale diVenezia, in “VitaGiovanile”, 30 giugno1938.88 R. De Grada, MarioMafai, in “Corrente”, 29febbraio 1940.89 Cfr. L. Venturi, Il gustodei primitivi, Zanichelli,Bologna1926.90 B. Joppolo, Il pittoreMigneco, in “Corrente”,15 marzo 1940.91 R. De Grada, Ilmovimento di Corrente…cit., p. 32.

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Sempre del 1939 è Caffè, dipinto pubblicato l’anno successivo su “Corrente” ed espo-

sto nel gennaio del 1941 alla personale che Migneco che tenne alla Bottega. La scrittura pit-

torica è la stessa dei Ragazzi sotto il fico. Figure e cose sono deformate da una vibrazione tel-

lurica, che fonde i contorni dell’essere, idea e segno, in un’allarmata condizione di attesa, al-

la quale soli si oppongono gli occhi della donna: non perché hanno ancora il coraggio di

guardare, ma perché, annoiati, sembrano non vedere. Poi il delirio delle Massaie ubriache.

L’ordine naturale delle cose sovvertito dal precipitare nel gorgo di un’irrazionalità ancestra-

le, che avvinghia le donne alla terra, ne deforma le membra, le mani che graffiano l’aria. La

dannazione degli Amanti sulla panchina, espressione di un dolor vitae che non ammette tre-

gue. Fino all’ammonimento occulto dell’Uomo dal dito fasciato, enigmatico autoritratto che,

nella devastazione del presente, vale come appassionata dichiarazione di speranza: quei fiori

rossi che spuntano nonostante tutto dal petto dell’uomo.

Ennio Morlotti vive intensamente la magica stagione di Corrente. Tra l’espressionismo liri-

co, vicino a Ensor, Soutine e van Gogh, di Birolli e Sassu, e quello drammaticamente reali-

stico di Guttuso, che aveva trovato in Guernica il proprio manifesto, Morlotti si ostina a

guardare a Cézanne. È ribelle tra i ribelli. “Non c’è un violento simile ad un passionale che

sfoga se stesso tutto in un campo: che, per Morlotti, è quello della pittura”92, scrive De Gra-

da. Paesaggio a Monticello è un esempio di quella serie di paesaggi “spogli, carichi, geologi-

ci, incandescenti”93, che Morlotti dipinge nella prima metà degli anni quaranta in Brianza.

La tensione espressionista ormai divelle, con la sua scrittura emozionale, la razionale tessitu-

ra che Morlotti aveva desunto da Cézanne. La tavolozza sperimenta nelle terre la declinazio-

ne di un sentimento di sconvolta naturalità. Cielo e colline sono saldate da un segno pittori-

co ora sinuoso, ora rabbiosamente ritornante. Perno del paesaggio è la casa al centro, da cui

92 R. De Grada, Ilmovimento di Corrente,Edizioni del Milione, p.3393 La definizione è diMorlotti, tratta da La vita,la pittura: e il rifiuto delprogetto, intervento letto aMilano il 17 febbraio1981, nella sede dellaFondazione Corrente, inoccasione del dibattito sultema Il mio progetto diintellettuale: poipubblicato in “NuovaRivista Europea”, n. 2,1981.

Renato Birolli, ErnestoTreccani e Duilio Morosininella Bottega di Corrente,durante la personale di Birolli che si svolse nel dicembre del 1940

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s’irradia il racconto allucinato di una visione che non risponde ai toni pacati della memoria,

ma a quelli drammatici del presentimento.

Per Morlotti, già dichiaratosi in un’accesa discussione “gappista sì, ma solo con la pit-

tura”94, l’impegno morale non può comunque trasformare i dipinti in una cronaca della tra-

gedia. Il dramma esistenziale può solo esprimersi in forme traslate. Nelle sue tele non c’è

l’urlo, ma l’agghiacciante silenzio del dopo. Questa la chiave per penetrare nell’assorto mi-

stero delle nature morte dipinte nel 1942. Di quei Gessi, baluardo della classicità, eretto

contro il nero che avanza. Di quegli oggetti tetri, che hanno perso il nitore morandiano per

esibire la loro concitata presenza di concrezioni terrose. Ma già la suggestione picassiana

s’impone prepotentemente a deformare la trama del reale in un dolente reticolato, che nella

Natura morta con bucranio del 1943 si libra sul rosso allarmante di un drappo, mentre nella

Figura con gesso diviene labirintico percorso di linee forza che assimilano la presenza umana

a quella del busto sullo sfondo. Preludio a quella trasformazione della suggestione cubista

in aperta rivolta linguistica che Morlotti porterà a compimento nel dopoguerra.

La Ragazza in riposo ritratta da Gabriele Mucchi è la scultrice Genni, sua moglie. “Vi si ri-

conosce fra l’altro l’anello che portava, con la grande pietra verde”, scrive l’artista nella sua

autobiografia95. Mucchi, nel panorama di Corrente, è la figura atipica dell’eclettico: pittore,

architetto, designer, illustratore, scrittore, traduttore. Un percorso originale il suo che, in

pittura, da un novecentismo dalle cadenze intimiste lo conduce a Corrente e quindi a un ap-

passionato atto di fede nel realismo, inteso come linguaggio di comunicazione politica. È

proprio verso la metà degli anni trenta che matura il suo distacco da forme pittoriche avver-

tite ormai come intellettualistiche. Nel 1939, sulle pagine di “Corrente” Giuseppe Marchio-

ri saluta il pagamento del debito di Mucchi all’avventura formalista e metafisica attraverso

un raffinato lirismo coloristico96. Solo cinque anni separano l’apparizione angelica del Vian-

dante stanco dal ritratto di Genni, eppure la distanza tra le due opere è enorme. La metafora

è liquidata dalle forme calde della vita.

Era il 23 gennaio del 1941. A Milano, nel piccolo spazio della Bottega di Corrente, si apriva

la prima personale di Giovanni Paganin, presentata da Duilio Morosini. Otto piccoli gessi,

ancora umidi – Nudo accoccolato, fuso successivamente in bronzo, è presente in questa mo-

stra – che tentano lo spazio con un’insospettabile forza. Perché, anche se le donne rappre-

sentate sono colte in gesti istintivi di difesa, si capisce che non è la paura a piegarle, ma il

vento del tempo, cui impareranno a far fronte. Nei corpi pieni pulsa un’energia primordiale:

è la terra verso cui si piegano che darà loro la forza di resistere.

Lo scultore, dal 1938, aveva lasciato le montagne native perché sapeva che in quegli an-

ni Milano era la città dove avrebbe potuto verificare la legittimità delle proprie intuizioni

formali, contrarie all’imperante teorema dei Valori Plastici. Le sculture che espone alla Bot-

tega di Corrente esprimono potentemente la sua fede nell’identità ritrovata tra arte e vita.

Le pose delle sculture, fissate da un modellato che esibisce la memoria del fremito delle di-

ta, della febbrile ansia a finire, non raccontano però gesti che appartengono alla quotidia-

nità del vivere. A Paganin non basta opporre, alla retorica imperiale di un tempo sovrauma-

no, la minuta temporalità di gesti qualsiasi. Le sue donne, a differenza ad esempio di quelle

di Broggini, non danzano, non si tirano su le calze, non si guardano allo specchio: non indu-

94 Ibid. 95 G. Mucchi, Le occasioniperdute. Memorie 1899 -1993, L’Archivolto,Milano 1994, p.25396 G. Marchiori, GabrieleMucchi, in “Corrente”, 15febbraio 1939.

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giano in un tempo che nega la retorica dell’eternità per dissiparsi in un agire che non sfiora

nemmeno le ragioni dell’essere. Paganin cerca il confronto con il tempo inteso come squar-

cio rabbioso dell’esistere. Le sue figure non sono donne-che, non sono tese al compimento

di un gesto: ma donne colte nell’essenzialità del vivere, che inevitabilmente ha una connota-

zione di dramma. Ogni scultura è un vibrante affondo esistenziale.

La realtà come forma di favola esopica. Una favola che non si perde nei labirinti allegorici,

ma procede con il racconto pacato di una storia qualsiasi. La spiaggia di Fausto Pirandello è

l’osservatorio privilegiato di cui l’artista si serve per penetrare il mistero di un’umanità al di

fuori delle convenzioni sociali. Uomini e donne nudi, tutti insieme. I corpi si toccano, si sor-

montano, senza erotismo. È una nudità non allusiva, pura, un po’ come accade oggi nelle

fotografie di Spencer Tunick. C’è il senso dell’attesa, il senso di un tempo inutile. Ma

l’indagine di Pirandello affonda le sue radici in un tempo che non è storico. Il suo dolor vi-

tae non è mai contingente. A proposito dei suoi quadri, De Grada aveva parlato di “un’ap-

parente calma tonale dove il surreale è sfiorato con tenerezza”97.

L’ascendenza espressionista del linguaggio pittorico di Giuseppe Santomaso si modula sulle

suggestioni dei grandi maestri francesi, grazie anche all’intenso sodalizio che l’artista stringe

con il critico Giuseppe Marchiori, aggiornato riguardo le più avanzate ricerche europee.

Proprio sulle pagine di “Corrente” Marchiori riconosce nella ricerca di Santomaso

l’importanza della matrice veneta “per il gusto atavico della pittura tonale e in ispecie della

materia cromatica sensibilmente elaborata”98. Già ai tempi della sua prima personale a Pari-

gi, nel 1939, Santomaso dimostra di essersi affrancato dai rischi di una pittura dialettale tar-

do ottocentesca. Il colore, come accade nei Pesci su fondo verde, è vibrazione luminosa, mi-

sura della densità delle cose.

Dal crogiolo in cui ardevano gli uomini rossi Aligi Sassu, trae una pittura nuova, dove il co-

lore è forma di un’idea che si dispone in un complesso ordito narrativo. Il pensiero pittori-

co, che nella breve parentesi futurista vissuta dall’artista era stato sintesi concettuale, torna a

farsi parola e, quindi, possibilità di racconto. È quello che accade in un opera come La stra-

da, di istanza realista.

All’inizio degli anni quaranta, la questione del colore è ormai centrale nella ricerca di

Sassu. Nel segno di un cromatismo dall’accento quasi fauve è Nu au divan vert, dominato

dall’aggressiva proposta di un corpo rosso di donna. Per Sassu, il mito o la storia non rap-

presentano l’espediente per una mistificazione favolistica di un messaggio politico, ma

l’occasione per aggiungere a un sotteso appello civile l’enfasi della vicenda esemplare. La

sua non è mai una fuga nella classicità o in tempi remoti, la fuga insomma in un improbabile

altrove, per allontanarsi dalle colpe del suo tempo, ma un modo per elevare la miseria del

quotidiano alla dignità di un’epoca o di una favola memorabile. I suoi cavalieri, le sue per-

sone togate, le sue dee non hanno mai un’eterea presenza simbolica, ma la vibrante carnalità

di figuranti chiamati a recitare un dramma che sta per compiersi. Ecco perché il paradiso

mitico si tramuta spesso nel teatro di uno scontro armato a cui Sassu vorrebbe in realtà

chiamare gli uomini del suo tempo, come accade nella Rissa di cavalieri. In opposizione alla

declamazione novecentista del mito di una nuova classicità, Sassu inventa dunque

97 G. De Grada, La pitturaitaliana alla IIIQuadriennale romana, in“Corrente”, 28 febbraio1939.98 G. Marchiori,Santomaso, in “Corrente”,30 aprile 1939. Dallaprefazione al catalogodella mostra alla GalerieRive Gauche, inauguratail 14 aprile a Parigi.

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l’ossimoro di una realtà mitica, non per dare forma a una sua visione, ma per raccontare il

sogno di tutti: quella disperata “aspirazione all’epica”99 di una gioventù che si sognava libe-

ra. Il messaggio di speranza che Sassu dipinge nel 1944 si rifà al mito della joie de vivre, il

mito di un’umanità che nella natura vive una magica età dell’oro. Il vorticoso girotondo del-

le ninfe, ritratte nella Danza di Matisse, diventa la virile stretta di mano a tre della

Primavera: un’intesa che ha per sfondo, però, una geometria del naturale che è misura del-

l’impossibilità di fornire le coordinate di quel luogo mitico.

Ogni movimento ha i suoi messaggeri. Artisti che annunciano quello che sarà e le cui opere

hanno il portato di una premonizione ragionata. Uno dei messaggeri riconosciuti di Corren-

te è Gino Bonichi, Scipione. Quando nel marzo 1942 la Galleria della Spiga, la galleria che

raccoglie l’eredità di “Corrente” inaugura i suoi spazi con una mostra dedicata ai disegni

inediti di Scipione, l’artista non ancora trentenne è già morto da nove anni.

“Se si vuole dare un senso lirico alle cose, bisogna avere un’anima che ci risponda e sia

pronta a vibrare”, aveva scritto all’amico fraterno Mafai, poco prima di morire100. Nella

morbosa sensibilità di Scipione, nel suo avido affondare nell’afrore delle cose alla ricerca del

respiro della vita c’è una potente anticipazione della poetica di Corrente. Un’opera come La

piovra (I molluschi, Pierina è arrivata in una grande città), dove il titolo troppo lungo rispec-

chia il gusto di certe tavole della rivista parigina “Bifur” e di alcuni feuilleton che i surreali-

sti avevano reso di moda, si presta ovviamente a una lettura simbolica. Anche se spesso è so-

prattutto una sensuale tattilità a decidere gli impropri accostamenti degli oggetti che affolla-

no il tavolo rosso, scenario di tante nature morte dell’artista.

C’è già il silenzio del dopo nei quadri di Fiorenzo Tomea dipinti verso la fine degli anni

trenta. L’inquietudine della sua epoca dà corpo alle forme grottesche de Il bestione, il mo-

stro che si erge a sbarrare la strada per il mare. Anche se il mare, più che una via di fuga, è

antro sommerso, pronto a scagliare sulla riva i relitti di una Tempesta che è stata. Per un pit-

tore che, come lui, ha sempre aborrito sopra ogni altra cosa le trame intellettualistiche del-

l’arte, queste visioni hanno il valore della genuina espressione di un’inquietudine che affon-

da le sue radici in un sentire collettivo. Le forme della sua pittura sono le forme di una pau-

ra antica.

Le opere dipinte dal ventenne Ernesto Treccani manifestano una forte sinteticità. La sua pit-

tura percorre i profili delle cose con una linea severa, che non si concede brividi emozionali.

Se confrontiamo due opere eseguite nel 1940, l’Autoritratto e I tetti di Genova, notiamo co-

munque l’inevitabile altalena scritturale degli esordi. L’Autoritratto, infatti, pur nella severità

dell’impianto, dichiara la sua ascendenza vangoghiana nella stesura virgolettata del colore e

negli scarti cromatici attraverso i quali si costruisce un’immagine saldamente plastica. Nei Tetti

di Genova, invece, la volumetria urbana è ridotta a trama di piani, a reticolato dello spazio.

“La vita che sta dietro ad ogni realizzazione d’arte, ci deve spingere a una essenzialità di linee

e di piani”, scrive Treccani. “Uno spietato ‘conflitto’ di angoli e rapporti in maggiore”101. La

volontà di aderenza al reale non è infatti, nel suo caso, patto naturalistico, anzi. L’esito è quello

di una sublimazione della realtà nella sua traduzione segnica. La pittura è la lente capace di

mettere a fuoco la trama convulsa dell’essere, di una “città folta della vita di molti uomini”102.

99 Cfr. E. Persico, AlMokador, articolo scrittoper “L’Ambrosiano” il 28o il 29 settembre 1931 manon pubblicato. Ora nelvolume che raccoglie tuttigli scritti sull’arte esull’architettura diEdoardo Persico. Tutte leopere (1923 - 1935), acura di G. Veronesi,Edizioni di Comunità,Milano 1964, vol. I, p.134. 100 M. Mafai, In morte diScipione, in “L’Italialetteraria”, 19 novembre1933.101 E. Treccani, Arte peramore… cit., p. 21. Notadatata 28 giugno 1943.102 M. De Micheli, ErnestoTreccani, Edizioni delMilione, Milano 1962, p.8. “Si può indicare unquadro da mettereall’inizio della carrieraartistica di Treccani, unquadro che abbia un verosignificato di inizio?Penso di sì. E penso che ilquadro sia quello che eglidipinse a Genovanell’estate del ’40: unquadro dipinto all’aperto.Ricordo che fui io adaccompagnarlo sul posto.Egli voleva dipingere unpaesaggio di tetti, di caseaddossate le une alle altre,una città folta della vita dimolti uomini. Il luogodove l’accompagnai erauna terrazza della villettaDi Negro, da cui sidominava Genova chedigrada, grigia di ardesia,sino al mare”.

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Negli anni di guerra, la volontà dichiarata di far diventare i dipinti le bandiere alzate

per guidare il popolo alla conquista della libertà spinge raramente gli artisti ad abbandonare

le forme del traslato simbolico. Un’opera che è simbolo di una rivolta disperata, di una vio-

lenza che non nasce dall’odio, ma dall’amore, è Violette e coltello. Un fiore è speranza, rina-

scita. Un fiore viola è il segno di una nascita già sporcata da un lutto: la perdita della legge-

rezza della giovinezza schiacciata dalla necessità della lotta. Sono versi di Treccani del 1940:

“Cantano gli operai, / occhi neri e cuore rosso / Sulla strada di Milano / ho ucciso un uomo

/ non posso cantare”103.

Se Corrente è il luogo dove la vita incontra l’arte, la pittura di Italo Valenti rappresenta il

luogo dove la poesia incontra la vita. Verso la fine degli anni trenta, è Valenti infatti a com-

porre delicate metafore oniriche, popolate di figure esili che depongono la loro materialità

per diventare segni di una presenza magica. I suoi personaggi tentano puntualmente la fuga

dai tempi storici, ma l’altrove a cui approdano è una sorta di isola che non c’è, come quella

dell’Isola dei cani, uno dei dipinti di Valenti esposto alla seconda mostra di Corrente, nel

1939. Joppolo l’anno dopo, sulle pagine di “Corrente”, sottolineava la presenza nelle opere

dell’artista “di figure umiliate da forme e da colori sottili, l’incessante incalzare di persone

che chiamano in aiuto un’atmosfera trasognata di colori perché si possano fisicamente stac-

care dal suolo ed essere portate in un volo che è senza ali”104. Come quello dei Giovani greci,

che all’inquieto stare sulla riva aggiungono il volo di uno di loro. Un volo, però, che è più

un precipitare senza speranza, la prova dell’impossibilità di fuga. Il rimando agli uomini ros-

si di Sassu è inevitabile. Un’altra volta la locuzione esistenziale è quella dell’attesa. Un’attesa

su cui saetta quel volo inutile.

L’uomo albero non è solo il racconto del miracolo di una metamorfosi, l’atmosfera non

è quella di tante altre opere dipinte da Valenti in quegli anni, dove il territorio dell’assurdo

in cui si svolge la storia assegna un’assoluta normalità all’incredibile: come quando enormi

barche di carta navigano un mare tempestoso. Qui l’evento dirompe nella realtà con la forza

sconvolgente di un miracolo avvertito come tale: un miracolo che non ha giustificazioni fa-

volistiche, ma si nutre dell’assurdo della storia. L’anno prima, nel 1937, Carlo e Nello Ros-

selli erano stati assassinati e Valenti compone un’allegoria magica: l’albero che cresce dalla

morte dell’uomo è l’albero della libertà. L’orologio surreale, rotolato a terra, colloca la vi-

cenda nel tempo della storia.

Forse per i modi in cui si è svolta la sua formazione, al di fuori degli omologanti insegna-

menti accademici, fin dagli esordi Emilio Vedova esibisce una fiera personalità stilistica.

La sua presa sul reale adotta le forme drammatiche di un potente bianco e nero. Le sue

tele sono colate di segni brulicanti, che si contorcono dolorosamente. “Sempre esaminan-

do le mie preferenze di pittore, m’interessa rilevare come l’arabesco trova la sua radice nel

barocco”, scriverà Vedova. “Ma sia chiaro: arabesco come segno astratto, libero sismo-

grafo di un sentire che va oltre la realtà naturalistica. Un impeto di sensibilità che mi por-

tava a segnare con la saliva, col dito, con uno stecco, in modo immediato: ‘espressionista’

si direbbe oggi; ma che con l’aspra, corrosiva coscienza espressionistica, in quel momen-

to, non aveva niente a che fare. Un segno non decorativo, una registrazione tesa, un’im-

mersione, direi”105.

103 E. Treccani, Poesie,Edizioni del Leone,Venezia 1986, p. 104.104 B. Joppolo, Il pittoreValenti, in “Corrente”, 15aprile 1940. 105 E. Vedova, Un pittoregiudica l’architettura, in“L’Architettura”, n. 10,agosto, Roma 1956.

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Una visione anomala, che riesce ad avere la meglio anche sull’abusata pittoricità di una

città come Venezia. Il Caffè alle Zattere è ridotto così al tracciato nervoso, zigzagante della

vibrazione del segno. Il fraseggio descrittivo in un’allarmata concitazione si spezza, seguen-

do l’urgenza dell’emozione. Questa segmentazione del tratto, questa frattura della linea se-

condo angoli imprevedibili, è la cifra stilistica del dipinto, che rivela la matrice del primo

linguaggio di Vedova, nella contaminazione del dinamismo boccioniano con l’inquietudine

espressionista.

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