crepe nella tavola periodica
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Quando ci spostiamo da piccoli a grandi numeri atomici, la carica nucleare aumenta a causa dei protoni in più e cominciano i guai.TRANSCRIPT
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Crepe nella tavola periodica Ing. Silvano D’Onofrio
Sommario Crepe nella tavola periodica .............................................................................................................................. 1
Parte prima: e siamo arrivati a 118 ............................................................................................................... 2
Parte seconda: effetto relativistico diretto ................................................................................................... 5
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Parte prima: e siamo arrivati a 118
Quando Dmitrij Mendeleev e altri crearono la tavola periodica degli elementi negli anni sessanta del
XIX secolo, fu il primo grandioso schema a organizzare tutti gli elementi conosciuti a quell’epoca.
Mendeleev lasciò diverse posizioni vuote nella sua tavola, e fece l’audace previsione secondo cui
un giorno sarebbero stati scoperti nuovi elementi che avrebbero riempito quelle posizioni. Da allora
sono seguite numerose revisioni della tavola, ma fino a oggi tutte avevano lacune.
Dopo che l’International Union of Pure and Applied Chemistry (IUPAC), l’autorità mondiale della
chimica, ha approvato l’ingresso degli elementi 113. 115, 117, e 118 per la prima volta la tavola
periodica è completa.
Probabilmente il fantasma di Mendeleev starà festeggiando il trionfo della sua profezia, almeno fino
a quando chimici e fisici nucleari non sintetizzeranno nuovi elementi che obbligheranno ad
aggiungere nuove righe alla tavola periodica, forse lasciandosi dietro qualche posizione vuota.
Mendeleev non si limitò a prevedere l’esistenza di elementi che dovevano ancora essere osservati,
ma riuscì addirittura ad anticiparne correttamente le proprietà chimiche e fisiche di altri atomi,
basandosi sulle ricorrenze del numero atomico.
Numero atomico. Ma cos’è questo numero atomico e perché è così importante?
Diciamo subito che gli atomi non sono tutti uguali. Il numero atomico distingue un atomo da un
altro per proprietà fisiche e chimiche.
Sappiamo che gli elettroni che sono considerate le particelle esistenti più piccole, praticamente
indivisibili, ruotano a distanze abissali attorno al proprio nucleo. Per esempio se l’atomo
dell’idrogeno avesse la grandezza di una mela, il suo elettrone gli girerebbe attorno alla distanza di
un chilometro.
Il nucleo, una volta considerato indivisibile, è formato da altre particelle, neutroni e protoni,
rispettivamente di carica neutra e di carica positiva. Questo la sapete.
Forse non sapete che queste due particelle hanno più o meno la stessa massa, cioè sono formate da
una quantità di materia quasi uguale. In realtà anche i neutroni e protoni sono formari da particelle
più piccole chiamate quark, ma di questo parleremo in un’altra parte.
Gli elettroni hanno una massa così piccola che ne servono 1836 per uguagliare la massa di un
protone. Anche gli elettroni hanno una carica elettrica, ma essa è diversa da quella del protone: è
una carica elettrica negativa.
In un atomo in condizioni normali il numero degli elettroni è sempre uguale a quello dei protoni: a
un certo numero di cariche positive corrisponde un ugual numero di cariche negative. L’atomo,
dunque, risulta neutro, né positivo né negativo.
Se gli atomi sono così piccoli, se hanno una massa così piccola come fai a dire che non sono tutti
uguali? – mi domanda il mio cane che ancora qualche lacuna ce l’ha.
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Pur essendo tutti formati dalle stesse piccolissime particelle – gli spiego – gli atomi non sono tutti
uguali tra loro: alcuni sono più piccoli, altri più grandi. La piccolezza o la grandezza di un atomo
dipende dal numero di protoni del suo nucleo.
L’atomo più piccolo ha il nucleo composto da un solo protone; il più grande conosciuto in natura ai
miei tempi universitari possedeva ben 92 protoni.
Come vedi – mi rivolgo al mio fedele amico – gli atomi non sono tutti uguali ed hanno un diverso
numero atomico, termine che indica quanti protoni sono presenti nel nucleo: il primo ha numero
atomico 1 perché ha un solo protone e l’ultimo ha numero atomico 92 perché ha 92 protoni.
L’atomo più piccolo, quello con un solo protone, è l’idrogeno; il più grande in natura si chiama
uranio e ha 92 protoni. L’atomo che possiede 7 protoni è quello dell’azoto, una sostanza presente
nell’aria; l’atomo con numero atomico 8, cioè con 8 protoni, è l’ossigeno, il gas che ci permette di
respirare.
Quindi – interviene il mio cane – se ho capito bene la tavola periodica degli elementi è lo schema
col quale vengono ordinati gli atomi sulla base del loro numero atomico.
Bravo il mio cane.
In realtà bisogna dire le cose come stanno. Mendeleev, essendo un chimico, aveva ordinato gli
elementi secondo il loro peso atomico (un po’ complicato da spiegare in due parole, ma
intuitivamente si capisce che ha che fare col peso espresso in ordini molto piccoli del grammo).
Solo successivamente gli elementi vennero ordinati non in base al peso atomico, ma alla carica
nucleare, ossia al numero di protoni presenti nel nucleo, definito da Rutherford “numero atomico”.
Il merito va l’inglese Henry Moseley.
Ordinando gli elementi in base al numero atomico si arriva all’attuale tavola periodica degli
elementi, che ben si accorda con il modello atomico di Bohr, il quale ipotizza che l’atomo sia
costituito da un nucleo centrale circondato da elettroni disposti in “gusci” (o strati) concentrici su
orbite prestabilite, caratterizzate da quantità definite di energia.
Gli elementi, quindi, dello stesso gruppo (ossia della stessa colonna verticale nella tavola periodica)
hanno proprietà chimiche simili perché hanno nel guscio più esterno lo stesso numero di elettroni.
Ma non è finita qui.
Negli anni trenta del secolo scorso i fisici nucleari iniziarono a sintetizzare nuovi elementi.
La tavola periodica si è successivamente arricchita di nuovi elementi ottenuti artificialmente (con
un procedimento proposto dal premio Nobel Enrico Fermi: bombardando i nuclei di elementi
pesanti con fasci di neutroni, si originano nuclei radioattivi con un protone in più).
Così, nel 1936, Emilio Segrè ottenne il primo elemento artificiale, il tecnezio (numero atomico 43).
Questo elemento occupava una delle quattro posizioni vuote nella tavola nota all’epoca, che andava
dall’1 (idrogeno) al 92 (uranio).
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Altri pezzi mancanti arrivarono presto: due furono sintetizzati (astato 85 e promezio 61) e il terzo fu
scoperto in natura (il francio 87).
Irradiando poi il molibdeno (numero atomico 42) con neutroni del deuterio; nel 1940 venne
sintetizzato il nettunio (numero atomico 93, uno in più dell’uranio) e, successivamente, gli atomi
con numero atomico da 94 (plutonio) a 100 (fermio).
Elementi con numero atomico maggiore non si possono ottenere con questa tecnica, per cui gli
elementi con numero atomico superiore a 100 sono stati prodotti con i reattori nucleari, mediante
reazioni di fusione nucleare: nuclei leggeri di carbonio, ossigeno, azoto, boro vengono “sparati” ad
alta velocità contro elementi pesanti di numero atomico compreso tra 94 e 98 per ottenere la fusione
dei nuclei atomici e creare nuclei di elementi con numero atomico maggiore di 100.
Attualmente si è riusciti a ottenere elementi di numero atomico superiore a 106 (fino a 118) con
nuovi acceleratori di ioni pesanti.
Tuttavia, gli elementi più pesanti si disintegrano in tempi brevissimi per le forze repulsive dovute
alle cariche positive (i protoni) presenti nel nucleo: più è alto il numero atomico (ossia il numero dei
protoni del nucleo), maggiori sono le forze repulsive e più breve è la vita del nucleo, che tende a
disintegrarsi emettendo radiazioni.
Non solo. Quando il numero atomico (il numero di protoni del nucleo) è arrivato a valori elevati,
succede qualcosa che non ti aspetti a sconvolgere le carte in tavola.
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Parte seconda: effetto relativistico diretto
di bruce
Tutti gli elementi fino al 116, più l’elemento 118, entrati ufficialmente nella tavola periodica solo
nel dicembre del 2015, erano già stati scoperti, e il 117 ha riempito l’ultima casella vuota rimasta
nella riga più in basso.
Questo nuovo atomo non ha ancora un nome, perché di solito la comunità scientifica attende una
conferma indipendente prima di battezzare un nuovo elemento. Ma, salvo sorprese, il 117 ha ormai
occupato il suo posto permanente nella tavola periodica degli elementi.
Siccome i fisici nucleari sono dei ficcanaso, o rompi …. atomi (come preferite), essi continueranno
a sintetizzare nuovi elementi, che avranno nuovi tipi di orbitali elettronici, e cercheranno di capirne
il comportamento chimico studiando piccole quantità di atomi che hanno vita assai breve.
Questo succede perché gli elementi più pesanti si disintegrano in tempi brevissimi per le forze
repulsive dovute alle cariche positive (i protoni) presenti nel nucleo: più è alto il numero atomico
(ossia il numero dei protoni del nucleo), maggiori sono le forze repulsive e più breve è la vita del
nucleo, che tende a disintegrarsi emettendo radiazioni.
Ma ecco un altro imprevisto.
Quando il numero atomico è arrivato a valori elevati, si è osservato che alcuni dei nuovi elementi
aggiunti non si sono più comportati come richiede la tavola periodica; vale a dire, le loro interazioni
chimiche, come il tipo di legame formato con altri atomi, non somigliano a quelle degli altri
elementi della stessa colonna sulla tavola periodica.
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Faccio un esempio.
Lo stato della materia dell’elemento 118 è sconosciuto. Si sa che è un elemento sintetico
radioattivo, probabilmente gassoso a 25 °C.
Infatti ai più attenti di voi non è passato inosservato che l’ultimo livello ha 8 elettroni, ovvero non
reagisce chimicamente come i gas nobili.
Per questo si pensa che l’ununoctio 118 abbia le stesse caratteristiche e proprietà fisico-chimiche
del gruppo di elementi dei gas nobili in cui è stato inserito. Sarebbe il secondo elemento gassoso
radioattivo (insieme al radon) e il primo elemento gassoso semiconduttore.
Tuttavia gli scienziati non riconoscono questo elemento come gas nobile perché non ha le sue
caratteristiche chimiche. L’Uuo 118 sarebbe infatti in grado di formare ossidi stabili (UuoO3 e
simili) oltre che cloruri e fluoruri. Comunque la sua radioattività determina un’implicita difficoltà
nel formare molti composti con altri elementi. Un’altra ipotesi riguarda la forma che l’ununoctio
118 assumerebbe qualora fosse presente in natura: si pensa ad uno stato solido e non gassoso, perciò
non presenterebbe le normali caratteristiche dei gas nobili.
Una crepa bella e buona nella tavola periodica.
Qual’è il motivo di questo comportamento?
Il motivo non sta più nel numero dei protoni, ma nella disposizione degli elettroni. Non bastavano le
proprietà chimiche come la elettronegatività che lega gli atomi a dare spiegazioni delle anomalie
riscontrate. Ci doveva essere una nuova spiegazione.
E’ nella prima metà del XX secolo che gli scienziati capirono che la periodicità degli elementi
affonda le radici nella fisica quantistica e, in particolare, nella fisica degli elettroni che orbitano
attorno al nucleo.
Le orbite degli elettroni sono un insieme discreto per forma e dimensioni. Atomi con numeri
atomici più grandi hanno lo stesso tipo di orbite, od «orbitali», di quelli con numero atomico più
piccolo, a cui però se ne aggiungono altri di tipo diverso.
Spiegarlo in quattro parole non è facile, lo faremo in un’altra occasione.
Diciamo che gli elettroni di un atomo sono distribuiti su diverse orbite e livelli, per esempio nel
piombo sono così distribuiti sui vari livelli: 2, 8, 18, 32, 18, 4 per un totale di 82 elettroni pari al
numero dei protoni. I 4 elettroni sul guscio esterno sono quelli che gli permettono di legarsi con altri
atomi.
Ma andiamo avanti.
Quando ci spostiamo da piccoli a grandi numeri atomici, la carica nucleare aumenta a causa dei
protoni in più e cominciano i guai.
Con l’aumento della carica nucleare cresce anche la velocità degli elettroni negli orbitali interni.
La ragione è che alcuni degli elettroni in orbita attorno ai nuclei più massicci raggiungono velocità
prossime a quella della luce. Nel gergo dei fisici diventano particelle «relativistiche», e di
conseguenza gli atomi si comportano diversamente da quanto suggerirebbe la loro posizione nella
tavola.
Un bel casino.
Questo effetto provoca una contrazione delle dimensioni degli orbitali più interni e li rende più
stabili. Il restringimento ha un effetto a cascata sugli altri orbitali, che si contraggono anch’essi,
inclusi gli orbitali di «valenza», i più esterni, che determinano le proprietà chimiche degli elementi.
Tutti questi fenomeni vanno sotto il nome di “effetto relativistico diretto” che, in generale, aumenta
con la carica del nucleo di ciascun atomo.
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Parallelamente altri effetti di natura opposta
complicano la faccenda.
Mentre l’effetto relativistico diretto stabilizza certi
orbitali, un altro effetto relativistico «indiretto»
destabilizza gli elettroni su livelli più alti (d e f). È
una specie di schermo elettrostatico da parte degli
elettroni dei livelli più bassi (s e p), le cui cariche
negative neutralizzano in parte l’attrazione della
carica positiva del nucleo. Per questo motivo il
nucleo sembra esercitare sugli elettroni distanti
un’attrazione minore, anziché maggiore.
Cosa significa questo? – mi domanda il mio cane
che comincia a dare segni di impazienza.
Significa che non è chiaro se anche per gli atomi molto pesanti sia valido il principio per cui gli
elementi della stessa colonna si comportano in modo simile.
Fino a poco tempo fa, il comportamento dei nuovi elementi rispettava quello previsto sulla base
della loro posizione sulla tavola periodica. Ma poi sono cominciate le brutte sorprese (o forse le più
interessanti).
Alcuni esperimenti sulla chimica degli ultimi elementi scoperti hanno mostrato le prime minacciose
crepe nella regola periodica.
Già gli esperimenti effettuati negli anni novanta su atomi “super massicci” avevano suggerito che
questi elementi non hanno le proprietà corrispondenti alla loro posizione sulla tavola periodica.
Secondo la legge periodica, invece, questi elementi avrebbero dovuto comportarsi come quelli che
nella tavola sono sopra di loro.
E non è facile osservarli.
Gli elementi superpesanti, infatti, sono in genere molto instabili e decadono in elementi più leggeri
in meno di un secondo. Gli studiosi si limitano soprattutto a osservare il risultato del decadimento
nucleare, che fornisce informazioni sulla fisica e sulla chimica del nucleo. In questa fase della
ricerca è impossibile indagare le proprietà chimiche con il metodo tradizionale, mettendo le
sostanze in una provetta e osservandone le reazioni con altre sostanze.
È opinione condivisa che, se il numero di protoni supera un certo limite, il nucleo non riesce a
formarsi neanche per un breve istante.
Questo lascia supporre che la tavola periodica abbia un limite massimo di estensione.
Quanti?
Alcuni ricercatori hanno tenuto conto del volume del nucleo, e ritengono che l’elemento finale avrà
un numero atomico pari a 172 o 173.
E non è chiaro se il principio per cui gli elementi nella stessa colonna della tavola periodica hanno
un comportamento simile sia valido anche per atomi molto pesanti.
A questo punto il mio cane che ha perso la pazienza, sbotta.
“Allora qual è il motivo di continuare a sintetizzare nuovi atomi quando decadono istantaneamete,
quando non hanno proprietà chimiche assimilabili ai corrispondenti della colonna superiore e forse
non appartengono nemmeno alla tavola periodica.
Non è più facile tenerli sparati come una classe a parte?”