dal silenzio dei segni all’oro di bisanzio: la bellezza ... · cicladi o, anche se vagamente, la...
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Dal silenzio dei segni all’oro di Bisanzio: la bellezza femminile nei versi di
Pablo Neruda e nei dipinti di Olga Minardo
“ Ammiro la tua bellezza e sono sotto di essa …”
Roland Barthes
Sono numerose le modalità espressive dell’animo umano: attraverso il
corpo, attraverso i segni, attraverso i suoni, attraverso la maschera del viso,
maschera appunto, tanto che, come osservava Re Duncan, “ non si possono
scoprire dal volto le intenzioni dell’anima.”
Nel nostro mondo sempre più tormentato e assordato da rumori, da suoni
inutili, da un vociare avvilente, qualcuno ha cercato di esaltare la musica del
silenzio, comunicando concetti, sentimenti, passioni. Lo ha fatto Marcel
Mangel, meglio conosciuto come Marcel Marceau, richiamandosi all’alfabeto
antico dei gesti, parlando “ senza neppure il soffio della voce, ma solo con la
poesia del corpo” ; lo fa Olga Minardo, poliedrica artista che spazia dalle
incisioni ai pastelli, dalla ceramolle al murales, dall’olio su tela al disegno.
Si tratta, nel caso della Minardo, di un linguaggio disegnato, lontano dal
roboante orpello della poesia gridata o dall’immagine filmica violenta e cruda;
è un linguaggio silenzioso, fatto di segni e di disegni e di colori; è un
linguaggio che nella delicata schiettezza e nel cromatismo mai abbacinante ti
concupisce, stuzzica gradevolmente la vista e la mente, ti avvolge e ti seduce
come solo una mano di donna è capace di fare lavorando di pennello e di
torchio.
“ Ho sempre pensato che, per essere apprezzato e capito, un quadro non
dovrebbe avere bisogno d’altro che di se stesso “ confessa la Minardo. Di
rimando – e non a caso, come vedremo – vengono in mente le parole di
Gustav Klimt, che asseriva :” Chi vuole sapere qualcosa di me, come artista
– l’unica cosa degna di attenzione – deve osservare attentamente i miei
dipinti e da questi cercare di capire ciò che io sono e che cosa voglio “.
Non sono molte , di certo, in una realtà in cui l’altra metà del cielo è sempre
stata mantenuta in un cono d’ombra, le donne che sono riuscite a esprimersi
pienamente e a raggiungere traguardi artistici importanti. Scorrendo “ le
opere e i giorni “ il pensiero va ad Artemisia Gentileschi, che nella Roma
seicentesca e maschilista ottenne il successo destreggiandosi tra Caravaggio e
Van Dick, oppure a Frida Kahlo, oppure ancora ad Olga Minardo: tutte donne
che , pur vissute in contesti e in momenti diversi, sono accomunate da una
forte e onnivora creatività artistica, pronte a esplorare percorsi di rado
sperimentati, a indagare campi espressivi tra i più disparati, a offrire sintesi di
passato e di presente pienamente armonica.
Tanto è stato detto e scritto sul caleidoscopico crogiuolo etnico di Olga Minardo, sulla nonna te-
desca del Volga, appartenente cioè a quella comunità tedesca che si espanse nei secoli verso le terre
dell’Ost, dalla Pomerania alla Lituania dei Cavalieri teutonici e di Porta Spada, dalla Romania alla
Russia, da Alba Julia a Sibiu, a Saratow, ad opera di mercanti sassoni prima e di contadini attratti
dai benefici concessi dalla zarina Caterina II poi. Era una comunità numerosa e importante, quella
dei “ Tedeschi di Russia”, con oltre 400 scuole diffuse nel territorio, almeno fino alle guerre mondiali
e alle pulizie etniche del periodo sovietico: come Kathe Albrecht, nonna di Olga e tedesca di Saratow,
anche la madre di Lenin, Maria Alexandrovna Blank, era tedesca del Volga.
E’ con questa nonna che vive, nel Baden-Württemberg, la propria infanzia Olga, a cui, vedi caso,
è stato imposto un nome diffuso nel mondo slavo-orientale.
La famiglia della Minardo è un chiaro esempio di caleidoscopico crogiuolo etnico, in cui elementi
culturali tedeschi ( la madre prussiana e pittrice), russi ( dalla nonna originaria del Volga all’oca
Guendalina delle favole slave), siciliani ( il padre di Olga, pittore di origini ragusana) si intrecciano,
si confondono, esplodono in una felice combinazione di cromosomi versatili e impegnati nelle arti,
dalla danza alla pittura o alla scultura. Anche fisicamente la Minardo unisce la malìa degli occhi
( cosa ricorda il colore di questi occhi, le fascinose viuzze della praghese Màla Strana o l’ambra
diffusa nella penisola dei Curi, a Nida o nell’antica Konisberg ?” ) alla raucedine gutturale
dell’ “ hoch deutch”, l’esilità corporea ( tanto lontana dalle possanze atletiche di Leni Riefenstahl )
alle dita nervose e affusolate, per il lungo esercizio, dei pittori siciliani, del padre Giuseppe o di
Guttuso. Eppure proprio questa mescolanza di elementi rende la Minardo come “ una frontiera,
quasi fosse spiritualmente extraterritoriale per eccellenza”, per usare le parole usate da Claudio
Magris per Kafka.
Questa è la donna, questa è l’artista, che inizia a esporre presto,sia dai primi anni settanta e dopo
gli studi romani a via di Ripetta e all’Accademia del Nudo. Questa è l’artista, che studia con Ernesto
Nino Palleschi acquaforte e acquatinta, incisione e ceramolle, proprio come aveva fatto il bielorusso
Chagall, e che nel 1983 gioisce, con una ingenuità tutta al femminile, per la sua “ prima lastra tirata
personalmente con il torchio, nel suo studio”, una acquaforte dal titolo “ Sul cuscino”. C’è una
profondità mitologica primaria – come sostiene lo scrittore israeliano Aharon Appelfed – alla base
dell’arte: il bambino, con la ingenuità, e, aggiungiamo noi, la donna, con la sua sensibilità, spesso
colgono quel lato antico della vita che l’uomo adulto non riesce più a cogliere.
Dagli anni settanta in poi è un susseguirsi di mostre, in ogni angolo del pianeta, con disegni e
incisioni e acqueforti e pastelli e pitture e sculture, fino alla recente esposizione a Pechino in occasio-
ne delle Olimpiadi.
Ben presto le mostre della Minardo acquistano un valore tematico, sono organizzate attorno a un
concetto, a un argomento, a un sogno, a un simbolo. E’ il caso de “ La stanza da letto”, delle
“ Situazioni in ocra e blue”, delle “ Egiziache “, delle “ Silfidi”, della mostra romana “ Dall’Eden
all’Eden”, che anticipa nella struttura semantica l’attuale mostra , presso la galleria catanese “ Art
nuvò”, “ Da Neruda a Neruda”. Si tratta, in quest’ultimo caso, di versi e dipinti, perfetta osmosi di
produzione letteraria ed espressione artistica, non nuova nel panorama contemporaneo, a partire
dai versi di Lorca illustrati da Rafael Alberti. Nella mostra catanese Olga Minardo ci regala il segno
della sua maturità artistica, una rivisitazione al femminile degli amori e dei dolori cantati dal poeta
cileno: di particolare ricercatezza la versione utilizzata, che è quella legata alla traduzione di
Salvatore Quasimodo.
C’è l’intiera Minardo della sua trentennale attività in questa mostra. Ci sono i simboli inconfondibili
di sempre, come l’orologio, quasi metronomo bioritmico, che ci ricorda lo scorrere delle ore, il
pulsare della vita, la voglia di cogliere il momento ( il “ carpe diem “ oraziano o “ l’attimo fuggente”
di Walt Whitman ? ). E che dire dei numerosi interrogativi sul futuro, a cui ci riporta l’onnipresente
orologio: “ onye ma echi ?”, “ chi conosce il domani” ammonisce in “ Things fall apart” il nigeriano
Chinua Achee, riferendo un antico proverbio igbo.
Nelle opere di questa mostra tornano ancora i panneggi, che diventano sempre più raffinati, fino ad
arrivare alle sete damascate o, ultimamente, all’impreziosito filet, decadente simbolo di una Sicilia
d’antan, che, con l’occhio di Luchino Visconti, vedi mollemente ondeggiare al soffio di vita che Olga
riversa nelle sue tele.
Sono venti le opere esposte da Olga Minardo all’ “Art Nuvò “: sono per lo più pastelli e qualche o-
lio. Abbiamo il Neruda che canta la bellezza della donna , “ fiore del mondo… dalle fini mani e dagli
esili piedi “: quelle mani unite della Minardo, che si sfiorano voluttuosamente, non ci riportano
visivamente al pathos del canto nerudiano? Altre opere richiamano alla fugacità di quel sentimento
amoroso perseguito dal poeta, “ benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa/ e questi siano gli
ultimi versi che io le scrivo”. E che dire poi di quell’abbraccio disperato dipinto da Olga e che sem-
bra ricordarci la disperazione di “ toglimi il pane, l’aria, la luce, la primavera/ ma il tuo sorriso mai, /
perché io ne morirei.”
La donna è il soggetto principe di Neruda: non a caso con questo
poeta si percepisce pienamente in sintonia Olga Minardo, che
esalta la bellezza femminile con la sensualità del disegno, con la
raffinatezza dei panneggi e con l’oro delle collane, proprio come
Klimt. Se c’è un pittore che bisogna tenere presente per capire il
mondo della Minardo, questo è Gustav Klimt; sono lo Jugendstil e
la Secessione ad aleggiare, con i motivi floreali, nelle opere della
Minardo; è il mondo dei mosaici bizantini, con le decorazioni
geometriche e i fiori stilizzati e gli ori sparsi , a impregnare le tele
della Minardo.
La profusione di oro, che da Pallade Atena ( 1898) porta Klimt a
“ Il bacio “ ( 1907-08), fa capolino nelle opere della Minardo e
prende l’avvio da quel canone 82, con cui Giustiniano II ,sotto la
cupola del Gran Palazzo di Costantinopoli, nel concilio detto per
questo “ al Trullo”, normò le caratteristiche delle icone, come le
ben famose atonite, dopo i ritratti a encausto egizi.
Certo diverso è l’ideale femminile di Olga rispetto a quello di
Klimt, in cui Eva, con le palpebre bistrate, è svestita, suscita
scandalo, è più Ninì, la traviata della letteratura francese, che
Venere, come “ L’Olympia “ di E.Manet .
Olga Minardo, che pure ha studiato il nudo, ci offre sempre lievi
figure di donne vestite, con leggiadri panneggi che fanno sì
immaginare la sinuosità del corpo, ma che non trascendono mai
nello scandalo. E’ in questo il tocco tutto femminile della nostra
pittrice,che, dopo la produzione in cui Eva richiama alla nostra
memoria la fertilità mediterranea delle statuette steatopigie delle
Cicladi o, anche se vagamente, la dilatazione delle forme del
colombiano Botero, perviene a un intenso equilibrio di disegno,
di forme, di colori.
Compare nella mostra catanese la figura di Adamo, quasi
assente in tutta la produzione minardiana: spunta l’abbraccio tra
corpi, intrigo di persone e di mani e di passioni, come nel Neruda
di “ Bella “.
E che dire poi della simbologia legata al mondo animale? C’è l’oca
dell’infanzia, c’è il serpente, certamente richiamo classico a
Laocoonte ( quanti altri richiami, dal paesaggio dietro una finestra
ricordo del ‘400- ‘500 di Antonello da Messina alle opere di fine
Ottocento di von Stuck secondo Franco Speroni ), la conchiglia
( altro sviluppo del Tempo – Kronos- Saturno con le sue spirali),
gli uccelli di legno ( influenza dell’arte dei nativi del Canada?).
E non è difficile pensare a Balthasar Balthus che, angosciato
dalla scomparsa di Mitsou, l’amatissimo gatto, lo farà rivivere nei
suoi dipinti, come l’oca è spesso presente nella Minardo.
Ogni esposizione di dipinti costituisce l’occasione per presentare una determinata produzione, è un
momento diacronico nelle opere dell’artista, ma, soprattutto, rappresenta uno stimolo. Questa
mostra presso la galleria “ Art Nuvò” offre l’occasione di apprezzare il tema dell’amore affrontato dal
Nobel cileno e interpretato da una donna-artista: le immagini di Neruda e della Minardo chiudono
significativamente il catalogo.
Soprattutto – e sottolineiamo soprattutto – la mostra ci riporta al mondo di Olga Minardo, a quel
grumo di case sperdute nel barocco siciliano, al suo atelier, bazar degno del pascià di Ioannina, Alì
Tepelena, al bisticcio orientale “kat’eìkona” ( a immagine dell’artista), dove cuscini, stoffe, collane di
perle, orologi, immagini femminili, si confondono e confondono per la sapiente mistura della
rappresentazione e per l’alchemica abilità nel maneggio di terre e di colori.
In tutte le sue opere, specificatamente in queste della mostra catanese, Olga Minardo si esprime in
tutta sincerità e in piena libertà, quasi a volere rivitalizzare quella Secessione, da Lei tanto
apprezzata, attraverso le parole del grande critico Ludwig Hevesi : “ A ogni epoca la sua arte, all’arte
la libertà”.
E senza l’intuizione di Adriana Conti, animatrice della catanese galleria “ Art Nuvò”, questa libertà
artistica avrebbe incontrato difficoltà a manifestarsi al grande pubblico in Sicilia. Noi, “ e converso “,
difficilmente avremmo potuto avvertire un profondo turbamento, quasi fossimo all’ombra dei
minareti che si specchiano, al chiarore della luna di giugno, sul lago Panflotis, in Epiro, catturati
dalla fascinosa atmosfera, impregnata di profumi d’oriente e di colori d’occidente, dei pastelli e delle
tele di Olga Minardo.
Girolamo Piparo