dalla parola pregata alla parola incarnata

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1 Vorrei proporvi alcune riflessioni che possano poi essere successivamente ampliate e possano essere l’occasione per ulteriori riflessioni a livello per- sonale o di fraternite. Parto rifacendomi allo sforzo che da un po’ di tempo portiamo avanti in vista di strutturare una formazione che possa diventare una base per tutte le fraternite, pur nel rispetto della libertà dell’organizzazione, perché vi sia una base comune, e dallo sforzo che da un po’ di anni è stato fatto per avvicinare le fraternite alla parola di Dio, riscoprendo quello che è stato il cuore del cammino di San Domenico. La parola di Dio, in effetti, ha veramente nutrito quest’uomo, è diventata per lui cibo quotidiano fino al punto che egli ha memorizzato, in gran parte, questa parola di Dio... sul suo esempio anche noi dobbiamo amare e cercare questa Parola fino al punto che nella nostra giornata il nostro riflettere, il nostro con- frontarci con la realtà... scaturiscano quasi armoniosamente da questa parola che è diventata parte di noi stessi e ci ha trasformati progressivamente, facen- doci sempre più parte di Cristo. Ecco, allora vi presenterò una parte iniziale, un poco più difficile come riflessio- dalla Parola pregata alla Parola incarnata p. Fiorenzo Forani op

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V orrei proporvi alcune riflessioni che possano poi essere successivamente

ampliate e possano essere l’occasione per ulteriori riflessioni a livello per-sonale o di fraternite. Parto rifacendomi allo sforzo che da un po’ di tempo portiamo avanti in vista di strutturare una formazione che possa diventare una base per tutte le fraternite, pur nel rispetto della libertà dell’organizzazione, perché vi sia una base comune, e dallo sforzo che da un po’ di anni è stato fatto per avvicinare le fraternite alla parola di Dio, riscoprendo quello che è stato il cuore del cammino di San Domenico. La parola di Dio, in effetti, ha veramente nutrito quest’uomo, è diventata per lui cibo quotidiano fino al punto che egli ha memorizzato, in gran parte, questa parola di Dio... sul suo esempio anche noi dobbiamo amare e cercare questa Parola fino al punto che nella nostra giornata il nostro riflettere, il nostro con-frontarci con la realtà... scaturiscano quasi armoniosamente da questa parola che è diventata parte di noi stessi e ci ha trasformati progressivamente, facen-doci sempre più parte di Cristo.

Ecco, allora vi presenterò una parte iniziale, un poco più difficile come riflessio-

dalla Parola pregata alla Parola incarnata

p. Fiorenzo Forani op

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ne ma che è una motivazione remota, ma non tanto, di quello che è la vocazio-ne, non soltanto domenicana, ma cristiana: se non c’è quest’aspetto, rischiamo di perdere il significato di quello che per noi significa essere persona nella misura in cui è proiettata contemporaneamente verso Dio e verso l’altro... in questo duplice incontro che si richiama continuamente, lo dice anche Gesù (l’amore a Dio e l’amore al Prossimo) è reso possibile l’incontro con noi stessi, incontro che non potrebbe avvenire se noi escludiamo gli altri due aspetti. Da qui nasce la scoperta della verità delle persone e delle cose: chi siamo, che cos’è l’universo in cui siamo inseriti e, quindi, come imparare ad amare sul serio noi stessi e le cose, non semplicemente a strumentalizzare o, come dice più volte il Maestro nelle ultime lettere, a vedere tutto come fosse un super-mercato dove tutto si compra e si vende, persone comprese (in questi giorni lo stiamo vedendo anche troppo... ricordate la nonna russa che vuole vendere il nipotino...).

Quando ci avviciniamo al mistero straordinario che è il nostro Dio, ovviamen-te, nonostante tutta la rivelazione, possiamo cogliere soltanto delle sfumature, delle sfaccettature; lo stesso S. Tommaso alla fine della sua vita, dopo aver detto che tutto quanto aveva scritto non era altro che paglia in confronto alla realtà, diceva anche che tutto quello che noi riusciamo a conoscere è sempre immensamente al di qua e al di sotto di quello che è Dio veramente e vorrei aggiungere di quello che siamo noi all’interno dello stesso progetto di Dio.

Quando cerchiamo di approfondire il discorso dell’esistenza, della vita, dell’essere, parlando di Colui che ne è il principio e fondamento, possiamo notare che all’inizio dell’essere troviamo Dio che pensa se stesso, e in questo pensiero, in questa immagine di sé, nella quale si riconosce uguale a se stesso, genera il Figlio con il quale è in perfetta comunione. In questo Verbo o Parola il Padre esprime se stesso all’interno del mistero trinitario e, in questo Verbo, dice tutta la realtà creata: la Bibbia comincia proprio con questo aspetto quan-do parla della creazione, in quel rinnovarsi del “dire” di Dio:”e Dio disse e fu fatto ... e vide che era buono ...”Dio dice se stesso attraverso il Figlio e attraverso il Figlio dice nell’Amore e quindi chiama all’esistenza tutta la realtà creata.

Vi anticipo già: quando noi ci avviciniamo alla Parola di Dio nella preghiera, nello studio, intendendo per studio quello che diventa approfondimento della parola di Dio, quindi quello studio che diventa (e S. Tommaso ce lo dice chia-ramente) contemplazione, ringraziamento, un avvicinarsi a questo mistero di Dio che ci nutre, in questo studio preghiera, in questo nostro elevare la mente a Dio, pur nei limiti permessi del nostro essere creaturale, noi in qualche modo ripetiamo e riproponiamo il “dire” di Dio, cioè anche noi siamo chiamati a

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“dire” Dio: e questo “dire Dio” significa esprimerlo, renderlo presente, render-lo conosciuto attraverso il nostro modo di parlare, di comportarci, di essere.

In effetti nella misura in cui ci addentriamo nel mistero di Dio e ci apria-mo al suo amore, anche noi veniamo portati a “dire” non con le parole come semplice suono, ma con la nostra vita, i nostri gesti, le nostre decisioni, le scelte di vita, con il nostro modo di stare insieme, di camminare insieme, siamo portati a “dire” questa Parola eterna fatta carne, crescendo nella comunione con essa, ed in conseguenza tra di noi, e conforman-do sempre più a questa Parola il nostro essere, fino al punto di poter affermare insieme all’Apostolo Paolo:”non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”.

Questa è la motivazione del tema.

Inoltre, riflettendo mi era venuto alla mente questo parallelo: la realtà di Dio e la realtà dell’umanità.

In Dio troviamo il Padre e inizialmente (se lo guardiamo soltanto nella sua real-tà di Dio, non nel suo generare) potremmo vederlo come il “silenzio di Dio”, nel senso che, se non c’è una comunicazione, lo vediamo soltanto in quanto è racchiuso in se stesso; però da quello che Gesù ci rivela ci accorgiamo che il “silenzio di Dio” non è il silenzio di chi non ha nulla da dire, il silenzio di chi si rifiuta al dialogo, non è il silenzio di chi si racchiude in se stesso; questo si-lenzio di Dio in realtà è quella ricchezza infinita che non può che esplodere nel senso di ritrovarsi proprio nel generare quel figlio che è immagine perfetta di se stesso, quindi è un silenzio che è pienezza di vita, quella sorgente di amore che è creativa, che è vita che si dona, che ha il bisogno del dialogo.

Quando passiamo alla creazione, noi ritroviamo qualche cosa di simile proprio in quell’atteggiamento di Adamo che, nel momento in cui Dio lo invita a dare il nome a tutte le cose, potremmo dire scopre il suo silenzio, l’incapacità a dire se stesso, l’impossibilità di conoscersi e dirsi come persona, il bisogno di que-

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sto espandersi fuori di sé, di ritrovarsi con qualcuno che sia simile a se stesso , perché le altre cose non gli permettono di essere uomo nel senso vero, cioè immagine e somiglianza di Dio, questa possibilità di ritrovarsi, di vedersi in un altro che possa dire simile a se stesso: questo avverrà a partire dal momento in cui Dio gli presenterà la donna.

Questo discorso ci dice che:... se all’interno del mistero di Dio noi troviamo necessaria, perché Dio non può esistere se non così, questa immagine perfetta che è il Figlio nel quale il Padre si riconosce e che a sua volta è proiettato interamente verso il Padre, è rivolto al Padre; in questo essere l’uno verso l’altro in cui trova il suo fon-damento la terza persona, quell’amore dono increato, quello Spirito di amore infinito che nel Padre ama il Figlio e nel Figlio ama il Padre...... anche nell’essere umano ritroviamo questa realtà. Per poterci realizzare come persone umane, abbiamo bisogno di scoprire, di vivere in profondità que-

sto essere aperti verso Dio e verso l’altro; ma anche il cammino verso Dio avvie-ne, non per scelta nostra, ma per volontà di chi ci ha creato, attraverso il diven-tare continuamente dono, incontro dell’uno con l’al-tro, nell’incontrarsi fra di noi. Quindi non si può essere persona umana prima an-cora che cristiana, se noi non viviamo - e non la viviamo con intensità cre-scente – e non realizzia-mo questa scoperta: che siamo fatti gli uni per gli altri, non per essere soli. Per cui un discorso di camminare verso Dio escludendo l’altro è asso-lutamente improponibile: non si incontra Dio rifiu-tando il fratello o la sorel-la.

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E’ impossibile creare un cammino di fede che non ci coinvolga necessariamen-te gli uni con gli altri. Questo è estremamente importante perché noi oggi ci accorgiamo che troppo spesso quella che viene chiamata la religione cattolica, la fede cristiana, viene vista come qualche cosa che ciascuno gestisce a modo suo e se lo vive dentro di sé in modo che non ha niente a che vedere con la vita degli altri, se non in qualche momento in cui si fa l’elemosina, si fa un piccolo gesto di carità: questa non è fede.

Nel progetto di Dio, invece, tutta la nostra vita è proiettata verso l’altro.Questo non significa che fisicamente devo sempre essere a contatto con l’altro, perché c’è la vita di clausura, c’è la vita attiva e sono entrambe aperte all’altro anche se in modo diverso; però ci deve essere continuamente questa coscienza e questa realtà vissute effettivamente nell’essere gli uni verso gli altri.

Prendiamo in considerazione ancora un’altra realtà:come nella Trinità il Figlio è generato dal Padre, il Padre in questo Figlio co-nosce se stesso, lo conosce nell’amore e si conosce nell’amore... , Dio darà a noi un compito che è quello, in certo senso, di ricreare tutte le cose. Tale compito è quello che noi chiamiamo il progresso, la cultura, intendendo questo termine “cultura” in un senso molto ampio, cioè non cultura nel senso di sapere determinate cose, ma di costruire (ricreare) l’ambiente in cui viviamo cercando di essere sempre più immagine e somiglianza di Dio.

In questo compito di ricreare, l’essere umano è chiamato a scoprire, a leggere dentro se stesso gli altri, le creature, per capire quella presenza di Dio che dà il senso alla nostra vita e a tutte le altre realtà create; per cui noi non possiamo avvicinarci all’altro come ci pare e piace, non possiamo utilizzare la nostra esistenza come ci pare e piace, e non possiamo fare questo neppure con le altre realtà della natura, perché il dominio dell’uomo sulla natura (“crescete, moltiplicatevi, dominate l’universo”) non significa fatene quello che volete, ma significa, attraverso il dono dell’intelligenza, ampliato da un’altra intelli-genza più profonda che ci viene dalla grazia, dalla fede, dal dono di Dio, quella sapienza del cuore che ci aiuta a cogliere qual è il vero contenuto, scoprire la vera ricchezza di queste cose.

Ecco allora la necessità di scoprire quale è il modo più autentico per realizzare quello che noi chiamiamo il progetto di Dio, ma che in realtà è il progetto di realizzare veramente noi stessi e di portare avanti l’opera di creazione di Dio in questa ricostruzione che noi facciamo dell’ambiente per renderlo a nostra misura.

Voi vedete che uno dei problemi più grossi del mondo d’oggi è proprio il signi-

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ficato della vita. Troppo spesso troviamo persone che si lamentano che la vita non ha senso perché noi questo senso l’abbiamo tolto assolutizzando questa nostra capacità ricreativa (il termine ricreare ha doppio significato: vuol dire creare di nuovo, ma anche divertirsi, gioire, e sono due significati che si richia-mano perché nella Bibbia troviamo spesso il discorso della sapienza di Dio che danza davanti ai suoi occhi soprattutto nel momento della creazione.Dio gioisce nel partecipare la sua vita, il suo amore, nel vedere le cose che pos-sono essere partecipi di questa realtà, e così anche noi, se impostiamo il nostro cammino nel modo autentico, ecco che scopriamo la gioia, ecco che troviamo quella felicità che troppo spesso cerchiamo stordendoci in una infinità di cose che invece di portarci alla gioia ci distruggono. Quante persone spesso oggi, soprattutto a livello giovanile, cercano la gioia in questo stordimento perché non si trova più il senso autentico della vita.

Allora vedete quando dicevo che Dio pensa se stesso e si pensa nell’amore, si riconosce in questo pensiero che è la Parola, il Verbo, e tra lui e il Verbo c’è l’amore, noi possiamo fare questa riflessione: quello che Dio pensa lo pensa sempre e soltanto nell’amore e lo chiama all’esistenza, questo vale anche per il mondo, non soltanto al suo interno. Il pensiero di Dio non è qualcosa di stacca-to da quello che, in un certo senso, potremmo dire l’esistere di Dio. Il pensiero di Dio all’interno è all’origine della Trinità, il pensiero di Dio proiettato fuori di sé è l’esistenza del mondo; quindi Dio pensa sempre e soltanto nell’amore, Dio ciò che ama lo chiama all’esistenza come frutto di questo amore.Vi ricorderete il libro della Sapienza (Cfr Sap 11,24) dove si) dice che Dio non rinnega mai nessuna delle cose che ha chiamato ad esistere. Proprio perché nascono dall’amore, continuano nell’amore anche quando si arriva ad una si-tuazione che per noi potrebbe sembrare assurda, difficilmente comprensibile, che è quella del diavolo che continua ad esistere perché Dio non ha smesso di amarlo, ovviamente non nel male che fa.

E’ ancora il libro della Sapienza che ci aiuta quando ci dice che basterebbe che Dio per un istante rivolgesse altrove il suo sguardo, tutto tornerebbe al nulla dal quale lo ha creato, quindi se Dio smettesse per un solo istante di pensare ciascuno di noi, di pensarlo nell’amore (di pensare anche il diavolo), tutto non esisterebbe più. Questo però che cosa ci dice: nella misura in cui noi esistiamo, proprio perché partecipi di questo amore (tutte le cose esistono perché partecipi di questo amore), ecco che noi possiamo veramente amarci, amare e utilizzare nel senso giusto tutte le cose, nella misura in cui scopriamo questa presenza di amore e non la distruggiamo.

Ecco allora il significato della vita, il significato delle cose. Il nostro compito che ci porta contemporaneamente a costruire noi stessi, a costruire la realtà,

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è proprio questa risposta nello scoprire, nel collabo-rare, nel diventare partecipi di questa presenza-amore di Dio e quindi nel portare avanti, in collaborazione con lui, quello che noi chia-miamo il progetto di vita: personale, comunitario e a livello cosmico. In questo cammino, è ov-vio, hanno una parte impor-tantissima la preghiera e lo studio inteso nel modo che vi dicevo, non lo studio che ha come scopo di aumenta-re le nozioni, ma lo studio che è il desiderio di pene-trare sempre più in profon-dità la parola di Dio, il suo messaggio di amore, il suo progetto di vita e di potervi corrispondere.

Qui mi rifaccio, almeno in parte, ad una delle lettere del nostro Maestro Gene-rale, mi soffermo soprattutto sullo studio, quando ci dice che nella nostra vita domenicana lo studio non dovrebbe mai offrire soltanto una formazione intel-lettuale. In un nostro passato incontro vi dicevo che l’intellettuale vero non è colui che sa tante cose, ma è colui che, come ci dice il termine latino “intus legere” (penetrare in profondità la verità delle cose) non si ferma alla super-ficie, cerca di andare a fondo, cerca di scoprire il perché, il valore autentico e, cogliendo il contenuto profondo delle persone e delle cose, poi, nel rispetto dell’amore, viene aiutato a crescere.

Ecco allora che la formazione intellettuale in realtà dovrebbe essere una strada per la santità, che apre i nostri cuori e le nostre menti verso gli altri, costruisce la comunità e ci forma veramente come coloro che proclamano la venuta del Regno e per primi vi si impegnano...Avete notato quali sono le caratteristiche che vengono richieste:...e se non ci sono..., non è lo studio in sé che ci interessa ma che ci metta nelle condizioni

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di percorrere veramente una strada verso la santità, perché apre i nostri cuori e le nostre menti verso gli altri, costruisce la comunità e ci mette in grado non come singoli, ma come comunità (anche se poi ci troveremo ad agire in posti diversi, singolarmente, però sempre in nome di una comunità) di proclamare la venuta del Regno.

In questo senso, dice ancora il Maestro, lo studio diventa un atto di speranza, proprio perché esprime la fiducia che vi è un profondo significato nella nostra vita e anche in tutte le sofferenze del nostro popolo e noi vogliamo scoprirli. Credo che uno dei sentimenti che spesso ci opprime è proprio quello di guar-darci intorno e vedere la marea di violenza, di mancanza di rispetto verso la vita in tante forme che veramente ci sgomenta ...

Ebbene la preghiera, lo studio fatto preghiera ci aiutano a leg-gere al di là (non ad accettare queste cose delle quali ci dob-biamo sempre scandalizzare perché ovviamente sono azioni contro quella ricchezza di amo-re, quella presenza di Dio, quel rispetto, quella dignità delle persone che Dio ha inserito in ciascuno di noi), ci portano a non lasciarci schiacciare dal peso di queste cose, a non cre-dere che non ci sia niente da fare, che alla fin fine tanto vale quel che facciamo perché le cose resteranno sempre così. Purtroppo questi sono discorsi che si sentono in continuazione anche da per-sone che sono sempre in chiesa, ma che probabilmente al di là di una presenza fisica non sono ancora entrate in chiesa nel senso vero, perché la vera chiesa, ce lo dice Gesù, è il suo corpo e il nostro corpo, intendendo per “corpo” la “perso-na”, il nostro essere: siamo noi la vera Chiesa di Dio, e finché noi non abbiamo colto questa realtà, il nostro “andare in chiesa” non significa il nostro andare incontro all’altro come il Signore ci chiede, per cui possiamo essere lì col cor-po e pensare di fare delle belle preghiere, perché fatte con tanto sentimento... ma non incontriamo il Signore, non siamo con Lui..., stiamo coltivando noi stessi!

In chiesa si vedono a volte persone che sono sedute nello stesso banco e quan-

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do arriva il momento della “pace” salutano la persone che stanno dietro o davanti, ma non guardano chi è al loro fianco perché tra di loro c’è qualche motivo di dissapore. Queste persone non sono “andate in chiesa”, anche se la loro presenza fisica è li; anzi quella presenza diventa una condanna, perché è il rifiuto di quello che il Signore ci chiede di essere veramente.

Vi accorgete, quindi, che qui c’è un discorso molto più importante: questo studio, questa preghiera, questo avvicinarsi alla parola di Dio... ci mette in crisi, profondamente in crisi... nel senso che ci aiuta a discernere, a valutare, come diceva S. Paolo, quella parola di Dio che è una spada a doppio taglio che penetra in profondità nel nostro essere, ci aiuta cioè a cogliere quelle tante forme di ipocrisia che noi ci portiamo dentro; quella religiosità che non è la risposta al Signore, ma è la risposta al nostro bisogno di sicurezza, e quindi ce la costruiamo a nostra misura. Il Signore con la sua parola entra e pota e quando pota fa male.

Non crediate che sia facile avvicinarsi alla parola di Dio, fa male, però ci dice già nell’Antico Testamento : “Il Signore fa la ferita e la guarisce”. Taglia e fa male, e lo fa non per farci male ma, esattamente al contrario, per liberarci da quel male che noi ci portiamo dentro, del quale tante volte non ci accorgiamo e dal quale non ci vogliamo staccare. Ecco allora che quando noi ci avviciniamo a questa parola, a questi sentimenti e chiediamo al Signore fortemente che ci aiuti veramente a verificare, a cambiare quello che è necessario dentro di noi, allora questo diventa un grande momento di fecondità.

Qui il Maestro aveva fatto a suo tempo un esempio molto bello rifacendosi al momento dell’Annunciazione, quando l’arcangelo Gabriele si reca da Maria. Parlando dell’atteggiamento di ascolto della Madonna, dice: “proprio in quel momento, il fatto di aver trovato questa vergine pienamente vergine, scusate il termine ripetuto ...rende possibile questo straordinario evento...”.

Cioè che cosa vuol dire “vergine”? Vergine vuol dire pienamente aperta e libera per quella azione, non c’era niente altro in quel momento che potesse ostaco-lare l’entrata di questa presenza di Dio . In questo senso Maria era vergine; la verginità esterna non è altro che un segno di questa realtà: della pienezza della sua disponibilità al compiersi del progetto di amore di Dio.

A noi poco interesserebbe sapere se la Vergine era vergine prima, durante e dopo il parto..., se fosse solo una questione fisica non ci servirebbe: quello che è importante è che il Signore ha voluto preservare quel segno per indicare l’altra realtà che manifesta, quella è la vera verginità, un terreno che è completamente a disposizione del Signore.

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Infatti Maria potrà dire “Si faccia di me secondo la tua parola, cioè puoi disporre di me a piacimento. Da questa disponibilità che Maria ha, nasce questa fecondità straor-dinaria che è il concepimento del Verbo, la venuta di Gesù tra noi. In qualche modo, però, noi ripe-tiamo questo miracolo: ogni volta che la parola di Dio trova in noi una disponibilità, ci fa crescere, ci mette in condizione di far cresce-re Cristo in noi e dove noi oggi siamo.Allora ecco che, in mezzo a que-ste realtà, questo mondo che sem-bra condannato, sterile, incapace a produrre frutti di amore, noi ve-niamo chiamati a far nascere Cri-sto. Ogni volta che la parola di Dio viene ascoltata, non solo ci parla di speranza, ma è una speranza che prende carne e sangue (queste sono le parole del Maestro) nella nostra vita e nelle nostre parole, Cristo viene incarnato di nuovo.

Ed è qui che noi diventiamo corpo di Cristo, la Chiesa corpo di Cristo, proprio perché continua veramente quel mistero straordinario che è stata l’incarnazio-ne e che Gesù ha voluto continuare nel tempo dando vita alla Chiesa.La Chiesa non è un’istituzione, la Chiesa è questa risposta che ci unisce a Cri-sto, che ci rende sempre più membra vive di Cristo, per cui, attraverso noi, in qualche modo, in forma visibile, Cristo continua ad essere presente, ad agire, ad attuare ancora oggi attuando la redenzione del mondo.E questo -riprendo ancora le parole del Maestro- è il momento in cui a un po-polo che sembra abbandonato e senza speranza, in realtà Dio apre una strada verso il futuro, una via verso il regno, che non è quello che noi aspettiamo, perché noi non sappiamo ; e qui vorremmo sapere dove il Signore ci porterà, mettendo il nostro progetto al posto del suo, ma la risposta non l’abbiamo.

Allora, in questo senso, studiare non è imparare ad essere intelligenti, riem-pirsi di nozioni da saper ripetere a memoria, ma innanzitutto imparare ad ascoltare.

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E questo discorso non vale soltanto per i teologi; è un discorso che ci tocca tut-ti, anzi vorrei dire di più: in questo senso tocchiamo la teologia nel significato più ampio che significa “dire Dio nella nostra vita, esprimere Dio”..., è ovvio che c’è una teologia nel senso più specifico, quello studio diretto su quelle verità che poi noi dovremo tradurre nella nostra vita concreta di cristiani, ma c’è una teologia nel senso più ampio che siamo noi; è ciò che S. Paolo dice “la lettera viva scritta nei nostri cuori”; siamo noi la lettera di Dio, o almeno dovremmo esserlo.

Gli ultimi Capitoli generali hanno insistito molto su questo fatto, dove si dice che in questo senso lo studio non può essere solo qualche cosa che riguarda solo i frati. Ci tocca tutti. Da questo ascolto, infatti, viene il concepimento del Verbo. Noi siamo chiamati a concepire il Verbo oggi nella nostra vita, nel no-stro mondo. è quello studio che favorisce ed accresce quella “intelligenza” che ci porta a scoprire il significato della nostra vita e di tutte le cose; un significa-to, ripeto, che non viene inventato da noi , non viene imposto da noi a nostro piacimento, ma si trova già in noi e nelle cose perché vi è stato iscritto da Dio.

Allora ecco che il nostro cammino diventa proprio questo “cogliere” quanto Dio ha scrit-to, quanto Dio dice di sé attraverso noi e attraverso le cose. Se noi cogliamo questo che Dio dice di sé, ovviamente cresciamo nella conoscenza di lui; e qui vorrei dirvi ancora: una conoscenza che non è un sapere intellettuale. La Bibbia quando ci parla del conosce-re, dà un significato molto più profondo, perché è una comunione di vita; è un entrare sempre più in comunione con lui, è un diventare partecipi della sua stessa realtà.Quindi è quel significato che è stato iscritto dallo stesso Creatore all’interno del suo pro-getto di amore nel quale siamo stati pensati e voluti nell’amore. E’ la scoperta di quella sapienza che, vi dicevo, ha danzato al cospetto di Dio Padre e si manifesta in modo par-ticolare attraverso l’opera di Cristo. Noi potremmo citare tanti testi della Bibbia; sotto questo aspetto,ve ne porto soltanto uno: la lettera ai Colossesi nel capitolo 1 dal versetto 15 ci dice, parlando di Gesù:

15 “Egli è l’immagine del Dio invisibile generato prima di ogni creatura”.16 poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.17 Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.18 Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose.

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19 Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza20 e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.