ddl unioni civili e criticita' procedurali: 69 commi da ... · storia parlamentare dei giorni...
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DDL UNIONI CIVILI E CRITICITA' PROCEDURALI: 69 COMMI DA
RACCONTARE1
di Luigi Ciaurro
1. - Premessa metodologica.
Probabilmente non par hazard ma pour cause le note e controverse oscillazioni
contenutistiche e le lamentate incertezze politiche, che hanno contraddistinto il lungo
iter presso il Senato della Repubblica dei testi sulle unioni civili et similia, si sono
riverberate sulle procedure parlamentari seguite, poste "sotto stress" in misura
rilevante, pur in assenza di veri e propri dirompenti atteggiamenti ostruzionistici da
parte delle opposizioni, che pure hanno cercato in vari modi di rallentare
l'approvazione di un progetto di legge in materia.
In particolare, ancora una volta - coma già avvenuto nella XVII legislatura durante
l'esame di fondamentali disegni di legge, come quello per l'elezione della Camera dei
deputati o l'altro recante la riforma costituzionale - si è fatto ricorso ad una serie di
plurime e concentrate forzature (secondo alcuni anche di macroscopiche irregolarità)
procedurali, le quali non possono non far interrogare la "ristretta comunità" che si
occupa di diritto parlamentare sul suo sempre più flebile connotarsi quale vera e
propria scienza giuridica fino ad assumere le parvenze di una sorta di
"occasionalismo regolamentativo", finalizzato meramente al raggiungimento del
risultato procedurale del momento. Spesso, troppo spesso, appare regressivo, se non
fuorviante, continuare a far riferimento in questa branca del diritto ai paradigmi
classici degli istituti e delle procedure giuridiche ed ai canoni tipizzati dell'esegesi
normativa.
Semmai la conseguenza è quasi paradossale: il diritto parlamentare nel senso
classico del termine - pur con i conosciuti e tradizionali limiti legati al contesto
politico di riferimento - sembra sopravvivere solo nelle pagine "scolorite" della croni-
1 Pubblicato sulla rivista cartacea "Rassegna parlamentare", Jovene editore, 2016, n. 1, pp. 103-126.
storia parlamentare dei giorni d'oggi, vale a dire durante l'esame di progetti di legge
secondari e sostanzialmente condivisi, mentre per le grandi questioni de iure
condendo o quando emergono laceranti contrasti fra le forze politiche - cioè proprio
in quelle fattispecie che più necessiterebbero di essere disciplinate con modalità certe
e preventivamente conoscibili - le regole parlamentari del gioco diventano
frequentemente e disinvoltamente del tutto ondivaghe.
Il descritto frangente di riferimento impone vieppiù al "buon cultore" del diritto
parlamentare di non farsi affatto coinvolgere dal pathos dei clamori politici del
momento proprio a garanzia della scientificità dei suoi approfondimenti, il cui
presupposto risiede nell'impegno metodologico a ricostruire gli istituti e le procedure
sulla base di una stretta osservanza del principio di verità giuridica
(formalisticamente intesa), a prescindere quindi dai suoi convincimenti politici e
culturali o dalle proprie convenienze personali.
Alla stregua di queste considerazioni preliminari (non solo di metodo) si ritiene
doveroso affrontare con animo "laico" un commento sugli episodi più eclatanti che
hanno contrassegnato l'esame presso il Senato della Repubblica dei progetti di legge
sulle unioni civili, avendo sempre cura di distinguere - ove necessario - le paratie
squisitamente giuridiche (fondate sull'interrogativo: ammissibilità/inammissibilità
formale) da quelle ibride (legate alla coppia dialettica: opportunità/inopportunità
procedurale, di per sè suscettibile di apprezzamenti diversi, se non opposti, con
riferimento agli interessi differenziati, rispettivamente, della maggioranza e delle
opposizioni) e più ancora dalle valutazioni meta-giuridiche (ma pur con una qualche
influenza sulle ricostruzioni di diritto parlamentare) relative alla
correttezza/scorrettezza politica dei comportamenti degli attori politici.
Con questa impostazione, per comodità e velocità espositive, ci si concentrerà
(esclusivamente) su sei fattispecie procedurali verificatesi durante l'esame presso il
Senato del disegno di legge S. n. 2081 di iniziativa della senatrice Cirinnà ed altri: la
mancata conclusione della sede referente; l'adozione del testo base in Assemblea; la
votazione a scrutinio palese della proposta di non passaggio all'esame degli articoli;
l'emendamento premissivo omnibus presentato dal senatore Marcucci; il maxi-
emendamento interamente sostitutivo; la posizione della questione di fiducia.
E non sembri eccessiva l'attenzione riservata a vicende squisitamente procedurali,
nella consapevolezza della lezione di Pietro Calamandrei: "Questo riavvicinamento
del sistema processuale fondato sul contraddittorio, al sistema parlamentare basato
sul contrasto fra la maggioranza e la opposizione, non ha un valore puramente
teorico, un valore, per così dire, di pura somiglianza estetica" (Processo e
democrazia, Padova 1954, p. 129).
2. - La mancata conclusione della sede referente.
La tempistica in Parlamento non è mai una variabile indipendente. Ebbene: il 13
ottobre 2015, subito dopo l'approvazione in prima deliberazione del disegno di legge
costituzionale del Governo (Atti Senato, ddl n. 1429-B, c.d. "riforma Renzi-Boschi"),
la seduta del Senato è stata sospesa ed è stata convocata una Conferenza dei
Presidenti dei Gruppi, la quale ha stabilito (a maggioranza) che l'indomani (il 14
ottobre) sarebbe stata iscritta all'ordine del giorno dell'Assemblea la materia delle
unioni civili, pur non avendo la Commissione giustizia terminato i lavori in sede
referente e che il testo base sarebbe stato il disegno di legge n. 2081 presentato dalla
senatrice Cirinnà ed altri. In Assemblea venivano poi respinte tutte le proposte dei
singoli senatori di modifica del calendario nella parte relativa all'esame del disegno di
legge sulle unioni civili.
Una certa attenzione merita la cronologia relativa al disegno di legge n. 2081
della senatrice Cirinnà, posto a base della discussione in Assemblea iniziata il 14
ottobre 2015: viene formalmente presentato il 6 ottobre; assegnato dal Presidente del
Senato alla Commissione il 7 ottobre; iscritto all'ordine del giorno, abbinato agli altri
progetti di legge pendenti in materia (in mancanza di osservazioni su proposta del
Presidente f.f. Casson) e portato all'attenzione della Commissione giustizia (a dire il
vero insieme ad altri due presentati in quel periodo) nella seduta notturna del 12
ottobre, nel corso della quale la relatrice Cirinnà ha illustrato i contenuti dei tre nuovi
disegni di legge abbinati: poi il 13 ottobre la Conferenza dei Capigruppo lo sceglie
come testo base per l'esame in Assemblea a partire dal 14 ottobre, per cui la sede
referente si è così interrotta.
In particolare, il senatore Giovanardi ha lamentato immediatamente (v. proprio la
seduta del Senato del 13 ottobre 2015) la violazione dell'art. 72, primo comma, Cost.
e dell'art. 44, comma 3, del Regolamento del Senato.
Circa quest'ultimo aspetto, in effetti non può non porsi la questione del possibile
stridore della procedura seguita con la citata disposizione del Regolamento del
Senato, la quale prevede che, scaduto il termine di due mesi dalla sua data di
assegnazione in sede referente, un disegno di legge possa essere preso in
considerazione, in sede di programmazione dei lavori, per essere discusso, anche
senza relazione, nel testo del proponente.
Vero è che la prassi al Senato (ma anche alla Camera) fa riscontrare al riguardo
fattispecie derogatorie legate all'ormai consolidato "uso improprio" della
programmazione per finalità procedurali. Infatti, un disegno di legge (purché) inserito
nel calendario dei lavori d’Assemblea — anche prima dei due mesi (ex art. 44 Reg.
Sen.) dall’assegnazione alla Commissione (v. ex pluribus già seduta pom. del Senato
del 15 ottobre 2002) — può essere trattato in Aula, anche se non si è concluso
l’esame in Commissione, per essere discusso nel testo del proponente senza
relazione, neppure orale, della Commissione. In questi casi, non esiste un relatore
all’Assemblea, tale non potendosi considerare il relatore alla Commissione
competente, la quale, infatti, non avendo concluso i propri lavori, non ha conferito
specifico mandato di fiducia. Pertanto, in Assemblea non avranno luogo né la replica
del relatore al termine della discussione generale, né l’espressione del parere da parte
del relatore su emendamenti e ordini del giorno (v. significativamente in tal senso le
comunicazioni del Presidente del Senato nella seduta del 10 agosto 2001). Ci sarà
solo una breve illustrazione “tecnica” dei lavori della Commissione da parte del suo
Presidente all’Assemblea.
Anche la prassi della Camera è nel senso di ammettere procedure derogatorie ed
anticipatorie rispetto ai due mesi dall'effettivo inizio dell'esame della sede referente,
prescritti dall'art. 81, comma 1, del Regolamento della Camera, a seguito della
calendarizzazione in Assemblea di un progetto di legge. Però, tale problematica non
potrebbe porsi negli identici termini rispetto al Senato ("mancata conclusione della
sede referente"), perché – in circostanze simili di "calendarizzazione d’imperio" in
Assemblea – comunque si avrebbe la conclusione (quanto meno) formale dell’esame
in sede referente, ponendo il Presidente di Commissione direttamente in votazione il
conferimento a un deputato del mandato a riferire favorevolmente, ancorché non si
sia concluso l’esame degli articoli e degli emendamenti, i quali si intendono pertanto
respinti, con una sorta di "effetto ghigliottina" (v. per tutte già seduta della VI CP
della Camera del 23 aprile 1999).
Però nella fattispecie de qua si pongono degli interrogativi nuovi e diversi,
essendo state le descritte prassi derogatorie portate all'estremo limite della
"avocazione" dopo soli sei giorni dalla data di assegnazione del disegno di legge alla
Commissione in sede referente. Poteva essere calendarizzato in Assemblea il disegno
di legge n. 2081, presentato solo da pochi giorni, pur alla stregua dei precedenti che
hanno annoverato la possibilità di non rispettare la scadenza dei due mesi per l'esame
in sede referente, ammantata dalla giustificazione di dare attuazione alla
programmazione (superiorem non recognoscens) dell'Assemblea, decisa fra l'altro a
maggioranza dalla Conferenza dei capigruppo e poi contestata nel plenum?
Sotto il profilo squisitamente formale, si potrebbe anche rispondere
affermativamente sulla base della considerazione che, una volta che si ammette la
calendarizzazione in Assemblea di un progetto di legge anche in assenza della
conclusione della sede referente e pure prima del decorso dei due mesi dalla sua
assegnazione alla Commissione competente, allora ne consegue che anche l'estrema
esiguità dei tempi d'esame non può fare la differenza, una volta venuto meno un
termine minimo. A questa risposta formalistica si potrebbe replicare - con una contro-
argomentazione altrettanto formalistica - che in questa circostanza la sede referente
non solo non si era conclusa, ma addirittura era stata del tutto assente, potendosi solo
annoverare la mera esposizione orale da parte della relatrice dei contenuti del disegno
di legge n. 2081, desumibili fra l'altro anche dalla stessa relazione scritta che precede
il testo dell'articolato, senza quindi alcun inizio di discussione in sede referente. Sul
piano delle argomentazioni sostanziali - che tuttavia attenuano l'esiguità della
specifica trattazione formale del disegno di legge n. 2081 - si potrebbe rilevare il fatto
che quest'ultimo era riferito ad una materia in discussione presso la Commissione
giustizia sin dal giugno del 2013, vale a dire da oltre due anni. Ma non basta: sul
punto però è stato obiettato (v. l'intervento del senatore Malan nella seduta del Senato
del 14 ottobre 2014) che sia l'art. 72 Cost. sia l'art. 44 Reg. Sen. fanno riferimento ad
"ogni disegno di legge" e non ad "ogni materia"ai fini del necessario esame in sede
referente.
3 - L'adozione del testo base in Assemblea.
A nostro avviso la "forzatura" procedurale più innovativa, ancorchè non
considerata la più dirompente, è consistita nelle modalità con le quali è stato scelto ai
fini dell'esame in Assemblea il testo base fra i numerosi (ben 14) progetti di legge
presentati in materia di unioni civili.
Solitamente questa è una fase che si svolge in Commissione durante l'esame in
sede referente. Se all'ordine del giorno si trovano contemporaneamente progetti di
legge identici o vertenti sulla stessa materia, viene disposto dalla Commissione
l'abbinamento nell'esame degli stessi; abbinamento sempre possibile fino al termine
della discussione in sede referente, così come la Commissione stessa può procedere
successivamente al disabbinamento (per un raro caso di questo genere v. la seduta
della Commissione lavoro del Senato del 6 marzo 2001). Dopo l'esame preliminare e
congiunto dei progetti di legge abbinati, la Commissione procede alla scelta di un
testo base fra quelli pendenti o del testo ad hoc predisposto dal relatore, ovvero alla
predisposizione di un testo unificato da parte di un apposito Comitato ristretto.
Nei casi in cui la Commissione non ha concluso l'esame in sede referente e la
"materia" di cui ai diversi progetti di legge è stata inserita all'ordine del giorno
dell'Assemblea, eccezionalmente - nel silenzio dei Regolamenti sul punto - l'adozione
del testo base è avvenuta direttamente in Assemblea, sulla base di precedenti
sufficientemente consolidati quanto meno presso il Senato, mentre con minore
evidenza alla Camera dei deputati.
La prima fattispecie riscontrabile risale alla seduta del Senato del 26 gennaio
1989, quando - nel dichiarare aperta la discussione generale congiunta di due disegni
di legge in materia di finanza pubblica (di cui uno di conversione in legge di un
decreto-legge) - il Presidente precisava: "La questione del testo da prendere a base
per l'esame degli articoli si porrà successivamente al termine della discussione
generale dopo le repliche". Poi, in quella stessa seduta - dopo una discussione limitata
ai sensi dell'art. 92 del Regolamento (in quanto considerata una questione relativa
all'ordine delle discussioni, come però esplicitato chiaramente nel secondo precedente
infra riportato) - l'Assemblea votava per alzata di mano la proposta, formulata dal
relatore, di prendere come base della discussione il disegno di legge di conversione
del decreto-legge. Fra l'altro solo dopo questa decisione veniva posta ai voti la
richiesta di non passaggio all'esame degli articoli, in precedenza formulata.
Il secondo precedente si è verificato nella seduta antimeridiana del Senato del 17
luglio 1991 e riguardava l'esame congiunto di 3 disegni di legge (addirittura) di
revisione costituzionale. Anche in questo caso furono seguite le procedure in
precedenza descritte, con la votazione ed approvazione della proposta di testo base
avanzata dal relatore (che fra l'altro aveva indicato ragionevolmente il progetto di
legge già approvato dalla Camera dei deputati), dopo la discussione generale e le
repliche.
Qualche diversità è riscontrabile nel terzo e più noto precedente citabile,
verificatosi nella seduta del Senato del 28 febbraio 1995, quando ai fini dell'esame di
una pluralità di disegni di legge in materia di riassetto del sistema radiotelevisivo - in
assenza di un relatore all'Assemblea - venova innanzitutto (quindi prima dell'inizio
della discussione) posta ai voti ed approvata la proposta del senatore Pedrazzini di
porre a base della discussione il progetto di legge n. 1130, in quanto pervenuta per
prima fra le varie avanzate, come espressamente indicato dal Presidente. Va ricordato
che lo stesso senatore Pedrazzini era stato relatore nella Commissione di merito.
Inoltre, un "semi-precedente" derogatorio rispetto al passato potrebbe individuarsi
nella seduta pomeridiana del Senato del 17 febbraio 2009, quando il Presidente
Schifani - nel dar conto delle decisioni sui calendario dei lavori - riferiva che la
Conferenza dei Capigruppo aveva stabilito la data di inizio dell'esame dei disegni di
legge in materia di testamento biologico, "nel testo definito dalla Commissione o nel
testo base del relatore". Poi la fattispecie si risolse fisiologicamente, nel senso che
nella seduta del 18 marzo 2009 venne discusso il testo licenziato dalla Commissione.
Pertanto, l'innovativa seconda parte della statuizione non ebbe un seguito concreto:
però era significativa perché da un lato rispetto al passato aveva virtualmente sottratto
all'Assemblea la decisione sul testo base da adottare, e dall'altro lato prevedeva la
possibilità che fosse incardinato in Assemblea il testo base del relatore alla
Commissione (che sotto il profilo formale non è un'iniziativa legislativa autonoma)
pur non da questa approvato. In breve: si trattò di una duplice, e pericolosa, anomalia,
che pur non avendo avuto uno sviluppo applicativo, una qualche traccia ha lasciato,
come vedremo proprio a proposito delle unioni civili.
Infine, sempre nella XVI legislatura, va citato l'isolato precedente della seduta
del Senato del 7 giugno 2011: erano stati iscritti all'ordine del giorno 7 disegni di
legge in materia di anticorruzione e le Commissioni riunite 1° e 2° non avevano
completato l'esame in sede referente, in cui era in discussione un testo unificato
predisposto dai relatori. In quella occasione il Presidente - in applicazione
(esplicitata) dell'art. 44, comma 3, Reg. Sen. - avvertiva che il disegno di legge n.
2156 sarebbe stato esaminato nel testo presentato dal Governo, senza relazione. Non
avendo l'Assemblea fatto obiezioni ed in assenza di ulteriori indicazioni rinvenibili
negli atti parlamentari, si deve concludere che si sia trattato di un raro caso di
"votazione tacita", la quale si verifica quando, nel silenzio del plenum, deve
desumersi che esso approvi l'atto e/o la procedura sottoposti alla sua attenzione;
votazione tacita con una duplice valenza: una esplicita (ex art. 44, comma 3: il testo
del Governo proponente senza relazione della Commissione), l'altra implicita (la sua
adozione quale testo base rispetto agli altri 6). Probabilmente vi sarà stato un accordo
sottostante fra i Gruppi, tant'è che non furono sollevate contestazioni. Si trattava
comunque del progetto di legge presentato dal Governo (che quindi come tale ha di
fatto una particolare rilevanza), fra l'altro prior in tempore rispetto agli altri.
Meno evidente e più embrionale appare la situazione alla Camera deputati alla
luce degli scarni precedenti riscontrabili. Quello di maggior peso si è registrato nella
seduta del 26 febbraio 2001, che vedeva iscritti all'ordine del giorni ben 6 disegni di
legge abbinati riguardanti il terzo mandato dei sindaci, senza che il loro esame si
fosse concluso in Commissione. Dopo l'esposizione dell'onorevole Massa (in qualità
di relatore alla Commissione), il quale a dire il vero aveva chiesto il rinvio dei
progetti di legge in Commissione ai fini della scelta del testo base, ed il successivo
dibattito, più volte con degli obiter dicta è intervenuto il Presidente per rimarcare che
la "prima decisione" dell'Assemblea sarebbe stata la scelta del testo base fra le sei
proposte di legge. Poi la discussione venne rinviata ad altra seduta e non si ebbe
alcun seguito.
Un altro precedente è rinvenibile nella seduta della Camera del 19 ottobre
2000, con riferimento all'iscrizione all'ordine del giorno di 2 proposte di legge recanti
la proroga dalla durata della Commissione parlamentare di inchiesta sulla
Federconsorzi, il cui esame non era stato concluso in sede referente. Le due proposte
erano di identico contenuto: la Presidenza, ragionevolmente ma senza una specifica
spiegazione esplicita, ha iniziato l'esame degli articoli facendo riferimento al progetto
di legge n. 7122 (quello proveniente del Senato in prima deliberazione, ancorchè
presentato successivamente), i cui articoli - veniva esplicitato - erano identici a quelli
del progetto di legge n. 7071, il quale alla fine veniva dichiarato assorbito.
Il terzo precedente è quello della seduta del 2 ottobre 2000, quando sono stati
iscritti all'ordine del giorno 10 diversi progetti di legge concernenti il trattamento di
quiescenza del personale delle Ferrovie dello Stato, pur dopo un'anomala conclusione
dei lavori in Commissione, la quale aveva conferito il mandato ad un relatore
affinchè desse conto all'Assemblea dell'impossibilità di porre in essere una compiuta
valutazione dei testi in assenza della relazione tecnica, pur sollecitata numerose volte.
In Assemblea si svolse e si concluse la discussione congiunta delle proposte, senza
quindi la scelta di un testo base, che in concreto non avvenne nemmeno in seguito
poichè non ebbe più luogo il prosieguo dell'esame pur rinviato ad altra seduta.
Pertanto, dall'esperienza della Camera emerge che - pur in assenza di una
conclusione fisiologica della sede referente - ben possono essere iscritti all'ordine del
giorno dell'Assemblea progetti di legge abbinati sulla stessa materia, senza la previa
scelta di un testo base. La quale però poi, per la mancanza di un successivo seguito o
per una comoda decisione presidenziale in presenza di testi identici, non è mai stata
concretamente effettuata in modo esplicito dal plenum o dalla Conferenza dei
Capigruppo.
E arriviamo alla materia delle unioni civili ed alla seduta del Senato del 13
ottobre 2015, quando il Presidente avverte che "la Conferenza dei Capigruppo ha
indicato come testo base il disegno di legge n. 2081, a prima firma della senatrice
Cirinnà". Pur in un contesto di reiterate e pervicaci proteste, soprattutto per il
mancato rispetto dell'art. 72 della Costituzione, che prescrive il previo esame in
Commissione in sede referente, stupisce che non vi siano state contestazioni circa il
fatto che la Conferenza dei Capigruppo, fra l'altro presumibilmente a maggioranza e
non all'unanimità, abbia deciso il testo base e non l'Assemblea con apposita
votazione, come avvenuto nei primi tre precedenti del Senato citati supra.
Per tentare di fornire una prima valutazione, è necessario ripercorrere la lunga
e tormentata storia dei "testi base" sulle unioni civili succedutisi durante l'esame in
sede referente.
Come noto, sulla vicenda, ma da un altro punto di vista, da parte del senatore
Giovanardi e di altri 50 senatori è stato presentato un ricorso alla Corte costituzionale
per violazione dell'art. 72 Cost.: al di là dei suoi limiti di ammissibilità, un'iniziativa
del genere non può non sollecitare comunque l'interrogativo se il disegno di legge n.
2081 potesse o meno essere posto a base della discussione congiunta dei progetti di
legge in materia, a prescindere dalla procedura innovativa con cui tale scelta è stata
effettuata.
Dagli atti parlamentari risulta che la Commissione giustizia del Senato ha
dedicato complessivamente circa 70 sedute all'esame dei disegni di legge sulle unioni
civili; esame che ha avuto inizio già a partire dalla riunione del 18 giugno 2013,
quindi non appena costituite le Commissioni permanenti nella XVII legislatura.
In particolare, la senatrice Cirinnà - divenuta unica relatrice, dopo la rinuncia
dell'altro relatore, il senatore Falanga, a seguito del cambio di maggioranza nel
frattempo intervenuto - presentava nella riunione dell'8 aprile 2014 due schemi di
testi unificati (l'uno per le unioni civili tra le persone dello stesso sesso, l'altro per la
regolamentazione delle coppie di fatto). Successivamente, nella seduta del 2 luglio
2014 la relatrice ha presentato un (ulteriore ed unico) testo unificato "concentrato",
che riuniva i temi oggetto dei precedenti schemi. Occorre poi giungere alla seduta del
17 marzo 2015, quando la senatrice Cirinnà ha presentato un altro (il terzo) schema di
testo unificato. Il 25 marzo successivo è stato presentato uno schema di testo
unificato alternativo da parte dei senatori Caliendo ed altri. Finalmente, nella seduta
del 26 marzo 2015 la Commissione giustizia del Senato ha adottato come testo base
lo schema da ultimo presentato dalla relatrice: è quindi iniziata la fase del deposito
degli emendamenti. Fra l'altro la stessa relatrice ha successivamente presentato tre
proposte emendative al suo testo, alle quali hanno fatto da pendant ben 279
subemendamenti. Ma non basta: a seguito del parere della Commissione bilancio la
relatrice ha presentato un ulteriore emendamento recante la sollecitata copertura
finanziaria.
Successivamente la Commissione giustizia ha esaminato 318 emendamenti,
approvandone 2 e respingendone 74, mentre i rimanenti sono stati ritirati o dichiarati
decaduti. Sono stati poi ritirati ulteriori 576 emendamenti, mentre restavano da
esaminarne 518 quando (il 13 ottobre 2015) la sede referente è stata interrotta a causa
della calendarizzazione dei testi in Assemblea. Pertanto, all'esame (già inoltrato) del
testo unificato predisposto dalla relatrice Cirinnà ed adottato come testo base (in
Commissione) è subentrato (in Assemblea) l'esame quale testo base di un disegno di
legge (successivamente) presentato in proprio dalla stessa senatrice Cirinnà (ed altri);
successione non proprio fisiologica nell'ambito delle ordinarie procedure legislative.
A prescindere dal difficile intreccio di testi succedutisi nel tempo - che del
resto fa parte della fisiologia del dibattito parlamentare - a nostro sommesso avviso
risulta più corretta la precedente prassi, che affida ad un voto di Assemblea
l'eventuale opzione del testo base da adottare fra i disegni di legge abbinati, così
come nelle Commissioni è sempre il collegio ad assumerla e non l'Ufficio di
presidenza allargato ai rappresentanti dei Gruppi: si tratta infatti di una decisione non
sulla programmazione dei lavori, ma che investe già il merito della discussione.
In breve e in conclusione: una vera e propria innovazione, forse non del tutto
condivisibile per le ragioni esposte, è consistita nella decisione del testo base affidata
alla Conferenza dei Capigruppo - fra l'altro in riunioni riservate, non essendo questa
sede oggetto di pubblicità - anziché all'Assemblea nel suo plenum come avvenuto in
precedenza.
4 - La votazione a scrutinio palese della proposta di non passaggio all'esame
degli articoli.
Come noto, l'art. 96 del Regolamento del Senato prevede ancora il tradizionale
strumento dell'ordine del giorno di non passaggio all'esame degli articoli. In
particolare, prima che abbia inizio l’esame degli articoli di un disegno di legge,
ciascun senatore può avanzare la proposta che non si passi a tale esame. Si fa poi
rinvio per le procedure all'art. 95 del Regolamento, relativo alla trattazione degli
ordini del giorno. Invece, presso la Camera, è stato soppresso (nella seduta del 24
settembre 1997) l’art. 84 del Regolamento, recante l'ordine del giorno diretto ad
impedire il passaggio all’esame degli articoli.
Così in sintesi definito l'istituto, preliminarmente occorre interrogarsi
sull'ammissibilità di richieste di votazione a scrutinio segrete riferite a proposte di
non passaggio all'esame degli articoli. Al riguardo, sotto il profilo argomentativo non
può non essere richiamata la positiva conclusione cui è giunta la giurisprudenza
parlamentare a proposito dell'analogo istituto (assimilabile per le conseguenze
procedurali) della questione pregiudiziale: in questo caso lo scrutinio segreto può
essere ammesso, qualora sia adottabile per il relativo provvedimento, trattandosi di
una votazione di per sé idonea ad incidere immediatamente sui diritti richiamati a tal
fine dalle pertinenti disposizioni dei Regolamenti (v. seduta della Camera del 25
settembre 2002, nonché i pareri della Giunta per il Regolamento della Camera del 31
luglio 1990 e del 30 settembre 1997); mentre per tali ragioni non è ammissibile per le
questioni sospensive (v. seduta della Giunta per il Regolamento sempre della Camera
del 7 marzo 2002), come non lo è per le mozioni e gli atti di indirizzo.
Per quanto concerne i precedenti specifici, può citarsi la seduta antimeridiana del
Senato del 30 aprile 1998, quando è stata messa ai voti a scrutinio segreto (e respinta)
una proposta di non passaggio all'esame degli articoli del disegno di legge n. 211,
recante l'abolizione della pena dell'ergastolo.
Una volta acclarata in generale la ricevibilità della richiesta di voto segreto riferita
allo strumento della proposta di non passaggio, va valutata la sua ammissibilità nello
specifico con riguardo al disegno di legge sulle unioni civili.
Preliminarmente a nostro avviso va precisato che si tratta di una valutazione
proprio border line, nel senso che a ben guardare non emergono conclusioni
inequivoche nell'una o nell'altra direzione.
E' conosciuta la decisione adottata sul punto nella seduta del 10 febbraio 2016 dal
Presidente del Senato, il quale ha ritenuto non ammissibile tale richiesta di votazione
(pur ritualmente presentata dal prescritto quorum di senatori), in quanto il disegno di
legge n. 2081 non rientrerebbe nella sfera di applicazione degli articoli 29, 30 e 31
della Costituzione - con riferimento ai quali l'art. 113, comma 3, Reg. Senato
consente la richiesta di voto segreto - bensì in quella dell'art. 2 della Costituzione. A
tal fine è stata opportunamente richiamata la sentenza della Corte costituzionale n.
138 del 2010, la quale per quanto ora di interesse ha chiarito che "per formazione
sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a
consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel
contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da
annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due
persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente
una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla
legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri ".
Ex adverso tale decisione in quella stessa seduta è stata fortemente contestata,
in particolare dal senatore Calderoli, il quale ha chiesto ed ottenuto che al resoconto
stenografico della seduta in corso fosse allegata una nota procedurale, in cui articolo
per articolo venivano dimostrate le assonanze normative con le analoghe disposizioni
previste per il matrimonio fra eterosessuali, concludendo nel senso che "i temi della
famiglia, della garanzia dell'unità familiare, del matrimonio, dei diritti e doveri
reciproci dei coniugi e dei genitori nei confronti dei figli, la protezione dell'infanzia e
della gioventù, ricorrono con evidenza in tutto l'articolato del disegno di legge in
esame, le cui disposizioni formano un sistema complesso e non divisibile".
Sulla base di queste pur opposte impostazioni, ognuna di per sè plausibile, il
punto decisivo risiede nella corretta interpretazione (soprattutto letterale) del
particolare inciso del comma 3 dell'art. 113 Reg. Senato, che nell'ammettere il voto
segreto su richiesta qualificata di 20 senatori fa riferimento alle deliberazioni "che
attengono" ai rapporti civili ed etico-sociali di cui agli articoli (fra gli altri) 29, 30 e
31 della Costituzione. Certamente - ai fini di quell'inevitabile esegesi endo-
comparatistica fra le disposizioni dei Regolamenti delle due Camere - non è senza
significato il differente enunciato testuale dell'art. 49, comma 1, Reg. Camera, che
invece richiama sul punto le votazioni "che incidono... sui diritti della famiglia di cui
agli articoli 29, 30 e 31, comma secondo, della Costituzione".
Da un lato, l'art. 29 Cost., nell'interpretazione consolidata della giurisprudenza
costituzionale, si riferisce esclusivamente alla famiglia naturale fondata sul
tradizionale matrimonio fra eterosessuali, mentre l'art. 2 Cost. dovrebbe
eventualmente fondare le unioni ufficializzate fra persone dello stesso sesso e le
convivenze di fatto regolamentate e stabilizzate, oggetto del disegno di legge n. 2081.
Dall'altro lato, però, l'interpretazione del Presidente Grasso potrebbe forse
essere considerata più conforme ai dettami linguistici del Regolamento della Camera,
che esplicitamente evoca i diritti della famiglia di cui all'art. 29 Cost. ed utilizza il
sintagma più stringente "delle deliberazioni che incidono". Diversamente la citata
norma del Regolamento del Senato più elasticamente fa riferimento alle disposizioni
"che attengono", fra l'altro non alla famiglia (in senso stretto) bensì ai "rapporti civili
ed etico-sociali" di cui agli articoli 29 et cetera della Costituzione.
Si potrebbe quindi sostenere che, pur dando attuazione all'art. 2 Cost., non per
questo potesse essere esclusa una "attinenza" (che è nozione diversa dalla
"incisione") del disegno di legge n. 2081 con i rapporti civili ed etico-sociali connessi
agli articoli de quibus della Costituzione.
Per completezza si ricorderà che il comma 5 dello stesso art. 113 Reg. Senato
prevede che, laddove vi siano contestazioni riguardo l'ammissibilità del voto segreto,
la questione è risolta dal Presidente, "sentita, ove lo creda, la Giunta per il
Regolamento". In questa circostanza la Giunta non è stata convocata, nonostante
richieste in tal senso da parte di alcuni senatori.
Esito finale: la proposta di non passaggio all'esame degli articoli, presentata dal
senatore Calderoli, è stata messa in votazione a scrutinio elettronico palese e respinta
nella seduta del 10 febbraio 2016. Mentre nella precedente riunione del 2 febbraio -
ma senza richieste (almeno ufficiali) di scrutinio segreto - erano state respinte le
questioni pregiudiziali.
5 - L'emendamento premissivo omnibus.
Una delle questioni centrali del dibattito procedurale intorno al disegno di legge n.
2081 è stato rappresentato dal cosiddetto "emendamento Marcucci", id est
l'emendamento 01.6000 volto a premettere all'articolo 1 un articolo aggiuntivo, il cui
comma 2 era suddiviso in nove lettere che sintetizzavano i contenuti essenziali (dei
successivi articoli) del disegno di legge. Si tratta del c.d. "emendamento premissivo
omnibus", già sperimentato una volta solo in questa legislatura ed esclusivamente
presso il Senato della Repubblica durante l'esame del disegno di legge recante la
riforma del sistema per l'elezione della Camera dei deputati (v. l'emendamento
n.01.103 presentato dal senatore Esposito ed approvato nella seduta del Senato del 21
gennaio 2015).
Nonostante le opinioni divergenti espresse nei primi commenti dottrinari (v. fra gli
altri Azzariti e Villone, decisamente contrari, nonchè Picciirilli, più possibilista), a
nostro avviso, il citato famoso emendamento Esposito era pienamente ammissibile,
come da sempre lo sono gli emendamenti aggiuntivi volti a premettere articoli
all'articolo 1. Nemmeno possono essere avanzati dubbi circa il suo contenuto
omnibus, di per sè redundans su disposizioni contenute in articoli successivi: non fa
infatti parte della tradizione parlamentare l'inammissibilità di emendamenti ad un
articolo, che abbiano riflessi (diretti o indiretti) anche su norme contenute in articoli
successivi. Questa conclusione di ammissibilità è, a maggior ragione, sostenibile,
qualora si ricordi ancora una volta la mancanza di una nozione costituzionale, ma
anche regolamentare, di articolo, per cui non si può che far ricorso all'essenziale,
ancorché risalente, definizione di Jeremy Bentham: "Per articolo si intende quella
quantità di materia che si vuole mettere ai voti nello stesso tempo".
Certamente è stato un pericoloso precedente, volto ad introdurre la possibilità di
un nuovo modo di legifererare e di legittimare una tecnica normativa irrituale, che
individua già in un art. (0)1 tutti i contenuti essenziali di un progetto di legge, i cui
successivi articoli dovranno adeguarvisi, con una mortificazione quindi del
parlamentarismo procedurale, che vive della dialettica fra articoli, emendamenti,
subemendamenti, riformulazioni, compromessi linguistici. Non sul piano formale, ma
su quello sostanziale non ha nemmeno torto Gaetano Azzariti quando ha lamentato
che in tal modo si rovescia il criterio costituzionale dell'approvazione articolo per
articolo e poi della votazione finale.
L'opportunità procedurale di emendamenti del genere è evidente. Possiamo
distinguere una pars destruens, che può comportare l'inammissibilità sopravvenuta
per preclusione (a seguito della sua eventuale approvazione) di gran parte degli
emendamenti, potendo quindi operare sia efficacemente in chiave antiostruzionistica
(in caso di un eccessivo numero di proposte emendative riferite a tutti gli articoli del
progetto di legge), come avvenuto con l'emendamento Esposito, sia allo scopo di
evitare il rischio di possibili richieste di scrutinio segreto su emendamenti
controversi, con esiti quindi incerti. E quest'ultimo appariva una delle finalità
principali dell'emendamento Marcucci.
E poi c'è una pars construens, nel senso di definire ex ante i lineamenti
essenziali di un testo (specie se complesso), determinando così una sorta di "ricatto
contenutistico" nei riguardi dei successivi articoli, i quali o avranno dei contenuti
conformi ai precetti dell'articolo premissivo (già approvato) oppure, in caso contrario,
si arresterà l'iter del disegno di legge.
Ritornando al disegno di legge sulle unioni civili, anche ai fini
dell'emendamento Marcucci ancora una volta la cronologia degli eventi ha una sua
rilevanza forse decisiva: nella seduta del 16 febbraio 2016 i senatori del Movimento
Cinquestelle hanno preannunciato che il Gruppo non avrebbe votato l'emendamento
premissivo omnibus per non dare legittimità ad un precedente reputato lesivo delle
ordinarie prerogative parlamentari, in quanto mediante tale espediente si sarebbe
conculcato il diritto di emendamento dei singoli senatori (v. anche diffusamente
l'intervento del senatore Bucarella nella seguente seduta del 25 febbraio).
Il successivo 23 febbraio,, con modalità a ben guardare un po' inusuali il
Presidente Grasso - secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa - ha annunciato
in una riunione informale della Conferenza dei Capigruppo di aver considerato
inammissibili tutti gli emendamenti premissivi all'art. 1 del disegno di legge n. 2081,
in modo da "consentire un ordinato svolgimento dei lavori ed un attento esame di tutti
gli emendamenti presentati senza effetti preclusivi". In passato gli emendamenti
premissivi sono stati "tollerati in rare occasioni come reazione proporzionata della
maggioranza rispetto ad un ostruzionismo esasperato". Essendo ancora pendenti circa
ben 500 emendamenti, resta l'interrogativo della soglia numerica di proposte
modificative, oltre la quale l'emendamento premissivo può essere considerato una
reazione proporzionata della maggioranza in chiave antiostruzionistica. Purtroppo
allo stato (dato che non vi è stata una comunicazione ufficiale all'Assemblea)
purtroppo non è dato conoscere le ragioni tecniche della valutazione negativa e
diversa rispetto al passato, probabilmente ai sensi dell'art. 100, comma 8, Reg. Sen.,
che prevede l'inammissibilità di emendamenti privi di ogni reale portata modificativa.
L'inusualità è consistita nella sede in cui tale decisione è stata annunciata, cioè
una riunione informale della Conferenza dei Capigruppo, senza fra l'altro nemmeno
una successiva ufficializzazione davanti all'Assemblea. Anche se, dato il consistente
numero di emendamenti in precedenza ritirati, sullo sfondo appare l'ipotesi di una
sorta di (innovativo istituto della) "inammissibilità sopravvenuta" dell'emendamento
premissivo, che avrebbe nel frattempo perduto l'originaria giustificazione
antiostruzionistica (ancorchè a contrario si potrebbe pure sostenere che anche i
restanti circa 500 emendamenti rappresentavano comunque un numero eccessivo e
non fisiologico).
6- Il maxi-emendamento interamente sostitutivo.
La prima questione da affrontare riguarda il fatto che il maxi-emendamento (un
articolo unico composto da 69 commi) presentato nella seduta del 24 febbraio 2016
dal Governo andava a sostituire interamente un disegno di legge di iniziativa
parlamentare. I contenuti del maxi-emendamento erano sostanzialmente identici a
quelli del disegno di legge, ma con qualche rilevante novità come l'eliminazione delle
norme sull'adozione di cui all'articolo 5 o di quelle sancenti l'obbligo di fedeltà nelle
unioni civili.Tra l'altro il termine per presentare gli emendamenti era scaduto da
tempo, ma l'Esecutivo si è avvalso della facoltà in extremis ai sensi dell'art. 100,
comma 6, del Regolamento del Senato.
Al di là di qualsiasi valutazione di merito ed a prescindere dall'inopportunità
costituzionale di una procedura del genere, tanto più se riferita ad un progetto non
dell'Esecutivo, la prassi del Senato ai fini dell'ammissibilità dei maxi-emendamenti
non ha mai fatto distinzione rispetto alla provenienza dell'iniziativa del progetto che
si propone di sostituire integralmente.
A quanto pare per la prima volta nella seduta del Senato del 22 gennaio 1985
ebbe inizio quella sorta di “voto bloccato all’italiana”, vale a dire — praeter e
secondo alcuni (autorevolmente Onida) contra la Costituzione — il combinato
disposto maxi-emendamento e questione di fiducia: in particolare, da un lato viene
presentato in Assemblea un emendamento formalmente riferito ad un solo articolo,
ma di fatto contenente l’intero testo (o gran parte) del progetto di legge; dall’altro
lato, con l’apposizione della questione di fiducia, sotto il profilo procedurale
l’emendamento diventa prioritario, viene messo in votazione, con la conseguente
preclusione — in caso di approvazione — di tutti gli altri emendamenti e
subemendamenti (e anche degli ordini del giorno presso il Senato).
Per quanto concerne i limiti contenutistici, alla Camera — del resto in
applicazione di un criterio generale — vengono espunte come inammissibili le
disposizioni aggiunte, non oggetto di previa valutazione in sede referente, mentre
sono ammissibili soppressioni rispetto al testo licenziato, così come “ampliamenti”
rispetto al testo originario, purché già esaminati dalla Commissione.
Tra l’altro le varie prassi parlamentari sono state sempre più permissive sotto i
diversi profili che possono interessare i contenuti dei maxi-emendamenti. Ad
esempio, a differenza della Camera, in Senato solo in un secondo tempo si e`
consentita la riformulazione di un maxi-emendamento onde conformarsi alle
osservazioni della Commissione bilancio. Ancora: soprattutto alla Camera,
inizialmente il Governo poteva apportare correzioni solo tecniche o formali rispetto al
testo depositato; successivamente hanno iniziato a verificarsi precedenti di correzioni
anche sostanziali. Inoltre: la prassi vuole che il maxi-emendamento corrisponda al
testo licenziato dalla Commissione; tuttavia, si sono verificati casi, pur definiti
eccezionali, di ammissione di argomenti nuovi, oppure in cui il vaglio della
corrispondenza rispetto al testo definito dalla Commissione ha avuto un carattere più
elastico. Infine: il binomio maxi-emendamento sostitutivo/questione di fiducia e`
stato applicato anche nei riguardi di progetti di legge di iniziativa parlamentare, come
ricordato dallo stesso Presidente Grasso nella seduta del Senato del seduta del Senato
del 24 febbraio 2015. La fattispecie più recente si è verificata nella riunione del
Senato del 10 dicembre 2015 con riferimento al disegno di legge sull'omicidio
stradale. Mentre nella scorsa legislatura possono citarsi i precedenti delle sedute del
Senato del 9 marzo 2010 (riguardo al ddl sul legittimo impedimento) e del 28 luglio
2011 (circa il ddl sul cosiddetto " lungo processo"):
Anche in questa circostanza sono emerse le differenze significative nelle prassi
seguite dalle due Camere in caso di posizione della fiducia su un articolo unico,
oppure su un emendamento interamente sostitutivo degli articoli o dell'articolo unico
di un disegno di legge: al Senato, dopo la sua approvazione, si intendono preclusi
anche gli ordini del giorno e (soprattutto) non si procede alla votazione finale del
progetto di legge, ritenendola assorbita dall'approvazione dell'articolo unico di cui si
compone di testo; invece alla Camera hanno comunque luogo queste due fasi ulteriori
(v. significativamente le sedute della Camera del 15, 19 e 20 dicembre 2005) .
Pertanto al Senato in maniera ancora più incisiva della Camera il maxi-emendamento
con fiducia ha una portata marcatamente "tombale" rispetto al prosieguo dell'esame.
Sono note le argomentazioni della dottrina circa la difficile compatibilità della
descritta procedura con l’art. 72, primo comma (esame prima in Commissione e poi
in Assemblea, nonché votazione articolo per articolo), oppure con l’esigenza
costituzionale della chiarezza delle disposizioni e della certezza del diritto.
Comunque sia, al momento la tecnica dei maxi-emendamenti sostitutivi, per prassi
consolidata, sembra ammessa solo ed esclusivamente in considerazione del fatto che
su di essi il Governo preannuncia la posizione della questione di fiducia.
Di un certo interesse appaiono i rilievi espressi con un richiamo al
Regolamento nella citata seduta del 24 febbraio dal senatore Calderoli, il quale - pur
prendendo atto della prassi del Senato favorevole all'ammissibilità di maxi-
emendamenti interamente sostitutivi - ha sottolineato la particolare criticità di un
maxi-emendamento sì interamente sostitutivo, ma riferito ad un progetto di legge
che non proviene dall'altro ramo del Parlamento e che non è stato esaminato in sede
referente; il quale quindi non ha avuto in precedenza un'adeguata trattazione di
merito.
La seconda delle due notazioni merita una certa attenzione: in genere si è sempre
giustificato il maxi-emendamento interamente sostitutivo, in quanto di contenuto
sostanzialmente corrispondente al testo licenziato dalla Commissione referente, per
cui in tal modo il ruolo del Parlamento non sarebbe stato mortificato. In questa
circostanza, invece, a quanto pare per la prima volta, si sono legati gli effetti della
"calendarizzazione d'imperio" (che ha impedito la conclusione, e secondo alcuni
anche l'inizio della sede referente) con quelli del maxi-emendamento interamente
sostitutivo con fiducia.
7- La posizione della questione di fiducia.
Prescindendo da qualsiasi considerazione circa le oscillazioni che hanno condotto
dalla "libertà di coscienza" invocata inizialmente per i senatori del Gruppo del PD
all'apposizione della questione di fiducia sull'emendamento interamente sostitutivo, è
troppo noto per dover essere qui ripetuto il vantaggio procedurale così conseguito,
mediante la priorità nella votazione e la conseguente (all'approvazione della
questione di fiducia) preclusione di tutti gli emendamenti e degli ordini del giorno.
Sotto il profilo formale l'art. 161, comma 4, Reg. Sen., non pone certo problemi di
materia, non trattandosi evidentemente né di modifiche regolamentari né di questioni
relative al funzionamento interno del Senato. Infatti, non vi sono state contestazioni
sul punto.
Probabilmente diverso sarebbe stato l'approccio presso la Camera dei deputati,
sulla base del combinato disposto degli articoli 116, comma 4, e 49, comma 1, del
Regolamento, nel senso che la questione di fiducia non può essere posta sugli
argomenti per i quali il Regolamento "prescrive" il voto segreto. Si sarebbe potuto
svolgere un dibattito - e forse ciò avverrà quando in quel ramo del Parlamento sarà
esaminato il disegno di legge sulle unioni civili - simile a quello verificatosi durante
l'esame del disegno di legge elettorale cosiddetto Italicum.
A prescindere dall'ulteriore problema circa la riconducibilità o meno
dell'argomento all'art. 29 Cost. (esclusa, come abbiamo visto, dal Presidente del
Senato proprio ai fini dell'ammissibilità del voto segreto), in proposito non si può non
rilevare che - essendo rimasto sempre lo stesso il quarto comma dell'art. 116 Reg.
Cam., benché forse avrebbe dovuto essere coordinato con la nuova formulazione
dell'art. 49 Reg. Cam. sul voto segreto - sulla base dei precedenti univoci della
Camera dei deputati adottati sin dal 1990 (vale a dire immediatamente dopo
l'abolizione dell'obbligatorietà del voto segreto sul voto finale di un progetto di legge,
approvata il 13 ottobre 1988) quella disposizione è stata sempre interpretata nel
senso che non può essere posta la questione di fiducia solo nel caso in cui il
Regolamento imponga il voto segreto e non anche quando lo renda semplicemente
richiedibile ai sensi dell'art. 49.
Infine, certamente sul piano dell'opportunità costituzionale e politica viene da
chiedersi se sia del tutto corretto da parte del Governo porre la questione di fiducia in
una materia del genere, che ha visto dividersi la stessa opinione pubblica oltrechè
trasversalmente gli schieramenti in Parlamento. Ma questa evidentemente è una
valutazione decisamente extra-giuridica e come tale da non trattare in questa sede.
8 - Considerazioni conclusive
Il clima crepuscolare, che sta caratterizzando inevitabilmente il Senato della
Repubblica all'appropinquarsi della possibile entrata in vigore di una riforma
costituzionale che ne attenua ruolo, funzioni e forse posizione costituzionale, si
accompagna ad una patologica e datata debolezza delle procedure, che a dire il vero
riguarda anche l'altro ramo del Parlamento.
Sullo sfondo viene in evidenza il "transessualismo" dei Regolamenti del 1971,
nati storicamente e finalizzati funzionalmente per compensare nelle Camere la c.d.
conventio ad excludendum e per supplire mediante innovative procedure di "co-
governo" parlamentare l'allora bipolarismo imperfetto (per dirla alla Giorgio Galli).
Le ormai numerosissime modifiche testuali ai Regolamenti parlamentari hanno
rappresentato un fattore delegittimante, anche perché accompagnate dall'espandersi di
prassi e di convenzioni derogatorie o comunque praeter i Regolamenti stessi. A ben
guardare, a partire dalla prima metà degli anni Novanta, il diritto parlamentare nel
nostro Paese sembra attraversare una fase particolare, quasi "emergenziale",
caratterizzata da tendenze decostruttive rispetto alle statuizioni positive dei
Regolamenti parlamentari generali; tendenze che sono andate via via accentuandosi
nelle ultime legislature ed hanno esaltato maxime la caratteristica di "diritto mobile "
tipica di questo ramo giuridico, se non ne hanno innovato la natura nel senso di una
specie di "diritto senza norme" (per parafrasare l'antica connotazione del diritto
sindacale). Tali tendenze decostruttive si sono alimentate soprattutto delle
convenzioni incidenter tantum, dei pareri delle Giunte per il Regolamento, delle
deliberazioni derogatorie dell’Ufficio di Presidenza e/o della Conferenza dei
Capigruppo,. delle decisioni "che non costituiscono precedente", delle innovazioni
interpretative delle Presidenze, delle eccezionali deroghe manipolative delle
disposizioni scritte per via ermeneutica , delle norme (desunte) praeter le fonti note e
così` via.
Resta da chiedersi se questo sia il modello più funzionale in un sistema politico
non più consociativo e se sia altresì quello più rispondente ad una legislazione
elettorale fondata sul premio di maggioranza.
Per tutte queste ragioni nel tempo quegli stessi Regolamenti del 1971 -
formalmente rimasti in vigore nel loro complesso - hanno "virato" impostazione ed
hanno cercato (con successo) di assecondare le esigenze di sempre più rapida
governabilità dell'Esecutivo, questa volta supplendo alle mancate riforme
costituzionali ed agli stessi guasti dell'età del maggioritario e dell'italico "bipolarismo
conflittuale" (secondo la fortunata formula di Lippolis e di Pitruzzella).
E il "transessualismo" dei Regolamenti parlamentari del 1971 si è legato
all'inerzia della giurisprudenza costituzionale, da un lato ferma ad una esegesi
riduttiva della stessa sentenza, pur prudente, della Corte costituzionale n. 9 del 1959
e dall'altro lato non ancora matura a tal punto da superare i limiti epocali di un
sindacato di costituzionalità che esclude la diretta parametricità dei Regolamenti
parlamentari stessi, nonostante la formula dell'articolo 64 della Costituzione, se si
esclude una timida speranza (pur andata poi disattesa) in tal senso derivante
dall'impostazione (così diffusa nell'affermare il rispetto delle disposizioni
regolamentari) della parte motivazionale della sentenza 26 luglio 1995, n. 391.
Ormai è tardi. I Regolamenti del 1971 avrebbero dovuto essere riscritti
integralmente da tempo, ed invece si è preferito insistere con una sorta di
"accanimento terapeutico", evidenziato dal metodo della diffuse e reiterate
modificazioni testuali (fino all'ipotesi di "semi-riscrittura" totale ma novellistica della
Presidente Boldrini), dal carattere sempre più regressivo del diritto parlamentare
scritto e infine dall'inverarsi di procedure "creative" sempre e comunque
teleologicamente dirette a ridurre il potere decisionale delle Camere.
Non sembri senza significato - al di là delle problematiche formali circa la sua
ammissibilità - il ricorso presentato dal senatore Giovanardi e da altri 50 senatori alla
Corte costituzionale. Si tratta di un'iniziativa pretoria, la prima del genere, di per sè
emblematica delle difficoltà di tenuta dello stesso diritto parlamentare ricordate in
premessa. Probabilmente, pur in un'epoca di profondi contrasti politico-ideologici,
nel contesto assembleare e consociativo, partitico (nel senso tradizionale del termine)
e proporzionalistico caratterizzante il sistema politico fino al 1992, un'iniziativa del
genere nemmeno sarebbe stata ipotizzabile, essendo il Parlamento stesso - proprio per
quell'assetto sistemico più che per la sua posizione "centrale" nell'ordinamento
costituzionale - la condivisa e riconosciuta sede naturale per la risoluzione
soprattutto politica delle controversie di diritto parlamentare, come dimostra di per sè
anche la stessa assenza nei Regolamenti del 1971 di qualsiasi disposizione dedicata
all'argomento, a parte la facoltà (e nemmeno l'obbligo) per i Presidenti di convocare
la Giunta per il Regolamento.
Il ricorso alla Corte costituzionale di una frazione qualificata del plenum
assembleare del Senato - per menomazione delle prerogative dei singoli senatori
mediante la violazione degli articoli 1, secondo comma, 67, 71 e 72 Cost. e per falsa
applicazione degli articoli 22, 28, 29, 31, 34, 40, 43, 44, 45, 51, 53 e 55 del
Regolamento del Senato - si fa notare non solo per la consistenza delle
contrapposizioni sostanziali intorno al disegno di legge sulle unioni civili, ma
soprattutto per il malessere procedurale che vi è sotteso e che forse è comprensibile,
in quanto il combinarsi (per la prima volta) degli effetti di due procedure derogatorie
(mancata conclusione della sede referente e maxi-emendamento) ha comportato che,
alla fine, fra esame in Commissione e quello in Assemblea del disegno di legge n.
2081 (approvato dal Senato e trasmesso alla Camera) su una materia rilevante come
le unioni civili e le convivenze di fatto vi è stato un solo voto sul testo, quello sul full
maxi-emendamento interamente sostitutivo e "fiduciato".
Sarà ora degno di interesse attendere i primi commenti della dottrina sui
contenuti del ricorso, in particolare circa il lamentato mancato rispetto dell'articolo
72, primo comma, prima parte, della Costituzione a causa dell'iscrizione all'ordine del
giorno dell'Assemblea di un disegno di legge formalmente mai discusso
specificamente in Commissione referente e circa l'elusione sostanziale dell'articolo
87, quarto comma, della Costituzione in caso di maxi-emendamento del Governo
interamente sostitutivo di un disegno di legge di iniziativa parlamentare senza la
previa autorizzazione del Presidente della Repubblica (questione sempre sollevata dal
senatore Giovanardi, che si aggiunge alla tradizionale contestazione sul mancato
rispetto dell'esame articolo per articolo ex articolo 72, primo comma, seconda parte,
della Costituzione).
Infine, sia consentita una considerazione sulla qualità della legislazione legata
al maxi-emendamento intermente sostitutivo, che ha concentrato i 23 articoli (con le
relative rubriche) del disegno di legge n. 2081 in un articolo unico con 69 commi
(senza quindi nessun titoletto riferito alle varie materie trattate). Come noto, non si
tratta certamente di una novità, ed il record è rappresentato dalla legge (di stabilità) n.
266 del 2006, recante un articolo unico composto da 1446 commi. Tuttavia, mentre in
genere le leggi - di difficile lettura in quanto frutto di maxi-emendamenti e quindi, ad
esempio, senza rubriche - hanno riguardato materie economiche e finanziarie oppure
giuridiche in senso stretto, rivolte soprattutto agli operatori, nel caso invece del testo
sulle unioni civili è evidente che si tratta di contenuti che riguardano la vita della
generalità dei cittadini, di qualsiasi orientamento sessuale, i quali avranno
presumibilmente interesse e curiosità di conoscere direttamente i dettami di una
disciplina così innovativa rispetto al passato.
Ma, qualora il disegno di legge licenziato dal Senato diventasse legge, il testo
sarà di difficile lettura, nelle sue varie partizioni, essendo composto da un articolo
unico con 69 commi, sovente fra l'altro redatti mediante periodi molto lunghi e con
una struttura sintattica particolarmente complessa. Ebbene: proprio in una fattispecie
di questo tipo sarebbe quanto mai opportuno che fosse applicato l'art. 10, comma 3-
bis, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092,
solitamente trascurato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (ed invece
raccomandato in genere dal Comitato per la legislazione della Camera: v. di recente
la seduta del 2 luglio 2015), il quale prevede - nelle situazioni di particolare
complessità a causa dell'eccessivo numero di commi - la pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale di un testo corredato da sintetiche note a margine, stampate in modo
caratteristico, che indichino in modo sommario il contenuto di singoli commi o di
gruppi di essi. Sarebbe un piccolo, ma significativo, rimedio ex post rispetto ai danni
manifesti alla qualità della legislazione ed alla stessa leggibilità di un testo normativo,
inevitabilmente dovuti agli stress procedurali da maxi-emendamento.