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DDL UNIONI CIVILI E CRITICITA' PROCEDURALI: 69 COMMI DA RACCONTARE 1 di Luigi Ciaurro 1. - Premessa metodologica. Probabilmente non par hazard ma pour cause le note e controverse oscillazioni contenutistiche e le lamentate incertezze politiche, che hanno contraddistinto il lungo iter presso il Senato della Repubblica dei testi sulle unioni civili et similia, si sono riverberate sulle procedure parlamentari seguite, poste "sotto stress" in misura rilevante, pur in assenza di veri e propri dirompenti atteggiamenti ostruzionistici da parte delle opposizioni, che pure hanno cercato in vari modi di rallentare l'approvazione di un progetto di legge in materia. In particolare, ancora una volta - coma già avvenuto nella XVII legislatura durante l'esame di fondamentali disegni di legge, come quello per l'elezione della Camera dei deputati o l'altro recante la riforma costituzionale - si è fatto ricorso ad una serie di plurime e concentrate forzature (secondo alcuni anche di macroscopiche irregolarità) procedurali, le quali non possono non far interrogare la "ristretta comunità" che si occupa di diritto parlamentare sul suo sempre più flebile connotarsi quale vera e propria scienza giuridica fino ad assumere le parvenze di una sorta di "occasionalismo regolamentativo", finalizzato meramente al raggiungimento del risultato procedurale del momento. Spesso, troppo spesso, appare regressivo, se non fuorviante, continuare a far riferimento in questa branca del diritto ai paradigmi classici degli istituti e delle procedure giuridiche ed ai canoni tipizzati dell'esegesi normativa. Semmai la conseguenza è quasi paradossale: il diritto parlamentare nel senso classico del termine - pur con i conosciuti e tradizionali limiti legati al contesto politico di riferimento - sembra sopravvivere solo nelle pagine "scolorite" della croni- 1 Pubblicato sulla rivista cartacea "Rassegna parlamentare", Jovene editore, 2016, n. 1, pp. 103-126.

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DDL UNIONI CIVILI E CRITICITA' PROCEDURALI: 69 COMMI DA

RACCONTARE1

di Luigi Ciaurro

1. - Premessa metodologica.

Probabilmente non par hazard ma pour cause le note e controverse oscillazioni

contenutistiche e le lamentate incertezze politiche, che hanno contraddistinto il lungo

iter presso il Senato della Repubblica dei testi sulle unioni civili et similia, si sono

riverberate sulle procedure parlamentari seguite, poste "sotto stress" in misura

rilevante, pur in assenza di veri e propri dirompenti atteggiamenti ostruzionistici da

parte delle opposizioni, che pure hanno cercato in vari modi di rallentare

l'approvazione di un progetto di legge in materia.

In particolare, ancora una volta - coma già avvenuto nella XVII legislatura durante

l'esame di fondamentali disegni di legge, come quello per l'elezione della Camera dei

deputati o l'altro recante la riforma costituzionale - si è fatto ricorso ad una serie di

plurime e concentrate forzature (secondo alcuni anche di macroscopiche irregolarità)

procedurali, le quali non possono non far interrogare la "ristretta comunità" che si

occupa di diritto parlamentare sul suo sempre più flebile connotarsi quale vera e

propria scienza giuridica fino ad assumere le parvenze di una sorta di

"occasionalismo regolamentativo", finalizzato meramente al raggiungimento del

risultato procedurale del momento. Spesso, troppo spesso, appare regressivo, se non

fuorviante, continuare a far riferimento in questa branca del diritto ai paradigmi

classici degli istituti e delle procedure giuridiche ed ai canoni tipizzati dell'esegesi

normativa.

Semmai la conseguenza è quasi paradossale: il diritto parlamentare nel senso

classico del termine - pur con i conosciuti e tradizionali limiti legati al contesto

politico di riferimento - sembra sopravvivere solo nelle pagine "scolorite" della croni-

1 Pubblicato sulla rivista cartacea "Rassegna parlamentare", Jovene editore, 2016, n. 1, pp. 103-126.

storia parlamentare dei giorni d'oggi, vale a dire durante l'esame di progetti di legge

secondari e sostanzialmente condivisi, mentre per le grandi questioni de iure

condendo o quando emergono laceranti contrasti fra le forze politiche - cioè proprio

in quelle fattispecie che più necessiterebbero di essere disciplinate con modalità certe

e preventivamente conoscibili - le regole parlamentari del gioco diventano

frequentemente e disinvoltamente del tutto ondivaghe.

Il descritto frangente di riferimento impone vieppiù al "buon cultore" del diritto

parlamentare di non farsi affatto coinvolgere dal pathos dei clamori politici del

momento proprio a garanzia della scientificità dei suoi approfondimenti, il cui

presupposto risiede nell'impegno metodologico a ricostruire gli istituti e le procedure

sulla base di una stretta osservanza del principio di verità giuridica

(formalisticamente intesa), a prescindere quindi dai suoi convincimenti politici e

culturali o dalle proprie convenienze personali.

Alla stregua di queste considerazioni preliminari (non solo di metodo) si ritiene

doveroso affrontare con animo "laico" un commento sugli episodi più eclatanti che

hanno contrassegnato l'esame presso il Senato della Repubblica dei progetti di legge

sulle unioni civili, avendo sempre cura di distinguere - ove necessario - le paratie

squisitamente giuridiche (fondate sull'interrogativo: ammissibilità/inammissibilità

formale) da quelle ibride (legate alla coppia dialettica: opportunità/inopportunità

procedurale, di per sè suscettibile di apprezzamenti diversi, se non opposti, con

riferimento agli interessi differenziati, rispettivamente, della maggioranza e delle

opposizioni) e più ancora dalle valutazioni meta-giuridiche (ma pur con una qualche

influenza sulle ricostruzioni di diritto parlamentare) relative alla

correttezza/scorrettezza politica dei comportamenti degli attori politici.

Con questa impostazione, per comodità e velocità espositive, ci si concentrerà

(esclusivamente) su sei fattispecie procedurali verificatesi durante l'esame presso il

Senato del disegno di legge S. n. 2081 di iniziativa della senatrice Cirinnà ed altri: la

mancata conclusione della sede referente; l'adozione del testo base in Assemblea; la

votazione a scrutinio palese della proposta di non passaggio all'esame degli articoli;

l'emendamento premissivo omnibus presentato dal senatore Marcucci; il maxi-

emendamento interamente sostitutivo; la posizione della questione di fiducia.

E non sembri eccessiva l'attenzione riservata a vicende squisitamente procedurali,

nella consapevolezza della lezione di Pietro Calamandrei: "Questo riavvicinamento

del sistema processuale fondato sul contraddittorio, al sistema parlamentare basato

sul contrasto fra la maggioranza e la opposizione, non ha un valore puramente

teorico, un valore, per così dire, di pura somiglianza estetica" (Processo e

democrazia, Padova 1954, p. 129).

2. - La mancata conclusione della sede referente.

La tempistica in Parlamento non è mai una variabile indipendente. Ebbene: il 13

ottobre 2015, subito dopo l'approvazione in prima deliberazione del disegno di legge

costituzionale del Governo (Atti Senato, ddl n. 1429-B, c.d. "riforma Renzi-Boschi"),

la seduta del Senato è stata sospesa ed è stata convocata una Conferenza dei

Presidenti dei Gruppi, la quale ha stabilito (a maggioranza) che l'indomani (il 14

ottobre) sarebbe stata iscritta all'ordine del giorno dell'Assemblea la materia delle

unioni civili, pur non avendo la Commissione giustizia terminato i lavori in sede

referente e che il testo base sarebbe stato il disegno di legge n. 2081 presentato dalla

senatrice Cirinnà ed altri. In Assemblea venivano poi respinte tutte le proposte dei

singoli senatori di modifica del calendario nella parte relativa all'esame del disegno di

legge sulle unioni civili.

Una certa attenzione merita la cronologia relativa al disegno di legge n. 2081

della senatrice Cirinnà, posto a base della discussione in Assemblea iniziata il 14

ottobre 2015: viene formalmente presentato il 6 ottobre; assegnato dal Presidente del

Senato alla Commissione il 7 ottobre; iscritto all'ordine del giorno, abbinato agli altri

progetti di legge pendenti in materia (in mancanza di osservazioni su proposta del

Presidente f.f. Casson) e portato all'attenzione della Commissione giustizia (a dire il

vero insieme ad altri due presentati in quel periodo) nella seduta notturna del 12

ottobre, nel corso della quale la relatrice Cirinnà ha illustrato i contenuti dei tre nuovi

disegni di legge abbinati: poi il 13 ottobre la Conferenza dei Capigruppo lo sceglie

come testo base per l'esame in Assemblea a partire dal 14 ottobre, per cui la sede

referente si è così interrotta.

In particolare, il senatore Giovanardi ha lamentato immediatamente (v. proprio la

seduta del Senato del 13 ottobre 2015) la violazione dell'art. 72, primo comma, Cost.

e dell'art. 44, comma 3, del Regolamento del Senato.

Circa quest'ultimo aspetto, in effetti non può non porsi la questione del possibile

stridore della procedura seguita con la citata disposizione del Regolamento del

Senato, la quale prevede che, scaduto il termine di due mesi dalla sua data di

assegnazione in sede referente, un disegno di legge possa essere preso in

considerazione, in sede di programmazione dei lavori, per essere discusso, anche

senza relazione, nel testo del proponente.

Vero è che la prassi al Senato (ma anche alla Camera) fa riscontrare al riguardo

fattispecie derogatorie legate all'ormai consolidato "uso improprio" della

programmazione per finalità procedurali. Infatti, un disegno di legge (purché) inserito

nel calendario dei lavori d’Assemblea — anche prima dei due mesi (ex art. 44 Reg.

Sen.) dall’assegnazione alla Commissione (v. ex pluribus già seduta pom. del Senato

del 15 ottobre 2002) — può essere trattato in Aula, anche se non si è concluso

l’esame in Commissione, per essere discusso nel testo del proponente senza

relazione, neppure orale, della Commissione. In questi casi, non esiste un relatore

all’Assemblea, tale non potendosi considerare il relatore alla Commissione

competente, la quale, infatti, non avendo concluso i propri lavori, non ha conferito

specifico mandato di fiducia. Pertanto, in Assemblea non avranno luogo né la replica

del relatore al termine della discussione generale, né l’espressione del parere da parte

del relatore su emendamenti e ordini del giorno (v. significativamente in tal senso le

comunicazioni del Presidente del Senato nella seduta del 10 agosto 2001). Ci sarà

solo una breve illustrazione “tecnica” dei lavori della Commissione da parte del suo

Presidente all’Assemblea.

Anche la prassi della Camera è nel senso di ammettere procedure derogatorie ed

anticipatorie rispetto ai due mesi dall'effettivo inizio dell'esame della sede referente,

prescritti dall'art. 81, comma 1, del Regolamento della Camera, a seguito della

calendarizzazione in Assemblea di un progetto di legge. Però, tale problematica non

potrebbe porsi negli identici termini rispetto al Senato ("mancata conclusione della

sede referente"), perché – in circostanze simili di "calendarizzazione d’imperio" in

Assemblea – comunque si avrebbe la conclusione (quanto meno) formale dell’esame

in sede referente, ponendo il Presidente di Commissione direttamente in votazione il

conferimento a un deputato del mandato a riferire favorevolmente, ancorché non si

sia concluso l’esame degli articoli e degli emendamenti, i quali si intendono pertanto

respinti, con una sorta di "effetto ghigliottina" (v. per tutte già seduta della VI CP

della Camera del 23 aprile 1999).

Però nella fattispecie de qua si pongono degli interrogativi nuovi e diversi,

essendo state le descritte prassi derogatorie portate all'estremo limite della

"avocazione" dopo soli sei giorni dalla data di assegnazione del disegno di legge alla

Commissione in sede referente. Poteva essere calendarizzato in Assemblea il disegno

di legge n. 2081, presentato solo da pochi giorni, pur alla stregua dei precedenti che

hanno annoverato la possibilità di non rispettare la scadenza dei due mesi per l'esame

in sede referente, ammantata dalla giustificazione di dare attuazione alla

programmazione (superiorem non recognoscens) dell'Assemblea, decisa fra l'altro a

maggioranza dalla Conferenza dei capigruppo e poi contestata nel plenum?

Sotto il profilo squisitamente formale, si potrebbe anche rispondere

affermativamente sulla base della considerazione che, una volta che si ammette la

calendarizzazione in Assemblea di un progetto di legge anche in assenza della

conclusione della sede referente e pure prima del decorso dei due mesi dalla sua

assegnazione alla Commissione competente, allora ne consegue che anche l'estrema

esiguità dei tempi d'esame non può fare la differenza, una volta venuto meno un

termine minimo. A questa risposta formalistica si potrebbe replicare - con una contro-

argomentazione altrettanto formalistica - che in questa circostanza la sede referente

non solo non si era conclusa, ma addirittura era stata del tutto assente, potendosi solo

annoverare la mera esposizione orale da parte della relatrice dei contenuti del disegno

di legge n. 2081, desumibili fra l'altro anche dalla stessa relazione scritta che precede

il testo dell'articolato, senza quindi alcun inizio di discussione in sede referente. Sul

piano delle argomentazioni sostanziali - che tuttavia attenuano l'esiguità della

specifica trattazione formale del disegno di legge n. 2081 - si potrebbe rilevare il fatto

che quest'ultimo era riferito ad una materia in discussione presso la Commissione

giustizia sin dal giugno del 2013, vale a dire da oltre due anni. Ma non basta: sul

punto però è stato obiettato (v. l'intervento del senatore Malan nella seduta del Senato

del 14 ottobre 2014) che sia l'art. 72 Cost. sia l'art. 44 Reg. Sen. fanno riferimento ad

"ogni disegno di legge" e non ad "ogni materia"ai fini del necessario esame in sede

referente.

3 - L'adozione del testo base in Assemblea.

A nostro avviso la "forzatura" procedurale più innovativa, ancorchè non

considerata la più dirompente, è consistita nelle modalità con le quali è stato scelto ai

fini dell'esame in Assemblea il testo base fra i numerosi (ben 14) progetti di legge

presentati in materia di unioni civili.

Solitamente questa è una fase che si svolge in Commissione durante l'esame in

sede referente. Se all'ordine del giorno si trovano contemporaneamente progetti di

legge identici o vertenti sulla stessa materia, viene disposto dalla Commissione

l'abbinamento nell'esame degli stessi; abbinamento sempre possibile fino al termine

della discussione in sede referente, così come la Commissione stessa può procedere

successivamente al disabbinamento (per un raro caso di questo genere v. la seduta

della Commissione lavoro del Senato del 6 marzo 2001). Dopo l'esame preliminare e

congiunto dei progetti di legge abbinati, la Commissione procede alla scelta di un

testo base fra quelli pendenti o del testo ad hoc predisposto dal relatore, ovvero alla

predisposizione di un testo unificato da parte di un apposito Comitato ristretto.

Nei casi in cui la Commissione non ha concluso l'esame in sede referente e la

"materia" di cui ai diversi progetti di legge è stata inserita all'ordine del giorno

dell'Assemblea, eccezionalmente - nel silenzio dei Regolamenti sul punto - l'adozione

del testo base è avvenuta direttamente in Assemblea, sulla base di precedenti

sufficientemente consolidati quanto meno presso il Senato, mentre con minore

evidenza alla Camera dei deputati.

La prima fattispecie riscontrabile risale alla seduta del Senato del 26 gennaio

1989, quando - nel dichiarare aperta la discussione generale congiunta di due disegni

di legge in materia di finanza pubblica (di cui uno di conversione in legge di un

decreto-legge) - il Presidente precisava: "La questione del testo da prendere a base

per l'esame degli articoli si porrà successivamente al termine della discussione

generale dopo le repliche". Poi, in quella stessa seduta - dopo una discussione limitata

ai sensi dell'art. 92 del Regolamento (in quanto considerata una questione relativa

all'ordine delle discussioni, come però esplicitato chiaramente nel secondo precedente

infra riportato) - l'Assemblea votava per alzata di mano la proposta, formulata dal

relatore, di prendere come base della discussione il disegno di legge di conversione

del decreto-legge. Fra l'altro solo dopo questa decisione veniva posta ai voti la

richiesta di non passaggio all'esame degli articoli, in precedenza formulata.

Il secondo precedente si è verificato nella seduta antimeridiana del Senato del 17

luglio 1991 e riguardava l'esame congiunto di 3 disegni di legge (addirittura) di

revisione costituzionale. Anche in questo caso furono seguite le procedure in

precedenza descritte, con la votazione ed approvazione della proposta di testo base

avanzata dal relatore (che fra l'altro aveva indicato ragionevolmente il progetto di

legge già approvato dalla Camera dei deputati), dopo la discussione generale e le

repliche.

Qualche diversità è riscontrabile nel terzo e più noto precedente citabile,

verificatosi nella seduta del Senato del 28 febbraio 1995, quando ai fini dell'esame di

una pluralità di disegni di legge in materia di riassetto del sistema radiotelevisivo - in

assenza di un relatore all'Assemblea - venova innanzitutto (quindi prima dell'inizio

della discussione) posta ai voti ed approvata la proposta del senatore Pedrazzini di

porre a base della discussione il progetto di legge n. 1130, in quanto pervenuta per

prima fra le varie avanzate, come espressamente indicato dal Presidente. Va ricordato

che lo stesso senatore Pedrazzini era stato relatore nella Commissione di merito.

Inoltre, un "semi-precedente" derogatorio rispetto al passato potrebbe individuarsi

nella seduta pomeridiana del Senato del 17 febbraio 2009, quando il Presidente

Schifani - nel dar conto delle decisioni sui calendario dei lavori - riferiva che la

Conferenza dei Capigruppo aveva stabilito la data di inizio dell'esame dei disegni di

legge in materia di testamento biologico, "nel testo definito dalla Commissione o nel

testo base del relatore". Poi la fattispecie si risolse fisiologicamente, nel senso che

nella seduta del 18 marzo 2009 venne discusso il testo licenziato dalla Commissione.

Pertanto, l'innovativa seconda parte della statuizione non ebbe un seguito concreto:

però era significativa perché da un lato rispetto al passato aveva virtualmente sottratto

all'Assemblea la decisione sul testo base da adottare, e dall'altro lato prevedeva la

possibilità che fosse incardinato in Assemblea il testo base del relatore alla

Commissione (che sotto il profilo formale non è un'iniziativa legislativa autonoma)

pur non da questa approvato. In breve: si trattò di una duplice, e pericolosa, anomalia,

che pur non avendo avuto uno sviluppo applicativo, una qualche traccia ha lasciato,

come vedremo proprio a proposito delle unioni civili.

Infine, sempre nella XVI legislatura, va citato l'isolato precedente della seduta

del Senato del 7 giugno 2011: erano stati iscritti all'ordine del giorno 7 disegni di

legge in materia di anticorruzione e le Commissioni riunite 1° e 2° non avevano

completato l'esame in sede referente, in cui era in discussione un testo unificato

predisposto dai relatori. In quella occasione il Presidente - in applicazione

(esplicitata) dell'art. 44, comma 3, Reg. Sen. - avvertiva che il disegno di legge n.

2156 sarebbe stato esaminato nel testo presentato dal Governo, senza relazione. Non

avendo l'Assemblea fatto obiezioni ed in assenza di ulteriori indicazioni rinvenibili

negli atti parlamentari, si deve concludere che si sia trattato di un raro caso di

"votazione tacita", la quale si verifica quando, nel silenzio del plenum, deve

desumersi che esso approvi l'atto e/o la procedura sottoposti alla sua attenzione;

votazione tacita con una duplice valenza: una esplicita (ex art. 44, comma 3: il testo

del Governo proponente senza relazione della Commissione), l'altra implicita (la sua

adozione quale testo base rispetto agli altri 6). Probabilmente vi sarà stato un accordo

sottostante fra i Gruppi, tant'è che non furono sollevate contestazioni. Si trattava

comunque del progetto di legge presentato dal Governo (che quindi come tale ha di

fatto una particolare rilevanza), fra l'altro prior in tempore rispetto agli altri.

Meno evidente e più embrionale appare la situazione alla Camera deputati alla

luce degli scarni precedenti riscontrabili. Quello di maggior peso si è registrato nella

seduta del 26 febbraio 2001, che vedeva iscritti all'ordine del giorni ben 6 disegni di

legge abbinati riguardanti il terzo mandato dei sindaci, senza che il loro esame si

fosse concluso in Commissione. Dopo l'esposizione dell'onorevole Massa (in qualità

di relatore alla Commissione), il quale a dire il vero aveva chiesto il rinvio dei

progetti di legge in Commissione ai fini della scelta del testo base, ed il successivo

dibattito, più volte con degli obiter dicta è intervenuto il Presidente per rimarcare che

la "prima decisione" dell'Assemblea sarebbe stata la scelta del testo base fra le sei

proposte di legge. Poi la discussione venne rinviata ad altra seduta e non si ebbe

alcun seguito.

Un altro precedente è rinvenibile nella seduta della Camera del 19 ottobre

2000, con riferimento all'iscrizione all'ordine del giorno di 2 proposte di legge recanti

la proroga dalla durata della Commissione parlamentare di inchiesta sulla

Federconsorzi, il cui esame non era stato concluso in sede referente. Le due proposte

erano di identico contenuto: la Presidenza, ragionevolmente ma senza una specifica

spiegazione esplicita, ha iniziato l'esame degli articoli facendo riferimento al progetto

di legge n. 7122 (quello proveniente del Senato in prima deliberazione, ancorchè

presentato successivamente), i cui articoli - veniva esplicitato - erano identici a quelli

del progetto di legge n. 7071, il quale alla fine veniva dichiarato assorbito.

Il terzo precedente è quello della seduta del 2 ottobre 2000, quando sono stati

iscritti all'ordine del giorno 10 diversi progetti di legge concernenti il trattamento di

quiescenza del personale delle Ferrovie dello Stato, pur dopo un'anomala conclusione

dei lavori in Commissione, la quale aveva conferito il mandato ad un relatore

affinchè desse conto all'Assemblea dell'impossibilità di porre in essere una compiuta

valutazione dei testi in assenza della relazione tecnica, pur sollecitata numerose volte.

In Assemblea si svolse e si concluse la discussione congiunta delle proposte, senza

quindi la scelta di un testo base, che in concreto non avvenne nemmeno in seguito

poichè non ebbe più luogo il prosieguo dell'esame pur rinviato ad altra seduta.

Pertanto, dall'esperienza della Camera emerge che - pur in assenza di una

conclusione fisiologica della sede referente - ben possono essere iscritti all'ordine del

giorno dell'Assemblea progetti di legge abbinati sulla stessa materia, senza la previa

scelta di un testo base. La quale però poi, per la mancanza di un successivo seguito o

per una comoda decisione presidenziale in presenza di testi identici, non è mai stata

concretamente effettuata in modo esplicito dal plenum o dalla Conferenza dei

Capigruppo.

E arriviamo alla materia delle unioni civili ed alla seduta del Senato del 13

ottobre 2015, quando il Presidente avverte che "la Conferenza dei Capigruppo ha

indicato come testo base il disegno di legge n. 2081, a prima firma della senatrice

Cirinnà". Pur in un contesto di reiterate e pervicaci proteste, soprattutto per il

mancato rispetto dell'art. 72 della Costituzione, che prescrive il previo esame in

Commissione in sede referente, stupisce che non vi siano state contestazioni circa il

fatto che la Conferenza dei Capigruppo, fra l'altro presumibilmente a maggioranza e

non all'unanimità, abbia deciso il testo base e non l'Assemblea con apposita

votazione, come avvenuto nei primi tre precedenti del Senato citati supra.

Per tentare di fornire una prima valutazione, è necessario ripercorrere la lunga

e tormentata storia dei "testi base" sulle unioni civili succedutisi durante l'esame in

sede referente.

Come noto, sulla vicenda, ma da un altro punto di vista, da parte del senatore

Giovanardi e di altri 50 senatori è stato presentato un ricorso alla Corte costituzionale

per violazione dell'art. 72 Cost.: al di là dei suoi limiti di ammissibilità, un'iniziativa

del genere non può non sollecitare comunque l'interrogativo se il disegno di legge n.

2081 potesse o meno essere posto a base della discussione congiunta dei progetti di

legge in materia, a prescindere dalla procedura innovativa con cui tale scelta è stata

effettuata.

Dagli atti parlamentari risulta che la Commissione giustizia del Senato ha

dedicato complessivamente circa 70 sedute all'esame dei disegni di legge sulle unioni

civili; esame che ha avuto inizio già a partire dalla riunione del 18 giugno 2013,

quindi non appena costituite le Commissioni permanenti nella XVII legislatura.

In particolare, la senatrice Cirinnà - divenuta unica relatrice, dopo la rinuncia

dell'altro relatore, il senatore Falanga, a seguito del cambio di maggioranza nel

frattempo intervenuto - presentava nella riunione dell'8 aprile 2014 due schemi di

testi unificati (l'uno per le unioni civili tra le persone dello stesso sesso, l'altro per la

regolamentazione delle coppie di fatto). Successivamente, nella seduta del 2 luglio

2014 la relatrice ha presentato un (ulteriore ed unico) testo unificato "concentrato",

che riuniva i temi oggetto dei precedenti schemi. Occorre poi giungere alla seduta del

17 marzo 2015, quando la senatrice Cirinnà ha presentato un altro (il terzo) schema di

testo unificato. Il 25 marzo successivo è stato presentato uno schema di testo

unificato alternativo da parte dei senatori Caliendo ed altri. Finalmente, nella seduta

del 26 marzo 2015 la Commissione giustizia del Senato ha adottato come testo base

lo schema da ultimo presentato dalla relatrice: è quindi iniziata la fase del deposito

degli emendamenti. Fra l'altro la stessa relatrice ha successivamente presentato tre

proposte emendative al suo testo, alle quali hanno fatto da pendant ben 279

subemendamenti. Ma non basta: a seguito del parere della Commissione bilancio la

relatrice ha presentato un ulteriore emendamento recante la sollecitata copertura

finanziaria.

Successivamente la Commissione giustizia ha esaminato 318 emendamenti,

approvandone 2 e respingendone 74, mentre i rimanenti sono stati ritirati o dichiarati

decaduti. Sono stati poi ritirati ulteriori 576 emendamenti, mentre restavano da

esaminarne 518 quando (il 13 ottobre 2015) la sede referente è stata interrotta a causa

della calendarizzazione dei testi in Assemblea. Pertanto, all'esame (già inoltrato) del

testo unificato predisposto dalla relatrice Cirinnà ed adottato come testo base (in

Commissione) è subentrato (in Assemblea) l'esame quale testo base di un disegno di

legge (successivamente) presentato in proprio dalla stessa senatrice Cirinnà (ed altri);

successione non proprio fisiologica nell'ambito delle ordinarie procedure legislative.

A prescindere dal difficile intreccio di testi succedutisi nel tempo - che del

resto fa parte della fisiologia del dibattito parlamentare - a nostro sommesso avviso

risulta più corretta la precedente prassi, che affida ad un voto di Assemblea

l'eventuale opzione del testo base da adottare fra i disegni di legge abbinati, così

come nelle Commissioni è sempre il collegio ad assumerla e non l'Ufficio di

presidenza allargato ai rappresentanti dei Gruppi: si tratta infatti di una decisione non

sulla programmazione dei lavori, ma che investe già il merito della discussione.

In breve e in conclusione: una vera e propria innovazione, forse non del tutto

condivisibile per le ragioni esposte, è consistita nella decisione del testo base affidata

alla Conferenza dei Capigruppo - fra l'altro in riunioni riservate, non essendo questa

sede oggetto di pubblicità - anziché all'Assemblea nel suo plenum come avvenuto in

precedenza.

4 - La votazione a scrutinio palese della proposta di non passaggio all'esame

degli articoli.

Come noto, l'art. 96 del Regolamento del Senato prevede ancora il tradizionale

strumento dell'ordine del giorno di non passaggio all'esame degli articoli. In

particolare, prima che abbia inizio l’esame degli articoli di un disegno di legge,

ciascun senatore può avanzare la proposta che non si passi a tale esame. Si fa poi

rinvio per le procedure all'art. 95 del Regolamento, relativo alla trattazione degli

ordini del giorno. Invece, presso la Camera, è stato soppresso (nella seduta del 24

settembre 1997) l’art. 84 del Regolamento, recante l'ordine del giorno diretto ad

impedire il passaggio all’esame degli articoli.

Così in sintesi definito l'istituto, preliminarmente occorre interrogarsi

sull'ammissibilità di richieste di votazione a scrutinio segrete riferite a proposte di

non passaggio all'esame degli articoli. Al riguardo, sotto il profilo argomentativo non

può non essere richiamata la positiva conclusione cui è giunta la giurisprudenza

parlamentare a proposito dell'analogo istituto (assimilabile per le conseguenze

procedurali) della questione pregiudiziale: in questo caso lo scrutinio segreto può

essere ammesso, qualora sia adottabile per il relativo provvedimento, trattandosi di

una votazione di per sé idonea ad incidere immediatamente sui diritti richiamati a tal

fine dalle pertinenti disposizioni dei Regolamenti (v. seduta della Camera del 25

settembre 2002, nonché i pareri della Giunta per il Regolamento della Camera del 31

luglio 1990 e del 30 settembre 1997); mentre per tali ragioni non è ammissibile per le

questioni sospensive (v. seduta della Giunta per il Regolamento sempre della Camera

del 7 marzo 2002), come non lo è per le mozioni e gli atti di indirizzo.

Per quanto concerne i precedenti specifici, può citarsi la seduta antimeridiana del

Senato del 30 aprile 1998, quando è stata messa ai voti a scrutinio segreto (e respinta)

una proposta di non passaggio all'esame degli articoli del disegno di legge n. 211,

recante l'abolizione della pena dell'ergastolo.

Una volta acclarata in generale la ricevibilità della richiesta di voto segreto riferita

allo strumento della proposta di non passaggio, va valutata la sua ammissibilità nello

specifico con riguardo al disegno di legge sulle unioni civili.

Preliminarmente a nostro avviso va precisato che si tratta di una valutazione

proprio border line, nel senso che a ben guardare non emergono conclusioni

inequivoche nell'una o nell'altra direzione.

E' conosciuta la decisione adottata sul punto nella seduta del 10 febbraio 2016 dal

Presidente del Senato, il quale ha ritenuto non ammissibile tale richiesta di votazione

(pur ritualmente presentata dal prescritto quorum di senatori), in quanto il disegno di

legge n. 2081 non rientrerebbe nella sfera di applicazione degli articoli 29, 30 e 31

della Costituzione - con riferimento ai quali l'art. 113, comma 3, Reg. Senato

consente la richiesta di voto segreto - bensì in quella dell'art. 2 della Costituzione. A

tal fine è stata opportunamente richiamata la sentenza della Corte costituzionale n.

138 del 2010, la quale per quanto ora di interesse ha chiarito che "per formazione

sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a

consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel

contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da

annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due

persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente

una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla

legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri ".

Ex adverso tale decisione in quella stessa seduta è stata fortemente contestata,

in particolare dal senatore Calderoli, il quale ha chiesto ed ottenuto che al resoconto

stenografico della seduta in corso fosse allegata una nota procedurale, in cui articolo

per articolo venivano dimostrate le assonanze normative con le analoghe disposizioni

previste per il matrimonio fra eterosessuali, concludendo nel senso che "i temi della

famiglia, della garanzia dell'unità familiare, del matrimonio, dei diritti e doveri

reciproci dei coniugi e dei genitori nei confronti dei figli, la protezione dell'infanzia e

della gioventù, ricorrono con evidenza in tutto l'articolato del disegno di legge in

esame, le cui disposizioni formano un sistema complesso e non divisibile".

Sulla base di queste pur opposte impostazioni, ognuna di per sè plausibile, il

punto decisivo risiede nella corretta interpretazione (soprattutto letterale) del

particolare inciso del comma 3 dell'art. 113 Reg. Senato, che nell'ammettere il voto

segreto su richiesta qualificata di 20 senatori fa riferimento alle deliberazioni "che

attengono" ai rapporti civili ed etico-sociali di cui agli articoli (fra gli altri) 29, 30 e

31 della Costituzione. Certamente - ai fini di quell'inevitabile esegesi endo-

comparatistica fra le disposizioni dei Regolamenti delle due Camere - non è senza

significato il differente enunciato testuale dell'art. 49, comma 1, Reg. Camera, che

invece richiama sul punto le votazioni "che incidono... sui diritti della famiglia di cui

agli articoli 29, 30 e 31, comma secondo, della Costituzione".

Da un lato, l'art. 29 Cost., nell'interpretazione consolidata della giurisprudenza

costituzionale, si riferisce esclusivamente alla famiglia naturale fondata sul

tradizionale matrimonio fra eterosessuali, mentre l'art. 2 Cost. dovrebbe

eventualmente fondare le unioni ufficializzate fra persone dello stesso sesso e le

convivenze di fatto regolamentate e stabilizzate, oggetto del disegno di legge n. 2081.

Dall'altro lato, però, l'interpretazione del Presidente Grasso potrebbe forse

essere considerata più conforme ai dettami linguistici del Regolamento della Camera,

che esplicitamente evoca i diritti della famiglia di cui all'art. 29 Cost. ed utilizza il

sintagma più stringente "delle deliberazioni che incidono". Diversamente la citata

norma del Regolamento del Senato più elasticamente fa riferimento alle disposizioni

"che attengono", fra l'altro non alla famiglia (in senso stretto) bensì ai "rapporti civili

ed etico-sociali" di cui agli articoli 29 et cetera della Costituzione.

Si potrebbe quindi sostenere che, pur dando attuazione all'art. 2 Cost., non per

questo potesse essere esclusa una "attinenza" (che è nozione diversa dalla

"incisione") del disegno di legge n. 2081 con i rapporti civili ed etico-sociali connessi

agli articoli de quibus della Costituzione.

Per completezza si ricorderà che il comma 5 dello stesso art. 113 Reg. Senato

prevede che, laddove vi siano contestazioni riguardo l'ammissibilità del voto segreto,

la questione è risolta dal Presidente, "sentita, ove lo creda, la Giunta per il

Regolamento". In questa circostanza la Giunta non è stata convocata, nonostante

richieste in tal senso da parte di alcuni senatori.

Esito finale: la proposta di non passaggio all'esame degli articoli, presentata dal

senatore Calderoli, è stata messa in votazione a scrutinio elettronico palese e respinta

nella seduta del 10 febbraio 2016. Mentre nella precedente riunione del 2 febbraio -

ma senza richieste (almeno ufficiali) di scrutinio segreto - erano state respinte le

questioni pregiudiziali.

5 - L'emendamento premissivo omnibus.

Una delle questioni centrali del dibattito procedurale intorno al disegno di legge n.

2081 è stato rappresentato dal cosiddetto "emendamento Marcucci", id est

l'emendamento 01.6000 volto a premettere all'articolo 1 un articolo aggiuntivo, il cui

comma 2 era suddiviso in nove lettere che sintetizzavano i contenuti essenziali (dei

successivi articoli) del disegno di legge. Si tratta del c.d. "emendamento premissivo

omnibus", già sperimentato una volta solo in questa legislatura ed esclusivamente

presso il Senato della Repubblica durante l'esame del disegno di legge recante la

riforma del sistema per l'elezione della Camera dei deputati (v. l'emendamento

n.01.103 presentato dal senatore Esposito ed approvato nella seduta del Senato del 21

gennaio 2015).

Nonostante le opinioni divergenti espresse nei primi commenti dottrinari (v. fra gli

altri Azzariti e Villone, decisamente contrari, nonchè Picciirilli, più possibilista), a

nostro avviso, il citato famoso emendamento Esposito era pienamente ammissibile,

come da sempre lo sono gli emendamenti aggiuntivi volti a premettere articoli

all'articolo 1. Nemmeno possono essere avanzati dubbi circa il suo contenuto

omnibus, di per sè redundans su disposizioni contenute in articoli successivi: non fa

infatti parte della tradizione parlamentare l'inammissibilità di emendamenti ad un

articolo, che abbiano riflessi (diretti o indiretti) anche su norme contenute in articoli

successivi. Questa conclusione di ammissibilità è, a maggior ragione, sostenibile,

qualora si ricordi ancora una volta la mancanza di una nozione costituzionale, ma

anche regolamentare, di articolo, per cui non si può che far ricorso all'essenziale,

ancorché risalente, definizione di Jeremy Bentham: "Per articolo si intende quella

quantità di materia che si vuole mettere ai voti nello stesso tempo".

Certamente è stato un pericoloso precedente, volto ad introdurre la possibilità di

un nuovo modo di legifererare e di legittimare una tecnica normativa irrituale, che

individua già in un art. (0)1 tutti i contenuti essenziali di un progetto di legge, i cui

successivi articoli dovranno adeguarvisi, con una mortificazione quindi del

parlamentarismo procedurale, che vive della dialettica fra articoli, emendamenti,

subemendamenti, riformulazioni, compromessi linguistici. Non sul piano formale, ma

su quello sostanziale non ha nemmeno torto Gaetano Azzariti quando ha lamentato

che in tal modo si rovescia il criterio costituzionale dell'approvazione articolo per

articolo e poi della votazione finale.

L'opportunità procedurale di emendamenti del genere è evidente. Possiamo

distinguere una pars destruens, che può comportare l'inammissibilità sopravvenuta

per preclusione (a seguito della sua eventuale approvazione) di gran parte degli

emendamenti, potendo quindi operare sia efficacemente in chiave antiostruzionistica

(in caso di un eccessivo numero di proposte emendative riferite a tutti gli articoli del

progetto di legge), come avvenuto con l'emendamento Esposito, sia allo scopo di

evitare il rischio di possibili richieste di scrutinio segreto su emendamenti

controversi, con esiti quindi incerti. E quest'ultimo appariva una delle finalità

principali dell'emendamento Marcucci.

E poi c'è una pars construens, nel senso di definire ex ante i lineamenti

essenziali di un testo (specie se complesso), determinando così una sorta di "ricatto

contenutistico" nei riguardi dei successivi articoli, i quali o avranno dei contenuti

conformi ai precetti dell'articolo premissivo (già approvato) oppure, in caso contrario,

si arresterà l'iter del disegno di legge.

Ritornando al disegno di legge sulle unioni civili, anche ai fini

dell'emendamento Marcucci ancora una volta la cronologia degli eventi ha una sua

rilevanza forse decisiva: nella seduta del 16 febbraio 2016 i senatori del Movimento

Cinquestelle hanno preannunciato che il Gruppo non avrebbe votato l'emendamento

premissivo omnibus per non dare legittimità ad un precedente reputato lesivo delle

ordinarie prerogative parlamentari, in quanto mediante tale espediente si sarebbe

conculcato il diritto di emendamento dei singoli senatori (v. anche diffusamente

l'intervento del senatore Bucarella nella seguente seduta del 25 febbraio).

Il successivo 23 febbraio,, con modalità a ben guardare un po' inusuali il

Presidente Grasso - secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa - ha annunciato

in una riunione informale della Conferenza dei Capigruppo di aver considerato

inammissibili tutti gli emendamenti premissivi all'art. 1 del disegno di legge n. 2081,

in modo da "consentire un ordinato svolgimento dei lavori ed un attento esame di tutti

gli emendamenti presentati senza effetti preclusivi". In passato gli emendamenti

premissivi sono stati "tollerati in rare occasioni come reazione proporzionata della

maggioranza rispetto ad un ostruzionismo esasperato". Essendo ancora pendenti circa

ben 500 emendamenti, resta l'interrogativo della soglia numerica di proposte

modificative, oltre la quale l'emendamento premissivo può essere considerato una

reazione proporzionata della maggioranza in chiave antiostruzionistica. Purtroppo

allo stato (dato che non vi è stata una comunicazione ufficiale all'Assemblea)

purtroppo non è dato conoscere le ragioni tecniche della valutazione negativa e

diversa rispetto al passato, probabilmente ai sensi dell'art. 100, comma 8, Reg. Sen.,

che prevede l'inammissibilità di emendamenti privi di ogni reale portata modificativa.

L'inusualità è consistita nella sede in cui tale decisione è stata annunciata, cioè

una riunione informale della Conferenza dei Capigruppo, senza fra l'altro nemmeno

una successiva ufficializzazione davanti all'Assemblea. Anche se, dato il consistente

numero di emendamenti in precedenza ritirati, sullo sfondo appare l'ipotesi di una

sorta di (innovativo istituto della) "inammissibilità sopravvenuta" dell'emendamento

premissivo, che avrebbe nel frattempo perduto l'originaria giustificazione

antiostruzionistica (ancorchè a contrario si potrebbe pure sostenere che anche i

restanti circa 500 emendamenti rappresentavano comunque un numero eccessivo e

non fisiologico).

6- Il maxi-emendamento interamente sostitutivo.

La prima questione da affrontare riguarda il fatto che il maxi-emendamento (un

articolo unico composto da 69 commi) presentato nella seduta del 24 febbraio 2016

dal Governo andava a sostituire interamente un disegno di legge di iniziativa

parlamentare. I contenuti del maxi-emendamento erano sostanzialmente identici a

quelli del disegno di legge, ma con qualche rilevante novità come l'eliminazione delle

norme sull'adozione di cui all'articolo 5 o di quelle sancenti l'obbligo di fedeltà nelle

unioni civili.Tra l'altro il termine per presentare gli emendamenti era scaduto da

tempo, ma l'Esecutivo si è avvalso della facoltà in extremis ai sensi dell'art. 100,

comma 6, del Regolamento del Senato.

Al di là di qualsiasi valutazione di merito ed a prescindere dall'inopportunità

costituzionale di una procedura del genere, tanto più se riferita ad un progetto non

dell'Esecutivo, la prassi del Senato ai fini dell'ammissibilità dei maxi-emendamenti

non ha mai fatto distinzione rispetto alla provenienza dell'iniziativa del progetto che

si propone di sostituire integralmente.

A quanto pare per la prima volta nella seduta del Senato del 22 gennaio 1985

ebbe inizio quella sorta di “voto bloccato all’italiana”, vale a dire — praeter e

secondo alcuni (autorevolmente Onida) contra la Costituzione — il combinato

disposto maxi-emendamento e questione di fiducia: in particolare, da un lato viene

presentato in Assemblea un emendamento formalmente riferito ad un solo articolo,

ma di fatto contenente l’intero testo (o gran parte) del progetto di legge; dall’altro

lato, con l’apposizione della questione di fiducia, sotto il profilo procedurale

l’emendamento diventa prioritario, viene messo in votazione, con la conseguente

preclusione — in caso di approvazione — di tutti gli altri emendamenti e

subemendamenti (e anche degli ordini del giorno presso il Senato).

Per quanto concerne i limiti contenutistici, alla Camera — del resto in

applicazione di un criterio generale — vengono espunte come inammissibili le

disposizioni aggiunte, non oggetto di previa valutazione in sede referente, mentre

sono ammissibili soppressioni rispetto al testo licenziato, così come “ampliamenti”

rispetto al testo originario, purché già esaminati dalla Commissione.

Tra l’altro le varie prassi parlamentari sono state sempre più permissive sotto i

diversi profili che possono interessare i contenuti dei maxi-emendamenti. Ad

esempio, a differenza della Camera, in Senato solo in un secondo tempo si e`

consentita la riformulazione di un maxi-emendamento onde conformarsi alle

osservazioni della Commissione bilancio. Ancora: soprattutto alla Camera,

inizialmente il Governo poteva apportare correzioni solo tecniche o formali rispetto al

testo depositato; successivamente hanno iniziato a verificarsi precedenti di correzioni

anche sostanziali. Inoltre: la prassi vuole che il maxi-emendamento corrisponda al

testo licenziato dalla Commissione; tuttavia, si sono verificati casi, pur definiti

eccezionali, di ammissione di argomenti nuovi, oppure in cui il vaglio della

corrispondenza rispetto al testo definito dalla Commissione ha avuto un carattere più

elastico. Infine: il binomio maxi-emendamento sostitutivo/questione di fiducia e`

stato applicato anche nei riguardi di progetti di legge di iniziativa parlamentare, come

ricordato dallo stesso Presidente Grasso nella seduta del Senato del seduta del Senato

del 24 febbraio 2015. La fattispecie più recente si è verificata nella riunione del

Senato del 10 dicembre 2015 con riferimento al disegno di legge sull'omicidio

stradale. Mentre nella scorsa legislatura possono citarsi i precedenti delle sedute del

Senato del 9 marzo 2010 (riguardo al ddl sul legittimo impedimento) e del 28 luglio

2011 (circa il ddl sul cosiddetto " lungo processo"):

Anche in questa circostanza sono emerse le differenze significative nelle prassi

seguite dalle due Camere in caso di posizione della fiducia su un articolo unico,

oppure su un emendamento interamente sostitutivo degli articoli o dell'articolo unico

di un disegno di legge: al Senato, dopo la sua approvazione, si intendono preclusi

anche gli ordini del giorno e (soprattutto) non si procede alla votazione finale del

progetto di legge, ritenendola assorbita dall'approvazione dell'articolo unico di cui si

compone di testo; invece alla Camera hanno comunque luogo queste due fasi ulteriori

(v. significativamente le sedute della Camera del 15, 19 e 20 dicembre 2005) .

Pertanto al Senato in maniera ancora più incisiva della Camera il maxi-emendamento

con fiducia ha una portata marcatamente "tombale" rispetto al prosieguo dell'esame.

Sono note le argomentazioni della dottrina circa la difficile compatibilità della

descritta procedura con l’art. 72, primo comma (esame prima in Commissione e poi

in Assemblea, nonché votazione articolo per articolo), oppure con l’esigenza

costituzionale della chiarezza delle disposizioni e della certezza del diritto.

Comunque sia, al momento la tecnica dei maxi-emendamenti sostitutivi, per prassi

consolidata, sembra ammessa solo ed esclusivamente in considerazione del fatto che

su di essi il Governo preannuncia la posizione della questione di fiducia.

Di un certo interesse appaiono i rilievi espressi con un richiamo al

Regolamento nella citata seduta del 24 febbraio dal senatore Calderoli, il quale - pur

prendendo atto della prassi del Senato favorevole all'ammissibilità di maxi-

emendamenti interamente sostitutivi - ha sottolineato la particolare criticità di un

maxi-emendamento sì interamente sostitutivo, ma riferito ad un progetto di legge

che non proviene dall'altro ramo del Parlamento e che non è stato esaminato in sede

referente; il quale quindi non ha avuto in precedenza un'adeguata trattazione di

merito.

La seconda delle due notazioni merita una certa attenzione: in genere si è sempre

giustificato il maxi-emendamento interamente sostitutivo, in quanto di contenuto

sostanzialmente corrispondente al testo licenziato dalla Commissione referente, per

cui in tal modo il ruolo del Parlamento non sarebbe stato mortificato. In questa

circostanza, invece, a quanto pare per la prima volta, si sono legati gli effetti della

"calendarizzazione d'imperio" (che ha impedito la conclusione, e secondo alcuni

anche l'inizio della sede referente) con quelli del maxi-emendamento interamente

sostitutivo con fiducia.

7- La posizione della questione di fiducia.

Prescindendo da qualsiasi considerazione circa le oscillazioni che hanno condotto

dalla "libertà di coscienza" invocata inizialmente per i senatori del Gruppo del PD

all'apposizione della questione di fiducia sull'emendamento interamente sostitutivo, è

troppo noto per dover essere qui ripetuto il vantaggio procedurale così conseguito,

mediante la priorità nella votazione e la conseguente (all'approvazione della

questione di fiducia) preclusione di tutti gli emendamenti e degli ordini del giorno.

Sotto il profilo formale l'art. 161, comma 4, Reg. Sen., non pone certo problemi di

materia, non trattandosi evidentemente né di modifiche regolamentari né di questioni

relative al funzionamento interno del Senato. Infatti, non vi sono state contestazioni

sul punto.

Probabilmente diverso sarebbe stato l'approccio presso la Camera dei deputati,

sulla base del combinato disposto degli articoli 116, comma 4, e 49, comma 1, del

Regolamento, nel senso che la questione di fiducia non può essere posta sugli

argomenti per i quali il Regolamento "prescrive" il voto segreto. Si sarebbe potuto

svolgere un dibattito - e forse ciò avverrà quando in quel ramo del Parlamento sarà

esaminato il disegno di legge sulle unioni civili - simile a quello verificatosi durante

l'esame del disegno di legge elettorale cosiddetto Italicum.

A prescindere dall'ulteriore problema circa la riconducibilità o meno

dell'argomento all'art. 29 Cost. (esclusa, come abbiamo visto, dal Presidente del

Senato proprio ai fini dell'ammissibilità del voto segreto), in proposito non si può non

rilevare che - essendo rimasto sempre lo stesso il quarto comma dell'art. 116 Reg.

Cam., benché forse avrebbe dovuto essere coordinato con la nuova formulazione

dell'art. 49 Reg. Cam. sul voto segreto - sulla base dei precedenti univoci della

Camera dei deputati adottati sin dal 1990 (vale a dire immediatamente dopo

l'abolizione dell'obbligatorietà del voto segreto sul voto finale di un progetto di legge,

approvata il 13 ottobre 1988) quella disposizione è stata sempre interpretata nel

senso che non può essere posta la questione di fiducia solo nel caso in cui il

Regolamento imponga il voto segreto e non anche quando lo renda semplicemente

richiedibile ai sensi dell'art. 49.

Infine, certamente sul piano dell'opportunità costituzionale e politica viene da

chiedersi se sia del tutto corretto da parte del Governo porre la questione di fiducia in

una materia del genere, che ha visto dividersi la stessa opinione pubblica oltrechè

trasversalmente gli schieramenti in Parlamento. Ma questa evidentemente è una

valutazione decisamente extra-giuridica e come tale da non trattare in questa sede.

8 - Considerazioni conclusive

Il clima crepuscolare, che sta caratterizzando inevitabilmente il Senato della

Repubblica all'appropinquarsi della possibile entrata in vigore di una riforma

costituzionale che ne attenua ruolo, funzioni e forse posizione costituzionale, si

accompagna ad una patologica e datata debolezza delle procedure, che a dire il vero

riguarda anche l'altro ramo del Parlamento.

Sullo sfondo viene in evidenza il "transessualismo" dei Regolamenti del 1971,

nati storicamente e finalizzati funzionalmente per compensare nelle Camere la c.d.

conventio ad excludendum e per supplire mediante innovative procedure di "co-

governo" parlamentare l'allora bipolarismo imperfetto (per dirla alla Giorgio Galli).

Le ormai numerosissime modifiche testuali ai Regolamenti parlamentari hanno

rappresentato un fattore delegittimante, anche perché accompagnate dall'espandersi di

prassi e di convenzioni derogatorie o comunque praeter i Regolamenti stessi. A ben

guardare, a partire dalla prima metà degli anni Novanta, il diritto parlamentare nel

nostro Paese sembra attraversare una fase particolare, quasi "emergenziale",

caratterizzata da tendenze decostruttive rispetto alle statuizioni positive dei

Regolamenti parlamentari generali; tendenze che sono andate via via accentuandosi

nelle ultime legislature ed hanno esaltato maxime la caratteristica di "diritto mobile "

tipica di questo ramo giuridico, se non ne hanno innovato la natura nel senso di una

specie di "diritto senza norme" (per parafrasare l'antica connotazione del diritto

sindacale). Tali tendenze decostruttive si sono alimentate soprattutto delle

convenzioni incidenter tantum, dei pareri delle Giunte per il Regolamento, delle

deliberazioni derogatorie dell’Ufficio di Presidenza e/o della Conferenza dei

Capigruppo,. delle decisioni "che non costituiscono precedente", delle innovazioni

interpretative delle Presidenze, delle eccezionali deroghe manipolative delle

disposizioni scritte per via ermeneutica , delle norme (desunte) praeter le fonti note e

così` via.

Resta da chiedersi se questo sia il modello più funzionale in un sistema politico

non più consociativo e se sia altresì quello più rispondente ad una legislazione

elettorale fondata sul premio di maggioranza.

Per tutte queste ragioni nel tempo quegli stessi Regolamenti del 1971 -

formalmente rimasti in vigore nel loro complesso - hanno "virato" impostazione ed

hanno cercato (con successo) di assecondare le esigenze di sempre più rapida

governabilità dell'Esecutivo, questa volta supplendo alle mancate riforme

costituzionali ed agli stessi guasti dell'età del maggioritario e dell'italico "bipolarismo

conflittuale" (secondo la fortunata formula di Lippolis e di Pitruzzella).

E il "transessualismo" dei Regolamenti parlamentari del 1971 si è legato

all'inerzia della giurisprudenza costituzionale, da un lato ferma ad una esegesi

riduttiva della stessa sentenza, pur prudente, della Corte costituzionale n. 9 del 1959

e dall'altro lato non ancora matura a tal punto da superare i limiti epocali di un

sindacato di costituzionalità che esclude la diretta parametricità dei Regolamenti

parlamentari stessi, nonostante la formula dell'articolo 64 della Costituzione, se si

esclude una timida speranza (pur andata poi disattesa) in tal senso derivante

dall'impostazione (così diffusa nell'affermare il rispetto delle disposizioni

regolamentari) della parte motivazionale della sentenza 26 luglio 1995, n. 391.

Ormai è tardi. I Regolamenti del 1971 avrebbero dovuto essere riscritti

integralmente da tempo, ed invece si è preferito insistere con una sorta di

"accanimento terapeutico", evidenziato dal metodo della diffuse e reiterate

modificazioni testuali (fino all'ipotesi di "semi-riscrittura" totale ma novellistica della

Presidente Boldrini), dal carattere sempre più regressivo del diritto parlamentare

scritto e infine dall'inverarsi di procedure "creative" sempre e comunque

teleologicamente dirette a ridurre il potere decisionale delle Camere.

Non sembri senza significato - al di là delle problematiche formali circa la sua

ammissibilità - il ricorso presentato dal senatore Giovanardi e da altri 50 senatori alla

Corte costituzionale. Si tratta di un'iniziativa pretoria, la prima del genere, di per sè

emblematica delle difficoltà di tenuta dello stesso diritto parlamentare ricordate in

premessa. Probabilmente, pur in un'epoca di profondi contrasti politico-ideologici,

nel contesto assembleare e consociativo, partitico (nel senso tradizionale del termine)

e proporzionalistico caratterizzante il sistema politico fino al 1992, un'iniziativa del

genere nemmeno sarebbe stata ipotizzabile, essendo il Parlamento stesso - proprio per

quell'assetto sistemico più che per la sua posizione "centrale" nell'ordinamento

costituzionale - la condivisa e riconosciuta sede naturale per la risoluzione

soprattutto politica delle controversie di diritto parlamentare, come dimostra di per sè

anche la stessa assenza nei Regolamenti del 1971 di qualsiasi disposizione dedicata

all'argomento, a parte la facoltà (e nemmeno l'obbligo) per i Presidenti di convocare

la Giunta per il Regolamento.

Il ricorso alla Corte costituzionale di una frazione qualificata del plenum

assembleare del Senato - per menomazione delle prerogative dei singoli senatori

mediante la violazione degli articoli 1, secondo comma, 67, 71 e 72 Cost. e per falsa

applicazione degli articoli 22, 28, 29, 31, 34, 40, 43, 44, 45, 51, 53 e 55 del

Regolamento del Senato - si fa notare non solo per la consistenza delle

contrapposizioni sostanziali intorno al disegno di legge sulle unioni civili, ma

soprattutto per il malessere procedurale che vi è sotteso e che forse è comprensibile,

in quanto il combinarsi (per la prima volta) degli effetti di due procedure derogatorie

(mancata conclusione della sede referente e maxi-emendamento) ha comportato che,

alla fine, fra esame in Commissione e quello in Assemblea del disegno di legge n.

2081 (approvato dal Senato e trasmesso alla Camera) su una materia rilevante come

le unioni civili e le convivenze di fatto vi è stato un solo voto sul testo, quello sul full

maxi-emendamento interamente sostitutivo e "fiduciato".

Sarà ora degno di interesse attendere i primi commenti della dottrina sui

contenuti del ricorso, in particolare circa il lamentato mancato rispetto dell'articolo

72, primo comma, prima parte, della Costituzione a causa dell'iscrizione all'ordine del

giorno dell'Assemblea di un disegno di legge formalmente mai discusso

specificamente in Commissione referente e circa l'elusione sostanziale dell'articolo

87, quarto comma, della Costituzione in caso di maxi-emendamento del Governo

interamente sostitutivo di un disegno di legge di iniziativa parlamentare senza la

previa autorizzazione del Presidente della Repubblica (questione sempre sollevata dal

senatore Giovanardi, che si aggiunge alla tradizionale contestazione sul mancato

rispetto dell'esame articolo per articolo ex articolo 72, primo comma, seconda parte,

della Costituzione).

Infine, sia consentita una considerazione sulla qualità della legislazione legata

al maxi-emendamento intermente sostitutivo, che ha concentrato i 23 articoli (con le

relative rubriche) del disegno di legge n. 2081 in un articolo unico con 69 commi

(senza quindi nessun titoletto riferito alle varie materie trattate). Come noto, non si

tratta certamente di una novità, ed il record è rappresentato dalla legge (di stabilità) n.

266 del 2006, recante un articolo unico composto da 1446 commi. Tuttavia, mentre in

genere le leggi - di difficile lettura in quanto frutto di maxi-emendamenti e quindi, ad

esempio, senza rubriche - hanno riguardato materie economiche e finanziarie oppure

giuridiche in senso stretto, rivolte soprattutto agli operatori, nel caso invece del testo

sulle unioni civili è evidente che si tratta di contenuti che riguardano la vita della

generalità dei cittadini, di qualsiasi orientamento sessuale, i quali avranno

presumibilmente interesse e curiosità di conoscere direttamente i dettami di una

disciplina così innovativa rispetto al passato.

Ma, qualora il disegno di legge licenziato dal Senato diventasse legge, il testo

sarà di difficile lettura, nelle sue varie partizioni, essendo composto da un articolo

unico con 69 commi, sovente fra l'altro redatti mediante periodi molto lunghi e con

una struttura sintattica particolarmente complessa. Ebbene: proprio in una fattispecie

di questo tipo sarebbe quanto mai opportuno che fosse applicato l'art. 10, comma 3-

bis, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092,

solitamente trascurato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (ed invece

raccomandato in genere dal Comitato per la legislazione della Camera: v. di recente

la seduta del 2 luglio 2015), il quale prevede - nelle situazioni di particolare

complessità a causa dell'eccessivo numero di commi - la pubblicazione in Gazzetta

Ufficiale di un testo corredato da sintetiche note a margine, stampate in modo

caratteristico, che indichino in modo sommario il contenuto di singoli commi o di

gruppi di essi. Sarebbe un piccolo, ma significativo, rimedio ex post rispetto ai danni

manifesti alla qualità della legislazione ed alla stessa leggibilità di un testo normativo,

inevitabilmente dovuti agli stress procedurali da maxi-emendamento.