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alla scoperta dei sapori d’Italia gustare DE Alla corte del RE La Toscana di Biella Agricoltura biodinamica Asparago in cucina 01 GIUGNO 2015

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Massimo Spigaroli ci racconta il Culatello di Zibello, sulle colline della Brianza tra vino e piatti della tradizione, dieta mediterranea, agricoltura biodinamica, Gattinara

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alla scoperta dei sapori d’ItaliagustareDE

Alla corte del RE

La Toscana di Biella Agricoltura biodinamica Asparago in cucina01

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Scrivere un editoriale per il primo numero di un nuovo progetto

non è mai semplice a cause delle troppe idee che frullano in testa.

Parto raccontando l’idea che ha fatto nascere De-gustare o dai

contenuti di questo numero uno, faccio riflessioni su quello che

ci circonda o analizzo un singolo fatto? Di sicuro il foglio non

rimarrà bianco!

Quello che state guardando è il primo numero di un nuovo

progetto nato per raccontare i sapori di questo Paese, dove

incontreremo i protagonisti che lavorano per realizzare una

componente importante del cosiddetto stile di vita italiano che

tanto ci viene invidiato e copiato nel mondo. Il cibo e il vino

rappresentano la chiave di volta di un modo di vivere e di porsi

nei confronti degli altri. Uno stile di vita che nasce nei campi e

arriva nei ristoranti, nei bar e nelle strutture dedicate all’ospitalità

in generale.

Dietro a un semplice piatto di pasta con il pomodoro o a un

bicchiere di vino c’è una storia, anzi, ci sono diverse storie che

parlano di sudore, di sacrifici, di idee, di felicità e di successi.

Storie di uomini e donne che non sono balzati agli onori della

cronaca in modo diretto, ma i loro prodotti l’hanno fatto per

loro. Storie di questa Italia che non ha mai abbandonato la

sua vocazione contadina e imprenditoriale, neanche quando si

parlava di delocalizzazione e globalizzazione come la soluzioni a

tutti i mali del mondo.

De-gustare, però, non vuole solo raccontare delle belle storie, ma

vuole essere anche una brava guida che spiega e cerca di far

capire i pregi e i difetti dei prodotti che si incontreranno in questo

viaggio. Perché capire cosa c’è dietro a un vino, a un formaggio

o a un salume (l’elenco sarebbe quasi infinito) è importante per

acquistare il prodotto migliore per le proprie esigenze e capire così

anche come apprezzarlo al meglio.

Il viaggio incomincia adesso, tra le pagine di questa rivista

digitale e il sito. Tutto lo staff di De-gustare si augura che questo

viaggio sia piacevole e ricco di emozionanti scoperte.

Inizia il viaggioito

riale

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Riccardo CarnevaliCuoco, imprendito-re, appassionato di storia della cucina e di prodotti tipici. In cucina da sempre. Per lui cucinare significa non smet-tere mai di studiare la materia prima e le tecniche. Si può innovare solo quan-do si è compreso appieno tutto quel che già è stato cre-ato. Titolare di una società di catering di Pavia, l’Ars Con-vivium, dove tiene i suoi corsi di cucina e pioniere nell’uso dei social e del web per raccontare la cuci-na e i suoi prodotti. È segretario della Unione Cuochi della Lombardia (Fede-razione Italiana Cuochi).

Franco CavalleriPratica il giornali-smo da quasi venti anni e ha da sempre la grande passio-ne di raccontare storie e persone. Il suo obiettivo è far percepire al lettore cosa c’è oltre il pro-fumo di un piatto o di un bicchiere di vino. La storia, la tradizione, il duro lavoro, la capacità di scoprire, provare, innovare, il rapporto ed il legame con un territorio e la sua gente nel corso dei secoli se non dei mil-lenni, in una ricetta che combina aspetti culturali, economici e sociali. Ha lascia-to il mondo della tecnologia perché il mondo è un grande racconto da scrivere ogni giorno.

hanno contribuito a questo numero

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contributi

Daniele ColomboGiornalista pro-fessionista dal 2002, una laurea in Lettere Moderne conseguita presso l’Università degli Studi di Milano, tesi su «Guido Piovene viaggiatore», è da sempre appassio-nato ai temi legati al food per i quali ha scritto articoli anche per le pagine milanesi del «Gior-nale» e per altre pubblicazioni e pe-riodici free press. È stato redattore di 19 guide turistiche ed enogastronomiche (collana «Viaggio attraverso le regioni italiane») distribuite in allegato ad alcuni quotidiani nazionali. Ama sorseggiare un «Anghelu Ruju» contemplando il mare di Alghero.

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Filippo ParmigianiDocente univer-sitario, enologo, consulente e ap-passionato di vino e buona cucina. Ha prodotto il primo Ice-Wine italiano e si occupa sin dal 1997 di agricoltura biologica e biodina-mica. Collabora con università e molte aziende del settore vinicolo. Negli anni ha contribuito a for-mare innumerevoli sommelier, sia Ais sia Fisar. Ha pubbli-cato diversi lavori e articoli sul vino e sull’enologia. Ha in-segnato alla facoltà di Agraria dell’Uni-versità di Parma storia dell’enologia, dove ha tenuto an-che seminari sulla psicologia della de-gustazione. È anche responsabile didat-tico del settore vino per la Boscolo Etoile Accademy.

Donatella PolvaraDopo la laurea in Biologia, indirizzo Fisiopatologico, si dedica alle analisi di laboratorio seguen-do in particolare il settore della batte-riologia e parassito-logia umana. Ha fre-quentato la Scuola di Nutrizione Olistica a Milano, dove ha approfondito i temi legati a una corretta alimentazione e al miglioramento della qualità della vita. Il detto «Siamo ciò che mangiamo» è una corretta sintesi del suo pensiero, dove al centro ci deve essere la persona e i suoi problemi. Ama la montagna e lo sport: la vita atti-va è per lei lo stru-mento migliore per garantire un buon equilibrio psico-fisi-co alla persona.

Valerio SistiSommelier profes-sionista abilitato con diplomi Ais. e Fisar.Per Fisar oggi è Direttore di Corso e Docente nei corsi di formazione per aspiranti Sommelier. È anche membro per le commissioni d’esame per l’abili-tazione al ruolo.Nel 2012 viene eletto Consigliere Nazio-nale per la stessa Federazione, ed è oggi membro della Giunta Esecutiva Nazionale.È stato prima ristora-tore e poi Sommelier presso l’enoteca del-la rivista ”Viaggi del Gusto”.Oggi è docente e consulente libero professionista. Ha predisposto il pri-mo corso sul vini italiano ufficiale in Bielorussia, per il quale ha scritto inte-gralmente il libro di testo. co

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01giugno 2015 sommario

brianza orientaleLa Costa, un angolo di tranquillità tra vino e piatti della tradizione 16

Un’azienda agricola e un agriturismo gestiti della famiglia Crippa e nati dalla ristrutturazione di vecchie cascine. Oggi è una sorta di borgo del benessere, un luogo magico e incantato, ideale per chi vuole rigenerarsi. Siamo nel cuore del Parco del Curone, in Brianza, a mezz’ora da Milano, ma pare un pezzo di Toscana. Il tutto condito da pizzico di “mistero” archeologico.

i tesori della bassaAlla corte del Re del Culatello di Zibello 24

Intervista a Massimo Spigaroli, eclettico chef che ha proseguito nella centenaria attività di famiglia e oggi produce uno dei migliori salumi della norcineria italiana. Nelle cantine dell’Antica Corte Pallavicina da oltre 700 anni stagionano queste prelibatezze realizzate oggi come allora: con passione e cura artigianale. Queste eccellenze emiliano-romagnole si potranno assaggiare, assieme al meglio di questa regione, in un viaggio che partirà da Rimini ad agosto per raggiungere a settembre l’Expo di Milano

anno I - numero 1; giugno 2015

Direttore responsabile: Maurizio Ferrari

Direttore editoriale: Gaetano Di Blasio

Hanno collaborato a questo numero: Riccardo Carnevali, Franco Cavalleri, Daniele Colombo, Filippo Parmigiani, Donatella Polvara, Valerio Sisti

Grafica: Aimone Bolliger

Sede: via Marco Aurelio, 8 - 20127 Milanotel 0236580441 - fax 0236580444 www.de-gustare.it - [email protected] Editore: Reportec srl, via Gian Galeazzo 2 - 20136 Milano Iscrizione al tribunale di Milano n° n.119 del 16/4/2015Tutti i diritti sono riservati; Tutti i marchi sono registrati e di proprietà delle relative società

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gustare DE01 7gustare DE01 7

sommarioincontro con lo chefContaminazioni Africane 32

Nato sotto la Madonnina da genitori maliani, Thoera Keita incarna due mondi

che si esprimono nella sua cucina che nasce in Africa, ma viene proposta al Balafon di Milano, dove ingredienti italiani incontrano le ricette del paese d’origine della sua famiglia

ricetteL’asparago 36Salsa bianca per gli asparagi 37Risotto all’emulsione di asparagi mantecato con crescenza 38

Raviolone con tuorlo 40

rubriche

news Palazzo di Varignana coccola anima e corpo 8

Salumi, la crisi non frena la richiesta di gustosità italiane 10

nutrizione 12Dieta Mediterranea: ricchi sapori per prevenire le malattie e allungare la vita

enologo 14Alla scoperta dell’agricoltura biodinamica

sommelier 41Il Gattinara e la sua storia

i vini 44L’eccellenza fuori dai luoghi comuni

filosofando in cucina 46La cucina è amore, Psiche e… condivisione

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XPalazzo di Varignana coccola anima e corpo

rendere un festival di musica classica, unire un ambiente

rilassante e amalgamare il tutto con una raffinata offerta di cibo. Alla fine si ottiene la seconda edizio-ne del Varignana Music Festival, l’iniziativa cul-turale di Palazzo di Vari-gnana Resort & SPA che si trova immerso in un parco di venti ettari, sulle colline di Bologna. Il festival andrà in scena dal 10 al 18 luglio ed è diretto da Bruni Borsari della Fondazione Musica Insieme di Bologna, in cartellone ci saranno nomi

di spicco della musica classica mondiale. Suone-ranno al Varigna-na Music Festival il violoncellista Mario Brunello, il compositore e pia-nista Ezio Bosso, il violinista e di-rettore d’orchestra

Julian Rachlin, il pianista Itamar Golan, la pianista giapponese Natsuko Inoue, il pianista Alexander Ro-manovsky e il Quartetto di Cremona.Brunello e l’ex Presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky sa-ranno protagonisti di una ‘conversazione-concerto’ sull’interpretazione di una sonata di Schubert e della Costituzione Italiana. «Palazzo di Varignana Re-sort & Spa – spiega Vittorio Morelli, General Manager di Palazzo Varignana Re-sort & SPA – punta su una proposta culturale di alto profilo, in grado di rispon-

dere alle esigenze di una clientela attenta e sofisti-cata. Il Varignana Music Festival è un’occasione uni-ca per promuovere e far conoscere il resort, puntando a dare ulteriore va-lore al territorio».Gli ospiti di Palaz-zo di Varignana, inoltre, potranno godere di tutto quello che la struttura mette a loro disposizione. Prima del concerto si possono rilas-sare all’interno della Spa VarSana di 1.800 mq e poi cenare assieme agli artisti nel ri-

storante gourmet durante una cena a loro dedicata. Potranno così ap-prezzare le bontà di un territorio con una ricca tradizio-ne gastronomica e godere della compagnia dei musicisti. Sono disponibili diversi pacchetti che prevedono sia il pernottamento a Palazzo di Vari-gnana sia l’acces-so solo al concerto e cena con gli artisti. Per mag-giori informazioni si può andare sul sito del festival www.varignana-musicfestival.it. ❉

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news

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nutrizione10 news

XSalumi, la crisi non frena la richiesta di gustosità italiane

rescono anche nel 2014 le esportazioni italiane di salumi. Secondo l’Istat lo scorso anno

l’export ha registrato un +4,7 per cen-to per quantità e un fatturato record di 1,260 miliardi di euro (+6,3 per cen-to). Il saldo commerciale del settore ha registrato un +5,8 per cento per ol-tre 1 miliardo di euro. Un ottimo risul-tato nonostante la crisi economica e l’aumento delle barriere non tariffarie in alcuni Paesi (Usa e Russia).«Dal 2008, nonostante gli effetti della crisi economica sull’economia reale e sui consumi, l’export di salumi ha sempre mostrato trend di crescita, rappresentando spesso la principa-le forza trainante del settore» – ha commentato Nicola Levoni, presiden-te di Assica (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria) – L’obiettivo dell’industria alimentare da qui al 2020 è quello di portare il valore delle esportazioni a quo-ta 50 miliardi, così come previsto dal piano strategico del governo. È questo un impegno che condividiamo». Va ricordato che nel comparto salumi l’Italia vanta diverse eccellenze con 38 riconoscimenti di tutela europei: Prosciut-to crudo di Parma Dop, Prosciutto di San Daniele Dop, Sala-me di Varzi Dop, Culatello di Zibello Dop, Lardo di Colonna-ta Igp, Bresaola della Valtellina Igp, solo per fare qualche

c

esempio.Qualità e sicurez-za sono indubbia-mente i plus. Ma le nuove tabelle nutrizionali rea-lizzate grazie alle analisi effettuate sui salumi italiani dall’Istituto na-

zionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran, ora Cra), hanno evidenziato nell’ultimo decen-nio circa il netto miglioramento delle qualità

nutrizionali dei prodotti, grazie a maggiori apporti vitaminici e cali di sodio, coleste-rolo e conservanti. La minor presenza di sale tocca in particolare il 47 per cento nella Coppa arrotolata e il 36 per cento nel Prosciutto di San Daniele e il 31 per cento nel Pro-sciutto crudo di Parma. Per quanto riguarda i lipidi, la diminuzione è del 48 per cento nel prosciutto cot-to (e il colesterolo scende del 22 per cento ), del 34 per cento nel Cotechi-no di Modena Igp e del 24 per cento nella Bresaola della Valtellina Igp. Buone notizie anche sul fronte dei nitrati. Lo Speck Alto Adi-ge Igp, a titolo di esempio, ha fatto registrare un calo dell’87 per cento di nitrati in meno rispetto al passa-to. D.C. ❉

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nutrizione12 Rubrica a cura di Donatella Polvara, biologa nutrizionista • [email protected] - www.microbio.it

Xdieta Mediterranea: ricchi saPori Per PreVenire Malattie e allungare la Vita

estate sta arrivan-do con i suoi colori caldi: il blu del mare

che si perde all’orizzonte e sconfina con il turchese del cielo. Il tepore del sole che rende miti le temperature del Mediterraneo. L’Italia un paese ricco di bellezza, ma non solo, ha dalla sua tanti prodotti da mettere in tavola: Il pesce, la pasta, le verdure, i legumi, la frutta, l’olio extravergine d’oliva. Ingredienti fondamentali, dai sapori unici e ricercati, che sono alla base della dieta Mediterranea. Una ricchezza ineguagliabile, sempre apprezzata dai turisti che ogni anno visi-tano lo stivale e premiata

nel 2010 dall’Unesco come “Patrimonio culturale im-materiale per l’umanità”. Importante risorsa di un Paese dalla posizione geo-grafica favorevole, legato alla tradizione dell’ospita-lità, alla cura nel dettaglio e all’amore per la cucina. La dieta Mediterranea fu descritta per la prima volta da uno studioso americano, Ancel Key, il formulatore della Razione K, che con-dusse uno studio durato parecchi anni, lo “Seven Countries Study”, grazie al quale dimostrò come un regime alimentare bilan-ciato, ricco di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, fosse alla base per miglio-rare l’aspettativa di vita e le condizioni generali di salute.I ricercatori che continua-rono le ricerche a favore della dieta Mediterranea dimostrarono negli anni come Il pesce azzurro, il

tonno, le sarde e le sardine così come i ceci e le fave unite alla pasta, sarebbero alla base dell’ali-mentazione per tenere lontana la produzione di eicosanoidi cattivi come le prostaglandine, molecole in gra-do di provocare l’infiammazione e l’invecchiamento precoce dei tes-suti. Gli ingredienti tipici d’innumere-voli ricette della nostra tradizione sarebbero anche la fonte d’impor-tanti elementi nutrizionali che preserverebbero dalle malattie del benessere e della sedentarietà come l’ictus, l’infarto, la cardiopatia ische-mica, il diabete, l’ipercolesterole-mia e il Parkin-son. Il consiglio, che giunge dai labo-ratori universitari e dai luminari del settore, è quello

di lasciarsi pur sedurre dalle ten-tazioni di un buon piatto cucinato con tanto amore come i Perciatelli al sugo di bacca-là, le melanzane ripiene con tonno, o ancora le sar-de con cipolla e pomodorini, la pasta e ceci o la minestra di fave e cicoria selvatica, perché contribu-irebbero a intro-durre le giuste dosi di quei ma-cronutrienti tanto salutari.Molti scienziati, infatti, supportano la tesi che il cibo abbia la potenzia-lità di un farmaco e una volta meta-bolizzato andreb-be a modulare la risposta ormonale con effetti che sarebbero centi-naia di volte più potenti rispetto a una tradizionale medicina.Insulina, glucago-ne e cortisolo sono fra i principali ormoni modulati dai macronutrien-

l’

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nutrizione

ti presenti nel cibo e la composizione tipica dei piatti mediterranei, con le giuste dosi di carboidrati, proteine e grassi, sarebbe vincente per mantenere costante i livelli di tali ormoni. Una dieta così preserverebbe dall’obesità e dallo stress ossidativo cellulare, tenendo lontane le malattie del benessere e della sedentarietà. L’equilibrio biormonale non sarebbe il solo effetto benefico della dieta tanto amata, ma in questi piatti sarebbe racchiuso il se-greto della longevità tanto sognata.Il ruolo degli acidi grassiL’acido alfa linoleico e l’acido linoleico entrano sulla tavola degli Italiani grazie al salmone, allo sgombro, alle acciughe, alle sarde, ai ceci e alle lenticchie e contribuiscono a tenere alti i livelli i livel-li di sostanze che bloccano i processi infiammatori.L’aspettativa di vita, inol-tre, viene migliorata grazie all’assunzione quotidiana di omega3 e omega6.Questi elementi sono essenziali perché l’orga-nismo non è in grado di assemblarli e dunque è necessario introdurli con l’alimentazione. Questi

acidi grassi polinsaturi sono molecole benefiche perché dotate di un doppio legame che li rende più fluidi rispetto agli acidi grassi saturi e per questo più digeribili.Le loro peculiari caratteri-stiche li rendono i mattoni essenziali per la costruzio-ne di membrane cellulari forti, sane e vitali. Sono dei potenti antiossidanti, anti-infiammatori e promuovo-no l’azione anti-invecchia-mento dell’organismo.I piatti tipici delle regioni del Sud, in particolare, sarebbero anche ricchi di Acido Folico, Vitamine F, Vitamina E, Vitamina A, Acido Ascorbico. Sono tutti elementi in grado di favori-re la vitalità e il benessere delle cellule del nostro organismo, prevengono l’invecchiamento e il deca-dimento dei tessuti .La dieta Mediterranea è

dunque un pa-trimonio da sal-vaguardare e da trasmettere ai gio-vani, per migliora-re le loro abitudini di vita e prevenire così patologie legate all’attuale modo di vivere che ci ha resi tutti un po’ più sedentari. Questo Paese può offrire tanto grazie alla proprie tradi-zioni, delle quali la dieta Mediter-ranea ne fa parte, e può essere visto con un punto di riferimento per il turismo enogastro-nomico mondiale.Durante Expo 2015, inoltre, sarà dedicata un’intera giornata alla die-ta Mediterranea, dove i principali

ricercatori ed esperti interna-zionali nel settore si confronteranno nel progetto “Me-Diet Expo 2015” allo scopo di va-lorizzare questo patrimonio e stu-diare un modello ottimale di svilup-po.La dieta Mediter-ranea può essere un punto di par-tenza per favorire e incoraggiare una ripresa eco-nomica, ideale per difendere stili di vita salutari partendo dalla consapevolezza del piacere di se-dersi a tavola per mangiare in modo sano come inse-gna la tradizione Italiana. ❉

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gustareDE 0114 Rubrica a cura di Filippo Parmigiani

alla scoPerta della agricoltura biodinaMica

l’agricoltura biodina-mica viene definita nelle sue linee es-

senziali nel 1924 da Rudolf Steiner, filosofo austriaco, in risposta a un gruppo di agricoltori tedeschi che cercavano una valida al-ternativa all’introduzione della chimica in agricoltu-ra. Alcune delle pratiche alternative suggerite re-stano ancora oggi simbolo di una tecnica di conduzio-ne che nella sua filosofia ha in realtà radici ben più antiche.Il concetto che muove tutto è quello del naturale equi-librio fra le diverse forme di vita in natura, l’adatta-bilità delle specie al terri-torio. L’intervento umano non deve forzare questo equilibrio, ma inserirsi armonicamente sfruttando le conoscenze per produrre al meglio senza stravol-gere il sistema. L’accosta-mento della produzione

biodinamica alla produzione biolo-gica, il più delle volte intesa come estremizzazione di quest’ultima, è pratica comune ma senza alcun fondamento: la biodinamica è una filosofia di

produzione radicale, il bio-logico è figlio di una serie di circostanze miste fra aiuti economici e ricerca nel passato delle soluzioni a problemi attuali. Alla fine degli anni settanta, la sensibilizzazione degli agricoltori a una maggior tutela dell’ambiente passa attraverso due step fon-damentali, il primo detto scarso impatto ambientale, che prevede una drastica riduzione dei presidi chi-mici in agricoltura, e favo-risce la presa di coscienza dell’importanza di tutelare tanto la produzione quanto l’ambiente; il secondo della conduzione biologica, che a differenza della prima esclude l’uso di tutte quel-le sostanze che non siano di origine naturale. Qui iniziano le contraddizioni, da quella ambientale che vede l’utilizzo di sostanze sì naturali (il rame) ma altamente inquinanti, a

quelle di metodo, affermando la sto-ricità di un meto-do come elemento probante la sua bontà: è naturale e si è sempre fatto quindi va bene. La biodinami-ca, invece, basa la sua filosofia sull’equilibrio e sulla spontanea adattabilità delle colture all’am-biente, escluden-do forzature e interventi esterni condizionanti; l’applicazione in

campo di questa filosofia porta alla conduzione minimale delle colture, dove la scelta dei terreni e del clima domina sulla scelta delle cultivar, con una serie di attenzioni a volte maniacali che regolano i tempi delle ope-razioni; ogni in-tervento non deve essere invasivo, non deve arrecare “disturbo” al si-stema, non deve creare i presuppo-

enologo

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enologo

vacca che deve aver avuto almeno un vitello da riem-pire di letame e seppellire per migliorare la fertilità del suolo, quando razional-mente basterebbe parlare di apporti di azoto e di calcio di origine animale, consigliando di mescolare resti di macellazione al normale letame, e preoc-cupandosi di limitare l’uso di sostanze naturali ma ritenute oggi pericolose, a fronte di sostanze di sintesi ma meno residuali, per ar-rivare alla valorizzazione delle biodiversità gestite dalla flora batterica dei ter-reni che vedono proprio nel

rame il peggior nemico. Recenti studi a carattere storico-agronomi-co mettono in luce una preoccupante correlazione fra l’uso di poltiglia bordolese e l’az-zeramento delle autodifese batteri-che delle colture. Ultima conside-razione è sull’ap-plicazione della biodinamica in cantina, dove non esiste un vero disciplinare di produzione se non un riferimento alla produzione biologica; in re-altà come diceva un grande eno-logo francese, una grande uva raccolta e lasciata a se stessa proba-bilmente darà ori-gine a un grande vino; l’unico ruolo dell’enologo è di limitare i danni del probabilmen-te. L’uva prodotta con la filosofia del biodinamico rien-tra a pieno titolo nella categoria delle grandi uve,

il vino prodotto dovrebbe solo es-sere seguito con tutte le attenzio-ni per evitare di dover intervenire con le tecniche dell’enologia tra-dizionale, finendo per adattare il po-tenziale del vino a protocolli stan-dardizzati visivi e gusto- olfattivi; l’uso dei solfiti e dei suoi surrogati ne è l’esempio più facile. Un percorso pro-duttivo che l’eno-logia degli ultimi trent’anni conside-ra rischioso e dif-ficilmente spendi-bile sui mercati di massa ma che sta coinvolgendo sem-pre più produttori considerati “alter-nativi, anarchici, veri,....”e attirando l’attenzione della sommellerie e dei degustatori, primo step verso la comunicazione al consumatore finale e alla con-seguente legitti-mazione commer-ciale. ❉

sti per un successivo inter-vento di rimedio: il taglio dell’erba con il terreno pe-sante favorisce uno schiac-ciamento innaturale, me-glio ritardarlo di qualche giorno e avere la vigna con l’erba alta che dover poi intervenire con una vangatura... L’applicazione della biodinamica ricalca invece nella maggioranza dei casi le direttive di Stei-ner, cadendo nella stes-sa contraddizione di chi adotta il biologico; i prin-cipi illustrati ai primi del novecento sanno oggi di coreografica stregoneria, come nel caso del corno di

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A soli 40 minuti da Milano non ci si aspet-ta di di trovare un angolo di Toscana. È

un gioiello collinare, poco distante dal Lago di Lecco, che si estende per 2.700 ettari e in-teressa undici comuni: il Parco regionale di Montevecchia e della Valle del Curone nella Brianza orientale. Dal 1983 è un’area protetta e parte del suo territorio è d’interesse Comu-nitario e tutelato dall’Unione Europea. Oggi questo polmone verde vuole ergersi a collina dei sapori. Le cascine abbandonate, in seguito al declino dell’attività agricola, rivivono come agriturismi e ristoranti che fanno cucina del territorio. Giovani aziende sperimentano coltivazioni biologiche e biodi-namiche, si dedicano all’apicoltura. I versanti collinari più soleggiati, e allo stesso tempo

La Costa: un angolo di tranquillità tra vino e piatti della tradizione

riparati dai venti, diventano terreno ideale per la coltivazione di piante officinali come il rosmarino, ingrediente fondamentale del tradizionale risotto, sorta di biglietto da vi-sita culinario del posto. Il ritorno a lavorare sulle antiche colline ter-razzate, il clima ideale caratterizzato da forti escursioni termiche sono poi alla base della rinascita della produzione di vini profumati che erano già rinomati nell’Ottocento e ci-tati da Stendhal nel «Voyage dans la Brian-za». Dopo che la fillossera colpì le vigne tra il 1860 e 1870, la produzione di questi vini ha rischiato di sparire per sempre. «La coltura della vite – ha confermato il di-rettore del Parco, Michele Cereda – da alcuni decenni è in forte ripresa e a contribuire a

gustareDE 01Brianza orientale16

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17di Daniele Colombo

questa svolta è stata l’istituzione dell’ente Parco e la sua progettualità che ha dato sicurezza ai viticoltori. Oggi quest’area è la più importante nella produzione vitivi-nicola della provincia di Lecco. Molte sono aziende giovani». I numeri dicono che nel Parco ci sono una decina di aziende vitivinicole attive, affian-cate da 15 agriturismi, 16 aziende agricole dove si possono effettuare acquisti di pro-dotti tipici e una ventina di ristoranti. Uno dei migliori esempi di rimodellamento del territorio, con gusto e rispetto per il paesaggio, vede protagonista un’azienda a conduzione familiare, quella della famiglia Crippa. Nel 1992 Giordano Crippa, geome-tra brianzolo di Perego, decide di far rivivere

Cascina Scarpata, edificio che risale alla fine del Settecento, come parte di un borgo ris-trutturato per l’accoglienza agrituristica. Oggi l’intero complesso è una sorta di oasi del benessere, un autentico rifugio rigene-rante che sprigiona bellezza ed eleganza, ideale per chi vuole lasciarsi alle spalle la metropoli. Un luogo magico e incantato, si-lente, protetto da un anfiteatro verde, cos-tituito da due cascine trasformate in risto-ranti che fanno cucina del territorio, Cascina Scarpata e Cascina Galbusera Nera, alloggi di charme ricavati da un’altra vicina cascina, Cascina Costa, e un vigneto che produce uve da cui nascono i vini firmati La Costa.

Un’azienda agricola e un agriturismo gestiti della

famiglia Crippa e nati dalla ristrutturazione di vecchie

cascine. Oggi è una sorta di borgo del benessere, un luogo

magico e incantato, ideale per chi vuole rigenerarsi. Siamo nel

cuore del Parco del Curone, in Brianza, a mezz’ora da Milano,

ma pare un pezzo di Toscana. Il tutto condito da pizzico di

“mistero” archeologico.

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Brianza orientale18

Dalla Brianza alla Borgogna al… Giappone – Incontriamo la titolare, Claudia Crippa, di ritorno dal Vinitaly. Tocca a lei oggi gestire l’azienda con l’aiuto della sorella Clara, che si occupa dei cavalli, dei genitori, che ancora danno una mano, e di una quindicina di gio-vani collaboratori che costituiscono lo staff. «Siamo tutti giovani – ha dichiarato Claudia – io ho 39 anni e sono la più vecchia. Era il 1992 quando mio padre ha impiantato il primo ettaro di vigneto, come hobby: da sempre aveva la passione per il vino. Il territorio era abbandonato da quarant’anni. Ha combat-tuto una guerra santa contro i rovi: ricordo le tante domeniche trascorse a estirpare le sterpaglie. Ma ne è valsa la pena. Il luogo ha storicità. Cascina Costa è della fine del Set-tecento, Cascina Scarpata e Galbusera della metà del Seicento. La documentazione dice che erano di proprietà dell’ospedale Fate-benefratelli di Milano, poi passarono a pri-vati. Abbiamo trovato piante isolate che tes-timoniano l’antica coltura della vite, come la Borgognina che era in voga nell’Ottocento. I contadini del posto vendevano, infatti, le primizie locali a Milano, taccole, piselli, ma non solo, e riportavano piante di vite. Per dieci anni abbiamo investito nella ristruttu-razione dei fabbricati e nell’impianto dei vi-gneti. Oggi ne ricaviamo i frutti e vantiamo un fatturato annuo di circa 900 mila euro. I nostri vini hanno un mercato di destinazione che non è solo locale ma si spinge agli Usa, Giappone e Belgio».

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Fare TrekkIng lUngo glI 11 SenTIerI Del Parco, Tra naTUra, arTe e archeologIaIl Parco regionale di Montevecchia e della Valle del curone è ciò che rimane di un bosco secolare e offre svariati motivi di interesse: naturalistico, in primis. la zona era abitata 60 mila anni fa dall’uomo di neanderthal e alcuni reperti dicono che era il più an-tico insediamento umano della lombardia. lo stesso nome curone, un torrente che taglia il Parco, secon-do alcune ipotesi potrebbe essere d’origine etrusca. Due colonne con iscrizioni in alfabeto ligure-etrusco, del resto, sono state rinvenute nell’area, a conferma dell’eccezionalità di questi luoghi abitati anche in epoca preromana. I plus sono i prati magri, zone un tempo coltivate o dedite al pascolo che tornano oggi a trasformarsi in bosco e ospitano specie floreali particolari, come l’orchidea selvatica e diverse va-rietà di farfalle. habitat raro è poi quello del bosco umido, dove cresce l’ontano nero, il pioppo nero, il ciliegio e alcuni salici e dove trovano casa anfibi come la rana di lataste. Quindi le sorgenti pietrifi-canti, un fenomeno particolare che si verifica con la formazione di roccia porosa per la precipitazione del calcare di cui sono ricche le acque sorgive. È l’am-biente ideale per il gambero di fiume e la salaman-dra. la variegata fauna del Parco comprende molte specie avicole tra cui l’upupa, uccello per errore considerato notturno da Ugo Foscolo nei «Sepolcri» («… e uscir del teschio, ove fuggia la luna, l’úpupa, e svolazzar su per le croci sparse per la funerëa campagna…» – ndr). Ma l’area è interessante anche dal punto di vista geologico, archeologico, artistico, una perla è l’oratorio di San Bernardo, a Montevec-chia alta, che conserva pregevoli affreschi cin-quecenteschi, e dell’architettura rurale. Ben undici percorsi sono stati ideati per passeggiare tra le principali bellezze e attrazioni. Mappe e documen-tazione si possono richiedere alla sede del Parco, a Montevecchia, località Butto, 1, tel. 039.9930384. Il centro multimediale è «un’eccellenza», garantisce il direttore Michele cereda ed è visitabile anche di domenica dalle 15 alle 18. oggi questi tracciati sono in corso di valorizzazione grazie a un finanziamento della regione lombardia all’interno del progetto d’investimenti per l’expo, come ci ha confermato lo stesso direttore.

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Claudia ha abbandonato gli studi d’ingegneria edile per continuare l’opera del padre da quando aveva 21 anni. Poi ha frequentato l’università, corso di laurea in Viticoltura ed Eno-logia, senza però terminarla, perché, in perfetto stile brian-zolo, «c’era sempre troppo da fare». «Volevo fare l’architetto da quando avevo otto anni – ha proseguito Claudia – mai avrei pensato di occuparmi di vino e agriturismo. Per necessità ho dovuto farmi sul campo, conoscere le esperienze vi-tivinicole di diverse aziende e cantine anche all’estero e sono stata in Borgogna». Per seguire il reparto vino Claudia si avvale di un enologo, di un laureato in Agraria oltre

a collaboratori esterni. «Abbiamo un’idea dell’agricoltura bucolica e naïf – ha conti-nuato – A causa della crisi economica, molti giovani tornano a lavorare la terra pensando che sia facile. Ma oggi occorre tecnica e tec-nologia. Se un ragazzo vuole intraprendere questa professione deve sapere che ci vuole concretezza e preparazione».

Il kebab di pecora brianzola e la sauna nel bosco – Chi viene in questi posti lo fa per rige-nerarsi, ammirare le bellezze della natura, godere dell’ele-ganza del posto e gustare le specialità culinarie. Il legame col territorio fa da collante. «Gli ospiti sono vari – ha affer-mato Claudia – In estate ab-biamo clienti che arrivano dal Nord Europa. Ci sono le cop-piette in fuga romantica, chi viene per fare una castagnata, il buongustaio, l’amante dei

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vini. L’escursione termica in questa zona, da metà agosto in avanti, è di circa 12-14 gradi, il che rende i nostri vini particolarmente pro-fumati. Abbiamo puntato per i bianchi su Chardonnay, Pinot Bianco e Manzoni Bianco (incrocio tra Riesling Renano e Pinot Bianco – ndr), la riscoperta del Verdese, che è au-toctono, e il Riesling Renano. Per i rossi, invece, su Pinot Nero e Mer-lot. Per quanto riguarda la risto-razione la base è sempre la cucina del territorio declinata però in due modi, innovativo alla Cas-cina Scarpata e più tradizionale

DoVe SI TroVal’azienda agricola e agriturismo la costa si trova a Valletta Brianza, il nuovo comune che nasce dalla fusione di Perego e rovagnate, in provincia di lecco. la si raggiunge dalla statale 342 como-Bergamo seguendo le indicazioni per Perego e quindi agriturismo la costa.

glI alloggIla cascina la costa dispone di otto confortevoli appartamenti per due o quattro persone. arredati in stile rustico elegante, dispongono anche di una piccola cucina oltre a camera, soggiorno e bagno. Si può dormire anche per una sola notte al costo medio di 90-120 euro. la colazione, compresa nel prezzo, è lasciata nella camera degli ospiti sotto forma di cesto comprendente varie leccornie, succhi di frutta, torte, marmellate, tutte rigorosamente fatte in casa.

la cUcIna InnoVaTIVa Dell’agrITUrISMola filosofia è tradizione e innovazione. I piatti della cascina Scarpata provengono dalla cucina brianzola, ma sono reinterpretati con fantasia e vengono accompagnati dai vini di produzione propria. le ricette sono preparate con materie prime locali fornite da produttori d’eccellenza rispettando la stagionalità. Si può optare per menù di carne, di pesce di lago o vegetariano. Da provare: l’agnello di pecora brianzola, arrostito o alla brace, il risotto con le ortiche ed erbe spontanee come il tarassaco o l’erba selene e i ristretti con bacche di rosa canina utilizzati come accompagnamento. Il ristorante, che è associato Slow cooking, ha circa 15-20 coperti. Menù intorno ai 45 euro, vini inclusi. È aperto il giovedì e il venerdì a cena, il sabato e domenica a pranzo e a cena.

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alla Cascina Galbusera. Da noi si può provare anche il kebab di pecora brianzola. Tutte le settimane, inoltre, abbiamo un piatto con l’agnello perché vogliamo diffondere l’abitu-dine che non lo si debba mangiare solo a Pas-qua. La filosofia che ci ispira è che vogliamo in primis mantenere la serenità del posto. Sembra un po’ contraddittorio, ma vogliamo dosare il turismo, perché altrimenti si per-derebbe l’incanto di questi luoghi. Stiamo comunque portando avanti nuovi progetti, per dare ancora maggiore fas-cino, come quello di una sauna

nel bosco, sempre che l’ente Parco lo permetta».

Brindare al chiar di luna sulle «pi-

ramidi» nel giorno del solstizio – Un capitolo a sé è quello dei misteri del

posto. Il ter-reno, sdruccio-

lo, è quello dell’ar-c h e o as t r o n o m ia ,

la cUcIna TraDIzIonale Dell’agrITUrISMoPresso la vicina cascina galbusera nera, poco distante da cascina Scarpata e raggiungibile in auto dalla frazione Monte di rovagnate, si degusta la classica cucina tradizionale brianzola: cassoeula, risotto con lo zafferano e con la luganega, minestra d’orzo, carne di maiale, faraona, ma anche pesce, come il missoltino di lago o il gambero di fiume di Iseo. I coperti sono una cinquantina, il menù è intorno ai 30-35 euro, vini esclusi, l’apertura è sabato e domenica, pranzo e cena. Viene anche utilizzata per banchetti, matrimoni ed eventi aziendali. ed è frequentata anche per le «merende brianzole» dal mercoledì alla domenica, dalle 11 alle 18.30, a base di degustazione di formaggi e salumi accompagnati dai vini prodotti nella cantina della stessa cascina galbusera nera.

scienza che combina gli studi astronomici a quelli archeologici. Vincenzo Di Gregorio, un architetto siciliano che da tempo vive a Montevecchia, ne ha indagato i risvolti arcani tanto da ipotizzare che tre colline del Parco, in realtà rocciose sotto lo strato superficiale, fossero state modellate in epoca preistorica, intorno al quarto millennio avanti Cristo, da un’antica civiltà, e ben prima dei terraz-zamenti medievali, per farle diventare delle

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Brianza orientale22

piramidi per scopi astronomico-religiosi («Il mistero delle piramidi lombarde», Fermento Editore – ndr). Un modello replicato succes-sivamente nella piana di Giza, la necropoli egizia, dove l’allineamento delle piramidi rispecchierebbe quelle delle stelle centrali della costellazione di Orione. Servizi televisivi hanno ripercorso i luoghi cer-cando di carpirne i segreti. «Lo scorso anno – fa sapere Claudia – è arrivata pure una troupe del National Geographic. Dalla Cascina Costa si ammirano due delle tre “piramidi” lombarde, che si raggiungono a piedi in una ventina di minuti, la collina Belvedere e quella dei Cipressi. Il 21 giugno, nel giorno del sols-tizio d’estate, accompagnati da guardie ecologiche, organi-zziamo un brindisi al chiaro di luna sulla Collina Belvedere che era utilizzata dai Celti come osser-vatorio astronomico, qui è stata anche ritrovata una lastra di pie-tra calcarea d’epoca preromana. Degustiamo calici di Solesta, un vino affinato in tini d’acacia che gli conferiscono un gusto mielato. È un’esperienza magica che voglia-mo replicare». Non è raro, allora, imbattersi da queste parti in curiosi cammina-tori alla ricerca di arcane energie

la ProDUzIone VInIcola l’azienda dispone di 12 ettari, 8 in produzione e 4 in allevamento. la resa annua è di circa 40 mila bottiglie che saliranno a 55 mila nel 2016. la gamma dei vini, che rientrano nel marchio Igt “Terre lariane”, comprende tre rossi, San giobbe, Serìz e Brigante rosso, e due bianchi, Solesta e Brigante Bianco. l’azienda fa parte del consorzio di Tutela dei

vini delle “Terre lariane”, che comprende una ventina di associati, mira anche a innalzare la produzione qualitativa del luogo. Tanto che dal 2012 ha aperto nella vicina rovagnate una cantina che vinifica per piccoli viticoltori. oggi già una decina di giovani aziende la utilizza. le etichette dei vini dell’azienda la costa richiamano toponimi (il Brigante è un vino allegro, il nome deriva dal celtico brig, alture, da cui Brianza), usi (Serìz deriva dal serizzo è una pietra nobile) e tradizioni locali. Il culto di giobbe (da cui il rosso San giobbe) era per esempio radicato in Brianza, come testimoniano i tanti affreschi votivi a lui dedicati nelle cascine e corti rurali: uno è visibile alla cascina galbusera nera. giobbe era il protettore della bachicoltura, all’origine dell’industria tessile lombarda e della fortuna economica del territorio. Viene raffigurato come un anziano asceta vicino a un gelso.

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eScUrSIonI nel Parco In MoUnTaIn BIke con gUIDe SPecIalIzzaTe l’agriturismo mette a disposizione mountain bike per escursioni nel Parco con guide specializzate. Sui ronchi naturali vengono allevati cavalli della razza Quarter horse apprezzata per docilità e intelligenza. Il mini-allevamento consta di una ventina di cavalli utilizzati a fini riproduttivi e per gare di reining, una disciplina equestre che nasce tra i cowboy negli Usa.

rigeneratrici nell’incanto di un anfiteatro na-turale dove il sole fa da padrone. O in sem-plici osservatori armati di binocolo che, dalla terrazza panoramica del Santuario della Beata Vergine del Carmelo, a Montevecchia, cercano di spingere la vista fino a intravedere la sagoma del Monte Rosa in quelle giornate di tumultuosi venti di phön che lasciano un cielo azzurro cartolina. ❉

gustare DE01 Brianza orientale 23

azienda agricola la costa, via curone 15,

Valletta Brianza tel. 039 5312218,

www.la-costa.it, [email protected]

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I tesori della Bassa24 gustareDE 01

Intervista a Massimo Spigaroli, eclettico chef che ha proseguito nella centenaria attività di famiglia e oggi produce uno dei migliori salumi della norcineria italiana. Nelle cantine dell’Antica Corte Pallavicina da oltre 700 anni stagionano queste prelibatezze realizzate oggi come allora: con passione e cura artigianale. Queste eccellenze emiliano-romagnole si potranno assaggiare, assieme al meglio di questa regione, in un viaggio che partirà da Rimini ad agosto per raggiungere a settembre l’Expo di Milano

Incontrare a casa sua Massimo Spigaroli è come fare un viag-

gio nel tempo. Questo eclettico chef è famoso per la sua cucina, ma anche per i salumi, e in par-ticolare per il Culatello di Zibello, di cui è uno dei maggiori produttori e recentemente è stato eletto presidente del Consorzio di Tutela. La sua casa è il relais e ristorante Antica Corte Palla-

Alla corte del REvicina a Polesine Parmense, sull’ar-gine del Po, in provincia di Parma, dove assieme al fratello Luciano gestisce questa struttura di origine del 1300 che comprende anche lo storico ristorante Il Cavallino Bianco

e l’azienda agricola. Queste terre sono state rese famose da Giuseppe Verdi, che avrà un ruolo importante nella fa-miglia Spigaroli, e da Mario Soldati nel

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suo “Viaggio lungo la valle del Po”. L’occasione per incontrarlo ci è stata data dalla quarta edizione di “Cen-tomani, di questa terra” organizzato dall’associazione CheftoChef, di cui Spigaroli è presidente, e che si è te-nuta a fine aprile all’interno dell’An-

del Culatello di Zibellotica Corte Pallavicina. In questo evento erano presenti molti chef dell’Emilia Romagna, accompagnati da produt-tori che rappresentano l’eccellenza enogastronomica del territorio e qui il Culatello di Zibello ha fatto gli onori di casa.

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L’abbiamo intervistato in un momento di pausa all’interno di una giornata ricca di appuntamenti, dove tavole rotonde, convegni, degustazioni gui-date e show cooking si sono alternati con continuità.

Perché il Culatello è diventato uno dei prodotti più importanti nel pa-norama della norcineria italiana?

«Il Culatello è diventato importante perché è un prodotto importante, perché esprime dei sapori e dei pro-fumi caratteristici e ben definiti, rap-presenta in sé un intero territorio, ma più di tutto, quando lo si mette in bocca parla da solo. Perché il cibo deve essere raccontato, il cibo così diventa un’arte, ma se poi se questo cibo manca di personalità crolla tutto. Qui abbiamo il più bel prodotto della salumeria italiana, forse mondiale».

La cucina e i prodotti italiani sono ai ver-tici della gastronomia mondiale e sono spes-so vittime di contraffa-zioni e operazioni truffaldine nei confronti del consumatore, il Cula-tello è immune o ne è anche lui vittima?

«Noi lo chiamiamo con nome e cognome: Culatello di Zibel-lo. Purtroppo come tutti i più grandi prodotti italiani, oggi ci

sono in giro tantissime contraffazioni e questo proprio non va bene. Non va bene perché se questo processo non viene fermato al più presto c’è il ris-

Il cUlaTello DI zIBellola leggenda di questo salume si perde nelle nebbie della valle del Po, lungo gli argini del fiume dove sorgevano i luoghi destinati alla sua conservazione e maturazione. Si racconta che nel lontano 1332, durante il banchetto di nozze di andrea dei conti rossi e giovanna dei conti Sanviale, dei culatelli fossero presenti come dono agli sposi. In un’altra occasione i Pallavicino avevano omaggiato di questo prelibato salume galeazzo Maria Sforza Duca di Milano. Queste sono solo testimonianze arrivate a noi senza documentazione attendibile. la prima testimonianza ufficiale del culatello si trova in un documento del 1735 del comune di Parma. gabriele D’annunzio scambiava opinioni sul culatello con lo scultore renato Brozzi, di questo prodotto di nicchia che affonda le sue radici nella cultura contadina della Bassa, dove ancora oggi la tradizione mantiene inalterata la qualità di questo inimitabile prodotto. Il culatello di zibello, prima di diventare un prodotto capace di raggiungere un vasto gruppo di consumatori, era un prodotto di nicchia, destinato a poche famiglie del territorio, tra queste c’era quella di giuseppe Verdi al quale lo produceva il bisnonno di Massimo Spigaroli. ammantato dalla leggenda della

sua bontà era l’emblema di un territorio circoscritto che ne garantiva, e ne garantisce, la tipicità .nasce, come per il prosciutto, dalla coscia del maiale, in questo caso però non viene

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chio di perdere questo importante pro-dotto e che il consumatore non riesca ad avere più il senso di quello che è il vero Culatello di Zibello».

Come si sposa il futuro di questo prelibato salume con quello del territorio?

«Il futuro di questo prodotto è impor-tante, ma soprattutto è importante mantenere lo stile e la qualità di questo salume. Se il territorio continuerà a

lavorata intera, ma il “maselen” la pulisce dalla cotenna, toglie il femore e parte del grasso, e libera il muscolo in modo da poterlo insaccare nella vescica del maiale e legarlo nella classica forma a pera che caratterizza il culatello, ma prima viene lavorato con del vino, Spigaroli utilizza il bianco Fortana del Taro, e aglio che svolgono una azione antibatterica. Poi lo si massaggia con sale e pepe, e viene lasciato riposare per pochi giorni e infine insaccato. Tutte queste operazioni vengono eseguite ancora a mano nei mesi freddi, da ottobre a febbraio. la stagionatura fatta nelle cantine deve durare, da disciplinare, almeno 10 mesi, così da sfruttare al meglio le caratteristiche climatiche del territorio che vedono il corretto alternarsi di periodi secchi e umidi. Meglio però gustare prodotti che siano stagionati un po’ di più, dai 15 ai 18 mesi è l’ideale, saranno ancora più dolci e morbidi.nel 1996 il culatello di zibello ottiene il riconoscimento della Dop (Denominazione d’origine Protetta) a livello europeo. la produzione annua certificata Dop di questo salume è di circa 60 mila pezzi. nel 2009 nasce consorzio di Tutela del culatello di zibello Dop per promuovere e difendere questo prodotto che viene realizzato nella fascia di terra che comprende i comuni di Busseto, Polesine Parmense, zibello, Soragna, roccabianca, San Secondo, Sissa e colorno tutte in provincia di Parma. attualmente ci sono 22 produttori iscritti al consorzio e devono garantire una lavorazione interamente manuale e l’utilizzo di cosce di suini provenienti da allevamenti dell’emilia romagna e della lombardia.

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cheFTocheF VerSo exPocinquanta famosi chef partiranno da rimini in direzione Milano con l’obiettivo di portare all’expo le eccellenze dell’emilia romagna. non faranno tutti la stessa strada, alcuni risaliranno il Po, altri seguiranno la Via emilia e un altro gruppo passerà sugli appenini. Un viaggio che incomincerà ad agosto e terminerà a settembre, ma che in realtà è incominciato durante la manifestazione “centomani, di questa terra” che si è tenuta a fine aprile. con questo progetto l’associazione CheftoChef vuole creare un percorso dove educazione alimentare, conoscenza della biodiversità e qualità sostenibile diventano il fil rouge che legherà tra loro le 100 città che saranno toccate durante questo viaggio. a ogni tappa un cuoco realizzerà i suoi piatti e gli avventori, siano essi turisti o persone del luogo, potranno conoscere e approfondire la gastronomia di questa regione. Il percorso d’acqua sarà fatto con dei battelli attrezzati per ospitare sino a 100 persone per cene d’autore, capaci di accogliere, come un’arca, esempi di biodiversità enogastronomica del territorio emiliano-romagnolo. la via di terra, invece, sarà caratterizzata dalla presenza di camioncini attrezzati per la preparazione e la consumazione del cibo e da simpatici carrettini montati su biciclette. Qui sarà protagonista il cibo di strada e ogni sera ci sarà una festa collettiva dove si potranno assaggiare i migliori prodotti regionali. l’ultimo percorso, invece, avrà come protagonisti i rifugi e i borghi dell’appennino, dove si potrà scoprire la cultura gastronomica della montagna rivista e rielaborata dagli chef dell’associazione. Tutti i percorsi finiranno a Piacenza e gli chef che hanno preso parte a questo viaggio raggiungeranno l’expo dove continueranno a presentare la cucina e i prodotti dell’emilia romagna in concomitanza dello spazio concesso a questa regione dentro l’esposizione Universale.

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esprimere un prodotto di qualità e il prodotto riuscirà a mantenere un ter-ritorio di qualità allora il Culatello di Zibello avrà un radioso futuro. Ma se un domani territorio e prodotto doves-sero iniziare a dividersi allora finireb-bero uno e l’altro».

La famiglia Spigaroli è uno dei nomi più importanti nel mondo del Culatello di Zibello. Quando è ini-ziata la vostra storia?

«Quella che conosciamo, perché con

molte probabilità è iniziata molto pri-ma. Il mio bisnonno conduceva in mez-zadria il podere Piantador, un podere del Maestro Giuseppe Verdi e in inverno faceva quello che facevano tanti a quel tempo, faceva il “masalen”, il norcino in italiano. Produceva i salumi per il Maestro con una maestria da tutti ri-conosciuta. Se però è vero quello che si dice, che i mestieri venivano eredi-tati sin dal medioevo, questo lavoro noi l’abbiamo sempre fatto. Di sicuro dal 1820 in avantii».

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La manifestazione “Centomani, di questa terra” di CheftoChef può essere un biglietto da visita per questo territorio, un evento da ri-petere anche nel futuro?

«Sicuramente! C’è da sottolineare che anche questa manifestazione se fosse fatta in un altro territorio, dove non c’è un prodotto importante come il Culatello, non avrebbe avuto questo successo. Qui oggi sono rappresentati tanti saperi, c’è il sapere dei cuochi dell’Emilia Romagna e c’è il sapere dei produttori delle eccellenze di questa regione. Tutti insieme per far crescere l’immagine della Emilia Romagna e per valorizzare tutti i nostri prodotti più importanti. E poi ci sono i saperi di tutte queste persone che si sono unite per rivalutare e rilanciare il comparto enogastronomico, quello delle pro-duzioni agricole e tutto quello che è il senso del buono che caratterizza da sempre queste regione».

Una domanda personale, oltre al Culatello di Zibello, quale altro prodotto di questo territorio le piace particolarmente?

«Diciamo che il Culatello ha avuto più fortuna degli altri, è più raccontabile: ha questo profumo accattivante, ha questo fascino della cantina, dei sot-terranei dove ci sono queste muffe nobili e dove entra la nebbia del Po. Sembra un prodotto nato da una fa-vola, la favola di questa terra. Ma qui [sorride mentre risponde – ndr], in ge-nerale, c’è un senso del buono che è un senso del buono a ogni livello. Quin-di non solo Culatello, ma tutto quello che esce da questa territorio. Una terra dove il troppo sale non piace e il dolce e il morbido la fan da padrone. Questi sono i riferimenti addirittura dei bambini: il dolce e il morbido. Alla fine questo modo di essere ci avvantag-gia nella scelta di quello che ci piace mangiare».

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gustare DE01 I tesori della Bassa 31

Massimo Spigaroli ci ha guidato den-tro questa terra, dove del maiale non si butta via niente e tutto diventa prelibatezza. Dove a ogni angolo si incontra un prodotto che merita di essere assaggiato, per questo all’ul-tima domanda, in realtà, ha risposto con un sorriso che gli ha illuminato il volto. Perché qui si parla e si gusta il Parmigiano Reggiano, la Spalla cotta di San Secondo, la Coppa di Parma, il Prosciutto Crudo, la pasta ripiena e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Lungo le rive del Po, dove Giovanni Guareschi veniva a man-giare, era un assiduo frequentatore del ristorante il Cavallino Bianco, il genio e la tradizione in cucina hanno ancora tante storie da raccontare. Basta farsi trovare pronti. ❉

anTIca corTe PallaVIcInal’antica corte Pallavicina relais si trova a Polensine Parmense, in provincia di Parma, sulle rive del Po. la si raggiunge attraversando le strade caratteristiche della Bassa, uscendo dall’autostrada, a seconda della direzione di provenienza, a Fiorenzuola, Fidenza o castelveltro Piacentino e seguendo le indicazioni per Polesine Parmense. Si prosegue in mezzo alle campagne emiliane sino a raggiungere il paese. In questa area si trova anche il ristorante Il cavallino Bianco, locale dove si servono solo piatti realizzati con i prodotti della azienda agricola che appartiene alla famiglia Spigaroli. nel relais vengono organizzati corsi di cucina legati ai prodotti del territorio, in particolare alla produzione di salumi e di altri prodotti di origine suina. Si può pernottare nelle accoglienti camere e immergersi nelle atmosfere della Bassa che hanno ispirato la creatività di personaggi come giovanni guareschi e giuseppe Verdi. È possibile anche visitare le cantine dove stagiona il culatello di zibello e inebriarsi dei profumi che riempiono l’aria di questa struttura.

antica corte Pallavicina, Strada Palazzo due Torri 3,

Polesine Parmensetel. 0524 936539

www.acpallavicina.com, [email protected]

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gustareDE 01Incontro con lo chef32

all’arte figurativa all’arte gastro-nomica, da Firenze a Milano. Dalla

tavolozza dei colori ai fornelli e ai mestoloni del tavolo di lavoro di una cucina. Sempre in nome della curiosità culturale.È la storia del Balafon, allo stesso tempo un ristorante, un punto di ritrovo della comu-nità maliana e africana di Milano, e il punto di partenza di un viaggio nella cultura gas-tronomica di quel grande e vuoto Paese – il Mali ha una superficie quattro volte quella dell’Italia, ma con una popolazione quattro volte inferiore. Ristoranti africani a Milano ce ne sono mol-ti, ma il Balafon, in Città Studi, si distingue per la sua storia e per la ricerca di offrire ai clienti quanto di meglio la cucina dell’Africa occidentale possa offrire, anche ‘contami-nando’ il tutto con elementi della cucina italiana.

Oggi, al “comando” dei fornelli c’è Thora Keita, che rappresenta in pieno l’idea di in-

contro culturale tra Africa e Milano che il Balafon vuole da sempre rappresentare. Fi-glio di maliani, ma è nato sotto la Madonni-na, ti accoglie e saluta con il sorriso aperto e sincero tipico delle popolazioni dell’Africa occidentale sahariana, ma mentre lo as-colti ti accorgi che le sue parole esprimono la concretezza ed il culto del lavoro fulcro della più piena milanesità. L’abbiamo incontrato a Expogate, in occa-sione si uno show cooking organizzato da Identità Golose nell’ambito di Expo 2015. Un modo per rendere visibili alcune realtà gas-tronomiche africane, asiatiche, sudameri-cane, arabe, scelte tra quelle che, per storia, capacità di integrare e combinare la cucina del loro paese con quella italiana, per qua-lità e cura degli ingredienti e dei menù, si differenziano dalla massa dei locali ‘etnici’.

La prima cosa che abbiamo chiesto a Thora è di raccontarci un po’ di storia di Balafon. Par-tendo dalla apertura, nel 1988, fatta dai suoi

nato sotto la Madonnina da genitori maliani, Thoera Keita incarna due mondi che si esprimono nella sua cucina che nasce in Africa, ma viene proposta al Balafon di Milano, dove ingredienti italiani incontrano le ricette del Paese d’origine della sua famiglia

contaminazioni

D’

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gustare DE01 33di Franco Cavalleri

genitori, in particolare il padre Buba. «Studiava e lavorava a Firenze come pittore e artista – ci racconta Thora – La città dei Medici e la tavolozza del pittore, evidente-mente, non gli bastavano, cercava qualcosa di più. Ecco quindi il trasferimento a Milano, il passaggio dall’arte figurativa all’arte gas-tronomica, l’apertura di un locale, il Balafon appunto, che fosse allo stesso tempo un ris-torante, un punto di ritrovo della comunità maliana e africana, un luogo in cui Africa e Milano potessero incontrarsi, compiere un viaggio insieme».

E cenare al Balafon equivale davvero a com-piere un viaggio culturale. Il loro menù com-prende, difatti, solo piatti africani, anche se magari preparati con ingredienti italiani. L’in-grediente migliore, però, quello assolutamente necessario, è la curiosità da parte del cliente.«Capita di incontrare il cliente scettico – prosegue Thora – il nonno che viene portato lì dal nipote, non ha mai mangiato qualco-sa di diverso dai piatti tradizionali italiani, eppure rimane conquistato dai colori e dai profumi, dai sapori della cucina africani. La cucina che offriamo copre l’intera africa oc-cidentale, dal Senegal al Camerun. Cucinati in una maniera diversa, un po’ leggera ris-petto all’originale».

È qui che entra in gioco il fattore ‘contami-nazione’. La differenza tra i piatti africani che Balafon prepara e la loro versione orginale non

africane

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sta nell’adattarli al gusto mi-lanese e lombardo, ma in una inevitabile ‘contaminazione’ tra le due culture. Thora, come detto, è nato e cresciuto a Mi-lano, è giocoforza l’emblema di una unione, un connubio, tra due diverse tradizioni in cucina. Come ammette lui stesso.«Chiaramente – spiega Thora – come in ogni campo, ci sono cose che a livello culturale possono essere state apprese dalla cucina italiana. Come il soffritto, per esempio. Gli ingredienti possono essere diversi, perché ci troviamo in due situazioni climatiche e culturali molto diverse, ma la ricetta rimane quella».

Gli ingredienti riuscite a rice-verli dal Mali e dagli altri paesi africani?«Purtroppo Milano non può offrire un mer-cato di ingredienti maliani e africani che consenta di cucinare solo con quelli. Si tro-vano comunque altri ingredienti, simili, che possono sostituire quelli originari. Solo la carne è molto diversa: l’animale è diverso, i sistemi di allevamento e nutrizione sono di-versi, e anche la modalità di frollatura e pre-parazione per la cucina non sono le stesse. La carne, per esempio, da noi viene quasi

sempre preparata alla brace, e poi venduta sulle bancarelle lungo la strada. Qui invece la si può cucinare in padella, si possono fare brasati, e altro ancora. Cambia l’approccio».

Se venissi da voi, cosa mi consigliereste di provare?«Couscous con sugo di crema d’arachidi, il maké, tipico del Mali. Si fa con la crema d’arachidi, la carne di manzo e verdure ab-bondanti. Si prepara un leggero soffritto, a

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e molto saporito. Anzi, da noi viene mangiato con la polen-ta. Nel Mali, la cena in fami-glia vede spesso un piatto di polenta. Con la polenta ven-gono preparate anche delle palline, che poi vengono bol-lite. Gli si aggiunge yogurt, panna, profumi quali noce moscata, vaniglia, zucchero: è un piatto semplice, leggero, ma molto nutriente».

Visto che ormai siamo in piena stagione-Expo, gli abbiamo chiesto cosa si aspettano dai sei mesi dell’esposizione universale.«Sicuramente un aumento delle conoscenze da parte delle persone. Credo che ser-va un grande coordinamento tra Expo, gli operatori, i visi-tatori e la città, per rendere

visibili realtà già esistenti. Da parte nos-tra, organizzeremo o prenderemo parte ad eventi e manifestazioni legate a Expo, come questa che Identità Golose ha organizzato a Expogate, per farci conoscere». L’integrazione tra i popoli passa anche per la cucina. Due generazioni sono diventate un punto di incontro tra Italia e Africa, in un continuo scambio culturale che ha origine antiche e che coinvolge tutto il Mediterra-neo. ❉

cui si aggiunge carne di manzo. Una cottura lenta, piano piano. Si aggiunge la crema di arachidi e si lascia cuocere fino a quando la carne è morbida. Poi si serve con il classico couscous e abbondanti verdure. È un piatto da comunità, si mangia tutti insieme. Tipica-mente maliano. Dal Camerun prepariamo il saka saka, dalla Guinea il Conacry un piatto a base di una verdura a metà tra zucchine e fagiolini. Viene preparata con un sugo di pomodori, ne risulta un piatto molto buono

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ricette

Rubrica a cura dello chef Riccardo Carnevali • www.arspersonalcatering.it

L’asparago Il mio primo incontro con gli asparagi fu da picco-lo, nell’orto di famiglia. Si innalzavano in mezzo all’aiuola tronfi e verdi. Con quella testa a punta sembravano dei pennelli messi lì per poter dipin-gere con i colori di prima-vera il resto delle aiuole che a fine marzo iniziano a essere lavorate.L’asparago, infatti, come i piselli e le fave fresche, è il simbolo della rinasci-ta della bella stagione. Cime di rapa, broccoli, carciofi giungono a fine corsa. Cavoli, cavolfiori e porri iniziano a essere un ricordo. Gli asparagi verdi, bianchi, violetti e gli asparagi selvatici iniziano a far percepire il risveglio della natura dal torpore invernale. La cosa più importante è non acquistarli se la punta non è ben chiusa. I migliori asparagi di qualità extra non sono propriamente economici,

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ricette

quindi facciamo atten-zione durante l’acquisto.

Plinio il Vecchio ne esal-tava le proprietà: «Il cibo dello asparago, secondo che si dice, è utilissimo allo stomaco, e aggiun-tovi il comino caccia le infiammagioni dallo stomaco e dell’intestino colon; e rischiara anco la vista. Gli asparagi mol-lificano leggermente il corpo: giovano a’ dolori del petto e della schiena, e a’ difetti degl’interio-ri, quando son cotti col vino; non che a’ dolori de’ lombi e delle reni, been-do il seme loro a peso di tre oboli con altrettanto comino. Dettano la lus-suria, e muovono utilis-simamente l’orina, ma rodono la vescica».

con una salsa olan-dese, asparagi e uova su salsa emulsionata di tuorli, aceto e burro chiarificato.

Altra cosa sono gli aspa-ragi selvatici. Quelli li si andava a raccogliere con nonna in campagna o lungo un bel muretto a nord in giardino. Stu-pendi in una frittata, ma perfetti anche sempli-cemente sbollentati e ripassati al burro. Oggi li si trova solo in mercati importanti. Io li ho appe-na recuperati al mercato di Porta Palazzo a Tori-no, appunto nei giorni di Pasqua. Bisogna fare attenzione a eliminare quelli anneriti perché rischiano di rendere i piatti troppo amari.

ricetta n° 124 tratta da: «la scienza in cucina e l’arte di mangiar bene» di Pellegrino artusi «È una salsa da servire cogli sparagi lessati, o col cavolfiore. Burro, grammi 100. Farina, una cucchiaiata. aceto, una cucchiaiata. Un rosso d’uovo. Sale e pepe. Brodo o acqua, quanto basta Mettete prima al fuoco la farina colla metà del burro e quando avrà preso il color nocciuola versate il brodo o l’acqua a poco per volta girando il mestolo e, senza farla troppo bollire, aggiungete il resto del burro e l’aceto. Tolta dal fuoco, scioglieteci il rosso d’uovo e servitela. la sua consistenza dev’essere eguale a quella della crema fatta senza farina. Per un mazzo comune di sparagi possono bastare grammi 70 di burro colla farina e l’aceto in proporzione».

Asparagi e uovo: matrimonio di piacereIn cucina, nella loro grande semplicità gli aspa-ragi sono da sempre accoppiati a preparazioni a base d’uovo. Si possono semplicemente bollire e rosolare per poi appoggiarli su un paio d’uova all’occhio di bue, oppure possiamo impegnarci e creare una splendida maionese per accompa-gnarli, o ancora accostarli ad un uovo in camicia

Salsa bianca per gli asparagi

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IngreDIenTI Per 4 PerSone300 g asparagi n°2 spicchi d’aglio fresco qb acqua qb olio extravergineqb sale 360 g riso carnaroli1 dl pinot grigio 100 g crescenza fresca

Risotto all’emulsione di asparagi mantecato con crescenza

Fatta eccezione della parte iniziale del gambo, quella legnosa a suf-ficienza a far si che gli asparagi si ergano dritti contro le piogge ed i venti di primavera, tolta quella, dell’asparago mangiamo tutto.

Dopo aver levato la par-te finale legnosa degli asparagi, sbucciarne con un pela patate il gambo e suddividere gli aspa-ragi in cima e gambo. Legare in due mazzi, con dello spago da cucina, i gambi e a parte legare assieme le punte. In una pentola con abbondan-te acqua salata, porre le bucce di asparago, il mazzo dei gambi ed il mazzo delle punte.Le punte saranno quelle

che cuoceranno prima. I gambi verranno scolati per secondi e le bucce e l’aglio rimarranno nell’acqua di cottura che si dovrà conservare per essere utilizzata come brodo di cottura del risotto.Le punte, una volta sle-gate, saranno rosolate velocemente in un velo d’olio extravergine. I gambi, con un po’ d’ac-qua di cottura e un paio di cucciai d’olio extraver-gine vanno frullati a lun-go ottenendo una bella crema fluida.Partire con il risotto to-stando il riso per non più di 3 o 4 minuti in poco olio extravergine. Quindi sfumare con il vino bian-co. Iniziare a cuocere il riso con l’acqua di cottu-

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ricette

Pellegrino Artusi «Amo il bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata, come suol dirsi, la grazia di Dio». Così inizia “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi. Non un cuoco, ma un finanziere di fami-glia benestante vissuto tra il 1820 e il 1911.Questa pubblicazione è la bibbia della cucina italiana. Fino ad allora infatti erano pochi i ricettari di cucina regionale italiana. Anche perché l’Italia come nazione unita è tuttora ancora giovane.Il titolo suggerisce un’altra riflessione visto che si parla della cucina e del cibo come scienza e arte. Ed è proprio quello che è: “scienza” perché le tec-niche di trattamento del cibo sono una vera e propria materia scientifica, e “arte” per l’estro che da sempre caratterizza la cucina del bel Paese.Artusi, non essendo un cuoco, è andato raccogliendo quella che era la tradi-zione culinaria del nostro Paese, tramandata per lo più oralmente nelle ge-nerazioni. Le migliaia di ricette che caratterizzano la cucina italiana possono appunto essere frutto della suddivisione della nostra nazione in staterelli fino al 1861 e della tradizione orale. Le varianti della stessa ricetta possono esse-re decine (forse centinaia) e fino al secondo dopoguerra, con il boom econo-mico, non si è potuto parlare di cucina nazionalizzata. Le migrazioni dal Sud

al Nord e dall’Est all’Ovest hanno iniziato a far viaggiare le preparazioni regionali su tutto il territorio. Artusi per raccogliere le ricette ha viaggiato anche lui su e giù per lo stivale. Non si può parlare di raccolta totale di

ogni territorio, però inizia a esserci un buon numero di preparazioni sud-divise per argomenti e per ordine di portata. In oltre ci sono suggerimenti

di menu stagionali e accortezze sulla conservazione e il trattamento degli ingredienti.

Inizialmente pubblicato a proprie spese, dopo un inizio difficile, il manuale diventa poi un punto di riferimento e lo è tutt’ora con decine di editori e traduzioni e milioni di copie vendute.L’ultimo aggiornamento risale al 1911. Dopo la scomparsa di

Artusi nessuno mise mano per aggiornare le ricette ed è per que-sto che i procedimenti sono di interessante lettura, con vocaboli

arcaici come “sparagi” per asparagi o “balsamella” per bescia-mella. Riccardo Carnevali

ra (filtrato) aggiungendo anche un terzo della cre-ma. Aggiungere un altro terzo di crema dopo dieci minuti di cottura e verso fine cottura aggiungere l’ultima parte di crema frullata. Così sapore e colore della crema di asparagi resteranno inalterati. Spegnere la fiamma con risotto al dente e aggiunge-re la crescenza a cubetti e un paio di cucchiai d’olio. Servire all’onda.

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ricette

Raviolone con tuorloIl Tuorlo in Raviolo è un piatto creato allo storico Ristorante San Domeni-co di Imola, uno dei piatti simbolo di questo locale. Perfetto per un menu di più portate, è stato pensato e realizzato per stupire. La ricetta origi-nale dello chef Valentino Marcatilii prevede un condimento con burro spumeggiante e lamelle di tartufo bianco prima di servire. Per renderlo più adatto a una preparazio-ne casalinga noi consi-gliamo di servirlo su una semplice, ma elegante fonduta al Parmigiano Reggiano in grado di esaltare le consistenze e di esaltare i sapori.Per il ripieno, scottare velocemente gli spinaci in acqua salata, quindi scolarli e raffreddarli subito in acqua e ghiac-cio. Questo favorirà il

Tirare poi la sfoglia di pasta all’uovo senza in-farinarla per favorirne la successiva chiusura. Creare dei nidi di ripieno

ricotta e spinaci e por-vi in centro un tuorlo. Chiudere con altra sfoglia, coppare con coppa pasta rotondo e sigillare bene con i rebbi della forchetta.Bollire per 4 minuti circa (come si farebbe

con l’uovo alla coque) e servire sulla fonduta messa a specchio nel piatto. Quest’ultima si prepara facendo scio-gliere il Parmigiano Reggiano in latte caldo, amalgamando il tutto con una frusta. Una volta che si è formata correg-gere di sale secondo i propri gusti.

Proposto per la prima volta dallo chef Valentino Mercatilii

IngreDIenTI Per 4 raVIolonI200 g pasta all’uovo 300 g ricotta100 g spinaci cotti qb noce moscata30 g Parmigiano reggiano sale

Per la FonDUTa DI ParMIgIano reggIano200 ml di latte120 g di Parmigiano reggiano grattugiato sale

verde brillante dello spinacio. Quindi striz-zarli bene, tritarli a coltello e incorporarli alla ricotta, con una spolverata di noce moscata e un’aggiustata di sale.

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sommelier41Rubrica a cura di Valerio Sisti

il gattinara e la sua storia

gattinara è un picco-lo comune dell’Al-to Piemonte, alle

pendici del massiccio del Monte Rosa, coricato sulla costa destra del Sesia e con lo sguardo rivolto alla pianura.La sua storia è affascinan-te e legata al suo gioiello, il vino Gattinara Docg, frutto del vitigno Nebbiolo.Un gioiello vero, basti pen-sare che durante la guerra di Crimea, in un accampa-mento militare, si accese un forte dibattito su chi bevesse il miglior vino tra francesi e italiani; vennero eletti a giudice i soldati alleati inglesi. A spuntarla in questo goliardico duello furono gli italiani, grazie proprio ad una bottiglia di Gattinara (e, per dovere di cronaca, ad una di Lesso-na, altro comune dell’Alto Piemonte che cede il nome al proprio vino).Senza dubbio il personag-

gio più illustre di Gattinara visse a cavallo del 1500, ri-spondendo al nome di Mer-curino Arborio, della poten-te famiglia degli Arborio. Dapprima diplomatico e in seguito Cardinale, rivestì il prestigioso e potente ruolo di Gran Cancelliere di Car-lo V, alla corte del quale introdusse il suo vino, il Gattinara. Fu inoltre fre-quentatore delle maggiori corti europee, tra le quali, quella Sabauda e quella di Massimiliano d’Asburgo.Il centro storico di Gattinara è del 1200, per la preci-sione fu nel 1242 che il Comune di Vercelli decise la costruzione di un borgo fortificato, per irrobustire ul-teriormente le di-fese della zona, da sempre teatro di scontri tra gli eser-citi di ventura che

di li passavano per recarsi dalle provincie piemon-tesi a quelle lom-barde e viceversa. Nel nuovo borgo confluirono forza-tamente tutti gli abitanti dei picco-li centri esistenti, poi abbandonati o distrutti, e dal più grande di questi prese il nome il nuovo presidio.L’area in cui sorse Gattinara, infatti, non era priva di insediamenti in età anche mol-to antecedenti. Fin dall’epoca romana, borghi abitativi stanziali sorgevano lungo il corso del fiume Sesia, alcuni re-

perti ritrovati du-rante scavi casua-li testimoniano la presenza di un centro abitato in età imperiale.Questo lembo di terra fu crocevia di antiche strade che seguendo il percorso del Sesia s’incrociavano con quelle provenienti da Biella. Non solo i commerci tutta-via scandivano la vita quotidiana degli abitanti di queste terre; come si accennava nu-merosi furono i conflitti che videro nell’alto novarese il campo di bat-taglia. Splendida testimonianza di ciò è il ricetto di

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Ghemme, sulla sponda opposta del fiume Sesia. Anche Gattinara però vanta impor-tanti costruzioni militari; è della fine del 1100 il castello di San Lorenzo, costruito sulla collina che domina la cittadi-na presso l’omoni-ma pieve.Il periodo peggio-re per la città fu a cavallo del XVI se-colo, quando Gat-tinara subì quat-tro anni di domi-nazione francese, dal 1555 al 1559. Di qui però partì una vera e propria rinascita favorita dall’afflusso di nuovi abitanti pro-venienti dall’alto Sesia, e per Gat-tinara iniziarono due secoli di buo-na prosperità.Nel settecento un nuovo evento, di portata mondiale, modificò gli equi-libri durevoli da secoli. La domina-zione napoleonica abolì, infatti, i privilegi feudali

di cui Gattinara godeva (era zona franca) e i privile-gi di casta, in par-ticolar modo quel-li ecclesiastici.

Il GattinaraIl vino è sempre presente, proprio i vigneti furono i protagonisti infat-ti delle evoluzioni economiche di Gattinara nel ‘900. In una prima fase lo furono in nega-tivo, perché è del 1905 la terribile grandinata che distrusse buona parte dei vigneti e costrinse l’ammi-nistrazione a pun-tare su un forte piano di sviluppo industriale, per garantire lavoro agli abitanti. Di senso opposto invece quello che accade tra gli anni settanta e ottanta. Nel pieno boom industriale nazionale, Gat-tinara si trovò piegata dalla crisi dell’indu-stria locale, che chiuse molti dei

suoi stabilimenti. Ecco che sono di nuovo le vigne a riassorbire buona parte degli esube-ri industriali. La produzione, ormai totalmente votata alla qualità, fa il resto, permetten-do a Gattinara di continuare a ge-nerare economia e lavoro.Il territorio di pro-

duzione di vino a denominazione Gattinara Docg è il solo comune omonimo e nem-meno per tutta la sua estensione. Il Gattinara Docg è dunque il vino principe e sostan-zialmente unico di questo piccolo lembo di terra in provincia di Ver-celli.

È la collina che domina Gatti-nara, a ovest del Comune stesso, facendone una cinta naturale, che ospita tutti i suoi vigneti. Pen-dii molto leggeri e altitudini assai modeste, quella condizione di me-dia collina però, così preziosa per l’uva Nebbiolo. Le

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sommelier

viti sono ordinate come in splendidi giardini, vigne-ti chiamati per nome quasi come fossero figli, pro-prio a testimonia-re l’importanza che gli abitanti attribuiscono al prezioso frutto del-la loro terra. No-nostante la ristret-tezza dell’area, la composizione dei

terreni è varia, di formazione more-nica a seguito del ritirarsi del ghiac-ciaio del Rosa, ha come minimo co-mun denominato-re fra tutte le sua vigne una grande ricchezza di mi-nerali e di ferro, di qui la grande mineralità e strut-tura dei suoi vini, condizioni eccel-

lenti che permet-tono lunghi invec-chiamenti in bot-tiglia e regalano a chi sa aspettare piacevolissime emozioni.Secondo discipli-nare, il Gattinara Docg non neces-sariamente deve essere un vino in purezza, tanto è vero che il Neb-biolo deve com-

porlo per almeno il 90%, ma non necessariamente del tutto; per la restante parte Vespolina e Uva Rara completano il quadro. Molti produttori tuttavia non aggiungono uve che non siano Nebbiolo, chi non lo facesse però, non andrà addita-to come “non pu-rista”, perché Ve-spolina e Croatina altro non sono che le principali varie-tà coltivate nella zona del novarese. Ovvero potremmo dire che la picco-la mescolanza, quando presente, non smentisce il territorio, anzi lo enfatizza. Non si tratta di vini facili, men che meno “ruffia-ni”, al contrario si tratta di vini austeri e comples-si. Vini di grande spessore, che ri-chiedono tempo: tempo per aspet-tarli quando ripo-sano in bottiglia, tempo per degu-

starli quando sono nel nostro bicchie-re. In alcuni casi non rari, definire commovente la franchezza con cui ci parlano, non è eccesso di entu-siasmo narrativo, ma solo obiettiva cronaca di una onesta degusta-zione.Il Gattinara è un vino dalla storia lunga, ma che negli anni non ha avuto sempre fama e fortuna.Ciò nonostante la Denominazione d’origine fu co-munque una delle prime in Italia. Purtroppo non è stato sempre edi-ficante nemmeno il successo econo-mico. Oggi però possiamo dire che questa terra eprime uno dei migliori vini rossi italiani, la produ-zione è limitata, le aziende sono po-che, ma, forse pro-prio per questo, la qualità è eccellen-te ovunque. ❉

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Un grande rosso, magro e raf-finato, deve per forza essere

piemontese? A Pantelleria si può solo far vino passito? Il Veneto è solo Prosecco e Valpolicella? A tut-te queste domande è possibile, anzi si deve rispondere no. La prova è la degustazione che segue, cinque vini, ciascuno degno rappresentan-te della propria categoria. Due vini simbolo, le bollicine di Franciacorta e il Sangiovese toscano del Chianti Classico, insieme a tre vini meno noti e, per certi versi, fuori dagli schemi. Tutti egualmente validi, molto diversi tra loro, eppure tutti in grado di conquistare la platea dei degustatori.È in un certo senso questo il pa-radosso italiano: il grande nome, famoso in Patria e ancor più oltre confini, associato all’outsider, allo sconosciuto che è in grado di sor-prendere e stupire sin dal primo sorso.È ancor più la ricchezza del vino italiano, ovvero la capacità di pre-sentare grandi vini provenienti da ogni dove, prodotti con uve diffe-renti, con metodologie e obiettivi diversi, eppure tutti, ciascuno a suo modo, vincenti. L’Italia offre un panorama vitivi-

L’eccellenza fuori dai luoghi comuni

nicolo estremamente variegato, molto più ricco e vario di quanto si possa immaginare, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia si produce vino. Sono più di due mila le varietà di uva autorizzate per la produzione di vino sul suolo nazionale, si tratta di una differenziazione senza egua-li al mondo che rende l’Italia un luogo da scoprire dal punto di vi-sta enologico. Con ogni probabilità una persona riuscirà ad assaggiare solo una piccola parte di quello che le cantine italiane sono in grado di offrire.Ecco dunque la prima degusta-zione che presentiamo: un grande spumante di Franciacorta che ci ha colpito per l’eleganza e la raffina-tezza, un bianco secco prodotto a Pantelleria dove i profumi ricorda-no la terra d’origine, una riserva di Chianti Classico dall’anima genui-na e schietta, un Raboso molto ar-rabbiato del Piave che arriva come un pugno e lascia indifesi di fronte al bicchiere e infine un Negroama-ro del Salento che tipico proprio non è, ma che riesce a esprimere tutto quello che un vino deve avere per essere equilibrato.Buona lettura e buoni assaggi.

PANEL DI DEGUSTAZIONESommelier della Delegazione FISAR Milano Duomo

Sommelier Valerio Sisti

Sommelier Silvia Pedrotti

Sommelier Massimiliano Garavaglia

Sommelier Peppe Bua

LEGENDA DEI VOTIIl voto in centesimi è comunemente utilizzato nei principali concorsi enologici nazionali e internazionali, è un sistema di votazione che viene generalmente impiegato anche dalle guide del settore, indipendentemente dal fatto che poi utilizzino simboli diversi per l’assegnazione grafica del punteggio conseguito.

Secondo la norma generalmente in uso si classifica con 80/100 un vino onesto, ben fatto e ovviamente senza difetti, al di sotto di questa soglia vengono classificati i vini con leggere imperfezioni o comunque non particolarmente piacevoli.

Tra gli 80 e 85 punti si posizionano i vini di buona piacevolezza, oltre la soglia degli 85 punti invece si trovano i vini di grande piacevolezza, mentre oltre i 90 punti i vini presenti saranno certamente di assoluta eccellenza.

0-70 punti: vino con difetti o sgradevole

70-75 punti: vino non particolarmente gradevole

75-80 punti: vino gradevole seppur non del tutto convincente

80-85 punti: vino ben fatto e convincente

85-90 punti: vino con caratteristiche superiori alla media

90-100 punti: vino eccellente sotto più punti di vista

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Nome: CHIANTI CLASSICO RISERVADenominazione: CHIANTI CLASSICO DOCG RISERVACantina: FATTORIA DI CINCIANOTipologia: rosso fermoVitigno: SangioveseAnno: 2010Gradazione alcoolica: 14,5%Affinamento: botte grandeTipo di viticoltura: tradizionaleTemp. di servizio: 18°DEGuSTAzIONE: Il colore vira dal rubino al granato, molto compatto e vivo. Al naso presenta immediatamente ciliegia matura seguita da note di cioccolato al latte e un finale di spezia e cuoio. Si percepisce anche una nota di tostatura leggera e molto elegante. Splendidamente morbido e avvolgente, riempie il palato con la forza dei sui 14,5 gradi di alcool. Il tannino è ben presente, ma levigato e mai eccessivo. Gode di un equilibrio generale perfetto. Abbinamento: Pici al ragù di cinghiale, carne alla brace, norcineria toscanaVoto: 89/100www.cinciano.it

Nome: LE BRACIDenom.: SALENTO IGTCantina: SEVERINO GAROFANO Az. MONACITipologia: rosso fermoVitigno: NegroamaroAnno: 2007Gradazione alcoolica: 15,0%Affinamento: botte piccolaTipo di viticoltura: tradizionaleTemp.di servizio: 18°DEGuSTAzIONE: Alla vista si presenta granato scarico. Al naso sono evidenti le dote di frutta sotto spirito, di spezia e di leggera ed elegantissima ossidazione, prosegue con note di frutta secca, di muschio e sentori balsamici. Tutto quello che non ti spetti da un Negroamaro viene confermato al palato. Asciutto e strutturato, mantiene eleganza e pulizia, l’importante percentuale alcolica è molto ben amalgamata e non risulta mai fastidiosa, anzi. Finale degno di un grande rosso. Abbinamento: Braciole pugliesi, arrosto misto, maialino al fornoVoto: 91/100www.garofano.aziendamonaci.com

Nome: SECOLO NOVODenominazione: FRANCIACORTA DOCGCantina: LE MARCHESINETipologia: spumante metodo classicoVitigno: ChardonnayAnno: 2008 (sboccatura 2015)Gradazione alcoolica: 13,0%Affinamento: acciaio prima della presa di spumaTipo di viticoltura: tradizionaleTemp. di servizio: 6°DEGuSTAzIONE: Si presenta nel bicchiere con una spuma quasi cremosa, consistente e persistente. Al naso stupisce con note balsamiche e floreali, seguite da sentori di frutta e lieviti, una leggera crosta di pane in chiusura. Notevole la complessità olfattiva che prosegue al palato, dove il vino risulta avvolgente, suadente e strutturato, ma mai piatto, sostenuto dalla corretta acidità. Finale lunghissimo.Abbinamento: Sarde fritte, fritto misto, tortino di verdure ripieno di ricottaVoto: 92/100www.lemarchesine.com

Nome: zEFIRODenominazione: PANTELLERIA DOP BIANCOCantina: VINISOLATipologia: bianco fermoVitigno: Zibibbo (Moscato d’Alessandria)Anno: 2013Gradazione alcoolica: 13,5%Affinamento: acciaioTipo di viticoltura: tradizionaleTemp. di servizio: 12°DEGuSTAzIONE: Un bel giallo carico anticipa tutta l’intensità che ci si aspetta da un vitigno aromatico, un’esplosione di frutta e fiori invade le narici, seguite da note di frutta secca e salvia in una sequenza incredibilmente coerente. Al palato si espande il profumo di agrumi; il vino risulta morbido e rotondo, sorretto da una corposa nota alcolica. Finale leggermente amaro di ottima persistenza.Abbinamento: Asparagi e uova, penne pomodorini capperi e olive, caponata sicilianaVoto: 87/100www.vinisola.it

Nome: RABIA’Denominazione: PIAVE DOCCantina: ITALO CESCONTipologia: rosso fermoVitigno: RabosoAnno: 2008Gradazione alcoolica: 13,0%Affinamento: 24 mesi in botti di rovere, 12 in barrique, 12 in bottigliaTipo di viticoltura: tradizionaleTemp. di servizio: 16°DEGuSTAzIONE: Emoziona per un colore profondo e impenetrabile, violaceo quasi inchiostro. Al naso è una continua evoluzione, che parte da note balsamiche e di spezia (chiodi di garofano) per passare a piccoli frutti rossi e a note di cuoio e pelle. Al palato è vivissimo, grazie all’acidità ben marcata e al tannino aggressivo al punto giusto. Finale fresco e persistente.Abbinamento: Cervo ai mirtilli, piccione, goulashVoto: 90/100www.cesconitalo.it

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filosofando in cucina

Le patate di Cassino, 1944Io ho cominciato a cu-cinare più o meno a 12 anni. Mi limitavo ad aiu-tare mia nonna, che si alzava alle sei di mat-tina e si metteva ai for-nelli. Ogni giorno mani-caretti diversi, cercando di accontentare i gusti di tutti e preparando cibo in abbondanza, ma non si è mai buttato nulla, semmai si riciclava il giorno dopo.Il mio piatto preferito era (e forse è ancora) le polpette, ma mia nonna non le preparava spes-so, perché le ricorda-vano i tempi di quando c’erano pochi soldi e occorreva risparmiare. Però, se non erano pol-pette, erano comunque

La cucina è Amore, Psiche e… condivisioneLa cucina è Amore.

Chi mette nel piatto del cibo così come ri-empie di carburante il serbatoio dell’auto, non lo capirà mai. Soprat-tutto non lo percepi-ranno coloro per i quali quel piatto sarà stato preparato.Ma la cucina è anche Psiche: è superare le proprie paure e metter-si alla prova, come fece Psiche nella favola/mito di Apuleio. Questo per-ché il cibo, l’atto stesso del mangiare, è catarti-co: intanto è una vittoria contro la morte. Più nel profondo, il cibo coin-volge la sfera emotiva del cervello. Un piatto, un sapore, possono ri-chiamare alla mente ri-cordi e sensazioni sopi-

te, colpendo come uno schiaffo, esplodendo come un orgasmo.Amore e Psiche, dunque: corpo e anima uniti in un abbraccio voluttuoso, un vortice di passione. Ma il momento del pasto rappresenta sin dalla prei-storia anche e soprattutto un rito collettivo che unisce la comunità, la famiglia. Perché, alla fine, mangiare e bere sono bisogni primari che nessu-no può ignorare.Ognuno può decidere come e con quale “enfasi” soddisfare tali bisogni primari, quanto lasciarsi andare nell’abbraccio di Amore e Psiche e quanto estendere questo abbraccio alla propria comunità di parenti e amici, con passione.In generale, è la storia, o, meglio, la tradizione fa-miliare di ognuno a determinare questa decisione.

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gustare DE01 47di Gaetano Di Blasio

filosofando in cucina

piatti squisiti, diversi ogni giorno.Accontentare tutti a ta-vola era, per mia non-na, una vera e propria missione, ma, proba-bilmente, era anche il modo di esorcizzare i tempi della guerra. Di guerre, mia nonna ne ha vissute due, ma nel ‘44 si trovò a Cassino su uno dei fronti più im-portanti della Seconda Guerra Mondiale. Fron-te, che di notte attra-versava per procurarsi un po’ di cibo per le sue tre figlie, tra cui mia madre; patate perlopiù, stando ben bassa per evitare le pallottole.Piatti abbondanti per allontanare il ricordo della paura. Piatti ap-petitosi che ti riempiva-

La cucina è Amore, Psiche e… condivisione tavola. In questo trovava il supporto di mia ma-dre che accondiscen-deva alle sue richieste, anche quando andava oltre la semplice “cena tra amici”, come per le feste di Ferragosto.Nel 1982, mio padre or-ganizzò una “pizziata” sulla spiaggia per 120 persone, con tanto di cucina da campo per friggere al momento le pizze preparate da mia madre. Naturalmente più pentole friggitrici in batteria, per mantenere l’olio in temperatura.Per “fortuna” chi non ha mai mangiato una pizza fritta napoletana, non sa cosa si perde. Anche se ormai ci sono pizze-rie che le hanno inserite nel menu, la vera pizza fritta è fatta in casa, dove non è semplice avere un forno a legna per cucinare la pizza secondo tradizione.Quella sera sulla spiag-

no di vita. Prepararti una delle tue ricette preferite era il modo di mia nonna per coccolarti, per farti dimenticare una delusione, per premiare una bel-la prestazione scolastica, per caricarti di energia positiva.Grazie a mia nonna e a mia madre, che da lei (ov-viamente prima di me) ha imparato a cucinare, ho compreso il binomio cucina-amore.

Le pizze di Terracina, 1982Mio padre era un ingegnere chimico e per lui la cucina era anche scienza. Da lui ho imparato i re-troscena delle tecniche di cucina, a conoscere gli alimenti e a studiarne le proprietà. Ma mio padre era anche una persona che amava la compagnia e in particolare condividere il piacere della buona

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gia si celebrerò un vero e proprio “rito” di condivisione. Il menu era completa-to da tanti assaggi di ricette tra le più varie che ogni famiglia aveva preparato e non man-cavano vino, birra e bi-bite per tutti.Per quasi trent’anni, a Ferragosto, magari in piccolo, fra i trenta e i cinquanta commensa-li ripetevano il rito in un’unica lunga tavolata. È evidente che in un sin-golo tavolo di oltre dieci persone è quasi impos-sibile imbastire una di-scussione che coinvolga tutti, ma si è comunque allo stesso tavolo ed era questo il senso ultimo della serata: la parteci-pazione. Per certi versi

c’era quasi un senso re-ligioso, forse ap-poggiato anche “dall’alto”, visto che non è mai stato necessario annullare per pioggia.Un buffet in piedi non è lo stesso, ma, d’al-tro canto, non sempre si dispone dello spazio necessario per far al-lestire un tavolo unico con oltre trenta coper-ti. Quindi non cercate di usare questa come scusa, perché che sia all’aperto o al chiuso,

che s i a

p e r una ricor-

renza o solo perché si ha voglia di vedere un po’ di

amici, che sia intor-no a un tavolo o sparsi per tutta la casa, man-giare e bere in compa-gnia fa bene all’Amore e a Psiche (che, a propo-sito, in greco vuol dire “anima”).

Mezz’oraAmore, Psiche e condi-visione non richiedono l’organizzazione di una festa ogni giorno: può bastare solo un po’ di

attenzione e, anche se non c’è nulla di male se qualche volta si ri-corre al surgelato o al

piatto pronto (attenzio-ne a leggere bene l’eti-chetta!), in mezz’ora si può preparare un pran-zo completo pieno di amore, sano e nutrien-te. Il tempo di far bolli-re l’acqua. Piuttosto, il vero impegno è quello di programmare un’ali-mentazione corretta, che si concretizza nel variare il più possibile ingredienti e cotture, facendo attenzione ai principi alimentari.Con De-gustare spe-riamo di aiutarvi a col-tivare Amore e Psiche in compagnia, conden-do il tutto con un po’ di scienza. ❉

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alla scoperta dei sapori d’ItaliagustareDE