dedicato al prof. leoncilli massi

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6 IL RICORDO. Il professor Leoncilli è stato per me un padre, prima che un insegnante e un architetto, e il mio ricordo non può prescinderne. E d’altronde è stato sempre difficile separare le cose quando si veniva coinvolti nella sua orbita emotiva. La sua è stata una grande perdita, così come fu una grande fortuna l’averlo incontrato. Spero dunque che i lettori mi perdoneranno il lato intimistico di questo scritto. In compenso, piut- tosto che insistere su una parte più saggistica, su cui forse ci sarà altra occasione di tornare, ho ritenuto opportuno disporre in coda a questo testo un tentativo di primo regesto delle sue opere e dei suoi scritti. Andai da lui, ancora studente, nei primi mesi del ’93 chiedendogli un lavoro: me ne uscii con un lavoro vero (il restauro di Casa Angeletti), con una casa e con … un orologio. Mi offrì gratuitamente la casa dei suoi avi, a Giano dell’Umbria, nel momento in cui io stavo uscendo dalla mia e non sapevo dove andare. Ricordo che fece anche il contratto per l’allaccio del telefono, immaginando che non avessi i soldi necessari. E’stato un padre perché mi diede la forza per diventare padre a mia volta. E’stato anche una spalla, un appoggio, quando ho attraversato successivi momenti difficili. E’stato un padre perché qualche volta mi si è mostrato nella sua debolezza e nella sua fragilità, nella sua umanità. Come padre e figlio abbiamo anche litigato, bisticciando per una mia presunta man- canza di rispetto e poi ci siamo ritrovati, con un concerto di Brahms, che gli inviai in segno di riconciliazione. Dovevo laurearmi con lui (il tema era: Trentasei variazioni su una piccola chiesa), ma a causa del litigio tornai da lui dopo essere diventato architetto. E’stato severo con me, e lo devo ringraziare per questo. Mi ha obbligato a mettere il vestito buono, con le scarpe lucide e la cravatta “giu- sta” come forma di rispetto verso gli studenti e verso l’istituzione “Università”. Mi ha richia- mato ad un’educazione che pensavo retaggio di un mondo scomparso ed inutile. Ma tutto quello di buono che mi è arrivato dopo è stato in virtù di questa educazione. A questa forma di educazione signorile, a cui lui stesso si atteneva, faceva da perfetto contrappeso una palese insofferenza allo star system, al networking, alle relazioni pubbliche. Poteva essere gentilissimo con un muratore appena conosciuto in cantiere e tranchant con un personaggio pubblico, magari suo collega, magari in occasioni pubbliche. Ha pagato molto salato questo lato del suo carattere. Sotto l’aspetto dell’insegnamento dell’ar- chitettura gli devo tutto. E’stato lui a farmi capire l’importanza dello studio e della storia. L’importanza della musica, della grande musi- ca, dell’arte, della cultura. Prima di lui per me l’architettura era fare cose carine ed originali e l’architetto era un professionista à la page, una griffe, una star. Dopo di lui l’architettura era la cosa più seria del mondo, e l’architetto un uomo di cultura, investito di responsabilità particolari. Sostenere l’esame con lui non era semplicemente fare un esame: era un percorso di crescita personale; una presa di coscienza. Con lui si sceglieva se diventare architetto o professionista. Seguire il suo corso di studi era una scelta etica, dunque, prima che accademica. Ecco, una volta chiuso l’esame o, a maggior ra- gione la tesi, ha dato ai suoi studenti, tra le altre cose, la fierezza e la dignità di essere architetti. Non ho mai conosciuto altri docenti, insegnanti, formatori, che riuscissero a trasmettere una simile passione nelle loro materie. In Italia credo sia stato finora sottovaluta- to come architetto. Sottovalutato perché ha costruito pochissimo, anche a causa di quel carattere che aveva: chi lo ha conosciuto di persona ha sicuramente un aneddoto da raccon- tare sulla sua vita, sul suo carattere. Non voglio però alimentare ulteriormente la collezione, perché credo che gli sia costata anche più di quanto lui stesso immaginasse. Ha costruito pochissimo, tuttavia ritengo fosse uno dei più grandi nel contemporaneo, insieme ad Aldo Rossi, legati infatti da un filo particolare (Aldo Rossi ha scritto l’introduzione alla mostra su Leoncilli a Mantova). Aveva una cultura com- positiva straordinaria ed una capacità fulminea “Non scholae, sed vitae discimus” (Seneca) DEDICATO AL PROFESSOR LEONCILLI MASSI Bruno Mario Broccolo.* Carriera accademica. Gian Carlo Leoncilli Massi si è laureato a Roma nel 1969 con Ludovico Quaroni. Egli ha insegnato Composizione Ar- chitettonica allo IUAV di Venezia, dal 1975, in qualità di Professore Associato e all’Università di Firenze, dal 1987, in qualità di Professore Ordinario.

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Intervento su L'Ingegnere Umbro. Periodico a cura dell'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Perugia.

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Page 1: Dedicato Al Prof. Leoncilli Massi

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IL RICORDO.Il professor Leoncilli è stato per me un padre,

prima che un insegnante e un architetto, e il mio ricordo non può prescinderne. E d’altronde è stato sempre difficile separare le cose quando si veniva coinvolti nella sua orbita emotiva. La sua è stata una grande perdita, così come fu una grande fortuna l’averlo incontrato. Spero dunque che i lettori mi perdoneranno il lato intimistico di questo scritto. In compenso, piut-tosto che insistere su una parte più saggistica, su cui forse ci sarà altra occasione di tornare, ho ritenuto opportuno disporre in coda a questo testo un tentativo di primo regesto delle sue opere e dei suoi scritti.

Andai da lui, ancora studente, nei primi mesi del ’93 chiedendogli un lavoro: me ne uscii con un lavoro vero (il restauro di Casa Angeletti), con una casa e con … un orologio. Mi offrì gratuitamente la casa dei suoi avi, a Giano dell’Umbria, nel momento in cui io stavo uscendo dalla mia e non sapevo dove andare. Ricordo che fece anche il contratto per l’allaccio del telefono, immaginando che non avessi i soldi necessari.

E’stato un padre perché mi diede la forza per diventare padre a mia volta. E’stato anche una spalla, un appoggio, quando ho attraversato successivi momenti difficili. E’stato un padre perché qualche volta mi si è mostrato nella

sua debolezza e nella sua fragilità, nella sua umanità. Come padre e figlio abbiamo anche litigato, bisticciando per una mia presunta man-canza di rispetto e poi ci siamo ritrovati, con un concerto di Brahms, che gli inviai in segno di riconciliazione. Dovevo laurearmi con lui (il tema era: Trentasei variazioni su una piccola chiesa), ma a causa del litigio tornai da lui dopo essere diventato architetto.

E’stato severo con me, e lo devo ringraziare per questo. Mi ha obbligato a mettere il vestito buono, con le scarpe lucide e la cravatta “giu-sta” come forma di rispetto verso gli studenti e verso l’istituzione “Università”. Mi ha richia-mato ad un’educazione che pensavo retaggio di un mondo scomparso ed inutile. Ma tutto quello di buono che mi è arrivato dopo è stato in virtù di questa educazione.

A questa forma di educazione signorile, a cui lui stesso si atteneva, faceva da perfetto contrappeso una palese insofferenza allo star system, al networking, alle relazioni pubbliche. Poteva essere gentilissimo con un muratore appena conosciuto in cantiere e tranchant con un personaggio pubblico, magari suo collega, magari in occasioni pubbliche. Ha pagato molto salato questo lato del suo carattere.

Sotto l’aspetto dell’insegnamento dell’ar-chitettura gli devo tutto. E’stato lui a farmi capire l’importanza dello studio e della storia. L’importanza della musica, della grande musi-ca, dell’arte, della cultura. Prima di lui per me l’architettura era fare cose carine ed originali e l’architetto era un professionista à la page, una griffe, una star. Dopo di lui l’architettura era la cosa più seria del mondo, e l’architetto un uomo di cultura, investito di responsabilità particolari. Sostenere l’esame con lui non era semplicemente fare un esame: era un percorso di crescita personale; una presa di coscienza. Con lui si sceglieva se diventare architetto o professionista. Seguire il suo corso di studi era una scelta etica, dunque, prima che accademica. Ecco, una volta chiuso l’esame o, a maggior ra-gione la tesi, ha dato ai suoi studenti, tra le altre cose, la fierezza e la dignità di essere architetti. Non ho mai conosciuto altri docenti, insegnanti, formatori, che riuscissero a trasmettere una simile passione nelle loro materie.

In Italia credo sia stato finora sottovaluta-to come architetto. Sottovalutato perché ha costruito pochissimo, anche a causa di quel carattere che aveva: chi lo ha conosciuto di persona ha sicuramente un aneddoto da raccon-tare sulla sua vita, sul suo carattere. Non voglio però alimentare ulteriormente la collezione, perché credo che gli sia costata anche più di quanto lui stesso immaginasse. Ha costruito pochissimo, tuttavia ritengo fosse uno dei più grandi nel contemporaneo, insieme ad Aldo Rossi, legati infatti da un filo particolare (Aldo Rossi ha scritto l’introduzione alla mostra su Leoncilli a Mantova). Aveva una cultura com-positiva straordinaria ed una capacità fulminea

“Non scholae, sed vitae discimus” (Seneca)

DEDICATO AL PROFESSORLEONCILLI MASSI

Bruno Mario Broccolo.*

Carriera accademica.Gian Carlo Leoncilli Massi si è laureato a Roma nel 1969 con Ludovico Quaroni.Egli ha insegnato Composizione Ar-chitettonica allo IUAV di Venezia, dal 1975, in qualità di Professore Associato e all’Università di Firenze, dal 1987, in qualità di Professore Ordinario.

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di comprendere un disegno, di analizzarlo, di migliorarlo. Occorrerà un po’di tempo, e uno sforzo critico onesto per situarlo correttamente nell’àmbito della cultura e della storia dell’ar-chitettura contemporanea. La cornice di rife-rimento, per quanto possa sembrare lontano, è data da Aldo Rossi, e poi da James Stirling, con cui condivideva il gusto dell’ironia, della citazione. I poli tra cui possiamo far oscillare i suoi disegni sono da una parte l’Umbria, l’ar-chitettura di masse, e l’altro è dato da una sorta di appartenenza al clima veneziano ed austria-co, fatto di raffinatezze e di senso del colore. Un’oscillazione che di fatto lo faceva essere un ”Etrusco” (come l’aveva soprannominato Carlo Scarpa), ornato spesso da un autentico loden viennese.

Non era un teorico: non un teorico sistema-tico, insomma. I suoi ultimi anni li ha consu-mati nello scrivere La leggenda del comporre, ma avrebbe preferito costruire piuttosto che scrivere.

Riassumere la sua poetica o il suo insegna-mento in poche righe è quasi impossibile. Nonostante le sue affermazioni di senso con-trario, non vi era molta differenza tra quello che insegnava e quello che disegnava, nelle poche occasioni in cui era possibile.

E’innegabile che il perno intorno a cui ruo-tavano l’insegnamento e la poetica di Leoncilli sia stato il tema della composizione architetto-nica. Composizione e non progettazione, come ammoniva severamente. La composizione ar-chitettonica di Leoncilli può essere disarticolata in tre concetti, a mio avviso: due sostanziali ed uno di metodo.

I tre concetti sono questi: lo spazio, la storia, la variazione. Credo che, nella necessaria sin-tesi che qui tento di fare, possano inquadrare e definire bene il tema.

Nella poetica e nella didattica leoncilliana, lo spazio architettonico torna ad essere il soggetto principale della composizione architettonica. Questo vuol dire porsi fuori da quasi tutta la contemporaneità, dove lo spazio architettonico è in subordine ad altri concetti quali la superfi-cie, la tecnologia, la complessità … “Lo spazio è creato dai corpi”, ripeteva spesso, citando Masaccio.

Riportare lo spazio a soggetto principale gli consentiva anche di far saltare alcune categorie e divisioni che spesso gli apparivano difficili da comprendere. E’giusto che ribadisca l’alto rispetto che il prof. Leoncilli tributava agli ingegneri, non distinguendo tra architetti ed ingegneri quando li accomunava la passione verso l’architettura. A testimoniarlo sta il suo riconoscimento e la stima verso Guglielmo De Angelis D’Ossat, e poi verso Luciano Marchet-ti, Massimo Mariani e Paolo Belardi.

Altra differenza di difficile comprensione era tra progetto sul nuovo (chiamiamolo così), e restauro, rientrando tutto nell’alveo dell’ar-chitettura con la A maiuscola. Il restauro è un atto creativo, parafrasando Rogers. Così come il progetto di una nuova casa, di un ponte, di un giardino, di una decorazione musiva, di un pavimento, ecc. Come questa differenza potesse influire nel giudizio di merito sul Ca-stelvecchio di Verona era una cosa che non gli apparteneva.

La storia. Ho già anticipato lo strano ibrido tra la severità etrusca e il raffinatismo viennese, veneziano. Credo che uno dei tratti più singolari e fecondi della visione di Leoncilli sia stato l’obbligo (tra virgolette) del ritorno alla storia, alla cultura. La storia vista non più o non solo come dato, accettato acriticamente, ma come una scelta, e quindi già memoria.

Se infatti la memoria è una raccolta ordinata è perché è impossibile ricordare tutto. E quindi è impossibile conservare tutto, anche sotto il profilo architettonico, ovviamente. E la cosa ha conseguenze immaginabili nel progetto. Le opere di architettura vengono ridisegnate e piegate al solo uso compositivo, e non storico. Che il Tempietto del Clitunno fosse autentica-mente romano o posteriore era ininfluente ai fini di una riflessione sulla composizione.

Pagina di appunti sull’architettura

carolingia.

Studio per la Torre principale della Rocca di

Spoleto.

Page 3: Dedicato Al Prof. Leoncilli Massi

Una visione non ideologica della storia dell’ar-chitettura consentiva poi di reintrodurre il concetto della decorazione, dell’ornamento, in architettura. A parte il senso del ritmo, rientrano a pieno titolo nell’architettura le pavimentazioni disegnate, motivi parietali, l’uso del rivestimento (il finto marmo), il colore, le scritte, i grandi vasi, ecc. Il rapporto con la Storia è più profondo e disinvolto allo stesso tempo.

Questo rapporto con la storia ha un suo momento di verifica nel disegno. Un altro dei tratti distintivi

della scuola leoncilliana è stato sicuramente il ritorno al disegno manuale. Disegnare il fabbricato standogli davanti obbliga a ricostruire il fabbricato stesso. Obbliga a tornare quasi al momento della costruzione originaria. E’quello che egli chiamava esercizio di lettura compositiva.

E arrivo all’ultimo elemento: la composizione.L’insegnamento della composizione come con-

tinua variazione. Quanta fatica per comprendere questa cosa!

Dopo la lettura compositiva, abbiamo dunque il progetto come una sorta di ri-scrittura compositiva. Il testo architettonico è una partitura musicale su cui sono consentite delle cadenze musicali, delle fioriture.

In un’epoca in cui trionfa il mito del nuovo, della novità, dell’originalità, lui chiedeva di tornare al già noto, al già conosciuto, e di variarlo. A fronte dell’invenzione (la cui radice etimologica tradisce comunque l’elemento del trovare e non del creare), veniva richiesta la variazione.

Solo adesso mi rendo conto, tra l’altro, che questo procedimento implica per il docente uno sforzo in più. Infatti allo studente va proposta quella figura, quell’universo di figure, che meglio si adatta al tema progettuale scelto, ma anche alle possibilità espressive o culturali dell’allievo stesso. Il materiale figurativo su cui variare è scelta non facile.

Chiudo questo mio intervento tornando all’”inat-tualità” del suo insegnamento.

Spesso si ha l’impressione che Leoncilli abbia pensato di far rivivere una figura di architetto intransigente, autorevole, ferma, se non al Rinasci-mento, a Schinkel. Può darsi. E’probabile che sia così, che tutto sembri un anacronismo insensato, un inutile irrigidimento. Tuttavia non possiamo non riconoscere che questo suo essere fermo di fronte a declinazioni mediatiche, di griffe, ecc., riconsegni all’architetto, con tutte le responsabilità che ne conseguono, un profilo di alto livello etico e culturale a cui non credo si possa (e non si debba), rinunciare in maniera indolore.

L’architetto che egli immaginava non è (non dovrebbe essere) solo un tecnico. All’architetto spetta la responsabilità culturale, storica ed estetica del suo operare.

Vorrei indicare un parallelismo ancora inesplora-to tra Gian Carlo Leoncilli Massi e Ernesto Nathan Rogers. Fatte le dovute proporzioni sotto il profilo della capacità di scrittura, entrambi hanno dedicato moltissimo della propria vita all’insegnamento. Entrambi parlavano della storia e del rilievo dell’ar-chitettura in termini simili. Entrambi, infine, hanno consacrato la loro vita alla scuola.

*Bruno Mario Broccolo, architetto, è stato assistente del Prof. Leoncilli dal 1993. é docente a contratto presso la Facoltà di Architettura di Firenze, co-autore del libro sulla Rocca di Spo-leto. é inoltre dirigente del settore urbanistica del Comune di Bastia Umbra.

OPERE, PROGETTI:

Anno – Oggetto – Luogo – Realiz-zazione:

1969 – Villa Cicchetti Pizzoli – Rieti – realizzata

1969 – Targa IN/ARCH per il re-stauro

1969-1971 – progetto per la nuova scuola media“Gentileda Foligno” a Foligno con Carlo Di Pascasio e Alessandro Latini

1970 – Progetto per il centro dire-zionale di Fontivegge Bellocchio – concorso – menzione speciale – non realizzato

1970 – progetto per edificio polifun-zionale a Spoleto con Alessandro Latini – non realizzato

1972 – progetto per la nuova centrale telefonica di Spoleto con Alessandro Latini e Carlo Di Pascasio - non realizzatoCon Massimo Colocci, Costantino Dardi, Mariella Zattera

1972 – progetto per il polo scolastico di San Sisto con Carlo Di Pascasio e Alessandro Latini – non realizzato

1974 – Bastia Umbra - Mercato co-perto – Realizzato (con modifiche)

1974 – Allestimento Sala del Con-siglio Comunale – Bastia Umbra –Realizzato

1974 – Piano Particolareggiato di Area “Villaggio XXV Aprile” – Ba-stia Umbra – Non realizzato1975 – Ristrutturazione Negozio “Arco” – Via del Duomo – realiz-zato

1976-1977 – Studi per una casa a strisce per la valle spoletina – non realizzata

1975-1977 – progetto per il nuovo teatro di Forlì - concorso – terzo premio –

1977 – allestimento per la mostra di

Virgilio Marchi “architetto futurista” Festival dei Due Mondi di Spoleto - Spoleto con Angelo Puerari, Pier-paolo Vetta, Antonello Zeppadoro – realizzato

1979 – Allestimento “Venezia e lo spazio scenico” per la Biennale del 1979

1980 – Piano Particolareggiato “Piaz-za del Mercato” – Bastia Umbra – Non realizzato

1980 – Piano Particolareggiato di Area “Ex Lolli” – Bastia Umbra – Non realizzato

1980 – Velario per le porte del Duomo di Spoleto – Spoleto - Non realizzato

1982 – Palazzo della Provincia di Perugia - Parzialmente realizzato

1982 – Allestimento della mostra “Schinckel, l’architetto del principe” – Venezia e Roma

1983 – Ristrutturazione Negozio “Zeppadoro 1” – Viale Trento e Trie-ste - Spoleto

1985 – Progetto per Piazza del Duo-mo – Spoleto – Non realizzato

1985 – Palazzo Bufalini – Città di Castello –- Non realizzato

1985 – Venezia – Concorso per il Ponte dell’Accademia

1985 – Invitato alla Biennale di Venezia

1985 – Ristrutturazione Negozio “Zucchero” – Corso Mazzini - Spo-leto

1990 – Ristrutturazione Negozio “Zeppadoro 2” – Viale Trento e Trie-ste - Spoleto

1993 – Ristrutturazione Farmacia “Amici” – Realizzato – Piazza Gari-baldi – Spoleto

1993 – Piano di Recupero per S. Pietro di Spoleto – Non realizzato – Pubblicato in Zodiac n. 19

Scritti di Gian Carlo Leoncilli Massi.

La composizione. Commentari, Marsilio, Venezia 1985 L’Etrusco torna a scrivere, Alinea, Firenze 1997 (contiene la raccolta di quasi tutti gli scritti fino al 1996)

Danteum. Dar forma all’idea: un Danteum fiorentino, con saggi di Salvatore Di Pasquale, Gian Carlo Leoncilli Massi, Loris Macci, Gabriele Morolli, Elena Pontiggia, Andrea Ricci, Daniele Spoletini, Thimothy Verdon, Angelo Pontecorboli Editore/ EDK srl, Firenze stampa 2000 La leggenda del Comporre, Alinea, Firenze 2002

«Voluttà, frode, felicità, inganno», in La Nuova Città, Angelo Ponte-

corboli Editore, Firenze, n. 6, 1994

«Il primo Sublimatolo di Gian Carlo Leoncilli Massi», in Architettura & Arte, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze, n. 6-7, 1999

«L’antica favola di Piazza Duomo», in Spoleto Magazine ‘96

I labirinti, le piazze, le porte e i velari, i ponti, i palazzi, le case, i giar-dini: architetture di Giancarlo Leoncilli Massi. Provincia di Mantova, Casa del Mantegna, stampa 1988

“Quando l’immagine uccide il reale”, in MondOperaio, Marzo-Aprile 1996, pp. 25-28

“Progetti 1969-77”, in Controspazio, luglio-agosto 1978, pp. 22-31