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Società italiana di economia pubblica WORKING PAPER No 752 aprile 2020 DEMOCRAZIA DI BILANCIO E GOVERNO DELLE FINANZE PUBBLICHE NELLA STORIA DEL BUDGETING PUBBLICO Antonio Di Majo, Università Roma Tre JEL Classification: H61 Keywords: Istituzioni di bilancio, Politiche di bilancio, democrazia di bilancio società italiana di economia pubblica c/o dipartimento di scienze politiche e sociali – Università di Pavia

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Società italiana di economia pubblica

WORKING PAPERNo 752

aprile 2020

DEMOCRAZIA DI BILANCIO E GOVERNO DELLE FINANZE PUBBLICHE NELLA STORIA DEL BUDGETING PUBBLICO

Antonio Di Majo, Università Roma Tre

JEL Classification: H61

Keywords: Istituzioni di bilancio, Politiche di bilancio, democrazia di bilancio

società italiana di economia pubblica

c/o dipartimento di scienze politiche e sociali – Università di Pavia

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Democrazia di Bilancio e Governo delle Finanze pubbliche

nella storia del Budgeting pubblico

Antonio Di Majo*

Sommario

Il saggio ripercorre i caratteri salienti della storia delle Finanze Pubbliche del mondo occidentale con

particolare riguardo al processo di formazione, stesura e approvazione dei Bilanci Pubblici al fine di spiegare

l’evoluzione generale del “Budgeting pubblico” (nei suoi aspetti procedurali e sostanziali). La trattazione

diacronica si incentrerà sulla complessa interazione tra situazione economica, scelte di politica di bilancio e

sintesi degli interessi provenienti dalla società civile, utilizzando opportune chiavi di lettura a seconda delle

diverse priorità attribuite al bilancio nel corso del tempo. Il saggio si conclude con una riflessione sulla recente

importanza della Fiscal Consolidation e sul relativo significato in termini di politiche macroeconomiche di

bilancio.

JEL-Codes: H61

Keywords: Istituzioni di bilancio, Politiche di bilancio, democrazia di bilancio

* Professore Emerito di Scienza delle Finanze, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre. Email: [email protected]. Indirizzo: Via Silvio D'Amico, 77, 00145 Roma RM.

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1. Introduzione

L’utilizzo di risorse economiche attraverso meccanismi di decisione diversi da quelli

di mercato caratterizza la vita delle comunità umane. La condivisione collettiva di questo

tipo di decisioni (nell’ambito di organismi territoriali dotati di sovranità) si evolve nel corso

di un lungo periodo di tempo (con ritmi e modalità spesso diversi da paese a paese) a partire

dal Medio Evo, e si compie, dal punto di vista delle regole della partecipazione generalizzata

dei cittadini degli Stati democratici, nel secolo scorso. La organizzazione di questo tipo di

scelte motiva la nascita del Tax State 2 che si fa coincidere simbolicamente con la

concessione, nel Duecento, della Magna Carta da parte del sovrano inglese.

Si tratta della storia delle Finanze Pubbliche del mondo occidentale 3 che, con la

graduale estensione dei poteri di decisione, ha sperimentato l’evoluzione di procedure

sempre più complesse di regolazione dell’attività finanziaria pubblica - in particolare la

formazione, la stesura e l’approvazione dei Bilanci Pubblici - che quelle decisioni riassumono

e classificano nei loro valori monetari: le connesse regole (di natura, o quantomeno di

origine, legislativa) ne disciplinano i molteplici aspetti4riassumibili in borrowing, taxing

and spending5.

In un recente volume di ricerche storiche sulle Finanze Pubbliche si enfatizza la

necessità di più approfondite indagini “on the relationship between public finances, fiscal

administration and politics…” poiché “public finances serve as a “hinge” between the state,

the economy and society”6. Questo “cardine” (hinge) indica che la storia dei cambiamenti

della Tassazione, della Spesa e del Debito pubblico può essere compresa solo assumendo

una prospettiva di analisi simultaneamente economica, politica e sociale, e considerando i

mutamenti demografici e tecnologici.

Oggetto delle riflessioni di questo lavoro è l’evoluzione generale del Budgeting

pubblico (nei suoi aspetti procedurali e sostanziali), le cui caratteristiche variano, tra l’altro,

2 Schumpeter J. (1918). 3 Mirabilmente analizzata in dettaglio in Webber C., Wildavsky A. (1986). 4 Come viene illustrato, tra l’altro, nei manuali di Scienza delle Finanze e di Contabilità Pubblica, rispettivamente con ottiche diverse, cui si rimanda. 5 Webber C., Wildavsky A. (1986, p.18) osservano anche: “Budgeting is concerned with translating financial resources into human purposes. Since funds are limited and have to be spent on different purposes, budgetary processes are mechanisms for making economic and political choices.” 6 Buggeln M., Daunton M., Nutzenadel A. (2017), p.25.

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nell’interazione con la politica i cui obiettivi sono connessi con la crescita e le “rivoluzioni”

del sistema produttivo e anche con le mutazioni delle preferenze e dei rapporti di forza sulla

distribuzione delle risorse tra individui e ceti sociali.

Si può tentare di individuare, nell’arco di una lunga storia, diverse fasi, con rilevanti

sovrapposizioni, nell’evoluzione del Public Budgeting, spiegate dalla dinamica di alcune

determinanti principali:

1) La costruzione della “democrazia di bilancio”, che si realizza gradualmente, ma

anche con “salti rivoluzionari”, tra il Medio Evo e il primo ventennio del 1900, con la

divisione dei poteri (principalmente tra esecutivo e legislativo), in presenza di una continua

crescente influenza degli apparati amministrativi (la “burocrazia del bilancio”).

2) La scoperta, la teorizzazione e l’attuazione della “Fiscal Policy”, ossia l’utilizzo di

rilevanti relazioni macroeconomiche tra il governo della Finanza Pubblica e l’andamento

non solo ciclico del sistema economico, approssimativamente tra gli anni Trenta e la prima

metà degli anni Settanta del Novecento.

3) La ricerca di meccanismi di allocazione e amministrazione efficiente (anche

attraverso regole di budgeting), che assume particolare rilevanza anche economica a partire

degli anni Sessanta del Novecento, quando la spesa pubblica, per la prima volta, supera, in

tempo di pace, il terzo del PIL in tutti i paesi sviluppati dell’Occidente. Da allora si

diffondono varie e diversificate riforme nelle normative e nell’amministrazione del bilancio

pubblico per cercare di garantire una più efficiente allocazione complessiva delle risorse del

sistema economico, oltreché offrire metodi (PPBS, Zero-Based Budgeting, ecc.) validi anche

per un miglior governo amministrativo del settore pubblico. Il potere della “burocrazia del

bilancio”, fondato in buona parte sul possesso delle informazioni finanziarie dettagliate su

spese, entrate e debiti pubblici, diventa sempre più decisivo nell’orientare le scelte di

bilancio dei Governi e dei Parlamenti. I tentativi di adottare metodi “pseudo oggettivi” di

valutazione dell’efficienza e dell’efficacia delle variazioni delle poste del bilancio si rivelerà

in larga misura deludente negli esiti (rispetto alle attese teoriche), contribuendo a far

prevalere nei tempi più recenti, nel governo delle Finanze pubbliche, la ricerca prioritaria

di risultati misurati da valori delle grandezze complessive (totale della spesa, del prelievo

tributario, saldi) del bilancio e dello stock di debito pubblico.

4) Negli anni Settanta del secolo scorso (con l’abbandono del sistema monetario

voluto a “Bretton Woods” nel 1944, le crisi petrolifere, la liberalizzazione dei movimenti

finanziari internazionali) si delinea, nei paesi sviluppati dell’Occidente, secondo la

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definizione di un recente studio7, una “New Fiscal Constitution”, che sembra chiudere,

almeno in tema di priorità politiche, il tragitto che (prescindendo dai debiti pubblici in ogni

epoca connessi con la Finanza di guerra) dal “Tax State”, passando attraverso il “Debt

State”, per ora sbocca, come si vedrà, in quello che viene definito il “Fiscal Consolidation

State”8.

Negli effetti, la “Fiscal Consolidation” è talvolta associata (in particolare per i paesi

della UE) al ruolo assegnato alla Finanza pubblica dall’Economia Sociale di Mercato, ma in

realtà le motivazioni e le esigenze cui risponde sono, come si vedrà, più ampie. Più di recente,

le conseguenze della crisi finanziaria internazionale del 2008 si fanno sentire nell’utilizzo

del Bilancio pubblico e nelle discussioni sulle riforme del Budgeting. Si può ritenere che sia

in discussione il “Myth of Fiscal Control” delle democrazie rappresentative9: i poteri delle

Assemblee rappresentative in materia di bilancio sarebbero stati diffusamente ridotti,

attraverso l’evoluzione dell’ultimo secolo, in favore dei Governi, ma anche delle burocrazie

del budget, che “di fatto” li esercitano concretamente in vasta e varia misura.

Questo lavoro percorre le vicende storiche del Budgeting pubblico nei suoi aspetti

concernenti i rapporti esecutivo/legislativo (avendo presenti, ma non affrontando, la

parallela evoluzione degli altri poteri, principalmente la “burocrazia”, ma anche, ad esempio,

le lobbies) nell’interazione con le esigenze del governo macro delle Finanze pubbliche.

7 Buggeln M., Daunton M., Nutzenadel A. (2017), p.16 ss. 8 Definizione di Streeck W. (2014), p.143-164. Blyth M. (2013), nell’Introduzione a un suo recente libro, osserva che “growth friendly fiscal consolidation” (espressione usata in comunicati ufficiali di organismi internazionali) “is a fancy way of saying austerity”, come si vedrà più avanti. 9 Wehner J. (2010).

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2.Il governo della Finanza pubblica nell’età moderna: gli stati assoluti e i

prodromi della “democrazia di bilancio”

Se si eccettuano i casi di alcune città–stato europee (ad esempio il Comune di

Firenze 10 ), la partecipazione diffusa alle decisioni di finanza pubblica non è altrove

conosciuta nel periodo medioevale. Se si passa all’età moderna, con la formazione delle

grandi monarchie l’accentramento dei poteri nel sovrano si esercita in maniera assoluta nel

campo finanziario11. La raccolta di informazioni sulle entrate e sulle spese pubbliche e la

compilazione di documenti contabili sono presenti, ma solo per l’esigenza fondamentale di

informazione e rendicontazione, da parte degli esecutori finanziari, nei confronti del

“sovrano”. Il potere del Re di prelevare coattivamente risorse (power to tax) incontra il solo

limite delle reazioni dei contribuenti, che potrebbero sfociare in ribellioni. I governi

“assoluti” temono soprattutto gli aristocratici che vogliono partecipare, per mantenere o

accrescere i loro privilegi, alle scelte di prelievo e di spesa delle risorse collettive. In

Inghilterra, con l’approvazione nel 1215 della Magna Carta, in epoca medioevale

l’aristocrazia conquista il “diritto al bilancio”, ma in forma molto limitata: le esigenze di

tassazione del sovrano devono confrontarsi con gli interessi dei baroni, che hanno il potere

di approvarle o respingerle sulle base di scarne informazioni: si è molto lontani dai moderni

“processi di bilancio”. In altri paesi assemblee di rappresentanti di sudditi “privilegiati”

vengono gradualmente costituite (gli Stati generali e i Parliaments dell’Ancien Régime, le

Cortes, ecc.). Esse hanno in realtà funzioni poco più che consultive e si riveleranno, per molti

secoli, assai poco conflittuali nei confronti dei sovrani assoluti, legittimando “a comando” (e

quando, talvolta solo per evitare possibili ribellioni, sono convocate) le scelte di prelievo e di

spesa del sovrano. La loro composizione, anche quando è estesa oltre la nobiltà e il clero, è

decisa dal sovrano e i loro membri sono resi docili con vari mezzi, inclusa in Francia la loro

“nobilitazione” con il privilegio dell’esenzione dai tributi.

In questa epoca, quindi, il budgeting riguarda i rapporti tra il sovrano e i funzionari

incaricati di eseguire il bilancio, che debbono solo a lui fornire le informazioni necessarie.

Come osserva Puviani12: “Mancò per lungo tempo l’uso di metodi adatti alla formazione di

uno specchio unitario e regolare delle entrate e delle spese pubbliche … E’ bensì vero che

10 Ricca Salerno G. (1910), p.100. 11 “Political absolutism is synonymous with centralization. No longer peripatetic feudal monarchs successfully asserted power over peripherical elements in society to enhance their control” (Webber C., Wildavsky A., 1986, p.235) 12 Puviani A. (1973, originariamente 1903), p. 56 ss.

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assai di buon’ora chi amministra il pubblico denaro è sottoposto a norme speciali, ha

l’obbligo di tenere nota in appositi libri dei fatti amministrativi compiuti, è sottoposto al

controllo di autorità gerarchiche. Ma manca la pratica di riassumere e di ordinare in un

generale prospetto le entrate e le spese.” Le tecniche contabili evolvono secondo le esigenze

del Principe: vengono gradualmente limitate le autonomie delle numerose casse in cui è

ripartita la gestione del danaro “pubblico”, ma si mantiene la pratica di presentare i conti al

netto (entrate disponibili al Principe al netto di spese non solo di riscossione, ma anche di

carattere locale e di interesse dei potentati locali) e non si conosce l’attribuzione delle entrate

e delle spese ad un esercizio finanziario. Un connotato fondamentale dei conti pubblici è la

loro segretezza, tanto più apprezzata dal Principe quanto più siano accurati13. In Francia gli

Stati generali, a fine Cinquecento, provarono, ad opera del Terzo Stato, a chiedere

formalmente che le spese e le entrate fossero ciascun anno approvate per capitoli e articoli

(per ragioni di trasparenza), ma ovviamente senza alcun risultato 14 . I monarchi non

costituzionali ritenevano loro privilegio disporre dei tributi dei sudditi, spendendo a loro

piacimento il danaro raccolto e questa attività finanziaria non doveva essere conosciuta, nel

suo complesso e nelle sue articolazioni: “…una piena notizia dei conti pubblici nel loro

complesso, prima della proclamazione delle moderne Costituzioni, fu impedita da un gran

numero di istituti e pratiche; e tali furono: il metodo contabile della pluralità delle casse e

poscia la confezione incompleta del conto generale colla produzione delle entrate al netto e

colla loro ripartizione in esercizi di incerta estensione; il segreto imposto agli ufficiali … e ai

loro addetti; … la corruzione dei membri incaricati di consentire le imposte; il privilegio di

questi membri e dei corpi incaricati del controllo; la mancanza di un’organizzazione

unitaria fra questi ultimi ;… infine i divieti fatti di occuparsi con stampe di cose finanziarie

e le punizioni a coloro che si opponessero alla politica tributaria del Principe”.15

Come si è detto, con l’approvazione della Magna Carta nel regno inglese venne

formalizzata la sottomissione del Sovrano al Parlamento (dei Lords) in materia di finanza

pubblica: “by establishing the principle that the king must obtain his subjects consent

before he could levy new taxes, the barons declared that, like all other men, the king was

13 “Chi maneggiava il denaro pubblico e chi controllava la gestione finanziaria ebbe l’obbligo di mantenere il segreto su ciò che vedeva” (Puviani A.,1973, p.63). 14 “Il Re aveva sentito la necessità di compilare uno “stato” di tutte le spese annuali e ne aveva incaricato l’ufficio del controllo generale delle finanze, dove erano centralizzati più o meno completamente i documenti contabili. Poi, lo “stato” preparato dall’ufficio del controllo generale era esaminato dal Consiglio del re; una volta approvato da questo in modo definitivo, diveniva ciò che si chiamava état du vrai e faceva legge per le camere, che erano obbligate a conformarvisi” (idem, p.67) 15 Puviani A. (1973), p. 79, corsivo mio.

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subject to law”16. La limitazione riguardava formalmente solo il power to tax17 e i re inglesi,

come gli altri sovrani europei, per alcuni secoli riuscirono ad evitare il controllo diretto sulle

loro spese (che comprendevano indistintamente quelle private del sovrano e quelle che oggi

definiamo pubbliche, ossia dello Stato, ad esempio per la difesa) finanziandole anche con il

ricorso al credito, nella consapevolezza che, quando si sarebbe dovuto rimborsarlo, il

Parlamento sarebbe stato convinto ad autorizzare il necessario aumento dei tributi. Trovare

finanziatori si rivelava normalmente agevole, poiché “lending to the kings was profitable

business when from 25 to 50 per cent interest was repaid with the principal” 18 . Il

finanziamento in debito (oltre che con la limitata creazione di moneta allora possibile) era

una pratica molto diffusa presso i governi del tardo medioevo e dell’età moderna19.

Gli effetti pratici del sistema della Magna Carta sul controllo parlamentare dei poteri

finanziari del sovrano inglese erano molto limitati, rispetto a quanto sarebbe avvenuto in

epoche più recenti, ma il “power to tax” rappresentò il passo necessario per la crescita del

potere parlamentare in materia di finanza pubblica, e delle connesse e sempre più complesse

procedure del moderno budget dello Stato, e da allora è connotato fondamentale dello Stato

democratico.

3. Le conseguenze delle “grandi” rivoluzioni borghesi europee

Nel regno inglese, “nobles’ control of the state’s financial apparatus weekened

during seventeenth-century Puritan Revolution” 20 , ma una decisa (per i tempi)

democratizzazione delle Finanze pubbliche si ottiene solo con la Glorious Revolution, che

nel 1689 riaffermò inequivocabilmente il potere del Parlamento sul prelievo coattivo e

consentì di estenderlo gradualmente a tutti gli aspetti della finanza pubblica. La

“Rivoluzione” (che precedette di un secolo quella molto più violenta in Francia) costrinse i

16 Webber C., Wildasky A. (1986) p.175. 17 Nelle parole della Magna Carta: “No scutage or aid may be levied in our kingdom without its general consent” (Wehner J., 2010, p.3). 18 Idem, p.193. 19 “Foretelling the future, the north Italian communes financed government partly by borrowing, then funded and managed their debt in an orderly fashion” (idem, p.203). 20 Webber C., Wildavsky A. (1986), p. 210.

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sovrani, William III e Mary II, a emettere il Bill of Rights che stabiliva “That levying money

for or to the use of the Crown by pretence of prerogative, without grant of Parliament, for

longer time, or in other manner than the same is or shall be granted, is illegal”. Qualche

anno più tardi, nel 1698, il Parlamento approvò il Civil List Act, che stabilì che la “Corona”

fosse finanziata con 700 mila sterline annue (prelevate dal gettito tributario) per far fronte

ai costi “of civil government and the royal establishment”21, ossia le spese (diverse da quelle

per la difesa) del governo centrale e quelle di mantenimento della famiglia reale. Nel corso

del secolo successivo il Parlamento inglese raramente respinse le ulteriori richieste di

finanziamento dei Sovrani. Tuttavia, “by requiring the king’s ministers to come before

it…the legislature maintained the principle of independence and guarded its autonomy

against resurgence of royal absolutism” 22 . La conquista piena della “democrazia di

bilancio” nella monarchia britannica richiese molto tempo: il Parlamento conquistò

gradualmente gli strumenti per potere esercitare il completo control delle spese pubbliche.

Nel corso del Settecento venne spezzata la diffusa consuetudine di legare il gettito di certi

tributi a particolari spese. Con la creazione, nel 1787, del “Consolidated Fund” si stabilì il

principio, ora rispettato in tutte le democrazie, dell’unità delle voci del bilancio dello Stato.

Nel periodo dominato dallo spirito della “Glorious Revolution” (seconda metà del Seicento,

prima parte del Settecento) le nuove tendenze favorirono la spontanea formazione di

funzionari esperti nel campo delle finanze pubbliche che, tra l’altro, sperimentarono nuove

procedure23. In particolare: “By drawing up estimates of expenditures and balancing them

against proposals for taxes, William Loundes…effectively created the first parliamentary

budget”24. Va ricordato che nella prima metà del Settecento (1742) si ebbe il primo voto di

sfiducia parlamentare (dei Commons) contro Sir Robert Walpole (colui che per primo

ricoprì la carica di Primo Ministro del Regno), in materia diversa dal Budget, ma che avrà

conseguenze durature sul budget process di questo Paese.

Un secolo dopo, la Rivoluzione Francese, con cruda violenza, rovescia la Monarchia

e instaura una Repubblica, le cui caratteristiche hanno influenzato, in varia misura,

l’evoluzione successiva di molti Stati. In materia di Finanza pubblica, l’Assemblea

Costituente rivoluzionaria approva nell’ambito della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e

del cittadino” il principio secondo cui: “Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro

21 Wehner J. (2010), p.4. 22 Webber C., Wildavsky A. (1986), p.286. 23 “Sidney Godophin-First Lord of the English Treasury under four monarchs before and after the Glorious Revolution-represents the pragmatic administrator who implements new programs.” (Idem, p.243). 24 Idem.

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stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità della contribuzione pubblica, di

consentirla liberamente, di seguirne l’impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione,

l’esazione e la durata” e inoltre: “la società ha il diritto di chiedere conto a tutti gli agenti

pubblici della loro amministrazione”25 . Questi caratteri fondanti individuano un primo

obiettivo dell’organizzazione dei bilanci e dei loro processi di approvazione e controllo,

quello di consentire scelte finanziarie alla generalità dei cittadini, ove possibile informati e

consapevoli. Come si è osservato per il Regno inglese, le tecniche contabili alla base dei

bilanci pubblici avevano vissuto una lunga evoluzione: si è rilevato che “when early-modern

state officials talked of budgets they often meant proposals for taxes”26, ma già nel Seicento

e Settecento i funzionari si riferiscono, con il termine budgeting, anche alle procedure di

tenuta, esposizione e cura dei registri delle finanze del governo.

Nel complesso, le acquisizioni permanenti dell’epoca delle principali rivoluzioni

“borghesi” nella finanza pubblica sono legate alle conquiste fondamentali del governo

costituzionale: “the idea of the control of the purse emerged concurrently with legislative

restriction of the sovereign…. The most important idea that emerged… was that state

finance should be public finance”27.

Oltre un secolo dopo, Nitti può constatare che: “un buon ordinamento del bilancio

non si è raggiunto che lentamente e solo in modo limitato. Or esso ha la più grande

importanza non solo dal punto di vista costituzionale, ma anche dal punto di vista

economico” 28 . Molti furono gli ostacoli da superare perché quell’obiettivo si potesse

considerare sufficientemente avvicinato, tra cui la definizione dei criteri di partecipazione

dei cittadini alle scelte collettive pubbliche. Da questo punto di vista si noti che quasi cinque

secoli sono stati necessari affinché, dopo la Magna Carta, si arrivasse in Inghilterra, con la

ricordata Glorious Revolution, ad avere una Finanza pubblica decisa con l’accordo, non della

totalità e nemmeno della maggioranza, dei “sudditi” di un Regno costituzionale, ma della

maggioranza dei rappresentanti della parte “borghese” del Paese. Lo sviluppo della

democrazia di bilancio richiederà la “conquista” di Camere rappresentative elette con un

suffragio elettorale che si estenderà molto lentamente, limitato da criteri, oltre che di

maggiore età, di censo e/o di istruzione e di sesso, rimossi completamente, in Europa e in

25Traduzione italiana presa dal sito: unipv.it/storiadoc. 26 Webber C., Wildavsky A. (1986), p.283. 27 Idem, p.296 (corsivo mio). 28 Nitti F.S. (1907), p. 641.

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altri paesi a democrazia liberale, solo nel corso del Novecento29; questo processo, lungo e

discontinuo, ebbe conseguenze anche sulle dinamiche del livello e della struttura della

tassazione e della spesa pubblica30. La conquista del “diritto al bilancio” comportò anche

una scelta istituzionale fondamentale, quella tra democrazia diretta e democrazia

rappresentativa (entrambe possibili in un assetto democratico dei poteri) nelle scelte di

Finanza pubblica. Anche se ha prevalso, per varie ragioni (anche di praticità, in paesi con

popolazione non esigua) la democrazia rappresentativa, non sono mancati i casi di scelte di

finanza pubblica sottoposte a criteri di democrazia diretta (si pensi alla Confederazione

svizzera e allo Stato della California negli USA)31. Un’altra Rivoluzione settecentesca (in

realtà nata come guerra di indipendenza), quella nordamericana, è strettamente connessa

con la questione del potere in materia di Finanza pubblica, in particolare di “Tax Power” (No

Taxation without representation è l’imperativo dell’indipendenza dal Re e dal Parlamento

inglese, che non ammette tra le sue file i rappresentanti dei colonists americani). Nel

prossimo paragrafo si vedrà che la costruzione di una “democrazia di bilancio” assumerà

negli USA caratteristiche diverse (che ancora tali permangono in maniera significativa) da

quelle delle democrazie nate dalle Rivoluzioni europee.

29 In Italia solo nel 1945 le donne sono ammesse al voto, diritto che eserciteranno per la prima volta nel referendum del 1946 che condusse alla nascita della Repubblica. 30 Di Majo A. (2018), cap.3 e la bibliografia ivi indicata. 31 Se la scelta generale, specialmente per le decisioni finanziarie, andò nella direzione della democrazia rappresentativa, ci sono casi di ricorso a forme di democrazia diretta, come il referendum sulla legislazione adottata o proposta da assemblee legislative, e in qualche Paese, la formazione di leggi in maniera complementare, ma in certi stati alternativa, a quella parlamentare, con l’iniziativa e l’approvazione popolare. In Svizzera l’iniziativa legislativa diretta dei cittadini trova un limite nella possibilità che il Parlamento risponda con proposte alternative e il risultato finale è normalmente un compromesso tra la proposta dei cittadini e quella dei loro rappresentanti. Lo Stato della California rappresenta il caso più emblematico della sopravvivenza di significative forme di democrazia diretta in materia di bilancio pubblico (alternative rispetto al voto parlamentare) in Stati di non esigua dimensione. Negli anni Settanta del Novecento queste prerogative popolari originarono una crisi di Finanza pubblica: la possibilità di ballot-box budgeting (approvazione diretta di leggi di finanza pubblica da parte degli elettori) fu utilizzata nel 1978 con la Proposition 13, che riguardava la property tax, la principale fonte di entrata degli enti sub statali (le contee e le municipalità). La legge approvata, su iniziativa e con il voto dei cittadini (non emendabile dall’assemblea dei rappresentanti), abbassò sia l’aliquota nominale dell’imposta (dal 2,6 all’1 percento) sia gli imponibili (il valore attribuibile agli immobili a fini tributari), con il risultato che gli enti locali andarono in disavanzo e lo Stato della California dovette sostituire con trasferimenti il mancato gettito. L’iniziativa, ripetuta in materia di spesa pubblica negli anni successivi, comportò un disavanzo del bilancio dello Stato, che secondo la Costituzione avrebbe dovuto mantenere il pareggio, anche perché l’approvazione degli aumenti di imposta, in base alla stessa Proposition 13, avrebbe richiesto da allora in poi una maggioranza dei due terzi dei membri di entrambe le Camere del Parlamento. Con molta difficoltà nei decenni successivi le finanze statali, ripetutamente andate in disavanzo, sono state risanate. La riforma del metodo delle Propositions (democrazia diretta) su imposte e spese pubbliche viene ripetutamente auspicata, come, più limitatamente, la regola dei due terzi dei voti per gli aumenti di imposta, ma a tutt’oggi la disciplina legislativa dello Stato della California è rimasta immutata.

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4. La formazione e le vicende della democrazia di Bilancio negli Stati

Uniti d’America.

Conquistata l’indipendenza nel 1776, gli Stati Uniti non hanno un vero Stato centrale

(“federale”) dotato di un sistema appropriato di Finanza pubblica, che verrà realizzato solo

con la Costituzione del 1788. Nel periodo intercorrente tra la conquista dell’indipendenza e

l’approvazione della Costituzione, il Congresso dei Rappresentanti, principalmente a causa

della indisponibilità di poteri tributari, non riusciva né ad affrontare il problema del debito

pubblico accumulato in seguito agli eventi bellici, né a trovare finanziamenti per i progetti

di investimento (strade, ecc.) di portata eccedente quelli deliberabili e gestibili con i poteri

dei singoli stati federati: “Congress continued to ask for voluntary payments from the

states” 32 , ma i trasferimenti degli stati allo Stato centrale erano diminuiti, dopo la

conclusione della guerra, fino al quasi annullamento nel 1787. Nelle discussioni sulla

Costituzione, nel corso della Convenzione di Philadelphia, si fronteggiarono,

sull’organizzazione del nuovo Stato, le proposte dei “Federalisti” di Hamilton e quelle dei

Republicans di Jefferson: prevarranno i primi e il Congresso diventerà l’Assemblea

legislativa di un vero Stato, dotato del power to tax (con dazi e imposte indirette), della

possibilità di contrarre debito pubblico e della esclusività nella creazione di moneta. Si

risolve anche il problema della divisione dei poteri dello Stato federale: prevale l’idea che un

“independent executive” è “the very essence of tyranny”33: la guerra di indipendenza era

stata vissuta come una Rivoluzione contro un potere esecutivo sovrano, quello del Re di

Inghilterra.

Bisognava, però, definire in concreto gli strumenti di governo della finanza federale.

Si ripresentò la divisione tra Hamilton, diventato il 1° Ministro del Tesoro, che aspirava ad

una centralizzazione nell’esecutivo della politica di Finanza pubblica (con la formazione e la

redazione del bilancio) e i Republicans che, oltre a preferire un conferimento di più ampi

poteri ai singoli stati federati, difesero, vincendo questa volta, la “parlamentarizzazione” del

processo di bilancio federale, unica garanzia di realizzazione di una “democrazia di

bilancio”34: “It took over a century before the concept of executive responsibility for budget

32 Brownlee W.E. (2016), p.27. 33 Lo Stato federale venne costruito sul principio “Executive power… nothing more than an institution for carrying the will of the legislature into effect” (Webber C., Wildavsky A., 1986, p. 389). 34 “The best vantage point for observing the struggle between adherents of executive versus legislative control of government is in the appropriation process. The nation’s early history records innumerable efforts to make the Executive dependent on Congress (or at least its committees)” (Webber C., Wildavsky A. 1986, p. 392).

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preparation and execution was largely, though not entirely, accepted”35. Il bilancio veniva

formalmente approvato dal Congresso, in assenza sia del Presidente degli Stati Uniti sia del

Segretario (Ministro) del Tesoro. Le discussioni sulla “sede” della preparazione del bilancio

durarono per tutto l’Ottocento. La legge istitutiva del Treasury Department sanciva che il

Segretario del Tesoro doveva raccogliere le stime annuali dei Dipartimenti di spesa, per

assemblarle e trasferirle al Congresso, senza alcuna variazione e nessun commento. Nel

corso del tempo, con difficoltà, il Governo conquistò qualche potere, come nel 1820, quando

il Presidente fu autorizzato a eseguire alcuni trasferimenti di fondi tra diverse poste del

bilancio; questa pratica, invece di limitarsi a poche eccezioni, si estese talmente, che il

Congresso non riusciva ad esaminare accuratamente le richieste in tempi ragionevolmente

brevi, per cui nel 1842 i capi dei dipartimenti governativi furono autorizzati dal Parlamento

ad effettuare direttamente, con certe eccezioni, questo tipo di operazioni36. Altri poteri in

materia di bilancio furono ottenuti dal Governo, ma non tali da stravolgere il principio che

la preparazione (e non solo l’approvazione) del bilancio restava un compito parlamentare37.

Si trattava, nella comparazione con altri paesi democratici (europei), del cosiddetto Budget

Exceptionalism statunitense.

Questa “eccezionalità” fu ripetutamente messa in discussione nel corso della seconda

parte dell’Ottocento, ma solo una Commissione nominata dal Presidente Taft, il cui rapporto

(The Need for a National Budget) fu ultimato nel 1912, giunse a una proposta concreta di

cambiamento, contenente l’invito al Presidente degli USA a presentare un progetto di

Budget per l’anno 1914. Il Congresso manifestò il suo timore per la possibile usurpazione di

potere da parte dell’esecutivo e invitò i Dipartimenti governativi a inviare, come al solito, le

stime di Bilancio direttamente alle competenti Commissioni parlamentari. Il conflitto tra

Presidente e Congresso venne evitato sia perché le elezioni del 1912 comportarono la

sostituzione del Presidente Taft con Woodrow Wilson, sia per le successive vicende

belliche38. Solo nel 1921 le Camere approvarono il “Budget and Accounting Act” che inaugurò

un lungo periodo di presidential dominance 39 . I Dipartimenti (Ministeri) furono così

obbligati a inviare le loro stime di entrate e spese direttamente al Bureau del Budget, una

nuova istituzione posta sotto il controllo diretto del Presidente: nessuno stanziamento di

bilancio avrebbe potuto essere effettuato senza l’approvazione sia del Presidente sia dei due

35 Idem, p.392. 36 “When in 1842, department heads received authority to transfer surplus funds from one item to some other… the battle against transfers was lost” (idem, p.395). 37 Idem, pp.399-400. 38 Idem, p.413. 39 Wehner J. (2010), p.131.

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(uno per il Senato e l’altro per il Camera dei rappresentanti) Appropriation Committees. A

parte gli aspetti tecnici, ci si può chiedere se la riforma incise sulla separazione dei poteri

statali. Si sostiene:” Creation of a new layer in the budget process did not modify the

separation of powers nor the federal system”40; mi sembra che questa conclusione non

possa essere condivisa solo perché nel periodo che va dagli anni Venti agli anni Settanta del

Novecento, di crisi economica e di eventi bellici, non si sono manifestati rilevanti conflitti

tra i due poteri. Infatti, la conclusione della guerra del Vietnam, nel 1973, aprirà un periodo

di pace e immediatamente si manifesterà un conflitto tra esecutivo e legislativo in materia

di governo delle Finanze pubbliche, che si concluderà con una modifica del Budget Act del

1921. Nel 1973 Nixon viene eletto Presidente per la seconda volta consecutiva e, al contrario

del quadriennio precedente, il Congresso è a salda maggioranza repubblicana. Nel corso del

mandato precedente erano state approvate molte leggi di spesa con maggioranze

“bipartisan”: nella nuova situazione la Presidenza non era disposta ad accettare maggiori

spese (diverse da quelle militari). L’executive budget per il 1974 proponeva stanziamenti di

spese molto minori di quelli desiderati dalla maggioranza del Congresso. Quando i Comitati

Parlamentari (Appropriation Committees) aumentarono gli stanziamenti, rispetto alle

proposte governative, Nixon rifiutò di trasformarli in spese effettive, ricorrendo alla

procedura di impoundment 41 , che cercò di imporre come prerogativa presidenziale di

riduzione della spesa, invece che occasionale e neutrale semplificazione dei conti pubblici. Il

Congresso reagì approvando il Congressional and Impoundment Act, che rese

l’impoundment una procedura proponibile dal Presidente, ma adottabile solo dal Congresso,

i cui poteri furono quindi rafforzati relativamente a quelli dell’esecutivo (in controtendenza

con quanto stava accadendo in altre democrazie occidentali). In quella occasione fu anche

formalizzato il ruolo del Congressional Budget Office (loyal to the institution of Congress42)

e furono istituiti e regolati i Budget Committees delle due Camere. Inoltre furono previste

40 Webber C., Wildavsky A. (1986), p.413. In conclusione di questo period, questi autori (idem, p. 427), riferendosi alla rilevanza dei compiti redistributivi del Budget, osservano:” It took a quarter century past American entry into the Second World War for a revived sectarian regime to alter budgetary understandings (…) in order to raise spending for redistributive purposes. American exceptionalism in budgeting would still exist - hierarchy, hence executive budgeting would be weaker and spending, though growing, would be smaller than elsewhere- but it would no longer present so stark a contrast with European democracies. American exceptionalism had come to an end. From this time on, the United States would lag behind, but would not fundamentally differ from, the welfare states of Western Europe”. 41 Quando i fondi stanziati “could not be spent usefully and immediately, the executive did not have to spend it…Indeed…Impounding based on tacit consent was an informal safety valve for keeping spending under control. Congress would not have to vote the repeal of funding; the president…would merely refuse the funds to the affected agency.” (Wildavsky A., Caiden N., 2001, p.76). Questa cancellazione (impoundment letteralmente significa confisca) dei fondi era stata in precedenza usata in casi non controversi e quindi non messa in discussione nel Congresso. Ora Nixon “tried to change this tradition of informal understanding in special cases to a general presidential prerogative” (idem). 42 Idem, p.78.

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procedure di Resolution e Reconciliation tra Presidente e Congresso nel caso di opinioni

diverse sulle decisioni di bilancio. Non si può dire che si sia ritornati al Congressional

Budget del periodo precedente il 1921, ma sicuramente il budgeting si è complicato43 e, in

definitiva, il power of purse risulterà regolato dalle votazioni parlamentari, non influenzabili

da “voti di fiducia” di proposta governativa, come in Europa, ma solo da negoziazioni

politiche tra i membri di due poteri indipendenti (l’esecutivo e il legislativo), che possono

essere molto dure, come dimostrano i casi di sospensione di spese federali (con conseguenti

chiusure di uffici del governo federale) verificatisi nel corso degli anni (l’ultima volta, per

ora, nel 2018).

La spesa pubblica totale (di tutti i livelli di governo) degli USA è attualmente pari a

circa il 37 per cento del Prodotto interno lordo. Quella del governo federale si aggira intorno

al 21 per cento; questa ultima è quella regolata dal tipo di Budgeting fin qui considerato. La

rimanente parte, più del quaranta per cento della spesa totale, è amministrata dagli Stati

federati e dalla finanza locale. Gli Stati federati hanno separati poteri legislativi ed esecutivi,

la cui ripartizione, in materia di Bilancio, può essere diversa dal modello federale44. In

generale il progetto di “Executive budget” viene presentato alle Assemblee legislative, che

hanno, in molti casi, vasti poteri di modifica. In 41 stati (su 50), il Governatore ha potere di

veto sui singoli capitoli del bilancio, veto che può essere annullato dall’Assemblea legislativa

mediante l’approvazione del Bilancio con maggioranza dei due-terzi. I Budget process sono

differenziati sotto molti aspetti45. Dal punto di vista macroeconomico si deve ricordare che

in 44 stati il Governatore deve presentare all’Assemblea legislativa un progetto di Bilancio

in pareggio e in 41 stati l’Assemblea ha l’obbligo di approvare un bilancio in pareggio. Nella

maggior parte degli stati il potere dell’esecutivo appare istituzionalmente più forte (rispetto

al legislativo) di quanto avviene a livello federale. Anche per gli Stati federati la disciplina

del Bilancio pubblico si è evoluta nel tempo, con percorsi diversi per i singoli Stati, e quello

qui accennato è solo il punto di arrivo del sistema americano di organizzazione federata delle

scelte di Finanza pubblica46.

43 “A Congressional Budget, or Merely More Budgeting?” (Idem, p.81). 44 “The extent of a governor’s authority in the budget process varies among states” (NASBO, 2015, p.39) 45 Idem. Si veda in particolare il capitolo 2 su “Requirements, Authorities and Limitations” (pp.39-60) 46 Sull’evoluzione del sistema statunitense, dalle organizzazioni finanziarie “pubbliche” dei colonists in poi, rimando a Brownlee (2016) e alla “Historiography and Bibliography” (pp. 295-320) in esso riportata.

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5. La realizzazione della democrazia di bilancio negli Stati europei, dal

Congresso di Vienna alla 1a guerra mondiale.

Il periodo che intercorre tra la Restaurazione post-napoleonica e la Prima guerra

mondiale è caratterizzato dall’alternarsi di tentativi atti a far rivivere regimi assolutistici

ovvero ad avviare durature democrazie costituzionali 47 . Di conseguenza, anche la

costruzione della “democrazia di bilancio” subisce molti stop and go; solo tra la fine del

secolo diciannovesimo e l’inizio del ventesimo si può dire che la fine del vecchio ordine

politico si è compiuta: nella maggior parte dei paesi occidentali (sostanzialmente europei) si

stabilirono regimi costituzionali di governo, apparentemente duraturi Questo processo

assunse tempi e caratteristiche diverse nei vari paesi e se è accettabile l’opinione sull’assetto

complessivamente raggiunto nei primi due decenni del Novecento, più variegata deve essere

la descrizione dell’intero periodo.

La democratizzazione della Finanza pubblica, attraverso un processo di bilancio

basato sull’attività di rappresentanze parlamentari e secondo prescrizioni costituzionali,

avviene seguendo un percorso accidentato, per molte ragioni. Rispetto a quanto si è visto

per gli Stati Uniti d’America, i paesi europei debbono superare difficoltà aggiuntive perché

si tratta di Stati di antica formazione, spesso con eredità feudali ancora vive, se non nelle

forme giuridiche nella concreta concezione dell’esercizio del potere, e con complesse

articolazioni di ceti o classi sociali. La diversificazione degli interessi per le modalità di

organizzazione delle decisioni di Finanza pubblica è quindi molto più ampia rispetto a

quanto visto per gli USA.

Per analizzare questo periodo conviene soffermarsi sul Regno Unito, che segue un

percorso che conduce, in materia di budgeting, a un esito, sotto rilevanti aspetti, opposto a

quello degli Stati Uniti, esito così duraturo che ancora oggi i processi di bilancio degli Usa e

del Regno Unito vengono considerati i due estremi entro cui si situano quelli degli altri Stati

democratici sviluppati48. La storia di questo paese dimostra come il ruolo del Parlamento,

come limitatore del potere finanziario del governo, sia stato formalmente mantenuto

47 Si vedano gli scritti di Storia contemporanea; ad esempio, posso rimandare a Villari R. (1971), capitoli V-IX. 48 Si veda Lienert I. (2005).

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(government may not spend more than authorized in law or for other than authorized

purposes49), avendone perduto de facto gran parte del contenuto.

Il processo di democratizzazione parlamentare delle scelte di Finanza Pubblica si può

considerare concluso nel Regno britannico con la decisione di Gladstone (Cancelliere dello

scacchiere) di avviare nel 1852 l’accentramento del controllo dei conti pubblici nel Treasury,

convincendo i Commons ad istituire un Committee of Public Accounts e collocando presso

l’ Exchequer l’autorizzazione ai pagamenti dei vari Dipartimenti (Ministeri), così come il

controllo successivo delle spese, con la dichiarata intenzione di consentire al Parlamento di

verificare che le spese siano state quelle previste e, comunque, mantenute entro il valore

“minimo indispensabile”.

Nel corso della seconda metà dell’Ottocento i Commons frequentemente emendano

le proposte governative di entrata e di spesa, ma la crescita del loro potere fa venir meno il

loro ruolo originario, di limitatore del potere di spesa dell’esecutivo: “The House of

Commons –now that it is the true sovereign, and appoints the real executive- has long

ceased to be the checking, sparing, economical body it once was. It is now more apt to

spend money than the Minister of the day”50. Questa reputazione di fiscal profligacy

(prodigalità) del corpo legislativo non caratterizza solo il Parlamento inglese, ma viene

percepito in molti altri paesi europei51. D’altro canto, l’esistenza, in Gran Bretagna, di un

ramo parlamentare la cui composizione era (e ancora in parte è) ereditaria (House of Lords),

condizionava le decisioni di Finanza pubblica: i Commons avevano aperto la discussione sui

poteri dei Lords “to amend tax and spending bills” già alla fine del Settecento. La rimozione

del potere di veto dei Lords fece seguito al rifiuto della Camera Alta di approvare il Finance

Bill del 1909; si approvò quindi, nel 1911, una legge che tolse loro il potere in materia di

“money bills” (legislazione di contenuto finanziario). Il Governo aveva avviato nel 1872

l’erosione del potere parlamentare, introducendo molte limitazioni nei tempi e nelle

modalità di discussione delle leggi di iniziativa governativa; inoltre nei primi anni del

Novecento, il Governo cominciò a ritenere gli emendamenti del Parlamento alle sue

proposte di Budget inammissibili sfide al suo potere finanziario. Alla fine, anche per le

polemiche suscitate da alcuni episodi particolari (di valore monetario non rilevante, come il

rifiuto di finanziare nel 1919 un secondo bagno nella residenza del Lord Chancellor), nel 1921

l’esecutivo riuscì a far passare la regola secondo cui any amendament would be tantamount

49 Wehner J. (2010), p.8. 50 Bagehot W. (1867), p.154. 51 Wehner J. (2010), p.7.

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to a vote of no confidence, con conseguente crisi di governo e, solitamente, nuove elezioni.

Da allora il Governo è diventato l’effettivo “dominus” del Budget pubblico britannico, senza

alcun potere autonomo (diverso dal mero negoziato politico) del Parlamento (a parte il voto

contrario sul complesso del Budget equivalente a sfiducia del governo) nell’allocazione delle

spese pubbliche e nelle scelte tributarie.

La centralizzazione delle decisioni di Finanza pubblica fu decisa in Francia con leggi

approvate nel decennio della Restaurazione (tra il 1817 e il 1827), ma le vicende politiche del

secolo ne determinarono solo una parziale applicazione. La regolamentazione del processo

di bilancio rispettoso dei principi democratici fu, con difficoltà varie, cercata in diversi paesi

europei, comprese l’Italia e la Germania, paesi in cui, dopo l’unificazione, “budgeting still

followed earlier patterns, controlled by an autocratic executive with power to override a

weak legislature”52.

Alla fine del periodo considerato in questo paragrafo, i “processi di bilancio” dei vari

paesi europei assumono alcune caratteristiche comuni53, le più rilevanti delle quali sono così

sintetizzate da Webber e Wildavsky (mia traduzione e sintesi):

“1. Ogni Ministero sottopone al Tesoro le previsioni di spesa per l’anno successivo.

2. Il Tesoro raccoglie e consolida le previsioni di spesa in documento unico.

3. Il Tesoro formula previsioni di entrate per tributi e per indebitamento sufficienti

a coprire le spese e il servizio del debito accumulato in anni precedenti.

4. Il Parlamento dibatte le proposte…approva il Bilancio…, cioé una legge che

stabilisce i valori e le specificità delle spese previste. Nel rispetto nelle norme di economia

che governano il processo, un bilancio in pareggio è obbligatorio (a balanced budget is

mandatory).

5. Nei tempi dovuti i tributi vengono introitati e i fondi allocati ai Ministeri e spesi.

6. Infine, per stabilire se le spese effettuate corrispondono al mandato legislativo,

tutte le entrate e le spese contabilizzate dai Ministeri vengono esaminate dal Tesoro”54.

Nella quarta caratteristica comune dei Budget di fine Ottocento è compreso il

“pareggio del bilancio”, qualificato come “obbligatorio”. Questa affermazione merita alcune

52 Webber C., Wildavsky A. (1986), p.327. 53 Mi permetto di rimandare a Di Majo A. (2018), cap.4, in cui si ricordano i cosiddetti “principi del bilancio”, condivisi attualmente dalle democrazie sviluppate dell’OECD. 54 Webber C., Wildavsky A. (1986), p.327-8.

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precisazioni: 1) Il pareggio di bilancio non viene ovviamente rispettato nei periodi bellici (e

negli anni successivi ancora caratterizzati dalle conseguenze delle guerre), quando i Debiti

pubblici “esplodono” e si accetta la necessità di far fronte alle spese per il servizio del Debito;

2) non è mai ben chiaro come definire il “pareggio di bilancio”, anche in tempi normali,

essendo molto differenti e imprecise le norme contabili dei vari Paesi; 3) ai fini della

misurazione del saldo del bilancio, è discutibile se occorra tener conto (e in quale misura)

delle spese extra-bilancio e dei cosiddetti “Budget straordinari”.

Il “pareggio” viene esplicitamente considerato solo una regola di “buona

amministrazione”, e non si ritiene necessario ricorrere ad alcuna teoria economica per

giustificarlo. Infine, secondo le “regole” accettate, il bilancio di previsione, per facilitare il

rimborso del debito, deve sempre destinare ogni anno un certo ammontare di risorse a un

“sinking fund earmarked for debt retirement”55, il che conferma la normalità dell’esistenza

del Debito Pubblico.

Le norme contabili non erano univoche (anche internazionalmente) nel trattamento

delle diverse poste del Bilancio, in particolare delle spese di investimento56, e non v’era

sufficiente trasparenza nel processo di bilancio, problema con il quale bisognerà sempre

convivere. I conflitti esterni e le instabilità interne “led governments to violate these norms,

in ways we might still recognize, in continental nations especially, the extraordinary

budget and the supplemental appropriation were common features of financial

management throughout the century”57.

Il “pareggio”, quindi, non obbediva a un principio di teoria economica generale

(come nel pensiero degli economisti “classici”58). Lo si considerava, oltre che necessario alla

buona amministrazione, un disincentivo alla crescita della spesa pubblica, in un contesto in

cui il “peso” di questa non superava (comprese le spese di investimento) il 10 per cento del

prodotto interno lordo 59 . L’ottimismo sui risultati raggiunti nel “secolo d’oro” della

costruzione della democrazia di bilancio, in un contesto di teoria economica dominata

dall’idea dell’efficienza del mercato (guidato dalla “mano invisibile”, il meccanismo del

mercato di perfetta concorrenza attribuito, forse senza giustificazione, ad Adam Smith da

economisti dei tempi successivi), portava a considerare, in un contesto di analisi economica

55 Idem, p.331. 56 Si pensi alla classificazione, in vigore in Italia fino al 1964, che ripartiva le spese in effettive, movimenti di capitale e partite di giro, e non rendeva di immediata comprensione il saldo (finanziario e di competenza) del Bilancio dello Stato oscurando, in particolare, la distinzione tra spese correnti e spese di investimento. 57 Idem, p.332. 58 Sinteticamente ricordato in Di Majo A. (2018), pp. 25-26. 59 Di Majo A. (1998).

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neo-classica, il processo di bilancio (with its consultation over estimates and public debate

over alternative expenditures), come equivalente alla “mano invisibile” del mercato

competitivo e, quindi, idoneo (se ben congegnato) ad assicurare una efficiente allocazione

delle risorse, anche in presenza di beni pubblici e di altre spese pubbliche60.

Nel corso del secolo precedente la prima guerra mondiale si esaurì, nei paesi europei

con Assemblee legislative elettive, la lunga storia della conquista parlamentare della

sovranità sulla Finanza pubblica. Nel contempo erano iniziati i tentativi (spesso riusciti) di

far convivere la “democrazia di bilancio” con un maggior potere dell’esecutivo. Questo

processo inizia prima di avere ottenuto una piena estensione dell’elettorato attivo e passivo,

elettorato che è molto limitato (per censo, istruzione, sesso) in tutto l’Ottocento. Non è

questa la sede per discutere questi aspetti, ma va ricordato che la “governabilità” della

Finanza pubblica era allora resa più agevole dal suffragio ristretto che limitava la

disomogeneità dell’elettorato attivo, ma anche quella tra questo e i rappresentanti eletti.

Erano così attenuate le divergenze tra le preferenze degli elettori e tra queste e quelle degli

eletti, riducendo gli “inconvenienti” nella formazione delle decisioni collettive, molto

enfatizzati nella letteratura più moderna sulle scelte politiche, che non mette in discussione

il suffragio universale. Non v’è dubbio che nelle decisioni di Finanza pubblica la

trasmissione delle preferenze degli elettori diventa molto più problematica con l’estensione61

del suffragio, con conseguenze sull’evoluzione non solo delle “forme”, ma anche dei

“contenuti” delle scelte pubbliche.

La “democrazia di bilancio” all’inizio del ventesimo secolo viene, anche se con qualche

ironia, sintetizzata da Amilcare Puviani: “Viene finalmente il momento, nel quale è

riconosciuto in modo pieno e solenne a tutti i cittadini il diritto di votare l’imposta e di

conoscerne gli impieghi; viene il momento, in cui una suprema magistratura è incaricata,

non solo di controllare l’opera contabile di tutti gli agenti dell’amministrazione, ma ancora

di invigilare a che la legge di bilancio, votata dai rappresentanti del popolo, riceva dal potere

esecutivo precisa attuazione; viene il momento in cui le discussioni finanziarie sono fatte

pubblicamente e commentate in ogni angolo del paese dalla stampa…” 62 . L’obiettivo

60 Webber C., Wildavsky A. (1986), p.332. Pantaleoni (1883) sosteneva che le scelte del Parlamento rispecchiavano la valutazione media sull’utilità della spesa pubblica confrontata con il costo del finanziamento, assimilandole alle scelte (più o meno) efficienti del mercato. Com’è noto, l’equilibrio generale con beni pubblici fu dimostrato teoricamente possibile da Samuelson solo negli anni cinquanta del Novecento, come ricordato in ogni libro di testo di Finanza pubblica (mi permetto di rimandare a Di Majo A., 2018, cap. 2). 61 Per questi aspetti si rinvia alla letteratura sintetizzata nei testi di Scienza delle finanze (ad esempio, Cullis J., Jones P., 2009, cap.4). 62 Puviani A. (1973), p. 80.

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principale della costruzione del budgeting delle democrazie era stato in questo primo

periodo quello di consentire ai cittadini-elettori un ruolo (anche se indiretto) nelle scelte di

finanza pubblica, ma le difficoltà sono numerose: oltre al suffragio ristretto, le scarse

informazioni e il ruolo crescente delle lobbies nella formazione delle decisioni degli agenti

delle scelte pubbliche. Puviani (il primo teorico delle “illusioni finanziarie”) confronta i

risultati con le aspettative sul diritto al bilancio: “…il progresso, dal punto di vista della

conoscenza dei conti pubblici, è stato molto più formale che sostanziale, molto meno

profondo di quanto si declami. Se un’oscurità densa ravvolse la materia finanziaria nel

periodo della molteplicità delle casse e nel periodo dei resoconti generali più o meno

completi e periodici per norma del Principe (…) la luce del sole non si diffuse abbastanza da

dare un netto risalto ai contorni e agli intricati filamenti di quell’organo importante della

vita politica, che è il bilancio”63. La “trasparenza” dei Bilanci pubblici, nel senso che da essi

tutti (i cittadini? gli elettori? i parlamentari?) possano chiaramente rendersi conto delle

caratteristiche delle scelte finanziarie, è obiettivo sempre cercato e sempre avversato e

l’utilizzo delle “illusioni finanziarie”, da parte dei governanti, non è finito con la prima guerra

mondiale64.

6. La pace di Versailles, la crescita della spesa pubblica, la Grande

Crisi: la gestione dei Bilanci pubblici e la “Fiscal Policy”.

Il periodo successivo alla conclusione della 1a guerra mondiale è caratterizzato da

gravi “turbolenze” politiche e sociali, soprattutto nel continente europeo. Non è questa la

sede per rileggere quegli eventi65, ma bisogna avere presente la “cornice” più ampia entro

cui si sviluppavano le tendenze delle Finanze pubbliche e le caratteristiche della loro

63 Puviani A. (1973), p.108. Pantaleoni M. (1917, p.168) osservava: “ogni allargamento del suffragio è stato un passo sulla via dell’indebolimento delle condizioni del sistema parlamentare”, a causa della differenziazione eccessiva (rispetto al corpo elettorale “minoranza selezionata”) delle preferenze (nel gergo degli economisti) o degli interessi. 64 L’’economista italiano G. Parravicini richiamò costantemente l’attenzione sul nesso permanente tra scelte finanziarie e illusione finanziaria. Per un’analisi delle sue opinioni, si veda Di Majo A. e Paradiso G.M. (2011) e la bibliografia ivi ricordata. Una esauriente analisi moderna della “trasparenza” del bilancio pubblico si trova in De Simone E. (2010), p.103-142. 65 Posso rimandare, per una esposizione essenziale, a Villari R. (1971), capp.X-XII.

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gestione. Tra le due guerre mondiali dittature si affermano in diversi e importanti paesi

europei: lo svilimento della democrazia implica, in quei paesi, anche lo stravolgimento

delle regole e dei processi che, con contraddizioni e varie difficoltà, si erano “stabilizzati”

nella lunga storia ricordata nei paragrafi precedenti. Dal punto di vista formale spesso

l’approvazione, mediante votazione, dei Bilanci da parte di organi dichiarati

rappresentativi veniva mantenuta, ma era vuota della dialettica democratica, in

mancanza di opposizione e per la pratica impossibilità di non condividere le scelte del

governo. Questa premessa serve anche a confutare l’opinione degli studiosi che hanno

definito i cinquanta anni successivi alla prima guerra mondiale “Stability amidst

turbolence” nel campo dell’evoluzione del Public Budgeting66. In realtà la “stabilità” dei

processi di bilancio può essere stata significativa nelle democrazie (Gran Bretagna, Usa,

Francia prima dell’occupazione tedesca, …) mentre è una “permanenza” senza significato

nei regimi dittatoriali di quel tempo.

Nel corso di questo periodo l’enfasi delle decisioni di Finanza pubblica si sposta

dai processi ai risultati delle scelte, la cui rilevanza caratterizza tutti i paesi (siano

democrazie o regimi autoritari). Questo cambiamento si manifesterà gradualmente;

l’immediato dopoguerra è occupato dai problemi di riconversione delle economie (non

solo nei paesi in precedenza belligeranti), dalle negoziazioni sulle riparazioni richieste

dalle potenze vincitrici, dall’inflazione e dai problemi dei debiti pubblici, che l’estensione

(mondiale) del conflitto ha reso per la prima volta “universali” e non di rilevanza per un

singolo (o pochissimi) paese (i).

Le principali mutazioni “strutturali” delle Finanze pubbliche dei paesi sviluppati,

che incideranno anche sui modi del loro governo, possono essere così sintetizzate:

1) La crescita duratura, verso livelli mai sperimentati in tempi di pace,

delle dimensioni dei bilanci pubblici (misurate dal totale della spesa pubblica come

quota del prodotto interno lordo di ogni paese).

2) L’ assunzione, di entità sempre più rilevante, di compiti redistributivi

da parte dello Stato.

66 Webber C., Wildavsky A. (1986), pp.428 ss. In particolare, gli autori osservano che “it seems strange to talk of budgetary stability for the half century beginning in 1914…but, except in war time, there was more continuity than change”.

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3) La “invenzione” del ruolo macroeconomico della gestione dei bilanci

pubblici (Fiscal Policy), che inizia in alcuni Paesi nel periodo precedente il secondo

conflitto mondiale e si consolida e si estende successivamente.

A tutti coloro che si sono avvicinati allo studio dell’economia delle Finanze

pubbliche nel corso della seconda parte del secolo ventesimo è nota la ripartizione di Richard

Musgrave 67 dei compiti economici pubblici, idealmente raggruppabili in tre diverse

branches del Bilancio: dell’Allocazione, della Distribuzione e della Stabilizzazione delle

risorse, molto spesso utilizzata nell’interpretazione delle scelte finanziarie pubbliche.

Intorno al 1920 il “peso” della spesa pubblica risulta accresciuto rispetto ai decenni

precedenti la prima guerra mondiale: in percentuale del prodotto interno lordo, nella media

dei paesi più sviluppati, risulta pari a circa il 1568. Se si considerano i Paesi europei di

maggiore dimensione le percentuali sono: Francia 28, Germania 25, Italia 23, Regno Unito

26, mentre negli USA solo 7, molto maggiore però rispetto al periodo prebellico, quando si

aggirava sul 2 percento. Si tratta ancora, in grande prevalenza, se si escludono le spese per

Investimenti pubblici (non sempre riportate negli ordinari Bilanci, come si è già osservato),

di quelle che la Contabilità Nazionale avrebbe più tardi definito spese per Consumi Pubblici.

Si è avviato un trend che comporta un livello definitivamente più elevato del “peso” della

spesa pubblica: se si escludono le spese militari, nel 1937 esso raggiungerà il 29 per cento in

Francia, il 42 in Germania, il 25 in Italia, il 30 nel Regno Unito e il 9 negli USA.

Su questi ultimi valori, per i pochi paesi per cui sono disponibili ricostruzioni

affidabili dei dati69, è rilevante il ruolo che cominciano a rivestire le spese per trasferimenti

del Bilancio (la principale “posta” della redistribuzione pubblica dei redditi). Esse risultano

del 4 percento in Francia, del 10 nel Regno Unito, del 2 negli USA. La spesa pubblica totale

continuerà a crescere dopo la seconda guerra mondiale e la componente dei Trasferimenti

diventerà, nella prevalenza dei Paesi dell’OECD, circa dello stesso “peso” (talvolta superiore)

di quello per Consumi pubblici. Nel 1960 la spesa redistributiva era salita al 14 percento del

PIL nel Regno Unito e all’11 in Francia, anche se il “salto” più rilevante avverrà quasi

ovunque nel corso degli anni successivi, con “pesi” che nel 1970 risulteranno del 15 percento

nel Regno Unito, del 21 in Francia, del 13 in Germania, del 18 in Italia, del 10 negli USA, per

una media del 16 percento nei paesi appartenenti all’OECD.

67 Musgrave R. (1957). 68 Tanzi V. e Schuknecht L. (1995) riportano dati da loro stimati, in parte da me utilizzati in Di Majo A. (1998), p.32. 69 Idem, p.44.

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Le maggiori dimensioni dei bilanci pubblici rendono necessariamente più importante

la “corretta” (dal punto di vista sia economico sia manageriale) gestione delle risorse la cui

allocazione avviene in seguito a decisioni pubbliche e non attraverso il mercato.

Gradualmente la configurazione dei processi di bilancio verrà condizionata, oltre che da

problemi di ripartizione dei poteri, dalla ricerca del possibile “efficiente” utilizzo (quello che

nel linguaggio attuale degli studiosi e dei funzionari del management pubblico viene definito

“value for money”) delle risorse che passano attraverso i bilanci, indipendentemente dalle

priorità politiche che ne determinano l’entità e l’allocazione ai diversi usi. Questi tentativi,

solo parzialmente riusciti, si moltiplicheranno in tempi più recenti, ma trovano la loro

origine nel corso della prima metà del Novecento, in corrispondenza con la ricordata

accresciuta dimensione dei Bilanci pubblici.

La maggiore novità del quarto decennio del Novecento, nella politica e nella gestione

della Finanza pubblica, è la Fiscal Policy, che si afferma inizialmente con forti tensioni70.

Sono diffuse grandi incertezze sul ruolo che le Finanze Pubbliche (insieme ad altre politiche)

avrebbero dovuto e potuto svolgere nell’affrontare la prima grande crisi del capitalismo

maturo. Come sappiamo, questa situazione diede origine alle politiche macroeconomiche

“keynesiane”, le cui vicende sono discusse da una letteratura sterminata. In questa sede

vorrei solo ricordare l’essenza delle posizioni originarie sulle conseguenze delle politiche di

bilancio sui saldi del bilancio stesso.

La scoperta che la grande crisi poteva essere fronteggiata usando opportunamente le

politiche macroeconomiche di breve termine (monetaria e di Bilancio), attraverso i loro

effetti sulla domanda effettiva, ha conseguenze importanti sulle “regole” tradizionali di

gestione del Bilancio, principalmente con il rifiuto della “sacralità” del pareggio nei periodi

diversi da quelli di guerra e delle ricostruzioni post-belliche. La domanda globale va regolata,

nelle depressioni, alterando i flussi di spese e di entrate pubbliche, portando il saldo a livelli

compatibili con un utilizzo più intenso delle risorse: “The New Economics (as Keynes’s

theory was soon labelled) and traditional balanced-budget ideology clashed head-on”71. A

70 Webber C., Wildavsky A. (1986), p.432: “Public Policy during the depression in Europe and America reflects tension among traditional balanced-budget ideology and innovative ideas tying government deficits to levels of economic activity within a nation…In Europe the traditional conservative view that government should be small and supported by moderate taxes, with minimal borrowing and budgets balanced at a low level, remained strong in spite of substantial unemployment”. 71 Idem, p.434.

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molti sembrava inaccettabile l’idea che il disavanzo non fosse più un’emergenza da cui

allontanarsi rapidamente, ma una possibile normalità della politica economica72.

La ragione per rendere accettabile una gestione del budget pubblico “non in pareggio

annuale” fu proposta dalla Scuola economica svedese “in the appendix to the Swedish

government’s fiscal program of January 1933”73, in cui Myrdal propose una regola “that

would allow (and force) the government to balance the budget over the entire economic

cycle, rather than on a year-to-year basis” 74 . La consapevolezza della diffidenza

sull’abbandono del pareggio, per consentire una fiscal policy idonea a stabilizzare il reddito

attraverso stimoli nella fase discendente del ciclo e restrizioni nella parte ascendente (per

evitare l’inflazione), spinge gli economisti della scuola di Stoccolma a immaginare

meccanismi automatici, contabilmente evidenti, di attuazione di questa politica. La struttura

del bilancio statale svedese viene modificata nel corso degli anni Trenta del Novecento: “a

deficit in the running budget shall never disappear from the deficit before it is again made

good. The deficit is transferred as a negative item to a special budget equalization fund

which represents the continuity in public finances(…). A budget surplus is not allowed to

appear on the running budget before all deficits are paid” 75 . Molto interessante il

trattamento della spesa pubblica per investimenti, che entra in un “separate budget”, per

consentire di meglio gestirla “as a line of defense against cyclical fluctuations”76.

Diversa l’opinione originariamente prevalente negli Usa, dove l’idea di gestire un

surplus (nella fase positiva del ciclo) veniva ritenuta dannosa, in quanto produttiva di

possibili effetti di “crowding out” degli investimenti privati77; nel 1934 si critica il livello del

deficit con le seguenti parole78:”although the estimated deficit for the coming fiscal year

may appear large absolutely and in relation to the sums involved in the ordinary

operations of Government finance, serious doubts may be entertained whether it is

72 Si noti che negli Usa anche la politica monetaria deve contribuire alla ricerca del “full employment”, come riportato nello statuto della Federal Reserve, a differenza, tra gli altri paesi, di quelli dell’area dell’Euro, la cui Banca Centrale fa solo riferimento a obiettivi puramente monetari. 73 Costantini O. (2018), p.86. In questo lavoro l’autrice ricostruisce la nascita della politica di bilancio (fiscal policy) anche negli USA, “drawing on archival sources that have only recently become available” (p.83). 74 Idem. 75 Idem, p.88. 76 Idem. Il fondo per gli Investimenti pubblici da utilizzare a fini di stabilizzazione è stato attivo in Svezia fino agli anni settanta del Novecento. Si vedano Norr M. (1974) e OECD (1976). In questa ultima fonte (una “Survey” sull’economia svedese di metà anni Settanta) si ricorda che: “According to Swedish Tax legislation, firms are allowed to set aside a certain share of profit for future investment. These reserves, which are deductable from taxable income, are deposited at the Central Bank and their release-normally during unfavourable cyclical conditions-is subject to approval by the authorities (grassetto mio). 77 Costantini O. (2018), p.92. 78 Si tratta dell’opinione di un allora autorevole consigliere del Treasury (Currie), secondo quanto si riferisce nel citato pregevole lavoro di ricostruzione di quegli eventi effettuato in Costantini O. (2018), p.94.

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sufficiently large to accomplish the desired object of stimulating private expenditures

sufficiently to bring about the normal level of production (grassetto mio)”. Le vicende

delle politiche di bilancio americane nella seconda parte degli anni Trenta mostrano

oscillazioni determinate da periodici timori di deficit eccessivi: “Early in 1937…fears of

rising inflation convinced the administration to begin a series of sharp budget cuts…The

result was a steep fall in national income. In April 1938 (…) the president unveiled an

emergency stimulus program to combat the recession. But the conversion was less than

wholehearted; the president and his advisers did not persist and, after the most acute

phase of the recession passed, they slipped back to more traditional austerity policies”79.

Come in importanti paesi europei (anche diversi da quelli governati da dittature) “in the end,

it was demand for war materials that finally pulled the American economy out of the

Depression”80.

Le discussioni sull’opportunità e l’efficacia della Fiscal Policy furono incessanti negli

USA per tutto il periodo pre- e post- seconda guerra mondiale. Come si è osservato:

“Traditional budget analysts…were highly opposed to anything different from balancing

the actual budget”81. Nel corso degli anni Cinquanta del Novecento, l’attenzione si sposta

dalla “stabilizzazione” del ciclo allo “sviluppo” del reddito potenziale 82 . I contrasti

sull’opportunità di avere bilanci in disavanzo continuarono; ancora “in the late sixties” si

verifica un “revival of public fears of excessive government deficits”83 . Gli economisti

dell’amministrazione Kennedy (primi anni Sessanta) volevano una fiscal policy orientata

non solo al raggiungimento del prodotto potenziale (comunque definito), ma alla

accelerazione della sua crescita84.

In questo contesto è interessante citare, come emblematico, il caso italiano. La

Costituzione della Repubblica Italiana (entrata in vigore nel 1948) nell’articolo 81 stabiliva

79 Idem, p.95. 80 Idem. 81 Idem, p.101. Le aspirazioni al “full employment” (da realizzare con politiche di bilancio espansive) venivano contrastate dalle preoccupazioni per possibili esplosioni di inflazione. 82 “At issue were contrasting perspectives on fiscal policy: on one side was the notion that the economic system oscillates around a more or less stable full-employment level of output, and therefore that fiscal policy should focus on maintaining stability. But on the other was the idea that potential output should also be advancing and that, to reach this, the system required appropriate fiscal stimulus.The two perspectives generated contrasting anxieties: on one hand, concern that excessively strong fiscal interventions could result in inflationary pressures, on the other, a fear of wasting the nation’s potential growth capacity”(Costantini O., 2018, p.107). 83 Idem, p. 109. Va ricordata l’abbondante letteratura in materia di spending bias dei Parlamenti, che ha alimentato l’orientamento concreto in molti paesi verso il Top-Down Budgeting, con riduzione delle opzioni di scelta macroeconomica lasciate alle Assemblee legislative. Per una discussione anche sugli effetti sui disavanzi si veda in Wehner J. (2010) il capitolo 6 (“The Promise of Top-Down Budgeting”), pp. 103-128. 84 Idem, p. 111.

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“apparentemente” il rispetto della regola del pareggio del Bilancio85. Per l’ambiguità del

testo, questo principio era stato violato, consentendo di coprire gli incrementi di spesa

pubblica con emissioni di certi tipi di titoli del debito pubblico, anche acquistati dalla Banca

Centrale con creazione di base monetaria. Le ambiguità portarono a controversie di

legittimità costituzionale della copertura di alcune leggi di spesa. La Corte Costituzionale,

investita del problema, si pronunciò con la sentenza n.1/1966 che stabilì, tra l’altro:

1) La politica di spesa pubblica “deve essere contrassegnata non già dall’automatico

pareggio di bilancio, ma dal tendenziale conseguimento dell’equilibrio tra le entrate e la

spesa”:

2) “Si deve ammettere la possibilità di ricorrere, nei confronti delle coperture di spese

future...all’emissione di prestiti…”.

L’esigenza di politiche di bilancio di stabilizzazione e sviluppo si era fatta strada anche

in Italia e solo il mutare delle visioni politiche sulla Finanza pubblica portò gradualmente a

interpretazioni più restrittive sul finanziamento in disavanzo e successivamente, con

l’adesione ai trattati della Unione europea 86 , alla sostanziale modifica dell’art. 81 della

Costituzione (che ha sancito l’obbligo del pareggio, con correzioni connesse con la

divergenza tra prodotto effettivo e potenziale e con eventi eccezionali) 87.

Una parziale conclusione sulla storia dell’evoluzione del Public Budgeting nell’epoca

precedente gli ultimi decenni del Novecento può essere ricavata da un recentissimo lavoro,

parte di una ricerca svolta in sede OECD: “Looking back at more than a century of evolution

in budget policies and outcome, one is inevitably struck by similar trends among advanced

economies. All now allocate a much greater share of national output to government

programmes and activities and all have reconfigured their budgets to spend a greater

portion of national expenditure on income transfers. Most also have higher peacetime debt

85 Il quarto comma dell’art.81 sanciva che “ogni… legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”. Si ritiene che questo articolo fosse stato fortemente voluto da Luigi Einaudi, Governatore della Banca d’Italia e Ministro del Bilancio, ma anche professore di Scienza delle Finanze, che non aveva mai nascosto di non sentirsi in sintonia con le analisi di Keynes. 86 Salvemini G. (2013), p.26 osservava che, per l’art. 81 “nella giurisprudenza della Corte l’individuazione dei mezzi di copertura idonei ad assolvere l’obbligo costituzionale appariva meno restrittiva di quanto non sia stati definito con l’introduzione dell’art. 11 ter della legge 468 del 1978”. Qualche anno dopo, come si vede nella nota 87, l’articolo 81 della Costituzione veniva riscritto in maniera da essere meno equivoco sulle modalità di copertura delle spese. 87 “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico…”. Si veda Di Majo (2018), p.158-162, in cui si riporta anche la legge di attuazione del nuovo art. 81 con le specificazioni dei modi per tener conto degli effetti del ciclo economico.

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burdens and…..These trends have made the practice of budgeting more urgent and more

difficult”88.

7. La diffusione della Fiscal Policy e gli adattamenti del Budgeting

pubblico.

Tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento la Fiscal Policy domina le discussioni

e le scelte concrete della politica economica, nell’ambito di uno sviluppo stabile e sostenuto

(almeno fino alla crisi petrolifera della prima metà degli anni Settanta) del prodotto

complessivo, nella generalità dei paesi OECD. Inoltre è largamente diffusa la fiducia sulla

possibilità che le politiche economiche di breve termine (Fiscal Policy e politica monetaria)

possano attenuare l’andamento ciclico del reddito nazionale e favorirne lo sviluppo,

affrontare gli squilibri della bilancia dei pagamenti, contrastare l’inflazione. Il

perseguimento di questi obiettivi, nell’ambito di una visione macroeconomica, richiede la

conoscenza dei valori quantitativi delle variabili da utilizzare per le scelte della politica di

bilancio e la possibilità istituzionale di poterle modificare. L’organizzazione delle rilevazioni

contabili e delle procedure del Budgeting pubblico si erano evoluti, come si è visto, nel corso

dei conflitti di potere (sostanzialmente tra esecutivo e legislativo) per la realizzazione della

“democrazia di bilancio”. Ma la raccolta delle informazioni quantitative sulla Finanza

pubblica e la regolamentazione dei tempi delle decisioni di bilancio non erano stati

influenzati da esigenze macroeconomiche. Solo nel 1944 J. Meade e R. Stone 89 elaborarono

un sistema di conti nazionali che evidenziava le variabili e le relazioni del modello

keynesiano e, poco dopo, l’ONU propose un System of National Accounts, utilizzabile in

tutti i paesi ad economia di mercato. La disponibilità annuale delle Contabilità Nazionali si

diffuse gradualmente in vari paesi e nella seconda metà degli anni Sessanta i dati quantitativi

erano stati raccolti ed elaborati in modo soddisfacente sicché, in sede OECD, si poté

effettuare uno studio su Fiscal Policy in Seven Countries 90che servì da guida per analisi

88 Schick A. (2019), p. 20. 89 Meade J., Stone R. (1944). 90 La ricerca venne realizzata da un gruppo di economisti sotto la guida di Bent Hansen. Si utilizzò un modello keynesiano applicato ai dati di Contabilità Nazionale per gli anni 1955-1965 (OECD 1969).

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condotte successivamente dai singoli paesi membri della stessa Organizzazione. Ad esempio,

in Italia l’impatto delle variabili di Finanza Pubblica (Pubblica Amministrazione secondo le

classificazioni della Contabilità Nazionale) sul reddito nazionale lordo venne valutato, per

gli anni dal 1952 al 1969, dal Servizio Studi della Banca d’Italia. Le stime furono pubblicate

nel capitolo Finanza Pubblica della Relazione annuale sull’anno 1969. Esse erano

esplicitamente basate sull’utilizzo del modello OECD, opportunamente modificato, e le

valutazioni erano variamente articolate 91 . Interessanti alcune riflessioni di allora,

generalmente condivise, in Italia, dai giovani economisti accademici e da importanti

consiglieri economici dei partiti politici: “Una considerazione di ordine generale...lungo

l’intero periodo di diciotto anni (a partire dal 1952), riguarda l’apparente assenza di

sistematicità negli effetti degli interventi di politica anticongiunturale della P. A. Nell’arco

degli anni ’60, soltanto nel 1965, e in minor misura nel 1968, la sua azione, in una situazione

di avanzo corrente di bilancia dei pagamenti e di moderati tassi di incremento dei prezzi,

mostra di aver apprezzabilmente contribuito allo sviluppo del reddito. Negli altri anni il

comportamento appare inadeguato alle circostanze, concludendosi spesso con effetti pro

ciclici”92. E’ evidente in questi commenti sui risultati dell’applicazione retrospettiva del

modello la tardiva presa di consapevolezza (da parte della condotta della politica economica)

della possibilità di utilizzare la politica di bilancio a fini anticiclici. Si ricordavano i diversi

lags (ritardi) di realizzazione della fiscal policy e, in particolare, quelli derivanti

“dall’efficienza dell’apparato amministrativo, e, comunque, limitatamente ai margini di

manovra che ad esso sono concessi dalle leggi e dai regolamenti di contabilità” 93 . E’

l’esigenza di disporre dei dati quantitativi necessari, non solo per la costruzione delle

statistiche, ma anche per la discussione, l’approvazione e la rendicontazione dei bilancio

dello Stato, che induce, nel 1964, a introdurre la classificazione economica delle poste del

bilancio, nell’ambito di una riforma generale delle procedure sul Bilancio dello Stato (fino

ad allora regolate da una legge del 1923)94. Il Rapporto di un apposito gruppo di lavoro mise

in rilievo le deficienze informative e procedurali che rendevano difficoltose le “manovre

globali di bilancio” (ossia la Fiscal Policy)95. Questa consapevolezza avvia un lungo periodo

di modifiche, anche legislative, che ha come esito una nuova legge di contabilità, la 468 del

91 Banca d’Italia (1970), pagg.231-232 e Tav. a62 dell’Appendice, disponibile sul sito dell’Istituto. 92 Idem, p. 231. 93 Idem. 94 Nel 1968 il Ministero del Bilancio italiano affidò all’ISCO (Istituto nazionale per lo studio della Congiuntura) il compito di analizzare i problemi della politica economica di breve termine in Italia. Il gruppo di lavoro (composto da Lucio Izzo, Antonio Pedone, Luigi Spaventa e Franco Volpi) presentò un rapporto riservato nel gennaio 1969. Successivamente i risultati della ricerca furono pubblicati: L.Izzo, A.Pedone, L.Spaventa e F. Volpi (1970). 95 Idem, pp.88-92.

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1978 che accompagnerà ulteriori innovazioni per più di un ventennio. Questa è l’esperienza

italiana, ma evoluzioni analoghe avvengono in altri paesi sviluppati. Il “motore” di questi

cambiamenti (diversamente articolati nei vari paesi) è l’esigenza di rendere efficace (nei vari

aspetti decisionali e attuativi) la politica macroeconomica di bilancio. Ed è per questo che il

“governo della Finanza pubblica” richiede modifiche nelle istituzioni e nelle procedure che,

a parte casi particolari (come quello degli USA ricordato in precedenza), tendono a un

potenziamento dei poteri dell’esecutivo, in conflitto con la storia della costruzione della

“democrazia di bilancio”: il prevalere di quella che J.Wehner definisce “The Promise of Top-

Down Budgeting”96, è giustificata principalmente con l’esigenza dell’ “accentramento” sia

delle decisioni di politica macroeconomica (nel governo) sia della loro attuazione (in una

forte “Central Budget Authority”, vertice della “burocrazia del Bilancio”). Intanto il contesto

economico internazionale è caratterizzato dalla “crisi petrolifera” del 1973, che segna la fine

del tempo degli alti tassi di crescita con moderata inflazione; inizia l’epoca allora definita

della stagflation. I bassi tassi di sviluppo del reddito nazionale reale determinavano aumenti

del gettito insufficienti, nonostante l’operare del fiscal drag (detto anche bracket creeping)

connesso con l’esistenza di imposte personali fortemente progressive 97, a coprire aumenti

di spesa che continuavano a mostrare una dinamica a tassi reali superiori; l’inflazione non

aiutava, a causa delle indicizzazioni (che attenuavano il fiscal drag e potenziavano la crescita

monetaria delle spese) con conseguenti maggiori disavanzi delle finanze pubbliche 98. Le

speranze di un ritorno allo sviluppo sostenuto finirono con la seconda crisi petrolifera (nel

1979). Inoltre, per varie ragioni, “political support for taxation weakened and was linked

to a shift from … taxation to borrowing, from a Tax State to a Debt State”99 . Si può

condividere l’opinione secondo cui “The crisis of Keynesianism was more than a change in

economic policy. It was also linked to a general skepticism towards macroeconomics and

quantitative approaches, and the predictability of economic outcomes” 100 . In questo

contesto acquista progressivamente consenso l’opinione secondo cui lo Stato avrebbe

96 Wehner J. (2010), p. 103. 97 Nella maggior parte dei paesi sviluppati. Il fiscal drag determinò in molti casi una deindicizzazione (automatica o discrezionale) del reddito nominale ai fini dell’applicazione delle aliquote crescenti. In Italia una vera, ma incompleta, imposta generale progressiva sui redditi personali, l’Irpef, entrò in vigore nel 1974 e si prese coscienza con ritardo dell’esistenza di un consistente fiscal drag dovuto a una progressività dell’imposta personale che comportava una elasticità- reddito media di circa 2, consentendo al Tesoro italiano di beneficiare per alcuni anni di inattesi aumenti di gettito delle imposte dirette, in controtendenza con altri paesi (Di Majo A, Frasca F.M. 1975; Pedone A. 1979). 98 “Governments increasingly relied on borrowing to meet their financial obligations” (Buggeln M., Daunton M., Nutzenadel A., 2017, p.6). 99 Idem, p. 8. Le diverse opinioni sulle cause di questo mutato atteggiamento sul prelievo tributario sono ampiamente illustrate in diversi papers contenuti nel volume. 100 Idem, p. 15.

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dovuto limitarsi a creare un efficiente contesto istituzionale per i mercati, ma “distance itself

from demand management and economic fine-tuning”101; nasceva un “neo liberismo”, che

si sarebbe rapidamente diffuso nei paesi ad economia di mercato (e dopo il 1989 anche in

quelli europei ad economia precedentemente collettivista)102.

Il contesto delle decisioni di bilancio cambiava profondamente: “Financing

government from growth is possible only if there is growth” 103 . Quindi, per quanto

ricordato,”starting in the mid-1970s, financial turbolence generated a different budget

strategy, one beginning to set limits on total spending” 104 , con scarso successo, se

l’obiettivo era stato quello “dichiarato” di ridurre il rapporto tra spese della pubblica

amministrazione e prodotto interno lordo, che, invece, negli anni Novanta raggiunse i valori

massimi di sempre (tra il 45 e il 50 per cento nella generalità dei paesi sviluppati, un po’

meno del 40 percento negli USA 105), osservazione che va integrata ricordando le rilevanti

modifiche nelle legislazioni su pensioni e altre spese sociali, che non avrebbero inciso sul

101 Idem. 102 Va ricordata la versione tedesca del liberismo (Economia sociale di mercato e Ordoliberalismus), su cui ci si soffermerà brevemente più avanti. 103 Weber C., Wildavsky A. (1986) p. 492. “spending rising faster than revenues has created a structural budget fault in the West, with demands that cannot be reduced and supplies of revenue that cannot be raised sufficiently to satisfy them”. 104 Idem, p.558. 105 Di Majo A. (1998), Tanzi V. and Schuknecht L. (2000).

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valore delle uscite pubbliche degli anni immediatamente successivi, ma su quelle di periodi

e di generazioni future, in connessione con la contrazione degli entitlements (diritti a spesa

pubblica futura, in precedenza considerati acquisiti).

8. I processi di Budgeting pubblico nella Fiscal Consolidation

Nel corso degli anni successivi le politiche di Bilancio vengono orientate al

perseguimento della Fiscal Consolidation (nei documenti di organizzazioni internazionali si

parla anche di Fiscal Discipline o di Sound Public Finance). Questo obiettivo viene recepito,

come prioritario, non solo dalla politica economica, ma anche dagli “operatori” del

Budgeting pubblico. Per questa esigenza si richiede una definizione operativa di

Consolidation Policy; un rapporto dell’OECD (organizzazione che, con qualche

approssimazione, si può considerare composta da tutte le democrazie sviluppate) del 2011106

dichiara “fiscal consolidation is defined as concrete policy aimed at reducing

government deficits and debt accumulation” (grassetto mio), deficit e debito valutati

in percentuale del PIL (effettivo o potenziale), con riferimento, per il primo, anche a “effetti

ciclici” (quantificati in valore, con il ricorso a calcoli di prodotto potenziale e di saldi

strutturali di bilancio, per tutti i paesi OECD).

Rispetto alla Fiscal Policy che aveva caratterizzato la politica economica dei decenni

precedenti, la Fiscal Consolidation appare meno strettamente legata alle relazioni tra

grandezze di bilancio e andamento macroeconomico. Per molto tempo tali legami

(macroeconomici) erano stati considerati estranei al campo di analisi degli operatori e degli

studiosi di Public Budgeting, che si interessavano degli aspetti legati all’efficienza allocativa

del Budget e all’efficacia ed efficienza della spesa (c.d. “Value for Money”). Schick (2002)

ricorda una delle prime riunioni del Consiglio dei Senior Budget Officials dei paesi OECD

106 OECD (2011), p .17, Box 1.1. Lo “OECD Journal on Budgeting” viene fondato nel 2001 con l’obiettivo principale (ma non esclusivo) di diffusione dei risultati del lavoro del “Working Party of Senior Budget Officials” dei paesi membri; da allora può essere considerato una delle principali pubblicazioni internazionali di ricerche e rapporti in materia di Public Budgeting.

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(costituito nel 1980), in cui si osservò che: “When economic conditions deteriorated, public

budgets were still on an expansionary course. There was an unsustainable imbalance

between the momentum of the budget and the capacity of governments to maintain a

prudent fiscal course”. In quella riunione egli provò a spiegare la rilevata “passività” della

politica di Bilancio semplicemente osservando: “force majeure rules public finance”107.

Da allora in poi le tecniche, le regole e le procedure del Budgeting pubblico non sono

più orientate solo da obiettivi di efficienza allocativa e di efficienza operativa, ma anche

dall’impegno di tipo macro definito dalla ricerca di “aggregate fiscal discipline”108, nella

attuale visione maistream della politica di bilancio coincidente con la Fiscal Consolidation.

Da questa impostazione derivano modifiche nell’utilizzo degli strumenti del

budgeting (regole fiscali, procedure trasparenti, vincoli, ruoli rispettivi dell’esecutivo e del

legislativo nel processo di bilancio, istituzione di Uffici Indipendenti di Bilancio, ecc.), in

seguito anche alla mutata attribuzione di priorità ai ricordati obiettivi109. Non bisogna

illudersi sull’efficacia dei meri meccanismi di bilancio nel perseguimento della fiscal

discipline: “aggregate fiscal discipline is above all a question of political will, cultural

attitudes and expenditure choice, rather than of the design of budgetary instruments and

structures”110. In una ricordata pubblicazione (OECD, 2019) si osserva che il disavanzo del

General Government (Pubblica Amministrazione) del totale dei paesi OECD “have

continued to stabilise in recent years”111. Anche se “corretto” dal ricorso ai saldi strutturali

di bilancio e ai prodotti nazionali potenziali (dei cui discutibili metodi di calcolo non si

tratterà in questa sede), il governo della relazione tra andamenti dei saldi dei bilanci pubblici

e crescita macroeconomica non sembra interessare particolarmente gli analisti del

107Schick A. (2002), p.10. 108 Schick A. (2002, p.9) e Robinson M. (2016, p.30) condividono la triplice differenziazione delle “core functions” del moderno public budgeting:” aggregate fiscal discipline, allocative efficiency, operative efficiency”. 109 Robinson M. (2016), p, 32-42, fornisce una efficace sintesi dell’evoluzione degli strumenti destinati ad obiettivi di “efficienza”, a partire dagli anni Sessanta in successive “ondate” di innovazione. Con riferimento al periodo posteriore alla “grande crisi finanziaria” del 2008, il bisogno “to strengthen aggregate fiscal discipline has been to demand the use of tougher forms of instruments developed …prior to the Great Financial Crisis” (idem, p.43). 110 Idem, p.43. Anche Schick A. (2019, p.22), sulla base della sua lunga esperienza di studioso e pratico del Budgeting, ne riconosce la scarsa possibilità di ottenere risultati astrattamente e “tecnicamente” accettabili per tutti: “Budgeting is an open system that has multiple sources of influence. It is a political process, but political institutions and culture do not fully explain the direction or fate of innovation. It is also an economic process, but a country’s economic condition does not suffice to explain the impulse to innovate. History makes a difference, management style has an impact and the interests of leaders weigh heavily on the conduct of budgeting” (grassetto mio). 111 “Even though general government structural fiscal balances deteriorated in the wake of financial crisis (2008…), the magnitude of structural deficits decreased across OECD countries” (OECD, 2019, p.32 e fig.2.2, p.33. La fig. 2.3 mostra, invece, una crescita dello stock di Debito pubblico aggregato da meno dell’80 percento del PIL nel 2007 al 100 percento nel 2016).

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budgeting, che, in area macro, cercano solo di verificare la realizzazione della Budget

Consolidation. E’ interessante osservare come l’evoluzione delle istituzioni del Budgeting sia

sempre più influenzata dalla nuova priorità(macro), che ha comportato, ad esempio,

l’estensione delle limitazioni al potere e ai tempi di emendamento parlamentare delle

proposte di legge di bilancio, che era stato già ridotto in precedenza per esigenze di

“accentramento” decisionale. Nel Regno Unito, nella stagione d’oro della Fiscal Policy,

persino il potere di decisione tributaria era stato parzialmente ceduto al Governo,

autorizzato a modificare (entro certi limiti) le aliquote delle imposte indirette senza alcun

ricorso al Parlamento (cosiddetti “regolatori tributari”)112.

Secondo gli analisti OECD del Budgeting : “Sound fiscal policy is one which avoids

build-up of large, unsustainable debts, and which uses favourable economic times to build

up resilience and buffers against more difficult times, so that the needs of citizen and

stakeholders can be addressed in an effective and enduring manner” (OECD, 2019, p.47).

Questo auspicio piuttosto generico potrebbe sembrare un riferimento alla visione della

Fiscal Policy svedese anticiclica di Myrdal negli anni Trenta (ricordata in precedenza), ma

in realtà sembra piuttosto ispirata dalle più moderne teorie economiche del deficit bias delle

democrazie113, tra l’altro esplicitamente richiamate in vari documenti OECD114. Si osserva

che attualmente il potere del legislativo sul budget “for some countries is a key safeguard

against executive overreach, while others maintain a constitutional myth”, in apparente

contraddizione “(with) the assertion that a strong legislature, at least in budgetary terms,

is a necessary condition for democracy”115. I vincoli (talvolta costituzionali) alla libertà dei

Parlamenti (si escludono gli USA) di piena discussione delle politiche (macro) di bilancio

possono rappresentare un arretramento rispetto alla ormai lontana conquista della

democrazia di bilancio, in presenza di un orientamento prioritario del budgeting pubblico

verso il perseguimento di obiettivi finanziari complessivi fissati dagli esecutivi, e solo

passivamente accettati (con l’approvazione formale) dagli organi legislativi.

112 I “regolatori tributari” furono introdotti dal Finance Act del 1961(Di Majo A.,1976, p.11). 113 Buchanan J., Wagner R. (1977). 114 Nel Rapporto (OECD 2019) si osserva che: “The intention behind both fiscal objectives and fiscal rules is to provide a counterweight to the “deficit bias” that is presumed to be a feature of budgeting in democratic economies” (p.49). 115 Wehner J. (2010), p.59.

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9. Cenni sulla attuazione e sulle motivazioni economiche della Fiscal

Consolidation.

Nel corso dell’ultimo decennio del Novecento la politica di bilancio imbocca la via

della consolidation. Il Trattato di Maastricht sancisce per i Paesi dell’Unione Europea (senza

prevedere sanzioni formali) la lotta ai disavanzi e al Debito pubblico, ponendo limiti al loro

rapporto con il PIL 116 . Per questi stessi paesi i successivi Patti di Stabilità e Sviluppo

stabiliscono limiti progressivamente più stringenti alle Finanze pubbliche (in connessione

con l’introduzione dell’Euro, moneta unica per una parte rilevante dei Paesi della UE) e

sanzioni formali (non applicate rigidamente), in un contesto economico che, per il

complesso di tutti i Paesi dell’OECD, è caratterizzato dalla caduta dei tassi “reali” di crescita

del PIL. Nella media di questi Paesi lo sviluppo del PIL passa da più del 3 e mezzo per cento

negli anni Settanta, a meno del 3 negli anni ottanta, al 2 e mezzo negli anni novanta del

Novecento, al due negli anni Duemila117.

L’andamento delle Finanze Pubbliche risente, in certa misura automaticamente, sia

del rallentamento di lungo periodo della crescita del prodotto sia degli andamenti ciclici del

sistema economico. Il disavanzo delle Pubbliche Amministrazioni, non corretto per gli

effetti dei cicli economici, nella media dei Paesi OECD oscilla, tra la fine degli anni novanta

e il 2008, tra meno del 2 percento e il 3.8 per cento del PIL; nel 2009, come conseguenza

della crisi finanziaria esplosa nel 2008, sale a oltre l’8, per scendere gradualmente, ma in

maniera continuativa, fino a meno del 3 percento del PIL negli anni 2017-2018. Il valore

dello stock del Debito pubblico118 (in percentuale del PIL nominale) nella media dei Paesi

OECD sale dal 70 per cento della fine degli anni novanta al 112 del 2012, e raggiunge il 113,5

percento nel 2018. La presenza e la dinamica del Debito pubblico si riflette, insieme

all’andamento dei tassi di interesse, sulla spesa pubblica per il servizio del debito, su cui la

politica di Fiscal Consolidation non può essere direttamente ed immediatamente efficace.

116 Nell’ambito dell’Unione Europea, il primo Rapporto su: “Towards greater fiscal discipline”, con il compito di individuare, per ogni paese membro, le “possibilities for reducing budget deficits”(letteralmente) è del 1994, redatto da autori dei singoli paesi membri della UE (per l’Italia: Chiorazzo V., Di Majo A., Gabriele S., Palanza A.), cui è dedicato l’intero fascicolo di “European Economy, 1994,n.3. 117 I dati sono tratti dagli “Economic Outlook” dell’OECD, vari anni. 118 Nella versione delle statistiche dell’OECD “General Government Gross Financial Liabilities”, che usa i valori di mercato.

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Il cosiddetto saldo primario (il saldo precedentemente considerato, al netto della spesa per

interessi) delle Pubbliche Amministrazioni passa da un avanzo alla fine degli anni Novanta

a un disavanzo del 2,3 per cento del PIL nel 2003, per poi ritornare gradualmente in avanzo

(nel 2007); la crisi fa “esplodere” il disavanzo primario (6,4 per cento nel 2009); esso

ridiscende fino all’1 percento nel 2015 e intorno a questo livello si mantiene negli anni più

recenti (0,8 percento nel 2018).

Per i paesi della moneta unica europea (parte quantitativamente rilevante del

complesso dell’economia del totale dei paesi OECD), il disavanzo complessivo non corretto

per il ciclo oscilla, nel corso degli ultimi venti anni, tra meno del 2 e il 3 per cento del PIL

fino al 2008; nel 2009 sale a più del 6 per scendere successivamente fino a circa l’1 per cento

del PIL negli anni 2016-2018. Sulla base delle stesse statistiche usate per i paesi OECD, il

Debito pubblico dei paesi EURO, in percentuale del PIL, non si discosta significativamente

da quello del più ampio aggregato fino al 2008 (79 percento paesi OECD e 77 percento paesi

EURO), ma negli anni successivi i paesi EURO si discostano per valori inferiori (con

l’eccezione del 2014: 112 percento per entrambi), con un valore del 106 per cento nel 2018119.

Il saldo primario delle Pubbliche Amministrazioni si mantiene in avanzo, salvo un leggero

disavanzo nel 2003 e nel 2004, fino al 2008. Nel 2009 e nel 2010 il disavanzo è del 3,9

percento, ma dal 2011 scende continuamente e dal 2015 al 2018 si trasforma in un avanzo

(0,8 percento del PIL nell’ultimo anno).

Come si è ricordato nel paragrafo 8, la valutazione della Fiscal Consolidation utilizza

i saldi dei bilanci pubblici corretti per gli effetti del ciclo (per i Paesi della UE ciò è previsto

formalmente dal Patto di Stabilità e Sviluppo). Sul saldo del bilancio (che alcuni Paesi hanno

reso di rilevanza costituzionale) oltre che sul valore del Debito pubblico, è basata la

sorveglianza delle Finanze Pubbliche nell’ambito UE e l’eventuale decisione di sanzioni. Il

disavanzo “strutturale”120 oscilla, dalla fine degli anni Novanta al 2008, nella media dei paesi

OECD, tra l’1 e il 4 per cento del PIL; con la grande crisi sale fino al 6,9 nel 2010 e scende

gradualmente verso poco più del 2 per cento (ma risale al 2,9 nel 2018). Nello stesso periodo,

nei Paesi dell’Euro il disavanzo si mantiene tra il 2,5 e il 3 per cento dal 2001 al 2008, sale

fino al 5 nel 2010, è al 3,4 nel 2011, nel 2012 inizia una riduzione che, dall’1,9 di quell’anno,

119 Nella versione delle statistiche “General Government Gross Public Debt” (cosiddetta metodologia Maastricht) il valore del Debito Pubblico dei paesi EURO si mantiene intorno al 70 percento del PIL fino al 2008, per salire al 94 nel 2014 e scendere al 90 negli anni 2016-2018. Il livello è diverso, ma l’andamento è simile secondo entrambi gli insiemi di statistiche considerate. 120 Il disavanzo “strutturale” è quello corretto per gli effetti degli scostamenti ciclici del prodotto interno lordo. I dati qui citati, ripresi dagli “Economic Outlook” dell’OECD, così come quelli calcolati in sede UE, sono affetti dai discutibili metodi adottati per la loro misurazione (si veda Fontanari A., Palumbo A., Salvatori C., 2019).

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lo porta stabilmente tra lo 0,5 e lo 0,8 percento fino al 2018. L’andamento più recente

sembra quindi mostrare che, dopo il 2012121, l’obiettivo del “pareggio strutturale” è diventato

più cogente nei paesi della UE.

Tutti i dati qui ricordati sono in linea, nella loro essenzialità, con la rilevata sfiducia

nella precedente Fiscal Policy, praticata nel corso del Novecento. Di essa è rimasto, nelle

scelte della politica economica, il riconoscimento dell’opportunità di lasciar variare i

disavanzi per l’operare degli stabilizzatori automatici, ricorrendo al “disavanzo strutturale”

per la valutazione delle politiche di bilancio discrezionali122. E, come si può notare dai dati

appena ricordati, queste politiche di bilancio sembrano nel complesso, di più per l’area

dell’EURO, essere stati orientati al perseguimento della Fiscal Consolidation, con diverso

grado di realizzazione nei singoli paesi, i cui dati non vengono analizzati in questa sede, ma

facilmente reperibili nelle stesse fonti qui utilizzate123.

Senza alcun ordine di priorità, e con possibili loro sovrapposizioni, si possono

indicare sommariamente alcune motivazioni economiche che aiutano a comprendere il

perseguimento delle politiche di Fiscal Consolidation. Nel corso dell’ultimo decennio del

Novecento l’internazionalizzazione delle economie si rafforza sia con le facilitazioni degli

scambi dei beni e servizi sia con l’apertura vastissima alla libertà dei movimenti dei capitali

finanziari. In questo contesto va collocata anche l’intensa competizione tributaria che

alimenta movimenti di risorse legati a meri arbitraggi. I mercati sono più liberi, la presenza

dello Stato nel mercato si riduce, ma i meccanismi di tutela della concorrenza operano con

difficoltà, anche perché i poteri legislativi continuano a essere dei singoli Stati, mentre l’area

di attività degli operatori (sia nei settori reali dell’economia, ma principalmente nella

finanza) si esercita su un mercato globale. Anche le finanze pubbliche sono governate a

livello nazionale (con vincoli formali nel caso della UE), ma la loro gestione si deve

confrontare con operatori finanziari, nazionali e internazionali, in grado di condizionarle. In

un periodo in cui, come si è appena rilevato, i Debiti pubblici dei Paesi OECD si mantengono

121 In quell’anno viene rivista la “disciplina” europea di Finanza pubblica con il Trattato: “Stabilità, Coordinamento e Governance”. Si veda European Union (2012). Per una visione critica di questi “Patti”, Costantini O. (2017). 122 “Under a neutral discretionary policy, member states would have to aim for a budgetary position which allows the automatic stabilizers (grassetto mio) to operate fully without breaching the 3 percent GDP ceiling” (Buti M., Franco D.,2005). Il riferimento è al limite, 3 percento del PIL, del disavanzo, stabilito nel Trattato di Maastricht. 123 Si vedano i ricordati Economic outlooks dell’OECD.

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in media intorno al 100 per cento dei PIL, i possessori e i negoziatori dei titoli pubblici

rappresentano una forza significativa nell’orientamento del governo delle Finanze pubbliche

nella direzione della Fiscal Consolidation, come concretamente definita nei ricordati

documenti OECD124. Il valore elevato (in termini finanziari) dei Debiti pubblici assieme ai

casi di Sovereign Debt Default (nella forma di ripudio e/o rinegoziazione), che hanno però

interessato nell’ultimo mezzo secolo solamente Paesi non appartenenti all’OECD125, è fonte

di preoccupazione per gli intermediari finanziari che, per scongiurare possibili (anche se

improbabili) Debt Defaults dei Paesi sviluppati, operano (aiutati dalle agenzie di rating) sui

differenziali dei tassi di interesse (spreads) dei Debiti, in modo che l’onere per gli interessi

possa rappresentare un incentivo a perseguire politiche di Finanza pubblica “sana” da parte

dei singoli Stati126.

Un sostegno alle politiche di bilancio qui considerate viene anche da alcuni

orientamenti teorici della politica economica che negano la possibilità e l’opportunità di

utilizzare i disavanzi pubblici per correggere gli andamenti macroeconomici, se non in casi

di eventi eccezionali. Per fronteggiare i normali cicli economici basta lasciare operare gli

“stabilizzatori automatici”. In questa sede non si discute l’evoluzione generale delle teorie

macroeconomiche né l’analisi empirica degli effetti delle politiche di bilancio (e monetarie),

ma si vogliono sommariamente ricordare quegli aspetti che si ritengono avere più

immediatamente influenzato l’accettazione della Fiscal Consolidation. Si è detto, nel

paragrafo precedente, che i documenti e le analisi OECD su tale politica fanno spesso

riferimento ai difetti di funzionamento delle democrazie che, in assenza di vincoli

appropriati (auspicabilmente di portata costituzionale), condurrebbero a eccessi di spesa

pubblica e a disavanzi pubblici, indipendentemente dagli andamenti macroeconomici. E’

l’approccio “teorico” di Public Choice che Buchanan e Wagner hanno sistematizzato, per

questi aspetti, principalmente nel volume Democracy in Deficit127. Per questi economisti i

124 L’assenza, nella valutazione della Consolidation da parte degli organismi internazionali, della distinzione tra spesa pubblica corrente e spesa per investimenti avvalora la tesi della prevalenza degli interessi degli operatori finanziari, per i quali (e anche normalmente per le Agenzie di rating), essa è irrilevante (sicuramente nell’orizzonte temporale in cui abitualmente operano) nei loro calcoli sui Debiti cosiddetti “sovrani”. 125 Fournie J.M., Bétin M. (2018) esaminano dettagliatamente tutti i casi del periodo 1996-2010. 126 “Investors in public debt appeared to become doubtful whether governments would ever be able to honor their unprecedented financial obligations, and…whether states would find it more in their interest to default than to pay up. Declining investor confidence found expression…in rising and unpredictably fluctuating risk premiums on government bonds and in a flurry of changing judgements meted out by the US rating agencies” (Streek W., 2014, p.154). Inoltre: “capitalist democracies are currently restructuring their public finances in…consolidation efforts to credibly restore their long-term capacity to provide safe investment opportunities to holders of financial assets” (Idem, p.157). 127 Buchanan J., Wagner R. (1977).

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meccanismi (voto) delle decisioni collettive nelle democrazie, con l’abbandono della “regola”

del pareggio del bilancio (in tempi di pace, in assenza di gravi crisi economiche e altre

emergenze nazionali) dovuto all’adesione alle politiche keynesiane, causano distorsioni che

favoriscono il finanziamento della spesa pubblica in disavanzo 128 e vanno eliminate

preferibilmente con norme costituzionali129. In questo orientamento “teorico-ideologico” c’è

chi mostra diffidenza anche per le correzioni del disavanzo in relazione agli andamenti ciclici

del sistema economico, in quanto si consentirebbe, attraverso il pretesto di domanda globale

costantemente debole, di rimandare la riduzione dei livelli unhealthy130 dei Debiti pubblici:

si allontanerebbe l’obiettivo della sound public finance, urgente da realizzare. Queste

“visioni” accademiche di tipo “politico economico” forniscono sicuramente un aiuto alla

“legittimazione” della Fiscal Consolidation, che trova una giustificazione “teorica”, anche in

un altro approccio, quello della “Economia Sociale di Mercato”131, la cui analisi “politico-

economica” rappresenta un’evoluzione della visione economica dell’Ordoliberalismus

tedesco nato negli anni trenta del Novecento 132 . Secondo tale approccio lo Stato deve

regolare i mercati in modo da ottenere che “market outcome approximates the theoretical

outcome in a perfectly competitive market”133. Assicurato questo risultato, lo Stato non deve

interferire nel normale funzionamento del sistema economico. Un “ordinato” assetto

richiede, tra l’altro, una “sana finanza pubblica”, poco indebitata, che non condizioni le scelte

monetarie della Banca Centrale e non distorca il funzionamento “ordinato” dei mercati

finanziari. Nel 1977 Muller-Armack, il teorico della “Economia Sociale di Mercato”, nella

previsione di una futura Unione Monetaria Europea, osservava: “Fino a che esistono diversi

tassi di inflazione e una diversa crescita nei singoli Paesi, un ordine monetario non può

nascere da sé, ma solo attraverso la creazione di precondizioni …che, all’interno degli Stati,

si preoccupino della stabilità finanziaria e di un Bilancio dello Stato in pareggio”134. La

collaborazione tra diversi Paesi è possibile, “ma occorre iniziare a lavorare…per la stabilità e

l’equilibrio a casa propria”135. In altre parole, non sono tollerabili in un’unione monetaria

128 Idem, p.182 ss. Una descrizione sintetica delle distorsioni, che Buchanan collega alla “illusione finanziaria” originariamente analizzata da Puviani A. (1973), si trova in Cullis J., Jones P. (2009), pp.111-118. 129 In Italia la Costituzione prevede, dal 2012, il perseguimento del “pareggio strutturale” del bilancio pubblico. 130 Rieck A., Schuknecht L. (2018), p. 66: “Unhealthy debt levels have assumed a potentially systemic risk”. 131 L’Economia sociale di mercato è esplicitamente richiamata dall’art.3 del Trattato di Lisbona secondo cui l’Unione Europea “si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata… sulla sostenibilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva…” (versione consolidata del Trattato, pubblicata sul sito della Commissione Europea). 132 Un’esposizione essenziale, ma esauriente e aggiornata, si trova in Di Maio A. (2015), pp.15-38. 133 Dullien S., Guérot U. (2013), p.2. 134 Riportato in Di Maio A. (2015), p.26, nella traduzione di Muller-Armack contenuta in Forte,Felice, Forte (2012, pp.403-440). 135 Idem.

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trasferimenti (automatici o meno) di risorse tra i diversi Paesi, come avviene normalmente

tra i membri di uno Stato federale. La successiva fondazione dell’Unione Europea e della

moneta unica (Euro) è avvenuta partendo da Finanze pubbliche “non ordinate”, e quindi è

stato necessario introdurre regole per disciplinarle (nel Trattato di Maastricht prima, nei

vari Patti successivamente, in un processo non ancora concluso) e consentire una

auspicabile “rapida e decisiva budget consolidation mediante la riduzione della spesa

pubblica, meno attraverso l’aumento dei tributi. In questo modo il taglio del deficit modifica

la dinamica del Debito…e il rischio di futura insolvenza viene ridotto” 136. Anche questo

orientamento è favorevole a regole costituzionali di limitazione del Debito pubblico

(Schuldenbremse, letteralmente freno al Debito) di ogni Paese ed è contrario a “salvataggi”

a carico degli altri Paesi o altri trattamenti a favore dei paesi “spendaccioni”137.

Come si è detto la definizione di Fiscal Consolidation non prevede distinzioni tra

diverse categorie di spese dei bilanci pubblici. Non è questa la sede per un’analisi dettagliata

delle fiscal rules adottate nei Patti della UE (specialmente quelle connesse con le regole

dell’unione monetaria), ma la particolarità delle spese di Investimento del bilancio pubblico

merita una breve riflessione nel contesto di questo lavoro. Come si è visto in precedenza,

nell’Ottocento la norma del bilancio in pareggio veniva aggirata, per gli Investimenti,

attraverso manipolazioni contabili o utilizzando extra- budget. L’esclusione di questo tipo di

spesa dalle restrizioni sull’obbligo di copertura applicabile alle spese correnti, spesso

indicata come golden rule, è periodicamente richiamata nelle discussioni sulla Fiscal

Discipline, specialmente in ambito UE, poiché modificherebbe i vincoli formali alle politiche

di bilancio: dal Trattato di Maastricht in poi il limite al disavanzo è calcolato includendo

nella spesa della Pubblica Amministrazione quella per Investimenti. Si disse che la scelta

originaria fu determinata dalla difficoltà di distinguere inequivocabilmente tali spese da

quelle correnti, per l’impossibilità di evitare “manipolazioni” contabili che rendessero

difficile il controllo del rispetto “sostanziale” della “regola”138. Successivamente, in specie

durante crisi cicliche, questa mancata distinzione è stata criticata per i suoi possibili effetti

136 Dullien S., Guérot U.(2013) p.3. In questo lavoro si esaminano le “tesi economiche” dei vari partiti tedeschi per verificare quanto ispirate all’Ordoliberalismo e quanto al “neo-classical mainstream”: la presenza del primo risulta piuttosto rilevante (idem, pp. 5-9). 137 Berghahn V., Young B. (2013), p.776. 138 Buti M., Franco D., Ogena H. (1998), p.94, così spiegano la scelta: “Splitting the budget into a current and a capital section, governments would have strong incentives to classify current expenditure as capital spending… As a result, budgetary positions would become even more difficult to monitor than is currently the case”.

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negativi e, in occasione di ipotesi di revisione dei Patti di Stabilità e Sviluppo, si richiede di

valutare l’opportunità di introdurre la golden rule 139 . Nella recente evoluzione,

sommariamente ricordata, delle Finanze pubbliche dei Paesi UE il rispetto delle fiscal rules

può avere indotto i paesi a più elevato Debito Pubblico a ridurre le spese di Investimento

(riduzione di più agevole consenso politico nel breve termine), danneggiando la dotazione

infrastrutturale dei Paesi interessati. Una modifica della “regola” è avversata in quanto

suscettibile di favorire un rallentamento dei ritmi della Consolidation: la BundesBank, tra

gli altri, ne propone un’interpretazione “minimale”, basata sulla considerazione degli

Investimenti pubblici netti, con qualche correzione che consentirebbe di attenuare gli

“incentives to make excessive cuts to investment in order to comply with the European

fiscal rules140.

Le ragioni qui indicate, quelle legate all’attuale funzionamento dei mercati finanziari

nell’ambito della “globalizzazione dei sistemi economici” e quelle di tipo “teorico-

ideologico”, che a nostro parere hanno favorito nella realtà l’accettazione e la realizzazione

della Fiscal Consolidation, non sono da considerare senza alternative: altri approcci, teorici

e di politica economica, sono possibili.

Per concludere questo paragrafo un’altra osservazione è necessaria: in tutto il lavoro

il nostro riferimento è stato quello dei Paesi democratici sviluppati; in questo senso

l’attenzione alle informazioni concernenti i Paesi aderenti all’OECD è sembrata, con qualche

approssimazione, appropriata. Tuttavia, all’interno del gruppo delle democrazie sviluppate,

si distingue l’insieme dei Paesi dell’Unione Europea (a loro volta divisi dall’appartenenza o

meno alla area della moneta unica), che presenta problematiche di Finanza pubblica in parte

diverse, anche accettando la Fiscal Consolidation. Per questi paesi, infatti, essa è regolata

da Trattati, Patti, ecc., ossia da una disciplina giuridica sovranazionale dei processi di

bilancio dei singoli Paesi, che si estende, di fatto, alla sostanza delle decisioni. L’UE non è

uno Stato federale, ma ha necessità di coordinare le politiche di bilancio dei Paesi membri,

specialmente di quelli che condividono la moneta e la Banca centrale uniche, anche perché,

come si è ricordato, si vogliono evitare redistribuzioni di risorse tra i paesi, possibili

139 Le possibili opzioni di riforma sono criticamente discusse nel Bollettino mensile della Banca Centrale tedesca (BundesBank, 2019, pp.77-90), dal punto di vista dell’esclusione di un indebolimento delle politiche di Fiscal Consolidation. In particolare, viene avanzata l’ipotesi di considerare le Spese pubbliche annuali di investimento netto, clausola che può essere interpretata, ai fini dell’impatto sul valore del deficit da rispettare, in maniera troppo varia senza ulteriori precisazioni. (Ad esempio: chi deciderebbe i tempi di ammortamento dell’Investimento pubblico? Un organismo europeo ovvero nazionale?) 140 Idem, pp.85-86.

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attraverso la gestione dei Debiti delle rispettive Finanze pubbliche. Un’evoluzione

federalista della UE potrebbe comportare il rispetto del pareggio di bilancio dei soli Paesi

federati (con eventuali regole per gli Investimenti pubblici), lasciando la politica

macroeconomica al Bilancio federale, come avviene in diversi stati federali. Non è escluso

che questo possa avvenire, ma per ora alla Fiscal Consolidation dei paesi membri della UE

viene assegnato il compito di tenere insieme una Comunità non federale con moneta unica

e senza tributi e spese pubbliche a livello sovranazionale e comunque il Bilancio approvato

dal Parlamento europeo è di dimensione esigua (intorno all’1 percento del PIL della UE)

rispetto a quello dei paesi federali, e non consentirebbe di attuare politiche

macroeconomiche comuni delle dimensioni che potrebbero essere ritenute necessarie.

10. Conclusioni

La nascita e la prima evoluzione dei bilanci pubblici e la definizione delle norme e dei

processi (il budgeting pubblico), che ne regolano la formazione, hanno accompagnato la

separazione della Finanza pubblica dalla Finanza privata del Sovrano e la costruzione della

“democrazia del bilancio” (e della democrazia tout court). Il lungo percorso storico che

consente alle Assemblee rappresentative dei cittadini di conquistare (in tempo di pace) la

piena sovranità sull’attività di prelievo coattivo e di spesa pubblica si conclude con la

parallela conquista del suffragio universale. In realtà, prima che il suffragio venga esteso

compiutamente, si inizia a manifestare, da parte di governi dei paesi democratici sviluppati,

un’insofferenza per la “incapacità” (sia politica sia organizzativa) dei Parlamenti di

consentire un soddisfacente governo delle Finanze pubbliche. Di conseguenza, gli esecutivi,

con varie disposizioni nelle diverse democrazie, cercano di limitare le prerogative

parlamentari nella preparazione del Bilancio, rispettando comunque la necessità

dell’approvazione (ma in tempi che diventano progressivamente più ridotti e con limitazioni

all’ emendabilità) della proposta governativa da parte del Parlamento. Questo processo, di

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inversione della tendenza precedente, si giustifica inizialmente anche con il tentativo di

fermare la crescita delle dimensioni del Bilancio pubblico. Come si è visto, la sovranità del

Parlamento in materia di Finanza pubblica viene variamente, ma quasi ovunque (con

l’eccezione negli USA), sottoposta a significative limitazioni già nei decenni precedenti lo

scoppio del primo conflitto mondiale.

L’evoluzione del budgeting nella direzione di un accentramento delle decisioni di

Finanza pubblica nell’esecutivo si rafforza nell’epoca della fiscal policy, che innova, tra

l’altro, nella necessità di valutazioni macroeconomiche, che il Parlamento può recepire e

discutere, ma difficilmente potrebbe avviare141. In direzione di maggiori poteri dell’esecutivo

spinge anche la necessità di tempi stretti di realizzazione delle richieste variazioni del

prelievo e della spesa. In questo periodo, inoltre, si rinuncia alla “sacralità” (spesso solo

teorica) del principio del pareggio del bilancio pubblico, abbandono legittimo qualora

giustificato da ragioni macroeconomiche. In realtà i disavanzi appaiono e crescono

indipendentemente, anche per il modus operandi della democrazia parlamentare, e si

avanzano richieste di limitazioni, anche di carattere costituzionale, alla possibilità di

finanziare in disavanzo la spesa pubblica.

I poteri parlamentari in materia di Bilancio pubblico incontrano ulteriori limiti nella

fase storica successiva, che coincide con il tempo attuale, della Fiscal Consolidation (anche

definita Fiscal Discipline o Sound Public Finance), che sembra riguardare, in diverso modo,

le democrazie sviluppate (approssimativamente i paesi aderenti all’OECD). Per tutti i paesi

(esclusi forse gli Stati Uniti per il loro potere monetario) la dimensione pienamente

integrata internazionalmente dei mercati finanziari rende indispensabile in alcuni casi, e

quantomeno “prudente” in generale, un controllo della crescita del Debito pubblico,

politicamente attuabile con saldi del bilancio pubblico in pareggio “strutturale” (ossia con

scostamenti dal pareggio contabile giustificabili solo a causa di differenze tra prodotto

effettivo e prodotto “potenziale”, lasciando operare i cosiddetti “stabilizzatori automatici”, o

per eventi eccezionali). In questo contesto, una situazione particolare è quella dei Paesi

appartenenti alla Unione Europea e, ancor di più, all’Unione Monetaria Europea. I successivi

accordi (o Trattati) tra i membri dell’UE (e dell’UME) hanno vincolato le Finanze pubbliche

nazionali alla Fiscal Consolidation, anche come strumento di coordinamento delle politiche

di bilancio, in assenza di uno Stato federale con Finanza pubblica centralizzata. I vincoli ai

141 Gli appositi uffici parlamentari sono stati istituiti in molti Paesi (in particolare nella UE) solo in tempi più recenti. Negli USA i poteri autonomi del Congressional Budget Office sono stati formalizzati nel 1974, in coincidenza con la ricordata “riconquista” di poteri parlamentari in materia di budget.

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bilanci pubblici e ai debiti pubblici sono controllati e regolati a livello sovranazionale,

talvolta con l’ausilio anche di norme costituzionali nazionali di recente istituzione: il power

of purse dei Parlamenti ne risulta così ancor più ridotto.

Alcuni studiosi hanno cercato di verificare empiricamente quanto la distribuzione dei

poteri di budget tra governi e Parlamenti si sia modificata nel tempo, con risultati discutibili,

anche perché legati all’intervallo di tempo scelto per misurare i cambiamenti142. In generale,

questi studi non sembrano modificare l’impressione generale, di lungo periodo, di un

declino della “democrazia di bilancio”.

142 Un riferimento interessante è il più volte ricordato lavoro di Wehner J. (2010). Un recentissimo lavoro (Kim C., 2019) cerca, attraverso appositi indici, di misurare quanto il potere relativo dei Parlamenti rispetto a quello degli esecutivi sia cambiato in 70 paesi nel periodo successivo alla grande crisi del 2008-2009. In realtà il confronto si limita al periodo 2011-2018 e i risultati, concernenti questo limitato periodo di tempo, sembrano mostrare molte differenze e non una tendenza univoca, né prevalente.

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