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Diplomazìa sindacaleLa missione del Trades Union Congress in Italia nel 1944
Maria Teresa Di Paola
Tra la fine d’agosto e la prima metà di settembre del 1944 i maggiori centri urbani dell’Italia liberata vennero visitati da una delegazione di sindacalisti inglesi e americani accompagnati dal segretario generale dell’International Federation of Trades Unions. Sebbene lo scopo della visita fosse quello di appurare quanto si stava facendo in quel momento in campo sindacale, di fatto essa si inseriva in una serie d’iniziative promosse dagli inglesi e miranti a sottolineare che si era entrati in una nuova fase dei rapporti fra l’Italia e gli alleati.Ricordata nel volume di David Ellwood L ’alleato n em ico , e più di recente in quello di Federico Romero G li S ta ti U niti e il sin dacalism o eu rop e o , questa missione internazionale del Trades Union C ongress stranamente non viene neppure menzionata da sir Walter Citrine, all’epoca presidente dellTftu e segretario generale del Tue, nel capitolo della sua autobiografia dedicato alle visite del sindacato inglese nei territori liberati. Sembra quasi che, non avendovi preso parte e avendo dovuto tanto penare per organizzarla, l’ormai anziano sindacalista l’avesse cancellata dalla propria memoria. Eppure la visita della delegazione sindacale internazionale in Italia non fu un episodio marginale. Anche se non produsse il risultato sperato di controbattere l’influenza comunista sui lavoratori italiani, essa servì da collaudo per la politica di penetrazione indiretta che gli inglesi s’apprestavano a seguire nei paesi europei liberati dalla occupazione nazifascista.Nelle pagine che seguono l’autrice si pone l’obiettivo d’illustrare, attraverso l’uso di fonti inedite inglesi, come il tentativo del Tue d’influenzare il rinascente movimento sindacale italiano divenne parte di una strategia politica che oltrepassava i confini della semplice solidarietà sindacale.
B etw een the en d o f A u g u s t a n d th e f i r s t h a lf o f S ep tem b er 1944 the m a jo r to w n s in the lib era ted p a r t o f I ta ly w ere v is ited b y a delega tion o f E nglish a n d A m erican trade u n ion ists acco m p a n ied b y the G enera l Secretary o f th e Iftu . A lthough its m ain aim w as to ascertain w hat had been d o n e in th e trade union f ie ld , th e v is it w as as w ell p a r t o f a series o f in itia tives p r o m o te d b y th e B ritish to underline th a t a n ew s ta g e in relatio n s betw een th e A llie s a n d I ta ly w as being entered into.B o th D a v id E llw o o d in h is b o o k L’alleato nemico, a n d m o re recen tly F ederico R o m ero in his Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, have m a d e reference to th is delega tion . H o w e v e r Sir W alter C itrine, P resid en t o f th e I ftu a n d G enera l S ecretary o f the Tue a t th e tim e, in h is a u to b io g ra p h y m akes n o m en tion o f th is p a rticu la r m ission when dealing w ith th e B ritish trade union v is its to lib era ted territories. L ik e ly , the a lready e lderly trade u n ion ist h a d erased i t f r o m his m em o ry , f o r he w as n o t one o f th e delega tes a n d h a d to stru ggle so m uch to organise it. B u t th e v is it o f th e in tern ation al trade union delegation to I ta ly w as n o t a m arginal even t. E ven i f it d id n o t have the h o p ed -fo r resu lts o f cou n ter-a ttacking co m m u n is t influence o ver Ita lian w orkers, th e v is it se rv e d th e p u rp o se o f testing the p o lic y o f in d irect influence th a t the B ritish were p lan n in g to fo l lo w in th e lib era ted coun tries o f E urope.U sing unpu b lish ed English sou rces the a u th o r illu stra tes h o w th e T u c ’s a tte m p t to influence the rebirth o f the Italian trade union m o vem en t b ecam e e m b o d ied in a p o litic a l s tra teg y th a t o verreach ed th e b orders o f s im p le trade union so lid arity .
‘Italia contemporanea”, giugno 1993, n. 191
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Premessa
Nel 1940 il neoministro del lavoro Ernest Bevin sottoponeva all’attenzione del segretario di stato per gli affari esteri lord Edward Halifax un lungo memorandum in cui veniva illustrata l’esigenza di una riforma del servizio diplomatico partendo dalla considerazione che come non era più ammissibile, nel ventesimo secolo, che un governo ritenesse di condurre la propria politica interna senza porre attenzione alle questioni economiche e sociali, al livello dei salari e dell’occupazione, al comportamento delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, e all’effetto di queste questioni sulla politica, così non era più possibile che il governo inglese continuasse a concepire la politica estera senza tenere in conto l’impatto che questioni ora richiamate avevano sulla politica degli altri paesi1. Sebbene il Libro bianco sulla riforma del Foreign Office e del servizio diplomatico venisse presentato in Parlamento solo nel gennaio 1943, e le riforme in essa previste poste in effetto alla fine della guerra, quando Bevin assunse la carica di Foreign Secretary, già alla fine dell’estate del 1941, con la nomina di Richard Tawney a consulente per gli affari sociali dell’ambasciata inglese a Washington, era stata introdotta una nuova figura nel servizio diploma
tico, quella del consigliere per i problemi del lavoro, ben presto nota come Labour attaché2.
Nella emergenza della guerra era stata introdotta anche la consuetudine di coinvolgere i sindacati nelle scelte politiche del governo non solo sul piano interno, ma anche su quello esterno delle relazioni internazionali. Negli affari coloniali questo coinvolgimento diveniva più organico nel 1942, con l’inclusione di quattro esponenti del Tue nell’appena formato Colonial Labour Advisory Committee e la nomina di alcuni sindacalisti a Labour Adviser per le Colonie3. Anche in Gran Bretagna, così come era già avvenuto negli Stati Uniti, cominciava a essere apprezzata l’utilità della “diplomazia sindacale”4. Benché non manchino studi sulla riorganizzazione del movimento sindacale internazionale all’indomani della seconda guerra mondiale e sul coinvolgimento dei sindacati negli affari esteri, studi nei quali si fa anche riferimento alle attività del Tue (Trades Union Congress), essi risentono tutti del fatto di essere stati condotti in prevalenza negli Stati Uniti, in coincidenza con il massiccio impegno dei sindacati americani a sostegno della politica estera del loro paese, o del fatto di aver usato soprattutto fonti americane. Come conseguenza di ciò il ruolo svolto dal sindacato inglese a li-
La documentazione utilizzata per l’articolo è stata reperita in buona parte presso il Public Record Office e il resto presso il Files Department del Tue. Solo per questi ultimi materiali, oggi conservati presso l’Università di Warwick, si è specificata in nota la provenienza d’archivio con TUC/A, seguita dall’indicazione della collocazione originale del documento.1 Cfr. Alan Bullock, The Life and Times o f Ernest Bevin: 1940-45, London, Heinemann, 1967, voli. Il, p. 199.2 Cfr. Introduzione di Jay M. Winter a Richard H. Tawney, The American Labour Movement and Other Essays, London, The Harvester Press, 1979. Inoltre Proposals fo r the Reform o f the Foreign Service, London, Hmso, 1943, in War Cabinet (poi CAB)) 66/33.3 Cfr. Walter M. Citrine, Two Careers, London, 1967. Sul coinvolgimento negli affari coloniali D.I. Davies, The Politics o f the TUC’s Colonial Policy, “The Political Quartely”, gennaio-marzo 1964, pp. 24-25; Majorie Nicholson, The Tue Overseas: the Roots o f Policy, London, Allen e Unwin, 1986.4 Sul concetto di “diplomazia sindacale” cfr. H.W. Berger, Union Diplomacy: American Labor’s Foreign Policy in Latin America 1932-1955, Wisconsin University Ph. D ., 1966; Jeffrey Harrod, Trade Union Foreign Policy: a Study o f the British and American Trade Union Activities in Jamaica, New York, Garden City, 1972; e anche Roland Radosh, Il sindacato imperialista, Torino, Rosemberg & Sellier, 1978, ormai un classico sul coinvolgimento dei sindacati americani nella politica estera degli Stati Uniti.
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vello internazionale è rimasto relativamente in ombra5. In particolare il coinvolgimento del Tue nella politica estera della Gran Bretagna non è stato ancora oggetto di uno studio sistematico da parte degli storici e degli studiosi delle relazioni internazionali. Pur essendo numerosi gli studi sulla politica estera laburista, e alcuni di essi facciano riferimento all’influenza dei sindacati sulle scelte politiche del Labour Party6, lo studio del Tue quale attore internazionale è stato trascurato probabilmente perché è opinione diffusa che la base sindacale si sia sempre mostrata estranea e insensibile verso tematiche che non la coinvolgevano da vicino, mentre la leadership, interessata soprattutto agli aspetti economici e di potere interni, abbia sempre delegato al partito l’elaborazione della politica estera per il movimento7. Mentre le storie del movimento operaio inglese omettono questo argomento o lo trattano in maniera molto limitata, altri lavori sulla politica estera del laburismo si sono per la maggior parte occupati della interpretazione storica, dell’analisi dei concetti e della rielaborazione di documenti ufficiali prevalentemente prodotti dal Labour Party8.
Tenuto conto che la politica estera non è
soltanto il risultato di “sharp and sustained surface efforts” da parte d’individui e gruppi che culminano in risultati definitivi, ma è condizionata anche “by the failure of positive efforts, by negative responses, and even by the absence of any action”9, questa ricerca ha come argomento un tentativo fallito, quello del sindacato inglese d’influenzare la rinascita del movimento sindacale italiano all’indomani della caduta del fascismo e, nel contempo, di contribuire all’elaborazione della politica del lavoro alleata nelle aree liberate.
Primi contatti
La questione della restaurazione dei pieni diritti sindacali e delle libere organizzazioni dei lavoratori nei territori liberati si era posta negli ambienti sindacali internazionali sin dalla primavera del 1943. In particolare, nel corso di una riunione dell’Emergency International Trade Union Council era stato proposto che, al momento opportuno, si contattassero i governi delle nazioni alleate per assicurarsi che nei territori liberati venissero offerte ai lavoratori tutte le facilitazioni
5 Fra i più citati cfr. Lewis Lorwin, The International Labor Movement, New York, 1952; John Windmuller, American Labor and the International Labor Movement: 1940-1953, New York, 1954; inoltre Horst Lademacher, Possibilità e limiti d ’azione del movimento operaio europeo nel primo dopoguerra, in Marta Petriccioli (a cura di), La sinistra europea nel secondo dopoguerra 1943-1949, Firenze, Sansoni, 1981; Federico Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo 1944-1951, Roma, Edizioni del lavoro, 1989.6 Cfr. Michael R. Gordon, Conflict and Consensus in Labour’s Foreign Policy 1914-1965, Stanford Cal., Stanford University Press, 1969; John F. Naylor, Labour’s International Policy: The Labour Party in the 1930’s, London, 1969; Mario Mancini, La politica internazionale del laburismo inglese nella seconda metà degli anni trenta (marzo 1936-settembre 1939), “Storia contemporanea”, 1980, nn. 4-5, pp. 747-857.7 Fanno eccezione Partha S. Gupta, Imperialism and British Labour Movement 1914-64, London, 1975; John Sa- ville, Working-class attitudes to Empire and the development o f anti-imperialism 1880-1939, “Labour History Bul- lettin”, 1988, n. 3, pp. 27-28.s Fra i primi John C. Lovell e Benjamin C. Roberts, A Short History o f the Trades Union Congress, London, 1968; Henry Pelling, Storia del sindacato inglese, Milano, Palazzi, 1972; Ken Coates e Tony Topham, Trade Unions in Britain, Nottingham, 1980, pp. 329-356 e Robert Taylor, The Fifth Estate: Britain’s Unions in Modern World, London, Pan Books, 1980, pp. 216-229. Fra i secondi Elaine Windrich, British Labour’s Foreign Policy, Stanford Cal., Stanford University Press, 1952; Matthew A. Fitzsimons, The Foreign Policy o f the Labour Government 1945-1951, Notre Dame Indiana, 1953; e le opere di M.R. Gordon e J.F. Naylor citate alla nota 6.9 Cfr. H.W. Berger, Union Diplomacy, cit., pp. IX-X.
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utili a dar vita a libere organizzazioni sindacali. Di fatto, però, non era stato steso alcun programma né si era avuto alcun contatto, anche perché si era sottinteso che il passaggio dalla fase progettuale a quella della attuazione pratica sarebbe avvenuto una volta concluse le operazioni belliche. Anche il rapporto ufficiale elaborato dal comitato di studi sulla ricostruzione nel dopoguerra del movimento sindacale internazionale, e approvato dall’Emergency Council il 28 ottobre 1943, non andava oltre la dichiarazione di principio che “la libertà di associazione dovrà essere restaurata o istituita al più presto possibile” e che “per quanto riguarda la procedura da seguire si sarebbero dovute elaborare delle proposte dettagliate”10.
Era tuttavia molto sentita la necessità di dimostrare che, nonostante le difficoltà attraversate negli ultimi anni a causa dell’af- fermarsi della dittatura nazifascista in vari paesi europei, l’organizzazione internazionale aveva continuato a esistere ed era pronta ad agire. A quasi un mese dallo sbarco alleato in Sicilia, J.H. Oldenbroeck, segretario dell’International Transport-Workers Federation (Itf), prendeva l’iniziativa di proporre a Walter Schevenels, segretario generale dell’Iftu, d’inviare dei sindacalisti con il compito di cooperare alla riorganizzazione di un movimento sindacale libero e democratico nell’isola11. Poiché le operazioni
militari non erano ancora concluse (Messina cadrà per ultima il 18 agosto 1943) e la parte liberata dell’isola era amministrata dall’Al- lied Military Government for Occupied Territories (Amgot), la segreteria delPIftu riteneva improbabile che le autorità militari avrebbero concesso la libertà di movimento e d’azione necessaria per poter intervenire nella riorganizzazione dei sindacati. Declinava perciò la proposta di Oldenbroeck, pur riconoscendo che quanto prima la questione sarebbe sorta anche per altre aree del continente e che era ormai opportuno prendere contatto con i governi inglese e americano, i soli ad avere il potere di assumere decisioni in proposito12. L’approccio che l’Iftu suggeriva di seguire non veniva condiviso da parte dell’Itf, che riteneva fosse giunto il momento di “mostrare ai lavoratori d’Europa e in particolare a quelli d’Italia per che cosa lottava il movimento sindacale internazionale non soltanto approvando risoluzioni e facendo dichiarazioni ufficiali, ma anche dando loro un aiuto effettivo”13.
In qualità di presidente dell’Iftu e segretario generale del Tue, sir Walter Citrine contattava il Foreign Office per esplorare quali fossero le posizioni riguardo al governo militare alleato messo in atto in Sicilia e la possibilità di rinascita dei sindacati nei territori liberati. In particolare avanzava la richiesta che due o tre sindacalisti venissero assegnati
10 L’Emergency Council, fondato a Londra nel luglio 1942, era composto dal comitato esecutivo dell’Iftu, dai rappresentanti di sette confederazioni sindacali nazionali, di sette segretariati internazionali di categoria e di sette gruppi di rifugiati europei. Cfr. Minutes o f the General Council International Committee Meeting, riunione del 13 luglio 1943, in TUC/A, f. T1854 (d’ora in poi International Committee Minutes)-, Official Report o f the Study Committee I, in IFTU, Project for the Reconstruction o f the International Trade Union Movement, London, February 1944, pp. 8-9, in TUC /A , f. 910.21 ; e anche General Council Report, in TUC, Report o f Proceedings o f the 75th Annual Trade Union Conference, London, 1944 (d’ora in poi TUC Annual Report: 1943).11 Per riferimenti alla proposta di Oldenbroeck cfr. Schevenels a Citrine, 13 agosto 1943, in TUC/A, f. 945.920.12 Schevenels a Citrine, 13 agosto 1943, cit. Per una storia ufficiale delPAmgot cfr. C.R.S. Harris, Allied Military Administration o f Italy 1943-1945, London, Hmso, 1957.13 Oldembroeck a Schevenels, 20 agosto 1943, in TUC /A , f. 945.920. L’atteggiamento dell’Itf nei confronti del- l’Iftu era sintomatico del riemergere dei dissapori fra quest’ultima ed i segretariati internazionali di categoria, i quali, in vista di una ristrutturazione dell’organizzazione sindacale internazionale, temevano di essere privati della loro autonomia d’azione.
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alPAmgot con il compito di assistere e indirizzare gli ufficiali addetti alle questioni del lavoro, mettendo in luce l’importanza di ridar vita in quei territori a organizzazioni democratiche dei lavoratori. Prefigurando quanto sarebbe stato messo in atto successivamente durante l’occupazione alleata della Germania, Citrine metteva in chiaro che, anche se la questione nell’immediato futuro riguardava l’Italia, il Tue era interessato a qualsiasi altro territorio venisse in futuro liberato14.
Fino a quel momento, però, il governo inglese non aveva previsto alcun intervento nell’amministrazione militare alleata da parte del movimento sindacale inglese o internazionale, né aveva fissato alcuna politica futura su queste linee. Tuttavia alcuni funzionari di Whitehall cominciavano a percepire l’importanza politica della questione del lavoro e della legislazione sociale nella politica del governo militare alleato, per l’interesse che questa andava riscuotendo in alcuni ambienti laburisti inglesi e internazionali, ma soprattutto per le carenze del piano Am- got evidenziate dall’esperienza siciliana. Era auspicabile, quindi, un incontro interdipartimentale sulla questione, anche se prima di organizzarlo, o di prendere qualsiasi decisione intorno alle richieste del segretario del Tue, il War Office doveva dare il suo parere. La risposta a Citrine, perciò, non poteva
che essere evasiva. D’altra parte, essendo l’Amgot un corpo congiunto angloamericano, l’inclusione di sindacalisti in esso avrebbe dovuto essere concordata con le autorità americane per evitare che sorgessero incomprensioni. Comunque, non si aveva intenzione di stabilire un governo militare nei territori liberati. La tendenza era quella “di dare a ogni governo alleato tutte le opportunità per ristabilire la propria autorità nel proprio paese appena fosse stato possibile [...] Anche in territorio nemico, dove il governo militare avrebbe potuto durare più a lungo, sarebbe stato preferibile che la direzione politica venisse dall’esterno piuttosto che dall’interno dell’Amgot”15.
Poiché era ormai giunto il momento di affrontare decisamente il problema della riorganizzazione del sindacalismo democratico nei territori liberati, la segreteria del Tue lo poneva all’ordine del giorno della conferenza annuale svoltasi a Southport dal 6 al 10 settembre 1943. Sin dal discorso di apertura, pronunciato da Anne Longhlin, veniva chiaramente delineata la posizione del movimento sindacale inglese riguardo ai compiti delle nazioni alleate per la rinascita democratica dei paesi sottratti alla dittatura nazifascista, e la necessità che il sindacato facesse sentire la sua voce, rivendicando la rappresentanza del movimento organizzato internazionalmente nella temporanea amministrazione al-
14 Citrine a Richard Law, 25 agosto 1943, in TUC/A, f. 945.920, e in FO 371/35218. Inoltre R. Radosh, Il sindacato imperialista, cit., pp. 215-226; H. Lademacher (a cura di), Gewerkschaften im Ost-West-Konflikt, Melsungen, 1982, pp. 13-76; C. Eisenberger, Working Class Politics and the Cold War: American Intervention in the German Labor Movement 1945-49, “Diplomatic History”, 1983, n. 3, pp. 249-272; tutte opere che mettono in evidenza il ruolo svolto dall’Afl nell’occupazione alleata della Germania.15 Law a Citrine, 3 settembre 1943, in TUC /A , f. 945.920; Sebbene fossero in corso le trattative per l’armistizio italiano, ancora ai primi di settembre non vi era accordo fra gli alleati circa la gestione dei territori liberati. L’istituzione di un organismo di controllo per l’Italia, però, era già in fase di gestazione e i funzionari di Whitehall erano propensi ad affidare al più presto la responsabilità degli affari civili ad amministrazioni locali, riservando la direzione delle questioni politiche ed economiche a una commissione alleata di controllo in mani civili e, possibilmente, britanniche. Cfr. David W. Ellwood, L ’alleato nemico, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 211-217. Sulla posizione del Foreign Office vedi lettera del 9 settembre di Frederick W. Leggett a sir William Strang e la risposta di quest’ultimo il 27 dello stesso mese, in FO 371/35218; inoltre Maria Teresa Di Paola, La politica del lavoro dell’amministrazione alleata in Sicilia, “Italia contemporanea”, 1977, n. 127.
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leata. Sebbène fosse appena giunta la notizia dell’iniziativa di Badoglio di democratizzare l’organizzazione italiana del lavoro con la nomina di esponenti del sindacalismo prefascista a commissari delle federazioni di mestiere, il movimento operaio inglese guardava con sospetto al governo Badoglio e, non essendo ancora note le trattative armistiziali con l’Italia, esortava i dirigenti del movimento antifascista italiano a non far niente che potesse mettere in grado Badoglio, o qualsiasi suo successore di rivendicare la loro attiva assistenza e il loro tacito supporto fintantoché il fascismo non fosse stato sradicato del paese16. Alla fine dei lavori il congresso delegava al General Council l’istituzione di un fondo per la ricostruzione dei sindacati europei e l’individuazione del modo migliore per riprendere la trattativa con il governo sulla questione della rappresentanza sindacale nell’Amgot. Secondo quanto veniva deciso, il 24 settembre Citrine contattava direttamente Anthony Eden, ministro degli Esteri, proponendogli un incontro con una deputazione sindacale per discutere la questione delle facilitazioni per guidare e assicurare il ristabilimento delle organizzazioni sindacali democratiche nei territori che passavano sotto il controllo alleato. La richiesta veniva accolta e l’incontro fissato per il primo ottobre17.
L’annuncio dell’avvenuto armistizio aveva però creato nella penisola italiana una situazione incandescente. Liberato Mussolini, i tedeschi occupavano i maggiori centri dell’Italia centro-settentrionale, dove il 23 settembre veniva dichiarata costituita la Re
pubblica sociale italiana. Al Sud, dove si erano rifugiati il re e Badoglio, la situazione era molto fluida non essendosi ancora definiti i rapporti di cobelligeranza. Era molto improbabile, quindi, che la proposta del Tue potesse incontrare una ricezione favorevole. Convinti che per il momento non fosse opportuno coinvolgere il sindacato nell’amministrazione delle aree liberate, e non trovando un motivo convincente per sostenere la loro posizione, i funzionari del Foreign Office suggerivano a Eden di temporeggiare e far presente che, essendo già iniziati i preparativi per la costituzione della Allied Control Commission (Acc) e per il passaggio delle responsabilità amministrative alle autorità italiane, i sindacalisti che eventualmente fossero stati assegnati all’Amgot si sarebbero ben presto trovati a operare in un organismo dalle attività e competenze notevolmente ridotte18.
Venuto forse a conoscenza delle perplessità che la proposta del Tue suscitava all’interno di Whitehall, Citrine lasciava cadere la questione della rappresentanza sindacale nel governo militare alleato e nell’incontro con Eden, parlando a nome della deputazione, esponeva i motivi per cui il Tue riteneva opportuno inviare una delegazione sindacale in Italia. Da parte sua il Foreign Secretary affermava di non essere in grado d’assumersi alcun impegno senza aver prima consultato i colleghi del War Cabinet e aver avuto il parere del governo americano. Per quanto riguardava la possibilità di dare un carattere internazionale alla delegazione, si conveniva che per il momento era più opportuno parla-
16 TUC Annual Report, cit. Nelle fila del movimento operaio inglese circolava l’opinione che, nonostante Mussolini fosse caduto e il regime fascista formalmente liquidato, le forze della reazione che lo avevano generato e che avevano dato il potere a Mussolini erano sopravvissute.17 Citrine a Eden, 24 settembre 1943, in FO 371/35215. Inoltre estratti dal General Council Minutes o f Meeting, del 7 e del 29 settembre in TUC /A , f. 945/920 (d’ora in poi General Council Minutes). Componevano la deputazione John Brown, Arthur Deakin, George Isaacs, G.W. Thomas, Ebby Edwards e W. Citrine.18 Brief for the Secretary o f State’s Meeting with Sir Walter Citrine about AMGOT, 30 settembre 1943, in FO 371/ 35218, da cui si evince che Ernest Bevin aveva fatto sapere di non essere favorevole alla proposta.
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re solo di rappresentanti sindacali inglesi e americani. L’inclusione degli americani infatti sarebbe stata di per sé una complicazione, essendo il movimento sindacale negli Stati Uniti diviso fra due grandi organizzazioni rivali. Il 4 ottobre il War Cabinet esaminava la proposta del Tue e decideva di accertare innanzi tutto, tramite l’ambasciata americana a Londra, cosa ne pensasse il governo americano, fermo restando che non si poteva acconsentire all’iniziativa senza aver ottenuto prima il permesso del comandante in capo19.
Gli stretti rapporti di collaborazione intercorsi sin dall’inizio della guerra tra il Tue e vari dipartimenti governativi, per sostenere lo sforzo bellico e sviluppare la politica del lavoro nelle colonie, inducevano a dare per scontato che l’iniziativa non avrebbe incontrato ostacoli da parte inglese. Le stesse autorità militari, tendenzialmente contrarie all’introduzione di civili nel teatro di guerra, avrebbero probabilmente apprezzato la disponibilità del Tue, visto che avevano già dovuto provvedere, verso la fine di settembre, ad addestrare dei funzionari d’alto grado dei County Councils per lavorare alle dipendenze del governo militare nelle zone conquistate al nemico20. Del resto, di fronte alle difficoltà incontrate nell’attuazione del piano Amgot in Sicilia, sarebbe stato ovvio coinvolgere nell’amministrazione dei territori liberati pure il movimento cooperativo inglese, il cui aiuto sarebbe stato di estrema utilità per ristabilire al più presto l’organiz
zazione cooperativa nell’importante settore della distribuzione dei generi di prima necessità. Riguardo al parere del governo americano, Citrine contava sull’interessamento di William Green, presidente della American Federation of Labor, al quale aveva subito scritto per chiedere il pieno appoggio della sua organizzazione21. Era legittimo attendersi un certo interessamento pure da parte dell’ambasciatore americano a Londra, John Winant, per il suo passato nell’Ufficio internazionale del lavoro22. Ma anche se tutto faceva sperare che la proposta del Tue sarebbe stata accolta, di fatto la faccenda restò a decantare parecchie settimane. In mancanza di una risposta sollecita da parte del comandante in capo e degli americani, i funzionari del Foreign Office s’erano trovati in difficoltà nei confronti del sindacato, che ripetutamente ed esplicitamente richiedeva di sapere almeno se il governo inglese approvava l’iniziativa. Ma nonostante la dichiarazione di cobelligeranza, l’Italia restava ancora un paese nemico, le cui questioni interne ed esterne andavano regolate “secondo esigenze militari e usando mezzi militari”. La proposta del Tue, quindi, come qualunque altra richiesta “proveniente dalle forze politiche italiane e alleate e che andasse oltre le competenze militari veniva considerata in maniera del tutto relativa, ad un livello ancora inferiore a quello dovuto al fatto che l’Italia era in effetti un campo di battaglia”23. Poiché il comando alleato per desiderio del generale Eisenhower aveva rimesso la questio-
19 Citrine a Philip Murray del Ciò, 18 luglio 1944, e TUC Deputation to the Foreign Office: Memorandum o f Interview, 1° ottobre 1943, in TUC /A , f. 945/920; inoltre lettera del 10 ottobre di Eden a John G. Winant, e Note for the Secretary o f State for Use o f Cabinet on 4th Monday, October, in FO 371/35218.20 Lettera del 5 ottobre della Hospitales and Welfare Services’ Union, citata in estratto da Minute o f Finance and General Purpose Committee, 25 ottobre 1943, e conferma di W. Gillies a Citrine in lettera del 29 dello stesso mese, in TUC /A , f. 945/920.21 Tel. di Citrine a Green, 4 ottobre 1943, ed estratto da Minute o f Meeting o f the National Council o f Labour, 26 ottobre 1943, in T UC /A , f. 945/920.22 Minuta del Foreign Office, 17 ottobre 1943, in FO 371/35218.23 Cfr. D.W. Ell wood, L ’alleato nemico, cit., p. 62.
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ne all’esame dell’appena istituito Advisory Council for Italy (Aci), ai diplomatici inglesi non restava altro che temporeggiare24.
La “missione Fano” e il consenso alla visita
Ai primi di dicembre Citrine apprendeva da George Hall, sottosegretario di Stato agli Esteri, che il Foreign Office era pronto a sollecitare Algeri affinché la richiesta del Tue venisse considerata dall’Aci in una delle sue prime sedute, e a raccomandare che venisse accolta, ma prima di far ciò desiderava appurare che non vi fossero equivoci circa lo scopo e l’ambito della visita proposta. Riesaminando la documentazione relativa, infatti, appariva che di recente era stato specificato che essa aveva come scopo lo studio delle condizioni prevalenti nei territori liberati al fine di collaborare alla ricostruzione di un movimento sindacale libero e democratico in quelle zone. Il Foreign Office non aveva però comunicato in quei termini la proposta al governo americano e al generale Eisenhower, perché in un primo momento il Tue aveva chiesto solo delle facilitazioni per fare un giro d’ispezione in Sicilia e in Italia, in veste privata, per studiare i problemi più importanti nelle aree sotto controllo alleato25. Queste sottigliezze burocratiche coglievano di sorpresa il segretario generale del Tue, che proprio in quei giorni era stato informato da Schevenels che l’Itf aveva già due rappresentanti in Italia e che uno di essi era tedesco di nascita e forse anche di nazio
nalità. Non potendo credere che questi avessero ottenuto le facilitazioni necessarie proprio quando il Foreign Office stava trattando la questione con i sindacati inglesi, Citrine non aveva diffuso la notizia, né vi faceva riferimento nella lettera che inviava ad Hall per precisare lo scopo della visita e far presente che dai precedenti contatti aveva tratto l’impressione che la proposta non avrebbe incontrato difficoltà. “Quando all’inizio contattammo Eden — scriveva Citrine — lo facemmo per esplorare se c’erano possibilità di essere collegati in qualche modo (con l’Amgot) come rappresentanti del movimento sindacale internazionale. L’obiettivo era quello di vedere fino a che punto fosse possibile per il nostro movimento collaborare per far risorgere i sindacati liberi in Italia” . I rappresentanti sindacali quindi “avrebbero avuto il compito d’esplorare le possibilità esistenti e non andare oltre a ciò [...] naturalmente sarebbero stati inviati a nome del Tue inglese o dellTftu”26. Con lo scopo della visita definito in questi termini il Foreign Office non poteva che essere d’accordo. D’altra parte, una volta concesso a dei sindacalisti di recarsi in Italia, come pretendere che questi non stabilissero contatti con i loro colleghi italiani o che non prendessero in esame la possibilità di farvi risorgere il movimento sindacale? Poiché il Tue intendeva dare alla visita un carattere esclusivamente esplorativo non avrebbero dovuto provenire obiezioni neppure da parte del comando alleato, che avrebbe potuto eccepire qualora i delegati avessero tentato d’incoraggiare la
24 Lettera di George Hall a Citrine, 30 novembre 1943, e risposta di Citrine, 2 dicembre, in TUC/A, f. 945/920; minute del 17 ottobre e del 15 novembre, in FO 371/35218; inoltre commento di sir Horace A.C. Rumbold del 25 novembre alla lettera di H. Bucknell a Eden del 18, con cui l’addetto all’ambasciata americana a Londra informava il Foreign Secretary che il generale Eisenhower voleva che la questione venisse rimessa all’Aci, senza però comunicare cosa ne pensasse il governo americano, né se e quali rappresentanti sindacali americani avrebbero potuto essere inclusi nella missione del TUC; cfr. ambedue in FO 371/37369.25 Hall a Citrine, 9 dicembre 1943, in TUC/A, f. 945/920.26 Risposta di Citrine del 13 dicembre 1943, con accluso ritaglio dell’articolo di Cecil Sprigge Get rid o f the fascist, say Italian railmen, pubblicato sul “Daily Worker” del 10 dicembre, in FO 371/37369. In esso veniva riferito della presenza in Italia del rappresentante dellTtf Pierpaolo Fano.
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rinascita del movimento sindacale italiano dall’esterno, interferendo nelle competenze del comandante in capo. Comunque, la decisione ormai doveva essere presa dall’Aci e al Foreign Office non restava altro che comunicarlo al sindacato27.
Mentre a Londra si prendeva ancora tempo di fronte ai solleciti del Tue, il corrispondente dell’agenzia Reuter, Cecil Sprigge, aveva reso noto in un messaggio stampa dall’Italia che i ferrovieri dei distretti di Bari e delle Calabrie, incontratisi con il sottosegretario per le comunicazioni generale Giovanni Di Raimondo e il ministro del lavoro Epi- carmo Corbino, avevano richiesto la rimozione dei fascisti dall’organizzazione delle ferrovie, oltre che agevolazioni sindacali e un miglioramento nelle condizioni economiche. Il comunicato dava pure notizia della presenza all’incontro di Pierpaolo Fano, “noto” rappresentante dell’Itf, “la cui partecipazione alla ripresa delle attività sindacali in Italia è il primo pratico contatto tra i lavoratori italiani e il movimento sindacale internazionale da quando l’Italia è entrata nelle fila delle nazioni in guerra contro la Germania”28. Il progetto delPIft era quindi andato in porto senza incontrare, stranamente, le difficoltà frapposte alla proposta del Tue29. Nonostante ne fosse stata diffusa la notizia in un breve comunicato radio di Oldenbroeck e sul quotidiano laburista “Daily Herald” , la presenza dei rappresentanti dell’Itf in Italia sembra passare in un primo momento quasi inosservata all’inter
no del Foreign Office. Tuttavia il fatto non potè più essere eluso allorché Citrine espresse esplicitamente il proprio risentimento a George Hall, chiedendogli anche una spiegazione. Come era possibile che tutto ciò fosse avvenuto senza che lui ne fosse stato messo al corrente né dal Foreign Office né dallo stesso Oldenbroeck? Invitato a discutere di persona la questione, il segretario del Tue apprendeva da Hall che i due erano stati prescelti dall’Office of Strategie Service (Oss) per servizi speciali in Italia e non per promuovere la rinascita sindacale nel settore dei trasporti. Per quanto riguardava i rapporti con Oldenbroeck, Citrine avrebbe dovuto risolvere la questione da solo, non potendo il Foreign Office intervenire in nessun modo. Hall s’impegnava invece a sollecitare attraverso Macmillan il permesso per i delegati del Tue30. Ma fino ad allora, per ragioni geografiche e per l’andamento della guerra l’Aci, a cui la richiesta andava sottoposta, era stato in grado di riunirsi solo saltuariamente e aveva dovuto affrontare questioni molto più urgenti. A seguito delle rinnovate pressioni da Londra, la questione veniva discussa nel Consiglio del 24 gennaio e in linea di massima tutti i presenti acconsentirono alla visita con la riserva che i rispettivi governi confermassero la decisione presa. Tuttavia, tenuto conto delle condizioni in cui si trovava l’Italia, spettava al comandante in capo stabilirne la data più opportuna. Ciò significava in pratica rimandare la visita indefinitamente, decisione che non soddisface-
27 Minute di Rumbold e di Armine R. Dew, 16 e 18 dicembre, in FO 371/37369.28 Administration o f Italy. Railway Worker’s Demands, Reuter Message, inFO 371/37315.29 Su Fano e la sua missione nei territori liberati si sa molto poco, e solo una ricerca specifica negli archivi di Washington potrebbe fare luce, dato che in quelli inglesi la documentazione è molto scarsa. Sia nel fondo del Foreign Office che in quello del Tue relativo alla visita in Italia (f. 945/920) sono elencati documenti su di lui che però non si trovano inseriti nei corrispondenti fascicoli.30 Citrinea Hall, 29 dicembre 1943, in FO 371/37297. Sull’incontro di Citrine con Hall e sulla verifica fatta dal Foreign Office circa la presenza dei rappresentanti dell’Itf in Italia cfr. minuta di Hall, 20 gennaio 1944, e anche lettera di Dew a Roger M. Makins (Algeri), 3 marzo, ambedue in FO 371/43920. Gli appunti di Citrine relativi all’incontro con Hall non sono stati depositati negli archivi del Tue, nonostante se ne trovi riferimento nella rubrica del f. 945/920.
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va i funzionari del Foreign Office, soprattutto dopo che era stata data tanta pubblicità alla “missione Fano”; ma a questo punto non potevano fare altro che aspettare, sperando che non sopraggiungessero ulteriori complicazioni31.
Dall’Italia giungevano intanto i primi segni di una ripresa del movimento sindacale e alla Camera dei comuni veniva posta la questione se nei territori italiani liberati i rinascenti sindacati fossero liberi di funzionare sul modello inglese32. Quanto avveniva in Italia, infatti, non era facile da interpretare per degli osservatori stranieri. Le numerose iniziative che si susseguivano nel meridione, anche se prive di coordinamento e spesso in concorrenza fra loro, avevano in comune la tendenza ad affermare che la riorganizzazione dei sindacati dovesse procedere su basi unitarie e al di fuori dei partiti politici, ma avendo come protagonisti dei dirigenti impegnati più o meno attivamente sulla scena politica locale, o perché esponenti di qualche partito o perché membri del Comitato nazionale di liberazione. Tutto ciò contribuiva a rinsaldare l’opinione di chi, a Londra e ad Algeri, riteneva che una visita di una delegazione sindacale inglese fosse prematura. Già nel mese di gennaio il ministero dell’Informazione aveva espresso le sue perplessità. Se una delegazione avesse dovuto effettivamente recarsi in Italia, era auspica
bile che almeno non vi prendesse parte Citrine, dato che le sue precedenti visite negli Stati Uniti e in Unione Sovietica aveva sollevato molti problemi e che in Italia sarebbe stato ancora peggio. Da parte del ministero del Lavoro, poi, s’era espresso un parere decisamente contrario, che avrebbe potuto essere rimosso solo una volta che i fatti avessero dimostrato che la situazione era divenuta più stabile e definitiva33. Oltretutto, non essendo ancora risolta la questione istituzionale e della rappresentatività del governo Badoglio, né tanto meno quella di consentire al governo italiano d’inviare rappresentanti a Londra o a Washington, una visita dei delegati del Tue sarebbe stata imbarazzante per tutti34.
Tuttavia nel mese di marzo del 1944 la situazione in Italia sembrò giungere a una svolta decisiva. Da Milano scioperi generali si estendevano a tutte le città del Nord. Mentre diverse centinaia di migliaia di lavoratori si mobilitavano e resistevano alla minaccia armata dei tedeschi, il 13 marzo il governo Badoglio annunciava la ripresa delle relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica. La notizia coglieva certamente tutti di sorpresa, ma la svolta che ne conseguiva nella politica del partito comunista italiano non poteva che soddisfare gli inglesi. Allo scambio di rappresentanti diplomatici faceva seguito, il 17 marzo, il rientro in Italia di To-
31 Tel. di Makins (Algeri), 21 e 23 gennaio 1944, e minute di Rumbold, 23 e 25 dello stesso mese, in FO 371/43924.32 Cfr. Italian Liberated Territory (Trade Unions): Parliamentary Question, 9 febbraio 1944, in FO 371/43920. Alla fine di gennaio radio Bari aveva diffuso la notizia che alla testa della ricostituenda Cgil era stato eletto commissario il socialista Bruno Buozzi, con Giovanni Roveda e Achille Grandi quali vicecommissari; cfr. estratto del “Daily Worker”, 1° febbraio, ivi. Inoltre Buozzi aveva inviato a Citrine un messaggio augurale per il nuovo anno, auspicando un possibile futuro incontro in Italia o a Londra (cfr. Eden a Citrine, 28 gennaio 1944, in TUC/A, f. 945/920).33 Sulla visione inglese del processo di riorganizzazione sindacale avviatosi nei territori liberati cfr. Italian Trades Union in Liberated Territory; Report from the Office o f British Resident Minister, AFHQ, Algiers, 10 gennaio 1944; rapporto del capitano Scicluna, 2 febbraio; e Trade Union Movements in Liberated Italy: Political Intelligence Report (Pid), 21 giugno, tutti in FO 371/43920. Inoltre Political Intelligence Report on Italy No. 50, 11 febbraio, e Ford Memorandum, 22 aprile, rispettivamente in FO 371/43942 e 43899. Sulle opinioni espresse dai ministri cfr. minuta del 4 gennaio 1944, in FO 371/37369 e lettera di Leggett a Dew del 30 marzo, in FO 371/43920.34 Harold Caccia a Makins, 11 febbraio 1944, in FO 371/43924.
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gliatti. Sotto la sua influenza il partito comunista, che fino a quel momento era stato il principale sostenitore della necessità di una petizione popolare per l’abdicazione del re Vittorio Emanuele, s’impegnava a convincere gli altri partiti del Comitato di liberazione nazionale ad accantonare per il momento la questione istituzionale e a farsi promotori della formazione immediata di un governo temporaneo di unità democratica, liberale e antifascista35. Anche se l’impasse della questione istituzionale e di governo stava per essere superata, la situazione economica e sociale era allarmante e non si poteva più restare a guardare passivamente. Il comitato internazionale del Tue, avendo preso in esame le condizioni dei lavoratori italiani in base al rapporto fatto dai delegati dell’Itf al loro rientro dai territori liberati, aveva deciso di continuare a fare pressioni sul Foreign Office, affinché venissero fomite anche al Tue le facilitazioni necessarie per poter visitare l’Italia, e di procedere alla nomina dei propri rappresentanti36. Nel contempo, nella riunione del 15 marzo dell’Aci, il rappresentante sovietico aveva dichiarato che il suo governo non aveva alcuna obiezione alla visita della delegazione del Tue, e poiché anche i rappresentanti greci e jugoslavi erano d’accordo, MacMillan aveva raccomandato al comandante in capo alleato di dare il suo consenso. Il generale Wilson acconsentiva alla visita il 20 marzo, ma restava
da precisare quando questa avrebbe potuto aver luogo37.
In preparazione del War Cabinet che avrebbe dovuto discutere la questione, il Foreign Office faceva circolare fra i vari ministeri interessati un rapporto sulla visita proposta per conoscere il loro parere. Ma il contenuto del rapporto non era tale da indurre a modificare il parere contrario già espresso dal ministro del lavoro Bevin, secondo il quale sarebbe stata una buona politica rinviare la visita sino a quando non fosse stato possibile entrare in contratto con quella parte d’Italia in cui risiedeva da sempre la principale forza dell’organizzazione sindacale. I congressi che si erano tenuti a Bari e a Salerno avevano messo in evidenza il carattere politico delle attività sindacali nel Sud e il fatto che non vi erano leader sindacali che godessero di un largo seguito tra i lavoratori. Se ormai non era più possibile impedire al Tue d’inviare i propri rappresentanti in Italia, essendone già stati pubblicizzati i nominativi sulla stampa, bisognava almeno far di tutto per posporre la loro partenza dalla Gran Bretagna. L’opinione di Bevin era condivisa dal Secretary of State for War, visto che a nulla era servito il telegramma che il War Office aveva inviato direttamente al generale Wilson per fargli rimandare la decisione38. Nonostante questi pareri contrari, nella riunione del 3 aprile il War Cabinet faceva propria l’opinione di
35 Cfr. Ennio Di Nolfo, La svolta di Salerno come problema internazionale, e anche Bruno Arcidiacono, La Gran Bretagna e il pericolo comunista: gestione, nascita e primo sviluppo di una percezione (1943-1944), ambedue in “Storia delle relazioni internazionali”, 1985, n. 1, pp. 5-28 e p. 55.36 Estratti da International Committee Minutes, e da General Council Minutes, rispettivamente 15 e 22 marzo 1944, in TUC/A, f. 945/920. H.N. Harrison della National Union of Municipal Workers e W. Lawther della Mine Workers Federation, nominati delegati dal General Council del 22 marzo, controllavano insieme a Deakin della National Union of General and Transport Workers i voti in blocco dei sindacati più importanti ed erano in grado di condizionare non solo le decisioni del congresso annuale del Tue, ma anche i dirigenti sindacali che occupavano cariche dirigenziali nel partito laburista. Cfr. H. Pelling, cit., pp. 260-288.37 Lettera di MacMillan, 15 marzo 1944, e minuta di Dew, 5 aprile, in FO 371/43924.38 Bevin al Secretary o f State fo r War, e Bovenshen (WO) a Sargent (FO) 30 marzo e 1° aprile 1944, in FO 371/ 43924.
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Eden, secondo cui non si poteva non consentire alla richiesta del Tue, dato che nel frattempo rappresentanti dell’Itf avevano visitato i territori italiani liberati. Il Foreign Office non condivideva i timori del ministro del lavoro, anche perché riteneva che fosse giunto il momento di associare in qualche modo il Tue agli Affari civili. Del resto, quale danno avrebbero potuto arrecare con la loro visita due delegati del Tue, sicuramente ben consapevoli della limitata rappresentatività dei dirigenti sindacali con cui sarebbero entrati in contatto nell’Italia meridionale? Inoltre, come non ammetterli, quando era stato permesso il rientro in Italia di agitatori comunisti?39 Ottenuto il consenso delle autorità inglesi e alleate, toccava al sindacato inglese decidere quando la visita avrebbe dovuto aver luogo e chi avrebbe fatto parte della delegazione40. Ma in assenza di Citrine, recatosi in America per la conferenza dell’International Labour Office (Ilo), che si sarebbe tenuta a Philadelphia dal 20 aprile al 12 maggio 1944, sembrava che al Tue non vi fosse nessuno in grado di prendere una decisione in proposito41.
La preparazione politica della visita e gli sviluppi in America
L’iniziativa sindacale, in un primo tempo sottovalutata, veniva adesso considerata da
un’angolazione del tutto nuova e diveniva parte di una più ampia strategia anticomunista. Condividendo l’opinione di chi intravedeva in quanto faceva seguito alla “svolta” di Salerno un piano elaborato da Mosca e da Mosca coordinato, Eden aveva espresso i propri timori sugli obiettivi mediterranei dei russi nel War Cabinet del 3 aprile, senza riuscire a convincere Churchill della necessità di una revisione della politica italiana42. L’invio della delegazione sindacale, quindi, era per il momento la sola carta da giocare, e al più presto, per controbattere l’ondata della propaganda marxista che stava dilagando in Italia. Toccava al Foreign Office assicurarne il successo, curando nei minimi particolari non solo l’aspetto organizzativo, ma soprattutto quello politico della missione. Pur non essendo sicuro che due delegati sindacali avrebbero potuto, come sperava Harold Macmillan, ottenere risultati positivi in questa direzione, il Foreign Office decideva di dare qualche indicazione in proposito alla delegazione prima della partenza per i territori liberati43. Sebbene l’evolversi della situazione in Grecia avesse nel frattempo sensibilizzato il premier britannico sui pericoli del diffondersi del fenomeno comunista in quelle aree, l’elaborazione di una strategia anticomunista risentiva delle difficoltà inglesi ad avviare una politica “positiva” per l’Italia; difficoltà che erano state ulteriormente aggravate dalla richiesta del passag-
39 Nota di Hall a Eden, 30 marzo 1944; estratto da War Cabinet Conclusions, 43(44), 3 aprile, e anche minuta di Dew del 5 aprile, in FO 371/43924.40 Eden a Citrine, 7 aprile 1944, in TUC/A, f. 945.920.41 Scorrendo gli atti del Comitato internazionale del Tue appare evidente che la questione era stata lasciata interamente nelle mani di Citrine, essendo il Comitato impegnato soprattutto coi preparativi della conferenza sindacale mondiale, che si sperava di convocare a Londra nel mese di giugno. Lo stesso General Council, riunitosi ai primi di maggio, conveniva di non esprimere per il momento alcuna opinione e aspettare la decisione degli americani per definire la data della partenza, essendo stata messa in discussione l’opportunità in quel momento di una visita in Italia proprio da parte dei delegati prescelti. Cfr. estratto da General Council Minutes, 4 maggio 1944, in TUC /A , f. 945/920; e anche International Committee Minutes, in TUC/A, f. TI 854.42 Nota di Eden, 3 aprile 1944, in FO 371/43793 e War Cabinet 43(44)4, Confidential Annex, in CAB 65, vol. 46.43 Tel. di Makins (Algeri), 11 aprile 1944, citato da Ross in minuta del 4 maggio; minute di Dew, 14 e 25 aprile, e tel. del Foreign Office al Resident Minister (Algeri), 15 aprile, tutti in FO 371/43924.
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gio allo status di alleato avanzata dal secondo governo Badoglio. Il presunto legame tra le condizioni materiali degli italiani e il loro spostamento a sinistra era il punto da cui partire. Tuttavia non era facile trovare un accordo sulle misure politiche ed economiche da adottare, anche se era chiaro che le uniche possibilità reali per aumentare la popolarità della nazione e dell’esercito britannici “consistevano in concessioni economiche e, a livello diplomatico, in un trattato di pace preliminare” , la cui conclusione doveva però essere fatta balenare solo come una possibilità in un futuro non lontano44.
Per il momento, dunque, non restava altro che avviare una campagna di contropropaganda che mettesse in risalto “ad nauseam” i meriti della democrazia e nel contempo desse, come annotava Eden, una “più vigorosa immagine di noi stessi” . A parte i canali di propaganda convenzionali l’alto commissario inglese per l’Italia, sir Noel Charles, valutava positivamente l’invio dalla Gran Bretagna di rappresentanti sindacali responsabili, in grado di convincere gli italiani che “solo gli ideali democratici emergono come i principi che garantiscono una reale libertà individuale”45. Concentrare l’attenzione dei lavoratori delle industrie sui problemi economici e industriali, che avrebbero potuto essere risolti adottando il modello sindacale inglese, era una via da percorrere, nonostante che nell’Italia meridionale i lavoratori industriali fossero molto pochi e la completa distruzione da
parte dei fascisti dell’organizzazione dei sindacati liberi rendesse ancora più difficile il compito di farla rivivere. Dato che i delegati sindacali avrebbero potuto soltanto stabilire contatti preliminari con i sindacati italiani, la nomina di un labour attaché nello staff di Charles avrebbe permesso di mantenere in pianta stabile i contatti coi lavoratori. Oltre al compito di studiare i problemi politici ed economici dal punto di vista industriale, questo funzionario avrebbe potuto parlare, grazie alla sua posizione ufficiale, con una certa autorità con i datori di lavoro ed i lavoratori italiani per convincerli ad affrontare i problemi industriali secondo i metodi del sindacalismo inglese piuttosto che con quelli del comuniSmo. La prospettiva d’azione più immediata, comunque, era pur sempre quella d’incoraggiare la visita del Tue e fare in modo che nella delegazione venisse inserito almeno un elemento più giovane, capace di osservare cose che non potevano essere notate dai due dirigenti nazionali prescelti dal General Council. Perché la missione potesse svolgere con successo la sua funzione di contropropaganda era infatti essenziale che vi partecipassero elementi che, oltre a essere rappresentativi del movimento, fossero anche in grado di studiare e valutare il problema della diffusione della propaganda comunista fra i lavoratori italiani, perché al loro ritorno le informazioni raccolte nei territori liberati sarebbero state estrema- mente utili per avere una più esatta visione di quanto stava accadendo in Italia46.
44 Cfr. D.W . Ellwood, L ’alleato nemico, cit., p. 79 e articolo di B. Arcidiacono, La Gran Bretagna e il pericolo comunista: gestione, nascita e primo sviluppo di una percezione (1943-1944), “Storia delle relazioni internazionali”, 1985, nn. 1-2, p. 56. Sui problemi delle relazioni anglosovietiche alla luce degli sviluppi in Italia, Romania, Bulgaria, Jugoslavia e Grecia cfr. David Dilks, British Political Aims in Central, Eastern and Southern Europe 1944, in AA.VV., British Political and Military Strategy in Central Eastern and Southern Europe in 1944, Basingstock, MacMillan, 1988, pp. 25.45 Tel. di Charles, 10 maggio 1944, e notazione a margine di Eden, in FO 371/43792.46 Communism in Italy: HMG Counterpropaganda: Memo o f discussion at Foreign Office, 10 maggio 1944, in FO 371/43792; e anche FO Memorandum, 30 maggio 1944, in FO 371/43832.
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Poiché Citrine non era ancora rientrato dagli Stati Uniti, il Foreign Office invitava il suo assistente Vincent Tewson e il responsabile dellTnternational Department del Tue Ernest Bell a incontrarsi con Hall, per metterli al corrente, in via strettamente confidenziale, dei recenti sviluppi della politica inglese verso l’Italia e dell’interesse del suo ministero a che la delegazione sindacale partisse al più presto. Ma proprio in quei giorni il segretario del Tue stava discutendo con i colleghi dell’Afl la nomina di un rappresentante americano nella delegazione, per cui veniva deciso di aspettare il suo rientro per definire in termini pratici la visita47. Appena giunto a Londra Citrine s’incontrava con Hall e indicava in Walter Schevenels la persona più fidata, più esperta e più adatta a portare a buon compimento la missione che il Foreign Office intendeva affidare alla delegazione. Occorreva però trovare il modo di aggirare le recenti restrizioni d’accesso di stranieri nel Regno Unito che avevano bloccato il segretario dell’Iftu negli Stati Uniti insieme con altri dirigenti sindacali internazionali, partiti come lui da Londra in aprile per recarsi a Philadelphia ad assistere alla conferenza dell’Ilo. Secondo Citrine sarebbe stato utile fare giungere nella capitale inglese anche Luigi Antonini, l’italoamericano che l’Afl aveva designato quale proprio rappresentante, perché con la sua conoscenza dell’Italia e della lingua italiana avrebbe di sicuro contribuito a fornire ai delegati inglesi maggiori informazioni su quel paese. Riguardo alle spese di viaggio per la delegazione, veniva puntualizzato che il sindacato non poteva permettersi di far fronte alle spese per il trasporto dei de
legati per cui il Foreign Office, essendo interessato alla visita, avrebbe dovuto procurare i passaggi aerei necessari, mentre il Tue avrebbe provveduto coi propri fondi a coprire le spese di soggiorno48.
Nonostante fosse ritenuto di estrema importanza non rimandare oltre la visita, di fatto essa slittò alcuni mesi a causa dei contraccolpi che la nomina del rappresentante americano provocò negli Stati Uniti e che fecero temere al Foreign Office che la delegazione non avrebbe potuto assolvere il ruolo che le era stato assegnato49. Ai primi di giugno infatti era stata ufficialmente resa pubblica la scelta di Antonini. Noto alla stampa americana quale uno dei più dichiarati anticomunisti del movimento operaio statunitense, questi era stato designato in quanto, come presidente dell’Italian-American Labour Council (laïc) e vicepresidente dellTnternational Ladies Garnment Workers (Ilgw), rappresentava tre milioni di lavoratori italoamericani organizzati. Sfortunatamente, nell’annunciarne la nomina il presidente dell’Afl Green aveva incautamente sottolineato il carattere anticomunista della scelta, mentre lo stesso Antonini sembra avesse detto nell’accettare l’incarico che occorreva essere certi che i comunisti non controllassero i sindacati italiani, perché “non vogliamo che l’influenza sovietica vada dalla Jugoslavia all’Italia e alla Spagna e quindi forse anche all’America del sud e del nord”50. Ciò suscitava immediate proteste da parte dei gruppi italoamericani del Ciò che sollecitavano il Dipartimento di Stato americano a non concedere il visto d’uscita al provocatore anticomunista Antonini, per
47 Memorandum o f Interview, 15 maggio 1944, in TUC/A, f. 945/920, e nota di Hall, 16 maggio 1944, in FO 371/ 43924.48 Memorandum o f Interview, 1° giugno 1944, in TUC/A, f. 945/920, e nota di Hall, 2 giugno 1944, in FO 371/ 43924.49 Minuta di Tahardin, 22 giugno 1944, in FO 371/43924.50 Tel. da Washington e lettera di Cunard a Scarlett, rispettivamente 13 e 15 giugno 1944, in FO 371/43924.
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evitare interferenze nella situazione italiana; mentre il Ciò, rivendicando il diritto di poter inviare un delegato in Italia, designava George Baldanzi quale proprio rappresentante. L’organizzazione rivale dell’Afl non poteva fare però scelta di maggior disturbo, dal momento che Baldanzi era non solo vicepresidente del sindacato dei tessili aderente al Ciò, ma anche segretario del Free Italy American Labour Council (Fiale), da lui fondato insieme con August Bellanca nell’agosto del 1943, distaccandosi in segno di protesta dall’American Labour Council, in seguito alla alleanza di Antonini col reazionario American Committee for Italian Democracy51. Le aspre polemiche sviluppatesi in America avevano avuto riflessi anche sui giornali inglesi. Il 5 giugno il “News Chronicle” commentava che la visita di Antonini in Italia significava che “gli americani influenti si schieravano certamente dalla parte dei conservatori”, e il giorno dopo il “Daily Worker” vedeva in essa “una minaccia all’unità antifascista italiana” . Quel che era peggio, la scelta dell’Afl veniva interpretata come un esempio del livello che il sentimento antisovietico aveva raggiunto in America e anche come un sintomo palese della volontà dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna di “ridurre l’influenza sovietica sul popolo e sul governo italiano”52.
Poiché si giocava ormai a carte scoperte, era improbabile che la delegazione sindacale potesse riuscire a svolgere un ruolo di rilievo per portare avanti la politica che il governo inglese stava cercando di avviare in Italia. Inoltre il successo della missione sarebbe stato sicuramente compromesso dalla pre
senza dei sindacalisti italoamericani che, visti i loro precedenti rapporti, non avrebbero probabilmente partecipato ad una comune impresa e, recandosi separatamente in Italia, avrebbero causato ancor più danno. A prescindere dal fatto che al loro arrivo nelle zone liberate i due delegati americani potessero impegnarsi in attività politiche, quel che più preoccupava il Foreign Office era sia la notoria associazione di Antonini con Generoso Pope, per molti anni il più acceso propagandista filofascista negli Stati Uniti, sia i suoi collegamenti con l’azionista Dino Gentili. In particolare la concezione di Gentili e di Antonini del movimento sindacale sotto controllo politico, e dal quale tutti i comunisti dovevano essere esclusi, era pericolosa perché sarebbe stata percepita, e non senza ragione, come un tentativo di distruggere dall’esterno quell’unità dei lavoratori italiani organizzati che andava affermandosi in quei giorni a seguito della stipula del cosiddetto patto di Roma, e sarebbe stato un eccellente pretesto per il Partito comunista italiano per chiamare in suo aiuto l’Unione Sovietica. Un appello del genere non sarebbe rimasto senza risposta e l’alleato sovietico sarebbe di nuovo apparso come il deus ex machina che metteva ordine negli affari italiani. Se il Dipartimento di Stato americano avesse insistito a sostenere la nomina di Antonini, la missione sarebbe stata inevitabilmente più dannosa che utile e i sindacati inglesi avrebbero fatto meglio a dissociarsi dall’iniziativa53.
Pur sperando che il comando alleato non approvasse la scelta dei sindacati americani, il Foreign Office faceva sapere a Washington
51 Tel. da Washington, 13 giugno 1944, e lettera di Cunard a Scarlett, 15 giugno, loc. cit.. Sulle complesse vicende delle organizzazioni sindacali dei lavoratori italoamericani in quegli anni cfr. Roberto Faenza e Marco Fini, Gli americani in Italia, Milano, Feltrinelli, 1976; pp. 24-27; inoltre D.W. Ellwood, L ’alleato nemico, cit., p. 391, e F. Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, cit., p. 55.52 Estratto da “The Newstateman and Nation”, 10 giugno 1944, in FO 371/43924, e brani del “News Chronical” e del “Daily Worker” riportati in D.W. Ellwood, L ’alleato nemico, cit., p. 391.53 Lettera di Cunard cit. a nota 50 e minuta di Ross, 14 giugno 1944, in FO 371/43924.
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che riteneva opportuno far partecipare Antonini e Baldanzi in una delegazione unica con il Tue, per cui auspicava che i due mettessero da parte le loro divergenze e che il Dipartimento di Stato facesse di tutto per renderla possibile, spiegando a entrambi l’importanza di non compromettere il significato complessivo della missione con liti interne e, ancor peggio, intraprendendo attività politiche in Italia54. Ma se la combinazione Antonini-Baldanzi forniva già motivo di contrasto, l’ingresso di Schevenels nel quadro aveva complicato ancor più le cose perché negli Stati Uniti non se ne capiva il ruolo. Poiché il Ciò non faceva parte dell’Iftu, il segretario di questa organizzazione non poteva essere incluso nella delegazione, a meno che vi partecipasse come inviato del Tue. Secondo i diplomatici americani sarebbe stato meglio, comunque, che le delegazioni fossero state nominate separatamente, come missione inglese e missione americana, per evitare che si volessero associare all’iniziativa anche i sindacati sovietici. L’amministrazione americana non aveva niente da obiettare a una tale eventualità, ma probabilmente lo avrebbe avuto l’Afl55.
Tutto ciò mostrava agli inglesi le “incredibili difficoltà” che derivavano dal dover agire con gli americani e non da soli56. D’altra parte, non tollerando che il Tue venisse trascinato ancora una volta nelle liti interne dei sindacati americani, Citrine aveva fatto presente a Hall che sarebbe stato preferibile che la delegazione inglese fosse andata da sola in Italia, essendosi già perso troppo tempo. Se
gli americani non erano d’accordo, quindi, sarebbe stato opportuno accogliere la loro proposta di far nominare separatamente le delegazioni da parte delle organizzazioni sindacali di ciascun paese. Quanto a un’eventuale inclusione dei sovietici, il Foreign Office non escludeva che il governo sovietico potesse sollevare la questione, ma non sarebbero stati certamente gli inglesi a sollecitare una loro partecipazione57. Poiché ancora ai primi di luglio il Dipartimento di Stato non era riuscito a mettere d’accordo il Ciò e l’Afl affinché formassero una delegazione congiunta, Londra non vedeva altra soluzione che quella di riservare uguale trattamento alle richieste di entrambe le organizzazioni, proponendo d’inviare dall’America missioni separate58, e decideva d’incoraggiare il Tue a procedere da solo, lasciando che gli americani raggiungessero eventualmente i delegati inglesi a Roma59. Per essere efficace la missione doveva infatti essere realizzata senza indugio. Non restava dunque che perfezionare i dettagli della partenza e fare in modo che i delegati del Tue fossero pronti a partire per il 18 agosto60.
La svolta nella situazione politica italiana
Si era entrati ormai in una fase cruciale dell’avanzata delle forze alleate sul continente europeo e non si poteva più restare inermi di fronte al crescente malessere avvertito dagli italiani per le terribili condizioni di vita e la mancanza di fiducia da parte alleata. Anche
54 Nota di Hall e telegramma del Foreign Office a Washington, rispettivamente 19 e 22 giugno 1944, in FO 371/ 43924.55 Tel. di Halifax (Washington), 23 giugno 1944, in FO 371/43924.56 Minuta di Dew, 26 giugno 1944, in Fo 371/43924.57 Minuta di Ross, 26 giugno 1944, in Fo 371/43924; Citrine a Lawther, 29 giugno 1944, in T UC /A , f. 945/920.58 Tel. di Campbell (Washington), 13 luglio 1944, in FO 371/43925.59 Minute di Williams e di Sargent, rispettivamente 16 e 18 luglio 1944, in FO 371/43925.60 Nota di Hall, 20 luglio 1944, in FO 371/43925; inoltre lettera a Lawther e Tel. a Green inviati da Citrine rispettivamente il 20 e il 27 luglio 1944, in TUC/A, f. 945/920.
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se a Londra il “pericolo comunista” cominciava a essere visto “più come un espediente degli italiani per far pressione sugli Alleati occidentali per ottenere delle concessioni, che come una minaccia sovietica”61, gli appelli che giungevano dall’Italia echeggiavano un radicalizzarsi della situazione che non poteva essere sottovalutato. Secondo quanto era stato concordato, in seguito alla presa di Roma Badoglio aveva rassegnato le dimissioni e riottenuto l’incarico di formare un nuovo governo in cui venissero inclusi i leader delle forze antifasciste presenti nel Comitato di liberazione nazionale (Cln). Questi però, rivendicando il diritto degli italiani a un minimo di autonomia operativa nei confronti degli alleati, avevano rifiutato il loro appoggio a Badoglio e portato alla nomina di Ivanoe Bonomi a capo del governo62. Pur avendo accettato gli obblighi assunti dai precedenti governi verso gli alleati, il nuovo ministero s’insediava senza prestare giuramen- te di fedeltà alla corona. Tutto ciò rimetteva in discussione l’accordo raggiunto a Londra sulla politica da seguire nei confronti dell’Italia, e che prevedeva fra l’altro di rafforzare Badoglio facendo intravedere agli italiani la possibilità di un trattato di pace preliminare. Andava verificato, infatti, se le ragioni poste alla base di questa politica “positiva” fossero ancora valide nella mutata situazione. Poiché Churchill era dell’opinione che non ci sarebbe dovuto essere alcun riguardo particolare per il nuovo governo, ai diplomatici inglesi non restava che ripiegare su una strategia più paziente e discreta, mirante a intensificare i contatti con i leader dei partiti moderati e a dispensar loro gli incoraggiamenti necessari per acquistare fiducia in
se stessi, assumere l’iniziativa e procurarsi un seguito più consistente63. Questa linea, però, non veniva condivisa da Macmillan né da Noel Charles, secondo il quale, per arginare il successo del comuniSmo in Italia, era “essenziale che al governo moderato del Signor Bonomi venga dato tutto il sostegno possibile [...] In particolare l’Inghilterra deve resuscitare l’idea di un accordo preliminare, la cui conclusione consentirebbe di trattare gli italiani non più come nemici ma come associati [...] e sarebbe ben accetta agli americani”64. Mano a mano che i giorni passavano, infatti, andava guadagnando terreno fra gli italiani l’opinione che gli alleati guardassero con sospetto al governo Bonomi e stessero aspettando che entrasse in crisi per sostituirlo con un altro di loro gradimento. Si cominciava soprattutto a risentire della mancanza di fiducia da parte degli alleati. “La situazione è adesso matura per stabilire fra l’Italia e le nazioni alleate relazioni su basi di mutua fiducia”, scrisse Nen- ni sull’“Avanti!” del 9 luglio. “Se la mancanza di fiducia da parte alleata nei confronti di Badoglio era comprensibile [...] una simile mancanza di fiducia nei confronti di un governo nazionale e democratico, basato sul Cln, sarebbe difficile da capire. Se dovesse esistere e persistere il governo non avrebbe altra via che quella di presentare le dimissioni”65.
Mentre quello che veniva definito il blocco moderato stentava a trovare un accordo su una linea democratica unitaria e non appariva avere alcuna influenza sulle masse popolari, il partito comunista provocava allarme per la sua grande efficienza, nonostante Togliatti facesse di tutto per evitare
61 Cfr. B. Arcidiacono, La Gran Bretagna e il pericolo comunista, cit., p. 247.62 Tel. dell’Acc all’Afhq (Algeri), 7 e 8 giugno 1944, in FO 371/43794.63 Minuta di McDermott, 28 giugno 1944, in FO 371/43910.64 Tel. di Charles, 10 luglio 1944, e di Macmillan, 22 giugno 1944, in FO 371/43795 e 43822.65 Notes fo r use o f Mrss. T. O ’Brien, W. Lawther, W. Schevenels, 16 agosto 1944, in TUC/A, f. 945/920, in cui viene riportato brano dell’articolo di Nenni.
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incomprensioni fra il popolo italiano e gli alleati. “Tutti i partiti di destra, centro e sinistra dichiarano di temere le attività del partito comunista”, scriveva il ministro residente in Italia al Foreign Office, aggiungendo che i loro dirigenti avrebbero gradito visitatori della Gran Bretagna, ai quali poter chiedere consiglio “su questioni relative al moderno pensiero politico e sull’evoluzione democratica del nostro paese” . Era quello, quindi, un momento opportuno per la visita della delegazione del Tue e non si doveva aspettare più oltre a realizzarla né, tanto meno, preoccuparsi che gli americani non vi prendessero parte, essendo di per se stesso difficile organizzare qualsiasi propaganda puramente inglese fintantoché l’Italia era trattata da paese ex nemico e stava sotto il controllo congiunto angloamericano66.
Dopo un breve ‘amoreggiamento’, i comunisti avevano raggiunto un accordo con i socialisti per coordinare le loro attività sia nella sfera politica che in quella sindacale ed erano usciti allo scoperto sulla questione istituzionale. Si assisteva così “alla formazione di un blocco politico di estrema sinistra e al proseguimento del piano comunista di assimilare i propri fratelli”67. Nel siglare il loro accordo, i due partiti avevano inoltre rivolto un appello alle organizzazioni operaie e alle masse popolari delle tre grandi nazioni alleate affinché intervenissero a favore del popolo italiano. Quel che veniva chiesto, anche con appelli diretti della Cgil al Tue e di Nenni al Labour Party, era che cessasse ogni intromissione dall’esterno nelle faccende italiane, che venissero accordati al governo italiano i poteri necessari al suo pratico funzionamento, che fosse consentito agli
italiani di partecipare in misura assai più larga alla guerra e, soprattutto, che venisse fatto subito qualcosa per evitare che la situazione si guastasse irrimediabilmente. La popolazione, infatti, stava soffrendo terribilmente per i salari e gli stipendi di fame, per la diffusa disoccupazione, per l’acuta mancanza di cibo, capi d’abbigliamento e medicine, per l’incontrollabile mercato nero, per l’inflazione, per il caos nell’amministrazione. Tutto ciò aveva ripercussioni a livello politico, dove la precarietà della situazione appariva sempre più evidente. C’era soprattutto un forte risentimento verso le forze d’occupazione perché non erano riuscite a mantenere le promesse fatte per il ritorno alle libertà politiche e civili, e venivano viste ostacolare in tutti i modi le attività del governo Bonomi. Il problema più immediato, comunque, era la mancanza di approvvigionamenti nelle città. A meno che non fossero pervenuti aiuti, c’era il rischio che scoppiassero sommosse popolari nei maggiori centri e che fosse necessario ricorrere all’utilizzo delle truppe per assicurare la sicurezza delle linee di comunicazione68. Preoccupato che gli interessi britannici in Italia potessero risultare compromessi da un radicalizzarsi della situazione interna, Charles sollecitava il Foreign Office a prendere al più presto delle misure per sostenere Bonomi, “il quale ha poco da offrire alla gente in termini di risultati [...] è criticato anche dai suoi stessi sostenitori perché non migliora lo status dell’Italia”69.
C’era però anche un altro motivo per non rimandare oltre la partenza dei delegati sindacali: la necessità di contrastare l’ormai evidente tendenza americana a trasformare
66 Tel. di Charles e minuta di Sargent, rispettivamente 7 e 18 luglio 1944, in FO 371/43795.67 Tel. di Charles, 11 agosto 1944, in FO 371/43796.68 Cfr. “Un passo decisivo verso l’unificazione socialista in Italia”, in Partito socialista italiano, sezione di Londra, ciclostilato del 15 agosto 1944, inT U C /A , f. 945/920.69 Tel. di Charles al Resident Minister (Algeri) e Memorandum by Sir Noel Charles on Political Situation in Italy, rispettivamente 13 e 16 agosto 1944, in Prime Minister’s Office (PREM) 3/243/15.
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l’autorità degli Stati Uniti da “supplementary” a “equal” rispetto a quella della Gran Bretagna nel teatro italiano. Con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali l’amministrazione americana, sensibile agli umori dell’elettorato italoamericano che nell’estate del 1944 faceva in vari modi pressione affinché mutasse l’atteggiamento nei confronti dell’Italia, mostrava di vedere favorevolmente un allentamento delle clausole armistiziali e la conclusione di un trattato preliminare70. C’era però un completo fraintendimento delle proposte inglesi e anche una preoccupante divergenza d’opinione sulle questioni fondamentali della politica da seguire nei confronti della nazione italiana. Washington era propensa infatti a concedere all’Italia dei benefici man mano che se ne presentasse l’opportunità, nell’apparente speranza di creare un clima favorevole alla conclusione di un trattato di pace preliminare, che Londra aveva concepito invece come proposta mirante a consolidare le clausole punitive del trattato finale, mentre era ancora possibile concedere alcuni benefici per neutralizzare gli effetti della severità delle clausole stesse. Mettendo a nudo le divergenze esistenti fra i due senior partners, questa “interessata benevolenza” americana interferiva a danno della strategia britannica in Italia, che con difficoltà i diplomatici inglesi avevano individuato nel mese di luglio; inoltre rischiava di compromettere l’andamento complessivo delle operazioni belliche e d’ipotecare l’esito delle trattative future per la pace71.
Era dunque urgente riaffermare la prevalenza dell’autorità britannica dando una svolta alla politica italiana che facesse nel contempo riacquistare fiducia al popolo italiano e rafforzasse il governo Bonomi. Ma non era facile individuare una politica che, pur essendo più benevola nei confronti dell’Italia, fosse al tempo stesso conciliabile con la povertà dei mezzi a disposizione, accettabile per l’opinione pubblica britannica e non urtasse la sensibilità degli alleati minori e del Commonwealth. Ai diplomatici inglesi non restava altro che sottolineare con tutti i mezzi di propaganda disponibili che era iniziata una nuova fase dei rapporti fra l’Italia e gli alleati. In questa luce vanno viste le parole di compiacimento per il contributo dei contingenti italiani alla causa alleata espresse da Churchill nel suo discorso al parlamento inglese del 2 agosto, che incontrarono largo favore in Italia, e la sua visita nei territori liberati che, pur rispondendo ad esigenze militari, servì a mostrare che il periodo d’isolamento dell’Italia era superato e che la nazione italiana stava gradualmente rientrando nel corso degli affari europei. Anche la missione del Tue sarebbe servita a questo scopo72.
Programmata in modo che l’arrivo dei rappresentanti dei lavoratori inglesi fosse immediatamente successivo alla permanenza in Italia del primo ministro britannico, la visita slittava di alcuni giorni perché, a causa del-
La visita nelle zone liberate
70 Tel. da Washington e minuta di Ross, rispettivamente 5 e 8 agosto 1944, in FO 371/43910. Sulla tendenza americana a voler assumere l’iniziativa in Italia e sugli umori dell’elettorato italoamericano nell’estate del 1944 cfr. Guglielmo Negri, Stati Uniti e Gran Bretagna: la politica italiana, Milano, Angeli, 1976, p. 35 e anche F. Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, cit., p. 59.71 Minuta di Ross, 8 agosto 1944, cit. e anche Finance o f Supplies to Italy, memorandum per il War Cabinet, 19 agosto 1944, in CAB 66/54.72 Per una esposizione della strategia britannica cfr. The Future o f Italy, Ford Memorandum del 12 agosto 1944, in FO 371/43899 ed anche B. Arcidiacono, La Gran Bretagna e il pericolo comunista, cit., p. 248 e D. Ellwood, L ’alleato nemico, cit., p. 101.
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l’intensificarsi degli attacchi tedeschi, i delegati del Tue erano stati costretti a spostare la loro partenza da Londra al 23 agosto. Tuttavia, nonostante le varie tappe che il passaggio aereo in un teatro di guerra comportava, essi avrebbero dovuto avere il tempo di raggiungere i territori italiani liberati in coincidenza, se non prima, dei loro colleghi americani, la cui partecipazione alla missione era stata nel frattempo confermata73. Ma inspiegabili lunghe soste tra una coincidenza aerea e l’altra facevano prolungare ulteriormente il loro viaggio, col risultato che per primi giungevano in Italia i delegati della Afl e del Ciò74. Questi mostravano subito di non essere intenzionati a rispettare la direttiva di non interferire negli affari italiani, confermando i timori che i diplomatici inglesi nutrivano nei loro confronti. Con le dichiarazioni rilasciate al loro arrivo, infatti, provocavano un acuirsi della tensione nelle relazioni anglo-americane che proprio in quel momento sarebbe stato meglio evitare. Non solo con toni diversi criticavano l’amministrazione alleata ed esprimevano giudizi sulla situazione italiana, ma addirittura accusavano entrambi il governo inglese di voler fare dell’Italia una colonia. Quest’ultima gaffe americana era “veramente intollerabile” per i funzionari del Foreign Office, i quali ritenevano che la responsabilità per gli “schiamazzi” di Antonini e Baldanzi andasse imputata al Dipartimento di Stato americano75. A questo punto i diplomatici ameri
cani non potevano che concordare con gli inglesi sulla necessità d’inquadrare i due sindacalisti italoamericani in una delegazione unica; la loro posizione era imbarazzante non tanto perché era stato messo in evidenza che non riuscivano a esercitare alcun controllo su se stessi, quanto perché era stato messo a nudo quello che era ormai lo scopo della politica degli Stati Uniti verso l’Italia, cioè opporsi con tutti i mezzi “all’esclusivismo inglese e all’interferenza sovietica”76. Così, quando i delegati inglesi e americani s’incontrarono presso la sede dell’ambasciata britannica per concordare i dettagli della visita con le autorità alleate competenti, venne deciso che sarebbero stati presentati agli italiani come una delegazione di lavoratori delle Nazioni Unite, e per sottolinearne il carattere internazionale venne convenuto di porvi a capo Walter Schevenels, con il compito di esporre lo scopo della visita negli incontri con i sindacati e i lavoratori italiani77.
La missione aveva inizio a Roma, dove i delegati soggiornarono alcuni giorni prima d’intraprendere il viaggio nelle zone liberate, e coincideva con la presenza in quella città del leader laburista Clement Attlee e del sottosegretario di Stato agli Esteri Hall. Mentre il primo esprimeva a livello politico l’incoraggiamento del movimento operaio inglese ai socialisti italiani e li metteva in guardia dall’intrattenere troppo stretti legami con i comunisti, il secondo assicurava in
73 Tel. dell’Afl, 16 agosto 1944, in T UC/A, f. 945/920 e “Daily Express”, 17 agosto 1944.74 I delegati furono trattenuti dodici ore a Lisbona e tre giorni a Rabat. Quest’ultima sosta, all’apparenza causata da mancanza di coordinamento fra le autorità responsabili della città e quelle di Casablanca, secondo Schevenels poteva essere voluta (cfr. Report on T.U. Visit to Italy August-September, 1944, 9 ottobre 1944, in FO 371/43926, d’ora in poi Rapporto Schevenels).75 Minute di Dew, 30 agosto, e di M. Butler e M.S. Williams, 7 e 28 settembre 1944, in FO 371/43925. Sulle dichiarazioni dei due sindacalisti italoamericani cfr. tel. deil’Associed Press New York, 28 agosto 1944; inoltre tel. di Charles, 27 agosto, tutti in FO 371/43926.76 Cfr. E. di Nolfo, The United States and Italian Communism 1943-1946: World War II to Cold War, “Journal of Italian History”, 1978, n. 1, p. 87.77 Memorandum di Nosworthy allegato al tel. di Charles a Eden, 20 settembre 1944, in FO 371/43926; e anche Joint Statement o f the Five Trade Union Representatives on Conclusion o f Their visit to Italy, in Tue, Report of the Tue Delegation to Italy, August-September 1944, London, 1944, pp. 12-13.
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un colloquio con Togliatti che la delegazione non avrebbe cercato d’imporre le idee britanniche al risorgente movimento sindacale italiano78. Ricevuti al loro arrivo da Di Vittorio, Grandi e Lizzadri, i cinque delegati parteciparono ai lavori del comitato esecutivo nazionale provvisorio della Cgil. Pur astenendosi per il momento dal dare consiglio o trarre conclusioni, senza aver prima avuto la possibilità di visitare i maggiori centri industriali dei territori liberati, i delegati non potevano fare a meno di manifestare le loro perplessità circa la possibilità di riorganizzare il movimento sindacale italiano in modo da far divenire la confederazione unitaria un’organizzazione veramente democratica, libera da qualsiasi interferenza di partito e dello Stato. Anche se i dirigenti sindacali italiani affermavano che era già stato avviato il primo passo verso il rinnovamento di tutti i quadri sindacali con la convocazione di assemblee generali degli iscritti alle organizzazioni locali di categoria, per l’elezione a voto segreto e diretto dei loro comitati esecutivi e dei loro rappresentanti nelle locali camere del lavoro, il metodo secondo cui le candidature sarebbero state presentate e il sistema della rappresentanza proporzionale che avrebbe regolato l’elezione li lasciavano molto perplessi79. Evidentemente, non avendo avuto ancora modo di familiarizzare con la situazione italiana, ed essendo in un certo senso prevenuti nei confronti della Cgil, i delegati angloamericani non percepivano la sottile sensibilità diplomatica con la quale i tre segretari confederali avevano individuato nella rappresentanza proporzionale il sistema elettorale atto a garantire le minoranze e rinsaldare l’unità sindacale nella Confederazione. Poiché l’attuale segreteria provvisoria aveva annunciato
durante la riunione dell’esecutivo confederale l’intenzione di convocare a breve scadenza un congresso nazionale a Napoli, Schevenels suggeriva di offrire alle organizzazioni periferiche una sorta di prova generale convocando a Roma, prima della partenza della delegazione internazionale dall’Italia, un convegno dei rappresentanti di tutte le organizzazioni presenti nei territori liberati, nominati in misura proporzionale alle forze organizzate. Non essendo stato ancora liberato il Nord, questo convegno non avrebbe potuto prendere alcuna decisione circa la forma definitiva e la dirigenza della Cgil, ma sarebbe servito a gettare le basi di un libero movimento sindacale e ad avviare i preparativi per il successivo congresso nazionale. Tale proposta veniva accettata senza esitazione da parte dei sindacalisti italiani, consapevoli che date le difficoltà di comunicazione non ci sarebbe stata occasione migliore per pubblicizzare una tale iniziativa che quella della visita della delegazione internazionale. Inoltre, programmando il convegno come momento conclusivo della visita stessa se ne assicurava la realizzazione pratica perché le autorità alleate avrebbero di sicuro facilitato la partecipazione dei rappresentanti sindacali di tutte le province visitate dai delegati80.
I delegati lasciavano Roma in macchina, accompagnati dal maggiore Edward Sciclu- na della Labour Sub-Commission dell’Acc, come interprete ufficiale, e dall’addetto commerciale britannico Nosworthy, a cui gli americani affiancavano a Napoli Di Venuti, un giovane funzionario diplomatico d’origine italiana81. La visita nei territori liberati durava quasi due settimane, durante le quali la delegazione attraversava per esteso un paese ancora sconvolto dalla guerra, parte
78 Tel. di Charles a Eden, 20 settembre 1944, cit.79 Memorandum di Nosworthy, cit. e anche Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.80 Memorandum di Nosworthy e Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.81 Tel. di Charles a Eden, 20 settembre 1944, cit.
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cipando a numerosi incontri, convegni e manifestazioni organizzati dalle autorità alleate nei maggiori centri industriali. Avuto modo d’incontrarsi personalmente con funzionari dell’amministrazione alleata, degli uffici del lavoro e delle prefetture, e con rappresentanti delle varie organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro che operavano nelle varie zone visitate, i delegati poterono farsi un’idea abbastanza chiara di come le cose andassero veramente nel campo del lavoro in Italia. In particolare a Napoli, Foggia, Bari, Taranto, Palermo, Catania, la loro presenza aveva offerto l’occasione, per la prima volta, per un confronto a tappeto fra le varie componenti interessate alla rinascita del movimento sindacale e delle relazioni industriali su basi democratiche. Dappertutto emergevano due correnti sindacali in conflitto fra loro: la socialcomunista e la democristiana. La prima più forte nelle città, la seconda nelle aree rurali. Anche se non era possibile avere dei dati reali sulla consistenza di esse, era indiscusso che la componente comunista nel movimento fosse predominante e che i “bianchi” fossero sulla difensiva. La Cgil unitaria, comunque, era decisamente l’unica organizzazione sindacale che potesse effettivamente definirsi tale, essendo evidente la debolezza di alcuni elementi moderati rimasti estranei ad essa82. Venivano alla luce anche le difficoltà che intralciavano al momento la rinascita dei sindacati in Italia: l’estrema povertà della gente, l’acuta crisi di disoccupazione, la mancanza di mezzi di trasporto e di comunicazione, la cancella
zione per oltre un ventennio della libertà di pensiero, l’alto grado di analfabetismo fra i lavoratori, le radicali contrapposizioni politiche, l’atmosfera di sfiducia e disattenzione nei confronti della legge, o verso qualsiasi procedura legale. Tutto ciò formava un insieme di fattori negativi a cui andavano aggiunte le difficoltà derivanti dal teatro di guerra83. Nonostante le condizioni generali fossero così poco propizie, era sorprendente l’entusiasmo mostrato dai lavoratori nel formare sindacati ed esercitare la loro appena acquistata libertà. Seppure avessero ancora molto da apprendere, la loro determinazione a raggiungere l’unità sindacale, manifestata sia dai leader che dalle masse lavoratrici, non lasciava alcun dubbio e faceva ben sperare per il futuro del sindacalismo italiano84. Ancor più notevole era il fatto che in quelle zone, fra le meno sviluppate dal punto di vista industriale e sociale d’Italia, e le più arretrate rispetto ad altre nazioni dell’Europa occidentale e centrale, i sindacati fossero riusciti a riunire un così gran numero d’iscritti sia nelle aree urbane che in quelle rurali85.
Procedendo verso il Sud, però, il movimento risentiva maggiormente della predominante influenza comunista, per cui l’atmosfera delle manifestazioni organizzate in occasione della visita della delegazione diveniva spesso più animata e metteva un po’ a disagio gli ospiti stranieri che una volta, a Taranto, decisero addirittura di abbandonare in segno di protesta il palco da dove poco prima si erano rivolti alla folla presente86. In
82 Per Schevenels questi erano l’Unione ferrovieri italiani aderente all’Itf e l’azionista Dino Gentili. Cfr. Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.83 Memorandum di Nosworthy, cit.84 Lawther dichiarò che mai prima d’allora aveva avuto l’incredibile esperienza di dover prendere la parola in riunioni cui partecipavano elementi socialisti, liberali, comunisti e cattolici, a volte anche presiedute da sacerdoti. Cfr. Italian Visit by Will Lawrher, in TUC/A, f. 945/920, e l’articolo di Jan Mackay, Freed Italy is in Chaos Says Miners’ Leader, “News Chronicle”, 27 settembre 1944.85 Cfr. Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.86 Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit. Durante una manifestazione di massa ai cantieri navali di Taranto, dove erano convenuti circa 10.000 lavoratori per ascoltare i delegati internazionali, un comunista presente sul palco
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particolare in Puglia la componente cattolica denunciava i tentativi di alcuni sindacalisti comunisti d’imporre con la violenza il loro monopolio sul rinascente movimento sindacale, mentre in Sicilia gli alleati venivano accusati di non permettere la sindacalizzazione dei civili da loro occupati negli arsenali e nelle direzioni di artiglieria, e inoltre di avere imposto gli uffici del lavoro, sottraendo ai sindacati la funzione del collocamento della manodopera87. Inserendosi, come abbiamo detto, nella strategia britannica mirante a sotto- lineare che si era entrati in una nuova fase dei rapporti fra l’Italia e gli alleati, la presenza della delegazione nei maggiori centri urbani delle zone liberate trovava in questa luce molta eco sulla stampa locale, che salutava nei visitatori i rappresentanti dei lavoratori delle Nazioni Unite88. Ma durante il 1944 gli alleati più che uniti erano apparsi disuniti e agli italiani non sfuggì l’assenza dei sovietici nella delegazione. Anzi sulla stampa comunista venne apertamente auspicato che “questa prima presa di contatto coi rappresentanti internazionali dei lavoratori [...] sia seguita da un’altra più numerosa riunione alla quale possano prendere parte anche i delegati dei lavoratori dell’Unione Sovietica”89. Da parte comunista fu notato pure che nelle dichiarazioni rilasciate in pubblico nessuno dei delegati sindacali internazionali aveva mai fatto riferimento al contributo determinante del
l’alleato sovietico allo sforzo bellico contro la Germania nazista90.
Il fatto che in ogni centro visitato gli esecutivi dei locali organismi sindacali vennero sollecitati a inviare rappresentanti al convegno che avrebbe avuto luogo a Roma al rientro della delegazione fece sì che questo fosse il primo congresso sindacale veramente nazionale tenutosi in Italia dopo il ventennio fascista alla presenza di rappresentanti del movimento sindacale internazionale. Chiamato su proposta di Achille Grandi a presiedere i lavori dei 110 delegati intervenuti, Schevenels fece uso di tutta la sua arte diplomatica per assicurare il successo della manifestazione e fare in modo che da quel- l’assise uscissero affermate le condizioni indispensabili per garantire il carattere democratico e indipendente della Cgil. Nonostante il suo invito a concentrare gli interventi su quello che era il problema fondamentale del momento, cioè individuare i principi che avrebbero dovuto guidare la rifondazione della Cgil e permettere una reale attuazione dell’unità sindacale, i rappresentanti delle varie province mostrarono la tendenza ad allargare la discussione, facendovi rientrare anche tematiche controverse quali la gestione del collocamento e la questione della capacità giuridica del sindacato, la cui rilevanza politica non venne però compresa dagli ospiti stranieri91.
aveva preso il microfono e protestato contro il fatto che nessuno degli oratori stranieri avesse detto una sola parola di omaggio per l’esercito e il popolo sovietico.87 Memorandum di Nosworthy, cit.88 “Tutto ciò segna la fine dell’isolamento italiano”, scriveva il 30 settembre 1944 “Italia Libera”, “il nostro paese torna a inserirsi lentamente nella corrente della storia europea e mondiale, dalla quale lo avevano distolto le avventure imperialistiche del regime totalitario”.89 Cfr. “La voce comunista” del 16 settembre 1944, che riporta la cronaca dell’incontro tenutosi a Palermo I’l l settembre nei locali dell’Ufficio regionale del lavoro, tra i rappresentanti sindacali delle province di Palermo, Trapani, Agrigento e la delegazione sindacale internazionale.90 A proposito cfr. nota 86.91 Cfr. gli atti del convegno di Roma del 15 e 16 settembre 1944 in I Congressi della Cgil, vol. I, Roma, Ediesse, 1977. La questione della capacità giuridica del sindacato stava particolarmente a cuore agli esponenti della corrente cattolica, fra i quali prevaleva una visione neo-corporativa del sindacato, mentre veniva cautamente elusa dai sindacalisti socialcomunisti contrari a qualsiasi limitazione della libertà sindacale. Cfr. Raimondo Craveri, Sindacato e istituzioni nel dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 1977.
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Determinati a salvaguardare l’unità sindacale ad ogni costo e a fare approvare le direttive necessarie per rafforzare il movimento, i segretari nazionali della Cgil fecero di tutto per mostrare come con la buona volontà fosse possibile raggiungere un’accordo. Intervenendo nella seconda giornata del convegno, a seguito di un increscioso incidente provocato da Gentili92, Grandi invitava i convenuti, e particolarmente i suoi compagni di corrente, ad essere tolleranti e a tener presente che la democrazia era “uno sviluppo continuo di conquiste graduali” da “raggiungere sul terreno della libertà”. Nonostante fosse stato presentato un ordine del giorno in contrapposizione alla mozione conclusiva della segreteria provvisoria nazionale, quest’ultima veniva approvata all’unanimità e il convegno veniva chiuso dagli interventi dei delegati sindacali internazionali e di un funzionario del ministero del Lavoro, il quale sottolineava l’importanza di quel primo incontro tra i lavoratori italiani e i rappresentanti dei lavoratori delle Nazioni Unite: soltanto attraverso la reciproca conoscenza ed il reciproco contatto avrebbe potuto formarsi “quella grande unità spirituale di tutto il mondo che è il solo fondamento per la pace [...] Non saranno più diplomatici che seduti intorno al tavolo tondo della pace stabiliranno i trattati importanti, ma dovranno essere anche i rappresentanti del lavoro: questa sarà la vera forza che s’imporrà, perché il lavoro farà sentire la necessità di una pace giusta”93.
Nelle loro parole di commiato i delegati inglesi avevano infatti espresso l’adesione morale ai problemi del movimento sindacale italiano e assicurato che se questo fosse sorto basandosi sui principi del sindacalismo
democratico, i lavoratori italiani avrebbero potuto contare sull’aiuto e sulla collaborazione dei sindacati liberi del mondo. Più verbosi nei loro interventi in lingua italiana, i delegati delle organizzazioni sindacali americane avevano insistito sull’importanza di tradurre in pratica la mozione approvata dal convegno, perché così facendo gli “italiani daranno una lezione [...] in America” di cui, secondo Antonini, avrebbero potuto “essere orgogliosi” . Anche se lo scopo della loro visita era quello di valutare che cosa il movimento operaio mondiale avrebbe potuto fare per aiutare il movimento operaio della Italia libera, Baldanzi realisticamente invitava gli italiani a mettersi al lavoro e a non aspettare che arrivasse “la manna dal cielo” . A conclusione dei lavori del convegno la segreteria della Cgil inviava a nome dei lavoratori italiani un messaggio ai lavoratori d’America e d’Inghilterra per ringraziarli della solidarietà mostrata inviando i loro delegati in Italia e invitarli ad appoggiare presso i loro governi la richiesta dell’Italia di essere considerata come un alleato e di essere ammessa al beneficio della legge affitti e prestiti. Nello stesso messaggio veniva affermata pure la funzione di avanguardia svolta dalla classe operaia italiana nella lotta contro il nazifascismo e rivendicato il diritto per la gioventù italiana di poter partecipare in più larga misura alla guerra di liberazione94.
Conclusioni
Nonostante fossero emerse nel convegno di Roma tutte le tensioni presenti nel risorgente movimento sindacale italiano, la risoluzione finale adottata all’unanimità esprimeva, se-
92 Pur non essendo rappresentante di nessuna delle organizzazioni che avevano aderito all’iniziativa, Gentili aveva chiesto di poter intervenire nel dibattito, ottenendone un rifiuto. Cfr. I Congressi della Cgil, vol. I, cit., pp. 40-43.93 Congressi della Cgil, vol. I, cit., p. 55, per l’intervento di Sansonetti.94 Congressi della Cgil, vol. I, cit., pp. 52-57 per gli interventi dei delegati sindacali angloamericani e il messaggio della Cgil ai lavoratori d’America e d ’Inghilterra.
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condo i diplomatici inglesi, con evidenza eloquente il successo della delegazione. Pur avendo fallito nel suo scopo “di ammonire gli italiani affinché non permettessero ai comunisti di guidare i loro sindacati”, la missione diplomatica del Tue nel suo insieme aveva soddisfatto quasi tutte le aspettative dei funzionari del Foreign Office95. Con la loro presenza, infatti, i delegati avevano svolto un importante ruolo di propaganda. Assicurando la solidarietà del movimento sindacale internazionale essi erano riusciti a rinsaldare la speranza negli italiani che le loro esigenze avrebbero finalmente trovato ascolto. Anche se in un primo momento si era temuto che Schevenels, essendo cittadino belga, non avrebbe potuto prospettare il “modello inglese” in maniera soddisfacente, la sua inclusione nella delegazione si era rivelata sotto molti punti di vista una scelta eccellente. Grazie alle sue capacità diplomatiche, il dirigente dell’Iftu era riuscito a contenere momenti di tensione negli incontri con i lavoratori italiani e, soprattutto, a neutralizzare Antonini e Baldanzi96. Dopo l’exploit fatto al loro arrivo, i due sindacalisti italoamericani avevano evitato di fare dichiarazioni che potessero in qualche modo toccare la suscettibilità degli inglesi, ma erano stati indiscreti nel fare in pubblico promesse di sostegno alle richieste di aumento dei salari avanzate dai lavoratori italiani, e nel prospettare che dall’America i rinascenti sindacati italiani avrebbero potuto ricevere non solo sostegni morali, ma anche aiuti fi
nanziari97. I delegati inglesi, pur parlando molto francamente a proposito della parte di responsabilità della nazione italiana per il suo stato attuale, avevano colpito molto gli italiani per la loro evidente sincerità e assenza di pregiudizi politici e, naturalmente, per l’ovvia solidarietà che esprimevano nei confronti delle classi lavoratrici per le deplorevoli condizioni in cui erano costrette a vivere98.
Le osservazioni raccolte durante la visita permisero inoltre al Foreign Office di avere un quadro più obiettivo della situazione italiana. Non solo evidenziarono nel campo sindacale l’importanza strategica della Cgil unitaria, ma confermarono la necessità di una più aperta politica di sostegno al governo Bonomi. In base ai colloqui avuti dai delegati con varie personalità politiche e militari, appariva diffusa la opinione che la situazione economica avrebbe potuto essere sostanzialmente migliorata se gli italiani fossero usciti dallo stato di apatia in cui si trovavano e, senza aspettare che giungessero aiuti dall’esterno, si fossero impegnati un po’ di più nella ripresa della produzione alimentare e di quei settori industriali e artigiani che potevano essere subito rimessi in funzione. Secondo Schevenels, però, andava riconosciuto che la situazione era tale da non offrire al lavoratore italiano medio alcun segnale d’incoraggiamento o di prospettiva, in grado di convincerlo che qualsiasi sforzo egli avesse voluto fare avrebbe avuto un qualche effetto positivo al fine di migliorare
95 Tel. di Charles a Eden, 20 settembre 1944, cit.; minute di Ross e di Hall, 13 e 16 ottobre 1944, tutti in FO 371/ 43926.96 Nota di Hall, 19 giugno 1944, in FO 371/43924, e anche Memorandum di Nosworthy, cit. Prendendo visione dei rapporti pervenuti dall’Italia, in cui si metteva in evidenza l’atteggiamento poco diplomatico dei sindacalisti italoamericani, Ross commentava: “Meno male che Schevenels era incluso nella delegazione, anche se non è inglese” (cfr. Minuta di Ross, 11 ottobre 1944, in FO 371/43926).97 I Congressi della Cgil, vol. 1, cit., pp. 52-56.98 I Congressi della Cgil, vol. 1, pp. 52-56. Le osservazioni fatte da Schevenels a proposito dell’Abissinia, però, non furono ben ricevute da una parte dell’uditorio e ciò venne fatto notare da Braine, inviato come labour attaché in Italia, nel suo primo rapporto al Foreign Office (cfr. Labour Questions in Italy, 20 ottobre 1944, in FO 371/ 43926).
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la sua condizione. Al primo posto c’era lo status politico dell’Italia come nazione ex nemica e cobelligerante. Se da una parte la nazione italiana non poteva sottrarsi alle sue responsabilità per aver preso parte alla guerra contro le nazioni alleate, dall’altra andava riconosciuto che una parte considerevole del suo popolo aveva lottato contro il fascismo e la guerra in varie occasioni, e in varie forme. Qualunque fosse stato il grado di colpevolezza dell’Italia, non poteva non darsi al popolo italiano la possibilità di ricostruire la propria economia e di decidere liberamente del proprio futuro regime politico. Andava tenuto pure presente che un’Italia distrutta politicamente ed economicamente avrebbe potuto compromettere lo sforzo bellico alleato e, nel futuro, condizionare la pacificazione e la ricostruzione dell’Europa. Le necessità più urgenti in Italia erano cibo, carbone, materiale edilizio e, soprattutto, due o tre mila autocarri, non solo per evitare che la vita sociale precipitasse nell’anarchia più completa, ma anche “per dare all’attuale governo italiano, o a qualsiasi altro governo, la possibilità di mantenere la legge e l’ordine e normalizzare la situazione politica” . Il sostegno quindi non poteva più manifestarsi solamente in termini di propaganda. Doveva essere un aiuto attivo di natura pratica, che permettesse al governo italiano di far realmente fronte ad alcuni dei problemi più urgenti che lo pressavano, perché era la sua straordinaria debolezza finanziaria ed economica che impediva di programmare e mettere in atto qualsiasi politica sociale ed economica atta a rimettere in piedi il paese".
Sebbene non avesse potuto soffermarsi su queste questioni, il convegno di Roma aveva fatto proprio il memorandum che la segreteria provvisoria della Cgil aveva presentato al governo Bonomi e all’Acc all’inizio di agosto, inserendolo nella mozione conclusiva. Oltre a denunciare le insostenibili condizioni dei lavoratori e delle loro famiglie, il movimento sindacale italiano richiedeva in esso misure d’emergenza per far fronte alla crisi, fra cui l’introduzione di un’indennità di carovita e una serie di provvedimenti atti a prevenire ulteriori aumenti dei prezzi e la svalutazione della moneta. Mostrandosi propenso ad acconsentire all’introduzione dell’indennità di carovita, anche a costo di un’incrinatura dei rapporti con la Commissione alleata di controllo, il governo italiano riconosceva nella Cgil un interlocutore nuovo, del quale anche il Foreign Office avrebbe d’ora in avanti tenuto conto99 100. Ai diplomatici inglesi, quindi, risultarono utilissime le osservazioni di Schevenels, il quale consigliava di prestare la massima attenzione all’evoluzione futura della confederazione unitaria, cercando di “evitare anche solo la parvenza della supremazia politica di una sola corrente sull’altra”, non solo perché per il movimento italiano “la più grande necessità è l’unità e una direzione ferma e libera da qualsivoglia interferenza politica”, ma anche perché di fronte alla gravità delle condizioni economiche dell’Italia l’unità sindacale, smussando gli argomenti di possibile controversia fra sinistra e cattolici, faceva sperare in un processo di riorganizzazione del tessuto sociale, premessa indispensabile per l’elaborazione di appropriate strategie rico-
99 Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit. Del resto ciò era già stato recepito dagli alleati che con la famosa dichiarazione di Hyde Park avrebbero da lì a poco varato un piano d’intervento per l’Italia.100 Del memorandum della Cgil si era data notizia già l’l 1 agosto su “The Times” e il Tue erastato invitato dall’Office o f War Information americano a intervenire in un servizio radiofonico che stavano organizzando sulle condizioni in Italia e le richieste della Cgil. Da parte del Tue però l’invito non venne accettato per non compromettere in alcun modo l’esito della missione che stavano per effettuare in quel paese e anche perché, come convenne Citrine con Bell, non si conosceva bene la Cgil né quale era la vera situazione nei territori liberati. Cfr. Interdepartment Correspondence, 16 agosto 1944, inT U C /A , f. 945/920.
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struttive101. Del resto durante la visita era apparsa evidente la debolezza degli elementi più moderati all’interno del movimento sindacale italiano, sui quali in un primo momento i diplomatici inglesi avevano pensato di poter contare per controbattere l’influenza comunista sui lavoratori; ed era stato compreso pure il motivo per cui da parte loro si fosse tanto insistito nei colloqui con i delegati sindacali internazionali affinché nel rinnovo dei quadri dirigenti della Cgil venisse rispettato il principio della rappresentanza proporzionale delle minoranze. Nei loro paesi infatti la questione dell’unità sindacale si poneva in termini del tutto diversi. Anche se il General Council si apprestava a proporre nel prossimo congresso annuale di avviare un processo di amalgamazione, federazione e attività congiunta alle diverse centinaia di piccoli sindacati non aderenti al Tue, la componente comunista presente come elemento minoritario nel movimento operaio inglese avrebbe continuato a essere esclusa dal partecipare agli organi dirigenziali, essendo rimasta in vigore la “black circular” del 1934102. Nel caso italiano invece era necessario che alle minoranze venisse data una voce, prevedendone la presenza di diritto negli organi dirigenziali, sia nazionali che locali.
A livello internazionale, la visita della delegazione in Italia fu “il primo contatto diretto fra i lavoratori delle grandi nazioni democratiche e una Europa che era stata prima sotto il fascismo e poi occupata dalle orde naziste di Hitler”103. Essa servì, quindi, come precedente per collaudare la politica di penetrazione indiretta che il governo inglese s’apprestava a seguire nei territori liberati104. Nell’autunno del 1944 il congresso annuale del Tue approvava fra le altre una risoluzione che impegnava il movimento sindacale inglese a compiere ogni sforzo per inviare esponenti della base a visitare come delegati tutte le nazioni vicine, non appena fossero cessate le operazioni belliche. Per una migliore e desiderata comprensione fra i popoli delle nazioni sconvolte dalla guerra era importante che uomini e donne comuni s’incontrassero, per cui il Consiglio generale del Tue era pronto ad assistere ogni organizzazione affiliata che desiderasse inviare delegati per incontrare consimili organizzazioni sindacali in altre nazioni. Dopo questa prima delegazione, quindi, ne seguirono numerose altre in Francia, in Belgio, Grecia, Germania, Austria, Cecoslovacchia e Romania, per citarne solo alcune105.
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101 Cfr. Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.102 Cfr. H. Pelling, Storia del sindacato inglese, cit.103 Cfr. Messaggio radiofonico di Di Vittorio per il programma La Voce di Londra, 19 settembre 1944, traduzione inglese in FO 371/43920.104 Cfr. H. Lademacher, Possibilità e limiti, cit., p. 52, in cui si afferma che da parte inglese non vi fu nessun intervento diretto nel campo sindacale perché il “governo britannico si servi del metodo della persuasione collettiva, inviando una delegazione del Tue nelle sue zone d’occupazione”. Va però ricordato che in Egitto fino al 1944 la Publicity Section dell’ambasciata inglese al Cairo finanziava direttamente alcuni dirigenti sindacali per far sviluppare il movimento sindacale in Medio Oriente secondo il modello inglese (cfr. Commento di R. Peers, 15 aprile 1944, in FO 371/41379).105 Cfr. la risoluzione in Tue, Annual Report, 1944.
Maria Teresa Di Paola è ricercatrice confermata all’Università di Messina presso l’Istituto di Storia della Facoltà di Scienze Politiche. Autrice di Gli Alleati e la Sicilia: Guida ai documenti del Public Record Office (1979), e di vari contributi per una storia del movimento sindacale operaio e contadino in Sicilia, ha di recente spostato i suoi interessi verso il coinvolgimento dei sindacati inglesi nella politica estera della Gran Bretagna. È stata membro del comitato di ricerca dell’Istituto siciliano per la storia dell’Italia contemporanea.