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Diplomazìa sindacale La missione del Trades Union Congress in Italia nel 1944 Maria Teresa Di Paola Tra la fine d’agosto e la prima metà di settembre del 1944 i maggiori centri urbani dell’Italia libe- rata vennero visitati da una delegazione di sin- dacalisti inglesi e americani accompagnati dal segretario generale dell’International Federa- tion of Trades Unions. Sebbene lo scopo della visita fosse quello di appurare quanto si stava facendo in quel momento in campo sindacale, di fatto essa si inseriva in una serie d’iniziative pro- mosse dagli inglesi e miranti a sottolineare che si era entrati in una nuova fase dei rapporti fra l’I- talia e gli alleati. Ricordata nel volume di David Ellwood L ’allea- to nemico, e più di recente in quello di Federico Romero Gli Stati Uniti e il sindacalismo euro- peo, questa missione internazionale del Trades Union Congress stranamente non viene neppure menzionata da sir Walter Citrine, all’epoca pre- sidente dellTftu e segretario generale del Tue, nel capitolo della sua autobiografia dedicato al- le visite del sindacato inglese nei territori libera- ti. Sembra quasi che, non avendovi preso parte e avendo dovuto tanto penare per organizzarla, l’ormai anziano sindacalista l’avesse cancellata dalla propria memoria. Eppure la visita della delegazione sindacale internazionale in Italia non fu un episodio marginale. Anche se non produsse il risultato sperato di controbattere l’influenza comunista sui lavoratori italiani, es- sa servì da collaudo per la politica di penetrazio- ne indiretta che gli inglesi s’apprestavano a se- guire nei paesi europei liberati dalla occupazio- ne nazifascista. Nelle pagine che seguono l’autrice si pone l’o- biettivo d’illustrare, attraverso l’uso di fonti inedite inglesi, come il tentativo del Tue d’in- fluenzare il rinascente movimento sindacale ita- liano divenne parte di una strategia politica che oltrepassava i confini della semplice solidarietà sindacale. Between the end of August and the first half of September 1944 the major towns in the liberated part of Italy were visited by a delegation of En- glish and American trade unionists accompa- nied by the General Secretary of the Iftu. Al- though its main aim was to ascertain what had been done in the trade union field, the visit was as well part o f a series o f initiatives prom oted by the British to underline that a new stage in rela- tions between the Allies and Italy was being en- tered into. Both David Ellwood in his book L’alleato nemi- co, and more recently Federico Romero in his Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, have made reference to this delegation. However Sir Walter Citrine, President of the Iftu and Gene- ral Secretary o f the Tue at the time, in his auto- biography makes no mention of this particular mission when dealing with the British trade union visits to liberated territories. Likely, the already elderly trade unionist had erased it from his memory, for he was not one o f the delegates and had to struggle so much to organise it. But the visit of the international trade union delega- tion to Italy was not a marginal event. Even if it did not have the hoped-for results of counter-at - tacking communist influence over Italian wor- kers, the visit served the purpose of testing the policy of indirect influence that the British were planning to follow in the liberated countries of Europe. Using unpublished English sources the author il- lustrates how the Tuc’s attempt to influence the rebirth of the Italian trade union movement be- came embodied in a political strategy that over- reached the borders of simple trade union soli- darity. ‘Italia contemporanea”, giugno 1993, n. 191

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Diplomazìa sindacaleLa missione del Trades Union Congress in Italia nel 1944

Maria Teresa Di Paola

Tra la fine d’agosto e la prima metà di settembre del 1944 i maggiori centri urbani dell’Italia libe­rata vennero visitati da una delegazione di sin­dacalisti inglesi e americani accompagnati dal segretario generale dell’International Federa­tion of Trades Unions. Sebbene lo scopo della visita fosse quello di appurare quanto si stava facendo in quel momento in campo sindacale, di fatto essa si inseriva in una serie d’iniziative pro­mosse dagli inglesi e miranti a sottolineare che si era entrati in una nuova fase dei rapporti fra l’I­talia e gli alleati.Ricordata nel volume di David Ellwood L ’allea­to n em ico , e più di recente in quello di Federico Romero G li S ta ti U niti e il sin dacalism o eu ro­p e o , questa missione internazionale del Trades Union C ongress stranamente non viene neppure menzionata da sir Walter Citrine, all’epoca pre­sidente dellTftu e segretario generale del Tue, nel capitolo della sua autobiografia dedicato al­le visite del sindacato inglese nei territori libera­ti. Sembra quasi che, non avendovi preso parte e avendo dovuto tanto penare per organizzarla, l’ormai anziano sindacalista l’avesse cancellata dalla propria memoria. Eppure la visita della delegazione sindacale internazionale in Italia non fu un episodio marginale. Anche se non produsse il risultato sperato di controbattere l’influenza comunista sui lavoratori italiani, es­sa servì da collaudo per la politica di penetrazio­ne indiretta che gli inglesi s’apprestavano a se­guire nei paesi europei liberati dalla occupazio­ne nazifascista.Nelle pagine che seguono l’autrice si pone l’o­biettivo d’illustrare, attraverso l’uso di fonti inedite inglesi, come il tentativo del Tue d’in­fluenzare il rinascente movimento sindacale ita­liano divenne parte di una strategia politica che oltrepassava i confini della semplice solidarietà sindacale.

B etw een the en d o f A u g u s t a n d th e f i r s t h a lf o f S ep tem b er 1944 the m a jo r to w n s in the lib era ted p a r t o f I ta ly w ere v is ited b y a delega tion o f E n­glish a n d A m erican trade u n ion ists acco m p a ­n ied b y the G enera l Secretary o f th e Iftu . A l­though its m ain aim w as to ascertain w hat had been d o n e in th e trade union f ie ld , th e v is it w as as w ell p a r t o f a series o f in itia tives p r o m o te d b y th e B ritish to underline th a t a n ew s ta g e in rela­tio n s betw een th e A llie s a n d I ta ly w as being en­tered into.B o th D a v id E llw o o d in h is b o o k L’alleato nemi­co, a n d m o re recen tly F ederico R o m ero in his Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, have m a d e reference to th is delega tion . H o w e v e r Sir W alter C itrine, P resid en t o f th e I ftu a n d G ene­ra l S ecretary o f the Tue a t th e tim e, in h is a u to ­b io g ra p h y m akes n o m en tion o f th is p a rticu la r m ission when dealing w ith th e B ritish trade union v is its to lib era ted territories. L ik e ly , the a lready e lderly trade u n ion ist h a d erased i t f r o m his m em o ry , f o r he w as n o t one o f th e delega tes a n d h a d to stru ggle so m uch to organise it. B u t th e v is it o f th e in tern ation al trade union delega­tion to I ta ly w as n o t a m arginal even t. E ven i f it d id n o t have the h o p ed -fo r resu lts o f cou n ter-a t­tacking co m m u n is t influence o ver Ita lian w or­kers, th e v is it se rv e d th e p u rp o se o f testing the p o lic y o f in d irect influence th a t the B ritish were p lan n in g to fo l lo w in th e lib era ted coun tries o f E urope.U sing unpu b lish ed English sou rces the a u th o r il­lu stra tes h o w th e T u c ’s a tte m p t to influence the rebirth o f the Italian trade union m o vem en t b e­cam e e m b o d ied in a p o litic a l s tra teg y th a t o ver­reach ed th e b orders o f s im p le trade union so li­d arity .

‘Italia contemporanea”, giugno 1993, n. 191

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Premessa

Nel 1940 il neoministro del lavoro Ernest Bevin sottoponeva all’attenzione del segreta­rio di stato per gli affari esteri lord Edward Halifax un lungo memorandum in cui veni­va illustrata l’esigenza di una riforma del servizio diplomatico partendo dalla conside­razione che come non era più ammissibile, nel ventesimo secolo, che un governo rite­nesse di condurre la propria politica interna senza porre attenzione alle questioni econo­miche e sociali, al livello dei salari e dell’oc­cupazione, al comportamento delle organiz­zazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, e all’effetto di queste questioni sulla politi­ca, così non era più possibile che il governo inglese continuasse a concepire la politica estera senza tenere in conto l’impatto che questioni ora richiamate avevano sulla poli­tica degli altri paesi1. Sebbene il Libro bian­co sulla riforma del Foreign Office e del ser­vizio diplomatico venisse presentato in Par­lamento solo nel gennaio 1943, e le riforme in essa previste poste in effetto alla fine del­la guerra, quando Bevin assunse la carica di Foreign Secretary, già alla fine dell’estate del 1941, con la nomina di Richard Tawney a consulente per gli affari sociali dell’amba­sciata inglese a Washington, era stata intro­dotta una nuova figura nel servizio diploma­

tico, quella del consigliere per i problemi del lavoro, ben presto nota come Labour atta­ché2.

Nella emergenza della guerra era stata in­trodotta anche la consuetudine di coinvol­gere i sindacati nelle scelte politiche del go­verno non solo sul piano interno, ma anche su quello esterno delle relazioni internazio­nali. Negli affari coloniali questo coinvolgi­mento diveniva più organico nel 1942, con l’inclusione di quattro esponenti del Tue nell’appena formato Colonial Labour Advi­sory Committee e la nomina di alcuni sin­dacalisti a Labour Adviser per le Colonie3. Anche in Gran Bretagna, così come era già avvenuto negli Stati Uniti, cominciava a es­sere apprezzata l’utilità della “diplomazia sindacale”4. Benché non manchino studi sulla riorganizzazione del movimento sinda­cale internazionale all’indomani della se­conda guerra mondiale e sul coinvolgimento dei sindacati negli affari esteri, studi nei quali si fa anche riferimento alle attività del Tue (Trades Union Congress), essi risento­no tutti del fatto di essere stati condotti in prevalenza negli Stati Uniti, in coincidenza con il massiccio impegno dei sindacati ame­ricani a sostegno della politica estera del lo­ro paese, o del fatto di aver usato soprattut­to fonti americane. Come conseguenza di ciò il ruolo svolto dal sindacato inglese a li-

La documentazione utilizzata per l’articolo è stata reperita in buona parte presso il Public Record Office e il resto presso il Files Department del Tue. Solo per questi ultimi materiali, oggi conservati presso l’Università di Warwick, si è specificata in nota la provenienza d’archivio con TUC/A, seguita dall’indicazione della collocazione originale del documento.1 Cfr. Alan Bullock, The Life and Times o f Ernest Bevin: 1940-45, London, Heinemann, 1967, voli. Il, p. 199.2 Cfr. Introduzione di Jay M. Winter a Richard H. Tawney, The American Labour Movement and Other Essays, London, The Harvester Press, 1979. Inoltre Proposals fo r the Reform o f the Foreign Service, London, Hmso, 1943, in War Cabinet (poi CAB)) 66/33.3 Cfr. Walter M. Citrine, Two Careers, London, 1967. Sul coinvolgimento negli affari coloniali D.I. Davies, The Politics o f the TUC’s Colonial Policy, “The Political Quartely”, gennaio-marzo 1964, pp. 24-25; Majorie Nichol­son, The Tue Overseas: the Roots o f Policy, London, Allen e Unwin, 1986.4 Sul concetto di “diplomazia sindacale” cfr. H.W. Berger, Union Diplomacy: American Labor’s Foreign Policy in Latin America 1932-1955, Wisconsin University Ph. D ., 1966; Jeffrey Harrod, Trade Union Foreign Policy: a Study o f the British and American Trade Union Activities in Jamaica, New York, Garden City, 1972; e anche Ro­land Radosh, Il sindacato imperialista, Torino, Rosemberg & Sellier, 1978, ormai un classico sul coinvolgimento dei sindacati americani nella politica estera degli Stati Uniti.

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vello internazionale è rimasto relativamente in ombra5. In particolare il coinvolgimento del Tue nella politica estera della Gran Bre­tagna non è stato ancora oggetto di uno stu­dio sistematico da parte degli storici e degli studiosi delle relazioni internazionali. Pur essendo numerosi gli studi sulla politica este­ra laburista, e alcuni di essi facciano riferi­mento all’influenza dei sindacati sulle scelte politiche del Labour Party6, lo studio del Tue quale attore internazionale è stato tra­scurato probabilmente perché è opinione diffusa che la base sindacale si sia sempre mostrata estranea e insensibile verso temati­che che non la coinvolgevano da vicino, mentre la leadership, interessata soprattutto agli aspetti economici e di potere interni, ab­bia sempre delegato al partito l’elaborazione della politica estera per il movimento7. Men­tre le storie del movimento operaio inglese omettono questo argomento o lo trattano in maniera molto limitata, altri lavori sulla po­litica estera del laburismo si sono per la maggior parte occupati della interpretazione storica, dell’analisi dei concetti e della riela­borazione di documenti ufficiali prevalente­mente prodotti dal Labour Party8.

Tenuto conto che la politica estera non è

soltanto il risultato di “sharp and sustained surface efforts” da parte d’individui e grup­pi che culminano in risultati definitivi, ma è condizionata anche “by the failure of positi­ve efforts, by negative responses, and even by the absence of any action”9, questa ricer­ca ha come argomento un tentativo fallito, quello del sindacato inglese d’influenzare la rinascita del movimento sindacale italiano all’indomani della caduta del fascismo e, nel contempo, di contribuire all’elaborazione della politica del lavoro alleata nelle aree li­berate.

Primi contatti

La questione della restaurazione dei pieni di­ritti sindacali e delle libere organizzazioni dei lavoratori nei territori liberati si era po­sta negli ambienti sindacali internazionali sin dalla primavera del 1943. In particolare, nel corso di una riunione dell’Emergency In­ternational Trade Union Council era stato proposto che, al momento opportuno, si contattassero i governi delle nazioni alleate per assicurarsi che nei territori liberati venis­sero offerte ai lavoratori tutte le facilitazioni

5 Fra i più citati cfr. Lewis Lorwin, The International Labor Movement, New York, 1952; John Windmuller, American Labor and the International Labor Movement: 1940-1953, New York, 1954; inoltre Horst Lademacher, Possibilità e limiti d ’azione del movimento operaio europeo nel primo dopoguerra, in Marta Petriccioli (a cura di), La sinistra europea nel secondo dopoguerra 1943-1949, Firenze, Sansoni, 1981; Federico Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo 1944-1951, Roma, Edizioni del lavoro, 1989.6 Cfr. Michael R. Gordon, Conflict and Consensus in Labour’s Foreign Policy 1914-1965, Stanford Cal., Stanford University Press, 1969; John F. Naylor, Labour’s International Policy: The Labour Party in the 1930’s, London, 1969; Mario Mancini, La politica internazionale del laburismo inglese nella seconda metà degli anni trenta (marzo 1936-settembre 1939), “Storia contemporanea”, 1980, nn. 4-5, pp. 747-857.7 Fanno eccezione Partha S. Gupta, Imperialism and British Labour Movement 1914-64, London, 1975; John Sa- ville, Working-class attitudes to Empire and the development o f anti-imperialism 1880-1939, “Labour History Bul- lettin”, 1988, n. 3, pp. 27-28.s Fra i primi John C. Lovell e Benjamin C. Roberts, A Short History o f the Trades Union Congress, London, 1968; Henry Pelling, Storia del sindacato inglese, Milano, Palazzi, 1972; Ken Coates e Tony Topham, Trade Unions in Britain, Nottingham, 1980, pp. 329-356 e Robert Taylor, The Fifth Estate: Britain’s Unions in Modern World, London, Pan Books, 1980, pp. 216-229. Fra i secondi Elaine Windrich, British Labour’s Foreign Policy, Stanford Cal., Stanford University Press, 1952; Matthew A. Fitzsimons, The Foreign Policy o f the Labour Go­vernment 1945-1951, Notre Dame Indiana, 1953; e le opere di M.R. Gordon e J.F. Naylor citate alla nota 6.9 Cfr. H.W. Berger, Union Diplomacy, cit., pp. IX-X.

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utili a dar vita a libere organizzazioni sinda­cali. Di fatto, però, non era stato steso al­cun programma né si era avuto alcun con­tatto, anche perché si era sottinteso che il passaggio dalla fase progettuale a quella del­la attuazione pratica sarebbe avvenuto una volta concluse le operazioni belliche. Anche il rapporto ufficiale elaborato dal comitato di studi sulla ricostruzione nel dopoguerra del movimento sindacale internazionale, e approvato dall’Emergency Council il 28 ot­tobre 1943, non andava oltre la dichiarazio­ne di principio che “la libertà di associazio­ne dovrà essere restaurata o istituita al più presto possibile” e che “per quanto riguarda la procedura da seguire si sarebbero dovute elaborare delle proposte dettagliate”10.

Era tuttavia molto sentita la necessità di dimostrare che, nonostante le difficoltà at­traversate negli ultimi anni a causa dell’af- fermarsi della dittatura nazifascista in vari paesi europei, l’organizzazione internazio­nale aveva continuato a esistere ed era pron­ta ad agire. A quasi un mese dallo sbarco al­leato in Sicilia, J.H. Oldenbroeck, segreta­rio dell’International Transport-Workers Federation (Itf), prendeva l’iniziativa di proporre a Walter Schevenels, segretario ge­nerale dell’Iftu, d’inviare dei sindacalisti con il compito di cooperare alla riorganizza­zione di un movimento sindacale libero e de­mocratico nell’isola11. Poiché le operazioni

militari non erano ancora concluse (Messina cadrà per ultima il 18 agosto 1943) e la parte liberata dell’isola era amministrata dall’Al- lied Military Government for Occupied Ter­ritories (Amgot), la segreteria delPIftu rite­neva improbabile che le autorità militari avrebbero concesso la libertà di movimento e d’azione necessaria per poter intervenire nella riorganizzazione dei sindacati. Decli­nava perciò la proposta di Oldenbroeck, pur riconoscendo che quanto prima la questione sarebbe sorta anche per altre aree del conti­nente e che era ormai opportuno prendere contatto con i governi inglese e americano, i soli ad avere il potere di assumere decisioni in proposito12. L’approccio che l’Iftu sugge­riva di seguire non veniva condiviso da parte dell’Itf, che riteneva fosse giunto il momen­to di “mostrare ai lavoratori d’Europa e in particolare a quelli d’Italia per che cosa lot­tava il movimento sindacale internazionale non soltanto approvando risoluzioni e fa­cendo dichiarazioni ufficiali, ma anche dan­do loro un aiuto effettivo”13.

In qualità di presidente dell’Iftu e segreta­rio generale del Tue, sir Walter Citrine con­tattava il Foreign Office per esplorare quali fossero le posizioni riguardo al governo mi­litare alleato messo in atto in Sicilia e la pos­sibilità di rinascita dei sindacati nei territori liberati. In particolare avanzava la richiesta che due o tre sindacalisti venissero assegnati

10 L’Emergency Council, fondato a Londra nel luglio 1942, era composto dal comitato esecutivo dell’Iftu, dai rap­presentanti di sette confederazioni sindacali nazionali, di sette segretariati internazionali di categoria e di sette gruppi di rifugiati europei. Cfr. Minutes o f the General Council International Committee Meeting, riunione del 13 luglio 1943, in TUC/A, f. T1854 (d’ora in poi International Committee Minutes)-, Official Report o f the Study Committee I, in IFTU, Project for the Reconstruction o f the International Trade Union Movement, London, Fe­bruary 1944, pp. 8-9, in TUC /A , f. 910.21 ; e anche General Council Report, in TUC, Report o f Proceedings o f the 75th Annual Trade Union Conference, London, 1944 (d’ora in poi TUC Annual Report: 1943).11 Per riferimenti alla proposta di Oldenbroeck cfr. Schevenels a Citrine, 13 agosto 1943, in TUC/A, f. 945.920.12 Schevenels a Citrine, 13 agosto 1943, cit. Per una storia ufficiale delPAmgot cfr. C.R.S. Harris, Allied Military Administration o f Italy 1943-1945, London, Hmso, 1957.13 Oldembroeck a Schevenels, 20 agosto 1943, in TUC /A , f. 945.920. L’atteggiamento dell’Itf nei confronti del- l’Iftu era sintomatico del riemergere dei dissapori fra quest’ultima ed i segretariati internazionali di categoria, i quali, in vista di una ristrutturazione dell’organizzazione sindacale internazionale, temevano di essere privati della loro autonomia d’azione.

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alPAmgot con il compito di assistere e indi­rizzare gli ufficiali addetti alle questioni del lavoro, mettendo in luce l’importanza di ri­dar vita in quei territori a organizzazioni de­mocratiche dei lavoratori. Prefigurando quanto sarebbe stato messo in atto successi­vamente durante l’occupazione alleata della Germania, Citrine metteva in chiaro che, anche se la questione nell’immediato futuro riguardava l’Italia, il Tue era interessato a qualsiasi altro territorio venisse in futuro li­berato14.

Fino a quel momento, però, il governo in­glese non aveva previsto alcun intervento nell’amministrazione militare alleata da par­te del movimento sindacale inglese o inter­nazionale, né aveva fissato alcuna politica futura su queste linee. Tuttavia alcuni fun­zionari di Whitehall cominciavano a perce­pire l’importanza politica della questione del lavoro e della legislazione sociale nella poli­tica del governo militare alleato, per l’inte­resse che questa andava riscuotendo in alcu­ni ambienti laburisti inglesi e internazionali, ma soprattutto per le carenze del piano Am- got evidenziate dall’esperienza siciliana. Era auspicabile, quindi, un incontro interdipar­timentale sulla questione, anche se prima di organizzarlo, o di prendere qualsiasi decisio­ne intorno alle richieste del segretario del Tue, il War Office doveva dare il suo pare­re. La risposta a Citrine, perciò, non poteva

che essere evasiva. D’altra parte, essendo l’Amgot un corpo congiunto angloamerica­no, l’inclusione di sindacalisti in esso avreb­be dovuto essere concordata con le autorità americane per evitare che sorgessero incom­prensioni. Comunque, non si aveva inten­zione di stabilire un governo militare nei ter­ritori liberati. La tendenza era quella “di da­re a ogni governo alleato tutte le opportuni­tà per ristabilire la propria autorità nel pro­prio paese appena fosse stato possibile [...] Anche in territorio nemico, dove il governo militare avrebbe potuto durare più a lungo, sarebbe stato preferibile che la direzione po­litica venisse dall’esterno piuttosto che dal­l’interno dell’Amgot”15.

Poiché era ormai giunto il momento di af­frontare decisamente il problema della rior­ganizzazione del sindacalismo democratico nei territori liberati, la segreteria del Tue lo poneva all’ordine del giorno della conferen­za annuale svoltasi a Southport dal 6 al 10 settembre 1943. Sin dal discorso di apertura, pronunciato da Anne Longhlin, veniva chia­ramente delineata la posizione del movimen­to sindacale inglese riguardo ai compiti delle nazioni alleate per la rinascita democratica dei paesi sottratti alla dittatura nazifascista, e la necessità che il sindacato facesse sentire la sua voce, rivendicando la rappresentanza del movimento organizzato internazional­mente nella temporanea amministrazione al-

14 Citrine a Richard Law, 25 agosto 1943, in TUC/A, f. 945.920, e in FO 371/35218. Inoltre R. Radosh, Il sinda­cato imperialista, cit., pp. 215-226; H. Lademacher (a cura di), Gewerkschaften im Ost-West-Konflikt, Melsungen, 1982, pp. 13-76; C. Eisenberger, Working Class Politics and the Cold War: American Intervention in the German Labor Movement 1945-49, “Diplomatic History”, 1983, n. 3, pp. 249-272; tutte opere che mettono in evidenza il ruolo svolto dall’Afl nell’occupazione alleata della Germania.15 Law a Citrine, 3 settembre 1943, in TUC /A , f. 945.920; Sebbene fossero in corso le trattative per l’armistizio italiano, ancora ai primi di settembre non vi era accordo fra gli alleati circa la gestione dei territori liberati. L’istitu­zione di un organismo di controllo per l’Italia, però, era già in fase di gestazione e i funzionari di Whitehall erano propensi ad affidare al più presto la responsabilità degli affari civili ad amministrazioni locali, riservando la dire­zione delle questioni politiche ed economiche a una commissione alleata di controllo in mani civili e, possibilmente, britanniche. Cfr. David W. Ellwood, L ’alleato nemico, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 211-217. Sulla posizione del Foreign Office vedi lettera del 9 settembre di Frederick W. Leggett a sir William Strang e la risposta di quest’ultimo il 27 dello stesso mese, in FO 371/35218; inoltre Maria Teresa Di Paola, La politica del lavoro dell’amministrazio­ne alleata in Sicilia, “Italia contemporanea”, 1977, n. 127.

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leata. Sebbène fosse appena giunta la notizia dell’iniziativa di Badoglio di democratizzare l’organizzazione italiana del lavoro con la nomina di esponenti del sindacalismo prefa­scista a commissari delle federazioni di me­stiere, il movimento operaio inglese guarda­va con sospetto al governo Badoglio e, non essendo ancora note le trattative armistiziali con l’Italia, esortava i dirigenti del movi­mento antifascista italiano a non far niente che potesse mettere in grado Badoglio, o qualsiasi suo successore di rivendicare la lo­ro attiva assistenza e il loro tacito supporto fintantoché il fascismo non fosse stato sradi­cato del paese16. Alla fine dei lavori il con­gresso delegava al General Council l’istitu­zione di un fondo per la ricostruzione dei sindacati europei e l’individuazione del mo­do migliore per riprendere la trattativa con il governo sulla questione della rappresentan­za sindacale nell’Amgot. Secondo quanto veniva deciso, il 24 settembre Citrine contat­tava direttamente Anthony Eden, ministro degli Esteri, proponendogli un incontro con una deputazione sindacale per discutere la questione delle facilitazioni per guidare e as­sicurare il ristabilimento delle organizzazio­ni sindacali democratiche nei territori che passavano sotto il controllo alleato. La ri­chiesta veniva accolta e l’incontro fissato per il primo ottobre17.

L’annuncio dell’avvenuto armistizio ave­va però creato nella penisola italiana una si­tuazione incandescente. Liberato Mussolini, i tedeschi occupavano i maggiori centri del­l’Italia centro-settentrionale, dove il 23 set­tembre veniva dichiarata costituita la Re­

pubblica sociale italiana. Al Sud, dove si erano rifugiati il re e Badoglio, la situazione era molto fluida non essendosi ancora defi­niti i rapporti di cobelligeranza. Era molto improbabile, quindi, che la proposta del Tue potesse incontrare una ricezione favorevole. Convinti che per il momento non fosse op­portuno coinvolgere il sindacato nell’ammi­nistrazione delle aree liberate, e non trovan­do un motivo convincente per sostenere la loro posizione, i funzionari del Foreign Of­fice suggerivano a Eden di temporeggiare e far presente che, essendo già iniziati i prepa­rativi per la costituzione della Allied Control Commission (Acc) e per il passaggio delle responsabilità amministrative alle autorità italiane, i sindacalisti che eventualmente fos­sero stati assegnati all’Amgot si sarebbero ben presto trovati a operare in un organismo dalle attività e competenze notevolmente ri­dotte18.

Venuto forse a conoscenza delle perplessi­tà che la proposta del Tue suscitava all’in­terno di Whitehall, Citrine lasciava cadere la questione della rappresentanza sindacale nel governo militare alleato e nell’incontro con Eden, parlando a nome della deputazione, esponeva i motivi per cui il Tue riteneva op­portuno inviare una delegazione sindacale in Italia. Da parte sua il Foreign Secretary af­fermava di non essere in grado d’assumersi alcun impegno senza aver prima consultato i colleghi del War Cabinet e aver avuto il pa­rere del governo americano. Per quanto ri­guardava la possibilità di dare un carattere internazionale alla delegazione, si conveniva che per il momento era più opportuno parla-

16 TUC Annual Report, cit. Nelle fila del movimento operaio inglese circolava l’opinione che, nonostante Mussoli­ni fosse caduto e il regime fascista formalmente liquidato, le forze della reazione che lo avevano generato e che ave­vano dato il potere a Mussolini erano sopravvissute.17 Citrine a Eden, 24 settembre 1943, in FO 371/35215. Inoltre estratti dal General Council Minutes o f Meeting, del 7 e del 29 settembre in TUC /A , f. 945/920 (d’ora in poi General Council Minutes). Componevano la deputazio­ne John Brown, Arthur Deakin, George Isaacs, G.W. Thomas, Ebby Edwards e W. Citrine.18 Brief for the Secretary o f State’s Meeting with Sir Walter Citrine about AMGOT, 30 settembre 1943, in FO 371/ 35218, da cui si evince che Ernest Bevin aveva fatto sapere di non essere favorevole alla proposta.

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re solo di rappresentanti sindacali inglesi e americani. L’inclusione degli americani in­fatti sarebbe stata di per sé una complicazio­ne, essendo il movimento sindacale negli Stati Uniti diviso fra due grandi organizza­zioni rivali. Il 4 ottobre il War Cabinet esa­minava la proposta del Tue e decideva di ac­certare innanzi tutto, tramite l’ambasciata americana a Londra, cosa ne pensasse il go­verno americano, fermo restando che non si poteva acconsentire all’iniziativa senza aver ottenuto prima il permesso del comandante in capo19.

Gli stretti rapporti di collaborazione inter­corsi sin dall’inizio della guerra tra il Tue e vari dipartimenti governativi, per sostenere lo sforzo bellico e sviluppare la politica del lavoro nelle colonie, inducevano a dare per scontato che l’iniziativa non avrebbe incon­trato ostacoli da parte inglese. Le stesse au­torità militari, tendenzialmente contrarie al­l’introduzione di civili nel teatro di guerra, avrebbero probabilmente apprezzato la di­sponibilità del Tue, visto che avevano già dovuto provvedere, verso la fine di settem­bre, ad addestrare dei funzionari d’alto gra­do dei County Councils per lavorare alle di­pendenze del governo militare nelle zone conquistate al nemico20. Del resto, di fronte alle difficoltà incontrate nell’attuazione del piano Amgot in Sicilia, sarebbe stato ovvio coinvolgere nell’amministrazione dei territo­ri liberati pure il movimento cooperativo in­glese, il cui aiuto sarebbe stato di estrema utilità per ristabilire al più presto l’organiz­

zazione cooperativa nell’importante settore della distribuzione dei generi di prima neces­sità. Riguardo al parere del governo ameri­cano, Citrine contava sull’interessamento di William Green, presidente della American Federation of Labor, al quale aveva subito scritto per chiedere il pieno appoggio della sua organizzazione21. Era legittimo attender­si un certo interessamento pure da parte del­l’ambasciatore americano a Londra, John Winant, per il suo passato nell’Ufficio inter­nazionale del lavoro22. Ma anche se tutto fa­ceva sperare che la proposta del Tue sarebbe stata accolta, di fatto la faccenda restò a de­cantare parecchie settimane. In mancanza di una risposta sollecita da parte del coman­dante in capo e degli americani, i funzionari del Foreign Office s’erano trovati in diffi­coltà nei confronti del sindacato, che ripetu­tamente ed esplicitamente richiedeva di sa­pere almeno se il governo inglese approvava l’iniziativa. Ma nonostante la dichiarazione di cobelligeranza, l’Italia restava ancora un paese nemico, le cui questioni interne ed esterne andavano regolate “secondo esigen­ze militari e usando mezzi militari”. La pro­posta del Tue, quindi, come qualunque altra richiesta “proveniente dalle forze politiche italiane e alleate e che andasse oltre le com­petenze militari veniva considerata in manie­ra del tutto relativa, ad un livello ancora in­feriore a quello dovuto al fatto che l’Italia era in effetti un campo di battaglia”23. Poi­ché il comando alleato per desiderio del ge­nerale Eisenhower aveva rimesso la questio-

19 Citrine a Philip Murray del Ciò, 18 luglio 1944, e TUC Deputation to the Foreign Office: Memorandum o f In­terview, 1° ottobre 1943, in TUC /A , f. 945/920; inoltre lettera del 10 ottobre di Eden a John G. Winant, e Note for the Secretary o f State for Use o f Cabinet on 4th Monday, October, in FO 371/35218.20 Lettera del 5 ottobre della Hospitales and Welfare Services’ Union, citata in estratto da Minute o f Finance and General Purpose Committee, 25 ottobre 1943, e conferma di W. Gillies a Citrine in lettera del 29 dello stesso mese, in TUC /A , f. 945/920.21 Tel. di Citrine a Green, 4 ottobre 1943, ed estratto da Minute o f Meeting o f the National Council o f Labour, 26 ottobre 1943, in T UC /A , f. 945/920.22 Minuta del Foreign Office, 17 ottobre 1943, in FO 371/35218.23 Cfr. D.W. Ell wood, L ’alleato nemico, cit., p. 62.

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ne all’esame dell’appena istituito Advisory Council for Italy (Aci), ai diplomatici inglesi non restava altro che temporeggiare24.

La “missione Fano” e il consenso alla visita

Ai primi di dicembre Citrine apprendeva da George Hall, sottosegretario di Stato agli Esteri, che il Foreign Office era pronto a sollecitare Algeri affinché la richiesta del Tue venisse considerata dall’Aci in una delle sue prime sedute, e a raccomandare che ve­nisse accolta, ma prima di far ciò desiderava appurare che non vi fossero equivoci circa lo scopo e l’ambito della visita proposta. Rie­saminando la documentazione relativa, in­fatti, appariva che di recente era stato speci­ficato che essa aveva come scopo lo studio delle condizioni prevalenti nei territori libe­rati al fine di collaborare alla ricostruzione di un movimento sindacale libero e demo­cratico in quelle zone. Il Foreign Office non aveva però comunicato in quei termini la proposta al governo americano e al generale Eisenhower, perché in un primo momento il Tue aveva chiesto solo delle facilitazioni per fare un giro d’ispezione in Sicilia e in Italia, in veste privata, per studiare i problemi più importanti nelle aree sotto controllo allea­to25. Queste sottigliezze burocratiche coglie­vano di sorpresa il segretario generale del Tue, che proprio in quei giorni era stato in­formato da Schevenels che l’Itf aveva già due rappresentanti in Italia e che uno di essi era tedesco di nascita e forse anche di nazio­

nalità. Non potendo credere che questi aves­sero ottenuto le facilitazioni necessarie pro­prio quando il Foreign Office stava trattan­do la questione con i sindacati inglesi, Citri­ne non aveva diffuso la notizia, né vi faceva riferimento nella lettera che inviava ad Hall per precisare lo scopo della visita e far pre­sente che dai precedenti contatti aveva tratto l’impressione che la proposta non avrebbe incontrato difficoltà. “Quando all’inizio contattammo Eden — scriveva Citrine — lo facemmo per esplorare se c’erano possibilità di essere collegati in qualche modo (con l’Amgot) come rappresentanti del movimen­to sindacale internazionale. L’obiettivo era quello di vedere fino a che punto fosse pos­sibile per il nostro movimento collaborare per far risorgere i sindacati liberi in Italia” . I rappresentanti sindacali quindi “avrebbero avuto il compito d’esplorare le possibilità esistenti e non andare oltre a ciò [...] natu­ralmente sarebbero stati inviati a nome del Tue inglese o dellTftu”26. Con lo scopo del­la visita definito in questi termini il Foreign Office non poteva che essere d’accordo. D’altra parte, una volta concesso a dei sin­dacalisti di recarsi in Italia, come pretendere che questi non stabilissero contatti con i loro colleghi italiani o che non prendessero in esame la possibilità di farvi risorgere il mo­vimento sindacale? Poiché il Tue intendeva dare alla visita un carattere esclusivamente esplorativo non avrebbero dovuto provenire obiezioni neppure da parte del comando al­leato, che avrebbe potuto eccepire qualora i delegati avessero tentato d’incoraggiare la

24 Lettera di George Hall a Citrine, 30 novembre 1943, e risposta di Citrine, 2 dicembre, in TUC/A, f. 945/920; minute del 17 ottobre e del 15 novembre, in FO 371/35218; inoltre commento di sir Horace A.C. Rumbold del 25 novembre alla lettera di H. Bucknell a Eden del 18, con cui l’addetto all’ambasciata americana a Londra informava il Foreign Secretary che il generale Eisenhower voleva che la questione venisse rimessa all’Aci, senza però comuni­care cosa ne pensasse il governo americano, né se e quali rappresentanti sindacali americani avrebbero potuto esse­re inclusi nella missione del TUC; cfr. ambedue in FO 371/37369.25 Hall a Citrine, 9 dicembre 1943, in TUC/A, f. 945/920.26 Risposta di Citrine del 13 dicembre 1943, con accluso ritaglio dell’articolo di Cecil Sprigge Get rid o f the fascist, say Italian railmen, pubblicato sul “Daily Worker” del 10 dicembre, in FO 371/37369. In esso veniva riferito della presenza in Italia del rappresentante dellTtf Pierpaolo Fano.

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rinascita del movimento sindacale italiano dall’esterno, interferendo nelle competenze del comandante in capo. Comunque, la de­cisione ormai doveva essere presa dall’Aci e al Foreign Office non restava altro che co­municarlo al sindacato27.

Mentre a Londra si prendeva ancora tem­po di fronte ai solleciti del Tue, il corrispon­dente dell’agenzia Reuter, Cecil Sprigge, aveva reso noto in un messaggio stampa dal­l’Italia che i ferrovieri dei distretti di Bari e delle Calabrie, incontratisi con il sottosegre­tario per le comunicazioni generale Giovan­ni Di Raimondo e il ministro del lavoro Epi- carmo Corbino, avevano richiesto la rimo­zione dei fascisti dall’organizzazione delle ferrovie, oltre che agevolazioni sindacali e un miglioramento nelle condizioni economi­che. Il comunicato dava pure notizia della presenza all’incontro di Pierpaolo Fano, “noto” rappresentante dell’Itf, “la cui par­tecipazione alla ripresa delle attività sinda­cali in Italia è il primo pratico contatto tra i lavoratori italiani e il movimento sindacale internazionale da quando l’Italia è entrata nelle fila delle nazioni in guerra contro la Germania”28. Il progetto delPIft era quindi andato in porto senza incontrare, strana­mente, le difficoltà frapposte alla proposta del Tue29. Nonostante ne fosse stata diffusa la notizia in un breve comunicato radio di Oldenbroeck e sul quotidiano laburista “Daily Herald” , la presenza dei rappresen­tanti dell’Itf in Italia sembra passare in un primo momento quasi inosservata all’inter­

no del Foreign Office. Tuttavia il fatto non potè più essere eluso allorché Citrine espres­se esplicitamente il proprio risentimento a George Hall, chiedendogli anche una spiega­zione. Come era possibile che tutto ciò fosse avvenuto senza che lui ne fosse stato messo al corrente né dal Foreign Office né dallo stesso Oldenbroeck? Invitato a discutere di persona la questione, il segretario del Tue apprendeva da Hall che i due erano stati prescelti dall’Office of Strategie Service (Oss) per servizi speciali in Italia e non per promuovere la rinascita sindacale nel settore dei trasporti. Per quanto riguardava i rap­porti con Oldenbroeck, Citrine avrebbe do­vuto risolvere la questione da solo, non po­tendo il Foreign Office intervenire in nessun modo. Hall s’impegnava invece a sollecitare attraverso Macmillan il permesso per i dele­gati del Tue30. Ma fino ad allora, per ragioni geografiche e per l’andamento della guerra l’Aci, a cui la richiesta andava sottoposta, era stato in grado di riunirsi solo saltuaria­mente e aveva dovuto affrontare questioni molto più urgenti. A seguito delle rinnovate pressioni da Londra, la questione veniva di­scussa nel Consiglio del 24 gennaio e in linea di massima tutti i presenti acconsentirono alla visita con la riserva che i rispettivi go­verni confermassero la decisione presa. Tut­tavia, tenuto conto delle condizioni in cui si trovava l’Italia, spettava al comandante in capo stabilirne la data più opportuna. Ciò significava in pratica rimandare la visita in­definitamente, decisione che non soddisface-

27 Minute di Rumbold e di Armine R. Dew, 16 e 18 dicembre, in FO 371/37369.28 Administration o f Italy. Railway Worker’s Demands, Reuter Message, inFO 371/37315.29 Su Fano e la sua missione nei territori liberati si sa molto poco, e solo una ricerca specifica negli archivi di Wa­shington potrebbe fare luce, dato che in quelli inglesi la documentazione è molto scarsa. Sia nel fondo del Foreign Office che in quello del Tue relativo alla visita in Italia (f. 945/920) sono elencati documenti su di lui che però non si trovano inseriti nei corrispondenti fascicoli.30 Citrinea Hall, 29 dicembre 1943, in FO 371/37297. Sull’incontro di Citrine con Hall e sulla verifica fatta dal Fo­reign Office circa la presenza dei rappresentanti dell’Itf in Italia cfr. minuta di Hall, 20 gennaio 1944, e anche lette­ra di Dew a Roger M. Makins (Algeri), 3 marzo, ambedue in FO 371/43920. Gli appunti di Citrine relativi all’in­contro con Hall non sono stati depositati negli archivi del Tue, nonostante se ne trovi riferimento nella rubrica del f. 945/920.

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va i funzionari del Foreign Office, soprat­tutto dopo che era stata data tanta pubblici­tà alla “missione Fano”; ma a questo punto non potevano fare altro che aspettare, spe­rando che non sopraggiungessero ulteriori complicazioni31.

Dall’Italia giungevano intanto i primi se­gni di una ripresa del movimento sindacale e alla Camera dei comuni veniva posta la que­stione se nei territori italiani liberati i rina­scenti sindacati fossero liberi di funzionare sul modello inglese32. Quanto avveniva in Italia, infatti, non era facile da interpretare per degli osservatori stranieri. Le numerose iniziative che si susseguivano nel meridione, anche se prive di coordinamento e spesso in concorrenza fra loro, avevano in comune la tendenza ad affermare che la riorganizzazio­ne dei sindacati dovesse procedere su basi unitarie e al di fuori dei partiti politici, ma avendo come protagonisti dei dirigenti im­pegnati più o meno attivamente sulla scena politica locale, o perché esponenti di qual­che partito o perché membri del Comitato nazionale di liberazione. Tutto ciò contri­buiva a rinsaldare l’opinione di chi, a Lon­dra e ad Algeri, riteneva che una visita di una delegazione sindacale inglese fosse pre­matura. Già nel mese di gennaio il ministero dell’Informazione aveva espresso le sue per­plessità. Se una delegazione avesse dovuto effettivamente recarsi in Italia, era auspica­

bile che almeno non vi prendesse parte Citri­ne, dato che le sue precedenti visite negli Stati Uniti e in Unione Sovietica aveva solle­vato molti problemi e che in Italia sarebbe stato ancora peggio. Da parte del ministero del Lavoro, poi, s’era espresso un parere de­cisamente contrario, che avrebbe potuto es­sere rimosso solo una volta che i fatti aves­sero dimostrato che la situazione era divenu­ta più stabile e definitiva33. Oltretutto, non essendo ancora risolta la questione istituzio­nale e della rappresentatività del governo Badoglio, né tanto meno quella di consenti­re al governo italiano d’inviare rappresen­tanti a Londra o a Washington, una visita dei delegati del Tue sarebbe stata imbaraz­zante per tutti34.

Tuttavia nel mese di marzo del 1944 la si­tuazione in Italia sembrò giungere a una svolta decisiva. Da Milano scioperi generali si estendevano a tutte le città del Nord. Mentre diverse centinaia di migliaia di lavo­ratori si mobilitavano e resistevano alla mi­naccia armata dei tedeschi, il 13 marzo il go­verno Badoglio annunciava la ripresa delle relazioni diplomatiche con l’Unione Sovieti­ca. La notizia coglieva certamente tutti di sorpresa, ma la svolta che ne conseguiva nel­la politica del partito comunista italiano non poteva che soddisfare gli inglesi. Allo scam­bio di rappresentanti diplomatici faceva se­guito, il 17 marzo, il rientro in Italia di To-

31 Tel. di Makins (Algeri), 21 e 23 gennaio 1944, e minute di Rumbold, 23 e 25 dello stesso mese, in FO 371/43924.32 Cfr. Italian Liberated Territory (Trade Unions): Parliamentary Question, 9 febbraio 1944, in FO 371/43920. Al­la fine di gennaio radio Bari aveva diffuso la notizia che alla testa della ricostituenda Cgil era stato eletto commis­sario il socialista Bruno Buozzi, con Giovanni Roveda e Achille Grandi quali vicecommissari; cfr. estratto del “Daily Worker”, 1° febbraio, ivi. Inoltre Buozzi aveva inviato a Citrine un messaggio augurale per il nuovo anno, auspicando un possibile futuro incontro in Italia o a Londra (cfr. Eden a Citrine, 28 gennaio 1944, in TUC/A, f. 945/920).33 Sulla visione inglese del processo di riorganizzazione sindacale avviatosi nei territori liberati cfr. Italian Trades Union in Liberated Territory; Report from the Office o f British Resident Minister, AFHQ, Algiers, 10 gennaio 1944; rapporto del capitano Scicluna, 2 febbraio; e Trade Union Movements in Liberated Italy: Political Intelligen­ce Report (Pid), 21 giugno, tutti in FO 371/43920. Inoltre Political Intelligence Report on Italy No. 50, 11 feb­braio, e Ford Memorandum, 22 aprile, rispettivamente in FO 371/43942 e 43899. Sulle opinioni espresse dai mini­stri cfr. minuta del 4 gennaio 1944, in FO 371/37369 e lettera di Leggett a Dew del 30 marzo, in FO 371/43920.34 Harold Caccia a Makins, 11 febbraio 1944, in FO 371/43924.

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gliatti. Sotto la sua influenza il partito co­munista, che fino a quel momento era stato il principale sostenitore della necessità di una petizione popolare per l’abdicazione del re Vittorio Emanuele, s’impegnava a con­vincere gli altri partiti del Comitato di libe­razione nazionale ad accantonare per il mo­mento la questione istituzionale e a farsi promotori della formazione immediata di un governo temporaneo di unità democrati­ca, liberale e antifascista35. Anche se l’im­passe della questione istituzionale e di gover­no stava per essere superata, la situazione economica e sociale era allarmante e non si poteva più restare a guardare passivamente. Il comitato internazionale del Tue, avendo preso in esame le condizioni dei lavoratori italiani in base al rapporto fatto dai delegati dell’Itf al loro rientro dai territori liberati, aveva deciso di continuare a fare pressioni sul Foreign Office, affinché venissero fomi­te anche al Tue le facilitazioni necessarie per poter visitare l’Italia, e di procedere alla no­mina dei propri rappresentanti36. Nel con­tempo, nella riunione del 15 marzo dell’Aci, il rappresentante sovietico aveva dichiarato che il suo governo non aveva alcuna obiezio­ne alla visita della delegazione del Tue, e poiché anche i rappresentanti greci e jugo­slavi erano d’accordo, MacMillan aveva rac­comandato al comandante in capo alleato di dare il suo consenso. Il generale Wilson ac­consentiva alla visita il 20 marzo, ma restava

da precisare quando questa avrebbe potuto aver luogo37.

In preparazione del War Cabinet che avrebbe dovuto discutere la questione, il Fo­reign Office faceva circolare fra i vari mini­steri interessati un rapporto sulla visita pro­posta per conoscere il loro parere. Ma il contenuto del rapporto non era tale da in­durre a modificare il parere contrario già espresso dal ministro del lavoro Bevin, se­condo il quale sarebbe stata una buona poli­tica rinviare la visita sino a quando non fos­se stato possibile entrare in contratto con quella parte d’Italia in cui risiedeva da sem­pre la principale forza dell’organizzazione sindacale. I congressi che si erano tenuti a Bari e a Salerno avevano messo in evidenza il carattere politico delle attività sindacali nel Sud e il fatto che non vi erano leader sin­dacali che godessero di un largo seguito tra i lavoratori. Se ormai non era più possibile impedire al Tue d’inviare i propri rappresen­tanti in Italia, essendone già stati pubbliciz­zati i nominativi sulla stampa, bisognava al­meno far di tutto per posporre la loro par­tenza dalla Gran Bretagna. L’opinione di Bevin era condivisa dal Secretary of State for War, visto che a nulla era servito il tele­gramma che il War Office aveva inviato di­rettamente al generale Wilson per fargli ri­mandare la decisione38. Nonostante questi pareri contrari, nella riunione del 3 aprile il War Cabinet faceva propria l’opinione di

35 Cfr. Ennio Di Nolfo, La svolta di Salerno come problema internazionale, e anche Bruno Arcidiacono, La Gran Bretagna e il pericolo comunista: gestione, nascita e primo sviluppo di una percezione (1943-1944), ambedue in “Storia delle relazioni internazionali”, 1985, n. 1, pp. 5-28 e p. 55.36 Estratti da International Committee Minutes, e da General Council Minutes, rispettivamente 15 e 22 marzo 1944, in TUC/A, f. 945/920. H.N. Harrison della National Union of Municipal Workers e W. Lawther della Mine Workers Federation, nominati delegati dal General Council del 22 marzo, controllavano insieme a Deakin della National Union of General and Transport Workers i voti in blocco dei sindacati più importanti ed erano in grado di condizionare non solo le decisioni del congresso annuale del Tue, ma anche i dirigenti sindacali che occupavano cariche dirigenziali nel partito laburista. Cfr. H. Pelling, cit., pp. 260-288.37 Lettera di MacMillan, 15 marzo 1944, e minuta di Dew, 5 aprile, in FO 371/43924.38 Bevin al Secretary o f State fo r War, e Bovenshen (WO) a Sargent (FO) 30 marzo e 1° aprile 1944, in FO 371/ 43924.

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Eden, secondo cui non si poteva non con­sentire alla richiesta del Tue, dato che nel frattempo rappresentanti dell’Itf avevano visitato i territori italiani liberati. Il Foreign Office non condivideva i timori del ministro del lavoro, anche perché riteneva che fosse giunto il momento di associare in qualche modo il Tue agli Affari civili. Del resto, quale danno avrebbero potuto arrecare con la loro visita due delegati del Tue, sicura­mente ben consapevoli della limitata rappre­sentatività dei dirigenti sindacali con cui sa­rebbero entrati in contatto nell’Italia meri­dionale? Inoltre, come non ammetterli, quando era stato permesso il rientro in Italia di agitatori comunisti?39 Ottenuto il consen­so delle autorità inglesi e alleate, toccava al sindacato inglese decidere quando la visita avrebbe dovuto aver luogo e chi avrebbe fat­to parte della delegazione40. Ma in assenza di Citrine, recatosi in America per la confe­renza dell’International Labour Office (Ilo), che si sarebbe tenuta a Philadelphia dal 20 aprile al 12 maggio 1944, sembrava che al Tue non vi fosse nessuno in grado di pren­dere una decisione in proposito41.

La preparazione politica della visita e gli svi­luppi in America

L’iniziativa sindacale, in un primo tempo sottovalutata, veniva adesso considerata da

un’angolazione del tutto nuova e diveniva parte di una più ampia strategia anticomuni­sta. Condividendo l’opinione di chi intrave­deva in quanto faceva seguito alla “svolta” di Salerno un piano elaborato da Mosca e da Mosca coordinato, Eden aveva espresso i propri timori sugli obiettivi mediterranei dei russi nel War Cabinet del 3 aprile, senza riu­scire a convincere Churchill della necessità di una revisione della politica italiana42. L’invio della delegazione sindacale, quindi, era per il momento la sola carta da giocare, e al più presto, per controbattere l’ondata della propaganda marxista che stava dila­gando in Italia. Toccava al Foreign Office assicurarne il successo, curando nei minimi particolari non solo l’aspetto organizzativo, ma soprattutto quello politico della missio­ne. Pur non essendo sicuro che due delegati sindacali avrebbero potuto, come sperava Harold Macmillan, ottenere risultati positivi in questa direzione, il Foreign Office decide­va di dare qualche indicazione in proposito alla delegazione prima della partenza per i territori liberati43. Sebbene l’evolversi della situazione in Grecia avesse nel frattempo sensibilizzato il premier britannico sui peri­coli del diffondersi del fenomeno comunista in quelle aree, l’elaborazione di una strate­gia anticomunista risentiva delle difficoltà inglesi ad avviare una politica “positiva” per l’Italia; difficoltà che erano state ulterior­mente aggravate dalla richiesta del passag-

39 Nota di Hall a Eden, 30 marzo 1944; estratto da War Cabinet Conclusions, 43(44), 3 aprile, e anche minuta di Dew del 5 aprile, in FO 371/43924.40 Eden a Citrine, 7 aprile 1944, in TUC/A, f. 945.920.41 Scorrendo gli atti del Comitato internazionale del Tue appare evidente che la questione era stata lasciata intera­mente nelle mani di Citrine, essendo il Comitato impegnato soprattutto coi preparativi della conferenza sindacale mondiale, che si sperava di convocare a Londra nel mese di giugno. Lo stesso General Council, riunitosi ai primi di maggio, conveniva di non esprimere per il momento alcuna opinione e aspettare la decisione degli americani per de­finire la data della partenza, essendo stata messa in discussione l’opportunità in quel momento di una visita in Ita­lia proprio da parte dei delegati prescelti. Cfr. estratto da General Council Minutes, 4 maggio 1944, in TUC /A , f. 945/920; e anche International Committee Minutes, in TUC/A, f. TI 854.42 Nota di Eden, 3 aprile 1944, in FO 371/43793 e War Cabinet 43(44)4, Confidential Annex, in CAB 65, vol. 46.43 Tel. di Makins (Algeri), 11 aprile 1944, citato da Ross in minuta del 4 maggio; minute di Dew, 14 e 25 aprile, e tel. del Foreign Office al Resident Minister (Algeri), 15 aprile, tutti in FO 371/43924.

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gio allo status di alleato avanzata dal se­condo governo Badoglio. Il presunto lega­me tra le condizioni materiali degli italiani e il loro spostamento a sinistra era il punto da cui partire. Tuttavia non era facile tro­vare un accordo sulle misure politiche ed economiche da adottare, anche se era chia­ro che le uniche possibilità reali per aumen­tare la popolarità della nazione e dell’eser­cito britannici “consistevano in concessioni economiche e, a livello diplomatico, in un trattato di pace preliminare” , la cui conclu­sione doveva però essere fatta balenare solo come una possibilità in un futuro non lon­tano44.

Per il momento, dunque, non restava al­tro che avviare una campagna di contro­propaganda che mettesse in risalto “ad nauseam” i meriti della democrazia e nel contempo desse, come annotava Eden, una “più vigorosa immagine di noi stessi” . A parte i canali di propaganda convenzionali l’alto commissario inglese per l’Italia, sir Noel Charles, valutava positivamente l’in­vio dalla Gran Bretagna di rappresentanti sindacali responsabili, in grado di convince­re gli italiani che “solo gli ideali democrati­ci emergono come i principi che garantisco­no una reale libertà individuale”45. Concen­trare l’attenzione dei lavoratori delle indu­strie sui problemi economici e industriali, che avrebbero potuto essere risolti adottan­do il modello sindacale inglese, era una via da percorrere, nonostante che nell’Italia meridionale i lavoratori industriali fossero molto pochi e la completa distruzione da

parte dei fascisti dell’organizzazione dei sindacati liberi rendesse ancora più difficile il compito di farla rivivere. Dato che i dele­gati sindacali avrebbero potuto soltanto stabilire contatti preliminari con i sindacati italiani, la nomina di un labour attaché nel­lo staff di Charles avrebbe permesso di mantenere in pianta stabile i contatti coi la­voratori. Oltre al compito di studiare i pro­blemi politici ed economici dal punto di vi­sta industriale, questo funzionario avrebbe potuto parlare, grazie alla sua posizione uf­ficiale, con una certa autorità con i datori di lavoro ed i lavoratori italiani per convin­cerli ad affrontare i problemi industriali se­condo i metodi del sindacalismo inglese piuttosto che con quelli del comuniSmo. La prospettiva d’azione più immediata, co­munque, era pur sempre quella d’incorag­giare la visita del Tue e fare in modo che nella delegazione venisse inserito almeno un elemento più giovane, capace di osservare cose che non potevano essere notate dai due dirigenti nazionali prescelti dal General Council. Perché la missione potesse svolge­re con successo la sua funzione di contro­propaganda era infatti essenziale che vi partecipassero elementi che, oltre a essere rappresentativi del movimento, fossero an­che in grado di studiare e valutare il pro­blema della diffusione della propaganda comunista fra i lavoratori italiani, perché al loro ritorno le informazioni raccolte nei territori liberati sarebbero state estrema- mente utili per avere una più esatta visione di quanto stava accadendo in Italia46.

44 Cfr. D.W . Ellwood, L ’alleato nemico, cit., p. 79 e articolo di B. Arcidiacono, La Gran Bretagna e il pericolo co­munista: gestione, nascita e primo sviluppo di una percezione (1943-1944), “Storia delle relazioni internazionali”, 1985, nn. 1-2, p. 56. Sui problemi delle relazioni anglosovietiche alla luce degli sviluppi in Italia, Romania, Bulga­ria, Jugoslavia e Grecia cfr. David Dilks, British Political Aims in Central, Eastern and Southern Europe 1944, in AA.VV., British Political and Military Strategy in Central Eastern and Southern Europe in 1944, Basingstock, MacMillan, 1988, pp. 25.45 Tel. di Charles, 10 maggio 1944, e notazione a margine di Eden, in FO 371/43792.46 Communism in Italy: HMG Counterpropaganda: Memo o f discussion at Foreign Office, 10 maggio 1944, in FO 371/43792; e anche FO Memorandum, 30 maggio 1944, in FO 371/43832.

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Poiché Citrine non era ancora rientrato dagli Stati Uniti, il Foreign Office invitava il suo assistente Vincent Tewson e il responsa­bile dellTnternational Department del Tue Ernest Bell a incontrarsi con Hall, per met­terli al corrente, in via strettamente confi­denziale, dei recenti sviluppi della politica in­glese verso l’Italia e dell’interesse del suo mi­nistero a che la delegazione sindacale partisse al più presto. Ma proprio in quei giorni il se­gretario del Tue stava discutendo con i colle­ghi dell’Afl la nomina di un rappresentante americano nella delegazione, per cui veniva deciso di aspettare il suo rientro per definire in termini pratici la visita47. Appena giunto a Londra Citrine s’incontrava con Hall e indi­cava in Walter Schevenels la persona più fi­data, più esperta e più adatta a portare a buon compimento la missione che il Foreign Office intendeva affidare alla delegazione. Occorreva però trovare il modo di aggirare le recenti restrizioni d’accesso di stranieri nel Regno Unito che avevano bloccato il segreta­rio dell’Iftu negli Stati Uniti insieme con altri dirigenti sindacali internazionali, partiti co­me lui da Londra in aprile per recarsi a Phi­ladelphia ad assistere alla conferenza dell’I­lo. Secondo Citrine sarebbe stato utile fare giungere nella capitale inglese anche Luigi Antonini, l’italoamericano che l’Afl aveva designato quale proprio rappresentante, per­ché con la sua conoscenza dell’Italia e della lingua italiana avrebbe di sicuro contribuito a fornire ai delegati inglesi maggiori infor­mazioni su quel paese. Riguardo alle spese di viaggio per la delegazione, veniva puntualiz­zato che il sindacato non poteva permettersi di far fronte alle spese per il trasporto dei de­

legati per cui il Foreign Office, essendo inte­ressato alla visita, avrebbe dovuto procurare i passaggi aerei necessari, mentre il Tue avrebbe provveduto coi propri fondi a copri­re le spese di soggiorno48.

Nonostante fosse ritenuto di estrema im­portanza non rimandare oltre la visita, di fatto essa slittò alcuni mesi a causa dei con­traccolpi che la nomina del rappresentante americano provocò negli Stati Uniti e che fe­cero temere al Foreign Office che la delega­zione non avrebbe potuto assolvere il ruolo che le era stato assegnato49. Ai primi di giu­gno infatti era stata ufficialmente resa pub­blica la scelta di Antonini. Noto alla stampa americana quale uno dei più dichiarati anti­comunisti del movimento operaio statuni­tense, questi era stato designato in quanto, come presidente dell’Italian-American La­bour Council (laïc) e vicepresidente dellTn­ternational Ladies Garnment Workers (Ilgw), rappresentava tre milioni di lavora­tori italoamericani organizzati. Sfortunata­mente, nell’annunciarne la nomina il presi­dente dell’Afl Green aveva incautamente sottolineato il carattere anticomunista della scelta, mentre lo stesso Antonini sembra avesse detto nell’accettare l’incarico che oc­correva essere certi che i comunisti non con­trollassero i sindacati italiani, perché “non vogliamo che l’influenza sovietica vada dal­la Jugoslavia all’Italia e alla Spagna e quindi forse anche all’America del sud e del nord”50. Ciò suscitava immediate proteste da parte dei gruppi italoamericani del Ciò che sollecitavano il Dipartimento di Stato americano a non concedere il visto d’uscita al provocatore anticomunista Antonini, per

47 Memorandum o f Interview, 15 maggio 1944, in TUC/A, f. 945/920, e nota di Hall, 16 maggio 1944, in FO 371/ 43924.48 Memorandum o f Interview, 1° giugno 1944, in TUC/A, f. 945/920, e nota di Hall, 2 giugno 1944, in FO 371/ 43924.49 Minuta di Tahardin, 22 giugno 1944, in FO 371/43924.50 Tel. da Washington e lettera di Cunard a Scarlett, rispettivamente 13 e 15 giugno 1944, in FO 371/43924.

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evitare interferenze nella situazione italiana; mentre il Ciò, rivendicando il diritto di po­ter inviare un delegato in Italia, designava George Baldanzi quale proprio rappresen­tante. L’organizzazione rivale dell’Afl non poteva fare però scelta di maggior disturbo, dal momento che Baldanzi era non solo vi­cepresidente del sindacato dei tessili aderen­te al Ciò, ma anche segretario del Free Italy American Labour Council (Fiale), da lui fondato insieme con August Bellanca nell’a­gosto del 1943, distaccandosi in segno di protesta dall’American Labour Council, in seguito alla alleanza di Antonini col reazio­nario American Committee for Italian De­mocracy51. Le aspre polemiche sviluppatesi in America avevano avuto riflessi anche sui giornali inglesi. Il 5 giugno il “News Chroni­cle” commentava che la visita di Antonini in Italia significava che “gli americani influenti si schieravano certamente dalla parte dei conservatori”, e il giorno dopo il “Daily Worker” vedeva in essa “una minaccia all’u­nità antifascista italiana” . Quel che era peg­gio, la scelta dell’Afl veniva interpretata co­me un esempio del livello che il sentimento antisovietico aveva raggiunto in America e anche come un sintomo palese della volontà dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna di “ridurre l’influenza sovietica sul popolo e sul governo italiano”52.

Poiché si giocava ormai a carte scoperte, era improbabile che la delegazione sindacale potesse riuscire a svolgere un ruolo di rilievo per portare avanti la politica che il governo inglese stava cercando di avviare in Italia. Inoltre il successo della missione sarebbe stato sicuramente compromesso dalla pre­

senza dei sindacalisti italoamericani che, vi­sti i loro precedenti rapporti, non avrebbero probabilmente partecipato ad una comune impresa e, recandosi separatamente in Ita­lia, avrebbero causato ancor più danno. A prescindere dal fatto che al loro arrivo nelle zone liberate i due delegati americani potes­sero impegnarsi in attività politiche, quel che più preoccupava il Foreign Office era sia la notoria associazione di Antonini con Ge­neroso Pope, per molti anni il più acceso propagandista filofascista negli Stati Uniti, sia i suoi collegamenti con l’azionista Dino Gentili. In particolare la concezione di Gen­tili e di Antonini del movimento sindacale sotto controllo politico, e dal quale tutti i comunisti dovevano essere esclusi, era peri­colosa perché sarebbe stata percepita, e non senza ragione, come un tentativo di distrug­gere dall’esterno quell’unità dei lavoratori italiani organizzati che andava affermandosi in quei giorni a seguito della stipula del co­siddetto patto di Roma, e sarebbe stato un eccellente pretesto per il Partito comunista italiano per chiamare in suo aiuto l’Unione Sovietica. Un appello del genere non sareb­be rimasto senza risposta e l’alleato sovieti­co sarebbe di nuovo apparso come il deus ex machina che metteva ordine negli affari ita­liani. Se il Dipartimento di Stato americano avesse insistito a sostenere la nomina di An­tonini, la missione sarebbe stata inevitabil­mente più dannosa che utile e i sindacati in­glesi avrebbero fatto meglio a dissociarsi dall’iniziativa53.

Pur sperando che il comando alleato non approvasse la scelta dei sindacati americani, il Foreign Office faceva sapere a Washington

51 Tel. da Washington, 13 giugno 1944, e lettera di Cunard a Scarlett, 15 giugno, loc. cit.. Sulle complesse vicende delle organizzazioni sindacali dei lavoratori italoamericani in quegli anni cfr. Roberto Faenza e Marco Fini, Gli americani in Italia, Milano, Feltrinelli, 1976; pp. 24-27; inoltre D.W. Ellwood, L ’alleato nemico, cit., p. 391, e F. Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, cit., p. 55.52 Estratto da “The Newstateman and Nation”, 10 giugno 1944, in FO 371/43924, e brani del “News Chronical” e del “Daily Worker” riportati in D.W. Ellwood, L ’alleato nemico, cit., p. 391.53 Lettera di Cunard cit. a nota 50 e minuta di Ross, 14 giugno 1944, in FO 371/43924.

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che riteneva opportuno far partecipare An­tonini e Baldanzi in una delegazione unica con il Tue, per cui auspicava che i due met­tessero da parte le loro divergenze e che il Dipartimento di Stato facesse di tutto per renderla possibile, spiegando a entrambi l’importanza di non compromettere il signi­ficato complessivo della missione con liti in­terne e, ancor peggio, intraprendendo attivi­tà politiche in Italia54. Ma se la combinazio­ne Antonini-Baldanzi forniva già motivo di contrasto, l’ingresso di Schevenels nel qua­dro aveva complicato ancor più le cose per­ché negli Stati Uniti non se ne capiva il ruo­lo. Poiché il Ciò non faceva parte dell’Iftu, il segretario di questa organizzazione non poteva essere incluso nella delegazione, a meno che vi partecipasse come inviato del Tue. Secondo i diplomatici americani sareb­be stato meglio, comunque, che le delegazio­ni fossero state nominate separatamente, co­me missione inglese e missione americana, per evitare che si volessero associare all’ini­ziativa anche i sindacati sovietici. L’ammini­strazione americana non aveva niente da obiettare a una tale eventualità, ma proba­bilmente lo avrebbe avuto l’Afl55.

Tutto ciò mostrava agli inglesi le “incredi­bili difficoltà” che derivavano dal dover agi­re con gli americani e non da soli56. D’altra parte, non tollerando che il Tue venisse tra­scinato ancora una volta nelle liti interne dei sindacati americani, Citrine aveva fatto pre­sente a Hall che sarebbe stato preferibile che la delegazione inglese fosse andata da sola in Italia, essendosi già perso troppo tempo. Se

gli americani non erano d’accordo, quindi, sarebbe stato opportuno accogliere la loro proposta di far nominare separatamente le delegazioni da parte delle organizzazioni sindacali di ciascun paese. Quanto a un’e­ventuale inclusione dei sovietici, il Foreign Office non escludeva che il governo sovieti­co potesse sollevare la questione, ma non sa­rebbero stati certamente gli inglesi a solleci­tare una loro partecipazione57. Poiché anco­ra ai primi di luglio il Dipartimento di Stato non era riuscito a mettere d’accordo il Ciò e l’Afl affinché formassero una delegazione congiunta, Londra non vedeva altra soluzio­ne che quella di riservare uguale trattamento alle richieste di entrambe le organizzazioni, proponendo d’inviare dall’America missioni separate58, e decideva d’incoraggiare il Tue a procedere da solo, lasciando che gli america­ni raggiungessero eventualmente i delegati inglesi a Roma59. Per essere efficace la mis­sione doveva infatti essere realizzata senza indugio. Non restava dunque che perfezio­nare i dettagli della partenza e fare in modo che i delegati del Tue fossero pronti a parti­re per il 18 agosto60.

La svolta nella situazione politica italiana

Si era entrati ormai in una fase cruciale del­l’avanzata delle forze alleate sul continente europeo e non si poteva più restare inermi di fronte al crescente malessere avvertito dagli italiani per le terribili condizioni di vita e la mancanza di fiducia da parte alleata. Anche

54 Nota di Hall e telegramma del Foreign Office a Washington, rispettivamente 19 e 22 giugno 1944, in FO 371/ 43924.55 Tel. di Halifax (Washington), 23 giugno 1944, in FO 371/43924.56 Minuta di Dew, 26 giugno 1944, in Fo 371/43924.57 Minuta di Ross, 26 giugno 1944, in Fo 371/43924; Citrine a Lawther, 29 giugno 1944, in T UC /A , f. 945/920.58 Tel. di Campbell (Washington), 13 luglio 1944, in FO 371/43925.59 Minute di Williams e di Sargent, rispettivamente 16 e 18 luglio 1944, in FO 371/43925.60 Nota di Hall, 20 luglio 1944, in FO 371/43925; inoltre lettera a Lawther e Tel. a Green inviati da Citrine rispetti­vamente il 20 e il 27 luglio 1944, in TUC/A, f. 945/920.

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se a Londra il “pericolo comunista” comin­ciava a essere visto “più come un espediente degli italiani per far pressione sugli Alleati occidentali per ottenere delle concessioni, che come una minaccia sovietica”61, gli ap­pelli che giungevano dall’Italia echeggiava­no un radicalizzarsi della situazione che non poteva essere sottovalutato. Secondo quanto era stato concordato, in seguito alla presa di Roma Badoglio aveva rassegnato le dimis­sioni e riottenuto l’incarico di formare un nuovo governo in cui venissero inclusi i lea­der delle forze antifasciste presenti nel Co­mitato di liberazione nazionale (Cln). Questi però, rivendicando il diritto degli italiani a un minimo di autonomia operativa nei con­fronti degli alleati, avevano rifiutato il loro appoggio a Badoglio e portato alla nomina di Ivanoe Bonomi a capo del governo62. Pur avendo accettato gli obblighi assunti dai pre­cedenti governi verso gli alleati, il nuovo mi­nistero s’insediava senza prestare giuramen- te di fedeltà alla corona. Tutto ciò rimetteva in discussione l’accordo raggiunto a Londra sulla politica da seguire nei confronti dell’I­talia, e che prevedeva fra l’altro di rafforza­re Badoglio facendo intravedere agli italiani la possibilità di un trattato di pace prelimi­nare. Andava verificato, infatti, se le ragioni poste alla base di questa politica “positiva” fossero ancora valide nella mutata situazio­ne. Poiché Churchill era dell’opinione che non ci sarebbe dovuto essere alcun riguardo particolare per il nuovo governo, ai diplo­matici inglesi non restava che ripiegare su una strategia più paziente e discreta, mirante a intensificare i contatti con i leader dei par­titi moderati e a dispensar loro gli incorag­giamenti necessari per acquistare fiducia in

se stessi, assumere l’iniziativa e procurarsi un seguito più consistente63. Questa linea, però, non veniva condivisa da Macmillan né da Noel Charles, secondo il quale, per argi­nare il successo del comuniSmo in Italia, era “essenziale che al governo moderato del Si­gnor Bonomi venga dato tutto il sostegno possibile [...] In particolare l’Inghilterra de­ve resuscitare l’idea di un accordo prelimi­nare, la cui conclusione consentirebbe di trattare gli italiani non più come nemici ma come associati [...] e sarebbe ben accetta agli americani”64. Mano a mano che i giorni passavano, infatti, andava guadagnando terreno fra gli italiani l’opinione che gli al­leati guardassero con sospetto al governo Bonomi e stessero aspettando che entrasse in crisi per sostituirlo con un altro di loro gra­dimento. Si cominciava soprattutto a risen­tire della mancanza di fiducia da parte degli alleati. “La situazione è adesso matura per stabilire fra l’Italia e le nazioni alleate rela­zioni su basi di mutua fiducia”, scrisse Nen- ni sull’“Avanti!” del 9 luglio. “Se la man­canza di fiducia da parte alleata nei con­fronti di Badoglio era comprensibile [...] una simile mancanza di fiducia nei confronti di un governo nazionale e democratico, ba­sato sul Cln, sarebbe difficile da capire. Se dovesse esistere e persistere il governo non avrebbe altra via che quella di presentare le dimissioni”65.

Mentre quello che veniva definito il bloc­co moderato stentava a trovare un accordo su una linea democratica unitaria e non ap­pariva avere alcuna influenza sulle masse popolari, il partito comunista provocava al­larme per la sua grande efficienza, nono­stante Togliatti facesse di tutto per evitare

61 Cfr. B. Arcidiacono, La Gran Bretagna e il pericolo comunista, cit., p. 247.62 Tel. dell’Acc all’Afhq (Algeri), 7 e 8 giugno 1944, in FO 371/43794.63 Minuta di McDermott, 28 giugno 1944, in FO 371/43910.64 Tel. di Charles, 10 luglio 1944, e di Macmillan, 22 giugno 1944, in FO 371/43795 e 43822.65 Notes fo r use o f Mrss. T. O ’Brien, W. Lawther, W. Schevenels, 16 agosto 1944, in TUC/A, f. 945/920, in cui viene riportato brano dell’articolo di Nenni.

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incomprensioni fra il popolo italiano e gli alleati. “Tutti i partiti di destra, centro e si­nistra dichiarano di temere le attività del partito comunista”, scriveva il ministro resi­dente in Italia al Foreign Office, aggiungen­do che i loro dirigenti avrebbero gradito vi­sitatori della Gran Bretagna, ai quali poter chiedere consiglio “su questioni relative al moderno pensiero politico e sull’evoluzione democratica del nostro paese” . Era quello, quindi, un momento opportuno per la visita della delegazione del Tue e non si doveva aspettare più oltre a realizzarla né, tanto meno, preoccuparsi che gli americani non vi prendessero parte, essendo di per se stesso difficile organizzare qualsiasi propaganda puramente inglese fintantoché l’Italia era trattata da paese ex nemico e stava sotto il controllo congiunto angloamericano66.

Dopo un breve ‘amoreggiamento’, i co­munisti avevano raggiunto un accordo con i socialisti per coordinare le loro attività sia nella sfera politica che in quella sindacale ed erano usciti allo scoperto sulla questione istituzionale. Si assisteva così “alla forma­zione di un blocco politico di estrema sini­stra e al proseguimento del piano comunista di assimilare i propri fratelli”67. Nel siglare il loro accordo, i due partiti avevano inoltre rivolto un appello alle organizzazioni ope­raie e alle masse popolari delle tre grandi na­zioni alleate affinché intervenissero a favore del popolo italiano. Quel che veniva chiesto, anche con appelli diretti della Cgil al Tue e di Nenni al Labour Party, era che cessasse ogni intromissione dall’esterno nelle faccen­de italiane, che venissero accordati al gover­no italiano i poteri necessari al suo pratico funzionamento, che fosse consentito agli

italiani di partecipare in misura assai più lar­ga alla guerra e, soprattutto, che venisse fat­to subito qualcosa per evitare che la situa­zione si guastasse irrimediabilmente. La po­polazione, infatti, stava soffrendo terribil­mente per i salari e gli stipendi di fame, per la diffusa disoccupazione, per l’acuta man­canza di cibo, capi d’abbigliamento e medi­cine, per l’incontrollabile mercato nero, per l’inflazione, per il caos nell’amministrazio­ne. Tutto ciò aveva ripercussioni a livello politico, dove la precarietà della situazione appariva sempre più evidente. C’era soprat­tutto un forte risentimento verso le forze d’occupazione perché non erano riuscite a mantenere le promesse fatte per il ritorno al­le libertà politiche e civili, e venivano viste ostacolare in tutti i modi le attività del go­verno Bonomi. Il problema più immediato, comunque, era la mancanza di approvvigio­namenti nelle città. A meno che non fossero pervenuti aiuti, c’era il rischio che scoppias­sero sommosse popolari nei maggiori centri e che fosse necessario ricorrere all’utilizzo delle truppe per assicurare la sicurezza delle linee di comunicazione68. Preoccupato che gli interessi britannici in Italia potessero ri­sultare compromessi da un radicalizzarsi della situazione interna, Charles sollecitava il Foreign Office a prendere al più presto delle misure per sostenere Bonomi, “il quale ha poco da offrire alla gente in termini di ri­sultati [...] è criticato anche dai suoi stessi sostenitori perché non migliora lo status del­l’Italia”69.

C’era però anche un altro motivo per non rimandare oltre la partenza dei delegati sin­dacali: la necessità di contrastare l’ormai evidente tendenza americana a trasformare

66 Tel. di Charles e minuta di Sargent, rispettivamente 7 e 18 luglio 1944, in FO 371/43795.67 Tel. di Charles, 11 agosto 1944, in FO 371/43796.68 Cfr. “Un passo decisivo verso l’unificazione socialista in Italia”, in Partito socialista italiano, sezione di Londra, ciclostilato del 15 agosto 1944, inT U C /A , f. 945/920.69 Tel. di Charles al Resident Minister (Algeri) e Memorandum by Sir Noel Charles on Political Situation in Italy, rispettivamente 13 e 16 agosto 1944, in Prime Minister’s Office (PREM) 3/243/15.

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l’autorità degli Stati Uniti da “supplemen­tary” a “equal” rispetto a quella della Gran Bretagna nel teatro italiano. Con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali l’amministrazione americana, sensibile agli umori dell’elettorato italoamericano che nell’estate del 1944 faceva in vari modi pressione affinché mutasse l’atteggiamento nei confronti dell’Italia, mostrava di vede­re favorevolmente un allentamento delle clausole armistiziali e la conclusione di un trattato preliminare70. C’era però un com­pleto fraintendimento delle proposte inglesi e anche una preoccupante divergenza d’o­pinione sulle questioni fondamentali della politica da seguire nei confronti della na­zione italiana. Washington era propensa infatti a concedere all’Italia dei benefici man mano che se ne presentasse l’opportu­nità, nell’apparente speranza di creare un clima favorevole alla conclusione di un trattato di pace preliminare, che Londra aveva concepito invece come proposta mi­rante a consolidare le clausole punitive del trattato finale, mentre era ancora possibile concedere alcuni benefici per neutralizzare gli effetti della severità delle clausole stes­se. Mettendo a nudo le divergenze esistenti fra i due senior partners, questa “interessa­ta benevolenza” americana interferiva a danno della strategia britannica in Italia, che con difficoltà i diplomatici inglesi ave­vano individuato nel mese di luglio; inoltre rischiava di compromettere l’andamento complessivo delle operazioni belliche e d’i­potecare l’esito delle trattative future per la pace71.

Era dunque urgente riaffermare la preva­lenza dell’autorità britannica dando una svolta alla politica italiana che facesse nel contempo riacquistare fiducia al popolo ita­liano e rafforzasse il governo Bonomi. Ma non era facile individuare una politica che, pur essendo più benevola nei confronti del­l’Italia, fosse al tempo stesso conciliabile con la povertà dei mezzi a disposizione, ac­cettabile per l’opinione pubblica britannica e non urtasse la sensibilità degli alleati mi­nori e del Commonwealth. Ai diplomatici inglesi non restava altro che sottolineare con tutti i mezzi di propaganda disponibili che era iniziata una nuova fase dei rapporti fra l’Italia e gli alleati. In questa luce vanno viste le parole di compiacimento per il con­tributo dei contingenti italiani alla causa al­leata espresse da Churchill nel suo discorso al parlamento inglese del 2 agosto, che in­contrarono largo favore in Italia, e la sua visita nei territori liberati che, pur rispon­dendo ad esigenze militari, servì a mostrare che il periodo d’isolamento dell’Italia era superato e che la nazione italiana stava gra­dualmente rientrando nel corso degli affari europei. Anche la missione del Tue sarebbe servita a questo scopo72.

Programmata in modo che l’arrivo dei rap­presentanti dei lavoratori inglesi fosse im­mediatamente successivo alla permanenza in Italia del primo ministro britannico, la visita slittava di alcuni giorni perché, a causa del-

La visita nelle zone liberate

70 Tel. da Washington e minuta di Ross, rispettivamente 5 e 8 agosto 1944, in FO 371/43910. Sulla tendenza ameri­cana a voler assumere l’iniziativa in Italia e sugli umori dell’elettorato italoamericano nell’estate del 1944 cfr. Gu­glielmo Negri, Stati Uniti e Gran Bretagna: la politica italiana, Milano, Angeli, 1976, p. 35 e anche F. Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, cit., p. 59.71 Minuta di Ross, 8 agosto 1944, cit. e anche Finance o f Supplies to Italy, memorandum per il War Cabinet, 19 agosto 1944, in CAB 66/54.72 Per una esposizione della strategia britannica cfr. The Future o f Italy, Ford Memorandum del 12 agosto 1944, in FO 371/43899 ed anche B. Arcidiacono, La Gran Bretagna e il pericolo comunista, cit., p. 248 e D. Ellwood, L ’al­leato nemico, cit., p. 101.

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l’intensificarsi degli attacchi tedeschi, i dele­gati del Tue erano stati costretti a spostare la loro partenza da Londra al 23 agosto. Tuttavia, nonostante le varie tappe che il passaggio aereo in un teatro di guerra com­portava, essi avrebbero dovuto avere il tem­po di raggiungere i territori italiani liberati in coincidenza, se non prima, dei loro colle­ghi americani, la cui partecipazione alla mis­sione era stata nel frattempo confermata73. Ma inspiegabili lunghe soste tra una coinci­denza aerea e l’altra facevano prolungare ul­teriormente il loro viaggio, col risultato che per primi giungevano in Italia i delegati del­la Afl e del Ciò74. Questi mostravano subito di non essere intenzionati a rispettare la di­rettiva di non interferire negli affari italiani, confermando i timori che i diplomatici in­glesi nutrivano nei loro confronti. Con le di­chiarazioni rilasciate al loro arrivo, infatti, provocavano un acuirsi della tensione nelle relazioni anglo-americane che proprio in quel momento sarebbe stato meglio evitare. Non solo con toni diversi criticavano l’am­ministrazione alleata ed esprimevano giudizi sulla situazione italiana, ma addirittura ac­cusavano entrambi il governo inglese di vo­ler fare dell’Italia una colonia. Quest’ultima gaffe americana era “veramente intollerabi­le” per i funzionari del Foreign Office, i quali ritenevano che la responsabilità per gli “schiamazzi” di Antonini e Baldanzi andas­se imputata al Dipartimento di Stato ameri­cano75. A questo punto i diplomatici ameri­

cani non potevano che concordare con gli inglesi sulla necessità d’inquadrare i due sin­dacalisti italoamericani in una delegazione unica; la loro posizione era imbarazzante non tanto perché era stato messo in evidenza che non riuscivano a esercitare alcun con­trollo su se stessi, quanto perché era stato messo a nudo quello che era ormai lo scopo della politica degli Stati Uniti verso l’Italia, cioè opporsi con tutti i mezzi “all’esclusivi­smo inglese e all’interferenza sovietica”76. Così, quando i delegati inglesi e americani s’incontrarono presso la sede dell’ambascia­ta britannica per concordare i dettagli della visita con le autorità alleate competenti, venne deciso che sarebbero stati presentati agli italiani come una delegazione di lavora­tori delle Nazioni Unite, e per sottolinearne il carattere internazionale venne convenuto di porvi a capo Walter Schevenels, con il compito di esporre lo scopo della visita negli incontri con i sindacati e i lavoratori italia­ni77.

La missione aveva inizio a Roma, dove i delegati soggiornarono alcuni giorni prima d’intraprendere il viaggio nelle zone libera­te, e coincideva con la presenza in quella cit­tà del leader laburista Clement Attlee e del sottosegretario di Stato agli Esteri Hall. Mentre il primo esprimeva a livello politico l’incoraggiamento del movimento operaio inglese ai socialisti italiani e li metteva in guardia dall’intrattenere troppo stretti lega­mi con i comunisti, il secondo assicurava in

73 Tel. dell’Afl, 16 agosto 1944, in T UC/A, f. 945/920 e “Daily Express”, 17 agosto 1944.74 I delegati furono trattenuti dodici ore a Lisbona e tre giorni a Rabat. Quest’ultima sosta, all’apparenza causata da mancanza di coordinamento fra le autorità responsabili della città e quelle di Casablanca, secondo Schevenels poteva essere voluta (cfr. Report on T.U. Visit to Italy August-September, 1944, 9 ottobre 1944, in FO 371/43926, d’ora in poi Rapporto Schevenels).75 Minute di Dew, 30 agosto, e di M. Butler e M.S. Williams, 7 e 28 settembre 1944, in FO 371/43925. Sulle dichia­razioni dei due sindacalisti italoamericani cfr. tel. deil’Associed Press New York, 28 agosto 1944; inoltre tel. di Charles, 27 agosto, tutti in FO 371/43926.76 Cfr. E. di Nolfo, The United States and Italian Communism 1943-1946: World War II to Cold War, “Journal of Italian History”, 1978, n. 1, p. 87.77 Memorandum di Nosworthy allegato al tel. di Charles a Eden, 20 settembre 1944, in FO 371/43926; e anche Joint Statement o f the Five Trade Union Representatives on Conclusion o f Their visit to Italy, in Tue, Report of the Tue Delegation to Italy, August-September 1944, London, 1944, pp. 12-13.

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un colloquio con Togliatti che la delegazione non avrebbe cercato d’imporre le idee bri­tanniche al risorgente movimento sindacale italiano78. Ricevuti al loro arrivo da Di Vit­torio, Grandi e Lizzadri, i cinque delegati parteciparono ai lavori del comitato esecuti­vo nazionale provvisorio della Cgil. Pur astenendosi per il momento dal dare consi­glio o trarre conclusioni, senza aver prima avuto la possibilità di visitare i maggiori centri industriali dei territori liberati, i dele­gati non potevano fare a meno di manifesta­re le loro perplessità circa la possibilità di riorganizzare il movimento sindacale italia­no in modo da far divenire la confederazio­ne unitaria un’organizzazione veramente de­mocratica, libera da qualsiasi interferenza di partito e dello Stato. Anche se i dirigenti sindacali italiani affermavano che era già stato avviato il primo passo verso il rinnova­mento di tutti i quadri sindacali con la con­vocazione di assemblee generali degli iscritti alle organizzazioni locali di categoria, per l’elezione a voto segreto e diretto dei loro comitati esecutivi e dei loro rappresentanti nelle locali camere del lavoro, il metodo se­condo cui le candidature sarebbero state presentate e il sistema della rappresentanza proporzionale che avrebbe regolato l’elezio­ne li lasciavano molto perplessi79. Evidente­mente, non avendo avuto ancora modo di familiarizzare con la situazione italiana, ed essendo in un certo senso prevenuti nei con­fronti della Cgil, i delegati angloamericani non percepivano la sottile sensibilità diplo­matica con la quale i tre segretari confedera­li avevano individuato nella rappresentanza proporzionale il sistema elettorale atto a ga­rantire le minoranze e rinsaldare l’unità sin­dacale nella Confederazione. Poiché l’attua­le segreteria provvisoria aveva annunciato

durante la riunione dell’esecutivo confedera­le l’intenzione di convocare a breve scadenza un congresso nazionale a Napoli, Schevenels suggeriva di offrire alle organizzazioni peri­feriche una sorta di prova generale convo­cando a Roma, prima della partenza della delegazione internazionale dall’Italia, un convegno dei rappresentanti di tutte le orga­nizzazioni presenti nei territori liberati, no­minati in misura proporzionale alle forze or­ganizzate. Non essendo stato ancora libera­to il Nord, questo convegno non avrebbe potuto prendere alcuna decisione circa la forma definitiva e la dirigenza della Cgil, ma sarebbe servito a gettare le basi di un li­bero movimento sindacale e ad avviare i pre­parativi per il successivo congresso naziona­le. Tale proposta veniva accettata senza esi­tazione da parte dei sindacalisti italiani, con­sapevoli che date le difficoltà di comunica­zione non ci sarebbe stata occasione miglio­re per pubblicizzare una tale iniziativa che quella della visita della delegazione interna­zionale. Inoltre, programmando il convegno come momento conclusivo della visita stessa se ne assicurava la realizzazione pratica per­ché le autorità alleate avrebbero di sicuro fa­cilitato la partecipazione dei rappresentanti sindacali di tutte le province visitate dai de­legati80.

I delegati lasciavano Roma in macchina, accompagnati dal maggiore Edward Sciclu- na della Labour Sub-Commission dell’Acc, come interprete ufficiale, e dall’addetto commerciale britannico Nosworthy, a cui gli americani affiancavano a Napoli Di Venuti, un giovane funzionario diplomatico d’origi­ne italiana81. La visita nei territori liberati durava quasi due settimane, durante le quali la delegazione attraversava per esteso un paese ancora sconvolto dalla guerra, parte­

78 Tel. di Charles a Eden, 20 settembre 1944, cit.79 Memorandum di Nosworthy, cit. e anche Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.80 Memorandum di Nosworthy e Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.81 Tel. di Charles a Eden, 20 settembre 1944, cit.

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cipando a numerosi incontri, convegni e ma­nifestazioni organizzati dalle autorità alleate nei maggiori centri industriali. Avuto modo d’incontrarsi personalmente con funzionari dell’amministrazione alleata, degli uffici del lavoro e delle prefetture, e con rappresen­tanti delle varie organizzazioni dei lavorato­ri e dei datori di lavoro che operavano nelle varie zone visitate, i delegati poterono farsi un’idea abbastanza chiara di come le cose andassero veramente nel campo del lavoro in Italia. In particolare a Napoli, Foggia, Bari, Taranto, Palermo, Catania, la loro presenza aveva offerto l’occasione, per la prima volta, per un confronto a tappeto fra le varie componenti interessate alla rinascita del movimento sindacale e delle relazioni in­dustriali su basi democratiche. Dappertutto emergevano due correnti sindacali in conflit­to fra loro: la socialcomunista e la democri­stiana. La prima più forte nelle città, la se­conda nelle aree rurali. Anche se non era possibile avere dei dati reali sulla consisten­za di esse, era indiscusso che la componente comunista nel movimento fosse predomi­nante e che i “bianchi” fossero sulla difensi­va. La Cgil unitaria, comunque, era decisa­mente l’unica organizzazione sindacale che potesse effettivamente definirsi tale, essendo evidente la debolezza di alcuni elementi mo­derati rimasti estranei ad essa82. Venivano alla luce anche le difficoltà che intralciavano al momento la rinascita dei sindacati in Ita­lia: l’estrema povertà della gente, l’acuta cri­si di disoccupazione, la mancanza di mezzi di trasporto e di comunicazione, la cancella­

zione per oltre un ventennio della libertà di pensiero, l’alto grado di analfabetismo fra i lavoratori, le radicali contrapposizioni poli­tiche, l’atmosfera di sfiducia e disattenzione nei confronti della legge, o verso qualsiasi procedura legale. Tutto ciò formava un in­sieme di fattori negativi a cui andavano ag­giunte le difficoltà derivanti dal teatro di guerra83. Nonostante le condizioni generali fossero così poco propizie, era sorprendente l’entusiasmo mostrato dai lavoratori nel for­mare sindacati ed esercitare la loro appena acquistata libertà. Seppure avessero ancora molto da apprendere, la loro determinazio­ne a raggiungere l’unità sindacale, manife­stata sia dai leader che dalle masse lavoratri­ci, non lasciava alcun dubbio e faceva ben sperare per il futuro del sindacalismo italia­no84. Ancor più notevole era il fatto che in quelle zone, fra le meno sviluppate dal pun­to di vista industriale e sociale d’Italia, e le più arretrate rispetto ad altre nazioni del­l’Europa occidentale e centrale, i sindacati fossero riusciti a riunire un così gran nume­ro d’iscritti sia nelle aree urbane che in quel­le rurali85.

Procedendo verso il Sud, però, il movi­mento risentiva maggiormente della predo­minante influenza comunista, per cui l’at­mosfera delle manifestazioni organizzate in occasione della visita della delegazione dive­niva spesso più animata e metteva un po’ a disagio gli ospiti stranieri che una volta, a Taranto, decisero addirittura di abbandona­re in segno di protesta il palco da dove poco prima si erano rivolti alla folla presente86. In

82 Per Schevenels questi erano l’Unione ferrovieri italiani aderente all’Itf e l’azionista Dino Gentili. Cfr. Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.83 Memorandum di Nosworthy, cit.84 Lawther dichiarò che mai prima d’allora aveva avuto l’incredibile esperienza di dover prendere la parola in riu­nioni cui partecipavano elementi socialisti, liberali, comunisti e cattolici, a volte anche presiedute da sacerdoti. Cfr. Italian Visit by Will Lawrher, in TUC/A, f. 945/920, e l’articolo di Jan Mackay, Freed Italy is in Chaos Says Mi­ners’ Leader, “News Chronicle”, 27 settembre 1944.85 Cfr. Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.86 Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit. Durante una manifestazione di massa ai cantieri navali di Taranto, do­ve erano convenuti circa 10.000 lavoratori per ascoltare i delegati internazionali, un comunista presente sul palco

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particolare in Puglia la componente cattolica denunciava i tentativi di alcuni sindacalisti comunisti d’imporre con la violenza il loro monopolio sul rinascente movimento sinda­cale, mentre in Sicilia gli alleati venivano ac­cusati di non permettere la sindacalizzazione dei civili da loro occupati negli arsenali e nelle direzioni di artiglieria, e inoltre di avere im­posto gli uffici del lavoro, sottraendo ai sin­dacati la funzione del collocamento della ma­nodopera87. Inserendosi, come abbiamo det­to, nella strategia britannica mirante a sotto- lineare che si era entrati in una nuova fase dei rapporti fra l’Italia e gli alleati, la presenza della delegazione nei maggiori centri urbani delle zone liberate trovava in questa luce mol­ta eco sulla stampa locale, che salutava nei vi­sitatori i rappresentanti dei lavoratori delle Nazioni Unite88. Ma durante il 1944 gli alleati più che uniti erano apparsi disuniti e agli ita­liani non sfuggì l’assenza dei sovietici nella delegazione. Anzi sulla stampa comunista venne apertamente auspicato che “questa pri­ma presa di contatto coi rappresentanti inter­nazionali dei lavoratori [...] sia seguita da un’altra più numerosa riunione alla quale possano prendere parte anche i delegati dei lavoratori dell’Unione Sovietica”89. Da parte comunista fu notato pure che nelle dichiara­zioni rilasciate in pubblico nessuno dei dele­gati sindacali internazionali aveva mai fatto riferimento al contributo determinante del­

l’alleato sovietico allo sforzo bellico contro la Germania nazista90.

Il fatto che in ogni centro visitato gli ese­cutivi dei locali organismi sindacali vennero sollecitati a inviare rappresentanti al conve­gno che avrebbe avuto luogo a Roma al rientro della delegazione fece sì che questo fosse il primo congresso sindacale veramen­te nazionale tenutosi in Italia dopo il venten­nio fascista alla presenza di rappresentanti del movimento sindacale internazionale. Chiamato su proposta di Achille Grandi a presiedere i lavori dei 110 delegati intervenu­ti, Schevenels fece uso di tutta la sua arte di­plomatica per assicurare il successo della manifestazione e fare in modo che da quel- l’assise uscissero affermate le condizioni in­dispensabili per garantire il carattere demo­cratico e indipendente della Cgil. Nonostan­te il suo invito a concentrare gli interventi su quello che era il problema fondamentale del momento, cioè individuare i principi che avrebbero dovuto guidare la rifondazione della Cgil e permettere una reale attuazione dell’unità sindacale, i rappresentanti delle varie province mostrarono la tendenza ad al­largare la discussione, facendovi rientrare anche tematiche controverse quali la gestio­ne del collocamento e la questione della ca­pacità giuridica del sindacato, la cui rilevan­za politica non venne però compresa dagli ospiti stranieri91.

aveva preso il microfono e protestato contro il fatto che nessuno degli oratori stranieri avesse detto una sola parola di omaggio per l’esercito e il popolo sovietico.87 Memorandum di Nosworthy, cit.88 “Tutto ciò segna la fine dell’isolamento italiano”, scriveva il 30 settembre 1944 “Italia Libera”, “il nostro paese torna a inserirsi lentamente nella corrente della storia europea e mondiale, dalla quale lo avevano distolto le avven­ture imperialistiche del regime totalitario”.89 Cfr. “La voce comunista” del 16 settembre 1944, che riporta la cronaca dell’incontro tenutosi a Palermo I’l l settembre nei locali dell’Ufficio regionale del lavoro, tra i rappresentanti sindacali delle province di Palermo, Tra­pani, Agrigento e la delegazione sindacale internazionale.90 A proposito cfr. nota 86.91 Cfr. gli atti del convegno di Roma del 15 e 16 settembre 1944 in I Congressi della Cgil, vol. I, Roma, Ediesse, 1977. La questione della capacità giuridica del sindacato stava particolarmente a cuore agli esponenti della corrente cattolica, fra i quali prevaleva una visione neo-corporativa del sindacato, mentre veniva cautamente elusa dai sin­dacalisti socialcomunisti contrari a qualsiasi limitazione della libertà sindacale. Cfr. Raimondo Craveri, Sindacato e istituzioni nel dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 1977.

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Determinati a salvaguardare l’unità sinda­cale ad ogni costo e a fare approvare le di­rettive necessarie per rafforzare il movimen­to, i segretari nazionali della Cgil fecero di tutto per mostrare come con la buona vo­lontà fosse possibile raggiungere un’accor­do. Intervenendo nella seconda giornata del convegno, a seguito di un increscioso inci­dente provocato da Gentili92, Grandi invita­va i convenuti, e particolarmente i suoi com­pagni di corrente, ad essere tolleranti e a te­ner presente che la democrazia era “uno svi­luppo continuo di conquiste graduali” da “raggiungere sul terreno della libertà”. No­nostante fosse stato presentato un ordine del giorno in contrapposizione alla mozione conclusiva della segreteria provvisoria na­zionale, quest’ultima veniva approvata al­l’unanimità e il convegno veniva chiuso da­gli interventi dei delegati sindacali interna­zionali e di un funzionario del ministero del Lavoro, il quale sottolineava l’importanza di quel primo incontro tra i lavoratori italia­ni e i rappresentanti dei lavoratori delle Na­zioni Unite: soltanto attraverso la reciproca conoscenza ed il reciproco contatto avrebbe potuto formarsi “quella grande unità spiri­tuale di tutto il mondo che è il solo fonda­mento per la pace [...] Non saranno più di­plomatici che seduti intorno al tavolo tondo della pace stabiliranno i trattati importanti, ma dovranno essere anche i rappresentanti del lavoro: questa sarà la vera forza che s’imporrà, perché il lavoro farà sentire la necessità di una pace giusta”93.

Nelle loro parole di commiato i delegati inglesi avevano infatti espresso l’adesione morale ai problemi del movimento sindacale italiano e assicurato che se questo fosse sor­to basandosi sui principi del sindacalismo

democratico, i lavoratori italiani avrebbero potuto contare sull’aiuto e sulla collabora­zione dei sindacati liberi del mondo. Più verbosi nei loro interventi in lingua italiana, i delegati delle organizzazioni sindacali ame­ricane avevano insistito sull’importanza di tradurre in pratica la mozione approvata dal convegno, perché così facendo gli “italiani daranno una lezione [...] in America” di cui, secondo Antonini, avrebbero potuto “essere orgogliosi” . Anche se lo scopo della loro vi­sita era quello di valutare che cosa il movi­mento operaio mondiale avrebbe potuto fa­re per aiutare il movimento operaio della Italia libera, Baldanzi realisticamente invita­va gli italiani a mettersi al lavoro e a non aspettare che arrivasse “la manna dal cielo” . A conclusione dei lavori del convegno la se­greteria della Cgil inviava a nome dei lavo­ratori italiani un messaggio ai lavoratori d’America e d’Inghilterra per ringraziarli della solidarietà mostrata inviando i loro de­legati in Italia e invitarli ad appoggiare pres­so i loro governi la richiesta dell’Italia di es­sere considerata come un alleato e di essere ammessa al beneficio della legge affitti e prestiti. Nello stesso messaggio veniva affer­mata pure la funzione di avanguardia svolta dalla classe operaia italiana nella lotta con­tro il nazifascismo e rivendicato il diritto per la gioventù italiana di poter partecipare in più larga misura alla guerra di liberazione94.

Conclusioni

Nonostante fossero emerse nel convegno di Roma tutte le tensioni presenti nel risorgente movimento sindacale italiano, la risoluzione finale adottata all’unanimità esprimeva, se-

92 Pur non essendo rappresentante di nessuna delle organizzazioni che avevano aderito all’iniziativa, Gentili aveva chiesto di poter intervenire nel dibattito, ottenendone un rifiuto. Cfr. I Congressi della Cgil, vol. I, cit., pp. 40-43.93 Congressi della Cgil, vol. I, cit., p. 55, per l’intervento di Sansonetti.94 Congressi della Cgil, vol. I, cit., pp. 52-57 per gli interventi dei delegati sindacali angloamericani e il messaggio della Cgil ai lavoratori d’America e d ’Inghilterra.

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condo i diplomatici inglesi, con evidenza eloquente il successo della delegazione. Pur avendo fallito nel suo scopo “di ammonire gli italiani affinché non permettessero ai co­munisti di guidare i loro sindacati”, la mis­sione diplomatica del Tue nel suo insieme aveva soddisfatto quasi tutte le aspettative dei funzionari del Foreign Office95. Con la loro presenza, infatti, i delegati avevano svolto un importante ruolo di propaganda. Assicurando la solidarietà del movimento sindacale internazionale essi erano riusciti a rinsaldare la speranza negli italiani che le lo­ro esigenze avrebbero finalmente trovato ascolto. Anche se in un primo momento si era temuto che Schevenels, essendo cittadi­no belga, non avrebbe potuto prospettare il “modello inglese” in maniera soddisfacente, la sua inclusione nella delegazione si era ri­velata sotto molti punti di vista una scelta eccellente. Grazie alle sue capacità diploma­tiche, il dirigente dell’Iftu era riuscito a con­tenere momenti di tensione negli incontri con i lavoratori italiani e, soprattutto, a neutralizzare Antonini e Baldanzi96. Dopo l’exploit fatto al loro arrivo, i due sindacali­sti italoamericani avevano evitato di fare dichiarazioni che potessero in qualche modo toccare la suscettibilità degli inglesi, ma era­no stati indiscreti nel fare in pubblico pro­messe di sostegno alle richieste di aumento dei salari avanzate dai lavoratori italiani, e nel prospettare che dall’America i rinascenti sindacati italiani avrebbero potuto ricevere non solo sostegni morali, ma anche aiuti fi­

nanziari97. I delegati inglesi, pur parlando molto francamente a proposito della parte di responsabilità della nazione italiana per il suo stato attuale, avevano colpito molto gli italiani per la loro evidente sincerità e assen­za di pregiudizi politici e, naturalmente, per l’ovvia solidarietà che esprimevano nei con­fronti delle classi lavoratrici per le deplore­voli condizioni in cui erano costrette a vive­re98.

Le osservazioni raccolte durante la visita permisero inoltre al Foreign Office di avere un quadro più obiettivo della situazione ita­liana. Non solo evidenziarono nel campo sindacale l’importanza strategica della Cgil unitaria, ma confermarono la necessità di una più aperta politica di sostegno al gover­no Bonomi. In base ai colloqui avuti dai de­legati con varie personalità politiche e mili­tari, appariva diffusa la opinione che la si­tuazione economica avrebbe potuto essere sostanzialmente migliorata se gli italiani fos­sero usciti dallo stato di apatia in cui si tro­vavano e, senza aspettare che giungessero aiuti dall’esterno, si fossero impegnati un po’ di più nella ripresa della produzione ali­mentare e di quei settori industriali e artigia­ni che potevano essere subito rimessi in fun­zione. Secondo Schevenels, però, andava ri­conosciuto che la situazione era tale da non offrire al lavoratore italiano medio alcun se­gnale d’incoraggiamento o di prospettiva, in grado di convincerlo che qualsiasi sforzo egli avesse voluto fare avrebbe avuto un qualche effetto positivo al fine di migliorare

95 Tel. di Charles a Eden, 20 settembre 1944, cit.; minute di Ross e di Hall, 13 e 16 ottobre 1944, tutti in FO 371/ 43926.96 Nota di Hall, 19 giugno 1944, in FO 371/43924, e anche Memorandum di Nosworthy, cit. Prendendo visione dei rapporti pervenuti dall’Italia, in cui si metteva in evidenza l’atteggiamento poco diplomatico dei sindacalisti italoa­mericani, Ross commentava: “Meno male che Schevenels era incluso nella delegazione, anche se non è inglese” (cfr. Minuta di Ross, 11 ottobre 1944, in FO 371/43926).97 I Congressi della Cgil, vol. 1, cit., pp. 52-56.98 I Congressi della Cgil, vol. 1, pp. 52-56. Le osservazioni fatte da Schevenels a proposito dell’Abissinia, però, non furono ben ricevute da una parte dell’uditorio e ciò venne fatto notare da Braine, inviato come labour attaché in Italia, nel suo primo rapporto al Foreign Office (cfr. Labour Questions in Italy, 20 ottobre 1944, in FO 371/ 43926).

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la sua condizione. Al primo posto c’era lo status politico dell’Italia come nazione ex nemica e cobelligerante. Se da una parte la nazione italiana non poteva sottrarsi alle sue responsabilità per aver preso parte alla guer­ra contro le nazioni alleate, dall’altra anda­va riconosciuto che una parte considerevole del suo popolo aveva lottato contro il fasci­smo e la guerra in varie occasioni, e in varie forme. Qualunque fosse stato il grado di colpevolezza dell’Italia, non poteva non darsi al popolo italiano la possibilità di rico­struire la propria economia e di decidere li­beramente del proprio futuro regime politi­co. Andava tenuto pure presente che un’Ita­lia distrutta politicamente ed economica­mente avrebbe potuto compromettere lo sforzo bellico alleato e, nel futuro, condizio­nare la pacificazione e la ricostruzione del­l’Europa. Le necessità più urgenti in Italia erano cibo, carbone, materiale edilizio e, so­prattutto, due o tre mila autocarri, non solo per evitare che la vita sociale precipitasse nell’anarchia più completa, ma anche “per dare all’attuale governo italiano, o a qual­siasi altro governo, la possibilità di mante­nere la legge e l’ordine e normalizzare la si­tuazione politica” . Il sostegno quindi non poteva più manifestarsi solamente in termini di propaganda. Doveva essere un aiuto atti­vo di natura pratica, che permettesse al go­verno italiano di far realmente fronte ad al­cuni dei problemi più urgenti che lo pressa­vano, perché era la sua straordinaria debo­lezza finanziaria ed economica che impediva di programmare e mettere in atto qualsiasi politica sociale ed economica atta a rimette­re in piedi il paese".

Sebbene non avesse potuto soffermarsi su queste questioni, il convegno di Roma aveva fatto proprio il memorandum che la segrete­ria provvisoria della Cgil aveva presentato al governo Bonomi e all’Acc all’inizio di ago­sto, inserendolo nella mozione conclusiva. Oltre a denunciare le insostenibili condizioni dei lavoratori e delle loro famiglie, il movi­mento sindacale italiano richiedeva in esso misure d’emergenza per far fronte alla crisi, fra cui l’introduzione di un’indennità di ca­rovita e una serie di provvedimenti atti a prevenire ulteriori aumenti dei prezzi e la svalutazione della moneta. Mostrandosi propenso ad acconsentire all’introduzione dell’indennità di carovita, anche a costo di un’incrinatura dei rapporti con la Commis­sione alleata di controllo, il governo italiano riconosceva nella Cgil un interlocutore nuo­vo, del quale anche il Foreign Office avreb­be d’ora in avanti tenuto conto99 100. Ai diplo­matici inglesi, quindi, risultarono utilissime le osservazioni di Schevenels, il quale consi­gliava di prestare la massima attenzione al­l’evoluzione futura della confederazione unitaria, cercando di “evitare anche solo la parvenza della supremazia politica di una sola corrente sull’altra”, non solo perché per il movimento italiano “la più grande necessi­tà è l’unità e una direzione ferma e libera da qualsivoglia interferenza politica”, ma an­che perché di fronte alla gravità delle condi­zioni economiche dell’Italia l’unità sindaca­le, smussando gli argomenti di possibile con­troversia fra sinistra e cattolici, faceva spe­rare in un processo di riorganizzazione del tessuto sociale, premessa indispensabile per l’elaborazione di appropriate strategie rico-

99 Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit. Del resto ciò era già stato recepito dagli alleati che con la famosa di­chiarazione di Hyde Park avrebbero da lì a poco varato un piano d’intervento per l’Italia.100 Del memorandum della Cgil si era data notizia già l’l 1 agosto su “The Times” e il Tue erastato invitato dall’Of­fice o f War Information americano a intervenire in un servizio radiofonico che stavano organizzando sulle condi­zioni in Italia e le richieste della Cgil. Da parte del Tue però l’invito non venne accettato per non compromettere in alcun modo l’esito della missione che stavano per effettuare in quel paese e anche perché, come convenne Citrine con Bell, non si conosceva bene la Cgil né quale era la vera situazione nei territori liberati. Cfr. Interdepartment Correspondence, 16 agosto 1944, inT U C /A , f. 945/920.

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struttive101. Del resto durante la visita era ap­parsa evidente la debolezza degli elementi più moderati all’interno del movimento sin­dacale italiano, sui quali in un primo mo­mento i diplomatici inglesi avevano pensato di poter contare per controbattere l’influen­za comunista sui lavoratori; ed era stato compreso pure il motivo per cui da parte loro si fosse tanto insistito nei colloqui con i dele­gati sindacali internazionali affinché nel rin­novo dei quadri dirigenti della Cgil venisse rispettato il principio della rappresentanza proporzionale delle minoranze. Nei loro pae­si infatti la questione dell’unità sindacale si poneva in termini del tutto diversi. Anche se il General Council si apprestava a proporre nel prossimo congresso annuale di avviare un processo di amalgamazione, federazione e attività congiunta alle diverse centinaia di piccoli sindacati non aderenti al Tue, la com­ponente comunista presente come elemento minoritario nel movimento operaio inglese avrebbe continuato a essere esclusa dal par­tecipare agli organi dirigenziali, essendo ri­masta in vigore la “black circular” del 1934102. Nel caso italiano invece era necessa­rio che alle minoranze venisse data una voce, prevedendone la presenza di diritto negli or­gani dirigenziali, sia nazionali che locali.

A livello internazionale, la visita della dele­gazione in Italia fu “il primo contatto diretto fra i lavoratori delle grandi nazioni democra­tiche e una Europa che era stata prima sotto il fascismo e poi occupata dalle orde naziste di Hitler”103. Essa servì, quindi, come preceden­te per collaudare la politica di penetrazione indiretta che il governo inglese s’apprestava a seguire nei territori liberati104. Nell’autunno del 1944 il congresso annuale del Tue appro­vava fra le altre una risoluzione che impegna­va il movimento sindacale inglese a compiere ogni sforzo per inviare esponenti della base a visitare come delegati tutte le nazioni vicine, non appena fossero cessate le operazioni bel­liche. Per una migliore e desiderata compren­sione fra i popoli delle nazioni sconvolte dalla guerra era importante che uomini e donne co­muni s’incontrassero, per cui il Consiglio ge­nerale del Tue era pronto ad assistere ogni or­ganizzazione affiliata che desiderasse inviare delegati per incontrare consimili organizza­zioni sindacali in altre nazioni. Dopo questa prima delegazione, quindi, ne seguirono nu­merose altre in Francia, in Belgio, Grecia, Germania, Austria, Cecoslovacchia e Roma­nia, per citarne solo alcune105.

Maria Teresa Di Paola

101 Cfr. Rapporto Schevenels, 9 ottobre 1944, cit.102 Cfr. H. Pelling, Storia del sindacato inglese, cit.103 Cfr. Messaggio radiofonico di Di Vittorio per il programma La Voce di Londra, 19 settembre 1944, traduzione inglese in FO 371/43920.104 Cfr. H. Lademacher, Possibilità e limiti, cit., p. 52, in cui si afferma che da parte inglese non vi fu nessun inter­vento diretto nel campo sindacale perché il “governo britannico si servi del metodo della persuasione collettiva, in­viando una delegazione del Tue nelle sue zone d’occupazione”. Va però ricordato che in Egitto fino al 1944 la Pu­blicity Section dell’ambasciata inglese al Cairo finanziava direttamente alcuni dirigenti sindacali per far sviluppare il movimento sindacale in Medio Oriente secondo il modello inglese (cfr. Commento di R. Peers, 15 aprile 1944, in FO 371/41379).105 Cfr. la risoluzione in Tue, Annual Report, 1944.

Maria Teresa Di Paola è ricercatrice confermata all’Università di Messina presso l’Istituto di Storia della Fa­coltà di Scienze Politiche. Autrice di Gli Alleati e la Sicilia: Guida ai documenti del Public Record Office (1979), e di vari contributi per una storia del movimento sindacale operaio e contadino in Sicilia, ha di recen­te spostato i suoi interessi verso il coinvolgimento dei sindacati inglesi nella politica estera della Gran Breta­gna. È stata membro del comitato di ricerca dell’Istituto siciliano per la storia dell’Italia contemporanea.