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Giornale italiano di tricologia - anno 18 n° 33 - Novembre 2014 Introduzione - pag. 5 Un po’ di storia della microscopia - pag. 6 Storia della luce polarizzata - pag. 9 Il microscopio - pag. 12 Principi di fisica della luce - pag. 16 Il concetto di birifrangenza - pag. 18 Il valore della birifrangenza - pag. 19 La microscopia in luce polarizzata - pag. 21 Il microscopio polarizzatore - pag. 22 Il capello come struttura - pag. 24 Tricoanalisi microscopica in luce polarizzata - pag. 28 Tricogramma in luce polarizzata - pag. 31 L’osservazione delle guaine - pag. 38 L’osservazione dello stelo - pag. 42 L’esame di vitalità e il test del ciclo - pag. 45 Le “Incidenze” - pag. 52 Le proteine da stress - pag. 62 L’istologia - pag. 65 SOMMARIO EDIZIONI TricoItalia (Firenze) Direttore scientifico: Andrea Marliani Giornale Italiano di Tricologia NUMERO SPECIALE MONOGRAFICO anno 18 - n° 33 - Novembre 2014 Proprietà letteraria ed artistica riservata. © “INTRODUZIONE ALLA MICROSCOPIA TRICOLOGICA IN LUCE POLARIZZATA” Marino Salin † Paolo Gigli - Gianluigi Antognini Simona Turtù - Fiorella Bini - Gaetano Agostinacchio e Andrea Marliani

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Introduzione - pag. 5Un po’ di storia della microscopia - pag. 6Storia della luce polarizzata - pag. 9Il microscopio - pag. 12Principi di fisica della luce - pag. 16Il concetto di birifrangenza - pag. 18Il valore della birifrangenza - pag. 19La microscopia in luce polarizzata - pag. 21Il microscopio polarizzatore - pag. 22Il capello come struttura - pag. 24Tricoanalisi microscopica in luce polarizzata - pag. 28Tricogramma in luce polarizzata - pag. 31L’osservazione delle guaine - pag. 38L’osservazione dello stelo - pag. 42L’esame di vitalità e il test del ciclo - pag. 45Le “Incidenze” - pag. 52Le proteine da stress - pag. 62L’istologia - pag. 65

SOMMARIO

EDIZIONI TricoItalia (Firenze)Direttore scientifico: Andrea Marliani

Giornale Italiano di TricologiaNUMERO SPECIALE MONOGRAFICO

anno 18 - n° 33 - Novembre 2014

Proprietà letteraria ed artistica riservata.©

“INTRODUZIONE ALLAMICROSCOPIA TRICOLOGICA

IN LUCE POLARIZZATA”

Marino Salin †Paolo Gigli - Gianluigi Antognini

Simona Turtù - Fiorella Bini - Gaetano Agostinacchio

e Andrea Marliani

EDIZIONI TricoItalia(Firenze)

Giornale Italiano di Tricologiaanno 18 - n° 33 - Novembre 2014

Direttore Responsabile: Guido Vido TrotterDirettore Scientifico: Andrea Marliani

Tutti i diritti riservati©

Collaboratori:

Paolo GigliAlessia PiniTorello LottiFiorella BiniCarlo GrassiAldo MajaniAlfredo Rossi Fabio RinaldiPiero TesauroSimona TurtùAlfredo ReboraDaniele CampoAndrea CardiniFabrizio FantiniCaterina FabroniRoberto d’OvidioFranco ButtafarroVincenzo GambinoAlessandro MinucciGianluigi AntogniniEkaterina Bilchugova

SOMMARIO:

Introduzione - pag. 5Un po’ di storia della microscopia - pag. 6Storia della luce polarizzata - pag. 9Il microscopio - pag. 12Principi di fisica della luce - pag. 16Il concetto di birifrangenza - pag. 18Il valore della birifrangenza - pag. 19La microscopia in luce polarizzata - pag. 21Il microscopio polarizzatore - pag. 22Il capello come struttura - pag. 24Tricoanalisi microscopica in luce polarizzata - pag. 28Tricogramma in luce polarizzata - pag. 31L’osservazione delle guaine - pag. 38L’osservazione dello stelo - pag. 42L’esame di vitalità ed il test del ciclo - pag. 45Le “Incidenze” - pag. 52Le proteine da stress - pag. 62L’istologia - pag. 65

Dedicato alla memoria di Marino Salin

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Novembre 2014 - N° 32 - Giornale Italiano di Tricologia

Introduzione

L’analisi microscopica del capello a luce pola-rizzata è in grado di fornire preziose informa-zioni sulla struttura, sulle alterazioni e sulciclo vitale del capello, contribuendo alla dia-gnosi di numerose condizioni patologichecongenite e acquisite.Questa tecnica si avvale di un microscopioche utilizza una fonte di luce polarizzata, cioècaratterizzata da onde luminose aventi lo stes-so piano di vibrazione. La luce polarizzataattraversando un mezzo, quale le cheratinestrutturali del capello, capace di indurre unadeviazione del suo piano di vibrazione (rota-zione ottica della luce), restituisce immaginidi colori diversi e causati dal ritardo dell’ondaluminosa.Questo compendio nasce dalla necessità di farconoscere meglio una tecnica di studio trico-logico semplice, agevole ed al contempo eco-nomica ma di grande utilità per la pratica cli-nica quotidiana. Nasce dalla volontà di nonperdere completamente quanto ci insegnavaMarino Salin e cerca di radunare le sue ideeanche se talvolta poco chiare, non perfetta-mente concluse e frutto più della pratica diuna vita che di un approccio scientifico tradi-zionale.

- La microscopica tricologica per il Medico.

Le anomalie dei capelli e del cuoio capellutosono di comune osservazione in dermatolo-gia, tuttavia la loro diagnosi appare spessocome un evento misterioso, se non casuale,per molti medici. Questo avviene poiché leconoscenze elementari, necessarie all’esameobiettivo dei capelli e del cuoio capelluto,sono raramente descritte nei libri e quasi maiinsegnate durante i corsi di studio.

Fino ad oggi l’unico modo di apprendere“l’arte” della diagnosi delle anomalie delcuoio capelluto e dei capelli è stato solo l’espe-rienza personale o lo stretto rapporto con ipochi cultori della materia.Questo volumetto vuol essere un tentativo,pratico e conciso, di illustrare, passo dopopasso, la metodiche necessarie per riconosce-re le malattie dei capelli e risalire alle lorocause. Nasce dalla necessità di offrire nozionidi tricologia di base che siano, anche, utilinella pratica clinica quotidiana. Si tratta diuna sintesi degli aspetti fondamentali dellatecnica della microscopia in luce polarizzataapplicata alla tricologia.La microscopia in luce polarizzata permettedi valutare la qualità e la struttura di uncapello, in un modo che, oggi, definiremmo“interattivo” e mirato alle scelte terapeutiche.La microscopia in luce polarizzata è unmezzo “visivo” con cui il medico che si occu-pa di tricologia può, di fronte ad una alope-cia, avere informazioni diagnostiche che,altrimenti, può solo ipotizzare. Potrà, quindi,in molti casi, dare al paziente terapie miratesulla base dei valutazioni oggettive.

- La microscopia tricologica per il parrucchie-re / acconciatore.

La microscopia polarizzata in un Salone diParrucchiere è il miglioramento dei serviziche questo può offrire. Questo mezzo permet-te all’acconciatore professionale una continui-tà di lavoro, di creatività e qualità indispensa-bile alla vita ed alla vitalità del suo salone:può dare “sicurezza” evitando dannose abitu-dini ed eliminando incertezze (e paure) in uncampo dove la chimica, non guidata, da risul-tati incerti e spesso deludenti. Nel Salonedell’Acconciatore come nell’Ambulatorio del

Medico il microscopio a luce polarizzata, perla sua tecnica apparentemente elementare, èun mezzo emotivamente coinvolgente ma cherichiede impegno e studio per poter renderequanto le sue potenzialità possono dare. Latecnica è comunque tanto coinvolgente che ilpersonale del Salone è portato ad usarla ed,anche inconsapevolmente, può facilmentearrivare ad apprenderla ed a farne la base peril suo lavoro.Attraverso immagini, che permettono la valu-tazione degli effetti chimici e fisici dentro efuori il capello, con la pratica, si può arrivarea previsioni sugli effetti dei prodotti cosmeticiche, diversamente, sarebbero solo supposte,desiderate o temute. Occorre sottolineare chela microscopia in luce polarizzata è indubbia-mente affascinante e trascinante ma, per fina-lizzarne i servizi e per ottene la costanza diqualità che il Cliente richiede, occorre l’impe-gno e la partecipazione attiva di tutto il perso-nale del Salone. Per decidere un serviziooccorre procedere alla osservazione attentadei colori di polarizzazione che indicano lostato della cheratina del capello.I dati visibili al microscopio permetterannopoi anche di misurare l’evoluzione in qualitàdei servizi che non mancherà di riflettersisulla produttività.

Un po’ di storia della microscopia

(Chi ha fretta, può anche saltare questi primiparagrafi e iniziare direttamente da pagina 22ma sarà comunque necessario leggerli succes-sivamente per avere la comprensione pienadella materia).

Storia della microscopia

- Austen Henry Layard nel 1850 durante gliscavi a Ninive, scoprì una lente piano-conves-

sa in cristallo di rocca. Ciò dimostrò che nel-l’antichità, nelle regioni della Mesopotamia,si conosceva già l’uso della lente.- I Romani, usavano globi di vetro riempito diacqua come lente di ingrandimento.- Sia i Vichinghi che gli Arabi, fino aLeonardo Da Vinci, scrivono di lenti diingrandimento.- Nel 1590 Hans Janssen, ottico diMiddelbourg (Olanda), e suo figlio Zachariasinventano il “cannocchiale olandese” chearrivava ad un ingrandimento di 60 x, combi-nando due lenti semplici.- Nel 1592 con l’aiuto di questo strumento, ilpittore Joris Hoefnagel di Francoforte sulMeno, e suo figlio Jacob, disegnano le primeimmagini di piccoli insetti.- Nel 1610 Galileo Galilei inventa “l’occhiale”,strumento derivato dal cannocchiale.- Nel 1614 il greco Desmesianos, membrodell’Accademia dei Lincei, dà a questo nuovostrumento da ingrandimento il nome di“Microscopium”, nome che viene diffusosoprattutto per merito del fisico tedescoJohann Faber.- Nel 1624 Galileo Galilei mostra che comple-tando l’occhiale con un oculare divergente, èpossibile l’esame di piccoli oggetti per traspa-renza. Tale strumento viene definito“Perspicillum” o “Occhialino”.- Nel 1637 Cartesio descrive un microscopiosemplice che definisce “Perspicillum pulica-rium ex unico vitro”.- Nel 1658 Jan Swammerdam, olandese, sco-pre con l’aiuto del microscopio inventato daGalileo, i globuli rossi nel sangue della rana.- Nello stesso periodo Athanasius Kircher,discepolo di Van Leeuwenhoek, studia diversioggetti microscopici e afferma di avere osser-vato, nel sangue di persone malate, “vermicu-li”, che considera gli agenti patogeni dellemalattie.- Nel 1661 Marcello Malpighi, il fondatore del-

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l’anatomia microscopica, osserva i capillarimesenterici della rana. Negli anni successivicompirà importanti osservazioni su milza,rene, pelle, in cui scoprirà strutture che tutto-ra portano il suo nome.- Nel 1665 Robert Hooke, fisico inglese, dise-gna un microscopio composto, provvisto diuna messa a fuoco grossolana e una di preci-sione. Con tale strumento osserva piccolecavità in lamine di sughero alle quali dà nomedi “cellule”.- Nel 1670 Christiaan Huygens perfeziona ilmicroscopio adattandovi un oculare che avevarealizzato per l’uso in astronomia.- Nel 1675 Antony Van Leeuwenhoek, diDelft, per mezzo dei suoi spettacolosi micro-scopi semplici di brevissima lunghezza focale,compie importanti osservazioni naturalistichesugli Infusori.- Nel 1677 Padre Cherubino, un frate diOrleans, costruisce il primo microscopio bino-culare provvisto di “montatura a revolver”per più obiettivi.- Nel 1679 Isaac Newton propone di eliminarel’aberrazione cromatica sostituendo le lenticon uno specchio che fornisce un’immagineingrandita, poi ripresa dall’oculare.- Viene realizzata la cremagliera per lo scorri-mento verticale del tubo porta-ottica.- Nel 1712 Hertel inventa lo specchio per l’il-luminazione.- Nel 1722 L’inglese Charles M. Hall scopreche il vetro “flint” ha un potere di dispersionemaggiore del vetro “crown” e che l’associazio-ne di lenti dei due tipi di vetro è utile per lacorrezione di alcune aberrazioni.- Nel 1752 Albrech Van Haller compie nuoveosservazioni sulle cellule e afferma che “tuttigli organismi presentano cellule”.- Nel 1758 Dallond, francese emigrato aLondra, migliora la correzione cromaticaassociando una lente convergente di vetroordinario, ad una divergente di cristallo.

- Nel 1762 Plencicz afferma che agenti patoge-ni delle malattie sono i “batteri”, piccolissimiorganismi osservabili solo al microscopio.Tale teoria verrà ripresa un secolo dopo daHenle.- Nel 1783 Yesse Ramsden disegna un sistemaottico oculare da utilizzare per lavori micro-metrici.- Nel 1784 Jan Ingenhouz, studiando gliInfusori, sviluppa la tecnica del vetrino copri-oggetto.- Nel 1802 Davy e Wedgwood tentano di “foto-grafare” l’immagine microscopica (ma la foto-grafia non era stata ancora inventata) utiliz-zando lastrine al nitrato d’argento e come sor-gente di luce il sole. Ma non esisteva neppureil fissaggio e tali “impressioni” erano del tuttofuggevoli.- Nel 1811 Joseph de Fraunhofer miglioraulteriormente la resa cromatica degli obiettivimediante la combinazione di tre lenti, nonancora incollate.- Nel 1822 Charles Louis Chevallier realizza il“microscopio a ricalco”, ripreso poi daLerebours col nome di “megagrafo”: al disopra dell’oculare il microscopio alloggiavaun vetro smerigliato, regolabile in altezza, sucui veniva messa a fuoco l’immagine. Questaera poi disegnata a ricalco sopra un foglio dicarta sottile appoggiato sul vetro.- Nel 1824 Chevallier riesce a realizzare ilprimo sistema ottico acromatico e aplanaticoassociando lenti di vetro “crown”e lenti divetro “flint”, dietro commissione dell’ottico emeccanico parigino Selligue.- Nello stesso anno Fresnel dimostra che lenuove lenti sono superiori alle lenti sempliciad ingrandimenti inferiori ai 200x, diventanoad esse del tutto equivalenti ad ingrandimentimaggiori, se le lenti semplici sono utilizzatecon un diaframma di apertura.- Nel 1827 Giovan Battista Amici prosegue glistudi di Selligue sui sistemi ottici a tre lenti

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realizzando acromatici sempre più perfezio-nati.- Nel 1829 il fisico scozzese William Nicol sco-pre il prisma che permette il passaggio dellaluce in un solo piano.- Nel 1831 William Nicol prepara la primasezione sottile di legno fossile dando vita allamicropaleontologia.- Nel 1834 Henry Fox Talbot realizza unmicroscopio di uso pratico e Charles LouisChevalier presenta il microscopio universale,provvisto di funzionamento sia verticale cheorizzontale, con possibilità di esame per tra-smissione e per riflessione, adatto alla polariz-zazione provvisto di tavolino mobile conobiettivi che possono essere sistemati al disotto o al di sopra del campione.- Nel 1839 François Arago presentaall’Accademia delle Scienze il Daguerreotype.- Nel 1840 Alfred François Donné sostituisceuna lastra di Daguerre al vetro smerigliato delmegagrafo e ottiene la prima immagine foto-micrografica. Verrà presentata il 17 Febbraioall’accademia delle scienze.- Nel 1844 Jan Evangelista Purkinje esegue leprime microdissezioni, ma solo 15 anni dopoviene realizzato da H. Smith un vero dissetto-re microbico.- Nel 1845 A. Donnè pubblica il primo atlantedi microscopia illustrato da riproduzioni deisuoi dagherrotipi.- Nel 1847 Giovanni Battista Amici applicaper la prima volta il metodo ad immersione inacqua che migliora sensibilmente il potere dirisoluzione dell’obiettivo.-Nel 1849 Ernst Leitz fonda la sua istituzionea Wetzlar.- Nel 1850 Carl Zeiss, meccanico, patrocinatoda Schleiden, inizia a Jena la sua attività dicostruttore di microscopi. Ben presto conl’aiuto di Ernst Karl Abbe la fabbrica assumenotorietà mondiale.- Nel 1856 Whenhan costruisce il primo con-

densatore paraboloide per campo oscuro.- Nel 1863 Herry C. Sorby rende possibile l’a-nalisi microscopica dei metalli.- Nel 1870 Tolles sostituisce all’acqua l’olio dicedro nel metodo di osservazione ad immer-sione.- Nel 1871 J.A.Nachet costruisce il primo illu-minatore con obiettivo per osservazioni inluce incidente, adatto all’impiego in crimino-logia.- Nel 1872 E.Abbe sviluppa il metodo di illu-minazione che porta il suo nome, utilizzandoun condensatore focalizzabile provvisto di dia-framma ad iride.- Nel 1876 Carl Reichert apre la sua primaofficina meccanica e ottica.- Nel 1886 Ernst Abbe migliora ulteriormentela qualità delle ottiche realizzando gli obietti-vi apocromatici* calcolati a Jena nel laborato-rio di Otto Schott.- Nel 1892 Carl Zeiss realizza il microscopiostereoscopico, dietro suggerimento di H.S.Greenough.- Nel 1903 H. F. W. Siedentopf e R. A.Zsigmondy realizzano l’ultramicroscopio, chepermette di rendere percepibili all’occhio par-ticelle al di sotto del potere di risoluzione delmicroscopio in campo chiaro.- Nel 1905 A. Kohler realizza il microscopioutilizzante la radiazione ultravioletta.- Nel 1911 C. Reichert presenta alla societàtedesca di scienze naturali il primo microsco-pio a fluorescenza.- Nel 1912 Viene realizzato il primo dispositi-vo per la microcinematografia.- Nel 1932 Edwin Land inventa un materialenoto come polaroid ( cristalli composti da sol-fato di chinino e iodio, disposti con gli assiparalleli e immersi in nitrocellulosa )- Nel 1933 W. Linnik descrive il primomicrointerferometro, il predecessore delmoderno microscopio interferenziale, utiliz-zando l’interferometro di Michelson.

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- nello stesso anno E. Ruska e B. Von Borries,unitamente a Max Knoll, realizzano il micro-scopio elettronico, che la Siemens costruiscecol nome di supermicroscope, e quindiElmiskop.- Nel 1934 Fritz Zernike pone le basi del meto-do del contrasto di fase.

Storia della luce polarizzata

Birifrangenza

- Anno 1669: il medico danese RasmusBartholin (1625-1698) osserva uno stranominerale: un tipo di calcite, chiamato ancheSpato Vetrino, o Spato d'Islanda. Bartholinnota che gli oggetti osservati attraverso questomateriale appaiono sdoppiati, come se questacalcite fosse capace di esibire contemporanea-mente due indici di rifrazione diversi; da quiil nome di questo strano fenomeno: la biri-frangenza.La birifrangenza è un fenomeno fisico checonsiste nella scomposizione di un raggio diluce in due raggi e che avviene quando essoattraversa particolari mezzi anisotropi, aseconda della polarizzazione della luce.L'anisotropia (opposto di isotropia) è la pro-prietà per la quale un determinato materialeha caratteristiche che dipendono dalla dire-zione lungo la quale vengono considerate.

Dal punto di vista pratico: rifrangenza =deviazione e anisotropo = birifrangente.

Origine del termine: luce polarizzata

- Anno 1808: la luce che vibra soltanto in undeterminato piano prende il nome di lucepolarizzata, l’espressione è introdotta dal fisi-co francese Etienne Louis Malus (1775-1812).

Per capire il concetto di luce polarizzata dob-biamo considerare la luce sotto la visione dionde trasversali, queste onde oscillano, infat-ti, perpendicolarmente alla direzione nellaquale si propaga l’onda nel suo complesso. Sipuò facilmente capire pensando come polariz-zate le onde del mare. le singole particelled’acqua si spostano in su e in giù, sempresullo stesso piano trasversale, mentre l’ondasi propaga verso l’esterno rispetto all’origine.Le onde luminose non sono vincolate a unasuperficie e quindi non sono costrette a muo-versi soltanto in su e giù: possono muoversi inogni direzione, il numero delle direzioni incui un’onda luminosa può oscillare perpendi-colarmente alla direzione di propagazione èinfinito. In un raggio di luce comune, alcuneonde oscillano in una direzione, altre in un’al-tra, e altre ancora in una direzione diversa.Non esiste una direzione preferita alle altre.Se però questo raggio di luce viene fatto pas-sare attraverso determinati cristalli, come lamoissanite o la calcite. la disposizione regola-re degli atomi all’interno del cristallo costrin-ge il raggio di luce a oscillare su un datopiano, un piano che permetta alla luce di pas-sare insinuandosi tra una fila di atomi e l’al-tra. La luce che vibra soltanto in un determi-nato piano prende il nome di luce polarizzata,espressione introdotta nel 1808 dal fisicofrancese Etienne Louis Malus.

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La teoria di MalusAl tempo di Malus la teoria ondulatoria nonera stata ancora accettata e la luce venivavista come composta da piccole particelle dimateria (corpuscoli) emesse in tutte le direzio-ni. Questa teoria spiegava molto facilmentealcune caratteristiche della propagazionedella luce che erano ben note all'epoca diNewton. Così anche Malus riteneva che laluce fosse composta di particelle dotate dipolo Nord e di polo Sud, e che nella luce pola-rizzata da un campo magnetico tutti i poli fos-sero orientati nella stessa direzione.

La teoria corpuscolare fu abbandonata pocotempo dopo, ma l’espressioni di Malus: “pola-rizzata e polarizzazione” sono rimaste e siusano ancora.

La rotazione ottica dei cristalli

- Anno 1815: un chimico, il francese JeanBaptiste Biot (1774-1862) dimostrò comefacendo passare una luce polarizzata attraver-so determinati cristalli si verificava una rota-zione del piano di vibrazione delle onde. Avolte il piano ruotava in senso orario (rotazio-ne destrogira, a volte in senso antiorario (rota-zione levogira). Tale distorsione è nota come rotazione otticae rappresenta un tipo particolare di birifran-genza dovuta al diverso indice di rifrazione

delle componenti destrogira e levogira dellaluce linearmente polarizzata.Fra i cristalli che possedevano proprietà otticalevogira c’erano i composti organici, quali glizuccheri, gli aminoacidi, le proteine e le che-ratine.

Il prisma di Nicol

- Anno 1828: viene inventato da William Nicol(1768-1851) di Edimburgo, il primo polarizza-tore della luce, il prisma di Nicol, un disposi-tivo ottico usato per produrre un fascio diluce polarizzata. Consiste di un cristallo rom-boedrico di calcite (spato d'Islanda) tagliatocon un angolo di 68°, diviso diagonalmente in

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due metà simmetriche e rincollate con delbalsamo del Canada, liquido e trasparente.La luce non polarizzata che incide su un’e-stremità del cristallo viene divisa in due raggipolarizzati per birifrangenza. Uno di questi (ilraggio "ordinario") sperimenta un indice dirifrazione no = 1,658 che viene riflesso com-pletamente dallo strato di balsamo (il cui indi-ce di rifrazione è 1,55) e deviato lateralmentefuori dal cristallo. Il secondo raggio (il raggio"straordinario") sperimenta invece un indicedi rifrazione inferiore (ne = 1,486), non vieneriflesso dallo strato di balsamo ed emergedalla seconda metà del prisma con una pola-rizzazione planare.

I prismi di Nicol sono stati ampiamente usatiin microscopia e polarimetria. Sono stati tut-tavia nel tempo sostituiti da altri tipi di pola-rizzatori, quali i filtri Polaroid e i prismi diGlan-Thompson.

Una testimonianza: Da Arthur Rook - RodneyDawber: “Malattie dei Capelli e del CuoioCapelluto” (presentazione di LucianoMuscardin): Capozzi Editore, Roma, 1982:640 - 641.

“La microscopia polarizzata può fornireinformazioni extra che riguardano la struttu-ra biochimica del capello e può rendere evi-denti i lievi cambiamenti di struttura.Usando tale metodo è possibile determinarel’indice di rifrazione e la birifrangenza dellefibre, fenomeno fisico che riflette l’orienta-mento delle strutture interne del capello.Esaminando i capelli di pazienti con manife-stazioni neuroectodermiche (Price et al.1980), il microscopio a luce polarizzata evi-denzia bande chiare e bande scure alternate.Girando la posizione del microscopio a lucepolarizzata di circa 10° (5° per ogni lato dellaposizione di massima estinzione) si invertonole zone chiare e scure; nell’osservazione conl’asse del capello parallelo alla direzione dellavibrazione del polarizzatore (massima estin-zione o 0°) il capello presenta linee traverse.Tale anomalia fu messa in relazione con lozolfo, cioè con una marcata insufficienza dizolfo nella matrice proteica. Brown e al.(1970) notarono una birifrangenza alternatain un difetto congenito del capello che presen-tava tricoschisi e basso contenuto di zolfo.Dupré e Bonafe (1978) e Price (1979) hannofatto uso della microscopia a luce polarizzatain molte anomalie strutturali del capello, ehanno dimostrato che i cambiamenti del colo-re alla luce polarizzata evidenziano con mag-gior chiarezza le anomalie del capello chenon la luce trasmessa. L’efficienza dei metodicon il microscopio ottico può essere migliora-ta con varie tecniche specifiche (Swift 1977).

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Il microscopio

L’identificazione dei dettagli di un oggettoosservato ad occhio nudo implica che sullaretina si formi un’immagine sufficientementegrande dell’oggetto stesso e poiché la grandez-za di questa immagine è direttamente propor-zionale all’angolo visivo e inversamente pro-porzionale alla distanza tra oggetto e centroottico dell’occhio, ci si dovrebbe aspettare cheavvicinando sempre più all’occhio l’oggettoquesto appaia sempre più ingrandito.In effetti la sua immagine sulla retina diventapiù grande perché l’angolo visivo aumenta,ma l’occhio, a distanze inferiori di 25 cm.perde il potere di accomodamento e la visionesi fa nebulosa.

È nozione comune che se si vuole osservareun oggetto ingrandito e più chiaro nei suoidettagli si deve usare una lente d’ingrandi-mento, cioè una lente convergente o positiva.L’uso appropriato del microscopio permetteall’occhio di osservare senza sforzo di accomo-

damento, e poiché il potere di separazione èdi circa 75 micron due punti del preparatopotranno essere visti come tali solo se diste-ranno tra loro non meno di 75 micron.Quindi il più piccolo dettaglio dell’oggetto almicroscopio dovrà essere ingrandito almenofino a 75 micron: utilizzando un certo obietti-vo, ad esempio un 40 x capace di risolvere 0,3micron si dovrà ingrandire l’oggetto nonmeno di 250 volte per portare i 0,3 micron a75 micron, cioè si dovrà usare un oculare dialmeno 6,3 x (6,3 x 40 = 252).

Il sistema ottico di un microscopio moderno

È formato dall’obiettivo, alloggiato alla basedel tubo porta ottica su di una torretta girevo-le a revolver che ne porta da tre a cinque, condiverso potere di ingrandimento e con caratte-

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ristiche diverse.Al di sopra dell’obiettivo è posta, in posizioneverticale o inclinata, la testata monoculare obinoculare.Parte integrante del sistema ottico, e nel con-tempo del sistema di illuminazione, è il con-densatore, alloggiato al di sotto del tavoloporta oggetti.

L’obiettivo

È un doppio sistema di lenti convergenti acorta focale, che proietta l’immagine ingran-dita dell’oggetto, posto nel piano di fuocofrontale. Questo ultimo, definito anche fuocod’immagine, è situato un poco al di sopradella lente posteriore, in un piano in cui leaberrazioni sono corrette.La distanza di lavoro di un obiettivo permicroscopia è in genere molto limitata, anzi,maggiore è la potenza del sistema ottico,minore è la distanza tra la sua lente frontalee il vetrino copri-oggetto.Negli obiettivi normali la distanza di lavoro èsolitamente compresa tra 35 e 0,10 mm, aseconda del potere di ingrandimento.Le caratteristiche fondamentali di un obietti-vo per microscopia sono:- il potere di risoluzione- l’apertura numerica- il potere di definizione- il potere di ingrandimento

Tipi di obiettiviAttualmente vengono utilizzati diversi tipi diobiettivi più o meno corretti per le principaliaberrazioni a seconda dell’uso che se neintende fare. In genere le caratteristiche diogni obiettivo sono indicate sulla montatura.L’impiego con obiettivi di qualità (lenti invetro convesse o piane o concave) garantiscein genere le proprietà polarizzanti degli obiet-tivi, che Leitz indica con “P”: Obiettivi a biri-frangenza interna.

Non totalmente corretti sono i tipi apocroma-tici, o i sistemi planatici, utili per le osserva-zioni più veloci e per il lavoro fotomicrografi-co. I migliori obiettivi sono gli acromatici.È possibile riconoscere un obiettivo non adat-to per la microscopia in luce polarizzata sem-plicemente osservando nel oculare del micro-scopio, senza alcun preparato, con i polarizza-tori incrociati. Ogni presenza di luce (dovutaa tensioni nel vetro) indica che l’obiettivo nonè adatto.

L’oculare

L’oculare ha la funzione di ingrandire l’im-magine formata dall’obiettivo, e di correggerele eventuali aberrazioni. L’immagine interme-dia, reale e diritta, viene ingrandita in unaimmagine virtuale e capovolta nell’osservazio-

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ne ad occhio nudo o in un immagine reale ediritta nella ripresa fotografica.Di oculari ve ne sono di due tipi:a) di Huygens o negativi sono usati con gliobiettivi acromatici, esclusivamente per l’os-servazione visiva e con ingrandimento pro-prio non superiore a 12,5 x. Sono formati dadue lenti convergenti: la lente anteriore, olente di campo, trasforma l’immagine reale inimmagine virtuale, focalizzandola all’internodell’oculare stesso nel piano del diaframmalimitatore di campo.b) di Ramsden o positivi le cui lenti piano-con-vesse sono identiche e poste a distanza pari a2\3 della lunghezza focale comune, formandoun’immagine virtuale al di sotto della lenteanteriore

Quando si vogliono effettuare misurazioni amezzo di micrometri (scale di misura) postinell’oculare, si deve usare un sistema negati-vo: solo in tal caso infatti l’immagine dell’og-getto viene proiettata a fuoco nel piano e vistacorrettamente.

Il condensatore

Gli oggetti destinati all’osservazione microsco-pica devono essere illuminati perché si possaformare un’immagine. L’illuminazione può

avvenire con luce riflessa o con luce trasmes-sa, cioè con luce che colpisca da sopra e dilato l’oggetto, oppure con luce che lo attraver-si. È necessario quindi un dispositivo che,oltre ad inviare la luce sul preparato, permet-ta di sfruttare il più possibile le caratteristi-che positive del sistema ottico del microsco-pio. Tale dispositivo è il condensatore, unsistema di lenti che viene posto sotto il prepa-rato, fra questo e l’obiettivo.Il condensatore è provvisto di un sistema dicentratura, di un diaframma di apertura chepermette di variare l’ampiezza del cono diluce in rapporto all’obiettivo usato, e di unsistema di spostamento verticale che permettedi variarne la posizione in altezza.Questo perché, secondo il principio di illumi-nazione di Kîhler il condensatore deve proiet-tare l’immagine della sorgente luminosa per-fettamente a fuoco sul piano dell’oggetto, inmodo che ogni punto di questo diventi sor-gente di luce.

Perché questo fenomeno si produca è necessa-rio che il cono di luce emergente dal conden-satore abbia un angolo di apertura uguale aquello dell’obiettivo: se l’apertura del conden-satore è minore, l’immagine di diffrazione

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non si può formare; se invece è troppo eleva-ta, il campo è inondato di luce eccessiva peruna efficace effetto di diffrazione. La logicarelativa al condensatore è dunque analoga aquella fatta a proposito dell’obiettivo.

La formazione dell’immagine microscopica

Una volta accesa la luce e messo a fuoco il pre-parato, questo assorbe o trasmette la luce inmaniera differente da zona a zona. La luceche non colpisce il preparato, o che è trasmes-sa liberamente attraverso le sue parti traspa-renti, forma il fondo visibile, il “campo”.

Altre parti del fascio di luce vengono trasmes-se con intensità diversa a seconda del poteredi assorbimento delle porzioni attraversate,oppure diventano colorate se attraversanoparti colorate dell’oggetto (parti che assorbo-no o trasmettono lunghezze d’onda diverse).

L’illuminazione

Anche il miglior microscopio, corredato dellemigliori ottiche non potrà dare buoni risulta-ti, né per l’osservazione diretta né per la ripre-sa fotografica, se l’illuminazione del prepara-to non sarà adeguata.

Lo spessore del copri-oggetto

Già si è accennato al fatto che gli obiettivisono sensibili allo spessore del vetrino copri-oggetto. Se questo non è adatto può risultareun evidente scadimento di immagine. Lo spes-sore medio considerato nel calcolo è general-mente di 0,17 mm. Se il copri-oggetto è troppospesso l’obiettivo risulterà sovra-corretto, incaso contrario subirà una sotto-correzione.

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Ciò è particolarmente apprezzabile con l’o-biettivi apocromatici (particolarmente adattiper la polarizzazione).

Monoculare o binoculare

Osservare un preparato al microscopio conun solo occhio causa in breve tempo un note-vole affaticamento della vista per cui è indica-to il binoculare.

La microscopia in luce polarizzata

La microscopia in luce polarizzata è stata findall’inizio dominio tradizionale della minera-logia, ma è ormai fuori discussione la sua uti-lità anche nel campo della tricologia e trichia-tria. Offrono infatti campo di indagine in lucepolarizzata tessuti quale la cheratina, sia que-sta in alfa o beta.

Principi di fisica della luce

La luce è un tipo di energia che si propaganello spazio sotto forma di onde elettromagne-tiche trasversali e perpendicolari al piano divibrazione ed alla direzione di propagazione.Il piano su cui ogni onda vibra è detto “pianodi polarizzazione”. La luce emessa dal sole (oda una comune sorgente luminosa) è formatada onde che vibrano in ogni piano perpendi-colare a quello di direzione, per cui la lucecomune è, per definizione, non polarizzata.

Ogni onda luminosa è caratterizzata da:a) tipo ondab) spettro luminoso

- la lunghezza d’onda, rappresentata dalladistanza fissa tra due punti dell’onda in fasetra loro, ed è responsabile del colore dellaluce.

-- Se due onde sono in fase tra loro e procedo-no nella stessa direzione, il ritardo d’onda del-l’una rispetto all’altra è nullo; sono invece sfa-sate quando il ritardo d’onda è diverso dazero.

- l’ampiezza d’onda è indicata dalla sua altez-za sul piano delle ascisse su cui viene conven-zionalmente rappresentata.

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- Una sorgente di luce ordinaria emette ondedi diversa lunghezza d’onda. Il campo totaledelle lunghezze d’onda costituisce lo spettroluminoso di quella sorgente.- Se lo spettro copre tutte le possibili lunghez-ze d’onda entro un largo intervallo, vienedetto spettro continuo; se invece manca dialcune lunghezze d’onda viene definito spet-tro a bande.- La luce emessa da una sorgente è monocro-matica se formata da raggi di identica lun-ghezza d’onda. La luce solare diurna, il cuispettro è continuo, è la luce bianca in quantoin essa sono mescolate tutte le lunghezzed’onda, cioè tutti i colori.

Concetti generali

Un raggio di luce è formato da onde ciascunadelle quali oscilla in un piano, detto piano dipolarizzazione, che è perpendicolare alla dire-zione di propagazione dell’onda stessa.In un raggio di luce normale le onde oscillanoin tutti i possibili piani: per definizione essonon è polarizzato. Definiamo infatti comepolarizzato un raggio di luce formato da ondei cui piani di vibrazione sono tutti orientati inun’unica direzione, sono cioè paralleli fraloro.Oltre che dal piano di polarizzazione, le ondeluminose sono caratterizzate da uno stato dipolarizzazione, che può essere lineare, circo-lare o ellittico, e la definizione sarà così com-pleta: è polarizzato un raggio di luce formatoda onde con piani di polarizzazione parallelifra loro e con uniforme stato di polarizzazio-ne.

Le sostanze sono dette “isotrope” se hanno unsolo indice di rifrazione o asse ottico e, comegià detto, direzioni di simmetria non distin-guibili l’una dall’altra.La cheratina del capello, quando è cheratinabeta, è isotropa, otticamente omogenea e tra-sparente, ha le stesse proprietà ottiche in tuttele direzioni. Il raggio di luce che la attraversaesce inalterato, eccetto che per l’eventualecambiamento di direzione dovuto alle leggidella rifrazione.

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Le sostanze che hanno la capacità di modifi-care lo stato di polarizzazione della luce cheattraversa vengono dette “anisotrope” o “biri-frangenti”. La cheratina alfa è invece unasostanza anisotropa.

Il concetto di birifrangenzae la sua dimostrazione

Si definiscono “isotropi” gli oggetti in cui l’in-dice di rifrazione e l’assorbimento della lucesono uguali per tutti gli assi di provenienzadella luce.Si definiscono “anisotropi” o “birifrangenti”gli oggetti in cui l’indice di rifrazione e l’as-sorbimento della luce variano a seconda delladirezione da cui l’oggetto è illuminato.

Se un oggetto birifrangente viene illuminatocon luce polarizzata, che abbia sia direzionedi propagazione sia piano di propagazioneidoneamente orientati rispetto all’oggettostesso, la radiazione luminosa incidente vienescomposta in due radiazioni, entrambe pola-rizzate, che vibrano su piani tra loro ortogo-nali e che procedono con velocità diversa traloro. Dalla differente velocità di propagazionederiva il termine birifrangenza: l’indice dirifrazione di un mezzo è inversamente pro-porzionale alla velocità dell’onda luminosa inquel mezzo. La birifrangenza è data dall’o-rientamento di unità elementari, di ordine digrandezza assai inferiore al limite di risoluzio-ne del microscopio ottico.Cristalli, o strutture (come le cheratine) com-poste da molecole regolarmente ordinate, pos-siedono una “birifrangenza intrinseca”, chenon dipende dall’indice di rifrazione delmezzo in cui sono immerse (olio di immersio-ne o collanti vari); “birifrangenza di forma” siha quando particelle submicroscopiche asim-metriche sono ordinate in un mezzo con indi-

ce di rifrazione diverso da quello delle parti-celle stesse. In questo caso la birifrangenzacambia di valore a seconda dell’indice di rifra-zione del mezzo, fino ad annullarsi se que-st’ultimo è uguale all’indice di rifrazionedelle particelle.Nelle strutture birifrangenti di interesse bio-logico esiste un asse, tale che se la luce incidesu di esse non si ha birifrangenza; si conside-ra questo asse come asse ottico di riferimentoe si definisce la birifrangenza “uniassiale”.La birifrangenza si evidenzia in massimogrado quando l’asse di riferimento della strut-tura è perpendicolare alla direzione di propa-gazione della luce. Essa è rilevabile dall’osser-vazione con il microscopio a luce polarizzata,poiché le strutture birifrangenti, illuminateperpendicolarmente all’asse di riferimento,appaiono luminose, sul fondo scuro. Le strut-ture monorifrangenti e quelle birifrangentiilluminate parallelamente all’asse di riferi-mento non sono invece visibili perché riman-gono non luminose, cioè buie, come il fondo.La luminosità è massima allorché l’asse diriferimento della struttura forma un angolodi 45° con il piano di polarizzazione dellaluce incidente, mentre la struttura stessaappare nera (estinzione) se il suo asse di rife-rimento è parallelo o perpendicolare a talepiano di polarizzazione. Questo comporta-mento è comprensibile se si considera che laluce, incidente con il piano di polarizzazioneobliquo rispetto all’asse di riferimento, vienescomposta in due radiazioni, una polarizzatasu un piano parallelo all’asse di riferimento(raggio straordinario) l’altra polarizzata su unpiano perpendicolare all’asse di riferimento(raggio ordinario, con indice di rifrazioneuguale a quello della struttura colpita dallaluce parallelamente all’asse di riferimento).L’ampiezza della due radiazioni è desumibileda quella della radiazione incidente e dall’an-golo tra il piano di polarizzazione della luce

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incidente e l’asse di riferimento della struttu-ra, seguendo la regola del parallelogramma(l’ampiezza della radiazione incidente sta aquella di ciascuna delle due radiazioni emer-genti come la diagonale di un parallelogram-ma, che abbia i lati orientati secondo i pianidi polarizzazione delle radiazioni emergenti,sta a ciascuno dei lati; la lunghezza della dia-gonale rappresenta, graficamente, l’ampiezzadella radiazione incidente e la sua direzione ilpiano di polarizzazione della medesima). Conla stessa regola si può calcolare quanto di cia-scuna radiazione viene trasmesso attraversol’analizzatore; quando l’asse di riferimentodella struttura è parallelo, o perpendicolare,al piano di polarizzazione della luce incidentenon si avrà birifrangenza e questa interverràper posizioni oblique, la quota di intensitàluminosa trasmissibile attraverso l’analizzato-re risultando massima, pari a quella dellaradiazione incidente, quando il piano di pola-rizzazione della luce incidente è a 45° rispet-to all’asse di riferimento della struttura.

Questo comportamento della luce polarizzataspiega anche perché in strutture con simme-tria, e quindi con asse di riferimento, circola-re (cristalli sferici, strutture allungate a decor-so circolare disposte concentricamente traloro come il capello) si abbia l’immagine diuna croce di polarizzazione, mentre il restodella struttura è luminoso; le braccia dellacroce (detta di Brewster) sono orientate a 0° e90° rispetto al piano di polarizzazione dellaradiazione incidente: in questi casi, l’asse diriferimento della struttura è in ogni puntocoincidente con la tangente alla circonferen-za.Nell’esame a luce polarizzata si utilizzanotavolini traslatori rotabili rispetto all’asse otti-co, per determinare gli assi lungo i qualivibrano il raggio straordinario e quello ordi-nario.

Il valore della birifrangenzae la sua determinazione

Le due radiazioni che emergono da una strut-tura birifrangente sono sfasate tra loro, acausa della diversa velocità di trasmissioneall’interno della struttura medesima. Lo sfasa-mento tra i due raggi, o ritardo d’onda, dipen-de oltre che dalla differenza tra gli indici dirifrazione, dallo spessore della struttura. Lamisura della birifrangenza o potenza birifrat-tiva o potere birifrangente è data dalla diffe-renza tra il valore dell'indice di rifrazione delraggio straordinario e di quello ordinario, nelmezzo. Un cristallo si dice positivo o negativoa seconda che il valore della birifrangenza siarispettivamente positivo o negativo.La sfasatura o ritardo d’onda, indotta tra idue raggi dalla rispettiva differenza dei rispet-tivi indici di rifrazione, permette fenomeni diinterferenza; inoltre, per ciascuno dei dueraggi l’indice di rifrazione varia con la lun-ghezza d’onda della luce. L’interferenza tra idue raggi, nell’osservazione a polarizzatoriincrociati, si può quindi tradurre in differen-ze cromatiche dell’immagine osservata, aseconda dello spessore della struttura esami-nata.Per questo quando si osservano oggetti sfericiin luce polarizzata si deve conoscere il diame-tro reale ed è necessario l’uso di un ocularemicrometrico. Infatti ad ogni diametro corri-sponde una frequenza o ritardo d’onda checorrisponde ad un preciso colore.In microscopia tricologica a luce polarizzatal’entità del ritardo d’onda, quindi il colore,dipende dallo spessore del capello. Se si osser-va al microscopio polarizzato un cuneo dimateriale cheratinico (la punta di un pelonon tagliato, o meglio un ciglio ) si vedono,salendo dalla radice alla punta, i seguenticolori: fra 0 a 50 micron dal bianco al giallo,fra 50 a 70 micron si osserva il rosso (da nota-

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re che quando si accostano due colori puriquali il giallo ed il rosso per sovrapposizionesi produce l’arancione, ed è per questo chenel capello la banda dell’arancione, non sem-pre definibile, è comunque visibile) fra 70 a90 micron si vede il blu (ancora il sovrapporsidi colori puri come il blu con il rosso ci favedere il magenta) da 90 micron in poi inter-vengono ritardi d’onda molto importanti e dalblu, sempre più scuro, si passa al verde.Chiaramente si deve osservare che qualsiasicorpo estraneo nella struttura cheratinicaproduce ritardi d’onda, fa cambiarne le sfu-mature e virare le bande verso i colori scuri.Gli oggetti birifrangenti o “anisotropi” possie-dono per lo più i due indici di rifrazionediversi e perpendicolari tra loro così il raggiodi luce che li attraversa viene suddiviso in duecomponenti polarizzate oscillanti in piani per-pendicolari fra loro, secondo la direzionedegli indici di rifrazione.Quando un oggetto anisotropo è orientato inmodo che uno dei due indici giace o è paral-lelo al piano di vibrazione della luce polariz-zata, la componente di vibrazione della lucepolarizzata dovuta a questo indice è massima,mentre quella dovuta all’altro indice è nulla:in questa posizione l’oggetto anisotropo sem-bra possedere un solo indice di rifrazione.Ruotando l’oggetto in esame di 90°, 180°,270° rispetto alla posizione iniziale si avran-no variazioni nei ritardi d’onda visibili comeeffetti di sovrapposizione di colori.Gli indici di rifrazione, o assi ottici, di unoggetto anisotropo sono differenti fra loro e ledue componenti in cui viene suddivisa la luceche vi incide compiono attraverso di esso cam-mini differenti: il risultato tra lo spessoredell’oggetto e il suo indice di rifrazione vienedefinito come “cammino ottico”.La differenza di cammino ottico tra le duecomponenti porta anche ad una differenza difase che può essere misurata in frazioni di

lunghezza d’onda oppure in gradi.Una differenza di fase di 1/4 lamba (pari a90°) oppure di 3/4 lambda (270) tra le duecomponenti, porta ad una risultante lucepolarizzata circolarmente, mentre con unadifferenze di fase di 1 lambda (0°), oppure di1/2 l (180°) la vibrazione sarà in uno statolineare. Tutte le altre differenze di fase inter-medie portano ad una luce polarizzata ellitti-camente.La luce normale può essere trasformata inluce polarizzata facendola passare attraversoparticolari elementi ottici filtranti: si tratta diprismi polarizzatori (il più noto dei quali è ilPrisma di Nicol che risale al 1828) che siottengono da un romboedro di sfaldatura dicalcite tagliato opportunamente in due partiche poi vengono cementate fra loro con balsa-mo del Canada.

Oggi si ha a disposizione particolari filtri otti-ci: i polarizzatori, caratterizzati dall’avere ununico piano di vibrazione attraverso cui puòpassare la luce. L’effetto del polarizzatoresulla luce normale che lo attraversa, è quellodi suddividerla in due componenti polarizza-te: onde che vibrano parallelamente al pianodi polarizzazione del filtro e che saranno tra-smesse, e onde perpendicolari ad esso chesaranno otticamente eliminate.

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I filtri polarizzatori polaroid, in vetro o plasti-ca, si comportano come il prisma di Nicol, tra-smettendo un solo raggio di luce polarizzata.Un importante vantaggio nell’uso dei filtririspetto ai prismi sta nel fatto che permettonodi non ridurre l’apertura utile del condensa-tore anche se un’elevata intensità luminosa lipuò danneggiare. I filtri presentano l’inconve-niente di una leggera colorazione bruna o gri-giastra, ma hanno il vantaggio di una grandesuperficie, di un costo basso e di una maggio-re maneggevolezza. Il polarizzatore in vetronon porta mai dei problemi, mentre un filtro,molto economico, in plastica con il caloredella sorgente di luce e se usato per lunghiperiodi, riscaldandosi, si indurisce alterandole frequenze e rendendosi pian pano inservi-bile.

La luce polarizzata ed il concetto di “micro-scopia in luce polarizzata”

Pensiamo una sorgente luminosa (la lampadi-na del microscopio), che emette una grandequantità di particelle piccolissime, fotoni, chesi muovono in tutte le direzioni possibili attra-

verso un percorso ondulatorio. Immaginiamoun filtro polarizzatore come una sequenza dilinee parallele opache e trasparenti alternate,vicinissime le une alle altre. Immaginiamo diporre il filtro polarizzatore lungo il percorsodella sorgente luminosa e vedremo che, tratutti i fotoni che cercheranno di oltrepassarlo,ci riusciranno solo quelli il cui andamentoondulatorio (piano di polarizzazione) coinci-derà esattamente con l’inclinazione dellelinee trasparenti del filtro.I fotoni che oltrepassano il filtro danno origi-ne ad un fascio di “luce polarizzata”.Se ora poniamo un secondo filtro polarizzato-re sul percorso di questi fotoni già polarizzatie lo ruotiamo di 90° rispetto al primo, la luce(polarizzata) incontrerà inevitabilmente lelinee opache del secondo filtro, non potràattraversarlo e non potrà arrivare ad un ipote-tico osservatore.

Se il secondo filtro verrà ruotato lentamentela luce potrà passare sempre meglio, fino almassimo in cui i due filtri coincideranno conangolo di 0° fra di loro.

Se appoggiamo un capello sul portavetrini dimicroscopio, che si trova tra il primo ed ilsecondo filtro polarizzatore e questo capello

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viene attraversato dalla luce che è stata pola-rizzata dal primo filtro, la cheratina, cioè ilcristallo di cui è fatto il capello, devierà il per-corso della luce che lo attraversa (birifrangen-za) e arrivando al secondo filtro, a 90° rispet-to al primo, lo oltrepasserà con “angolazioni”(piani di polarizzazione e frequenze d’onda)diverse.Ciascuna di queste diverse angolazioni daràorigine a varie sfumature di colore, anche per-ché la qualità e la quantità di cheratina variaanche all’interno dello stesso capello.

Facendo scorrere il capello sotto l’obiettivodei microscopio le varie sfumature di coloreci mostreranno quali sono le sue condizionidi struttura cheratinica.

Il microscopio polarizzatore

Il microscopio polarizzatore è un normalemicroscopio provvisto di due filtri polarizza-tori neutri. (il filtro posto tra l’oculare e l’o-biettivo, viene definito “analizzatore”, mentreil filtro posto tra la fonte di luce e l’oggettoviene definito “polarizzatore”). Le caratteri-stiche dell’oggetto in esame, posto fra i due fil-tri e attraversato dalla luce polarizzata, vengo-no studiate ruotando i filtri polarizzatori,l’uno rispetto all’altro, oppure ruotando l’og-getto posto fra di essi.Tale dispositivo è tuttavia utile solo per osser-vazioni più semplici, in quanto ricerche piùprecise richiedono un microscopio apposita-mente realizzato per questa tecnica. Unmicroscopio ottico per essere adattato comestrumento per l’analisi a luce polarizzata deveavere la massima precisione sia meccanica, siaottica ed il tavolino porta oggetto deve esseregirevole.

Ambedue i filtri sono montati in alloggiamen-ti girevoli, in modo che è possibile l’esattarotazione dell’uno rispetto all’altro. L’oggettoda esaminare è quindi posto tra di essi, edattraversato dalla luce polarizzata.

Da tutto questo bene si intuisce perché quan-do i due filtri polarizzatori sono in posizione“incrociata” (sono cioè con i piani di polariz-

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zazione rispettivamente perpendicolari) ilcampo del microscopio è scuro e il fascio diluce, polarizzato dal primo filtro, viene ferma-to dal secondo.

Se l’oggetto attraversato da luce polarizzataha la proprietà di influire sullo stato di pola-rizzazione della luce, è cioè anisotropo, allorail piano di polarizzazione della luce che hasuperato il campione ruota e l’oggetto saràvisto come luminoso e colorato su un fondoscuro (nero).

I bellissimi colori di polarizzazione (o di inter-ferenza) del capello sono dovuti alle differen-ze di spessore o di qualità della cheratina;cioè a ritardi nel cammino ottico dell’ondadella luce dovuti a differenze tra gli indici dirifrazione per i diametri e per l’orientamentocristallografico.

La proteina cheratinica produce cioè ritardid’onda nel fascio di luce bianca che attraversail capello secondo la “scala dei colori diNewton”.

Si hanno poi ritardi dovuti al pigmento mela-ninico, più il pigmento e granuloso più l’ondaè lenta ed il colore vira verso il blu e verde,

più il pigmento è diffuso più l’onda è veloceed il colore vira verso il rosso ed il magenta.Queste interferenze (ritardi ) o “colori di com-pensazione” mutano il valore della birifran-genza.Gli elementi ottici del microscopio polarizza-tore sono di vetro accuratamente selezionato,esente da tensioni interne, cioè da birifran-genza interna; in altre parole i loro compo-nenti non devono avere proprietà depolariz-zanti. Devono essere accuratamente protettida variazioni di temperatura ed usati con deli-catezza per non alterarne le proprietà.Si utilizzano obiettivi acromatici quando sidevono osservare oggetti debolmente anisotro-pi, oppure quando si vogliano effettuare misu-re (per avere il riferimento del colore inbande è indispensabile l’uso del micrometro,così da conoscere il diametro reale del capel-lo). L’impiego di lenti in vetro garantisce ingenere le proprietà polarizzanti di questiobiettivi, che Leitz indica con “P”. Obiettivi abirifrangenza interna non totalmente correttasono quelli alla fluorite e apocromatici, siste-mi comunque utili per le osservazioni piùgrossolane e per il lavoro fotomicrografico.Altri tipi particolari di obiettivi sono sistemi alunga distanza frontale per l’uso con tavolinigirevoli che permettono l’orientamento spa-ziale del campione. E possibile riconoscere unobiettivo non adatto per la microscopia inluce polarizzata semplicemente osservandonel microscopio, senza alcun preparato, con ipolarizzatori incrociati, ogni presenza di luceindica tensioni nel vetro, e quindi l’obiettivonon è adatto.Importante è la possibilità di centratura delleottiche, in modo che l’asse di rotazione del-l’oggetto sia coincidente con l’asse ottico delmicroscopio. Gli oculari non presentano particolari diffe-renze rispetto a quelli impiegati normalmen-te.

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Il condensatore è un normale condensatoreper campo chiaro a due o più lenti, nellaparte inferiore o superiore del porta lampadaè alloggiato il filtro polarizzatore.

Il capello come struttura

Il capello è una fibra molto complessa costi-tuita da varie componenti e da differenti costi-tuenti chimici.

Componente inorganicaCarbonio 49- 50.5 %Idrogeno 6.4 - 6.5 %Ossigeno 21 – 26.6 %Zolfo 4 – 5 %Azoto 14 – 16 %

Componente organica:Proteine 70 - 80%Acqua 10 - 15%Lipidi 3 - 6%Residui minerali 0,3 - 0,9%Carboidrati 0,1 - 0,5%Pigmento 0 - 1%

Amminoacidi della cheratina dura del capello(in %)

Amminoacidi con catena laterale di tipo idro-carburo

1 glicina 4,1 - 4,22 alanina 2,8 - 3,53 valina 5,5 - 5,94 leucina 6,4 - 8,35 isoleucina 4,7- 4,86 fenilalanina 4,1 - 4,27 prolina 4,3 - 9,6

Amminoacidi con catena laterale di tipo idros-silico8 serina 7,4 - 10,69 treonina 7,1 - 8,510 tirosina 2,2 - 3,0

Amminoacidi con catena laterale di tipo acido11 acido aspartico 3,9 - 7,712 acido glutammico 13,6 - 14,2

Amminoacidi con catena laterale di tipo basi-co13 arginina 8,9 - 10,814 lisina 1,9 - 3,115 istidina 0,6 - 1,2

Amminoacidi con catena laterale di tipo ete-rociclico16 triptofano 0,3 - 1,3

Amminoacidi con catena laterale con conte-nuto di zolfo17 cistina 16,6 - 18,018 metionina 0,7 - 1,0

La maggior parte delle proteine cheratinichesono contenute nelle cellule corticali. La pro-teina cheratinica è una fibro-proteina construttura secondaria ad alfa-elica, le cui carat-teristiche sono:

- la catena polipeptidica si avvolge intorno alproprio asse formando un’elica destrogira;

- tutti gli atomi che partecipano al legamepeptidici giocano sullo stesso piano;

- Il passo dell’elica (cioè la misura di un girocompleto dell’elica intorno all’asse) è di 5,4 Åe contiene 3,6 amminoacidi.

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L’intera struttura polipeptidica è stabilizzatada legami o ponti a idrogeno che vengono aformarsi tra l’atomo di H (azoto) del legamepeptidico di un amminoacido e l’O del carbo-nile dell’amminoacido successivo in fase, cioèquattro posizioni più avanti nell’elica.

Questa struttura conferisce alle molecolecaratteristiche di stabilità e flessibilità nellostesso tempo.I legami o ponti salini situati entro le catenepolipeptidiche fanno parte integrante dellastruttura della fibra cheratinica con comples-si coordinati con catene laterali delle protei-ne.I legami a idrogeno del tipo di quelli che sonopresenti nelle alfa-eliche o nella cheratinaamorfa si possono rompere e riformare intempi che vanno da alcuni nanosecondi adalcuni picosecondi. Rotazioni di gruppi intor-no ad un legame C-C possono impiegare da

qualche microsecondo a qualche millisecon-do, e gli atomi terminali di una catena latera-le R possono subire ampi spostamenti. Le pro-teine, sia nel cristallo sia in soluzione, sonocircondate da uno strato di molecole d'acquainoltre ne contengono altre al loro interno edi queste ultime, una o due possono esserelegate a uno ione metallico attraverso legamidi coordinazione, altre possono essere legate,tramite legami a idrogeno, tra di loro e congruppi polari posti in una cavità, altre ancorainteragiscono con i gruppi polari della super-ficie. Sono queste interazioni a rendere solu-bile la proteina.Le molecole d'acqua possono scambiare i loroatomi di idrogeno con i gruppi OH e NH dellaproteina. Anche quando gli atomi di idrogenodei gruppi NH peptidici sono coinvolti in lega-mi a ponte di idrogeno in strutture rigidequali le alfa eliche, che non permettono unfacile accesso all'acqua, i moti dinamici dellaproteina fanno si che questi legami si possanorompere momentaneamente.

L’intera struttura polipeptidica è stabilizzatadai ponti a idrogeno che vengono a formarsitra l’atomo di ossigeno (O) del carbonile del-l’aminoacido successivo in fase, cioè quattroposizioni più avanti nell’elica. In pratica ognilegame peptidico partecipa alla formazione diun ponte d’idrogeno, realizzandosi così ilmassimo numero di ponti possibile.

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Il legame ionico è il ponte idrogeno che deri-va dall’attrazione di due atomi carichi negati-vamente su uno ione H comune.Dunque i legami salini sono interazioni elet-trostatiche e si formano con l’unione elettro-statica di gruppi laterali di amminoacidi dinatura acida o basica. Si calcola che i legamisalini lungo l’alfa-elica si verifichino ogni duegiri di spirale, cioè due volte più frequenti deilegami disolfurici. I legami più forti sono ilegami cistinici; questi sono caratteristicidella fibra cheratinica. La loro frequenza ècalcolata 1 ogni 4 giri di elica. La formazionedi un legame, o ponte di solfuro (-S-S-), tra igruppi (-SH-) di due molecole di cisteina portaalla formazione di una molecola di cistina,questi legami possono formarsi sia tra i puntidistanti di una stessa catena, sia tra due diver-se catene. Ricordiamo che la proteina cherati-na del capello ha un totale di 18 amminoaci-di. Oltre a ciò si trovano tracce di elementiminerali che possono avere un ruolo nellacomposizione di pigmenti, più frequentemen-

te Ca, Cd, Cr, Cu, Hg, Zn, Pb, Fe, As, Si, oltreal pigmento questi elementi fanno con i pontisalini, parte integrante della struttura ai com-plessi coordinati con catene laterali della pro-teina cheratina. Nel capello sono presentimolte cheratine con variabile rapporto e dis-tribuzione di amminoacidi e perciò potenzial-mente capaci di avere comportamenti chimicidiversi.Le cellule della corticale del capello sonocomplesse reti proteiche. La corteccia o “cor-ticale” è costituita da cellule pigmentate, ric-che di melanina, che formano i cosiddetti“fusi” o “cellule fusiformi”. I fusi si formanoper tappe successive. Inizialmente si legano“testa-coda” le catene proteiche filamentosedi cheratina. Successivamente, come secondatappa, si formano ponti disolfuro, tra le mole-cole di cisteina (che diventa cistina) del fila-mento cheratinico, che porteranno al formar-si della tipica alfa elica della cheratina (chera-tina alfa). La terza tappa si realizza per il lega-me tra filamenti diversi di cheratina alfa tra-mite ponti disolfuro fra molecole di cistina. Siformano così lunghe catene di alfa cheratinalegate insieme due o tre alla volta a costituireil “protofilamento” o “protofibrilla”. Allaquarta tappa più protofilamenti (sei o sette)vengono cementati fra di loro dalla matriceamorfa proteica, ricca di aminoacidi solforati,sempre con ponti disolfuro, a costituire l'enti-tà elementare della struttura cheratinica: il“tonofilamento” o “microfibrilla” (circa 85A° di diametro). Infine, un grande numero ditonofilamenti, sempre uniti fra di loro daponti disolfuro, costituiscono un “fuso” o“cellula fusiforme della corticale”; molti fusiformeranno infine la corticale del capello.Tra un fuso e l'altro si trovano granuli di pig-mento melanico e bollicine d'aria; la densitàdel pigmento e la quantità delle bollicinedetermineranno il colore del capello. Il pro-cesso di cheratinizzazione si completa solo a

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livello del colletto del pelo.

Riassumendo in un modo semplice possiamoripeterci così:I capelli sono costituiti dall’alfacheratina.Questa proteina è composta da catene diamminoacidi in cui figurano prevalentementeglicina e leucina, con altri sedici che giocanoun ruolo ugualmente importante. Molti degliamminoacidi hanno gruppi laterali ingom-branti, come la leucina, e alcuni hanno atomidi zolfo. La catena polipeptidica forma un’eli-ca destrosa, chiamata alfa-elica, che possiedeuna forma mantenuta dai legami di idrogeno(un legame formato da un atomo d’idrogenocollocato fra due atomi elettronegativi) esi-stenti fra i diversi amminoacidi. Tre di questeeliche destrose si avvolgono l’una attornoall’altra in una serpentina sinistrosa, dovesono tenute unite da più legami d’idrogeno eda alcuni ponti sulfurei. I ponti sulfurei sistendono fra amminoacidi che contengonoatomi di zolfo. Da sette a undici di queste ser-pentine si raggruppano intorno ad altre due,dando luogo a una micro fibrilla di massimoundici serpentine, ognuna costituita da trealfa-eliche. Centinaia di queste microfibrillesono incluse in una matrice proteica amorfaper formare una macrofibrilla e questemacrofibrille si raggruppano per dar luogo aun fuso della corticale. Un capello, a suavolta, è costituito da un insieme di queste cel-lule fusiformi. L’estensibilità dei capelli èdovuta alla capacità della loro struttura estre-mamente attorcigliata di distendersi, anchefino al punto di svolgere le alfa-eliche, quandoi legami d’idrogeno che la modellano si spez-zano. La forma si ripristina quando vieneallentata la tensione, perché i ponti sulfureisopravvivono alla deformazione e richiudonodi scatto il polipeptide nella sua disposizioneelicoidale.

L’accrescimento e la differenziazione dellecellule danno origine a tutte le cellule cheandranno a formare la corteccia e la cuticola.Nella regione germinativa fino al collo dalbulbo le cellule si differenziano in cristallizza-zione, così, permettendoci di vederne la loroapoptosi. Queste cellule sono sottili e ricchedi fibrille, più sopra nella regione di preche-ratizzazione le fibrille vanno a maturareentrando nella zona di cheratinizzazione eformano la cheratina matura.

I capelli ed i peli sono derivati epidermici che-ratinizzati che si impiantano nel derma eaffiorano alla superficie cutanea. La loro lun-ghezza, lo spessore e la distribuzione varianoin relazione alle diverse sedi anatomiche, alsesso, all’età e alla razza. Il segmento delcapello che emerge sulla superficie si defini-sce fusto o stelo, e la zona di impianto nelderma al di sopra del collo del bulbo si diceradice. La radice termina in profondità conun’estremità slargata, dove in profondità alsuo interno si proietta una papilla conica ric-camente vascolarizzata e innervata. La radiceed il bulbo sono accolti in una invaginazionedell’epidermide, nel derma, chiamata follico-lo pilifero, che si porta in profondità con undecorso obliquo. La parete del follicolo risul-ta formata da due strati: uno connettivale,definito guaina del follicolo, che si continuacon il derma, ed uno interno di natura epider-mica, definito guaina della radice.

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La guaina della radice è formata da uno stra-to esterno ed uno interno. La guaina esternaè in continuazione con l’epidermide di super-ficie ed è formata principalmente dallo stratobasale spinoso, mentre la guaina interna risul-ta formata da tre strati, che possono conside-rarsi una modificazione degli strati epidermi-ci superficiali: - lo strato di Henle, in continuità con lo spino-so dalla guaina esterna, formato da uno duestrati di cellule cubiche contenente granuli dieleidina, - lo strato di Huxely formato da cellule parzial-mente corneificate ricche di eleidina, - un sottile strato di squamette cornee embri-cate, la cuticola.

In profondità la guaina interna della radice sicontinua con l’epitelio del bulbo, formato dacellule cilindriche che contornano la papillaconnettivale. Tali cellule definite “matrice delcapello”, sono equivalenti allo strato germina-tivo dell’epidermide e sono il compartimentoproliferativo del capello. Il capello è così for-mato internamente dal midollo dove può esse-re presente in forma continua o discontinua orisultare completamente assente (presentesempre nei capelli bianchi e quasi sempre incapelli con diametro superiore a 80 micron);la “corteccia” che costituisce la strutturaprincipale ed, all’esterno, vi è la “cuticola”formata da lamelle embricate con la partelibera rivolta verso la punta del capello.

Tricoanalisi microscopicain luce polarizzata

Parlando di “tricoanalisi microscopica” siapre un intero “mondo”, complesso e di nonrapido apprendimento.In questa sede possiamo solo fare alcuniesempi di esame microscopico del capello inluce polarizzata che riteniamo facilmentecomprensibili ed al contempo significativi.

Come si osserva un capello al microscopio inluce polarizzata

L’esame tricologico in microscopia in lucepolarizzata prevede l’estrazione di una picco-la quantità di capelli (dai 15 ai 20), tramiteuna pinza emostatica, in un punto del verticedella testa.Viene allestito un vetrino con dell’olio daimmersione su cui vengono appoggiati e alli-neati i capelli estratti, dalla parte dei bulbi, eil tutto viene coperto da un vetrino copri-oggetti e osservato al microscopio.

Esecuzione e preparazione dei vetrini

Una buona preparazione dei vetrini permette-rà una valida interpretazione ed analisi delpreparato.

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Gli obiettivi sono sensibili allo spessore delvetrino copri-oggetto. Se questo non è adattopuò risultare un evidente scadimento d’imma-gine. Lo spessore migliore di un vetrino copri-oggetto è di m 0,17.

Le fasi di montaggio del vetrino sono:

- vetrino- olio di immersione o collante- capello o capelli- vetrino copri-oggetto.

- Pinze emostatiche che servono per estrarrele ciocche.- Il punto di estrazione sul cuoio capelluto èl’incontro di una linea immaginaria tracciatadal naso fino alla protuberanza occipitaleesterna e una seconda linea che possa da orec-chio a orecchio sul frontale.

Come appaiono le strutture di un capello almicroscopio in luce polarizzata

Il bulbo

Il bulbo di un capello in anagen appare dicolore nero, perché ci sono cellule in attivitàbiologica, di replicazione (mitosi).Quando le reazioni biologiche sono termina-te, cioè le cellule si sono evolute verso il lorodestino di cheratinizzazione, avviene la cri-stallizzazione, che una volta attraversata dalfascio della luce polarizzata dà i vari coloriper il ritardo d’onda che provoca. Quindi, uncapello che è arrivato alla fase catagen e telo-gen, dove non c’è più l’attività mitotica delbulbo, presenterà un bulbo, non più nero maluminoso e colorato.

Fra le tante osservazioni che si possono fare aquesto livello, è particolarmente facile edinteressante valutare gli indici di vitalità delcapello:

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- La forma della zona cheratogenaAl di sopra del collo del bulbo, si vede chiara-mente al microscopio a luce polarizzata, laforma della zona cheratogena come una zonatriangolare (o conica “tridimensionalmente”)chiara. Questa forma è dovuta alla papilla,inglobata nel bulbo, che “alza” la zona cen-trale germinativa. Più il triangolo è acuto, piùle cellule della matrice sono attive, più lungosarà l’anagen in esame.

Più la zona cheratogena è piatta, più brevesarà l’anagen in esame, poiché le cellule ger-minative si riproducono più lentamente, icicli follicolari sono inibiti ed il ciclo delcapello è più veloce.

Se la corretta forma triangolare della zona dicheratinizzazione è alterata e questa tende adarrotondarsi, ad appiattirsi, significa che l’ini-zio della cheratinizzazione è anticipato e che(funzionalmente) la papilla non è più integral-mente inglobata nel bulbo ma ne è parzial-mente distaccata. Siamo, cioè, di fronte ad uncapello che si sta miniaturizzando ed avrà unciclo sempre più breve.

- La profondità follicolareLa lunghezza della guaina ci permette diconoscere la profondità del follicolo e delbulbo, poiché la distanza fra l’infundibolo el’ostio è una misura fissa (mediamente 1,5mm) mentre è variabile quella fra ostio ebulbo. La profondità follicolare normale perun anagen VI è di circa 5 mm. La profonditàfollicolare ci dà un’idea del numero dei futuricicli vitali di quel capello, sempre che nonintervengano impreviste “noxe patogene dis-turbanti”.

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- Il diametro del bulboLa profondità follicolare è chiaramente anchein rapporto con lo stato di cheratinizzazione equindi con il diametro dello stelo, a livellodella radice, che è facilmente misurabile con

il micrometro e che diminuisce con il progre-dire della miniaturizzazione.

Tricogramma in luce polarizzata

Nel follicolo si alternano cicli di crescita ecicli di riposo: normalmente ogni volta che uncapello in telogen è caduto il follicolo neforma uno nuovo in anagen.

Data la Babele terminologica imperante in“tricologia” dobbiamo precisare che si inten-de per:

- anagen la fase di crescita del capello caratte-rizzata dalle veloci mitosi delle cellule dellamatrice e differenziabile in 6 sottofasi,

- catagen la fase che va dalla fine delle mitosidella matrice fino alla scomparsa della guainainterna del capello e di ogni attività metaboli-ca. È caratterizzata dal formarsi di una colon-na di epiteliociti che, collegando la papilladermica con il bulbo del capello in involuzio-ne, si restringe innalzandosi fino all’infundi-bulo. La fine delle attività metaboliche e lascomparsa delle guaine segnano il passaggiodel capello alla fase telogen,

- telogen è la fase del capello che cade, questosi ha (in un ciclo perfetto) solo dopo l’attiva-zione delle cellule staminali dell’istmo (delbulge) contemporaneamente alla ricolonizza-zione della matrice (secondo germe) e durasolo pochi giorni.

L’esame microscopico dei capelli, “tricoanali-si in luce polarizzata”, sicuramente perfezio-nabile in futuro, consente di ripartire i bulbiestratti con pinza di klemmer in “categorie”fra cui:

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1) anagen VI terminali e perfetti2) anagen VI comuni3) anagen pseudodisplasici4) anagen displasici5) anagen alopecici6) anagen vellus7) anagen distrofici8) catagen I9) catagen II10) catagen III11) catagen prematuri12) telogen maturi13) telogen prematuri o alopecico-miniaturizzati, fornendoci un orientamentosulle cause della alopecia.

La tecnica usata è semplice e di relativamentefacile applicazione, richiede un microscopioottico (composto) a luce polarizzata, meglio semunito di filtri 1/4 lambda.

Si osserva ora i colori di cristallizzazione.La alfa cheratina, fibroproteina dei capelli, èinfatti una cristallizzazione biologica, unaorganizzazione di catene polipeptidiche dis-poste in asse a formare alfa-eliche con sequen-za ripetitiva.

I colori che appaiono alla luce polarizzatasono dovuti alle differenze di spessore dell’og-getto osservato, cioè ai ritardi d’onda nel cam-

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mino ottico della luce, oltre che al suo orien-tamento cristallografico ed ai pigmenti conte-nuti che comportano le differenze degli gliindici di rifrazione, cioè dei colori visibili.

La nostra classificazione diagnostica è stataelaborata sapendo che le caratteristiche dibirifrangenza e le differenze di cammino otti-co nella “proteina cheratina”, comportanol’appartenenza di un colore ad uno specificoordine strutturale e molecolare (tecnica dellelamine ellittiche).

Conoscendo, con il micrometro incorporatonell’oculare, il dato preciso dello spessore delcampione in esame, la relazione:

Ritardo = PigmentoBirifrangenza = colore = _____________

Spessore = Diametro

permette di abbinare ad ogni colore la quali-tà, o “competenza”, della fibra cheratinica instudioIl ritardo d’onda è valutabile in base alla scaladei colori di Newton (pag. 42), ed il colore dicompensazione viene determinato in base alla

sequenza delle frequenze dei colori dovutaalla rotazione dell’oggetto.Questo metodo permette una nuova visione“qualitativa “del capello che possiamo chia-mare: “tricoanalisi microscopica in luce pola-rizzata.

- AnagenFase di crescita del capello.È suddiviso a sua volta in 6 sottofasi che ini-ziano con l’avvio dell’attività mitotica dellecellule staminali proseguono con la discesa

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della parte inferiore del follicolo che va a rag-giungere la papilla, con la colonizzazionedella matrice, poi con la comparsa della guai-na epiteliale interna e infine con la comparsadel pelo che via via si allunga fino a raggiun-gere e superare l’ostio follicolare. Il periodo anagen dura in media 2 - 4 anninell’uomo e 3 - 7 anni nella donna. Questocapello, ben ancorato con le sue guaine, puòessere estratto solo esercitando una forte tra-zione ed il trauma sarà accompagnato damodesto dolore.

- CatagenFase di progressivo rallentamento delle variefunzioni vitali. Inizia con l’arresto dell’attivi-tà dei melanociti subito seguita dal bloccodelle mitosi della matrice.

Quando inizia la fase catagen la matrice,comunemente intesa, degenera e la papillarimane unita al bulbo solo mediante una spe-cie di “sacco”, formato dalla guaina epitelialeesterna che contiene le ultime cellule prodot-te dalla attività mitotica sotto forma di unalunga colonna di cellule epiteliali ed il capelloassume un caratteristico aspetto a “coda ditopo”.Questo sacco di cellule epiteliali (in movimen-to di risalita verso l’alto) si disconnette poidalla papilla e risale fino all’istmo (catagen I,

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II, III, entrando poi il capello in telogen I edopo telogen II ) in qualche modo attivandole cellule staminali del bulge e queste ultime,in rapida mitosi, con un processo simile aquello che si osserva nella formazioneembriologica del pelo primitivo, migranoverso il basso colonizzano nuovamente lazona della matrice e danno inizio ad unnuovo anagen I.

Progressivamente si assiste alla scomparsadella guaina epiteliale interna.

Durante Il catagen, se l’attività mitotica dellamatrice è cessata, l’attività metabolica dellecellule del sacco è addirittura esaltata per pre-parare il follicolo al nuovo anagen: il capello

in catagen produce attivamente estrone daestradiolo, da androstenedione e da testoste-rone. Produce cortisone da cortisolo. Il bloc-co della fosforilasi e l’esochinasi esaltata por-tano alla produzione, da glucosio, di glicoge-no che viene accumulato nella guaina epite-liale esterna e nella guaina connettivale.Solo la scomparsa della guaina epitelialeinterna e la fine delle attività metabolichesegnano il passaggio del capello dal catagen altelogen. La fase catagen viene suddivisa sulcapello estratto in tre sottofasi: catagen I, II,III.

Catagen Iil bulbo è a campana, come nell’anagen, matotalmente cheratinizzato = cristallizzato, leguaine sono ben rappresentate e queste inglo-bano la zona cheratogena, che è pigmentata,e la sola zona a bassa cheratinizzazione dellaradice è assottigliata

Catagen IIil bulbo assume forma clavata, le guaine sonoancora visibili anche se ridotte e maggiormen-te disidratate, la zona cheratogena è pigmen-tata, la radice è sottile.

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Catagen IIIil bulbo è clavato, la pigmentazione della zonacheratogena e le guaine sono ormai distingui-bili solo con il microscopio polarizzatore ocon fini tecniche di colorazione, la radice èsottile.Classicamente si dice che il catagen duramediamente 15 giorni, ma già la banale osser-vazione di tutto quanto accade nel catagendovrebbe porre il dubbio di una sotto valuta-zione.Inoltre dall’inizio del catagen (catagen I) al

momento dell’attivazione del bulge (catagenIII) il capello deve risalire nel follicolo per 3 -6 mm. Questo non alla velocità normale dellacrescita del capello (≈ 0,3 mm al giorno ≈ 10mm al mese), perché non esiste più una matri-

ce in mitosi, ma alla velocità assai minore delricambio dell’epidermide (66, 5 micron algiorno ≈ 2 mm al mese)

- TelogenFase di riposo funzionale. È il periodo termi-nale del ciclo durante il quale il capello sitrova ancora nel follicolo pilifero ma in cui leattività mitotiche e metaboliche sono comple-tamente cessate. Il capello in telogen non hapiù guaine e cade mentre contemporanea-mente il follicolo (in un ciclo perfetto) è già infase IV anagen. Ovviamente i capelli in telo-gen, privi di guaine, possono essere facilmen-te asportati (senza dolore) se si esercita unatrazione anche modesta.

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Il bulbo, ormai atrofico, è di aspetto trasluci-do e si presenta tipicamente “a clava”, comeuna capocchia di spillo alla base del capello.Classicamente si dice che il capello in telogen,prima di cadere, rimane sul cuoio capellutoper ancora 90-100 giorni.

Nell’essere umano, a differenza degli animali,il ricambio dei capelli avviene a “mosaico”,cioè ogni follicolo produce il suo capello indi-pendentemente da quelli vicini; in questomodo non si alternano, come per gli animali,periodi in cui si hanno i capelli a periodi incui questi non ci sono (muta).

Per percentualizzare la quantità dei capelli inanagen o in telogen è universalmente diffusoil “tricogramma” e sulla base di questo esamesi afferma che su un cuoio capelluto “norma-

le” circa l’85% dei capelli è in anagen, il 13 -15% in telogen e solo 1 - 2% in catagen.

Il tricogramma realeTutto questo però è vero solo se i capelli ven-gono esaminati in microscopia tradizionale,spesso dopo troppo tempo dalla loro estrazio-ne, quindi a guaine ormai disidratate, e senza

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fare alcuna valutazione con metodi enzimo-colorimetrici; esattamente come fece VanScott e standardizzò nel 1957.Così si continua passivamente a scrivere,“copiare” ed ad insegnare ciò che ormai èconsiderato “classico ed indiscutibile”, senzaalcun senso critico.Oggi se per fare un tricogramma si usa unmicroscopio a scansione d’immagine oppureun microscopio a luce polarizzata che permet-ta una visione ottimale delle guaine, se si hal’accortezza di esaminare immediatamente icapelli estratti ed in olio da immersione (oliodi cedro) o se si usano metodi enzimo-colori-metrici che evidenzino l’attività metabolicadelle cellule del “sacco” si può osservare che,in percentuale, i capelli estratti sono:

- Anagen 80%- Catagen 19%- Telogen 1%

Questo è quindi il vero tricogramma!

Poiché non vi sono più residui di guaine neltelogen, i capelli, raggiunto il telogen, fuorie-scono subito dall’infundibulo e la loro verapercentuale al tricogramma è minima; men-tre i catagen, che mantengono ancora guaineed attività metabolica si possono trovare indiversi periodi di senescenza: si descrivonoperciò catagen I, II, III.Con il tricogramma “classico” (secondo VanScott), senza usare un microscopio a lucepolarizzata e/o fatto su capelli non immersiin mezzo idoneo (o non fissati adeguatamentein balsamo del Perù) ed esaminati non imme-diatamente, i catagen I vengono fatalmenteconfusi con gli anagen e i catagen III confusicon i telogen, alterando sensibilmente la “for-mula pilare”.Al microscopio a luce polarizzata i colori delbulbo ci dimostreranno che il capello è in

catagen e la sua profondità (distanza bulboistmo = lunghezza della guaina) ci dirà chiara-mente che stadio catageno stiamo osservando.Con tutto questo il “tricogramma classico” èun esame standardizzato che si porta dietroun errore ormai standardizzato e pertanto ivalori che ci da sono sempre comparabili e lededuzioni diagnostiche che ne derivano sonocomunque accettabili.

Il tricogramma ci dà un orientamento sullecause della caduta in atto, ad esempio, in casodi telogen effluvium (da stress o post-gravidi-co o altro) saranno presenti quasi esclusiva-mente telogen “maturi” in numero anchemolto elevato e qualche catagen.Nell’alopecia androgenica saranno invecequantitativamente rilevanti i telogen “ prema-turi” , che con facilità, arrivano e superano il20 - 25% e si presenta il fenomeno della puntadi Malpighi alla base del bulbo.Nell’alopecia areata si troveranno percentualiapprezzabili e variabili di catagen, anagen dis-trofici o più raramente displasici, cioè conbulbo assottigliato con cheratinizzazioneintermedia e privo di guaine.

L’osservazione delle guaine

Prima di inoltrarci nell’argomento dobbiamoricordare come la cute sia sede attiva di attivi-tà metaboliche e biosintetiche: sintesi diD.N.A., di R.N.A., ormoni, glicogeno, muco-polisaccaridi, ossidazione del glucosio, biosin-tesi lipidica (acidi grassi, steroli, squalene) eproteica, attivazione di alcuni steroli a vitami-ne (come la produzione di Vit. D2 da provita-mina D2 per effetto dei raggi ultravioletti)ecc.Questi fatti metabolici indicano chiaramenteche l’epidermide è dotata di attività enzimati-ca.

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L’energia per questi processi è fornita princi-palmente dal metabolismo del glucosio.È bene anche ricordare che (per quanto l’epi-dermide sia dotata degli enzimi specifici dellaglicolisi, dello shunt ossidativo e del ciclo diKrebs) parte del glucosio e dei trigliceridiviene convertita nella cute in acido lattico(una curiosità è notare che la formula brutadell’acido lattico, C3H6O3, corrisponde amezza molecola di glucosio, C6H12O6) e cheanche la biosintesi lipidica è ben presente eattiva (soltanto l’epidermide riesce a converti-re l’acetato C14 in colesterolo, usando comeprecursore lo squalene).

Quando si fa un esame microscopico inmicroscopia polarizzata su capelli estratti ascopo diagnostico particolare attenzione, dob-biamo porre alla osservazione delle guaine,poiché queste sono un indice importantedello “stato di salute” del capello.Le funzioni “certe” delle guaine per il capellosono: fornire ancoraggio e supporto metaboli-co-nutritivo al capello in sviluppo, controllarela cinetica delle cellule della regione del collodel bulbo, determinare la forma definitivadelle fibre cheratiniche.Quest’ultima funzione si realizza con la che-ratinizzazione (quindi l’indurimento) delleguaine della radice che inizia dall’esternoverso l’interno, della membrana vitrea (basa-le), già da metà della radice del follicolo edassai prima del capello. Così, ad esempio, se leguaine della radice sono cilindriche il capello,cheratinizzando, prenderà questa stessaforma.Le guaine, composte di cellule, sono assai ric-che di mucopolisaccaridi solforati. La guaina epiteliale esterna della radice è incontinuità con l’epidermide e ne è similenella struttura. Essa avvolge il follicolo pertutta la sua lunghezza, ma non circonda laparte inferiore del bulbo, mentre inizia all’al-

tezza del dotto della ghiandola sebacea. Lecellule della guaina epiteliale esterna conten-gono abbondanti granuli di glicogeno.Quella che estraiamo con la pinza, quandofacciamo un tricogramma, è invece la guainaepiteliale interna della radice, che ha tre strati(dal capello verso l’esterno: cuticola, Huxley,Henle).Questa guaina, le cui cellule cheratinizzando-si fasciano il capello a spirale, contieneabbondati mucopolisaccaridi, è ricca di “tri-coialina” morfologicamente simile alla chera-toialina epidermica (ma non biologicamentevisto che presenta un alto contenuto di argini-na) ed anche di una proteina chiamata“citrullina” (che si colora elettivamente inrosso brillante con 4 dimetilaminocinnamal-deide all’1% in HCl 0,5 N).Anche la guaina epiteliale interna cheratiniz-za (sempre dall’esterno verso l’interno) primadella corteccia del capello per poi desquama-re e perdersi a livello dell’infundibulo.Visivamente la guaina epiteliale interna iniziaall’altezza bulbo, che solo apparentementenon avvolge nel capello sano (lo avvolge visiva-mente nelle alopecie cicatriziali): la sua lun-ghezza ci indica la profondità del bulbo nellacute, dato assai importante, poiché la distan-za fra l’infundibulo e l’ostio è una misurasempre fissa (mediamente 1,5 mm) mentrequella fra ostio ed il bulbo varia col progredi-re della miniaturizzazione del pelo.

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Una comune alterazione delle guaine apparedovuta a due sostanze (“rifiuti metabolici”): ilprimo è l’acido lattico (C3H6O3) la cui forma-zione si ha a livello cuticolare della guainaepiteliale interna e porta a degrado della stes-sa guaina per effetto caustico e formazione dilattato (?).

La seconda è lo squalene, sostanza igroscopi-ca, che, specie se perossidata o epossidata,provoca danno per disidratazione dalla parteesterna della guaina epiteliale interna.La formazione di acido lattico sembra cheavvenga all’interno dell’infundibulo, dallaghiandola sebacea. La presenza dell’acido, almicroscopio, è ben evidente di colore neroalla luce polarizzata, in forma elicoidale tra lacuticola del capello e la guaina epitelialeinterna e scendendo verso la profondità ed ilbulbo sembra “consumare” la guaina epitelia-le interna che così appare come staccarsi

dalla cuticola ed “insaccarsi”. La guaina epi-teliale esterna rimane integra.

Lo squalene (così chiamato perché isolato perla prima volta dal fegato di squalo) è un idro-carburo aciclico alifatico fortemente igrosco-pico quando è a contatto con i mucopolisacca-ridi contenuti nelle guaine. Si forma da acidolattico e/o da trigliceridi attraverso l’acetil-coenzima A ed un’metabolita intermedio, l’a-cido mevalonico. Sembra arrivare allo stelodel capello dalla ghiandola sebacea.Normalmente dallo squalene si forma il cole-sterolo del film idrolipidico cutaneo.È possibile che alcune cellule non abbianonel loro patrimonio la sequenza enzimaticacompleta per la sintesi del colesterolo, mentrein altre che la possiedono, la sintesi, per moti-vi dismetabolici (eccessivo tono simpatico conblocco della lipasi), si arresti a livello dellosqualene.L’acido lattico, normalmente presente nelsudore ha, con l’acido glutammico e l’acidoaspartico, funzione tampone. Le sue alterazio-ni quantitative provocano oscillazioni del pHcui conseguono, per alterazione del ciclo diKrebs che ha il pH ideale a 7.35, variazioni disintesi anche dei grassi di superficie.Così a variazioni del pH conseguono variazio-ni nella composizione degli acidi grassi disuperficie e si delinea un parallelismo di com-portamento tra acido lattico e squalene.

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Si ha come “un cortocircuito” fra le duesostanze che, quando sono in eccesso, si auto-mantiene e porta ad un continuo degradodelle guaine. Lo squalene crea un danno,dall’esterno della guaina epiteliale interna,che inizia all’altezza del dotto della ghiandolasebacea. Lo squalene sembra penetrare tra lacuticola del capello e le guaine della radice.Al microscopio si osserva, come una macchiascura in luce polarizzata, che “sgretola” laguaina dall’esterno per disidratazione.Tutto questo, ovviamente, provoca danni nel

normale processo di sviluppo del capello condistrofia o displasia.Queste immagini (spirale da acido lattico emacchia scura da squalene) sempre presentinella alopecia areata e nel telogen effluvio,sono molto frequenti nelle forme di acuzie diun defluvio androgenetico.

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L’osservazione dello stelo

L’osservazione dello stelo comporta menoproblematiche, grazie alla interpretazionedelle bande (o colori di Newton).

Ritardo di frequenza:0 - 50 micron1° BANDA

0 nero40 grigio ferro97 grigio lavanda158 blu-grigio218 grigio chiaro234 bianco-grigio259 bianco puro267 bianco-giallo275 giallo paglierino chiaro281 giallo paglierino306 giallo chiaro332 giallo vivo430 giallo bruno505 arancione vivo536 rosso

50 - 70 micron2° BANDA

551 rosso scuro565 porpora575 violetto589 indaco664 blu-cielo728 blu verde747 verde826 verde chiaro843 verde-giallo866 giallo-verde910 giallo948 arancione998 rosso-arancione1101 rosso-viola scuro

70 - 90 micron3° BANDA

1128 viola-blu chiaro1151 indaco1258 blu-verde1334 verde-mare1376 verde-brillante1426 giallo-verde1495 rosa-carne1534 carminio

90 - 120 micron4° BANDA

1621 porpora scuro1652 grigio-viola1682 blu-grigio1711 verde mare scuro1744 verde-blu1811 verde chiaro1927 grigio verde chiaro2007 grigio bianco2048 rosso

Distinguiamo:

1) l’osservazione di uno stelo a livello delfusto:a) bianco naturale,b) colorato naturale,c) colorato artificialmente.

2) l’osservazione di uno stelo all’altezza, pre-supposta, dello sbocco del follicolo sulla cute.

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Osservazione di uno stelo a livello del fusto

a) L’osservazione di uno stelo di capello bian-co naturale non comporta problematiche par-ticolari grazie alla interpretazione dellebande fatta sulla base della scala dei colori diNewton.

- Un capello intatto normale e bianco naturale(non colorato) si presenterà giallo alla cuticola(50 micron), poi rosso (70 micron) alla cortec-cia, poi blu vicino al midollo (90 micron), poiverde (120 micron) nella sua zona più spessa.Va detto che però difficilmente un capello rag-giunge i 120 micron di diametro, forse solo inalcune popolazioni asiatiche. Lo spessore diun capello europeo è di circa 50 - 80 micron.

- Un capello bianco che ha subito una dannoleggero nella struttura cristallina, ad esempioda eccessivi lavaggi alcalini, si presenterà più“vuoto”, giallo e rosso (perdendo i colori dipolarizzazione verde e blu).

- Un capello bianco che ha subito un dannopiù forte si presenterà con colore dominantegiallo.

- Un capello artificialmente bianco, cioè deco-lorato, che ha completamente perso la struttu-ra cristallina, non presenterà più colori dipolarizzazione e si mostrerà al microscopiocome bianco - diafano

b) L’osservazione di un capello colorato, dicolore naturale (nero, castano, rosso, biondo),evenienza assai più frequente nella pratica cli-nica, mostrerà invece tutti i colori di polariz-zazione fino al verde perché, in questo caso,la cheratina contiene i pigmenti naturali, lemelanine, che faranno variare, rallentandola,la velocità dell’onda di luce polarizzata, e nonsarà possibile alcuna valutazione senza che ilmicroscopio sia corredato di un ocularemicrometrico, così da conoscere il reale dia-metro del capello in esame.

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I “colori di compensazione” saranno determi-nati dalla frequenze dei colori visibili durantela rotazione del vetrino e ogni colore compor-terà l’appartenenza della cheratina ad unospecifico ordine strutturale e molecolare.

Come già detto, solo conoscendo con il micro-metro il vero spessore del capello in esame, larelazione:

Ritardo = PigmentoBirifrangenza = Colore = _____________

Spessore = Diametro

permetterà di abbinare ad ogni colore la qua-lità, della cheratinica in esame.

c) L’osservazione di un capello colorato artifi-cialmente, presenta solo in parte le problema-tiche interpretative di un capello di colorenaturale e questo lascia vedere i granuli delpigmento artificiale, non melanico, fra lesquame della cuticola e nella parte più super-ficiale della corteccia.

Osservazione di uno stelo all’altezza presup-posta dello sbocco del follicolo sulla cute

All’altezza presupposta dello sbocco del folli-colo sulla cute si potrà valutare la presenza di“tappi dell’ostio”. I tappi dell’ostio potrannoessere di due tipi:

a) tappo corneo: si presenta come un conoche avvolge il capello con scaglie raggrumateirregolarmente, con sebo molto duro che trat-

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tiene le squame cornee, è tipico di situazionipatologiche che comportano ipercheratosicome la cheratosi pilare, la psoriasi, il lichenecc.

b) tappo sebaceo: si presenta, sempre all’altez-za presupposta dell’ostio follicolare ed appenaal di sopra delle guaine, molle senza tracce discaglie cornee, abbastanza consistente, è tipi-co della seborrea, della dermatite seborroica edel defluvio androgenetico

L’esame di vitalità ed il test del ciclo

Tramite la microscopia in luce polarizzata sucapello estratto e con un oculare munito dimicrometro, in modo semplice e senza neces-sità di colorazioni, si ha una chiara visualizza-zione di dati fondamentali quali ad esempio:- profondità follicolare, - diametro della radice, - forma della zona cheratogena.

Questi dati sono indici diretti della “vitalità”del follicolo e del capello.Quando preleviamo dei capelli con la pinzane estraiamo anche la guaina interna dellaradice.Ricordiamo ancora che la guaina epitelialeinterna desquama e si perde a livello dell’in-fundibulo, solo apparentemente inizia subitosopra il bulbo che sembra non avvolgere (senon nelle alopecie cicatriziali), in realtà laguaina epiteliale interna inizia al livello ger-minativo della matrice.La lunghezza della guaina ci permette diconoscere la profondità del follicolo e delbulbo, poiché la distanza fra l’infundibulo el’ostio è una misura fissa (mediamente 1,5mm) mentre è variabile quella fra ostio ebulbo. La profondità follicolare normale perun anagen VI è di circa 5 mm. La profonditàfollicolare ci da una idea del numero dei futu-ri cicli vitali di quel capello, sempre che nonintervengano impreviste “noxe patogene dis-turbanti”.La profondità follicolare è chiaramente anchein rapporto con lo stato di cheratinizzazione equindi con il diametro dello stelo a livellodella radice, facilmente misurabile con ilmicrometro, che diminuisce con il progrediredella miniaturizzazione.Al di sopra del collo del bulbo, si vede chiara-mente, al microscopio polarizzatore, la formadella zona cheratogena come una zona trian-

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golare (o conica: “tridimensionalmente”)chiara, questa forma è dovuta alla papilla,inglobata nel bulbo, che “alza” la zona cen-trale germinativa.Più il triangolo è acuto, più le cellule dellamatrice sono attive, più numerose sono lemitosi, più lungo sarà l’anagen del capello inesame.Più la zona cheratogena è piatta, più brevesarà l’angen del capello in esame poiché evi-dentemente le cellule germinative si riprodu-cono lentamente, i cicli follicolari sono inibiti(da un calone?) ed il ciclo del capello è quindipiù veloce.Se la corretta forma triangolare della zona dicheratinizzazione è alterata e questa tende adarrotondarsi od appiattirsi significa che l’ini-zio della cheratinizzazione è anticipato e che(funzionalmente) la papilla non è integral-mente inglobata nel bulbo ma ne è parzial-mente distaccata.Siamo cioè di fronte ad un capello che si staminiaturizzando ed avrà un ciclo sempre piùbreve (potenziale di miniaturizzazione).

Di fatto:- in un effluvio in telogen acuto (telogen efflu-vio di Kligman) troviamo una zona cheratoge-na appiattita, ma tipicamente una ottima pro-fondità follicolare,

- in un effluvio in telogen cronico (situazionemolto comune nella donna intorno a 30 anni)la zona cheratogena è solo arrotondata ma laprofondità ed il diametro bulbare tendono adiminuire rispetto ai valori “ideali”,

- in un defluvio in telogen androgenetico lazona cheratogena appiattita si accompagna adun diametro bulbare ed a una profondità delfollicolo sempre più scarsa, segno chiaro diprogressiva miniaturizzazione.

Tramite la microscopia in luce polarizzata siha una chiara visualizzazione di dettagli qualiad esempio:

1) Anagen:- profondità follicolare- triangolo (o cono) di vitalità (valutazione otest di vitalità)- diametro della radice- displasia bulbare- distrofia bulbare- anagen VI terminale ideale- anagen VI terminale- anagen pseudodisplasici- anagen displasici- anagen alopecici- anagen vellus- anagen distrofici

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2) Catagen:- guaine- corona cheratinica- displasia prematura- distrofia- catagen I- catagen II- catagen III- catagen prematuri

3) Telogen:- maturo- prematuro o miniaturizzato- alopecico , con discontinuità o “stacco”, dicheratinizzazione- vellus- telogen alopecico miniaturizzato- telogen vellus

Si può classificare e valutare la qualità protei-ca prodotta dalla matrice all’interno delbulbo (qualità di cheratinizzazione) e non piùla sola forma del bulbo.In conclusione:- la valutazione obiettiva microscopica e mor-fologica della forma del bulbo, solo con unalunga esperienza e una buona conoscenza cli-nica del capello permette d arrivare ad unadiagnosi ed a conclusioni comunque sempre“personali”,- la tecnica della microscopia in luce polariz-zata (“tricoanalisi in luce polarizzata”) darisposte qualitative e quantitative molto piùfacili, sicure ed oggettivabili.

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Le caratteristiche istocolorimetriche delcapelli esaminati, evidenziabili con la micro-scopia in luce polarizzata, ci permettono, conun po’ di esperienza ed intuizione, una valu-tazione del loro destino.

Chiamiamo anche questa tecnica diagnostica“test del ciclo del capello” .

- Potremo capire quale è il “momento anage-no” in cui si trova il bulbo.

- Quale è “il tempo di mitosi” delle cellule ger-minative dei bulbi esaminati (di norma intor-no alle 24 - 36 ore), il che ci darà anche indi-cazioni sulle cause di accorciamento dell’ana-gen.

- Valuteremo “la presenza di bulbi grigi”; ilbulbo anagen può apparire grigiastro quandoc’è un’interferenza nella replicazione cellula-re dell’anagen, come avviene, per esempio,nelle anemie da carenza di ferro. Gli anagencon bulbi grigi osservati al microscopio inluce bianca, possono essere confusi con cata-gen o telogen, apparendo trasparente il bulbo.Questo va ad alterare la reale percentuale dianagen, sovrastimando la quota di catagen otelogen. Una fine distinzione può essere effet-tuata solo in luce polarizzata dove i bulbigrigi possono essere classificati come anagen.

- Vedremo la qualità e “il grado di cheratiniz-zazione” sono indici importanti di salute delcapello.

- Valuteremo “la profondità follicolare”; un’al-terazione della profondità follicolare, perqualsiasi noxa, si ripercuote sulla capacità dicheratinizzazione del capello. Più la noxa èintensa e/o protratta nel tempo, sempre piùprecoce sarà l’insulto all’interno del ciclo pila-re. Il risultato sarà una compromessa cherati-nizzazione fin dai primi stadi del ciclo, di cuipossiamo trovare tracce nei catagen e addirit-tura negli anagen, tracce che sono visibili soloin luce polarizzata e non distinguibili in lucebianca. Allora, il reperto di un anagen conalterata cheratinizzazione risulterà utile perla prognosi, significando che il ciclo vitale diquel capello sarà destinato alla miniaturizza-zione se non si interviene.

- Valuteremo quindi “il potenziale di miniatu-rizzazione”, ovvero la direzione presa dalciclo vitale, con segni di miniaturizzazionenelle varie fasi del ciclo, che rappresentanoun importante valore prognostico.Quando, all’esame tricologico, si riscontra unpotenziale di miniaturizzazione la terapiadiventa necessaria per prevenire una futuracalvizie; se si attende una miniaturizzazioneconclamata i limiti della terapia saranno evi-denti.

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malformazioni del fusto

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Le “Incidenze”

Quando i follicoli dei capelli sono di qualitàintermedia (non perfetti ma neppure alopeci-co-miniaturizzati) all’esame obiettivo facil-mente riscontriamo situazioni “coadiuvanti oconcomitanti” una alopecia.Sono situazioni spesso solo para fisiologiche ocaratteriali, che “incidono” sulla evoluzionenaturale della alopecia e che abbiamo defini-to con il termine di “incidenze”.

Si tratta di un capitolo clinico descrittivo, pra-tico, poco scientifico ma con molte evidenzenella clinica pratica.

Questa “incidenze” provocano e conseguonoa dei “corto circuiti metabolici” che si auto-mantengono con produzione di mediatorilocali, di ormoni paracrini, di adrenalina enoradrenalina, con inibizione delle adenici-clasi, alterazione della glicolisi e del ciclo diKrebs, anomalie del metabolismo dei triglice-ridi, accumulo di acido lattico fra cuticola delcapello e la guaina interna o di squalene frale guaine, diminuzione del pH ideale (7,35)delle funzioni metaboliche.Tutto questo porta fino al blocco della dellemitosi della matrice dei capelli con conse-guente effluvio o con accelerazione di undefluvio.

Cause comuni di Telogen Effluvio Acuto

stress acuti fisici o psicologiciinterventi chirurgiciparto e allattamentomalattie febbriliavvelenamenti emorragieluttiecc

Cause comuni di Telogen Effluvio Cronico

malattie sistemiche cronichedonazioni di sangue frequentigravi malattie psichicheuso cronico di farmacidistiroidismiecc

Intendiamo, quindi, per incidenze una seriedi “situazioni” che sono di per sé in grado diprovocare un effluvio e portare la capigliatu-ra ad una “mancanza di corpo” (più che aduna vera carenza di numero di capelli). Mache possono anche modificare la velocità,l’andamento e l’aspetto clinico di un defluvioe non solo androgenetico.

Per definire cosa si intenda per “corpo deicapelli” si è fatta in USA ed in Inghilterra unaindagine, mediante intervista a consumatoridi shampoo, e questa ha evidenziato che perdefinire il termine “corpo” vengono prevalen-temente usate le parole: spessore, elasticità,volume o massa.

Definiamo le incidenze come:a) “incidenze primarie”b) “incidenze secondarie o da sovrammissio-ne.Non per un vero rapporto di causalità masulla base della sintomatologia clinica che leaccompagna classifichiamo le “incidenze pri-marie” come:

1) incidenza digestiva,2) incidenza nervosa,3) incidenza da deperimento fisico,4) incidenza da deperimento psico-fisico,

Sta di fatto comunque che, curando quelloche pare essere solo il sintomo di accompa-gnamento “una incidenza”, la situazione

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oggettiva dei capelli del cuoio capellutomigliora.

Clinica delle “Incidenze primarie”

- 1) Incidenza digestivaInteressa per 4 - 5 cm la fascia di cuoio capel-luto sopra la fronte, modificando il progressi-vo diradamento a tipo Hamilton, che sarà cosìsubito senza il ciuffetto sopra frontale.È tipica di soggetti con defluvio androgeneti-co clinicamente associato a disturbi digestivio dell’apparato digerente in senso lato (daiproblemi di masticazione fino alle emorroidi)ed a “iperidrosi fredda”. È anche tipico diquesti soggetti, dalle mani sudate, l’ipertrofiadel derma ventrale dei polpastrelli delle falan-gi distali, che sono “imbottite” e sporgenti.

- 2) Incidenza nervosaInteressa la fascia di 4 - 5 cm fra le orecchiecon telogen effluvio, alopecia areata (ancheincognita), iperidrosi.Sono soggetti “psichicamente labili”, nevroti-ci o semplicemente iperemotivi.L’effetto di inibizione sulla adenilciclasi dellecatecolamine rende ragione degli effluvi dastress, della “incidenza nervosa e AlopeciaPsicogena.Si tratterà di effluvi in anagen distrofico, in

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catagen o in telogen (alopecia areata o telogeneffluvio) a seconda della durata e della inten-sità del “fattore stressante” e quindi della vio-lenza del “colpo d’ariete” delle catecolaminesul recettore ormonale.

Uno stress psichico forte, improvviso, di brevedurata, potrà provocare un effluvio in anagen(con l’aspetto clinico della alopecia areataincognita o a chiazze); uno stress più blandoma di lunga durata o cronico provocherà uneffluvio in telogen (un telogen effluvio diKligman o un telogen effluvio cronico).

Quale descritto da Kligman il telogen effluvioè un fatto acuto che segue un episodio emoti-vamente importante. È caratterizzato dallacaduta in telogen di centinaia e talvoltamigliaia di capelli al giorno. All’esame micro-scopico si potrà osservare che si tratta quasiesclusivamente di capelli in fase telogen, per-fettamente formati, terminali, e senza segni diinvoluzione (non vellus): si tratta in pratica di“un’onda di muta”.La maggior parte dei pazienti con telogeneffluvio lamenta “dolore alla base capelli” ola “sensazione di punture di spillo sul cuoiocapelluto” (tricodinia). La causa di questasensazione non è affatto chiara ma è tropposemplicistico definirla di natura nevrotica opsicologica.Durante l’effluvio il rapporto fra anagen etelogen (tricogramma) si altera in modoimpressionante: almeno il 25% fino all’85%dei capelli si trova in questo momento in fasetelogen.Il sistema di trasduzione tenderà a difenderese stesso riducendo il numero dei recettoriper le catecolamine (desensibilizzazione recet-toriale per riduzione del numero dei recetto-ri) fino alla risoluzione del quadro clinicoanche senza che ne sia finita la causa ma nonsempre questo sistema di controllo sarà suffi-ciente.Vogliamo sottolineare come l’alopecia areatasia ben interpretabile anche come secondariaal “colpo d’ariete” da catecolamine sul siste-ma di trasduzione dell’adenilciclasi. Le tipi-che alterazioni istologiche possono tutte esse-re interpretate come secondarie a blocco dellemitosi, per carenza di cAMP, con degenerazio-ne acuta della guaina interna e della matricedel pelo. L’infiltrato infiammatorio, costituitooltre che da linfociti anche da istiociti emastociti che si addensano intorno ai vasidella papilla ed intorno a ciò che resta dellaparte sottoinfundibulare del follicolo pilifero,

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non è di per sé, almeno all’inizio, prova diuna malattia autoimmune che comunque siinstaura poi, sull’effluvio, in soggetti a questopredisposti.

- 3) Incidenza da deperimento fisicoInteressa a fascia la zona del vertice con una“tonsura” ovale o rettangolare, con telogeneffluvio cronico, capelli sottili, corti e malfor-matiSappiamo bene come una dieta inappropria-

ta e come stati carenziali, specie qualitativi,possono provocare un effluvio e contribuire amodificare ed aggravare, talvolta in modoirreparabile, un defluvio già in atto.

Poiché oggi il laboratorio ci permette di inda-gare sullo stato nutrizionale e di rilevare, conrelativa facilità, almeno le carenze nutriziona-li più grossolane e poiché queste possono,quasi sempre, essere corrette farmacologica-mente o con la dieta, le conoscenze di base su“nutrienti e capelli” diventano indispensabiliper chi voglia davvero fare della tricologiauna disciplina.

Ormai da decenni è dimostrato ciò che da

sempre si era intuito, cioè che esiste un diret-to rapporto fra stato nutrizionale e sintesidelle cheratine dei peli e delle unghie. Vi sonodati sufficienti per ammettere una correlazio-ne diretta fra stato nutrizionale e stato deicapelli.

Gli aminoacidi sono sicuramente necessari altrofismo del capillizio ed in particolare lacistina, la cisteina, l’istidina, la glicina, la tiro-sina.

Le vitamine devono avere nel siero un livelloottimale e bilanciato e, in caso di carenze diapporto o di malassorbimento, questo dovràottenuto farmacologicamente.Metalli essenziali ed oligoelementi sono altret-tanto indispensabili e saranno somministrati,in modo mirato, in caso di carenza accertata.Una valutazione razionale del paziente affettoda caduta di capelli non potrà prescinderedalla osservazione del suo stato di nutrizione.Dovrà essere raccolta un’anamnesi dettagliatasulle abitudini alimentari, sullo stato dell’alvoe su variazioni di peso.Indicativo, in molti casi, potrà essere unesame microscopico del capello in luce pola-rizzata.Nel caso di un telogen effluvium a difficileinquadramento etiologico deve sempre esseresospettata una sindrome carenziale seconda-ria ad una dieta inappropriata o ad un malas-sorbimento, anche larvato, talvolta selettivoe/o inapparente.

A tal proposito ricordiamo come in Tricologiai valori ideali di nutrienti, vitamine ed oligoe-lementi serici e/o plasmatici siano più ristret-ti di quanto lo sono in medicina generale(riportiamo di seguito alcuni esempi significa-tivi) e ricordiamo come uno stato carenzialepossa far precipitare irreparabilmente ancheun defluvio androgenetico.

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- 4) Incidenza da deperimento psico-fisico opsicosomaticoÈ ancora più posteriore ed interessa infattiper 4 - 5 cm la fascia della zona di cuoio capel-luto all’altezza della spina occipite con telo-gen effluvio cronico e/o ipotrichia.

È tipica degli intellettuali. Parrebbe quasi chequando un soggetto aumenta lo sforzo psichi-co possa incorrere in effluvio in telogen giàdalla fase quinta anagen, quasi come se l’atti-vità intellettuale moltiplicasse il consumo del-

l’energia di cui il capello necessita, portandoad una situazione di ipotrichia simile a quelladel deperimento fisico ma più posteriore.

Le incidenze “incidono” progressivamentesul follicolo facendolo passare, talvolta rapida-mente, da quello stato terminale ideale dell’a-nagen VI perfetto, a quello che possiamo con-siderare lo stato terminale normale: l’anagenVI comune.Poi dall’anagen VI alla situazione anagenintermedia, che chiamiamo anagen pseudodisplasico.Dallo stato pseudo displasico al displasico(Orfanos 1979).Dal displasico all’anagen vellus o alopecico ominiaturizzato.Il ciclo del capello subisce così una progressi-va accelerazione e la caduta dei capelli in telo-gen è notevolmente accentuata.Le incidenze provocano ed accompagnano unaggravamento di un effluvio ed una velocizza-zione nella evoluzione di un defluvio.Solo in casi estremi una vera alopecia potràessere attribuita solo ad incidenze ed in que-sti casi non porterà comunque mai alla perdi-ta del follicolo.

Le incidenze al bulbo e alla radice mostranodei segni inconfondibili e patognomoniciquali:a) le “tacche di Sims - Pinkus” (stacchi chera-tinici) dovute ad interruzione o a rallenta-mento transitorio delle mitosi della matrice;

b) la presenza nella guaina interna di “acidolattico” e/o di “squalene” fra le guaine, con-seguenza e causa (corto circuito) di interfe-renza nel metabolismo del glicogeno, del glu-cosio, dei trigliceridi e del ciclo di Krebs (vedischema a pag 41);c) la presenza di “proteine da stress” a livello

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della zona cheratogena della radice.

In tutte le situazioni in cui il follicolo è sotto-posto ad uno “stress passivo” si ha produzio-

ne endocellulare a livello della matrice di“proteine da stress” (Welch W.J.) Queste, facil-mente identificali (come macchie scure dimancata cheratinizzazione) in microscopiapolarizzata nelle radici dei capelli.

Le proteine da stress sono un modo con cuiuna cellula si difende, in condizioni di emer-genza, per riparare danni subiti e per neutra-lizzare la presenza di radicali liberi. Le protei-ne da stress hanno fondamentalmente unsignificato positivo di risposta corretta ad untrauma ma, essendo la loro presenza legata adun eccesso di radicali liberi, quando sonomolto abbondati si assiste ad un telogen efflu-vio, che possiamo considerare la caduta dicapelli più comune, praticamente para fisiolo-gica e attribuibile ad un danno ossidativo.

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Clinica delle “Incidenze secondarie” o dasovrammissione”

Sono quadri clinici dovuti a sovrapposizionedi più incidenze, ad esempio “digestiva” e“nervosa”.Si capisce facilmente come questi quadrisiano, comuni, spesso sfumati e non facilmen-te inquadrabili nella clinica degli effluvi, deidefluvi e delle incidenze primarie.Queste incidenze, presenti in maniera e gravi-tà variabile, possono andare ad influenzare ilfisiologico metabolismo del capello, la fisiolo-gica crescita e alterare l’entità di una patolo-gia, per esempio la durata o entità di un telo-gen effluvio o la velocità di presentazione diun’alopecia androgenetica… sono cioè delle“spine irritative”, che inevitabilmente hannoconseguenze negative sul capello.

Le Incidenze al microscopio

Abbiamo già detto delle proprietà della chera-tina (proteina sequenziale e ripetitiva) che,come i “cristalli”, provoca ritardi d’onda nelfascio di luce bianca polarizzata che la attra-versa sicché il capello appare al microscopiocome tridimensionale, luminoso e colorato susfondo scuro. Turbe di origine metabolica vanno a minarela corretta formazione della sequenza peptidi-ca della cheratina del capello con ritardi dicheratinizzazione (dal punto di vista chimicoritardi di peptizzazione). In particolare, ilritardo più grave è quello dei ponti idrogeno(tra un elemento di O e uno di N) N-H-O. Sec’è un ritardo di peptizzazione, cambia l’incli-nazione dei ponti di idrogeno e alla microsco-pia questa deviazione apparirà come unavariazione morfologica del bulbo e una chera-tinizzazione più alta, perché ritardata, diversaa seconda della qualità del danno. Così è pos-sibile “vedere al microscopio in luce polariz-zata queste incidenze”.

- 1) Incidenza digestivaIn microscopia appare come uno spanciamen-to in corrispondenza del collo del bulbo.

- Riscontro anamnestico di alterazioni delladigestione (dalla bocca all’ano).- Riscontro clinico di diradamento maggiorealla zona anteriore del cuoio capelluto.

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- 2) incidenza nervosaIn microscopia a luce polarizzata si osserva-no cuticole sfrangiate sopra il collo del bulboe/o bulbi assottigliati.

- Tipologia del paziente: agitato, ansioso, inuno stato di tensione psico-fisica, a volte visi-bile ma a volte negata, spesso all’estrazioneriferiscono dolore molto forte.- Riscontro clinico di diradamento nella zonadel vertice.

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- 3) Incidenza da deperimento fisicoIn microscopia si riscontrano linee nerastresopra al bulbo, qualcosa di simile alle strie diBeau dell’ unghia, una sorta di “marcatura dacorto circuito adrenergico” avvenuto nelmomento in cui si arresta la normale sequen-za di cheratinizzazione.Si riesce addirittura a risalire all’epoca dell’e-pisodio: misurazione con il micrometro ladistanza dell’alterazione dal bulbo (1 cm circa1 anno).

- Riscontro clinico di diradamento nella fasciacompresa

tra il vertice e la zona nucale (tonsura ret-tangolare).- Riscontro anamnestico di episodi fisicamen-te importanti: non tanto deperimento, maforti stress ossidativi per l’organismo, a voltenon necessariamente negativi (dimagramentiveloci, lutti, gravidanze, aborti, periodi di vitaparticolari).

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- 4) Incidenza da deperimento psico-fisico opsicosomaticoRiscontro alla microscopia di veri e proprinodi deformanti sopra il bulbo.

- Riscontro clinico di diradamento inizialmen-te alla zona della nuca per poi interessare lealtre zone.- Riscontro all’anamnesi di episodi in cui l’e-quilibrio psico-fisico è stato messo a duraprova, o in cui prove fisiche importanti sisono protratte così da alterare anche il com-penso psicologico (es. depressione, anoressia).

A catena poi si alterano anche gli altri meta-bolismi (digestivo, nervoso, fisico) per cuitutte le zone precedentemente viste vengonointeressate (incidenze secondarie).

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Le proteine da stressFisiologia dello Stress

la Tricologia “fra somatopsichica e psicoso-matica”

La possibilità che fattori psicologici possanoinfluenzare il modo di reagire dell’organismo,associarsi fra di loro, slatentizzare una patolo-gia e diventare essi stessi causa di malattia èun ormai considerato più un dato di fatto cheuna ipotesi.Quest’asse integrata della medicina, che portadalla somatopsichica alla psicosomatica, dasempre e da tanti ipotizzata ed in qualchemodo “desiderata”, esiste: il sistema neuroen-docrino ed il sistema immunitario dialogano.

La fisiologia dello stress, come disciplina, ini-zia nel 1936 con un ricercatore canadese,Hans Selye, che adottò il termine “stress”,usato fino ad allora solo in ingegneria adescrivere la fatica dei metalli, per indicareuna risposta aspecifica dell’organismo a unostimolo forte ed in qualche modo, ma nonnecessariamente, negativo.

- A livello dell’organismo in toto le più sempli-ci risposte da stress sono indotte da un qual-siasi cambiamento fisico (evento induttore)come un eccesso di freddo o un eccessivocaldo, da una aspettativa disillusa o anchesolo da una faticosa iperattività anche solopsichica (evento induttore psicogeno).La risposta allo stress coinvolge la secrezionedi ormoni e l’inibizione di altri. Riportiamoalcuni fra i fatti salienti.a) Alterazioni qualitative e quantitative dei Tlinfociti e delle cellule Natural Killer sonostate messe in relazione con lesioni ipotalami-che ed ippocampali.b) La funzionalità delle cellule linfoidi èinfluenzata da ormoni e neurotrasmettitoririlasciati a seguito della attivazione del siste-

ma ipotalamo-ipofisi-surrene.c) I linfociti, tramite il rilascio di citochine,(interleuchina 1, interleuchina 2, interferonalfa) influenzano il sistema neuroendocrino.d) Effetti neuroendocrini ben noti della inter-leuchina 1 sono: febbre, aumento del livellodei glicocorticoidi, stimolo della secrezioneipotalamica di CRH, stimolo di secrezioneipotalamica di ACTH ed endorfine.e) Il timo secerne almeno quattro sostanze(fattore timico umorale, timopoietina, timuli-na, timusina) che hanno azione sulle celluleimmunocompetenti e, inoltre, influenze sulsistema neuroendocrino.f) Peptidi del Sistema Nervoso Centrale e delSistema Nervoso Periferico sono in grado diesaltare o di inibire funzioni immunitarie.g) Esistono precisi rapporti tra rilascio diACTH e reazioni timiche, linfocitiche e linfo-nodali.I meccanismi attraverso cui dallo stress (soma-topsichico) si passa alla malattia psicosomati-ca sono molteplici: in estrema sintesi risulta-no ridotte le capacità di comunicazione fra itre grandi sistemi omeostatici (nervoso, endo-crino, immunitario) e fra cellule di ogni sin-golo sistema.- La produzione fisiologica di anticorpi èridotta, mentre aumenta la produzione diautoanticorpi.- I livelli serici di glicocorticoidi, tipici ormonida stress, sono cronicamente aumentati e que-sti sono neurotossici quando in eccesso e dan-neggiano soprattutto, oltre alle cellule in rapi-da moltiplicazione, la regione dell’ippocam-po, importante centro per i processi di memo-rizzazione. Si accelerano così tutti i fenomenidi involuzione somatopsichica caratteristicidell’invecchiamento. I circoli viziosi tra mec-canismo di stress e processi di invecchiamentofanno sì che l’intero organismo vada incontroin un declino anticipato rispetto al program-ma genetico.

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La risposta fisiologica allo stress permetteall’organismo sano di fronteggiare minacceimmediate al proprio equilibro psicofisico.Essenzialmente la risposta allo stress preparal’organismo a “combattere o fuggire”.Studi clinici ormai classici hanno dimostratoche la cronica attivazione o la cronica repres-sione della normale risposta allo stress puòcompromettere lo stato di salute con “malat-tie psicosomatiche da stress”.La positività o la negatività della risposta allostress è condizionata da caratteristiche perso-nali, psicologiche e sociali, che possono influi-re profondamente determinando una rispostafisiologica o patologica.Alcune persone sono più vulnerabili di altri amalattie da stress poiché quotidianamente ecronicamente esposte ad una fatica superiorealle loro capacità fisiologiche.Durante lo stress il glucosio, fonte principaledi energia dell’organismo, è mobilitato daisuoi siti di normale deposito. Il sangue, chetrasporta glucosio e ossigeno, è sottratto agliorgani non essenziali allo sforzo di quelmomento, come la cute e l’intestino, invece ètrasportato rapidamente ad organi essenzialia fronteggiare l’emergenza: al cuore, aimuscoli, al cervello. La variazione del flussosanguigno si attua in parte tramite la costri-zione di alcuni vasi sanguigni, la dilatazionedi altri e l’aumento della frequenza cardiaca.Contemporaneamente vengono accentuati iprocessi cognitivi (il ché facilita l’elaborazio-ne delle informazioni) e la percezione deldolore è attenuata dalla secrezione di endorfi-ne. Tutte le attività fisiologiche che non sonodi immediato beneficio vengono ritardate;perciò la crescita, la riproduzione, l’infiam-mazione e la digestione, che sono tutti proces-si che richiedono molta energia e sono riman-dabili, vengono inibiti.Quando lo stress è cronico il glucosio, invece

di essere immagazzinato, è costantementemobilitato dalla secrezione di glicocorticoidie, nel lungo periodo, si ha catabolismo conatrofia di tessuti sani e affaticamento generaleda glicosilazione (in tanti lo verificano condisturbi “psicosomatici” vari specie gastroin-testinali, come la stipsi). Oltre a ciò, quando iprocessi costruttivi vengono ritardati a tempoindeterminato, l’organismo paga un caroprezzo con compromissione di tutte le mitosicellulari e quindi della crescita e della ripara-zione e del ricambio dei tessuti.- A livello cellulare, in condizioni di stress, neimicrosomi vengono sintetizzate “proteine dastress”, la cui funzione fisiologica è quella diripararne i danni. Questa risposta generale acambiamenti avversi, rappresenta un fonda-mentale meccanismo di difesa cellulare cheviene attivato soltanto in momenti di “diffi-coltà”.Tornano chiare in mente le teorie di Filatovche nel 1945 enunciava: “Ogni tessutoumano, animale o vegetale, mantenuto instato di sopravvivenza, messo però in condi-zioni di sofferenza, reagisce difendendosi conla produzione di speciali sostanze di resisten-za (stimolatori biogeni o biostimoline) che,introdotti a loro volta in un organismo viventeumano, animale o vegetale, ne riattivano iprocessi organici vitali migliorandone lapotenzialità difensiva verso le alterazioni mor-bose”.Le proteine da stress sono state dapprimadimostrate immediatamente dopo un improv-viso aumento di temperatura, in questa condi-zione tutte le cellule di un organismo incre-mentano la produzione di questa classe dimolecole proteiche allo scopo di “tamponare”i danni subiti. La stessa reazione si è poi vista,sempre a livello cellulare, in risposta unagrande varietà di attacchi ambientali, esternio interni, chimici o fisici tra cui freddo, infe-zioni, intossicazioni ecc.

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Dato che stimoli dalla natura assai diversaattivano uno medesimo meccanismo di difesacellulare, questo viene oggi genericamenteindicato come “risposta cellulare allo stress” ele proteine che in esso vengono espresse sonodefinite “proteine da stress”.Questo ruolo attivo di difesa cellulare ha ini-zio quando molti agenti che inducono rispo-sta allo stress portano a dei denaturati protei-ci, ossia a sostanze che fanno perdere alle pro-teine la loro configurazione.Una proteina consiste in lunghe catene diamminoacidi avvolte in modo da assumereuna ben precisa conformazione.Un’alterazione della struttura può portare aduna perdita della funzionalità biologica dellaproteina stessa.Sembra che la proteina da stress agisca comesupervisore molecolare del controllo di quali-tà, consentendo alle proteine avvolte nellamaniera corretta di accedere alla secrezione etrattenendo invece quelle proteine che sonoincapaci di avvolgersi correttamente. In con-dizione di stress metabolico le proteine appe-na sintetizzate hanno difficoltà a maturarenormalmente, si forma un legame stabile traesse differenziando la forma finale.Se a tutto ciò si aggiungono anche variabilipersonali, emotive e socioculturali ci introdu-ciamo in una impostazione di cause psicologi-che che integrano la medicina psicosomatica.

- Nel bulbo del capello vi sono cellule germi-native che geneticamente e ciclicamentevanno in ricambio con periodi di mitosi edapoptosi.Questo ricambio se non ottimale per varie“incidenze” (stress molecolare) porta adinvecchiamento per l’azione distruttiva dimolecole normalmente prodotte nel corsodella vita, tra cui i radicali liberi dell’ossige-no.I radicali liberi (02+, H-), così chiamati perché

hanno un elettrone spaiato, possono ossidare,e quindi danneggiare, le proteine, i lipidi ealtre molecole biologiche del bulbo. Possonoanche formare altri radicali e agenti ossidan-ti, come il perossido d’idrogeno (H2O2); diconseguenza possono innescare una lungacatena di reazioni dall’effetto distruttivo sulfollicolo del capello.È dimostrato che il glucosio modifica lenta-mente le proteine destinate alle mitosi glicosi-landole e così quelle destinate alla formazio-ne di cheratine, favorendo la formazione dilegami crociati, indebolendo e rallentando losviluppo in diametro e velocità di crescita delcapello.Chi sta attraversando il periodo di evoluzionedi una alopecia vive comunemente questefasi.

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Proteine ossidate e inattive si accumulanonelle cellule germinative dove progressiva-mente diminuisce la capacità di degradarle.Molti enzimi subiscono danni ossidativi e per-ciò si inattivano. La regolare ciclicità dellamitosi e della apoptosi viene compromessa.Nell’evoluzione delli un’alopecia le cellulegerminative del bulbo vanno incontro preco-cemente alla apoptosi ed ad un catagen fisio-logicamente imperfetto perché i radicali liberinon vengono inattivati adeguatamente e nonsolo perché nel loro patrimonio genetico sonocontenute le istruzioni per la realizzazionedella calvizie.

L’istologia

L’istologia (dal greco istos = tessuto e logos =studio, scienza) descrive l’organizzazione deitessuti e degli organi a livello microscopico esubmicroscopico.Tuttavia, la sola definizione etimologica puòrisultare restrittiva visto che questa discipli-na, oltre a tenere presente lo sviluppo ontoge-netico e filogenetico degli organismi, si occu-pa anche delle funzioni e dei processi fisico-chimici che intervengono a livello cellulare.Con l’evolversi e l’affermarsi di nuove tecni-che (la microscopia elettronica, l’autoradio-grafia, l’immunoistochimica, la coltura cellu-lare ecc.), l’istologia è divenuta a tutti gli effet-ti una scienza biologica.Lo studio istologico è a tutt’oggi premessanecessaria allo studio degli organi e dei siste-mi ed il carattere morfologico di questa disci-plina resta tuttora rilevante: i problemi dellaforma e della struttura sono e rimarrannosempre alla base di ogni suo ulteriore svilup-po.

Cenni di tecnica istologica

L’osservazione di un tessuto al microscopiorichiede una serie di procedure più o menocomplesse che comprendono vari passaggi: fis-sazione, disidratazione, inclusione, taglio,colorazione e montaggio.

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La fissazione, che ha lo scopo di rendere sta-bile il tessuto altrimenti soggetto a fenomenidi autolisi e decomposizione, si realizza impie-gando numerose sostanze (l’alcol, la formali-na, l’acido acetico glaciale, il sublimato, l’aci-do picrico, l’acido osmico ecc.). Salvo casi spe-cifici, comunque, si preferisce l’impiego diuna miscela di sostanze al fine di attenuare idanni che ciascun componente chimico,usato singolarmente, può produrre sui tessutitrattati.

La disidratazione, necessaria per eliminarel’acqua presente nel tessuto in modo da ren-derlo compatibile con il mezzo d’inclusione,consiste in una serie di passaggi del preparatoin alcol a gradazione progressivamente mag-giore.

L’inclusione è un procedimento che permetteal tessuto di acquistare una consistenza omo-genea adatta al taglio: si realizza facendoimpregnare il tessuto di sostanze che, penetra-tolo, lo induriscano. Nella comune praticaistologica vengono utilizzate varie sostanze: lapiù diffusa in microscopia ottica è la paraffi-na; in microscopia elettronica si usano soprat-tutto resine epossidiche. Ad inclusione avve-nuta si effettua il taglio del preparato: nelcaso si debba procedere all’osservazione almicroscopio ottico si impiega un microtomo,nel caso si debba usare un microscopio elet-tronico si impiega un ultramicrotomo.Con questi strumenti si ottengono sezioni tra-sparenti di tessuto dello spessore rispettiva-mente di pochi micrometri o di alcune centi-naia di ångström.

La colorazioneL’operazione successiva consiste nel contra-stare le sezioni: viene dunque effettuata lacolorazione che, impiegando prodotti chimicinaturali (quali l’ematossilina o il carminio) o

sintetici (come i coloranti anilinici), permettedi evidenziare i tessuti e le loro strutture.

La fase di montaggio riguarda solo le sezionidestinate al microscopio ottico: essa consistenel coprire il preparato con un vetrino cheviene sigillato al vetrino sottostante usandoapposite resine naturali o sintetiche. Si otten-gono così preparati stabili, che possono essereosservati anche molti anni dopo.

Cenni su alcune colorazioni istologiche per lamicroscopia ottica

La colorazione di un tessuto è il risultato diprocessi fisico-chimici spesso complessi, cheintervengono tra le sostanze utilizzate, dotatedi caratteristiche cromatiche proprie, e lestrutture biologiche che con esse interagisco-no. In molti casi, il meccanismo d’azione checonduce al risultato finale è comunque pococonosciuto o del tutto ignoto.

Accenniamo qui alle tecniche di colorazionepiù frequentemente utilizzate per un allesti-mento di preparati istologici classici, trala-sciando la descrizione dei loro principi d’azio-ne, per i quali rimandiamo ai testi specialisti-ci.Una delle colorazioni che permette di ottene-re buoni preparati dimostrativi è quella cheutilizza soluzioni, in genere lacche coloranti,

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a base di ematossilina, a cui segue la colora-zione di contrasto realizzata con una soluzio-ne acquosa all’1% di eosina. Le prime colora-no il nucleo cellulare di blu, la seconda colorail citoplasma e gli altri tessuti in rosa più omeno intenso. Questo metodo risulta di facileesecuzione e dà risultati relativamente costan-ti. Oltre alla colorazione ematossilina-eosina,nella normale pratica di laboratorio esistonomolte altre colorazioni dette d’insieme, nellequali si utilizzano due soli coloranti.

Istologia in luce polarizzata

La microscopia istologica in luce polarizzataè, in realtà, una vecchia tecnica di studio ericerca che però, in medicina ed in tricologia,è stata quasi abbandonata con l’avvento delmicroscopio elettronico che, poiché permettedi vedere particolari piccolissimi, ha tantoaffascinato da fare abbandonare ogni altrotipo di microscopia ottica.La microscopia in luce polarizzata permetteperò, per così dire, di vedere dentro le struttu-re cheratiniche, costa poco ed evidenzia parti-colari altrimenti solo ipotizzabili. La micro-scopia in luce polarizzata, applicata a prepa-rati istologici, apre in tricologia orizzontiancora completamente da esplorare. È uncapitolo tutto da scrivere per chi lo volesseapprofondire.

In luce polarizzata non occorre neppure, inteoria, la colorazione del preparato fissato,perché la luce polarizzata ci fa vedere già unacolorazione che è “funzionale” alle struttureosservate.Se comunque il preparato ha avuto una colo-razione questa, non solo non interferisce conl’osservazione ma addirittura, ci fornisce lapossibilità di un immediato confronto spessostimolante.

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Diamo qui alcuni esempi di una disciplinaancora tutta da scoprire:

il futuro ha un cuore antico!

Osserviamo come la microscopia in luce pola-rizzata sia in grado di mettere in risalto parti-colari, altrimenti invisibili, del bulbo in cata-gen 3 qui a sinistra: fini digitazioni polipoidicollegano il bulbo alla guaina in involuzioneassicurandone, ancora, l’ancoraggio.

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