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EDIZIONI GIURIDICHE E IMON S Gruppo Editoriale Simone ® 229/2 COLLANA TIMONE ESAMI e CONCORSI DIRITTO REGIONALE e degli ENTI LOCALI Le Regioni: attribuzioni, sistema di governo, rapporti tra i diversi livelli di governo Gli Enti locali: elementi costitutivi, funzioni, organi di governo, controlli, servizi pubblici locali, forme associative e partecipative III Edizione Extrait de la publication

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EDIZIONI GIURIDICHEEIMONS Gruppo Editoriale Simone

®

229/2COLLANA TIMONE

ESAMI e CONCORSI

DIRITTO REGIONALEe degli ENTI LOCALILe Regioni: attribuzioni, sistema di governo,rapporti tra i diversi livelli di governo

Gli Enti locali: elementi costitutivi, funzioni,organi di governo, controlli, servizi pubblici locali,forme associative e partecipative

III Edizione

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Vol. 171 • Il nuovo ordinamento degli enti locali

Commento organico al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267

a cura di A. Cacace e R. SangiulianoXV edizione • pagine 400 • € 25,00

Il volume, giunto alla XV edizione, commenta gli articoli del Testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000) alla luce della complessa e ricca legi-slazione complementare riguardante gli enti locali che, senza alcuna operazione di coordinamento, si è ultimamente succeduta.La trattazione tiene, altresì, conto dei più rilevanti orientamenti giurisprudenziali tra i quali si segnala, in particolare, la sentenza della Corte costituzio-nale n. 115 del 7 aprile 2011, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4 del D.Lgs. 267/2000.

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A.(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.itove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati

Revisione del testo a cura di Giovanna Basile

Hanno collaborato alla ricerca bibliografica Giuseppe Milano e Alessandra Pedaci

Finito di stampare nel mese di aprile 2012dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)

per conto della SImONE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREmESSA

Il volume offre una panoramica del diritto regionale e degli enti locali, illustrandone gli istituti fondamentali anche alla luce delle principali novità legislative intervenute «a macchia di leopardo» a segnare la materia, in particolar modo per ciò che concerne gli enti locali.

Ci si riferisce, a titolo esemplificativo, al cd. decreto liberalizzazioni (D.L. 1/2012, conv. con modif. in L. 27/2012) che ha modificato la norma-tiva in materia di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, di recente già interamente riscritta dal D.L. 138/2011, conv. con modif. in L. 148/2011; alla cd. manovra Monti (D.L. 201/2011, conv. con modif. in L. 214/2011) che ha previsto il ridimensionamento delle funzioni e degli organi di governo delle Province; al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che ha introdotto meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni, Province e Comuni.

Il testo è caratterizzato da un linguaggio agevole e di immediata compren-sione, dalla presenza di box con esempi chiarificativi o di approfondimento e da pratici glossari, che lo rendono un utile strumento di preparazione e/o di ripasso per esami e concorsi.

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Vol. 506/4 • Codice degli enti locali. Editio minor • pp. 960 • @ 19,00

Il Codice degli Enti Locali è indirizzato a quanti, studenti universitari, partecipanti a pubblici concorsi e operatori del diritto, abbiano la necessità di reperire in maniera pratica ed efficace le norme fondamentali dell’ordi-namento degli enti locali.Il volume riporta il TUEL (D.Lgs. 267/2000) in versione integrale, nonché una selezione di leggi complementari concernenti gli aspetti più importanti nella pratica e le materie più richieste ai pubblici concorsi.Completa l’opera un corredo di indici sistematico, analitico e cronologico che consentono un immediato reperimento delle norme.

Dal catalogo «Simone» segnaliamo:

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PARTE PRImAGlI EntI tErrItorIalI

nEll’orDInamEnto ItalIano

CAPITOLO UNICO

EVoluzIonE StorICo-lEGISlatIVa DEGlI EntI tErrItorIalI

SommarIo: 1. Il difficile decollo dell’esperienza regionale. - 2. L’attuazione delle Regioni a Statuto speciale. - 3. L’attuazione delle Regioni a Statuto ordinario. - 4. La L. 142/1990 e le leggi Bassanini. - 5. La L. 265/1999 (cd. Legge Napolitano-Vigneri). - 6. Il D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico degli enti locali). - 7. Le riforme costituzionali: la L. cost. 1/1999 e la L. cost. 3/2001. - 8. L’attuazione della riforma costituzionale: la L. 131/2003. - 9. L’attuazione dell’art. 119 Cost.: il federalismo fiscale.

1. Il DIffICIlE DECollo DEll’ESpErIEnza rEGIonalE

L’ordinamento regionale italiano costituisce il punto di approdo di un accidentato cammino, conclusosi solo negli anni Settanta, a ventidue anni di distanza, dunque, dalla nascita della Costituzione.

Le difficoltà incontrate sono da ascrivere alle contraddizioni che si pre-sentavano all’indomani della unificazione (1861): in primis, la disomoge-neità geografica del territorio italiano e le note vicissitudini politiche che l’attraversarono.

Tali fattori, infatti, avevano condotto alla frammentazione dell’Italia in numerosi Stati, così causando sperequazioni di natura economica e sociale, con effetti devastanti nell’Italia del Sud (mARTINES, RUGGERI).

Si pose, pertanto, la questione della forma, unitaria o regionale del nuo-vo Stato, tanto che si può parlare di «questione regionale».

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Parte Prima: Gli enti territoriali nell’ordinamento italiano6

Il decentramento sembrò a molti la soluzione più opportuna: esso, infatti, senza minare l’unità avrebbe consentito di tenere in considerazione le diversità geografiche e storiche del Paese, creando così le condizioni di uno sviluppo «più ordinato ed armonico» delle Regioni (mARTINES, RUGGERI).

La questione regionale, in seguito, venne ripresa più volte con alterne vicende. Al riguardo, emergevano due orientamenti:

a) gli anti-regionalisti, i quali sostenevano l’illogicità dello spezzettamen-to anche solo amministrativo dello Stato, tanto faticosamente unificato;

b) i regionalisti, i quali evidenziavano le differenze sociali, economiche ed amministrative esistenti tra le varie parti della penisola, sostenendo la difficoltà di attuare una legislazione ed una amministrazione unitaria, e la necessità di realizzare un sistema decentrato.

Con l’avvento al potere del fascismo, lo sviluppo e l’attuazione dell’idea regionalista subì per più di un ventennio un arresto: lo Stato fascista, per sua natura accentratore, cancellò del tutto anche la limitata sfera di autono-mia riconosciuta a Comuni e Province, le cui cariche elettive furono aboli-te, e ridefinì tali enti (detti in precedenza autarchici) come «enti ausiliari», per sottolinearne la dipendenza dallo Stato.

Dalla caduta del fascismo, il movimento culturale e politico, favorevo-le allo sviluppo delle forme di autonomia locale, mortificato da quel regime, riprese vita, sostenuto soprattutto da cattolici azionisti e repubblicani.

Tra le forze politiche rappresentate in seno all’Assemblea costituente (eletta il 2 giugno 1946) emersero opinioni contrastanti che incisero nega-tivamente sulla conformazione dei rapporti fra Stato ed enti autonomi.

La stesura del progetto di Costituzione delle Regioni venne affidata ad un Comitato di redazione presieduto dall’onorevole Ambrosini, durante i cui lavori si maturò l’idea di conce-pire la Regione quale ente intermedio fra lo Stato ed i Comuni. Tale convincimento fu recepi-to dalla Commissione dei 75, la quale nel presentare il progetto all’Assemblea giunse ad af-fermare «che l’innovazione più profonda introdotta dalla Costituzione è nell’ordinamento strutturale dello Stato, su basi di autonomia; … il Comune: unità primordiale; la Regione: zona intermedia ed indispensabile fra la Nazione e i Comuni» (mARTINES, RUGGERI).

Il dibattito in Assemblea si sviluppò caratterizzandosi prevalentemente per le posizioni «altalenanti» assunte dai partiti politici.

In particolare, le sinistre, inizialmente ostili alla realizzazione del disegno regionale, lo condivisero successivamente, quando cioè con la crisi di governo del ’47 furono estromesse dalla maggioranza. Le forze democratiche, viceversa, solo in un secondo momento rivelarono le proprie remore.

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7Capitolo Unico: Evoluzione storico-legislativa degli enti territoriali

Le perplessità si concentravano soprattutto sulla possibilità di attribuire alle Regioni piena potestà legislativa, percepita come un serio pericolo per l’unità così faticosamente raggiunta.

Il progetto della Commissione dei 75 prevedeva un assetto tripartito della potestà legisla-tiva regionale «piena» od «esclusiva», «ripartita» o «concorrente», «integrativa» e/o «attuativa».

Alla fine, si decise di riservare alle Regioni ordinarie solo la potestà legislativa attuativa e concorrente con quella statale, nel senso che la legge regionale avrebbe dovuto costituire uno svolgimento dei principi fondamen-tali stabiliti da leggi-cornice dello Stato. Alle Regioni speciali, invece, co-erentemente con la loro maggiore autonomia, venne conferita una potestà legislativa esclusiva, cioè tale da consentire di legiferare «al pari dello Sta-to» nelle materie individuate dai rispettivi Statuti.

2. l’attuazIonE DEllE rEGIonI a Statuto SpECIalE

In attuazione del previgente art. 116 della Costituzione (che attribuiva alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia ed alla Valle d’Aosta forme e condizioni particolari di autonomia, previste da Statuti speciali da adottarsi con leggi costituzionali), l’Assemblea Costi-tuente approvò gli Statuti speciali per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Ao-sta ed il Trentino-Alto Adige rispettivamente con le leggi costituzionali nn. 2, 3, 4 e 5 del 26 febbraio 1948.

Ad aprire la strada all’esperienza regionalista, vincendo le innumerevoli incertezze che accompagnavano il progetto, ha contribuito, dunque, l’attuazione dei primi ordinamenti regio-nali speciali. Ovvero, allorquando il Costituente si è trovato a dover prendere una decisione definitiva sull’argomento, il sistema regionale, seppur provvisoriamente e in condizioni spe-ciali, era già attivo e, nell’ottica di taluni padri costituenti, «patrimonio di esperienze già ac-quisite» (BERTOLISSI).

D’altra parte, le ragioni addotte a sostegno delle molteplici rivendicazioni di autonomia erano anzitutto fondate sulla presenza di radicate tendenze separatiste (Sardegna, Sicilia), cui il legislatore avrebbe dovuto rimediare non riproponendo strumenti e metodi del regime ac-centratore fascista, bensì riconoscendo larghe autonomie, «che apparivano per molti aspetti addirittura intrise di federalismo» (ROTELLI).

In Valle d’Aosta, invece, non erano tanto le condizioni sociali ed economiche della Re-gione a prevalere, ma piuttosto «il carattere bilingue della popolazione valdostana» (PALADIN).

Lo stesso motivo stette all’origine della creazione della Regione Trentino-Alto Adige. Il primo passo in tale direzione venne compiuto a seguito della conclusione dell’accordo De Gasperi-Grüber intervenuto a Parigi il 5 settembre 1945, in base al quale oltre a sancire defi-nitivamente il riconoscimento dei confini fra l’Italia e l’Austria, conseguenti al Trattato di San Germano, veniva riconosciuto al gruppo linguistico tedesco la facoltà di usare la propria lingua nella scuola e negli uffici pubblici, nonché l’autonomia peculiare comprensiva di poteri legi-slativi e amministrativi (CESAREO).

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Parte Prima: Gli enti territoriali nell’ordinamento italiano8

Di qui il successivo passo della Costituente di approvare lo Statuto regionale con L. cost. 26 febbraio 1948 n. 5, successivamente revisionato (con L. cost. 10 novembre 1971 n. 1) al fine di realizzare un sostanziale travaso di poteri dalla Regione alle due Province autonome di Bolzano e di Trento.

Per quel che concerne il Friuli-Venezia Giulia, le vicende conseguenti alla cessazione del conflitto mondiale ne ritardarono il riconoscimento di Regione a Statuto speciale fino al 1963.

Con la legge di riforma costituzionale 3/2001 (v. amplius § 7) che ridefinisce l’assetto ordinamentale dei pubblici poteri, restringendo le attribuzioni dello Stato (tassativamente elencate) e riconoscendo una competenza generale residuale del comparto autonomistico Regioni ed enti locali, la specialità subisce un appiattimento al punto tale da costituire la re-gola piuttosto che l’eccezione del sistema.

Lo si evince sia dalla previsione che ogni Regione, a Statuto ordinario o speciale, potrà darsi la propria forma di governo, sia dalla formulazione del nuovo art. 116 Cost. che oltre a ribadire «le forme e condizioni particolari di autonomia» delle Regioni speciali, prevede per le altre Regioni l’attribuzione, con legge ordinaria e sulla base di intesa fra lo Stato e la Regio-ne interessata, di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in materie altrimenti riservate in via generale allo Stato, così affermando «un principio di ordinaria specialità … che viene a reggere flessibilmente l’assetto delle competenze fra Stato e Regioni» (PASTORI).

3. l’attuazIonE DEllE rEGIonI a Statuto orDInarIo

Le Regioni a Statuto ordinario sono state indicate dall’art. 131 della Costituzione in numero di 14. Ad esse più tardi se ne aggiunse una quindi-cesima, il molise, istituita con la L. cost. n. 3 del 27 dicembre 1963.

Negli anni ’50 venne emanato un solo provvedimento normativo per l’attuazione dell’ordinamento regionale: la legge 10 febbraio 1953, n. 62 (c.d. legge Scelba), recante le norme per la costituzione ed il funzionamen-to degli organi regionali. Tale provvedimento rimase un episodio isolato, in quanto non vi erano i presupposti per una concreta realizzazione dell’ordi-namento regionale.

Soltanto quindici anni più tardi, mutato il quadro politico del Paese, la volontà di istituire le Regioni a Statuto ordinario assunse un effettivo carat-tere di concretezza e furono emanati i primi provvedimenti legislativi per il funzionamento concreto delle Regioni.

Vincendo le ultime e accanite resistenze degli antiregionalisti, furono approvate la legge 17 febbraio 1968, n. 108, contenente le norme per l’ele-zione dei Consigli regionali delle Regioni a Statuto ordinario (poi riformu-lata con legge 23 febbraio 1995, n. 43) e la legge 16 maggio 1970, n. 281

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9Capitolo Unico: Evoluzione storico-legislativa degli enti territoriali

(c.d. legge finanziaria regionale), contenente i provvedimenti finanziari per l’attuazione dell’ordinamento regionale nonché la delega legislativa al Governo per il passaggio delle funzioni e del personale statale alle Regioni nelle materie di loro spettanza ex art. 117 (1° comma) Cost.

In esecuzione della delega contenuta nell’articolo 17 della legge finanziaria n. 281/1970, furono emanati nel 1972, numerosi decreti presidenziali.

Tali decreti trasferivano alle Regioni ordinarie funzioni amministrative e relativo perso-nale in materia di circoscrizioni comunali e polizia locale; acque minerali e termali, cave e torbiere, artigianato; assistenza scolastica, musei e biblioteche; assistenza sanitaria ed ospe-daliera; tranvie e linee automobilistiche, navigazione e porti lacuali, turismo ed industria alberghiera, fiere e mercati; urbanistica, viabilità, acquedotti e lavori pubblici; beneficenza pubblica; istruzione artigiana e professionale; agricoltura e foreste, caccia e pesca, istituzio-ni private di beneficenza.

Questi decreti, come da più parti sottolineato, tentarono ancora (sulla scia della citata legge Scelba) di ridurre le competenze regionali «ritaglian-do» una serie di sub-materie che avrebbero dovuto rimanere di competenza statale e crearono, comunque, difficoltà burocratiche tali che per attuare le Regioni dovette essere varata una nuova legge: la L. 22 luglio 1975, n. 382.

Con tale legge, contenente nuove norme sull’ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione, il Governo veniva delegato ad emanare decreti diretti a completare il trasferimento delle fun-zioni amministrative alle Regioni.

Vedevano così la luce i decreti del presidente della repubblica nn. 616, 617 e 618 del 1977:

— con il primo di tali decreti fu attuato il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative, nelle materie indicate dal previgente articolo 117 della Costituzione, ancora esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato e da enti pubblici nazionali ed interregionali suc-cessivamente all’entrata in vigore dei decreti delegati del 1972.

Con esso, inoltre, è stata attuata la delega alle stesse Regioni dell’eser-cizio di altre funzioni amministrative, a norma del previgente art. 118, 2° comma, della Costituzione;

— con il secondo ed il terzo decreto si è provveduto alla soppressione di uffici centrali e periferici delle amministrazioni statali ed alla corre-lativa istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di ruoli unici di impiegati ed operai.

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Parte Prima: Gli enti territoriali nell’ordinamento italiano10

4. la l. 142/1990 E lE lEGGI BaSSanInI

La l. 8-6-1990, n. 142 è stata la prima legge generale che, recependo in larga misura il disegno tracciato in sede europea, ha provveduto a dettare i principi informatori dell’ordinamento delle autonomie locali, abrogan-do per grossa parte il R.D. 383/1934 (cd. legge comunale e provinciale).

La disciplina recata dalla legge del ’90 ha attribuito una nuova fisionomia al modo di essere dei Comuni e delle Province improntando su nuove basi il rapporto con lo Stato, con le Regioni e con le comunità locali.

Tra le più significative innovazioni apportate dalla legge di riforma del 1990 si evidenzia: il riconoscimento dell’autonomia statutaria e regolamen-tare degli enti locali, la valorizzazione degli istituti di partecipazione popo-lare, l’incentivazione dei processi di fusione tra piccoli Comuni, l’indivi-duazione delle Aree metropolitane, l’ampliamento delle forme di gestione dei servizi pubblici locali, lo sviluppo delle forme di associazione e colla-borazione tra Comuni.

Su tale tessuto normativo è intervenuta la l. 25-3-1993, n. 81 (success. modif. dalla L. 120/1999) di riforma dei sistemi elettorali negli enti loca-li che, oltre ad introdurre nell’ordinamento l’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Provincia, unitamente a quella dei rispettivi Consigli, ha significativamente modificato il sistema elettorale, la durata e la com-posizione degli organi politici dell’ente.

La successiva l. 15-3-1997, n. 59 (nota come legge Bassanini) ha inte-so realizzare un progetto ancor più ambizioso: un ampio decentramento di funzioni a regioni ed enti locali senza modificare in senso federalista la Costituzione.

La vera novità, di portata quasi rivoluzionaria della legge Bassanini è rappresentata piut-tosto dalla quantità di funzioni e competenze trasferite (attraverso il meccanismo del confe-rimento) a Regioni ed enti locali.

Per converso, restano allo Stato le funzioni relative alla cura degli interessi nazionali e quelle non localizzabili in aree definite del territorio nazionale.

Successivamente la l. 15-5-1997, n. 127 (cd. Bassanini bis) ha perse-guito il fine ultimo di adeguare la struttura degli enti locali alle nuove competenze già ad essi attribuite ed a quelle che lo Stato avrebbe di lì a poco trasferito agli enti locali con il D.lgs. 31-3-1998, n. 112 (recante conferi-mento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alla Regioni ed agli enti locali, in attuazione della L. 59/1997), nonché di perseguire la sempli-

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11Capitolo Unico: Evoluzione storico-legislativa degli enti territoriali

ficazione dell’attività amministrativa svolta dagli enti locali e la loro auto-noma determinazione nell’organizzazione della stessa.

Sull’assetto organizzativo dell’amministrazione così come delineato dalla L. 127/1997 sono poi intervenuti due ulteriori provvedimenti legisla-tivi: la l. 191/1998 (cd. Bassanini ter) e la l. 50/1999 (cd. Bassanini quater).

In particolare la prima legge tra l’altro ha ampliato i criteri di trasferimento di funzioni e compiti agli enti locali; la seconda legge ha dato un ulteriore impulso al processo di semplifi-cazione delle procedure amministrative.

5. la l. 265/1999 (CD. lEGGE napolItano-VIGnErI)

A nove anni dalla sua entrata in vigore, la L. 142/1990 è stata incisiva-mente modificata dalla l. 3-8-1999, n. 265, cd. legge napolitano-Vigneri. Tale legge, tuttavia, non si è limitata soltanto a riformare la legge del ’90 (già ritoccata da altre disposizioni normative), ma ha introdotto anche nuo-ve disposizioni.

Punti salienti della L. 265/1999 sono:

— il riconoscimento di una più ampia autonomia degli enti locali, all’interno della quale assumono rilievo centrale l’autonomia statutaria e regolamentare;

— l’allargamento degli spazi e degli istituti di partecipazione all’attività e alle decisioni delle amministrazioni locali;

— l’atteggiamento di favore verso la gestione sovracomunale di funzioni di competenza di più enti locali, concretizzantesi nell’incentivazione delle fusioni e delle Unioni di Comuni, nella previ-sione di uffici comuni, operanti con personale distaccato dai Comuni partecipanti alla convenzio-ne, nella introduzione di una apposita disciplina per l’esercizio associato delle funzioni;

— una nuova disciplina delle Comunità montane e delle Aree metropolitane; — il rafforzamento del decentramento locale;— l’introduzione di norme più incisive sul funzionamento dei Consigli e delle Giunte degli

enti locali;— una compiuta disciplina dello status degli amministratori locali.

6. Il D.lGS. 267/2000 (tESto unICo DEGlI EntI loCalI)

Il momento simbolicamente conclusivo del decennio di riforme che ha coinvolto gli enti locali è dato dall’emanazione del D.lgs. 18-8-2000, n. 267, T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL).

In particolare le novità ivi introdotte possono così enuclearsi:

— la competenza della fonte statutaria nella disciplina dei modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente (art. 6, comma 2);

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Parte Prima: Gli enti territoriali nell’ordinamento italiano12

— il potenziamento delle competenze dirigenziali estese a tutti gli atti di gestio-ne (salvo poche eccezioni) e a quelli di carattere amministrativo (art. 107);

— la riconduzione funzionale agli organi di governo dei soli atti «ricom-presi espressamente dalla legge o dallo statuto fra le funzioni di indiriz-zo e di controllo politico amministrativo», rimarcando il principio di separazione fra la sfera politica e quella gestionale (art.107);

— il riconoscimento agli enti locali di una più ampia autonomia in merito alla regolamentazione delle selezioni del personale (art. 89);

— l’esclusione dai controlli del CO.RE.CO. delle delibere approvate dalle Giun-te in via d’urgenza concernenti le variazioni di bilancio e ratificate dal Consi-glio nei sessanta giorni successivi, a pena di decadenza (art. 42, comma 4);

— la possibilità riconosciuta alle Giunte comunali e provinciali di svolge-re controlli di fatto sulla legittimità delle deliberazioni adottate dagli organi consiliari, sottoponendole ai CO.RE.CO. (art. 127, comma 3). Ciò si evince dalla previsione testuale secondo cui al controllo del CO.RE.CO. la Giunta può sottoporre «ogni altra deliberazione dell’ente»;

— l’estensione agli eredi della responsabilità amministrativa dei dipenden-ti e degli amministratori degli enti locali nei casi di illecito arricchimen-to (art. 93, comma 4);

— l’estensione dell’istituto della partecipazione popolare anche ai cittadini appartenenti all’ Unione europea e agli stranieri regolarmente soggior-nanti (art. 8, comma 5);

— la codificazione nell’ordinamento degli enti locali della società per azioni a partecipazione pubblica minoritaria come forma specifica di gestione dei servizi pubblici locali (art. 113, lett. f nella dizione ante L. 448/2001);

— l’obbligo della presenza delle minoranze nelle Comunità montane (art. 27, comma 2).

7. lE rIformE CoStItuzIonalI: la l. CoSt. 1/1999 E la l. CoSt. 3/2001

La l. cost. 22-11-1999, n. 1 reca disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e il potenziamento dell’auto-nomia statutaria delle Regioni.

La riforma modifica gli articoli 121, 122, 123 e 126 della Costituzione relativi all’organizzazione istituzionale delle Regioni a Statuto ordinario.

L’impianto della legge in parola ruota, in sintesi, intorno a due signifi-cative novità: da un lato, l’investitura diretta popolare del vertice dell’ese-

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13Capitolo Unico: Evoluzione storico-legislativa degli enti territoriali

cutivo, dall’altro, la revisione della disciplina dell’autonomia statutaria quale «architrave» dell’autonomia di indirizzo politico-amministrativo di cui gode l’ente regionale.

Si evidenzia in questa sede l’importanza politica della riforma: il mec-canismo dell’elezione diretta del Presidente della Giunta, uniformando il sistema di governo regionale a quello di Comuni e Province, enfatizza l’in-defettibile componente democratica comune agli enti territoriali e allo stesso tempo costituisce un ingranaggio prezioso che va ad inserirsi armo-nicamente nel complesso circuito del federalismo già attivato dalle leggi Bassanini.

Il Titolo V della Parte II della Costituzione, dedicato alle autonomie ter-ritoriali è stato profondamente modificato dalla L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

In sintesi preliminare, questi sono gli aspetti salienti della riforma introdotta dalla l. cost. 3/2001:

— l’art. 114 Cost., che, nella sua formulazione originaria, prevedeva la ripartizione della Repubblica in Regioni, Province e Comuni, vede ribaltata l’elencazione degli enti terri-toriali evidenziando la profonda radice territoriale del Comune il quale, in base al princi-pio di sussidiarietà, è l’ente locale più vicino ai cittadini;

— l’autonomia goduta dagli enti elencati nel nuovo art. 114 è piena nel senso che trova un limite invalicabile nei principi fissati dalla Costituzione;

— la nuova formulazione dell’art. 117 Cost., che fissa tassativamente le materie sulle quali lo Stato avrà legislazione esclusiva, affiancando ad esse un settore di legislazione regio-nale concorrente ed un ulteriore settore residuale nel quale le Regioni hanno sostanzial-mente potestà legislativa esclusiva;

— viene costituzionalizzato lo status di capitale d’Italia della città di Roma il cui ordinamen-to è oggetto di specifica previsione da parte di una legge dello Stato;

— non solo le Regioni speciali godono di «forme e condizioni particolari di autonomia», ma anche le Regioni a statuto ordinario possono beneficiarne, su iniziativa della Regione interessata e con legge dello Stato;

— la potestà legislativa regionale è di tipo concorrente, per cui pur potendo intervenire su un vasto ambito oggettivo non può non ottemperare ai principi fondamentali definiti dalla legislazione statale, ed esclusivo;

— viene riconosciuta alle Regioni la conduzione di una politica estera sia pur nel rispetto di alcuni vincoli;

— la titolarità generale delle funzioni amministrative viene radicata in capo ai Comuni;— viene costituzionalizzato il principio di sussidiarietà che si affianca al principio di diffe-

renziazione e di adeguatezza;— il federalismo fiscale viene costituzionalizzato con il nuovo testo dell’art. 119;— è prevista una forma di intervento sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni e

degli enti locali a fronte di gravi inadempienze, quali il mancato rispetto delle norme in-ternazionali, attentato alla sicurezza nazionale, alla tutela dell’unità giuridica ed economi-ca del Paese e ai diritti essenziali di cittadinanza;

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Parte Prima: Gli enti territoriali nell’ordinamento italiano14

— la previsione dell’istituzione in ogni Regione del Consiglio delle autonomie locali, con compiti consultivi;

— sono abrogati gli articoli 115, 124, 125 comma 1, 128, 129 e 130 della Costituzione, così determinando, tralaltro, la soppressione dei controlli regionali sugli atti degli enti locali e dei controlli statali sulle leggi regionali.

8. l’attuazIonE DElla rIforma CoStItuzIonalE: la l. 131/2003

Con l’approvazione della l. 5-6-2003, n. 131 recante «Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituziona-le 18 ottobre 2001, n. 3» è stato compiuto il primo passo al fine di confor-mare il sistema legislativo vigente alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.

Gli aspetti principali affrontati dalla legge di attuazione della riforma sono:

— una più esatta individuzione dei vincoli internazionali e comunitari alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni;

— l’applicazione della legislazione statale nelle materie di competenza regionale e, di converso, l’applicazione delle norme regionali nelle materie di esclusiva competenza statale;

— la delega al Governo per la predisposizione di atti che individuino i principi fondamentali cui devono attenersi le disposizioni regionali nelle materie a legislazione concorrente;

— l’individuazione dei contenuti e dei limiti della potestà normativa degli enti locali;

— una migliore definizione delle procedure attraverso le quali le Regioni partecipano alla formazione degli atti comunitari ed esercitano la loro attività internazionale;

— la disciplina del potere sostitutivo del Governo nei casi di inadempienze da parte delle Regioni o degli enti locali;

— la modifica delle procedure per i ricorsi di legittimità costituzionale in via principale alla Corte costituzionale.

9. l’attuazIonE DEll’art. 119 CoSt.: Il fEDEralISmo fISCalE

L’art. 119 Cost., come novellato dalla L. cost. 3/2001, garantisce a tutti i livelli di governo autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse

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15Capitolo Unico: Evoluzione storico-legislativa degli enti territoriali

economiche autonome. In questo modo si è inteso istituire una forma di federalismo cooperativo e solidale volto, da un lato a promuove la maggio-re autonomia di Regioni ed enti locali e, dall’altro lato a sostenere le aree più deboli consentendo a tutte le comunità locali di usufruire di un standard di servizi uniforme su tutto il territorio nazionale, pur con le dovute diffe-renze e nel rispetto delle autonomie riconosciute.

Al fine di garantire la piena attuazione dei principi contenuti nell’art. 119 Cost. è stata emanata la l. 5-5-2009, n. 42 con la quale il Governo è stato delegato ad attuare il cd. federalismo fiscale.

Detta legge reca disposizioni volte a stabilire i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, disciplina l’istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante e predispone l’utilizzazione delle risor-se aggiuntive per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese.

In attuazione della L. 42/2009 in questione, il Governo ha poi emanato:

— il D.lgs. 23-5-2010, n. 85 relativo al cd. federalismo demaniale;— il D.lgs. 17-9-2010, n. 156 sull’ordinamento di Roma Capitale;— il D.lgs. 26-11-2010, n. 216 sui fabbisogni standard di Comuni, Città

metropolitane e Province;— il D.lgs. 14-3-2011, n. 23 sul federalismo fiscale municipale;— il D.lgs. 6-5-2011, n. 68 sulla fiscalità regionale e provinciale;— il D.lgs. 31-5-2011, n. 88 relativo a risorse aggiuntive ed interventi

speciali;— il D.lgs. 23-6-2011, n. 118 relativo all’armonizzazione dei sistemi con-

tabili e dei bilanci di Regioni ed enti locali;— il D.lgs. 6-9-2011, n. 149 contenente meccanismi sanzionatori e pre-

miali per Regioni, Province e Comuni.

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PARTE SECONDAlE attrIBuzIonI DEllE rEGIonI

CAPITOLO PRImO

natura GIurIDICa E CarattErI DEllE rEGIonI

SommarIo: 1. Natura giuridica della Regione. - 2. Caratteri delle Regione. - 3. Elementi costitutivi. - 4. Autonomia politica e decentramento.

1. natura GIurIDICa DElla rEGIonE

La Regione, al pari dello Stato (nonché dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane), costituisce un’articolazione territoriale della Repubblica, ed è un ente autonomo con un proprio Statuto e una serie di poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione (art. 114, com-ma 2).

In dottrina è stato sottolineato, con riferimento alla natura giuridica della Regione, che quest’ultima non può essere confusa con lo Stato-mem-bro di uno Stato federale dotato di «carattere costituzionale ed elemento imprescindibile del sistema politico generale» (AmATO-BARBERA).

Ciò in quanto, nonostante le rilevanti modifiche apportate dalla l. cost. 3/2001, l’unico ente sovrano resta lo Stato e, del resto, la riforma ha lascia-to immutato il dispositivo di cui all’art. 5 Cost., che afferma l’indivisibilità e l’unitarietà della Repubblica: ad essa si impone di promuovere le “auto-nomie locali”, termine con il quale si designano enti non sovrani. A confer-ma di tale asserzione, si ricordi che la formazione delle Regioni avviene tramite un atto unilaterale di volontà dello Stato.

La Consulta ha sottolineato la natura costituzionale dell’autonomia regionale, nonché «l’attribuzione alle stesse Regioni della qualità di soggetti non solo amministrativi, ma costi-

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17Capitolo Primo: Natura giuridica e caratteri delle Regioni

tuzionali, investiti fra l’altro di una funzione quale quella legislativa, tradizionalmente riser-vata, nel modello di Stato liberale a impianto centralista, allo Stato persona. La natura costitu-zionale che risulta conferita all’autonomia regionale comporta, come prima conseguenza, che il complesso sistema delle relazioni tra Stato e Regioni debba trovare la sua base diretta nel tessuto della Costituzione, cui spetta il compito di fissare, in termini conclusi, le stesse dimen-sioni dell’autonomia, cioè i suoi contenuti ed i suoi confini. L’ulteriore conseguenza sarà che ad ogni potere d’intervento dello Stato, suscettibile d’incidere su tale sfera costituzionalmen-te garantita, in modo da condizionarne in concreto […] la misura e la portata, non potrà non corrispondere un fondamento specifico nella stessa disciplina costituzionale» (Corte Cost., 21-4-1989 n. 229).

2. CarattErI DElla rEGIonE

La Regione, alla luce delle precedenti considerazioni, è:

— ente autarchico, in quanto opera in regime di diritto amministrativo, disponendo di potestà pubbliche, ed il suo ordinamento trae la propria validità dall’ordinamento generale, ponendosi rispetto a questo come ordinamento derivato (mIELE);

— ente ad appartenenza necessaria, poiché ne fanno parte necessariamen-te tutti coloro che risiedono stabilmente nel suo territorio ed hanno, pertanto, diritto di voto nelle elezioni degli organi della Regione;

— ente associativo, composto da tutti i soggetti che risiedono nel suo ter-ritorio;

— ente autonomo, in quanto dotato di autonomia statutaria, politica, legi-slativa, amministrativa e finanziaria;

— ente costituzionale, in quanto partecipe della funzione politica, sia pure a livello locale, ed organismo essenziale della struttura costituzionale della Repubblica.

3. ElEmEntI CoStItutIVI

La Regione, in quanto ente territoriale esponenziale degli interessi della collettività sottostante, presenta tre elementi costitutivi:1. il territorio, che è per la Regione non solo l’ambito spaziale in cui essa

esercita i suoi poteri e le sue funzioni, ma elemento essenziale come centro di riferimento degli interessi comunitari che gli organi regionali sono chiamati a soddisfare nella loro azione.

L’elenco delle Regioni contenuto nell’art. 131 Cost. identifica le Regioni giuridiche con le preesistenti regioni fisiche, individuate sulla base dei compartimenti statistici in cui i

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Parte Seconda: Le attribuzioni delle Regioni18

dati del censimento del 1871 erano stati suddivisi. Tale certificazione, tuttavia, non sempre garantisce una dislocazione ottimale degli interessi delle collettività territoriali, per cui la Costituzione (art. 132) prevede una speciale procedura per la fusione di regioni esisten-ti o la creazione di nuove regioni.

Tale procedimento richiede:

a) una legge costituzionale (dal momento che va modificato l’elenco contenuto nell’art. 131 Cost.);

b) un minimo di popolazione di un milione di abitanti;c) la richiesta di un numero di Consigli comunali tali da rappresentare un terzo delle

popolazioni interessate;d) il parere dei Consigli regionali coinvolti;e) l’approvazione, mediante referendum, delle popolazioni interessate;

2. la popolazione. La comunità regionale rappresenta «l’elemento perso-nale dell’ente» (mARTINES - RUGGERI - SALAZAR) e le relativa popolazione si identifica con quella appartenente ai Comuni compresi nel territorio regionale. La comunità locale residente nel territorio è destinataria dei servizi personali predisposti dalla Regione e dell’attivi-tà autoritativa posta in essere dai suoi organi. La popolazione vanta, inoltre, numerosi diritti di partecipazione alla vita politica regionale, enunciati dalla Costituzione (elezione dei Consigli regionali e del Pre-sidente della Giunta regionale, diritto di richiedere referendum, iniziati-va legislativa, possibilità di svolgere attività di interesse generale) e dagli Statuti;

3. l’apparato autoritario. La Regione dispone di propri organi (Consiglio, Giunta e Presidente), espressamente previsti dalla Costituzione e da leggi costituzionali, che esercitano le funzioni amministrativa e legisla-tiva, ma non quella giurisdizionale, riservata all’ente sovrano Stato.

4. autonomIa polItICa E DECEntramEnto

L’autonomia politica, di cui sono attributari gli enti territoriali (Regio-ni, Province, Comuni) consiste nella potestà, riconosciuta ai propri organi di vertice a carattere elettivo, di promuovere un proprio indirizzo, relativa-mente libero dalle imposizioni statali (PALADIN), potestà che si ricollega necessariamente al loro carattere rappresentativo.

Più chiaramente essa si concreta nella funzione di indirizzo politico-amministrativo che, nella soluzione dei problemi lasciati all’autonomia locale, può anche divergere dall’indirizzo politico centrale (salvo i limiti generali del rispetto dell’unità della Repubblica, dei principi fondamentali dell’ordinamento etc.).

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19Capitolo Primo: Natura giuridica e caratteri delle Regioni

Quanto al decentramento, in linea generale si tratta di un principio di organizzazione applicabile a qualunque ente di grandi dimensioni e artico-lazione complessa, in base al quale le funzioni e i servizi vengono disloca-ti nel luogo più prossimo ai fruitori degli stessi.

Sotto il profilo giuridicamente più rigoroso e conforme al dettato costi-tuzionale dell’art. 5, si definisce decentramento amministrativo dello Stato il trasferimento di funzioni amministrative dagli organi centrali agli organi periferici o ad altri enti.

Tale decentramento si articola poi in tre tipi diversi:

— decentramento burocratico o organico, che consiste nel trasferimento di funzioni deciso-rie, con conseguenti responsabilità, dagli organi centrali a quelli periferici. Quando tale trasferimento viene attuato in costanza di rapporto gerarchico, oppure si riferisce solo a funzioni istruttorie o esecutive, si suole parlare di deconcentrazione;

— decentramento autarchico, quando il trasferimento di funzioni amministrative viene ope-rato a favore di enti diversi dallo Stato e dotati di autarchia;

— decentramento funzionale o per servizi, consistente nell’affidamento di funzioni statali ad organismi separati, spesso dotati anche di personalità giuridica, che agiscono con autono-mia di gestione e di bilancio.

È bene precisare che la riforma del Titolo V attua quello che potrebbe definirsi un decentramento politico o costituzionale, che consiste nella cessione di poteri dallo Stato a diversi enti (Comuni, Province, Regioni) ed è realizzato, di norma, mediante leggi di rango costituzionale.

Glossarioautarchia: concetto che viene inteso in due diverse accezioni; per una parte della dottrina, essa consiste nella capacità degli enti pubblici di amministrare i propri interessi, mediante attività aventi le medesime caratteristiche di quelle statali. Secondo altri, invece, l’autarchia è la capacità degli enti diversi dallo Stato di disporre di potestà pubbliche e di emanare atti aventi la stessa efficacia di quelli statali.

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CAPITOLO SECONDO

l’autonomIa StatutarIa

SommarIo: 1. Cenni introduttivi. - 2. Gli Statuti regionali nella Costituzione. - 3. Contenuto degli Statuti regionali. - 4. Procedimento di formazione degli Statuti delle Regioni ordinarie.

1. CEnnI IntroDuttIVI

La Repubblica, pur nella sua unità e indivisibilità, ex art. 5 Cost., rico-nosce e promuove le «autonomie locali», vale a dire la capacità delle comu-nità territoriali di gestire, con proprie determinazioni, una parte degli affari pubblici. Le Regioni, pertanto, in quanto enti territoriali autonomi, sono dotate di: potestà statutaria, legislativa, amministrativa e finanziaria.

2. GlI StatutI rEGIonalI nElla CoStItuzIonE

L’autonomia statutaria delle Regioni è contemplata direttamente dalla Carta costituzionale al novellato art. 114, comma 2 laddove definisce le Regioni quali enti autonomi con propri Statuti, poteri e funzioni secondo i princípi fissati dalla Costituzione.

Diversa è la disciplina dettata dalla Costituzione per gli Statuti delle Regioni speciali rispetto a quella delle Regioni ordinarie.

Per le prime, l’art. 116 Cost. nella dizione novellata dalla L. cost. 3/2001 sancisce: «Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino - Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi Statuti speciali adottati con legge costituzionale».

Il riconoscimento di «forme e condizioni particolari di autonomia» a cinque delle venti Regioni individuate dalla Costituzione è giustificato dalla specificità storica, politica e geo-grafica di ciascuna di esse.

Per le Regioni ordinarie, invece, l’art. 123 Cost., commi 1-3, recita: «Ciascuna Regione ha uno Statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo Statuto regola l’esercizio del diritto d’iniziativa e del

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21Capitolo Secondo: L’autonomia statutaria

referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

Lo Statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due delibera-zioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di le-gittimità costituzionale sugli Statuti regionali dinanzi alla Corte costituzio-nale entro trenta giorni.

Lo Statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo Statu-to sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi».

Quali sono le differenze fra Statuti speciali e ordinari?Sotto il profilo formale, per quel che concerne le Regioni a Statuto speciale, le forme e le condizioni particolari di autonomia sono riconosciute dallo Stato, mediante l’adozione degli Statuti con leggi costituzionali.Per le Regioni ordinarie, invece, lo Statuto — cui si riconosce il compito di stabilire la forma di governo e di regolare talune funzioni dell’Ente — è adottato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successi-ve adottate ad intervallo non minore di due mesi. Si tratta di una procedura rinforzata che ha attribuito allo Statuto ordinario la qualità di fonte «paracostituzionale».Le Regioni ordinarie, pertanto, partecipano in modo decisivo alla formazione del loro Statuto, che assurge ad espressione fondamentale della capacità che esse hanno di formulare un proprio indirizzo politico-amministrativo.Anche per quel che concerne la disciplina delle modificazioni, occorre distinguere tra Statuti ordinari e speciali.Per gli Statuti ordinari la modificazione è deliberata e approvata dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Gli Statuti speciali, invece, in quanto adottati con legge costituzionale, non possono subire modificazione se non ad opera di un’altra legge costituzionale che espressamente si sostituisca alla prima oppure che, espressamente o tacita-mente, abroghi o modifichi le norme in essi contenute.Si ricorda infine che, a seguito della revisione degli Statuti speciali operata dalla L. cost. 2/2001, viene esclusa per le cinque Regioni ad autonomia speciale la possibilità di sottoporre al referendum nazionale le modifiche allo Statuto approvate.Alla luce di quanto fin qui esposto, non pare che possano sorgere dubbi sul carattere formalmente e materialmente costituzionale degli Statuti speciali; viceversa, gli Statuti delle Regioni ordinarie si configurano quali atti normativi regionali, sia da un punto di vista formale che sostanziale.

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Parte Seconda: Le attribuzioni delle Regioni22

3. ContEnuto DEGlI StatutI rEGIonalI

a) GeneralitàL’art. 123 Cost. stabilisce che ciascuna Regione ha uno Statuto che, in

armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i princípi fondamentali di organizzazione e funzionamento, regola l’esercizio del di-ritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

Si tratta di un contenuto necessario (ma non esclusivo) degli Statuti.

Che si intende con l’espressione «in armonia con la Costituzione»?Lo Statuto regionale deve porsi in armonia con la Costituzione. Tale espressione deve essere intesa, secondo la Corte costituzionale, nel senso che l’autonomia statutaria non può essere compressa in mancanza di una disciplina costituzionale chiaramente riconoscibile o tramite non controllabili interferenze e deduzioni da concetti generali, assunti a priori (sent. n. 313/2003) e che le previsioni dello Statuto devono non solo rispettare puntualmente ogni disposizione della Costituzione, ma anche rispettarne lo spirito (sent. 2/2004).

Gli Statuti devono regolare:

— la forma di governo regionale, ossia l’assetto dei rapporti fra gli orga-ni di governo regionale, nei limiti di quanto disposto inderogabilmente da norme costituzionali.

La Costituzione stabilisce, infatti:

a) quanti e quali siano gli organi regionali e le loro funzioni fondamen-tali (art. 121);

b) alcune incompatibilità fra la carica di consigliere regionale e altre cariche pubbliche (art. 84, comma 2; art. 104, comma 7; art. 122, comma 2);

c) che i casi di ineleggibilità e incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta nonché dei consiglieri regionali siano disci-plinati da leggi regionali (art. 122);

d) che il sistema elettorale sia definito da leggi regionali (art. 122);e) che il Consiglio regionale debba avere un Presidente e un Ufficio di

presidenza (art. 122);f) che il Consiglio regionale possa esprimere la sfiducia nei confronti

del Presidente della Giunta (art. 126, comma 2);

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23Capitolo Secondo: L’autonomia statutaria

— i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Re-gione;

— l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provve-dimenti amministrativi;

— la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali;— il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra

la Regione e gli enti locali (vedi Parte IV, Cap. 2).

Gli Statuti invece non possono regolare (né modificare):

— il tipo e il numero degli organi di governo della Regione, predetermina-ti dalla Costituzione (Consiglio regionale, Giunta regionale e Presiden-te della Regione);

— la ripartizione delle funzioni fra tali organi, già operata dall’art. 121 Cost.;

— i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei Consiglieri regionali;

— l’estensione del territorio della Regione.

B) Il contenuto eventualeAl di fuori del cd. contenuto necessario è possibile che lo Statuto regio-

nale presenti, alla luce della riforma attuata dalla L. cost. 3/2001, un conte-nuto eventuale. Sull’argomento si riporta l’opinione di autorevole dottrina secondo cui «ad eccezione della riserva di legislazione esclusiva statale di cui al secondo comma dell’attuale art. 117 Cost., in ogni altra materia — di competenza legislativa regionale residuale (art. 117, comma 4) o concor-rente (art. 117, comma 3) — non è affatto da escludere che lo Statuto deci-da di dire la sua, naturalmente solo con normazione di principio (onde non mortificare/comprimere la riserva comunque esistente a favore del potere legislativo regionale)» (SPADARO).

4. proCEDImEnto DI formazIonE DEGlI StatutI DEllE rEGIonI orDInarIE

Il procedimento di formazione degli Statuti ordinari si caratterizza per i seguenti passaggi:

— la legge regionale deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio regionale con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi;

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Parte Seconda: Le attribuzioni delle Regioni24

— il ricorso del Governo per sollevare la questione di legittimità costitu-zionale sugli Statuti dinanzi alla Corte costituzionale deve essere pro-posto entro trenta giorni dalla pubblicazione, a fini notiziali, della seconda deliberazione consiliare;

— lo Statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla pubblicazione, a fini notiziali, della seconda deliberazione consi-liare ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. In questo caso lo Sta-tuto è promulgato soltanto se è approvato dalla maggioranza dei voti validi;

— scaduti i tre mesi senza indizione del referendum, lo Statuto viene pro-mulgato e assoggettato alla pubblicazione necessaria ai fini della defi-nitiva entrata in vigore.

Gli Statuti conformi alle indicazioni emergenti dalla riforma costituzionale sono stati adottati dalle Regioni Calabria (L. reg. 25/2004), Puglia (l. reg. 7/2004), Lazio (L. reg. 1/2004), Emilia Romagna (L. reg. 13/2005), Liguria (L. reg. 1/2005), marche (L. reg. 1/2005), Piemon-te (L. reg. 1/2005), Umbria (L. reg. 21/2005), Toscana (St. reg. 11-2-2005) e Abruzzo (St. reg. 28-12-2006).

Gli Statuti più recenti sono, infine, quello della Regione Lombardia (L. reg. 30-8-2008, n. 1), nonché quello della Regione Campania (L. reg. 28-5-2008, n. 6).

5. l’attuazIonE DEll’artIColo 123 CoSt.

Il comma 1 dell’articolo 9 della L. 131/2003, cd. legge La Loggia, inti-tolato «Attuazione degli articoli 123, secondo comma e 127 della Costitu-zione, in materia di ricorsi alla Corte costituzionale», sostituisce integral-mente l’articolo 31 della legge 11 marzo 1953 n. 87 (Norme sulla costitu-zione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

La modifica sembra limitarsi a riprodurre quanto già riferito dall’art. 123 Cost. come innovato dalla L. cost. 1/1999, laddove prevede che la questione di legittimità costituzionale di uno Statuto regionale possa dal Governo, a norma del secondo comma dell’art. 123 della Costituzione, essere promossa entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione (art. 31 cit., co. 1).

Il procedimento di approvazione degli Statuti di Umbria ed Emilia Romagna ha consen-tito di chiarire, attraverso l’intervento della Corte costituzionale, che il controllo del Governo sugli Statuti regionali è solo di tipo preventivo. Con la sent. 14-28 dicembre 2005, n. 469, infatti, la Corte nel dichiarare inammissibile il ricorso del Governo, ha ribadito che per gli Statuti regionali il controllo resta di tipo esclusivamente preventivo e che, quindi, il termine

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