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Dispense di Algebra Gianfranco Casnati 4 marzo 2019

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  • Dispense di Algebra

    Gianfranco Casnati

    4 marzo 2019

  • Indice

    Introduzione 3

    Lezione 1. Corrispondenze e applicazioni 5

    Lezione 2. Relazioni d’equivalenza e d’ordine 11

    Lezione 3. Il principio d’induzione 17

    Lezione 4. Insiemi finiti e infiniti 25

    1

  • 2

  • Introduzione

    In queste note sono raccolte alcune delle lezioni del corso di Istituzioni d’Algebra eGeometria che affrontano argomenti non contenuti nel libro di testo:

    A. Conte, L. Picco Botta, D. Romagnoli: Algebra. Libreria Editrice Universitaria,Levrotto&Bella, Torino 2009.

    Ogni osservazione costruttiva, sia sui contenuti che sullo stile espositivo, è apprez-zata.

    Gianfranco Casnati

    3

  • 4 Introduzione

  • Lezione 1.Corrispondenze e Applicazioni

    Nel corso di queste prime lezioni tratteremo alcuni argomenti riguardanti la teoria degliinsiemi. Assumeremo come note molte nozioni di base già viste in anni precedenti comele seguenti.

    • La nozione di insieme, di elemento di un insieme, di appartenenza e non appar-tenenza di un elemento a un insieme.

    • Le relazioni di inclusione e inclusione stretta fra insiemi.

    • Le operazioni di intersezione, unione, differenza fra insiemi.

    • Le nozioni di insieme vuoto, prodotto cartesiano di insiemi e di insieme delle partidi un insieme.

    In realtà tutte queste nozioni, relazioni e operazioni si possono inquadrare in uncontesto assiomatico, cioè in un contesto in cui partendo da un numero finito di assiomisi possono dedurre logicamente tutta una serie enunciati. Un sistema assiomatico perla teoria degli insiemi è stato il risultato degli studi di vari matematici del secolo scorso.

    Il sistema di assiomi accettato è quello che va sotto di sistema di assiomi di Zermelo–Fränkel. Non discuteremo di tale sistema di assiomi, ma lo utilizzeremo implicitamente,facendo talvolta qualche osservazione su di esso a carattere più storico e culturale chedi sostanza.

    Definizione 1.1. Siano X e Y insiemi. Una corrispondenza F di dominio X ecodominio Y è un sottoinsieme di X × Y .

    Se (x, y) ∈ F si dice che x è in corrispondenza con y tramite F e si scrive spessox F y.

    Esempio 1.1. Gli insiemi ∅ e X × Y sono corrispondenze da X a Y dette banali.

    Esempio 1.2. Siano

    X = { 0, 1, 2 }, Y = { a, b, c, d }.

    Allora

    F = { (0, a), (0, b), (2, c), (0, d) } ⊆ X × Y,G = { (a, 0), (b, 0), (c, 2), (d, 0) } ⊆ Y ×X

    5

  • 6 Lezione 1

    sono corrispondenze rispettivamente da X in Y e da Y in X. Si noti che F 6= G.Chiaramente 0 è in corrispondenza sia con a che con b e c tramite F .

    Esempio 1.3. Sia

    X = { (x, y) | x2 + y2 = 1 } ⊆ R× R = R2.

    Allora X è una corrispondenza da R a R. Si noti che 1 è in corrispondenza con il solo0; 0 è in corrispondenza sia con 1 che con −1; 2 non è in corrispondenza con nessunelemento del codominio.

    Esempio 1.4. Sia

    X = { (x, y) | x = y2 } ⊆ R× R = R2.

    Allora X è una corrispondenza da R a R. Si noti che 0 è in corrispondenza con ilsolo 0; 1 è in corrispondenza sia con 1 che con −1; tutti i numeri non negativi sonoin corrispondenza con qualche elemento del codominio; nessun numero negativo è incorrispondenza con qualche elemento del codominio.

    Definizione 1.2. Siano X e Y insiemi. Una corrispondenza F di dominio X e codo-minio Y è detta applicazione (o funzione, o mappa) da X a Y se per ogni x ∈ X esisteun unico y ∈ Y tale che x F y.

    Se F è un’applicazione, di solito si scrive F : X → Y e y = F (x) invece di F ⊆ X×Ye x F y. Spesso si scrive ance in maniera compatta x 7→ F (x).

    L’insieme di tutte le funzioni da X a Y si indica con Y X .

    Esempio 1.5. La corrisondenza F dell’esempio 1.2 non è un’applicazione, mentre loè G. Le corrispondenze degli esempi 1.3 e 1.4 non sono funzioni.

    Anche nel caso di funzioni diamo per scontate una serie di nozioni di base.

    • La definizione di immagine di un’applicazione e di immagine inversa di un ele-mento del codominio.

    • La nozione di applicazione iniettiva, suriettiva, biiettiva.

    • L’operazione di composizione ◦ di funzioni.

    • La definizione di applicazione identità idX : X → X.

    • La nozione di applicazione inversa e la sua unicità.

    • L’equivalenza fra biiettività e invertibilità.

    • La definizione di restrizione di una applicazione a un sottoinsieme del dominio edi estensione ad un insieme contenente il dominio.

    Proposizione 1.1. Siano X e Y insiemi. Se f : X → Y e g : Y → X allora seg ◦ f = idX segue che f è iniettiva e g è suriettiva.

  • Corrispondenze e Applicazioni 7

    Dimostrazione. Supponiamo che esistano x′, x′′ ∈ X tali che f(x′) = f(x′′). Allora

    x′ = idX(x′) = g ◦ f(x′) = g ◦ f(x′′) = idX(x′′) = x′′,

    cioè f è iniettiva.Sia x ∈ X. Allora

    x = idX(x) = g ◦ f(x)cioè x = g(y) ove y = f(x), ovvero g è suriettiva.

    Definizione 1.3. Siano X e Y insiemi. Se f : X → Y un’applicazione g : Y → X sidice:

    • inversa destra di f se f ◦ g = idY ;

    • inversa sinistra di f se g ◦ f = idX .

    Quindi la proposizione 1.1 si può anche leggere affermando che se f ha inversadestra allora f è suriettiva, mentre se ha inversa sinistra allora f è iniettiva.

    Esempio 1.6. Si consideri exp: R → R, x 7→ ex. exp è iniettiva (ma non suriettiva).Sia u ∈ R e definiamo

    gu : R −→ R

    y −→{

    log(y) se y > 0,u se y ≤ 0.

    Poiché exp(x) > 0 segue che

    gu ◦ exp(x) = log(ex) = x :

    in particolare exp ha infinite inverse sinistre.

    La proposizione 1.1 può, in un certo senso, essere completata.

    Proposizione 1.2. Siano X e Y insiemi e f : X → Y . f ha inversa sinistra se e solose è iniettiva.

    Dimostrazione. La proposizione 1.1 ci permette di affermare che se f ha inversa sinistra,allora f è iniettiva.

    Viceversa supponiamo che f sia iniettiva. Allora per ogni y ∈ im(f) risulta f−1(y) ={ xy }: scegliamo u ∈ X e definiamo

    gu : Y −→ X

    y −→{xy se y ∈ im(f),u se y 6∈ im(f).

    Poiché f(x) ∈ im(f) segue che

    gu ◦ f(x) = gu(y) = xy :

    quindi gu è inversa sinistra di f .

  • 8 Lezione 1

    Più delicato è dimostrare l’esistenza di inverse destre per un’appicazione suriettivaf : X → Y . È facile vedere che per costruire un’inversa destra dobbiamo, per ogniy ∈ Y scegliere uno e un solo elemento xy ∈ f−1(y) e definire g come y 7→ xy.

    Nel caso Y sia un insieme finito è intuitivamente chiaro che un tale insieme di sceltesi può fare: ciò non è più molto chiaro se Y non è finito, in assenza di una precisa regoladi scelta.

    Definizione 1.4. Sia X = { Xi }i∈I una famiglia di insiemi non vuoti. Una funzionedi scelta per X è un’applicazione

    s : I −→⋃i∈I

    Xi

    tale che f(i) ∈ Xi per ogni i ∈ I.

    Enunciamo il seguente Assioma della scelta

    Assioma 1.1 (Assioma della scelta). Sia X = { Xi }i∈I una famiglia di insiemi nonvuoti. Allora esiste una funzione di scelta per X.

    Nel caso in cui I sia un insieme di indici finito, l’assioma della scelta è in realtà unaproposizione dimostrabile all’interno del sistema di assiomi di Zermelo–Fränkel. Ciònon è più vero se l’insieme di indici I non è finito.

    Osservazione 1.1. L’Assioma della scelta , pur nella sua semplicità, riveste un’im-portanza centrale nella teoria degli insiemi. In particolare, si può dimostrare che essoè indipendente dal sistema di assiomi di Zermelo–Fränkel nel senso che assumere onon assumere oltre a tale sistema di assiomi, l’assioma della scelta dà origine a teorieassiomatiche non contraddittorie.

    È stupefacente quante dimostrazioni si semplifichino (o si possano anche solo fare)assumendo l’Assioma della scelta: per tale motivo noi lo assumeremo fra gli assiomifndamentali da adesso in poi.

    L’Assioma della scelta è equivalente a molti enunciati interessanti. Per esempio alTeorema di Tychonov che afferma che un qualsiasi prodotto di spazi topologici compattiè compatto.

    L’assioma della scelta ha anche delle conseguenze interessanti. La prima è chel’unico esempio noto di insieme non misurabile (qualsiasi cosa questa frase significhi!),cioè il cosidetto insieme di Vitali, si costruisce utilizzando l’Assioma della scelta.

    Un’altro paradosso interessante è il Paradosso di Banach-Tarski che afferma chedata una sfera piena di volume 1 nello spazio tridimensionale è possibile suddividerlain un numero finito di parti che si possono ricomporre con rototraslazioni in manierada ottenere due sfere piene ciascuna di volume 1.

    Proposizione 1.3. Siano X e Y insiemi e f : X → Y . f ha inversa destra se e solose è suriettiva.

    Dimostrazione. La proposizione 1.1 ci permette di affermare che se f ha inversa destra,allora f è suriettiva.

  • Corrispondenze e Applicazioni 9

    Viceversa supponiamo che f sia suriettiva. Si consideri X = { f−1(y) }y∈Y e sia guna funzione di scelta per X. Si noti che⋃

    y∈Y

    f−1(y) ⊆ X,

    dunque g : Y → X e per ogni y ∈ Y si ha g(y) ∈ f−1(y). Quindi f ◦ g(y) = f(x) ovex ∈ f−1(y), sicché f ◦ g(y) = y, ovvero f ◦ g = idY , cioè gu è inversa destra di f .

    Si può dimostrare che l’Assioma della scelta è equivalente ad affermare che ogniapplicazione suriettiva ha inversa destra.

  • 10 Lezione 1

  • Lezione 2.Relazioni d’Equivalenza e d’Ordine

    Definizione 2.5. Sia X un insieme. Una relazione R in X è una corrispondenza daX in X.

    La relazione R si dice:

    • riflessiva se x R x per ogni x ∈ X;

    • transitiva se x R y e y R z implica x R z per ogni x, y, z ∈ X;

    • simmetrica se x R y implica y R x per ogni x, y ∈ X;

    • antisimmetrica se x R y e y R x implica x = y per ogni x, y ∈ X.

    Definizione 2.6. Sia X un insieme. Una relazione ∼ in X si dice d’equivalenza se èriflessiva, transitiva e simmetrica. Se x ∈ X l’insieme

    x = { y ∈ X | y ∼ x }

    è detta classe d’equivalenza di x.

    Definizione 2.7. Sia X un insieme. Una relazione ≺ si dice d’ordine se è riflessiva,transitiva e antisimmetrica. Si dice d’ordine totale se è d’ordine e per ogni x, y ∈ X ox ≺ y o y ≺ x.

    Di solito, quando una relazione è d’ordine totale, si usa il simbolo ≤ invece di ≺.

    Esempio 2.7. L’uguaglianza in un insieme X è sia una relazione d’equivalenza, ched’ordine totale. La relazione ≤ in N, Z, Q, R è una relazione d’ordine totale: invece larelazione < non è una relazione d’ordine.

    Si noti che anche in C si possono introdurre relazioni d’ordine totale: per esempiopossiamo definire x ≤ y se o |x| < |y|, oppure |x| = |y| ma arg(x) < arg(y), ove arg(z)indica l’argomento principale di z in [0, 2π[.

    Quando si dice che C non è ordinabile si intende che non è possibile dare unordinamento su x che sia compatibile con la struttura algebrica cioè in modo taleche:

    • se x ≤ y allora x+ z ≤ y + z per ogni x, y, z ∈ C;

    11

  • 12 Lezione 2

    • se x ≤ y allora xz ≤ yz per ogni x, y, z ∈ C, z ≥ 0.

    Una dei vari enunciati equivalenti all’Assioma della scelta afferma che ogni insiemeX è bene ordinabile, ovvero che è possibile definire su X un ordinamento totale inmodo che ogni suo sottoinsieme non vuoto abbia un primo elemento.

    Esempio 2.8. Se X è un insieme, la relazione ⊆ in P(X) è una relazione d’ordine.Se X ha almeno due elementi la relazione non è d’ordine totale.

    Esempio 2.9. Sia X o N0 = N ∪ { 0 } o Z. In X diciamo che a è multiplo di b seesiste c ∈ X tale che a = bc. Fissiamo n ∈ N ⊆ X e definiamo la relazione ≡n comesegue: a ≡n b se e solo se a− b è multiplo di n.

    Si osservi che tale relazione è riflessiva e transitiva sia su N0 che su Z. Invece èsimmetrica solo in Z. Quindi abbiamo una relazione di equivalenza in Z ma non in N0.

    Esempio 2.10. Sia X = { Xi }i∈I una famiglia di insiemi. Diciamo che Xi è equi-potente (o equicardinale) a Xj se esiste f : Xi → Xj biiettiva: in tal caso si scriveXi ≈ Xj. La relazione di equipotenza è una relazione di equivalenza.

    Fissiamo, per il momento, la nostra attenzione alle relazioni d’equivalenza.

    Definizione 2.8. Sia X un insieme. Una partizione di X è una famiglia { Xi }i∈I ⊆P(X) di insiemi non vuoti tali che:

    • se XI ∩Xj 6= ∅ allora Xi = Xj;

    •⋃i∈I Xi = X.

    Proposizione 2.4. Sia X un insieme. Se ∼ è una relazione d’equivalenza in X allora

    { x }x∈X

    è una partizione di X.

    Dimostrazione. Chiaramente x ∈ x, dunque⋃x∈X

    x = X.

    Se poi z ∈ x ∩ y, allora x ∼ z e z ∼ y, quindi per transitività x ∼ y. In parti-colare x ∈ x sicché x ⊆ y. Analogamente si verifica che y ⊆ x, dunque deve valerel’uguaglianza.

    Se X è un insieme e ∼ è una relazione d’equivalenza in X allora si definisce ilquoziente di X rispetto a ∼ come

    X/ ∼= { x }x∈X .

  • Relazioni d’Equivalenza e d’Ordine 13

    Esempio 2.11. Consideriamo la relazione definita in Z nell’esempio 2.9. Si scriveZn = Z/ ≡n.

    Preso n = 4 determiniamo le classi d’equivalenza rispetto a ≡4. Chiaramente

    0 = { 0,±4,±8, . . . } = 4Z.

    Si noti che 1, 2, 3 6∈ 0. Risulta

    1 = { 1, 1± 4, 1± 8, . . . } = { 1,−3, 5,−7, 9, . . . },2 = { 2, 2± 4, 2± 8, . . . } = { 2,−2, 6,−6, 10, . . . },3 = { 3, 3± 4, 3± 8, . . . } = { 3,−1, 7,−5, 11, . . . }.

    È facile verificare che Z4 = { 0, 1, 2, 3 }. Infatti se x ∈ Z, l’algoritmo della divisioneeuclidea implica che esistono unici q ∈ Z e r ∈ Z con 0 ≤ r ≤ 3 tali che x = 4q + r,sicché

    x ≡4 r ∈ { 0, 1, 2, 3 }.

    Passiamo ora a fare qualche osservazione sulle relazioni d’ordine.

    Definizione 2.9. Sia X un insieme e sia ≺ un ordinamento su X.

    • Se Y ⊆ X, diciamo che x ∈ X è un maggiorante si Y se y ≺ x per ogni y ∈ Y .

    • Diciamo che m ∈ X è massimale se per ogni x ∈ X tale che m ≺ x risulta x = m.

    • X is dice induttivo se ogni Y ⊆ X totalmente ordinato ha almeno un maggiorantein X.

    Esempio 2.12. Chiaramente ogni insieme con un numero finito di elementi ha elementimassimali ed è parzialmente ordinato e induttivo, qualsiasi ordinamento sia definito inesso.

    N, Z, Q, R con l’ordinamento usuale non sono induttivi.Sia X un insieme e si consideri P(X) ordinato per inclusione. Allora X è maggio-

    rante di ogni sottoinsieme di P(X). Inoltre X è l’unico elemento massimale in P(X).Si noti infine che P(X) è banalmente induttivo.

    Osservazione 2.2. Si noti che un elemento massimale può non essere maggiorante.Per esempio si consideri l’insieme I = { 1, 2, 3, 4 } e sia X = P(I)\{ I } ordinato

    per inclusione. Allora { 1, 2, 3 } è massimale, ma non è maggiorante di X: infatti{ 4 } e { 1, 2, 3 } non sono confrontabili.

    Inoltre di elementi massimali ne possono esistere più di uno: nel caso sopra, oltrea { 1, 2, 3 }, anche { 1, 2, 4 }, { 1, 3, 4 }, { 2, 3, 4 } sono elementi massimali.

    Si può dimostrare che l’Assioma della scelta è equivalente al seguente enunciato,noto come Lemma di Zorn.

    Lemma 2.1 (Lemma di Zorn). Sia X un insieme parzialmente ordinato induttivo.Allora X ha elementi massimali.

  • 14 Lezione 2

    Utilizzeremo il Lemma di Zorn più volte durante il corso. Come prima applicazionediamo una dimostrazione generale dell’esistenza di insiemi liberi di generatori per ognispazio vettoriale non nullo. Prima di enunciare il risultato richiamiamo alcune nozioniviste nel corso di Algebra Lineare del primo anno.

    Sia V uno spazio vettoriale su un campo k. Sia X = { vi }i∈I un insieme, nonnecessariamente finito, di vettori di V . Ricordiamo che l’insieme X si dice:

    • un insieme di generatori di V se per ogni v ∈ V esistono indici i1, . . . , in ∈ I escalari α1, . . . , αn ∈ k tali che

    v =n∑j=1

    αjvij ;

    • un insieme libero di vettori di V se per ogni scelta di indici i1, . . . , in ∈ I i vettoriv1i1 , . . . , vin sono linearmente indipendenti, cioè l’uguaglianza

    n∑j=1

    αjvij = 0,

    con α1, . . . , αn ∈ k, implica α1 = · · · = αn = 0.

    È noto che ogni spazio vettoriale non nullo e finitamente generato V ammette in-siemi liberi di generatori: fissato un ordine degli elementi possiamo allora dire che ognispazio vettoriale non nullo e finitamente generato V ammette basi. La dimostrazionedi questo fatto vista durante il corso di Algebra Lineare del primo anno dipende pe-santemente dall’ipotesi che lo spazio vettoriale sa finitamente generato. Ammettendola validità dell’Assioma della scelta (e, quindi, del Lemma di Zorn) tale risultato si puòestendere anche a spazi vettoriali non finitamente generati.

    Proposizione 2.5. Sia V uno spazio vettoriale non nullo sul campo k. Allora esistonoin V insiemi liberi di generatori.

    Dimostrazione. Sia S ⊆P(V ) la famiglia di tutti i sottoinsiemi liberi di V . Poiché Vnon è nullo, allora S 6= ∅. Consideriamo in S l’ordinamento per inclusione (che non ètotale) e consideriamo un sottoinsieme L = { Li }i∈I totalmente ordinato: sia

    L =⋃i∈I

    Li ∈P(V ).

    Fissiamo dei vettori v1, . . . , vn ∈ L: allora la definizione di L ci permette d’affermareche esistono indici i1, . . . , in ∈ I tali che vij ∈ Lij . Poiché abbiamo un numero finitodi elementi di L che, per ipotesi, è totalmente ordinato per inclusione, sappiamo cheesiste un indice î ∈ { i1, . . . , in } tale che Lij ⊆ Lî per ogni j = 1, . . . , n: in particolarev1, . . . , vn ∈ Lî ∈ L.

    Poiché gli elementi di L sono insiemi liberi, allora v1, . . . , vn sono linearmenteindipendenti, cioè ogni sottoinsieme finito di L è costituito da vettori linearmenteindipendenti, cioè L è libero, da cui segue che L ∈ S è un maggiorante di L.

  • Relazioni d’Equivalenza e d’Ordine 15

    Per il Lemma di Zorn allora S contiene un elemento massimale M : M è un insiemelibero. Se v ∈ V allora o v ∈M oppure v 6∈M , dunque M ∪ { v } non è più libero. Inparticolare esistono v1, . . . , vn ∈M e scalari α1, . . . , αn, α ∈ k non tutti nulli tali che

    αv +n∑i=1

    αivi = 0.

    Se fosse α = 0 si dovrebbe avere anche α1 = · · · = αn = 0 poiché M è libero e, dunque,v1, . . . , vn sono linearmente indipendenti. Allora α 6= 0, dunque con semplici passaggialgebrici otteniamo

    v =n∑i=1

    (−αiα

    )vi.

    In particolare M è anche un insieme di generatori di V .

  • 16 Lezione 2

  • Lezione 3.Il Principio d’Induzione

    Il primo insieme notevole cui siamo interessati è quello dei numeri naturali, cioè

    N = { 1, 2, 3, 4, . . . , n, n+ 1, . . . }.

    Talvolta considereremo anche N0 = N∪ { 0 }. Spesso conviene pensare a N e N0 comesottoinsiemi dell’insieme dei numeri interi

    Z = { 0,±1,±2,±3,±4, . . . ,±n,±(n+ 1), . . . | n ∈ N }.

    Nel seguito indicheremo con In l’insieme dei primi numeri naturali, cioè

    In = { 1, 2, 3, 4, . . . , n } ⊆ N.

    Per esempioI1 = { 1 }, I2 = { 1, 2 }, I3 = { 1, 2, 3 }.

    Ricordiamo che in N sono definite un’operazione di somma e una di moltiplicazionetali che:

    • n+m = m+ n per ogni n,m ∈ N;

    • (n+m) + k = m+ (n+ k) per ogni n,m, k ∈ N;

    • nm = mn per ogni n,m ∈ N;

    • (nm)k = m(nk) per ogni n,m, k ∈ N;

    • (n+m)k = nk +mk per ogni n,m, k ∈ N.

    Tali operazioni di somma e prodotto sono compatibili con l’ordinamento totale naturaledefinito su N.

    Esiste una teoria assiomatica (la cosiddetta assiomatica di Peano) che permette diindividuare univocamente l’insieme N, le operazioni di somma e prodotto definite inesso, nonché la relazione d’ordine.

    Uno degli assiomi di Peano è il seguente Principio di induzione: esso è un primostrumento importante legato a N.

    Assioma 3.2 (Principio di induzione nella forma di Peano). Sia S ⊆ N tale che 1 ∈ S.Se per ogni n ∈ S anche n+ 1 ∈ S, allora S = N.

    17

  • 18 Lezione 3

    Normalmente il Principio di induzione viene utilizzato per dimostrare degli enun-ciati che dipendono da un numero naturale (o intero): in tal caso si usa la seguenteforma.

    Assioma 3.3 (Principio di induzione). Sia P (k) una proprietà che dipende da k ∈ N.Se

    1. P (1) è vera;

    2. per ogni n ≥ 1, il fatto che P (n) sia vera implica che P (n+ 1) è vera;

    allora P (k) è vera per ogni k ∈ N.

    Osservazione 3.3. Talvolta il Principio di induzione viene formulato come segue. SiaP (k) una proprietà che dipende da k ∈ N. Se

    1. esiste n0 ∈ Z tale che P (n0) è vera;

    2. per ogni n ≥ n0, il fatto che P (n) sia vera implica che P (n+ 1) è vera;

    allora P (k) è vera per ogni k ∈ Z, k ≥ n0.

    Diamo alcuni esempi di applicazione del Principio d’induzione.

    Esempio 3.13. Dimostriamo per induzione che In ≈ Im se e solo se n = m.Chiaramente, se n = m, l’applicazione identità su In è biiettiva, dunque In ≈ Im.Viceversa sia In ≈ Im e supponiamo che n ≤ m. Se n = 1 e ϕ : I1 → Im è biiettiva,

    allora è anche suriettiva: pertanto m = 1. Supponiamo vera la tesi per un fissaton ≥ 1 e verifichiamola per n + 1. Sia ϕ : In+1 → Im biiettiva e sia u = ϕ(n + 1) ∈ Im.L’applicazione

    τ : Im −→ Im

    k −→

    k se k 6= u,m,u se k = m,m se k = u

    è biiettiva, sicché anche τ ◦ ϕ : In+1 → Im lo è. Poiché

    τ ◦ ϕ(n+ 1) = τ(u) = m,

    segue che ϕ|In è una biiezione da In su Im−1, quindi per ipotesi induttiva n = m − 1ovvero n+ 1 = m.

    La tesi è dunque dimostrata per induzione.

    Esempio 3.14. Dimostriamo per induzione che se x1, . . . , xn, y1, . . . , ym ∈ N, allora(n∑i=1

    xi

    )(m∑j=1

    yj

    )=

    n∑i=1

    (m∑j=1

    xiyj

    ):

  • Il Principio d’Induzione 19

    tale uguaglianza è detta proprietà distributiva generalizzata della somma rispettoall’addizione.

    Sia n = 1. Se m = 1 non c’è nula da dimostrare, mentre per m = 2 è l’usuale regoladistributiva

    x1(y1 + y2) = x1y1 + x1y2.

    Supponiamo che sia verificata per m, cioè

    x1

    (m∑j=1

    yj

    )=

    m∑j=1

    x1yj.

    Risulta

    x1

    (m+1∑j=1

    yj

    )= x1

    ((m∑j=1

    yj

    )+ ym+1

    ).

    Utilizzando la formula per m = 2 e, poi, l’ipotesi induttiva, otteniamo

    x1

    (m+1∑j=1

    yj

    )= x1

    (m∑j=1

    yj

    )+ x1ym+1 = x1

    m∑j=1

    yj + x1ym+1 =m∑j=1

    x1yj.

    Ciò dimostra l’uguaglianza per n = 1 e ogni m ∈ N.Supponiamo che l’uguaglianza sia vera per un certo n e per ogni m ∈ N: dimostria-

    mola per n+ 1 e per ogni m ∈ N. Si ha(n+1∑i=1

    xi

    )(m∑j=1

    yj

    )=

    (n∑i=1

    (m∑j=1

    xiyj

    )+ xn+1

    )(m∑j=1

    yj

    ).

    La proprietà distributiva ordinaria implica allora(n+1∑i=1

    xi

    )(m∑j=1

    yj

    )=

    (n∑i=1

    xi

    )(m∑j=1

    yj

    )+ xn+1

    (m∑j=1

    yj

    ).

    Per l’ipotesi induttiva e per la proprietà generalizzata per n = 1 abbiamo allora(n+1∑i=1

    xi

    )(m∑j=1

    yj

    )=

    n∑i=1

    (m∑j=1

    xiyj

    )+

    m∑j=1

    xn+1yj =n+1∑i=1

    (m∑j=1

    xiyj

    ).

    La tesi è dunque dimostrata per induzione.

    Esempio 3.15. Dimostriamo per induzione la formula del binomio di Newton: sea, b, n ∈ N allora

    (a+ b)n =n∑i=0

    (n

    i

    )aibn−i,

    ove per 1 ≤ i ≤ n− 1 (n

    0

    )=

    (n

    n

    )= 1,

    (n

    i

    )=

    n!

    i!(n− i)!.

  • 20 Lezione 3

    L’uguaglianza è banalmente vera se n = 1. Supponiamola vera per un certo n ≥ 1e dimostriamola per n+ 1. Per ipotesi induttiva isulta

    (a+ b)n+1 = (a+ b)n(a+ b) =

    =

    (n∑i=0

    (n

    i

    )aibn−i

    )(a+ b) =

    =n∑i=0

    (n

    i

    )ai+1bn−i +

    n∑i=0

    (n

    i

    )aibn+1−i.

    Si han∑i=0

    (n

    i

    )ai+1bn−i =

    n+1∑i=1

    (n

    i− 1

    )aibn+1−i,

    dunque

    (a+ b)n+1 = an+1 +n∑i=1

    (n

    i− 1

    )aibn+1−i +

    n∑i=1

    (n

    i

    )aibn+1−i + bn+1 =

    = an+1 +n∑i=1

    ((n

    i− 1

    )+

    (n

    i

    ))aibn+1−i + bn+1.

    Si ha(n

    i− 1

    )+

    (n

    i

    )=

    n!

    (i− 1)!(n+ 1− i)!+

    n!

    i!(n− i)!=

    =n!

    (i− 1)!(n− i)!

    (1

    n+ 1− i+

    1

    i

    )=

    =n!

    (i− 1)!(n− i)!n+ 1

    i(n+ 1− i)=

    (n+ 1)!

    i!(n+ 1− i)!=

    (n+ 1

    i

    ).

    Pertanto

    (a+ b)n+1 = an+1 +n∑i=1

    (n+ 1

    i

    )aibn+1−i + bn+1 =

    n+1∑i=0

    (n+ 1

    i

    )aibn+1−i.

    La tesi è dunque dimostrata per induzione.

    Osservazione 3.4. La formula di Newton ha come conseguenza interessante che P(In)ha 2n elementi. Infatti P(In) contiene un solo sottoinsieme di In con 0 elementi(cioè ∅); n sottoinsiemi di In con un solo elemento; in generale

    (ni

    )sottoinsiemi con i

    elementi.Quindi P(X) contiene in totale

    n∑i=0

    (n

    i

    )=

    n∑i=0

    (n

    i

    )1i1n−i = (1 + 1)n = 2n

  • Il Principio d’Induzione 21

    sottoinsiemi di In. Questo è uno dei motivi per cui talvolta si scrive anche 2X in luogo

    di P(X).Un altro motivo è che ogni sottoinsieme Y ⊆ X individua ed è individuato univo-

    camente dalla sua funzione indicatrice

    1Y : X −→ { 0, 1 }

    x −→{

    0 se x 6∈ Y ,1 se x ∈ Y .

    Poiché l’insieme delle funzioni da X a { 0, 1 }, allora P(X) = { 0, 1 }X .

    La formulazione data del Principio d’induzione viene anche detta Principio di in-duzione in forma debole per distinguerla dalla seguente che ha, apparentemente, delleipotesi più restrittive: in realtà si può dimostrare che le due formulazioni sono, di fatto,equivalenti.

    Assioma 3.4 (Principio di induzione in forma forte). Sia P (k) una proprietà chedipende da k ∈ N. Se

    1. P (1) è vera;

    2. per ogni n ≥ 1, il fatto che P (m) sia vera per ogni m ≤ n implica che P (n + 1)è vera;

    allora P (k) è vera per ogni k ∈ N.

    Esempio 3.16. Ricordiamo che dati a, b ∈ N0 diciamo che a è multiplo di b se esistec ∈ N0 tale che a = bc. Se a è multiplo di b si dice anche che b divide a, ovvero cheb è un divisore di a: 1 e a sono divisori di a, detti banali, mentre ogni altro eventualedivisore si dice proprio.

    Un numero p ∈ N0 si dice primo se non ha divisori propri, cioè i suoi unici divisorisono 1 e p: convenzionalmente 1 non viene considerato primo.

    Dimostriamo per induzione (forte) che ogni n ∈ N \ { 1 } si scrive come prodottofinito di numeri primi. Se n = 2 questo è ovvio, visto che 2 è primo.

    Supponiamo che la tesi sia vera per ogni m ≤ n e dimostriamola per n + 1. Sen + 1 è primo non c’è nulla da dimostrare, sicché possiamo supporre che n + 1 abbiaun divisore proprio a con 1 < a < n + 1. Allora esiste b tale che n + 1 = ab: è facileverificare che 1 < b < n + 1. Poiché 1 < a, b ≤ n segue che ciascuno di essi si scrivecome prodotto di un numero finito di primi, diciamo

    a =u∏i=1

    pi, b =v∏j=1

    qi.

    Allora

    n+ 1 =u∏i=1

    pi

    v∏j=1

    qi.

    La tesi è dunque dimostrata per induzione (forte).

  • 22 Lezione 3

    Vale un risultato analogo anche per ogni intero diverso da 0 e ±1 definendo comenumeri primi in Z i numeri positivi privi di divisori propri. In tal caso, ogni x ∈ Z sipuò scrivere come il prodotto di ±1 per un numero finito di numeri primi.

    Verificheremo in seguito che tale scomposizione è anche unica a meno dell’ordinedei fattori.

    Il Principio di induzione implica il seguente Principio di buon ordinamento.

    Proposizione 3.6 (Principio di buon ordinamento). Ogni sottoinsieme non vuotoS ⊆ N ha un primo elemento.

    Dimostrazione. Sia S ⊆ N un insieme privo di un primo elemento: dimostriamo cheS = ∅, verificando per induzione (forte) che N \ S = N. Infatti 1 6∈ S, altrimenti1 sarebbe un primo elemento, poiché non esistono numeri naturali più piccoli di 1.Supponiamo che In ⊆ N \ S: se n+ 1 6∈ N \ S allora n+ 1 ∈ S, dunque n+ 1 sarebbeun primo elemento di S visto che S non contiene elementi minori.

    Osservazione 3.5. In realtà si può dimostrare che il Principio del buon ordinamentoimplica il Principio di induzione.

    Sia S ⊆ N contenente 1 e tale che se contiene n allora contiene anche n + 1:vogliamo dimostrare che S = N, cioè che N \ S = ∅.

    Supponiamo che N \ S 6= ∅ e sia m il suo primo elemento: poiché 1 ∈ S segue che1 6∈ N \ S, sicché m > 1. Per definizione di m si ha m − 1 ∈ S: per la definizione diS allora m = (m− 1) + 1 ∈ S, una contraddizione. Deduciamo che S = N.

    Chiaramente il Principio del buon ordinamento vale anche per ogni sottoinsieme diZ avente un primo elemento, per esempio N0.

    Esempio 3.17. In N0 vale l’Algoritmo euclideo di divisione, cioè per ogni a ∈ N0 eb ∈ N esistono unici q, r ∈ N0 (detti rispettivamente quoziente e resto) con 0 ≤ r ≤ btali che a = qb + r. In particolare b è divisore di a se e solo se il resto della divisioneintera di a per b è 0.

    Infatti siaS = { a− qb | q ∈ N0 } ⊆ N0.

    S è non vuoto, perché a = a− 0b ∈ S. Sia r il primo elemento di S, sicché a = qb+ r:si noti che 0 ≤ r. Inoltre se fosse r ≥ b avremmo che 0 ≤ r − b = a − (q + 1)b ∈ S,dunque S conterrebbe un elemento più piccolo di r, contraddicendone la definizione.

    Sia anche a = q′b+ r′ per qualche r′ con 0 ≤ r′ < b e supponiamo che q′ < q: alloraaq + r = aq′ + r′ implica

    b ≤ b(q − q′) = r′ − r < b,dunque r = r′, q = q′.

    La stessa dimostrazione si può estendere a qualsiasi coppia a, b ∈ Z con b 6= 0.Infatti basta verificare che

    S = { a− qb | q ∈ Z } ∩ N0 6= ∅.

    Se a ≥ 0 questo è ovvio. Se a < 0 e b > 0, scelto q = a risulta a− qb = −a(b− 1) ≥ 0.Se a < 0 e b < 0, scelto q = −a risulta a− qb = −a(−b− 1) ≥ 0.

  • Il Principio d’Induzione 23

    Osservazione 3.6. È interessante osservare che quanto dimostrato sopra insieme al-l’esempio 3.17 implica anche che i numeri primi (in N o Z) sono infiniti. Infattisupponiamo che esistano un numero finito di primi, diciamo p1, . . . , pt e consideriamo

    q = 1 +t∏i=1

    pi 6= 1 :

    allora q 6= pi, perché q > pi. Inoltre q ha una scomposizione in numeri primi per quantovisto sopra, ma nessuno dei pi è un suo fattore, perché il resto della divisione intera diq per pi è sempre 1 6= 0.

    Quindi deve esistere un altro numero primo diverso dai precedenti, una contraddi-zione.

  • 24 Lezione 3

  • Lezione 4.Insiemi Finiti e Infiniti

    In questa lezione vogliamo studiare gli insiemi in funzione del loro numero di elementi.Nel contesto della teoria assiomatica degli insiemi è possibile dare un significato precisoa tale nozione anche per insiemi che non hanno un numero finito di elementi. In talcaso si deve parlare di cardinalità e di numeri cardinali transfiniti.

    Noi ci limiteremo a qualche risultato elementare, giusto per inquadrare il problemaalmeno in maniera intuitiva.

    Definizione 4.10. Sia X un insieme. X si dice finito se o X = ∅ oppure esiste n ∈ Ntale che X ≈ In. X si dice infinito se non è finito.Osservazione 4.7. Ogni sottoinsieme di un insieme finito è finito. Ogni insiemeequipotente a un insieme infinito è infinito.

    Se X contiene un insieme infinito Y , allora X è infinito. Infatti, in caso contrario,esisterebbe n ∈ N tale che X ≈ In. Quindi esisterebbe un’applicazione iniettiva ϕ : Y →In. È molto facile verificare che questo implica l’esistenza di m ≤ n tale che Y ≈ Im,in contraddizione con l’ipotesi che Y sia infinito.

    È importante trovare un criterio pratico per stabilire se un insieme è infinito o meno.Iniziamo a dimostrare il seguente enunciato che dipende fortemente dall’Assioma dellascelta.

    Proposizione 4.7. Sia X un insieme. Se X è infinito esiste un’applicazione ϕ : N→X iniettiva.

    Dimostrazione. Si consideri

    Y = { Y }Y ∈P(X)\{ ∅ }e sia f una funzione di scelta per Y. Poniamo

    a1 = f(X),

    a2 = f(X \ { a1 }),a3 = f(X \ { a1, a2 }),

    a4 = f(X \ { a1, a2, a3 }),...

    an = f(X \ { a1, . . . , an−1 }),...

    25

  • 26 Lezione 4

    Allora l’applicazione ϕ : N→ X definita da n 7→ an è iniettiva per costruzione.

    Siamo ora in grado di dare un criterio per stabilire se un insieme è infinito: talecriterio fa uso della proposizione precedente, quindi dipende dall’Assioma della scelta.

    Proposizione 4.8 (Criterio di Dedekind). Sia X un insieme. X è infinito se e solose X ≈ Y per qualche sottoinsieme proprio Y ⊂ X.

    Dimostrazione. Supponiamo che Y esista e dimostriamo che X è infinito, cioè chenon è finito. Se lo fosse, diciamo X ≈ In, esisterebbe un’applicazione iniettiva e nonsuriettiva ϕ : Y → In per un qualche n, dunque esisterebbe m < n tale che Y ≈ Im.Allora

    In ≈ X ≈ Y ≈ Im,

    in contraddizione con quanto visto nell’esempio 3.13. Concludiamo che X è necessa-riamente infinito.

    Viceversa supponiamo che X sia infinito. Sappiamo che esiste un’applicazione iniet-tiva ϕ : N→ X per la proposizione 4.7: sia Z = im(ϕ) e poniamo Z ′ = Z \ { ϕ(1) } 6=Z.

    Si noti che

    ϕ′ : N→ Z,ϕ′′ : N \ { 1 } → Z ′,

    definite da n 7→ ϕ(n) sono entrambe biiezioni per definizione.Sia poi σ : N→ N\{ 1 } definita da n 7→ n+ 1: si vede facilmente che σ è biiettiva.Concludiamo che ψ = ϕ′′ ◦ σ ◦ ϕ′−1 : Z → Z ′ è una biiezione. Posto

    Y := X \ { ϕ(1) } = (X \ Z) ∪ Z ′ 6= X,

    l’applicazione

    ϑ : X −→ Y

    x −→{x se x ∈ X \ Z,ψ(x) se x ∈ Z

    è una biiezione. In particolare X ≈ Y 6= X.

    Esempio 4.18. L’applicazione σ : N → N \ { 1 } 6= N definita da n 7→ n + 1 è unabiiezione, quindi N è infinito.

    Poiché Z, Q, R, C contengono tutti N, deduciamo dall’osservazione 4.8 che essisono tutti insiemi infiniti. Anche altri insiemi contengono copie di N: per esempio{ b+n | n ∈ N } ⊆]b,+∞[⊆ [b,∞[. Un discorso simile si può fare per ]−∞, a[⊆]−∞, a].Dunque ]−∞, a[, ]−∞, a], ]b,+∞[ e [b,+∞[ sono infiniti.

    Abbiamo già visto la nozione di equipotenza o equicardinalità fra insiemi.

  • Insiemi Finiti e Infiniti 27

    Esempio 4.19. Se a < b e c < d allora ]a, b[≈]c, d[. Per esempio si può considerareuna funzione di tipo affine il cui grafico passi per i punti (a, c) e (b, d), cioè

    x 7→ (d− c)x− ab− a

    + c

    con x ∈]a, b[.D’altra parte la tangente trigonometrica tan: ]− π/2, π/2[→ R è una biiezione.Infine si noti che l’applicazione x 7→ a − ex induce una biiezione ] −∞, a[≈ R. Si

    verifica in maniera simile che vale anche ]b,∞[≈ R.

    Esempio 4.20. Lo stesso trucco utilizzato nella dimostrazione della proposizione 4.8permette di dimostrare che se X è infinito e I ⊆ N, allora X ∪ I ≈ X.

    Per esempio supponiamo per semplicità che X ∩ I = ∅ e sia ϕ : N→ X un’applica-zione iniettiva con Z = im(ϕ). Se I = { λ1, λ2, . . . } consideriamo la tabella

    ϕ(1) ϕ(2) . . . ϕ(n) . . .↓ ↗ ↓ ↗ ↗ ↓ ↗λ1 λ2 . . . λn . . .

    e definiamo ψ : Z → Z ∪ I seguendo le frecce.Allora l’applicazione

    ϑ : X −→ X ∪ I

    x −→{x se x ∈ X \ Z,ψ(x) se x ∈ Z

    è una biiezione. È facile modificare l’argomento precedente per comprendere anche ilcaso X ∩ I 6= ∅.

    Per esempio N ≈ N0 = N ∪ { 0 }, per ogni a, b ∈ R ∪ { ±∞ } con a < b, risulta

    [a, b] ≈]a, b] ≈ [a, b[≈]a, b[≈ R

    e [0, 1] ≈ [0, 1] ∪Q.

    Definizione 4.11. SiaX un insieme. X si dice numerabile seX ≈ N, al più numerabilese o è finito o è numerabile, più che numerabile (talvolta non numerabile) in tutti glialtri casi.

    Nella proposizione 4.7 abbiamo dimostrato che ogni insieme infinito contiene uninsieme numerabile: è chiaro che vale anche il viceversa, cioè se un insieme contiene unsottoinsieme numerabile allora è infinito (si veda l’osservazione 4.8).

    Si noti che da quanto visto fino a ora, però, non si può escludere a priori che uninsieme numerabile possa contenere un insieme più che numerabile. In effetti, comeimportante applicazione del seguente risultato, dimostreremo che ciò non è possibile.

    Teorema 4.1 (Teorema di Cantor–Schröder–Bernstein). Siano X e Y insiemi. Seesistono applicazioni iniettive f : X → Y e g : Y → X allora X ≈ Y .

  • 28 Lezione 4

    Dimostrazione. Omessa.

    Corollario 4.1. Ogni sottoinsieme di un insieme al più numerabile è al più numerabile.

    Dimostrazione. Tenendo conto dell’osservazione 4.8 basta verificare che ogni sottoin-sieme infinito di un insieme numerabile è numerabile.

    Sia X ≈ N e sia Y ⊆ X infinito. Allora esiste un’applicazione iniettiva ϕ : Y → N:inoltre esiste anche un’applicazione iniettiva ψ : N→ Y , perché Y è infinito (si veda laproposizione 4.7). Per il teorema 4.1 deduciamo che Y ≈ N.

    Quindi gli insiemi numerabili sono, in un certo senso, gli insiemi infiniti più piccoli.Molti insiemi importanti sono numerabili.

    Esempio 4.21. Per definizione N è numerabile. Per quanto visto nell’esempio 4.20anche N0 lo è.

    Verifichiamo che Z è numerabile. Si consideri l’applicazione biiettiva ϕ : N0 → Zdefinita da

    ϕ(0) = 0, ϕ(1) = 1, ϕ(2) = −1, ϕ(3) = 2, ϕ(4) = −2, ϕ(5) = 3, . . .

    cioè

    ϕ(n) =

    [n+ 1

    2

    ](−1)n+1−2[

    n+12 ].

    Verifichiamo che Q è numerabile. Si consideri la tabella infinita

    11

    21→ 3

    141→ 5

    1. . .

    ↓ ↗ ↙ ↗ ↙12

    6 22

    32

    6 42

    52

    . . .↙ ↗ ↙ ↗

    13

    23

    6 33

    43

    53

    . . .↓ ↗ ↗ ↗ ↙14

    6 24

    34

    6 44

    54

    . . .↙ ↗ ↙ ↗

    15

    25

    35

    45

    6 55

    . . .↓ ↗ ↙ ↗ ↙...

    ......

    ......

    Percorrendola seguendo le frecce come indicato e saltando le frazioni improprie, siottiene una biiezione

    N −→ Q+ = { x ∈ Q | x > 0 }.

    È allora facile allora costruire un’applicazione biiettiva Z→ Q, dunque Q ≈ Z ≈ N.Essenzialmente con lo stesso metodo si può dimostrare che l’unione di una famiglia

    numerabile di insiemi numerabili è numerabile.

    Non tutti gli insiemi infiniti sono numerabili.

    Proposizione 4.9. R è più che numerabile.

  • Insiemi Finiti e Infiniti 29

    Dimostrazione. Per quanto visto nell’esempio 4.20 è sufficiente verificare che [0, 1[ è piùche numerabile. Osserviamo che ogni numero x in questo intervallo ha una rappresen-tazione decimale. Tale rappresentazione è unica a meno che il numero x sia decimalefinito. In questo caso, se

    x = 0, x1x2 . . . xn−1xn

    allora vale anchex = 0, x1x2 . . . xn−1(xn − 1)9 . . .

    (si veda l’osservazione 4.8 dopo la dimostrazione). In caso di ambiguità scegliamo perogni x ∈ [0, 1[ una rappresentazione che non sia periodica di periodo 9.

    Sia ϕ : N→ [0, 1[. Per ogni n ∈ N abbiamo

    ϕ(n) = x = 0, x1nx2n . . . , x

    n−1n x

    nn . . . .

    Definiamo y = 0, y1y2 . . . , yn−1yn . . . come segue:

    yn =

    {2 se xnn 6= 2,3 se xnn = 2.

    Allora y differisce da ϕ(n) per la n–esima cifra decimale, quindi y 6∈ im(ϕ). Inparticolare [0, 1[6≈ N: poiché [0, 1[ è infinito, segue subito che deve essere più chenumerabile.

    Osservazione 4.8. Per illustrare brevemente il problema della non unicità della rap-presentazione per i numeri decimali ricordiamo che come si converte un numero deci-male x in frazione.

    Se x ha forma decimale i, ap ove i è la sua parte intera, a sono le cifre dell’antipe-riodo e p il complesso (finito) di cifre del periodo, indichiamo con α e π il numero dicifre dell’antiperiodo e del periodo rispettivamente. Si ha allora che

    (10α+π − 10α)x = iap− ia

    da cui segue

    x =iap− ia

    10α(10π − 1).

    Per esempio si ha0, 12 = 0, 119.

    Infatti

    119 =119− 11

    90=

    108

    90=

    12

    10= 1, 2.

    Un problema interessante è quello di capire se esistono insiemi X ⊆ R più chenumerabili ma non equipotenti a R. La cosiddetta Ipotesi del continuo afferma cheun tale insieme non può esistere. È stato dimostrato che nell’ambito della teoria in-siemistica basata sull’assiomatica di Zermelo–Fränkel il problema dell’esistenza di taliinsiemi intermedi è indecidibile.

    In ogni caso è sempre possibile costruire insiemi più grandi di uno dato. Un buoncandidato è l’insieme delle parti. Infatti se X è un insieme, esiste sempre un’appli-cazione iniettiva ovvia X → P(X). Il seguente risultato ci permette d’affermare chequesta è una buona scelta.

  • 30 Lezione 4

    Proposizione 4.10. Sia X un insieme. Allora X 6≈P(X).

    Dimostrazione. Si consideri un’applicazione ϕ : X →P(X). Definiamo

    Y = { x ∈ X | x 6∈ ϕ(x) } ∈P(X).

    Se ϕ fosse suriettiva esisterebbe y ∈ X tale che Y = ϕ(y).Se fosse y ∈ Y , allora, per definizione, y 6∈ ϕ(y) = Y , una contraddizione. Se fosse

    y 6∈ Y , allora, per definizione, y ∈ ϕ(y) = Y , un’altra contraddizione. Deduciamo cheϕ non può essere suriettiva: in particolare non esistono applicazioni biiettive da X inP(X).

    Per esempio N 6≈P(N). Si può dimostrare che P(N) ≈ R.

    IntroduzioneLezione 1. Corrispondenze e applicazioniLezione 2. Relazioni d'equivalenza e d'ordineLezione 3. Il principio d'induzioneLezione 4. Insiemi finiti e infiniti