dispense per il terzo modulo a. a. 2015-16

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Elisa Paganini LA VERITÀ NELLA FINZIONE Dispense per il TERZO MODULO del corso di Filosofia del linguaggio A. A. 201516 Ultimo aggiornamento: 1 aprile 2017 [Le dispense sono uno strumento per aiutare gli studenti a orientarsi nella lettura dei testi da portare all’esame. Chiunque trovi errori o parti poco comprensibili è invitato a segnalarli all’autrice.] IL REALISMO PLATONICO E IL FINZIONALISMO IL REALISMO PLATONICO Sebbene alcuni filosofi sostengano che noi possiamo fare a meno delle entità fittizie (come vedremo più avanti), molti filosofi ritengono che noi abbiamo bisogno di entità fittizie per rendere conto dei nostri discorsi sulla finzione. Fra i sostenitori delle entità fittizie, alcuni filosofi ritengono che le entità fittizie siano oggetti individuali (i meinonghiani e i possibilisti), altri filosofi pensano che siano oggetti astratti (i creazionisti e i platonisti). Concentriamoci ora su un particolare tipo di entità fittizia, i personaggi fittizi che hanno origine nelle opere letterarie (sono queste le entità fittizie su cui si concentra il saggio di Lamarque che leggiamo). I platonisti, come i creazionisti, pensano che i personaggi fittizi siano oggetti astratti. La principale differenza fra platonisti e creazionisti è che per i creazionisti l’atto creativo dello scrittore origina il personaggio fittizio nel mondo ed è una sua proprietà essenziale, per un platonista i personaggi (attenzione: i personaggi, e non i personaggi fittizi) sono eterni e l’atto creativo del produttore delle opere di finzione è solo una proprietà accidentale dei personaggi fittizi: l’atto creativo porta all’esistenza i personaggi fittizi, ma gli stessi personaggi fittizi avrebbero potuto iniziare ad esistere in seguito ad altri atti creativi. Il platonismo è una posizione minoritaria nella letteratura filosofica sulla finzione perché pochi filosofi l’hanno difesa. I principali esponenti del platonismo sono Nicholas Wolterstorff e Peter Lamarque. PETER LAMARQUE P. Lamarque (2003), “How to Create a Fictional Character”, ristampato in P. Lamarque, Work and Object (2010), Oxford, New York, Oxford University Press, pp. 188-207 1. Il problema Peter Lamarque è un sostenitore della teoria platonista dei personaggi fittizi, egli ritiene cioè che gli oggetti fittizi siano tipi o insiemi di proprietà e affronta nel testo che leggiamo come il platonista debba interpretare la creazione di personaggi fittizi. Egli osserva innanzitutto che i filosofi eliminativisti sui personaggi fittizi (cioè i filosofi che ritengono che possiamo fare a meno dei personaggi fittizi, come vedremo più avanti) non hanno il problema di rendere conto della creazione di tali entità: se uno assume che le entità fittizie non esistono ritiene che nessuno le possa creare. Questo non vuol dire che essi neghino che gli autori di opere fittizie siano creativi, ma la loro creatività riguarda enunciati, descrizioni, storie, supporti per far finta, ma non riguarda i personaggi fittizi. Anche i sostenitori degli oggetti fittizi non hanno sempre il problema di stabilire come avviene la creazione dei personaggi fittizi. Ad esempio, un filosofo meinonghiano (come

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Elisa  Paganini    

LA  VERITÀ  NELLA  FINZIONE  Dispense  per  il  TERZO  MODULO  del  corso  di  Filosofia  del  linguaggio  A.  A.  2015-­‐16    

Ultimo  aggiornamento:  1  aprile  2017    [Le  dispense  sono  uno  strumento  per  aiutare  gli  studenti  a  orientarsi  nella  lettura  dei  testi  da  portare  all’esame.  Chiunque  trovi  errori  o  parti  poco  comprensibili  è  invitato  a  segnalarli  all’autrice.]      

IL  REALISMO  PLATONICO  E  IL  FINZIONALISMO    

IL  REALISMO  PLATONICO    

Sebbene   alcuni   filosofi   sostengano   che   noi   possiamo   fare   a   meno   delle   entità   fittizie  (come  vedremo  più  avanti),  molti  filosofi  ritengono  che  noi  abbiamo  bisogno  di  entità  fittizie  per  rendere  conto  dei  nostri  discorsi  sulla  finzione.  Fra  i  sostenitori  delle  entità  fittizie,  alcuni  filosofi  ritengono  che  le  entità  fittizie  siano  oggetti  individuali  (i  meinonghiani  e  i  possibilisti),  altri  filosofi  pensano  che  siano  oggetti  astratti  (i  creazionisti  e  i  platonisti).  

 Concentriamoci  ora  su  un  particolare  tipo  di  entità  fittizia,  i  personaggi  fittizi  che  hanno  

origine   nelle   opere   letterarie   (sono   queste   le   entità   fittizie   su   cui   si   concentra   il   saggio   di  Lamarque   che   leggiamo).   I   platonisti,   come   i   creazionisti,   pensano   che   i   personaggi   fittizi  siano   oggetti   astratti.   La   principale   differenza   fra   platonisti   e   creazionisti   è   che   per   i  creazionisti  l’atto  creativo  dello  scrittore  origina  il  personaggio  fittizio  nel  mondo  ed  è  una  sua  proprietà   essenziale,   per   un   platonista   i   personaggi   (attenzione:   i   personaggi,   e   non   i  personaggi   fittizi)   sono  eterni   e   l’atto   creativo  del   produttore  delle   opere  di   finzione   è   solo  una  proprietà  accidentale  dei  personaggi  fittizi:  l’atto  creativo  porta  all’esistenza  i  personaggi  fittizi,  ma  gli  stessi  personaggi  fittizi  avrebbero  potuto  iniziare  ad  esistere  in  seguito  ad  altri  atti  creativi.  

Il   platonismo   è   una   posizione   minoritaria   nella   letteratura   filosofica   sulla   finzione  perché   pochi   filosofi   l’hanno   difesa.   I   principali   esponenti   del   platonismo   sono   Nicholas  Wolterstorff  e  Peter  Lamarque.    PETER  LAMARQUE  P. Lamarque (2003), “How to Create a Fictional Character”, ristampato in P. Lamarque, Work and Object (2010), Oxford, New York, Oxford University Press, pp. 188-207  1.  Il  problema  

Peter  Lamarque  è  un  sostenitore  della  teoria  platonista  dei  personaggi  fittizi,  egli  ritiene  cioè   che   gli   oggetti   fittizi   siano   tipi   o   insiemi  di   proprietà   e   affronta  nel   testo   che   leggiamo  come  il  platonista  debba  interpretare  la  creazione  di  personaggi  fittizi.  

Egli  osserva  innanzitutto  che  i   filosofi  eliminativisti  sui  personaggi  fittizi  (cioè  i   filosofi  che  ritengono  che  possiamo  fare  a  meno  dei  personaggi  fittizi,  come  vedremo  più  avanti)  non  hanno  il  problema  di  rendere  conto  della  creazione  di  tali  entità:  se  uno  assume  che  le  entità  fittizie  non  esistono  ritiene  che  nessuno  le  possa  creare.  Questo  non  vuol  dire  che  essi  neghino  che   gli   autori   di   opere   fittizie   siano   creativi,   ma   la   loro   creatività   riguarda   enunciati,  descrizioni,  storie,  supporti  per  far  finta,  ma  non  riguarda  i  personaggi  fittizi.  

Anche  i  sostenitori  degli  oggetti   fittizi  non  hanno  sempre  il  problema  di  stabilire  come  avviene   la   creazione   dei   personaggi   fittizi.   Ad   esempio,   un   filosofo   meinonghiano   (come  

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Parsons)   pensa   che   i   personaggi   fittizi   siano   eterni   e   che   non   esistono,   pertanto   per   il  meinonghiano   non   si   pone   il   problema   della   loro   creazione,   perché   tali   personaggi   non  iniziano   ad   esistere.   E   anche   un   filosofo   possibilista   (come   Lewis)   non   ha   il   problema   di  spiegare  la  creazione  dei  personaggi  fittizi  perché  per  un  possibilista  i  personaggi  fittizi  sono  atemporalmente  esistenti  in  altri  mondi  possibili  e  quindi  non  si  pone  il  problema  dell’inizio  della  loro  esistenza.    

La   questione   della   creazione   dei   personaggi   fittizi   si   pone   invece   per   i   sostenitori   del  cosiddetto   creazionismo   (come  Saul  Kripke,  Nathan  Salmon  e  Amie  Thomasson).  Per  questi  filosofi  i  personaggi  fittizi  sono  artefatti  astratti  e  sono  creati  essenzialmente.  A  loro  avviso,  i  personaggi  fittizi   iniziano  ad  esistere  in  seguito  alle  azioni  mentali  e  fisiche  dei   loro  autori  e  condividono  la  stessa  natura  di  altri  artefatti  astratti  come  le  teorie,  le  leggi,  i  governi,  le  opere  letterarie.  Per  questi  filosofi  l’atto  creativo  porta  all’esistenza  un  personaggio  fittizio  e  il  fatto  di  essere  creati  è  una  sua  proprietà  essenziale  dei  personaggi  fittizi:  se  due  opere  di  finzione  fossero   identiche  parola   per   parola  ma   i   loro   creatori   fossero  persone  diverse   i   personaggi  fittizi  creati  in  queste  due  opere  di  finzione  sarebbero  diverse.  

Peter   Lamarque   rileva   che   la   teoria   creazionista   deve   affrontare   delle   difficoltà   che  derivano   in   parte   da   considerazioni   di   tipo  metafisico   e   in   parte   da   considerazioni   di   tipo  letterario.   L’obiettivo  di   Lamarque   è   quindi   quello   di   confrontare   la   teoria   platonista   da   lui  difesa  con  la  teoria  creazionista  e  mostrare  che  la  teoria  platonista  riesce  a  rendere  conto  di  certi  fatti  metafisici  e  letterari  che  la  teoria  creazionista  non  riesce  a  trattare.  

Iniziamo   dalle   considerazioni   di   tipo  metafisico.   Per   stabilire   quando   un   personaggio  fittizio   è   stato   creato,   il   creazionista   deve   avere   una   concezione   pienamente   definita   di  personaggio   fittizio   e   delle   sue   condizioni   di   identità.   Tuttavia,   è   tutt’altro   che   chiaro   quali  siano   le   condizioni   di   identità   dei   personaggi   fittizi.   Alcuni   problemi   che   emergono   sono   i  seguenti:  Quando  c’è  un  personaggio   fittizio  che  ricalca   le  proprietà  di  un  altro  personaggio  fittizio   si   è   creato   un   nuovo   personaggio   o   no?   Quando   in   un’opera   di   finzione   si   dice   che  “Cento   persone   si   sono   radunate   in   piazza”   sono   stati   creati   cento   personaggi   fittizi   o   no?  Quali   condizioni   devono   essere   soddisfatte   affinché   un   personaggio   fittizio   sia   creato?  Secondo  Lamarque,  la  risposta  a  queste  domande  è  un  serio  problema  per  i  creazionisti.  

Ci  sono  inoltre  considerazioni  di  tipo  letterario  che  i  creazionisti  non  hanno  affrontato.  Nella  critica  letteraria  più  recente  la  nozione  di  personaggio  fittizio  è  stata  molto  screditata  e  quindi  la  critica  letteraria  è  in  contrasto  con  l’approccio  metafisico  che  invece  cerca  di  rendere  conto  della  nozione  di  personaggio   fittizio.   I  creazionisti  quindi  dovrebbero  spiegare  perché  introducono   la   nozione   di   personaggio   fittizio   anche   se   è   screditato   dalla   critica   letteraria.  Secondo   Lamarque,   queste   due   considerazioni   (quella   metafisica   e   quella   letteraria)  richiedono  una  risposta  adeguata.  

 2.  La  teoria  di  Lamarque  sui  personaggi  fittizi  

L’intuizione   che   gli   autori   di   opere   di   finzione   creano   personaggi   fittizi   è   largamente  condivisa   dalla   maggior   parte   delle   persone,   ma   non   bisogna   pensare   che   questo   sia   un  argomento  a  favore  del  creazionismo  perché  i  filosofi  che  rifiutano  la  creazione  di  personaggi  fittizi  hanno  il  loro  modo  di  rendere  conto  dell’azione  degli  autori  della  finzione.  I  filosofi  che  credono  nella   creazione  di  personaggi   fittizi   devono   risolvere   –   secondo  Lamarque   -­‐   le  due  questioni   sollevate   nel   paragrafo   precedente.   La   strategia   argomentativa   di   Lamarque   è   la  seguente:   innanzitutto   presenta   la   sua   teoria   dei   personaggi   fittizi   e   -­‐   successivamente   –  propone   una   sua   teoria   della   creazione   delle   opere   letterarie   e   dei   personaggi   fittizi.   Poi  affronta   le   due   questioni   sollevate   all’inizio   e   l’obiettivo   è   mostrare   che   la   sua   teoria   dei  personaggi  fittizi  riesce  ad  affrontare  le  due  questioni  in  modo  soddisfacente,  a  differenza  del  filosofo  creazionista.  

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Iniziamo   a   considerare   che   cosa   sono   i   personaggi   fittizi   per   Peter   Lamarque.   Egli  individua  tre  caratteristiche  dei  personaggi  fittizi:  1) Innanzitutto  sono  personaggi,  e  i  personaggi  sono  entità  astratte,  tipi,  cioè  insieme  di  

proprietà  che  esistono  eternamente.  2) In   secondo   luogo   sono   personaggi   fittizi   e   questo   significa   che   hanno   origine   nella  

finzione,  essi  cioè  in  quanto  fittizi  iniziano  la  loro  esistenza  con  un’opera  di  finzione.  3) In   terzo   luogo   sono  dipendenti  da   ciò   su   cui   verte   l’interesse  di   chi   li   considera   [in  

inglese:   interest-­‐relative].   Per   capire   questa   terza   caratteristica   occorre   rendersi  conto   che   non   sempre   si   è   interessati   alle   caratteristiche   che   distinguono   un  personaggio   fittizio   da   qualunque   altro,   in   alcuni   casi   i   personaggi   rispecchiano  tipologie  più  generali;  ad  esempio  Vladimir  Propp  (1895-­‐1970)  ha  classificato  alcuni  personaggi   che   sono   ricorrenti   nelle   fiabe   come:   il   cattivo,   l’eroe,   la   principessa,   il  benefattore,  ecc.  E   il  cattivo  può  essere   identificato   in  diverse   fiabe  e  avere   fattezze  molto   diverse   in   fiabe   differenti:   può   essere   un   drago,   un   diavolo,   un   bandito,   una  strega,  una  matrigna,  ecc.  Quali  sono  quindi  i  personaggi  fittizi  dipende  da  ciò  a  cui  è  interessato   chi   di   volta   in   volta   classifica   i   personaggi   e   può   essere   interessato   o   a  tipologie   generali   o   a   caratteristiche   distintive   di   un   personaggio   all’interno   di  un’opera  di  finzione.  

 3.  La  dipendenza  dall’interesse  e  l’identità  dei  personaggi  fittizi  

Se   accettiamo   che   ciò   che   contraddistingue  un  personaggio   fittizio  dipende  di   volta   in  volta   dall’interesse   di   chi   classifica   i   personaggi,   dobbiamo   accettare   che   l’identità   dei  personaggi   fittizi   è   relativa   all’interesse   e   non   assoluta.   Così   come   le   proprietà   che  contraddistinguono   i   personaggi   fittizi   sono   relative   all’interesse   di   chi   di   volta   in   volta   li  classifica,  anche  l’identità  dei  personaggi  fittizi  dipenderà  dall’interesse  di  chi  li  classifica.  

Se  ad  esempio  l’interesse  del  classificatore  verte  sulla  morfologia  dei  personaggi  di  una  fiaba,  allora  l’interesse  sarà  ad  esempio  per  il  cattivo  nella  fiaba  e  diventerà  inessenziale  se  il  cattivo   è   un   drago   o   una   matrigna,   e   il   personaggio   cattivo   non   sarà   dipendente   da   una  specifica  opera  di   finzione;   se   invece   l’interesse  verte   sulla   storia   specifica,   allora   il   fatto  di  essere   un   drago   o   una   matrigna   saranno   caratteristiche   essenziali,   mentre   altre  caratteristiche  rimarranno  inessenziali.    

Lamarque  sottolinea  che  noi  spesso  siamo  interessati  a  una  certa  tipologia  di  personaggi  come   ad   esempio   il   detective   appassionato   (in   cui   possono   rientrare   Sherlock   Holmes,  Hercule  Poirot,  Miss  Marple  e  Lord  Peter  Wimsey)  o  la  donna  adultera  destinata  alla  delusione  e  all’insuccesso  (in  cui  rientrano  Emma  Bovary,  Thérèse  Raquin  e  Anna  Karenina).  In  altri  casi  uno  stesso  personaggio  compare  in  diverse  opere  come  ad  esempio  il  dr.  Faust  che  compare  in   lavori   di   Christopher  Marlowe,   Johan  Wolfgang   von   Goethe   e   Thomas  Mann.   Quello   che  notiamo  in  tutti  questi  casi  è  che  un  personaggio  fittizio  non  è  legato  a  un’opera  di  finzione  e  a  un  particolare  atto  creativo.  

Di  fronte  a  questo  approccio  platonico  ai  personaggi  fittizi  che  li  rende  indipendenti  da  una  particolare  opera  di  finzione  sono  state  sollevate  due  obiezioni  da  Jerrold  Levinson  la  cui  preoccupazione  principale  è   l’ontologia  delle  opere  musicali,  ma  le  cui  osservazioni  possono  essere   trasferite   anche   alle   opere   narrative.   Jerrold   Levinson   si   oppone   a   un   certo   tipo   di  platonismo  sulle  opere  musicali  sostenuto  da  Nicholas  Wolterstorff,  Peter  Kivy  e  Julian  Dodd.  Per   i   platonisti   le   opere  musicali   esistono   eternamente   e   sono   scoperte  ma   non   create   dai  compositori.  Allo  stesso  modo  si  può  pensare  che  i  personaggi  fittizi  esistano  eternamente  e  siano  scoperti,  ma  non  creati  dagli  autori  di  opere  fittizie.  

Jerrold  Levinson  contrappone  due  argomenti  a  questa  tesi:    

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1) Innanzitutto  egli  rileva  che  si  attribuisce  comunemente  agli  artisti  la  capacità  di  creare  e  non  semplicemente  di  scoprire  le  opere  musicali  o  letterarie.      A  questa  osservazione  però  tanto  i  filosofi  che  rifiutano  i  personaggi  fittizi,  quanto  quelli  

che   li   accettano  possono  replicare.  Tutti   i   filosofi   che  si  occupano  di   finzione  hanno  un   loro  resoconto   di   quella   che   è   comunemente   considerata   la   creatività   degli   autori.   Non   occorre  essere  filosofi  creazionisti  per  riconoscere  le  abilità  degli  autori  di  opere  musicali  e  letterarie.    2) In  secondo   luogo  Levinson  rileva  che   le  opere  musicali   sono  strettamente  connesse  con  

l’epoca   storica   in   cui   sono   state   create   e   con   le   competenze   di   chi   le   ha   create.   Egli   fa  l’esempio  della  Sinfonia  n.  2  di  Brahms  (composta  nel  1852)  che  ha  la  proprietà  di  essere  influenzata  da  Liszt.  La  sonata  ha,  secondo  Levinson,  le  proprietà  essenziali  di  essere  stata  composta   da   Brahms   e   di   essere   influenzata   da   Liszt;   se   fosse   stata   ad   esempio   stata  composta   da   Beethoven,   non   sarebbe   stata   la   stessa   opera,   infatti   dal   momento   che  Beethoven   (1770-­‐1827)   è   vissuto   prima   di   Liszt   (1811-­‐1886),   se   avesse   composto   tale  sinfonia,  la  sinfonia  non  avrebbe  avuto  la  proprietà  di  essere  influenzata  da  Liszt,  sarebbe  anzi  stata  un’opera  visionaria  da  parte  di  Beethoven.  Lo   stesso   tipo  di  osservazione  può  essere   fatta  per   le  opere   letterarie.   Se  ad  esempio   il  personaggio   Bertie   Wooster   invece   di   essere   stato   introdotto   da   Woodehouse   (1881-­‐1975)  fosse  stato  introdotto  100  anni  prima  avrebbe  avuto  alcune  proprietà  che  non  ha  di  fatto.    A   questa   seconda   osservazione   Lamarque   ribatte   che   sebbene   la   creazione   di   un  

personaggio  fittizio  sia  ciò  che  fa  esistere  il  personaggio  fittizio  (egli  scrive  esplicitamente  che  sono   “tipi   che   hanno   un   inizio”),   il   personaggio   fittizio   non   è   rigidamente   connesso   al   suo  creatore  (se  qualcun  altro  lo  avesse  creato  nello  stesso  modo  sarebbe  lo  stesso  personaggio).    

I  personaggi  fittizi  hanno  proprietà  che  li  connettono  con  i  loro  creatori  e  con  il  periodo  storico   in   cui   sono   create.   Queste   proprietà   sono   essenziali   o   non   essenziali   a   seconda  dell’interesse  di  chi  classifica  i  personaggi  fittizi:  quanto  più  l’interesse  è  per  un  certo  tipo  di  personaggio   universale,   tanto   meno   rilevante   sarà   lo   specifico   momento   di   creazione   e   il  creatore,   quanto   più   l’interesse   è   per   caratteristiche   individuali   dei   personaggi,   tanto   più  diventerà  importante  il  creatore  del  personaggio  fittizio.    4.  Il  problema  metafisico  e  la  sua  soluzione  

Come  abbiamo  visto,  per  un  creazionista  i  personaggi  fittizi  sono  essenzialmente  creati,  per  un  platonista   i   personaggi,   in   quanto  personaggi,   sono   eterni,  ma   in  quanto  personaggi  fittizi  hanno  un’origine.  

Si  pone  ora   il  problema  di  sapere  come   individuare   i  personaggi   fittizi.  Come  abbiamo  visto  all’inizio,  secondo  Lamarque  il  creazionista  non  ha  sempre  modo  di  dire  quando  c’è  un  personaggio  fittizio  o  quando  ce  n’è  più  di  uno.  Per  il  platonista  Lamarque  invece  c’è  un  modo  per   sapere   quando   c’è   un   personaggio   fittizio   e   quando   ce   n’è   più   di   uno.   Per   Lamarque   il  numero  di  personaggi  dipende  da  due  fattori:    

(1) affinché   ci   sia   almeno   un   personaggio   fittizio   distinto   dagli   altri,   questo  personaggio  deve  avere  almeno  una  proprietà  che  lo  distingue  da  tutti  gli  altri.  Se   ad   esempio   in   un’opera   di   finzione   si   dice   che   cento   persone   si   sono  radunate   in   una   piazza   e   non   si   dice   nulla   di   più,   non   abbiamo   modo   di  distinguere  fra  queste  persone  e  quindi  non  ci  possono  essere  cento  personaggi  fittizi.   Se   invece   in  un’opera   si  menziona  una   sola  proprietà   che  distingue  un  personaggio   da   tutti   gli   altri,   allora   è   soddisfatta   la   condizione   minimale  affinché  ci  sia  un  personaggio  fittizio.  

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(2) In  secondo   luogo,   la  numerazione  dei  personaggi   fittizi  dipende  dall’interesse  di  chi  classifica  i  personaggi.  Ad  esempio  Emma  Bovary  e  Anna  Karenina  sono  lo  stesso  tipo  di  personaggio  “donna  adultera  che  è  destinata  alla  delusione  e  all’insuccesso”,   ma   sono   diversi   personaggi   se   siamo   interessati   ad   alcuni  aspetti  del  loro  carattere.    Se  siamo  interessati  a  distinguere  i  personaggi  in  base  alle  opere  di  finzione  in  cui   compaiono,   l’opera   di   finzione   diventa   essa   stessa   uno   strumento   per  riferirsi   al   personaggio   fittizio.   Anche   se   un   personaggio   fittizio   non   ha   un  nome  ma   ha   caratteristiche   che   lo   distinguono   da   tutti   gli   altri   possiamo   far  riferimento   al   personaggio   fittizio   che   compare   in   una   particolare   opera   di  finzione  menzionando  appunto  l’opera  di  finzione.  

 5.  La  dimensione  letteraria  (la  soluzione  al  secondo  problema)  

Secondo   Lamarque,   la   dimensione   letteraria   va   distinta   dalla   dimensione  metafisica   e  aggiunge  nuovi  spunti  di  riflessione  sui  personaggi  fittizi.  Bisogna  dire  che  al  riguardo  i  filosofi  hanno  spesso  riconosciuto  all’opera  letteraria  una  specificità:  spesso  si  è  detto  ad  esempio  che  i   racconti   di   Conan   Doyle   costituiscono   un’opera   fittizia   ma   è   discutibile   se   sono   un’opera  letteraria,   mentre   l’opera   letteraria   A   sangue   freddo   di   Truman   Capote   non   è   sicuramente  un’opera   di   finzione,   ma   viene   considerata   un’opera   letteraria.   Quello   che   però   Lamarque  vuole  sottolineare  è  che  l’opera  letteraria,  in  quanto  opera  artistica,  rivela  delle  caratteristiche  dei  personaggi  fittizi  che  lo  studio  metafisico  non  riesce  a  riconoscere.  

Innanzitutto   egli   osserva   che   gli   studi   postmoderni   hanno   attaccato   la   nozione   di  personaggio,   essi   si   propongono   di   mettere   in   discussione   la   nozione   di   persona   come  soggetto   autonomo,   con   una   natura   umana   e   con   un   sé.   In   base   agli   studi   postmoderni   le  persone  sono  molto  simili  ai  personaggi   fittizi:  sono   infatti  prive  di  unità  e  sono  costruzioni  dipendenti  dai  discorsi  e  dai  testi  su  di  essi.  Lamarque  non  vuole  tanto  considerare  se  questa  concezione  sia  adeguata  per  le  persone,  ma  egli  ritiene  che  tale  concezione  sia  adeguata  per  i  personaggi  fittizi.    

A  suo  avviso  c’è  una  differenza  fondamentale  fra  i  personaggi  per  come  sono  intesi  dal  punto  di  vista  metafisico  e  per  come  sono  intesi  dal  punto  di  vista  letterario.  I  personaggi  dal  punto  di  vista  metafisico  sono  entità  astratte,  tipi,  dal  punto  di  vista  letterario  la  loro  funzione  è   legata   al   valore   letterario.   I   dettagli   che   contraddistinguono   un   personaggio   non   sono  finalizzati  a  caratterizzare   il   tipo  di  personaggio,  ma  sono   finalizzati  a  valutazioni   (i)  di   tipo  estetico,   (ii)   di   tipo   morale,   (iii)   di   tipo   interpretativo.   Consideriamo   ora   più   nel   dettaglio  questi  tre  aspetti.  

Dal   punto   di   vista   estetico,   secondo   Lamarque   i   personaggi   hanno   un   ruolo   più  funzionale  che  fattuale.  Essi  cioè  rimandano  a  certi  temi  generali.  Ad  esempio,  riguardo  a  Our  Mutual   Friend   di   Dickens,   J.   Hillis   Miller   osserva   che   il   fatto   che   i   personaggi   si   specchino  continuamente   e   si   guardino   attraverso   gli   specchi   simboleggia   la   vacuità   della   loro   vita  finalizzata  solo  ai  soldi  e  all’apparenza.  

Per   quanto   riguarda   le   valutazioni   morali   che   vengono   fornite   su   un   personaggio,  Lamarque   confronta   la   valutazione   negativa   che  Murvin  Mudrick   dà   di   Darcy   in  Orgoglio   e  pregiudizio  di  Jane  Austen  quando  lo  valuta  un  personaggio  copiato  da  altri  testi  letterari  e  la  valutazione  evocativa  e  simbolica  che  Dorothy  van  Ghent  fornisce  di  alcuni  particolari  di  Tess  dei  d’Ubervilles   in   cui   certi   dettagli   diventano   simboli   nefasti   o   demoniaci.   Anche   in   queste  valutazioni   morali   del   tipo   di   personaggi   e   dei   dettagli   letterari,   tutte   le   caratteristiche  rimandano   al   di   là   dell’insieme  di   caratteristiche   che   vengono   rappresentate   nelle   opere   di  finzione.  

Infine   per   quanto   riguarda   l’aspetto   interpretativo   a   cui   si   sottopongono   i   personaggi  fittizi,  egli  riporta  un’osservazione  di  Alan  Sinfield  in  base  alla  quale  ciò  che  contraddistingue  

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un  personaggio  non  è  la  sua  unità,  ma  il  superfluo,  ciò  che  impedisce  l’unità.  La  grandezza  di  alcuni   personaggi   fittizi   come   Raskolnikov   (uno   dei   protagonisti   di   Delitto   e   castigo   di  Dostoijevski),   come  Amleto   (il   protagonista   della   tragedia   omonima   shakespeariana),   come  Meursault  (il  protagonista  de  Lo  straniero  di  Camus)  non  è  nella  definizione  del  personaggio,  ma  nel  lasciarlo  aperto  a  infinite  interpretazioni.    

Lamarque   osserva   quindi   che   nell’interpretazione   letteraria,   in   linea   con   le   riflessioni  post-­‐moderne,   i   personaggi   assumono   numerose   sfaccettature   che   gli   fanno   perdere   unità.  Tale  concezione  post-­‐moderna  è  compatibile  con  la  concezione  di  Lamarque  in  base  alla  quale  i   personaggi   fittizi   sono   dipendenti   di   volta   in   volta   dall’interesse   di   chi   li   considera,  ma   è  incompatibile   con   la   concezione   creazionista   in   base   alla   quale   i   personaggi   fittizi   sono  individuati  in  modo  univoco  al  momento  della  loro  creazione.      IL  FINZIONALISMO  E  L’IRREALISMO  

Il   finzionalismo  moderno   non   è   sorto   come   una   teoria   che   riguarda   la   finzione,  ma   è  stato  introdotto  per  affrontare  questioni  filosofiche  che  riguardano  la  scienza  e  la  matematica.  I  due  testi  con  cui  viene  introdotto  il  finzionalismo  in  filosofia  sono  stati  pubblicati  nel  1980  e  sono   Science  Without   Numbers   di   Hartry   Field   e   The   Scientific   Image   di   Bas   van   Fraassen.  L’obiettivo  di  questi   lavori  è  mostrare  che   la  ricerca   in  matematica  e  nella  scienza  non  deve  mirare  alla  verità,  una  teoria  può  essere  accettata  anche  da  chi  non  crede  nel  suo  contenuto.  

Hartry  Field  sostiene  che  la  matematica  richiede  un’interpretazione  platonica  di  numeri,  funzioni,  ecc.  e  quindi  l’esistenza  di  oggetti  astratti  (quali  numeri,  funzioni,  ecc.).  Dal  momento  che   -­‐secondo   Field-­‐   non   ci   sono   oggetti   astratti,   ogni   asserto   matematico   interpretato  letteralmente  è   falso.  Tuttavia,   sebbene   la  matematica  non   contenga  asserzioni   vere,   è  utile  per  stabilire  inferenze  che  riguardano  oggetti  concreti.  Pertanto  l’utilità  e  l’accettabilità  della  matematica  non  dipende  dalla  sua  verità.  

Bas   Van   Fraassen   ritiene   che   le   teorie   scientifiche   siano   rappresentazioni   di   strutture  inosservabili   in   natura.   Tuttavia   l’adeguatezza   delle   teorie   scientifiche   non   dipende   dalla  verità  di   ciò  che  viene  rappresentato  da   tali   teorie,  ma  dall’adeguatezza  empirica,   cioè  dalla  capacità  di  fare  previsioni  adeguate  o  di  rappresentare  regolarità  osservabili.  

In  sintesi,  sia  Field  che  van  Fraassen  ritengono  che  l’obiettivo  della  ricerca  scientifica  e  matematica   non  debba   essere   la   rappresentazione   vera   di   certi   fatti   e   l’accettazione   di   una  teoria   non   richieda   che   si   creda   nel   suo   contenuto.   Le   due   principali   caratteristiche   di   una  teoria  finzionalista  sono  le  seguenti:  (1)  una  serie  di  asserzioni  sono  pienamente  accettate  e  (2)   l’accettazione  di   tali   asserzioni  non  è  governata  né  dalla  verità  di   ciò   che  è  accettato  né  dalla  credenza  nel  contenuto  di  ciò  che  è  accettato.    

Inoltre,   i   finzionalisti   sono   anche   spesso   nominalisti   (o   irrealisti)   sulle   entità   a   cui   fa  appello  la  teoria,  per  esempio  Hartry  Field  è  nominalista  sui  numeri  e  le  funzioni,  mentre  Bas  van  Fraassen   è   nominalista   sulle   entità   inosservabili   postulate   dalla   scienza.   L’obiettivo  dei  finzionalisti   non   è   però   mostrare   che   le   entità   problematiche   non   esistono,   ma   è   più  sottilmente  mostrare  che  non  ne  abbiamo  bisogno,  che  ne  possiamo  fare  a  meno.  

Nella   filosofia   della   finzione,   alcuni   filosofi   (i   cosiddetti   finzionalisti)   hanno   sostenuto  che   quando   noi   leggiamo   o   usufruiamo   di   un   testo   di   finzione,   (1)   in   un   certo   senso   (da  precisare)  accettiamo  quello  che  viene  scritto  o  rappresentato,  (2)  ma  la  nostra  accettazione  non  dipende  né  dalla  verità  di  ciò  che  è  accettato,  né  dalla  credenza  nel  contenuto  di  ciò  che  è  accettato.    

L’origine  di  questa  tesi  nella  letteratura  sulla  finzione  risale  a  Kripke  per  il  quale  quando  leggiamo   un’opera   di   finzione   faccaimo   finta   per   lo   più   di   riferirci   ad   oggetti,   anche   se   tali  oggetti   non   esistono.   Tuttavia,   per   Kripke,   tale   tesi   riguarda   solo   un   ambito   ristretto   di  asserzioni   che   contengono   termini   fittizi   (le   asserzioni   cioè   all’interno   della   finzione).   I  

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finzionalisti  ritengono  invece  che  ogni  nostro  uso  dei  termini  fittizi  non  richieda  l’essitenza  di  oggetti  a  cui  facciamo  riferimento.  

Kendall  Walton  e  Stuart  Brock  sono  due  sostenitori  del  finzionalismo:  essi  ritengono  che  noi   possiamo   accettare   coerentemente   qualunque   enunciato   contenga   termini   fittizi   senza  doverci  impegnare  alla  loro  verità  e  al  loro  contenuto  letterale.  Inoltre  sia  Kendall  Walton  che  Stuart  Brock  si  propongono  di  mostrare  che  non  dobbiamo  impegnarci  all’esistenza  di  oggetti  fittizi.  Ancora  una  volta  questa  non  deve  essere   considerata   come  una  prova  che  gli  oggetti  fittizi  non  esistono,  ma  solo  del  fatto  che  non  ne  abbiamo  bisogno.    KENDALL  WALTON  K. Walton (1990), Mimesis as Make-Believe, Cambridge (Mass.) e Londra, Harvard University Press, pp. 11-12 (§1.0), pp. 36-42 (§1.5), pp. 385-411 (§10.1-10.4) (traduzione italiana di §1.0 di Sandro Zucchi: “Rappresentazione e far finta”, in Sandro Zucchi (a cura di), Finzione e verità. Letture, Milano, The Robin Hood Online Press, pp. 23-25, link: http://www.filosofia.unimi.it/zucchi/NuoviFile/Teorie%20della%20finzione.pdf)  

Il   libro  di  Kendall  Walton  Mimesis  as  Make-­‐Believe  è  considerato  uno  dei   testi   filosofici  più  rappresentativi  dell’estetica  contemporanea.  L’obiettivo  del   testo  è   fornire  un  resoconto  della   natura  della   finzione.  Una   conseguenza   che  Walton   ritiene  derivi   dalla   sua  nozione  di  finzione   è   che   possiamo   adottare   una   posizione   finzionalista   (cioè   possiamo   accettare   certi  asserti   di   opere   letterarie   ad   esempio,   senza   dover   assumere   che   siano   veri   e   senza   dover  credere   in   essi)   ed   una   posizione   irrealista   (non   ci   dobbiamo   impegnare   in   alcun   modo  all’esistenza  di  oggetti  fittizi).  Sebbene  il  nostro  principale  obiettivo  sia  quello  di  comprendere  la   posizione   finzionalista   e   irrealista   di   Walton,   non   possiamo   comprenderla   senza   avere  almeno  un’idea  approssimativa  della  sua  concezione  della  natura  della  finzione.  Verrà  quindi  fornita  prima  una  presentazione  generale  della  sua  concezione  della  natura  della   finzione,  e  poi  si  prenderà  in  considerazione  più  in  dettaglio  la  sua  posizione  finzionalista  e  irrealista.    

 1.  La  natura  della  finzione  

Secondo   Walton,   un’opera   fittizia   (o   finzione)   è   qualunque   opera   d’arte  rappresentazionale  (o  qualunque  rappresentazione,  sia  essa  artistica  o  no).  Per  Walton  sono  opere   di   finzione   certe   opere   letterarie   (come   I  promessi   Sposi),  ma   sono   opere   di   finzione  anche  dipinti  (come  Guernica  di  Pablo  Picasso),   incisioni  (come  Il  sonno  della  ragione  genera  mostri   di   Francisco   Goya),   sculture   (come   i   Prigioni   di   Michelangelo),   i   fumetti   (come   Le  avventure  della  Pimpa  di  Altan),  i  videogiochi  e  altro  ancora.  Walton  è  consapevole  che  quello  che  egli   ritiene  opera  di   finzione  non  è   ciò   che   comunemente   si   ritiene   tale   (ad  esempio,   le  statue  e  le  incisioni  non  sono  comunemente  considerate  opere  di  finzione),  ma  egli  non  vuole  rendere   conto   della   nozione   comune   di   finzione,   vuole   invece   presentare   un   insieme   di  rappresentazioni  che  ritiene  uniforme  e  che  chiama  finzione.  1.1  Finzione  e  gioco  (si  vedano  pp.  11-­‐12  di  Walton  –  Mimesis  as  Make-­‐Believe  [d’ora  in  poi  MMB])  

Uno   degli   aspetti   che   Walton   sottolinea   fin   dalle   prime   pagine   del   testo   è   che   per  comprendere  un’opera  di  finzione  noi  dobbiamo  considerare  come  giocano  i  bambini.  I  giochi  dei   bambini   manifestano   alcune   caratteristiche   che   vengono   conservate   anche   dagli   adulti  nella  loro  interazione  con  le  opere  di  finzione.  

I   bambini   di   tutte   le   culture   passano   gran   parte   del   loro   tempo   a   giocare   e,   secondo  Walton,   è   impensabile   che   questa   attività   si   perda   completamente   nell’adulto;   a   suo   avviso  permane  anche   se   in  modo  più   sofisticato  e   sottile,  meno  aperto.   Il   gioco  dei  bambini   è  più  semplice  da  capire  e  quindi,  secondo  Walton,  è  un  utile  strumento  per  capire  come  gli  adulti  proseguano  questa  attività  in  modi  più  sofisticati.    

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I  bambini  utilizzano  bambole,  cavallucci,  macchinine  e  peluche.  Tutti  questi  oggetti  sono  supporti  [in  inglese:  prop]  per  far  finta  nei  loro  giochi.  Ad  esempio,  le  bambole  sono  supporti  per  far  finta  che  siano  neonati,  le  macchinine  sono  supporti  per  far  finta  che  siano  macchine  vere,  ecc.  Allo  stesso  modo  le  opere  di  finzione  fungono  da  supporti  nel  “far  finta”  e  un  certo  modo  di  “far  finta”  contraddistingue  la  fruizione  delle  opere  di  finzione  da  parte  degli  adulti.  

Il  gioco  dei  bambini  deve  essere   interpretato  come  un’attività  molto   importante  e  non  un   semplice   passatempo.   Il   gioco   serve   al   bambino   per   confrontarsi   con   la   realtà   che   lo  circonda.  Nel  campo  di  concentramento  di  Auschwitz  i  bambini  giocavano  un  gioco  chiamato  “andare  nella  camera  a  gas”  e  questo  gioco  serviva  ai  bambini  per  confrontarsi  con  la  realtà  raccapricciante  del  genocidio.  

L’idea  portante  del  lavoro  di  Walton  è  che  come  i  bambini  usano  supporti  nei  loro  giochi  di  far  finta,  anche  gli  adulti  -­‐  quando  si  confrontano  con  opere  di  finzione  -­‐  usano  queste  opere  come  supporti  in  un’attività  di  far  finta  un  po’  più  sofisticata  di  quella  dei  bambini.  1.2  Finzione  e  immaginazione  (si  veda  pp.  36-­‐38  di  MMB)  

Si  tratta  ora  di  capire  che  cosa  contraddistingue  la  finzione.  Secondo  Walton  quando  noi  ci   facciamo   coinvolgere   da   un’opera   di   finzione,   noi   facciamo   finta   e   ovviamente   far   finta  coinvolge  l’immaginazione.  Ad  esempio,  quando  guardiamo  il  dipinto  Una  domenica  sull’isola  della   Grand   Jatte   di   Seurat   (un   quadro   conservato   al   The   Art   Institute   di   Chicago),   noi  immaginiamo   una   coppia   che   passeggia   sul   prato,   o   se   leggiamo   La  metamorfosi   di   Kafka  immaginiamo  quello  che  avviene  al  protagonista  Gregor  Samsa.    

Sebbene   quando   noi   ci   facciamo   coinvolgere   da   un’opera   d’arte   (o   in   un   gioco)  immaginiamo  qualcosa,  Walton  ci  mette  in  guardia  dall’identificare  immaginazione  e  finzione.  Egli   ci   invita   a   riconoscere   che   ciò   che   è   fittizio   talvolta   non   è   immaginato   e   che   ciò   che   è  immaginato  talvolta  non  è  fittizio.  

Prendiamo   in   considerazione   il   gioco   dei   bambini   Eric   e   Gregory   che   decidono   di  considerare  i  ceppi  di  legno  come  orsi.  Si  imbattono  in  un  ceppo  di  legno  e  dicono  “Ehi,  c’è  un  orso  qui!”.  Susan  -­‐  che  non  sa  del  gioco  -­‐  si  spaventa,  ma  se  le  dicono  che  c’è  un  orso  solo  per  gioco,  Susan  si  tranquillizza,  riconosce  che  l’asserto  è  vero  nella  finzione.    Immaginazione  senza  finzione  

Supponiamo  che  Eric  e  Gregory  si  avvicinino  con  circospezione  a  quello  che  ritengono  essere  un  orso,  ma  poi   scoprono  che  è   solo  un  masso  ricoperto  di  muschio  e  quindi  dicono  “Falso  allarme,  non  c’è  un  orso”.  In  questo  caso  i  due  bambini  hanno  immaginato  che  ci  fosse  un   orso,  ma   in   base   alle   regole   del   loro   gioco   l’orso   non   c’era   e   quindi   non   era   vero   nella  finzione  che  ci   fosse  un  orso.   In  questo  caso   i  due  bambini  hanno   immaginato  qualcosa  che  non  era  fittizio.  Finzione  senza  immaginazione  

Supponiamo  ora  che  all’insaputa  dei  due  bambini  ci  sia  un  ceppo  di  legno  nel  boschetto  alle  loro  spalle,  è  quindi  vero  nella  finzione  che  c’è  un  orso  nel  boschetto  alle  loro  spalle,  ma  nessuno  dei  due  l’ha  immaginato.  In  questo  caso  c’è  finzione,  ma  non  c’è  immaginazione.  1.3  Supporti  e  principio  di  generazione  (si  vedano  pp.  38-­‐39  di  MMB)  

Le  opere  di  finzione  sono  supporti  per  le  verità  fittizie.  Ad  esempio  le  macchie  di  colore  sulla  tela  de  La  Grand  Jatte  rendono  fittizio  che  ci  sia  una  coppia  che  passeggia  sul  prato.  Le  parole  nel  testo  I  viaggi  di  Gulliver  rendono  fittizio  che  ci  sia  una  società  con  persone  alte  15  cm  che  vanno  in  guerra  a  seconda  di  come  si  rompono  le  uova.    

Le  opere  di  finzione  quindi  generano  verità  di  finzione  indipendentemente  da  quello  che  chiunque  immagina.  Ma  le  opere  di   finzione  -­‐   in  quanto  supporti  -­‐  non  generano  le  verità  di  finzione  da  sole,  hanno  bisogno  di  una  realtà  sociale  e  umana  che  stabilisce  una  correlazione  fra  certe  caratteristiche  dell’opera  di  finzione  e  le  verità  fittizie  generate.  Questa  connessione  fra  opere  di  finzione  e  verità  fittizie  generate  è  chiamata  “principio  di  generazione”.    

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Il  principio  di  generazione  può  essere  esplicitamente  formulato  come  ad  esempio  fanno  i  due  bambini  Eric  e  Gregory  quando  dicono  “Facciamo  che  i  ceppi  di   legno  siano  orsi”.  Ma  in  molti   casi   non   c’è   alcuna   formulazione   esplicita   di   questi   principi   e   molti   di   coloro   che  fruiscono   le   opere   d’arte   possono   essere   completamente   inconsapevoli   di   tali   principi,   nel  senso   che   non   saprebbero   formularli   neppure   se   gli   fosse   chiesto   esplicitamente.   Ciò   che  rende  i  principi  di  generazione  adeguati  per  certe  opere  di  finzione  è  che  sono  in  vigore,  che  di  fatto  ci  si  attiene  ad  essi.    

 I   supporti   producono   immaginazione   e   sono   oggetti   di   immaginazione.   Ad   esempio   i  bambini   Eric   e   Gregory   usano   i   tronchi   come   supporti   per   immaginare   orsi   (quindi   i   ceppi  producono   immaginazione)   e   immaginano   riguardo   ai   ceppi   che   siano   orsi   (quindi   i   ceppi  sono  oggetti  di  immaginazione).  Occorre  però  tener  presente  che  un  supporto  genera  finzione  solo  se  è  accompagnato  dal  principio  di  generazione;  se  non  c’è  principio  di  generazione,  ogni  immaginazione  non  è  governata  da  regole,  non  dipende  da  supporti  e  principi  di  generazione  e  pertanto  non  genera  finzione.  Ad  esempio  se  Eric  associa  le  fragole  all’edera  velenosa  perché  ha   avuto   un’eruzione   cutanea   allergica   da   edera   velenosa   proprio   dopo   aver   raccolto   delle  fragole,   questo   non   vuol   dire   che   ci   sia   un   principio   di   generazione   che   produce   la   sua  immaginazione,  la  sua  immaginazione  procede  senza  principi  e  non  è  pertanto  finzione.  1.4  Che  cos’è  una  verità  di  finzione?  (si  vedano  pp.  39-­‐41  di  MMB)  

Abbiamo  visto  che  una  verità  di  finzione  non  è  ciò  che  è  immaginato,  e  inoltre  abbiamo  considerato   come   alcune   verità   di   finzione   sono   generate   da   supporti   insieme   a   principi   di  generazione.  Le  verità  di  finzione  sono  prescrizioni  ad  immaginare  qualcosa.    

Quindi   la  verità  di   finzione  non  coincide  con  ciò  che  di   fatto  è   immaginato,   la  verità  di  finzione   coincide   con   ciò   per   cui   c’è   una   prescrizione   ad   immaginare.   E   la   prescrizione   è  determinata   dal   principio   di   generazione   insieme   ai   supporti   che   di   volta   in   volta   si  presentano.  

Questa   definizione   rende   l’immaginazione   un   po’   diversa   da   come   normalmente   la   si  pensa.  Generalmente  si  pensa  che  l’immaginazione  sia  libera  di  spaziare  come  vuole,  mentre  la  credenza  ha  come  aspirazione  quella  di  cogliere   la  verità.  Occorre  credere  solo  e  soltanto  ciò   che   è   vero,   non   siamo   liberi   di   credere   quello   che   vogliamo.   Pensiamo  quindi   di   essere  liberi  di  immaginare  quello  che  vogliamo,  ma  non  di  credere  quello  che  vogliamo.  

Se   invece   accettiamo   la   definizione   di   Walton,   dobbiamo   riconoscere   che  l’immaginazione   è   costretta   da   regole   (o   principi   di   generazione)   che   agiscono   in  concomitanza   con   certi   supporti.   Chiunque   si   rifiuti   di   immaginare   in   base   alle   regole,   si  rifiuta  di  giocare  o  gioca  in  modo  inappropriato.  

Una  proposizione  deve  essere   immaginata   se   si  pone  attenzione  ad  un  certo   supporto  accompagnato  da  principi   di   generazione.  Ad   esempio,   Eric   e  Gregory  non   sanno  del   ceppo  che  è  nel  bosco  alle  loro  spalle  e  quindi  non  immaginano  che  ci  sia  un  orso  lì,  ma  sono  costretti  ad   immaginare   un   orso   ogni   volta   che   si   presenta   un   ceppo   di   fronte   a   loro.   I   principi   di  generazione  costituiscono  pertanto  prescrizioni  riguardo  a  ciò  che  deve  essere  immaginato  in  certe  circostanze  e  queste  prescrizioni  coincidono  con  le  verità  di  finzione.    1.5  La  differenza  fra  le  verità  di  finzione  (o  finzionalità)  e  la  verità  (si  vedano  pp.  41-­‐42  di  MMB)  

C’è  una  forte  tentazione  a  considerare  la  finzionalità  (cioè  le  verità  di  finzione)  come  una  specie  di  verità.  In  un  certo  senso  noi  diciamo  che  certe  proposizioni  sono  vere  in  un  mondo  fittizio   (o   sono   verità   di   finzione)   e   quindi   possiamo   pensare   che   si   tratti   di   una   specie   di  verità.    

Tuttavia   Walton   distingue   esplicitamente   fra   verità   di   finzione   e   verità.   Le   verità   di  finzione  sono  prescrizioni  ad  immaginare  in  un  certo  modo.  Asserire  che  “C’è  una  prescrizione  ad  immaginare  che  p”  non  significa  dire  che  “p  è  vero”.  Le  due  nozioni  sono  pertanto  da  tenere  nettamente  distinte  secondo  Walton.  

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Occorre   tuttavia   comprendere   perché   siamo   tentati   ad   assimilare   le   due   nozioni.   La  ragione   è   da   trovarsi   nel   fatto   che   così   come   nella   ricerca   della   verità   noi   cerchiamo   di  conoscere  qualcosa  di  oggettivo  e  indipendente  dall’esistenza  e  dai  desideri  del  soggetto,  allo  stesso  modo   le  verità  di   finzione  (in  quanto  dipendenti  da  supporti)  sono   in  un  certo  senso  oggettive,   esse   sono   indipendenti   dall’esistenza   e   dalle   esperienze   del   soggetto   e   proprio  questa  oggettività  contribuisce  all’interesse  che  suscitano  in  coloro  che  ne  usufruiscono.    2.  Finzionalismo  e  irrealismo  di  Walton  

Kendall  Walton  sostiene  che  noi  possiamo  fruire  di  un’opera  di  finzione  letteraria  senza  doverci   impegnare   all’esistenza   di   oggetti   fittizi.   Abbiamo   già   preso   in   considerazione   che  cosa   significhi   per   Walton   fruire   di   un’opera   di   finzione:   vuol   dire   accettare   certe   regole  prescrittive  (sulla  base  del  principio  di  generazione)  che  ci  impongono  di  utilizzare  i  supporti  per  immaginare  in  modi  particolari.  Accettare  quindi  il  contenuto  di  un’opera  di  finzione  non  vuol   dire   accettare   che   quel   contenuto   è   vero,   vuol   dire   solo   accettare   certe   regole   che   ci  prescrivono  di  immaginare  i  supporti  in  un  certo  modo.  Accettare  il  principio  di  generazione  e  i  supporti,  non  vuol  dire  accettare  la  verità  di  ciò  che  viene  asserito,  vuol  dire  accettare  regole  e  supporti,  e  essere  disposti  a  seguire  le  indicazioni  delle  regole  per  usare  i  supporti  nel  modo  indicato.  

Molti  filosofi  prima  di  Walton  hanno  ritenuto  che  ci  si  dovesse  impegnare  all’esistenza  di  oggetti   fittizi,   ma  Walton   ritiene   che   le   ragioni   avanzate   dai   filosofi   suoi   predecessori   non  siano  convincenti  e  vuole  mostrare  che  chi  adotta  la  sua  teoria  fa  a  meno  degli  oggetti  fittizi.  Il  capitolo  10  del  libro  di  Walton  è  dedicato  proprio  a  mostrare  che  chi  adotta  la  sua  teoria  può  fare  a  meno  degli  oggetti  fittizi  ed  è  su  questo  capitolo  che  ci  concentreremo.  2.1  Il  problema  (si  veda  §10.1  di  MMB)  

Secondo  Walton,   il   problema   degli   oggetti   fittizi   deriva   dalla   nostra   accettazione   pre-­‐teorica   di   due   tesi:   (1)   non   esistono   persone   come   re   Lear   nel   mondo   reale,   (2)   esistono  personaggi   fittizi   come   re   Lear.   Il   problema   è   rendere   compatibile   queste   due   tesi   che   noi  accettiamo  in  modo  pre-­‐teorico.  

Le   strategie   che   a   suo   avviso   sono   state   adottate   per   cercare   di   rendere   compatibili  queste   due   tesi   sono   due.   Prima   strategia:   Alcuni   filosofi   (soprattutto   i   meinonghiani   o  possibilisti)  hanno  pensato  di  distinguere  fra  essere  e  esistenza,  o  fra  esistenza  e  realtà.  L’idea  è   che   c’è   re   Lear,   anche   se   non   esiste   o   che   re   Lear   esiste,   anche   se   non   esiste   nel   nostro  mondo.  Seconda  strategia:  Altri  filosofi  (soprattutto  Margolis)  hanno  sostenuto  che  dobbiamo  negare   essere   ed   esistenza   agli   oggetti   fittizi,   ma   sebbene   tali   oggetti   non   esistano   noi  possiamo  riferirci  ad  essi.  

La   seconda   strategia  viene  velocemente   confutata  da  Walton,  dal  momento   che  non   si  capisce  come  possa  avvenire  il  riferimento  ad  oggetti  che  non  esistono.  La  maggior  parte  dei  filosofi  ha  pertanto  ritenuto  che  gli  oggetti   fittizi  ci  siano,  anche  se  non  c’è  accordo  su  come  questi  oggetti  debbano  essere  interpretati.  

Alcuni  accettano  che  gli  oggetti   fittizi   siano   incompleti,   che  non  devono  sottostare  alla  legge  del  terzo  escluso  (ad  esempio,  Lady  Macbeth  non  ha  né  la  proprietà  di  avere  più  di  due  figli  né  la  proprietà  di  non  avere  più  di  tre  figli).  

Per  evitare  difficoltà  di  tipo  logico  (come  il  rifiuto  della   legge  del  terzo  escluso),  alcuni  ritengono   che   gli   oggetti   fittizi   non   possano   avere   proprietà   ordinarie   come   essere   una  persona  e  avere  tre  figli,  ma  solo  proprietà  come  quella  di  avere  una  personalità  in  base  a  una  particolare  storia.  

Alcuni   ritengono   che   le   entità   fittizie   siano   oggetti   astratti   (tipi   o   generi   o   insiemi   di  proprietà),  altri  ritengono  che  siano  oggetti  che  esistono  necessariamente  e  eternamente.  

Tutte   queste   concezioni   degli   oggetti   fittizi   si   scontrano   con   la   nostra   concezione  ordinaria   di   essi,   noi   parliamo  di   essi   così   come  parliamo  degli   oggetti   ordinari,   che   hanno  

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esistenza  fisica  e  contingente,  che  hanno  proprietà  normali  e  che  sottostanno  alle  regole  della  logica.  Le  teorie  dei  sostenitori  degli  oggetti  fittizi  non  riescono  pertanto  a  rendere  conto  del  nostro  modo  pre-­‐teorico  di  parlare  di  essi.    

Molti   filosofi   hanno   cercato   di   parafrasare   gli   asserti   sugli   oggetti   fittizi   che   non  possiamo   accettare   per   quello   che   dicono   letteralmente   per  mostrare   come   devono   essere  effettivamente  intesi.  Tuttavia  questa  strategia  non  è  sufficiente,  occorre  riuscire  a  soddisfare  i  seguenti  tre  requisiti:  

1) dobbiamo   sapere   che   cosa   effettivamente   diciamo   quando   parliamo   di   entità  fittizie  (e  questo  viene  proposto  appunto  dalla  parafrasi)  

2) dobbiamo   sapere  perché   ci   esprimiamo   in  modo   fuorviante   e   non  proferiamo  direttamente  la  parafrasi  proposta  

3) dobbiamo  avere  un  modo  per  stabilire  in  modo  sistematico  e  uniforme  che  cosa  diciamo  di  volta   in  volta  sulla   finzione  e  non  dobbiamo  di  volta   in  volta  avere  una  procedura  ad  hoc  per  fornire  la  parafrasi  

L’obiettivo  di  Walton  è  proporre  una  teoria  che  assolve  questi  requisiti.  La  sua  teoria  sul  “far   finta”   che   contraddistingue   la   nostra   fruizione   delle   opere   di   finzione   non   è   solo   una  teoria  estetica  ma  anche  una  teoria  che  permette  di  affrontare  le  domande  che  riguardano  la  semantica  dei  nomi  di  oggetti  fittizi  e  lo  statuto  ontologico  di  tali  oggetti.  

Prima   di   presentare   le   sua   teoria,   egli   fa   due   osservazioni   preliminari.   Innanzitutto  desidera  mettere  in  luce  quello  che  a  suo  avviso  è  l’errore  delle  teorie  che  accettano  gli  oggetti  fittizi.   Tali   teorie   prendono   l’avvio   dall’assunzione   che   ci   sono   entità   fittizie   e   ne  caratterizzano   lo   statuto   ontologico,   e   solo   successivamente   si   interrogano   sul   tipo   di  atteggiamento  che  noi  abbiamo  nei  loro  confronti.  Secondo  Walton  occorre  invece  adottare  la  prospettiva   opposta:   occorre   innanzitutto   prendere   l’avvio   dal   nostro   atteggiamento  di   “far  finta”   e   alla   luce   di   tale   atteggiamento   occorre   considerare   se   ci   sono   le   entità   fittizie   ed  eventualmente  stabilire  che  cosa  sono.  

La   seconda   osservazione   preliminare   di   Walton   riguarda   il   suo   atteggiamento   nei  confronti  delle  entità  astratte  in  generale.  Alcuni  filosofi  sono  diffidenti  nei  confronti  di  tutte  le  entità  astratte  e  considerano  le  entità  fittizie  un  tipo  particolare  di  entità  astratte.  Walton  invece   ritiene   che   occorra   distinguere   fra   entità   fittizie   e   altre   entità   astratte.   La   principale  ragione  per   fare  questa  distinzione  dipende  dall’atteggiamento  pre-­‐teorico  di  molti  parlanti:  mentre  la  maggior  parte  sono  concordi  nell’affermare  che  non  esistono  re  Lear,  don  Abbondio  e  Gregor  Samsa,  la  maggior  parte  non  pensa  che  non  esistono  i  numeri  o  le  proprietà.  Quindi,  almeno  dal  punto  di  vista  pre-­‐teorico,  ci  sono  ragioni  per  adottare  atteggiamenti  diversi  nei  confronti  degli  oggetti  fittizi  rispetto  ad  altri  oggetti  astratti.  2.2  Parlare  all’interno  di  mondi  fittizi  e  riguardo  a  mondi  fittizi  (si  veda  §10.2  di  MMB)  

Sebbene  si  dia  spesso  per  scontato  che  noi  facciamo  asserzioni  su  oggetti  fittizi,  questa  assunzione  è   sbagliata   a  parere  di  Walton.   I   presunti   asserti   su  oggetti   fittizi   sono   in   realtà  asserti  simulati,  atti  di  partecipazione  in  giochi  di  far  finta.    

L’esempio  che  prende  in  considerazione  Walton  è  quello  di  una  persona  che  puntando  ad  un  particolare  del  dipinto  La  costa  di  Scheveningen  (un  dipinto  di  Van  de  Velde  conservato  alla   National   Gallery   di   Londra)   dice   “Questa   è   una   nave”.   Prendiamo   in   considerazione   il  dimostrativo   “questa”,  a   cosa  si   riferisce?  Non  si   riferisce  certo  a  una  macchia  colorata,  una  macchia  colorata  non  è  una  nave.  Il  riferimento  del  dimostrativo  non  è  un  particolare  oggetto  su  cui  poi  si  agisce  facendo  finta,   il  dimostrativo  ha  un  riferimento  soltanto  all’interno  di  un  gioco   di   far   finta.   La   persona   può   solo   simulare   di   riferirsi   a   qualcosa   (non   si   riferisce  effettivamente   a   qualcosa)   col   dimostrativo   all’interno   di   un   gioco   di   far   finta.   Allo   stesso  modo,   secondo  Walton,   quando   diciamo   che   “Gulliver   è   stato   catturato   dai   Lillipuziani”,   il  nome  “Gulliver”  non  ha  un  riferimento  al  di  fuori  della  simulazione  generata  dal  gioco  di  far  finta.    

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Quando  Walton  parla  di   simulazione   intende  un’azione  di  partecipazione   in  un  atto  di  far   finta.   Quando   un   bambino   gioca   a   “Guardia   e   ladri”   e   urla   “Fermo   o   ti   sparo!”,   sta  compiendo  un’azione  (sta  parlando  effettivamente),  ma  la  sua  azione  è  compiuta  all’interno  di  un  gioco  di  far  finta.  Allo  stesso  modo  le  asserzioni  che  noi  facciamo  su  opere  letterarie  o  su  opere  pittoriche  sono  da  interpretarsi  come  azioni  compiute  all’interno  di  un  gioco  di  far  finta.  Il  parlante  quindi  agisce  all’interno  di  un  mondo  fittizio  e  contribuisce  alla  sua  esistenza.  

Si  può  pensare  che  l’azione  del  critico  che  commenta  un  dipinto  o  un’opera  letteraria  sia  un’azione   dall’esterno   che   non   lo   coinvolge   nell’azione   di   far   finta,   ma  Walton   ritiene   che  questa   sia  un’interpretazione   scorretta.   Il   critico  non  può  parlare  di  un’opera  di   finzione   se  non  si  fa  catturare  nel  gioco  di  far  finta.    

Supponiamo   che   un   critico   intenda   commentare   le   tristi   vicende   di   Willy   Loman   (il  protagonista   dell’opera   teatrale   Morte   di   un   commesso   viaggiatore   di   Arthur   Miller),  probabilmente   simulerà   di   descrivere   una   tragedia   umana   reale   facendosi   coinvolgere   e  facendo   osservazioni   sul   mondo   dell’opera   teatrale   (immergendosi   quindi   fittiziamente   in  quella  realtà  sociale).  

Si  può  qui  dubitare  che   il   critico   si   faccia  veramente  coinvolgere  nel  gioco  di   far   finta.  Come  facciamo  a  sapere  che  il  critico  simula  e  non  asserisce  effettivamente?  Per  poter  fare  la  distinzione   fra   asserire   e   far   finta   (o   simulare)   di   asserire,   occorre   una   definizione   di  asserzione  (da  distinguere  dalla  definizione  di  far  finta)  che  Walton  si  rifiuta  di  dare.    Si  può  cercare  di  insistere  che  il  critico  non  si  fa  coinvolgere,  che  rimane  all’esterno  del  gioco  di  far  finta.   Ma,   anche   se   fosse   così,   Walton   osserva   che   le   parole   del   critico   potrebbero   essere  supporti  per  altri  giochi  di   far   finta  compiuti  dai  suoi  ascoltatori  e  quindi   il  critico  potrebbe  essere  inserito  in  un  gioco  di  far  finta  suo  malgrado.  

L’obiettivo   a   cui   tende   Walton   è   sostenere   che   quando   noi   facciamo   asserzioni   sulle  opere   di   finzione,   come   ad   esempio   “Tom   Sawyer   ha   partecipato   al   suo   funerale”,   stiamo  compiendo  un  atto  linguistico  all’interno  di  un  gioco  di  far  finta,  non  abbiamo  quindi  ragione  di   supporre   che   ci   sia   alcuna   persona   a   cui   ci   riferiamo   con   il   nome   “Tom   Sawyer”   e   non  dobbiamo  supporre  che  ci  sia  una  proposizione  che  viene  espressa  dall’asserto  “Tom  Sawyer  ha   partecipato   al   suo   funerale”.   E’   solo   all’interno   della   finzione   che   ci   si   riferisce   a   una  persona  e  che  si  esprime  una  proposizione.  

Per   comprendere   quindi   quelle   che   sembrano   asserzioni   su   entità   fittizie   dobbiamo  innanzitutto   considerare   l’atteggiamento   con   cui   vengono   compiute,   e   l’atteggiamento   deve  essere  compreso  all’interno  di  un  gioco  di  far  finta.  2.3  Asserti  ordinari  (si  veda  §  10.3  di  MMB)  

L’obiettivo   di   questo   paragrafo   è   argomentare   più   diffusamente   che   quelle   che  sembrano   asserzioni   sugli   oggetti   fittizi,   sono   atti   di   simulazione   all’interno   di   giochi   di   far  finta.  Walton   sostiene   che   sebbene   queste   asserzioni   non   siano   asserzioni   su   oggetti   fittizi,  sono   comunque   asserzioni   e   si   propone   di   spiegare   quali   sono   le   condizioni   di   verità   e   il  contenuto  di  tali  asserzioni.  

Quelle  che  sembrano  asserzioni  su  oggetti  fittizi  sono  asserzioni  come  le  seguenti:  (1) Tom  Sawyer  ha  assistito  al  suo  funerale  (2) L’assassino  ha  nascosto  il  cadavere  sotto  le  assi  del  pavimento  (detto  a  proposito  di  

Il  cuore  rivelatore  di  Edgar  Allan  Poe)  (3) Quello  è  un  unicorno  (detto  mentre  si  punta  il  dito  verso  uno  degli  arazzi  medievali  

con  gli  unicorni  –  si  possono  trovare  sia   in  Francia  che  al  Metropolitan  Museum  di  New  York)  

Uno   potrebbe   pensare   che   per   comprendere   quello   che   viene   effettivamente   asserito   con  questi   enunciati   basti   aggiungere   una   frase   come   “In   Le   avventure   di   Tom   Sawyer”,   o   “Nel  racconto”   o   “Nel   mondo   del   dipinto”.   In   base   a   questa   interpretazione,   il   primo   asserto  sarebbe  equivalente  al  seguente:  

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(1a)  In  Le  avventure  di  Tom  Sawyer,  Tom  Sawyer  ha  assistito  al  suo  funerale  In  questo  modo  si  salverebbe  l’intuizione  che  “Tom  Sawyer”  non  si  riferisce  a  un’entità  reale,  ma   solo   a   un’entità   fittizia.   Ma   non   tutti   gli   asserti   che   riportano   ciò   che   viene   detto   in  un’opera   di   finzione   contengono   riferimenti   apparenti   a   oggetti   fittizi,   alcuni   contengono  riferimenti  a  oggetti  reali  o  a  oggetti  generici.  Per  un  esempio,  si  prendano  in  considerazione  il  seguente  asserto:  

(4) Cesare   è   stato  messo   in   guardia   sulle   Idi   di  Marzo   (detto   riguardo   alla   tragedia  di  Shakespeare  Giulio  Cesare)  

In  questo   caso   il  nome   “Cesare”   si   riferisce  a  una  persona  effettivamente  esistita.   Si  prenda  inoltre  in  considerazione  il  seguente  asserto:  

(5) Insetti   giganti   cresciuti   a   North  Wood   furono   usati   per   trivellare   pozzi   in   Arizona  (detto   riguardo   alle   storie   su   Paul   Burnyan   –   storie   piuttosto   popolari   negli   Stati  Uniti)  

In  questo  caso  non  c’è  un  riferimento  a  un  particolare  personaggio  o  insetto.  Secondo   Walton,   non   si   può   sostenere   che   tutti   gli   asserti   che   riguardano   opere   di  

finzione  facciano  riferimento  (anche  solo  apparentemente)  ad  oggetti  di  finzione,  alcuni  non  fanno  riferimento  ad  oggetti  fittizi.  Quello  che  contraddistingue  invece  tutte  queste  asserzioni  è  la  partecipazione  a  giochi  autorizzati  di  far  finta.    

E’  bene  distinguere  fra  giochi  autorizzati  e  giochi  non  autorizzati.  Sebbene  non  ci  siano  giochi  in  assoluto  non  autorizzati,  alcuni  sono  di  fatto  non  autorizzati.  Se  ad  esempio  qualcuno  vuole   considerare   le   parole   di   Alla   ricerca   del   tempo   perduto   come   impronte   di   piccoli  marziani,   lo   può   fare,  ma   questo   non   è   un   gioco   di   far   finta   che   è   in   uso   e   pertanto   non   è  autorizzato.  Un  gioco  non  autorizzato  è  semplicemente  un  gioco  che  non  è  in  uso,  mentre  un  gioco  autorizzato  è  un  gioco  che  è  di  fatto  praticato.    

La  distinzione  fra  giochi  autorizzati  e  giochi  non  autorizzati  è  funzionale  a  capire  perché  non  tutte  le  asserzioni  fatte  all’interno  di  un  gioco  di  far  finta  sono  accettate  e  appropriate.  Ad  esempio,   l’asserzione   “Tom   Sawyer   ha   assistito   al   suo   funerale”   è   accettata   e   appropriata,  mentre  l’asserzione  “Tom  Sawyer  non  ha  mai  marinato  la  scuola”  non  lo  è.  Per  riuscire  a  fare  la  distinzione  fra  asserzioni  appropriate  e  asserzioni  non  appropriate  non  abbiamo  bisogno  di  appellarci  alla  distinzione  fra  ciò  che  è  vero  e  ciò  che  è  falso.  Gli  atti  di  simulazione  possono  essere  appropriati  o  non  appropriati  a  seconda  dei  giochi  di  far  finta  che  sono  di  fatto  praticati  e  non  di   ciò   che  è  vero  o   falso.  Quando  qualcuno  asserisce   “Tom  Sawyer  ha  assistito  al   suo  funerale”  sta  rendendo  fittizio  di  se  stesso  in  un  particolare  gioco  di  far  finta  autorizzato  che  sta  dicendo  la  verità  invece  che  la  falsità.  

E   quando   una   persona   asserisce   “Tom   Sawyer   ha   assistito   al   suo   funerale”   non   solo  rende   fittizio   di   se   stesso   in   un   particolare   gioco   di   finzione   che   sta   dicendo   la   verità,   ma  mostra  agli  altri  che  quello  che  sta  compiendo  è  un  gioco  di  simulazione  autorizzato.  E  non  è  fittizio  nello  stesso  gioco  di  simulazione  che  egli  dica  la  verità  se  dice  “Tom  Sawyer  non  ha  mai  marinato  la  scuola”.  

 Sebbene,   secondo   Walton,   quando   uno   asserisce   “Tom   Sawyer   ha   assistito   al   suo  

funerale”   sta   compiendo   un   atto   di   simulazione,   egli   sta   facendo   anche   un’asserzione.   E  un’asserzione  ha  un  contenuto  che  è  o  vero  o  falso.  Si  pone  quindi  la  questione  di  stabilire  che  cosa  viene  asserito  quando  qualcuno  proferisce  quelle  parole  in  un  atto  di  simulazione  e  quali  sono  le  sue  condizioni  di  verità.    

Walton  specifica  innanzitutto  quali  sono  le  condizioni  di  verità  di  ciò  che  viene  asserito  e  poi   ci   propone   una   parafrasi   di   ciò   che   viene   asserito   che   ci   permette   di   stabilire   qual   è   il  contenuto   di   ciò   che   viene   asserito.   Le   condizioni   di   verità   di   un   asserto   sono   quelle  condizioni  che  deve  soddisfare  il  mondo  affinché  l’asserto  sia  vero  (ad  esempio  le  condizioni  di  verità  di  ciò  che  viene  asserito  con  “Elisa  Paganini  insegna  Filosofia  del  linguaggio”  sono  le  

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seguenti:  l’asserto  è  vero  se  e  solo  se  la  persona  denotata  da  Elisa  Paganini  ha  la  proprietà  di  insegnare   filosofia   del   linguaggio,   è   falso   altrimenti).   Ora,   secondo   Walton,   quando   uno  asserisce  “Tom  Sawyer  ha  assistito  al  suo  funerale”,  ciò  che  rende  la  sua  asserzione  vera  è  che  è   fittizio   nel   gioco   autorizzato   adottato   dal   parlante   che   egli   parli   in   modo   veritiero.   Ad  esempio   se  Susanna  asserisce   “Tom  Sawyer  ha  assistito  al   suo   funerale”   ciò   che  asserisce  è  vero   se   e   solo   se   è   fittizio  nel   gioco   autorizzato   che   Susanna   adotta   che   essa  parli   in  modo  veritiero.  E’  bene  tener  presente  che  tutto  ciò  che  serve  per  stabilire  le  condizioni  di  verità  di  ciò  che  è  asserito  dipende  dalla  natura  dell’opera  di  finzione  (nel  caso  specifico  Le  avventure  di  Tom  Sawyer)   e   dai   principi   di   generazione   adottati   nel   gioco   autorizzato   per   la   specifica  opera  di   finzione.  Non  è  quindi  necessario  postulare  oggetti   fittizi  per  stabilire  quali  sono  le  condizioni  di  verità  di  ciò  che  è  asserito.  

Ora  che  sono  state  specificate  le  condizioni  di  verità  di  ciò  che  viene  asserito  quando  si  fanno   asserzioni   nel   contesto   di   una   simulazione,   è   utile   considerare   la   parafrasi   di   tali  enunciati.  La  parafrasi  deve  essere  adeguata  non  solo  per  un  singolo  parlante,  ma  per  tutti   i  parlanti  che  condividono  lo  stesso  gioco  di  far  finta.  Quindi  se  Susanna  dice  “Tom  Sawyer  ha  assistito   al   suo   funerale”   e   lo   dice   anche   Paolo   nello   stesso   gioco   di   finzione,   quello   che  entrambi  dicono   è   lo   stesso.  Dal  momento   che   la   simulazione   che   essi   adottano   è   la   stessa,  possiamo  chiamare  la  simulazione  adottata  da  entrambi  K  e  specificare  la  parafrasi  di  ciò  che  viene  asserito  come  segue:  

(1b)  Le  avventure  di  Tom  Sawyer  è  tale  che  uno  che  adotta  una  simulazione  di  tipo  K  in  un  gioco  autorizzato  per  quell’opera  di  finzione  fa  finta  di  parlare  veridicamente  in  quel  gioco  

Ciò  che  Susanna  e  Paolo  dicono  non  riguarda  una  particolare  persona  o  un  particolare  atto,  ma  riguarda  un  certo  tipo  di  atto  di  simulazione.  La  parafrasi  può  essere  anche  espressa  nel  modo  seguente:  

(1c)   Le   avventure   di   Tom   Sawyer   è   tale   che   uno   che   asserisce   fittiziamente   che   Tom  Sawyer  ha  partecipato  al  suo  funerale,  in  un  gioco  autorizzato  per  quest’opera,  finge  di  se  stesso  che  sta  parlando  veridicamente  

E’  molto   importante   notare   che   ciò   che   viene   asserito   riguarda   un   atto   di   simulazione   e   la  seconda   parafrasi   (1c)   nasconde   questo   aspetto   che   è   invece   cruciale   per  Walton.   Ciò   che  viene  asserito  da  chi  dice  “Tom  Sawyer  ha  assistito  al  suo  funerale”  non  riguarda  un  mondo  di  finzione,  ma  riguarda  una  simulazione  autorizzata  da  un  gioco  di  far  finta.  La  prima  parafrasi  (1b)  è  quindi  preferibile  alla  parafrasi  (1c).  

Un   atto   di   simulazione   non   è   un   particolare   atto,   ma   è   un   tipo   di   atto   e   può   essere  adottato  almeno   in   linea  di  principio  da  altre  persone.  L’atto  di   simulazione  viene  mostrato  direttamente  da  chi  si  fa  coinvolgere  in  opere  di  finzione  e  fa  asserzioni.  E  si  fa  riferimento  al  tipo  di  atto  di  simulazione  quando  si  fa  un’asserzione  apparentemente  su  oggetti  fittizi.  

Walton  quindi   ritiene  che   le  asserzioni  che  noi   facciamo  apparentemente  su  oggetti  di  finzione  non  riguardino  oggetti  di   finzione.  E’  utile   inoltre  osservare  che  Walton  accetta  che  quello   che   viene   asserito   può   essere   compreso   solo   attraverso   una   parafrasi.   Egli   deve  pertanto  cercare  di  soddisfare  le  tre  richieste  che  egli  stesso  enuncia  in  §  10.1:  

1) dobbiamo  sapere  che  cosa  effettivamente  diciamo  quando  parliamo  di  entità  fittizie  (e  questo  viene  proposto  appunto  dalla  parafrasi)  

2) dobbiamo   sapere   perché   ci   esprimiamo   in   modo   fuorviante   e   non   proferiamo  direttamente  la  parafrasi  proposta  

3) dobbiamo   avere   un   modo   per   stabilire   in   modo   sistematico   e   uniforme   che   cosa  diciamo  di   volta   in  volta   sulla   finzione  e  non  dobbiamo  di   volta   in  volta  avere  una  procedura  ad  hoc  per  fornire  la  parafrasi  

La  prima  richiesta  è  soddisfatta  dalla  stessa  parafrasi.  La  seconda  richiesta  è  chiarita  una  volta  che  si  comprende  che  noi  ci  facciamo  coinvolgere  in  atti  di  simulazione  in  giochi  di  far  

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finta.  All’interno  del  gioco  di  far  finta,  ciò  che  ci  interessa  è  ciò  in  cui  ci  facciamo  coinvolgere  nella  simulazione  e  quindi  ciò  che  asseriamo-­‐sotto-­‐simulazione.  

Rimane  aperta  l’ultima  questione.  Abbiamo  visto  qual  è  la  parafrasi  nei  casi  in  cui  noi  ci  facciamo  coinvolgere  direttamente  in  opere  di   finzione  attraverso  giochi  autorizzati.  Ci  sono  casi  in  cui  noi  ci  facciamo  coinvolgere  in  giochi  particolari  e  speciali.  L’obiettivo  del  prossimo  paragrafo   è   prendere   in   considerazione   questi   casi   particolari   e   spiegarli   in   modo   che   si  armonizzino  con  i  casi  in  cui  si  adottano  giochi  autorizzati  più  generalmente  riconosciuti  per  rendere  uniforme  ciò  che  viene  proposto  sulla  finzione.  1.4  Giochi  non  ufficiali  

In  molti  casi  noi  non  giochiamo  giochi  autorizzati  dalle  opere  di  finzione,  ma  giochiamo  giochi  speciali  e  non  ufficiali.  Si  potrebbe  credere  che  per  questi  giochi  non  ufficiali  servano  stipulazioni  particolari,  ma   in  molti  casi  non  è  necessaria  alcuna  stipulazione  dei  principi  di  generazione,  i  giochi  non  ufficiali  si  comprendono  facilmente.  

Per  esempio  quando  uno  accarezza  una  scultura  sta  simulando  di  accarezzare  la  persona  raffigurata,  o  quando  si  mette  a   tirare   frecce  a  un  ritratto  sta  simulando  di   tirare   frecce  alla  persona   rappresentata.   Giochi   di   finzione   non   ufficiali   si   possono   riscontrare   anche   nelle  seguenti  asserzioni:  

(6) L’orchestra  è  sull’acqua  (detto  nel  caso  in  cui  si  simula  che  la  pedana  dell’orchestra  sul  ponte  della  nave  è  l’acqua  dell’oceano)  

(7) Un  vandalo  ha  colpito  Maria  con  un  martello  (in  cui  si  simula  che  un  vandalo  abbia  attaccato  la  persona  rappresentata  dalla  Pietà  di  Michelangelo)    

(8) La  piccola  Annie  ha  otto  anni  da  quarant’anni  (in  cui  il  gioco  dipende  dal  fatto  che  il  fumetto  sulla  piccola  Annie  è  stato  prodotto  per  quarant’anni)  

(9) E’  morta  nove  volte  nelle  ultime  due  settimane  (in  cui  il  gioco  dipende  dal  fatto  che  un’attrice  ha  recitato  nove  volte  la  morte  di  un  certo  personaggio)  

(10) Robinson  Crusoe  è  più  intraprendente  di  Gulliver  (in  cui  si  simula  che  due  opere  letterarie  facciano  parte  di  uno  stesso  gioco  di  finzione)  

(11) Odisseo   è   Ulisse   (in   cui   ancora   una   volta   si   simula   che   due   opere   letterarie,  l’Odissea  di  Omero  e  il  poema  Ulisse  di  Tennyson,  facciano  parte  di  uno  stesso  gioco  e  che  il  protagonista  delle  due  opere  possa  essere  identificato)  

Ci   sono   anche   casi   in   cui   due   opere   letterarie   possono   entrare   in   conflitto   fra   loro,   in  questo  caso  si  può  creare  sempre  un  gioco  non  ufficiale  in  cui   le  due  opere  sono  parte  dello  stesso  gioco,  e  si  possono  avere  atteggiamenti  diversi.  Walton  prende  in  considerazione  il  caso  di  Ulisse  che   torna  a  casa   in  base  al   racconto  nell’Odissea  di  Omero,  ma  non   torna  a  casa   in  base  all’Inferno  di  Dante.  In  questo  caso  si  può  arrivare  ad  affermare  “Odisseo  è  tornato  e  non  è   tornato  a  casa”,  oppure  si  può  affermare  “Odisseo  è   tornato  a  casa,  ma  nell’Inferno   si  dice  erroneamente  che  non  è  tornato  a  casa”.  

Che  cosa  asserisce  chi  simula   in  un  gioco  non  ufficiale?  La  risposta  è  analoga  per  certi  versi  a  quella  data  nel  caso  dei  giochi  ufficiali.  Le  condizioni  di  verità  sono  caratterizzate  come  segue:  Quello  che  viene  asserito  è  vero  se  e  solo  se  è  fittizio  nel  gioco  non  ufficiale  che  quello  che   viene   asserito   è   vero.   E   ovviamente   anche   la   parafrasi   sarà   da   stabilirsi   in   modo  corrispondente.  

Sebbene   ci   sia   un’analogia   fra   i   due   tipi   di   giochi,   c’è   anche   una   differenza.   I   giochi  autorizzati   sono   direttamente   autorizzati   dall’opera   di   finzione,   mentre   i   giochi   non  autorizzati   sono   ispirati   ai   giochi   autorizzati.  Molte   affermazioni   che   riguardano   la   finzione  possono  essere  compresi  nei  termini  di  giochi  non  ufficiali.  

Walton  fa  gli  esempi  seguenti:  (12) Oscar  Wilde  ha  ucciso  Dorian  Gray  trafiggendo  il  suo  cuore  con  un  coltello  (13) Molti  bambini  amano  E.T.  più  di  Topolino  (14) Sherlock  Holmes  è  più  famoso  di  qualunque  detective  

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(15) Sconfitto  dalla  realtà  e  dalla  Spagna,  Don  Chisciotte  è  morto  nel  villaggio  nativo  nel  1614.  Gli  è  sopravvissuto  di  poco  Miguel  de  Cervantes.  

Quali  sono  le  regole  per  stabilire  quale  gioco  non  ufficiale  viene  giocato?  Ci  sono  secondo  Walton  tre  regole  da  tener  presente:  

1) innanzitutto  bisogna  presupporre  che  gli  asserti  siano  ordinari  fino  a  prova  contraria  2) quando  gli  asserti  non  sono  ordinari,  occorre  mettere  in  pratica  un  principio  di  carità.  

Bisogna  assumere  che  chi  parla  non  dica  cose  senza  senso  e  quindi  bisogna  cercare  un  gioco  non  ufficiale  che  renda  sensato  quello  che  viene  detto.  Quando  ascoltiamo  “Robinson   Crusoe   è   stato   più   intraprendente   di   Gulliver”,   il   modo   per   rendere  ragionevole  l’asserzione  è  che  due  opere  di  finzione  siano  supporti  in  un  unico  gioco  di  finzione.  

3) Inoltre  bisogna  tener  presente  i  precedenti.  Molti  giochi  di  finzione  non  ufficiali  sono  ormai  molto  diffusi,  ad  esempio  è  diffuso  il  gioco  di  considerare  due  opere  di  finzione  supporti   di   uno   stesso   gioco,   o   è   diffuso   ritenere   l’autore   di   un   personaggio   il   suo  creatore.  Si  pensi  ad  esempio  a:  

(16) Jane  Austen  ha  creato  Emma  Woodhouse  Ci  sono  casi  in  cui  i  giochi  non  ufficiali  non  hanno  precedenti,  come  ad  esempio  in:  

(17) I  convitati  all’Ultima  Cena  [di  Leonardo]  stanno  gradualmente  svanendo  Secondo  Walton,  la  differenza  fra  i  giochi  non  ufficiali  con  precedenti  e  quelli  senza  precedenti  può  essere  assimilata  alla  differenza  fra  metafore  morte  e  metafore  nuove.  

I   giochi   non   ufficiali   presi   in   considerazione,   sebbene   non   autorizzati   dalle   opere   di  finzione,   sono   ispirati   alle   stesse   opere   di   finzione   e   sono   facilmente   comprensibili   come  variazioni  di  giochi  ufficiali.    

 STUART  BROCK  S. Brock (2002), “Fictionalism about Fictional Characters”, in Noûs vol. 36 (1), pp. 1-21  

Nel   testo   che   leggiamo,   Stuart   Brock   confronta   i   realisti   sugli   oggetti   fittizi   con   i  finzionalisti.  I  realisti  sostengono  che  abbiamo  bisogno  di  postulare  l’esistenza  di  oggetti  fittizi  per   rendere   conto   delle   nostre   affermazioni   sulla   finzione,   i   finzionalisti   sostengono   invece  che   non   ne   abbiamo   bisogno.   Stuart   Brock   è   un   finzionalista   e   l’obiettivo   del   suo   saggio   è  mostrare  che   il   finzionalista  può  evitare  di  postulare   le  entità   fittizie  e   fornire  un  resoconto  adeguato  e  uniforme  degli  asserti  sulla  finzione.  

Il   saggio   di   Brock   non   è   molto   preciso   in   molte   parti,   se   ci   si   riflette   tratta   i   filosofi  realisti  sugli  oggetti   fittizi   in  modo  un  po’  stereotipato  e  grossolano.  Tuttavia  ha   il  pregio  di  essere   un   saggio   piuttosto   semplice   e   presenta   la   posizione   dei   finzionalisti   anti-­‐realisti   in  modo  piuttosto  chiaro,  è  per  questa  ragione  che  credo  possa  essere  utile  la  sua  lettura.  

 1.  Realismo  sui  personaggi  fittizi  

Nel  primo  paragrafo  del  suo  saggio,  Stuart  Brock  considera  il  suo  bersaglio  polemico:   i  realisti  sugli  oggetti  fittizi.  Sebbene  egli  riconosca  che  la  posizione  realista  non  sia  uniforme  e  che   ci   siano   grosse   differenze   fra   i   sostenitori   del   realismo,   egli   individua   due   tesi   che  contraddistinguono  i  realisti:  

 La  tesi  ontologica:  ci  sono  personaggi  fittizi.  Un  personaggio  fittizio  è  un  individuo  (o  un  ruolo)  

selezionato   da   un   nome   o   una   descrizione   che   (1)   è   introdotta   per   la   prima   volta   in  un’opera  di  finzione  e  (2)  non  si  riferisce  a  un  individuo  del  mondo  reale.  

Principio  di  pienezza:  C’è  abbondanza  di  personaggi  fittizi    

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Queste  due  tesi  vanno  chiarite.  Innanzitutto  vale  la  pena  tener  presente  che  nelle  opere  di   finzione   si   fa   talvolta   riferimento   a   persone   effettivamente   esistite   nel   modo   reale   (ad  esempio  si  fa  riferimento  a  Napoleone  in  Guerra  e  pace  di  Tolstoj,  o  si  fa  riferimento  a  Giulio  Cesare  nel  Giulio  Cesare  di  Shakespeare).  Il  riferimento  a  oggetti  del  mondo  reale  non  è  messo  in  discussione  dai  filosofi  irrealisti  sulle  entità  fittizie  e  quindi  quello  che  contraddistingue  la  tesi   ontologica   dei   filosofi   realisti   è   che   i   termini   introdotti   nei   testi   letterari,   che   non   si  riferiscono  ad  oggetti  del  mondo  reale,  hanno  comunque  riferimento.  

Inoltre,   vale   la   pena   di   precisare   che   coloro   che   credono   negli   oggetti   fittizi   non   si  accontentano  di  ritenere  che  i  nomi  o  le  descrizioni  in  un’opera  di  finzione  abbiano  un  qualche  riferimento  (magari  lo  stesso  per  tutti  i  nomi  o  le  descrizioni  di  oggetti  fittizi),  ma  occorre  che  tali   nomi   o   descrizioni   individuino   oggetti   distinti.   Al   riguardo,   Stuart   Brock   riprende  un’osservazione  di  Frege   in   “Senso  e   significato”   in  base  alla  quale   si  potrebbe   stipulare  un  linguaggio  ideale  (ideografia)  in  cui  ogni  nome  designi  un  oggetto;  come  osserva  Frege,  questo  è   difficile   anche   per   le   espressioni   della   matematica   in   cui   la   descrizione   “la   serie   meno  convergente”   non   ha   un   significato,   ma   si   potrebbe   supporre   che   espressioni   del   genere  designino  tutte  lo  stesso  oggetto  –  ad  esempio  il  numero  0.  Allo  stesso  modo,  Brock  osserva  che  se  qualcuno  ritenesse  (seguendo   l’indicazione  di  Frege)  che   tutti   i  nomi  o   le  descrizioni  che  compaiono  in  un’opera  di  finzione  e  che  non  si  riferiscono  a  oggetti  reali  hanno  lo  stesso  riferimento,   ad   esempio   il   numero   0,   questa   persona   non   sarebbe   un   realista   sugli   oggetti  fittizi.    

 Dopo  aver  caratterizzato  la  posizione  dei  realisti,  Brock  si  preoccupa  di  valutare  la  loro  posizione   e   ritiene   che   il   principale   problema   dei   realisti   sono   gli   enunciati   esistenziali  negativi.  Sono  enunciati  come  “Sherlock  Holmes  non  esiste”,  enunciati  che  le  persone  comuni  accettano  come  adeguati  e  che  un  anti-­‐realista  (o  irrealista)  accetta  come  adeguati,  ma  che  un  realista  sugli  oggetti  fittizi  non  può  accettare  così  come  si  presentano.  Per  valutare  quindi  la  posizione  del  realista,  Brock  si  propone  di  valutare  il  modo  in  cui  rende  conto  di  tali  enunciati  e  l’obiettivo  è  mostrare  che  le  analisi  proposte  dai  realisti  sono  inadeguate.    

Per  analizzare  le  strategie  dei  realisti,  egli  distingue  i  realisti  in  due  categorie:  i  realisti  concreti  e  i  realisti  astratti.  

I  realisti  concreti  accettano  (oltre  alle  due  tesi  precedenti)  le  seguenti  due  tesi:    

La   tesi   della   concretezza:   i   personaggi   fittizi   sono   di   diverso   tipo,   talvolta   concreti   (come  Scarlet   O’Hara   e   Robin   Hood)   e   talvolta   astratti   (come   l’insieme   che   contiene   Scarlet  O’Hara  e  la  lealtà  del  piccolo  John  a  Robin  Hood).  

Non-­‐attualismo:   i   personaggi   fittizi   esistono   ma   non   sono   nel   mondo   possibile   in   cui   ci  troviamo  (non  sono  attuali).    Queste  tesi  sono  condivise,  a  parere  di  Brock,  sia  da  un  meinonghiano  come  Parsons,  che  

da  un  possibilista  come  Lewis.  Tuttavia  c’è  una  differenza  nel  modo  in  cui  interpretano  la  tesi  del   non-­‐attualismo.   Per   Parsons   la   distinzione   fra   esistenza   e   realtà   (o   attualità)   è   di   tipo  ontologico,   per   Lewis   non   è   una   distinzione   ontologica  ma   il   termine   “attuale”   deve   essere  considerato  un  indicale,  il  cui  riferimento  dipende  dal  mondo  in  cui  è  proferito.  

Consideriamo  ora  come  interpretano  l’enunciato  esistenziale  negativo  “Sherlock  Holmes  non  esiste”.  A  loro  avviso,  il  quantificatore  esistenziale  ha  un’applicazione  ristretta  in  questo  caso,   come  nella  maggior  parte  dei   casi   in   cui  usiamo   il  predicato  di  esistenza;   supponiamo  che  qualcuno  dica  “non  c’è  più  cibo”,  quello  che  presumibilmente  intende  è  “non  c’è  più  cibo  in  casa”   o   “non   c’è   più   cibo   nelle   vicinanze”,   allo   stesso   modo   quando   noi   diciamo   “Sherlock  Holmes  non  esiste”,  intendiamo  che  Sherlock  Holmes  non  esiste  nel  mondo  che  abitiamo.  

 

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Prendiamo   ora   in   considerazione   la   posizione   dei   realisti   astratti.   Al   contrario   dei  realisti  concreti,  il  realista  astratto  aggiunge  alle  due  tesi  iniziali  le  due  seguenti  tesi:  

 Astrattismo:  i  personaggi  fittizi  sono  tutti  entità  astratte.  Realismo  (o  attualismo):  ogni  cosa  è  reale  (o  attuale).  

 Anche   il   realismo   astratto   presenta   due   varianti.   La   prima   variante   viene   definita  

“realismo  individuale”  ed  è  la  tesi  che  i  personaggi  fittizi  sono  individui  astratti  che  esistono  nel   nostro   mondo   (è   la   tesi   che   viene   attribuita   ad   esempio   a   Kripke   e   ai   cosiddetti  creazionisti);   la   seconda   variante   viene   definita   “realismo   del   ruolo”   e   sostiene   che   i  personaggi   fittizi   non   sono   individui,  ma   ruoli   (o   regole)   definite   o   costituite   da   insiemi   di  proprietà  (è  la  tesi  che  viene  attribuita  ai  cosiddetti  platonisti).  

Poiché   il   realista   astratto   è   un   sostenitore   della   tesi   attualista   (o   realista),   non   può  distinguere  fra  ciò  che  esiste  e  ciò  che  è  reale  come  fa  il  realista  concreto.  Il  realista  astratto  interpreta   l’enunciato   “Sherlock   Holmes   non   esiste”   come   esprimente   la   proposizione   che  nulla   ha   le   proprietà   attribuite   a  Holmes,   o   la   proposizione   che   non   c’è   nulla   che   occupa   il  ruolo  di  Holmes.    2.  Le  ragioni  a  favore  del  realismo  

Per  difendere  la  sua  posizione,  il  realista  deve  fornire  argomenti  volti  a  dimostrare  che  noi   abbiamo   bisogno   degli   oggetti   fittizi.   L’argomento   che   viene   di   solito   utilizzato   dal  sostenitore  degli   oggetti   fittizi   è   che   la   verità  di   alcuni   enunciati   ci   impegna   all’esistenza  di  oggetti   fittizi.   Per   comprendere   gli   argomenti   dei   realisti   è   utile   distinguere   tre   tipi   di  enunciati   che   sembrano   impegnarci   all’esistenza   di   oggetti   fittizi   e   che   vengono   così  denominati:   asserti   fittizi,   asserti   critici   e   asserti   esistenziali.   L’obiettivo   dei   realisti   è  mostrare   che   per   i   primi   due   tipi   di   asserti   la   loro   posizione   è   preferibile   a   quella   dei  finzionalisti.  

Consideriamo   innanzitutto   alcuni   esempi   dei   tre   tipi   di   asserti   presentati   dallo   stesso  Brock.  Asserti  fittizi:  

(1) C’è  un  famoso  detective  che  vive  a  221b  Baker  Street  (2) Heathcliff  fu  perseguitato  da  un  fantasma  nelle  brughiere  ventose  (3) Scarett  O’Hara  è  una  donna  

Asserti  critici:  (4) Scalett  O’Hara  è  un  personaggio  fittizio  (5) Romeo  è  stato  analizzato  criticamente  da  molti  studiosi  di  Shakespeare  (6) Holmes  è  ammirato  da  molti  membri  della  polizia  inglese  (7) Holmes   non   avrebbe   avuto   bisogno   di   cassette   registrate   per   scoprire   i   segreti   di  

Nixon  (Lewis)  (8) Holmes  simboleggia  l’umana  ricerca  incessante  della  verità  (Lewis)  (9) Anna  Karenina  è  meno  nevrotica  di  Katerina  Ivanovna  (Howell)  (10) Il  personaggio  Odisseo  che  compare  nell’Odissea   è   identico  al  personaggio  che  

compare  nell’Inferno,  canto  26,  con  il  nome  ‘Ulisse’  (Howell)  (11) Ci   sono   personaggi   nei   romanzi   del   XIX   secolo   che   sono   presentati   con   più  

dettagli   fisici   di   qualunque  personaggio   in  un  qualunque   romanzo  del  XVIII   secolo  (van  Inwagen)  

(12) Giacché   i   romanzieri   inglesi   del   XIX   secolo   furono   per   lo   più   persone  convenzionali,  possiamo  aspettarci  che  nella  maggior  parte  dei  romanzi  del  periodo  compaiano   buffi   stereotipi   di   italiani   o   francesi;   ma   pochi   di   tali   personaggi   sono  esistiti  (van  Inwagen)  

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(13) Un  certo  detective  fittizio  è  più  famoso  di  qualunque  detective  reale  (Parsons)  (14) Le  cose  andrebbero  meglio  se  certi  politici  che  (sfortunatamente)  esistono  solo  

nella  finzione  governassero  questo  paese  al  posto  di  quelli  che  lo  fanno  (Parsons)  Asserti  esistenziali:  

(15) Non  c’è  alcun  Sherlock  Holmes  (16) Ebezener  Scrooge  non  esiste  (17) Ci  sono  pesci  (18) Saul  Kripke  esiste  

   Prima  obiezione:   l’anti-­‐realista  non  può  accettare  gli  asserti   fittizi  per   come   si  presentano,  ha  bisogno  di  fornire  una  parafrasi  

Consideriamo   innanzitutto   gli   asserti   fittizi.   Secondo  Brock,   il   realista   li   può   accettare  per  quello  che  sono,  mentre  l’anti-­‐realista  deve  fornire  una  parafrasi  di  tali  asserti  per  poter  rendere  conto  del   loro  contenuto  compatibilmente  con   la  sua   teoria.   In  base  al   teorico  anti-­‐realista,   dobbiamo   interpretare   questi   asserti   come   asserti   ellittici,   abbreviati,   in   cui   c’è   un  prefisso   che   è   rimasto   implicito.   Il   prefisso   implicito   è   qualcosa   come   “In   base   all’opera   di  finzione  così-­‐e-­‐così”.  L’asserto  è  vero  quando  viene  aggiunto  il  prefisso,  ma  l’anti-­‐realista  deve  dire  che  l’asserto  è  falso  senza  il  prefisso.  

Il  realista  può  manifestare   la  sua   insoddisfazione  sottolineando  che   l’anti-­‐realista  deve  spiegare   perché   parliamo   in   modo   fuorviante   e   non   diciamo   direttamente   quello   che  intendiamo.   Per   dirlo   in   altre   parole,   il   realista   può   chiedere   all’antirealista   perché   non  usiamo   il   prefisso   se   di   fatto   è   quello   che   intendiamo.   L’anti-­‐realista   ha   a   disposizione   la  risposta  “tu  quoque”:  se  l’anti-­‐realista  è  costretto  a  fornire  una  parafrasi  degli  asserti  fittizi,  il  realista  è  costretto  a   fornire  una  parafrasi  degli  asserti  esistenziali  negativi   (quindi  anche   il  realista  deve  fornire  una  parafrasi).  

Brock   osserva   inoltre   che   il   realista   astratto   non   può   accettare   gli   asserti   fittizi   per  quello  che  sono.  Infatti  gli  oggetti  astratti  non  hanno  la  proprietà  di  essere  donne  o  di  abitare  al   221b   di   Baker   street.   Pertanto   il   realista   astratto   deve   fornire   una   parafrasi   anche   degli  asserti  fittizi  e  non  solo  di  quelli  esistenziali,  trovandosi  in  una  posizione  più  svantaggiosa  di  quella  dell’anti-­‐realista.  

 Seconda  obiezione:   l’anti-­‐realista   non  può   fornire   per   gli   asserti   critici   la   stessa   parafrasi   che  offre  per  gli  asserti  fittizi  e  deve  quindi  accettare  di  impegnarsi  agli  oggetti  fittizi  

Gli   asserti   critici   creano   un   problema   in   più   per   l’anti-­‐realista.   Non   solo   non   li   può  accettare  così  come  sono,  ma  non  può  neanche  offrire  una  parafrasi  paragonabile  a  quella  che  offre  per  gli  asserti  fittizi.    

La  posizione  di  Brock  verso  questa  obiezione  è  duplice.  Da  una  parte  cerca  di  difendersi  dall’accusa,   dall’altra   parte   riconosce   la   validità   dell’accusa   e   propone   una   strategia  alternativa   che   l’anti-­‐realista   può   adottare   per   non   incorrere   nella   difficoltà   sollevata   dalla  seconda  obiezione.  

Prendiamo  in  considerazione  come  cerca  di  difendersi  dall’accusa.  Egli  sostiene  che  non  è  vero  che  per  tutti  gli  asserti  critici  non  sia  possibile  fornire  una  parafrasi  che  fa  appello  al  prefisso   “Nell’opera   di   finzione   così-­‐e-­‐così”,   in   alcuni   casi   questo   è   possibile   e   fornisce   i  seguenti   esempi   (che   sono   parafrasi   degli   asserti   (4),   (9),   (12)   e   (14)   precedentemente  proposti):  

(4*)  Scarlett  O’Hara  non  esiste,  ma  c’è  un’opera  di  finzione  in  base  alla  quale  esiste  (9*)  In  base  al  romanzo  Anna  Karenina,  Anna  Karenina  è  nevrotica  al  grado  x  e  in  base  al  

romanzo  I  fratelli  Karamazov,  Katerina  Ivanova  è  nevrotica  al  grado  y  e  x<y  

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(12*)   Giacché   i   romanzieri   inglesi   del   XIX   secolo   furono   per   lo   più   persone  convenzionali,  possiamo  aspettarci  che  in  base  alla  maggior  parte  dei  romanzi  del  periodo  ci  fossero   buffi   stereotipi   di   italiani   o   francesi;   ma   questo   è   vero   di   pochissimi   romanzi   del  periodo  

(14*)  Le  cose  andrebbero  meglio  se  certi  politici  attuali  non  governassero  questo  paese  e  al  contrario  (certe  parti  rilevanti  di)  alcuni  romanzi  –  in  base  ai  quali  ci  sono  alcuni  politici  ammirevoli  che  governano  questo  paese  –  fossero  veri  

 Sebbene   in   alcuni   casi   si   possa   fornire   una   parafrasi   degli   asserti   critici   che   adotta   la  

stessa  strategia  adottata  nel  caso  degli  asserti  fittizi,  non  è  certo  che  una  tale  strategia  possa  essere  usata  per   tutti  gli  asserti  critici.  Ed  è  dopo  aver   fatto  questa  osservazione,  che  Brock  accetta   la   critica   del   realista   e   accetta   che   l’anti-­‐realista   deve   fornire   una   semantica   degli  asserti   critici   che   (1)   non   presupponga   un’ontologia   di   personaggi   fittizi   e   (2)   fornisca   un  resoconto  uniforme  di  tutti  gli  asserti  critici.  Questo  è  l’obiettivo  che  si  pone  nella  terza  parte  del  saggio  e  che  sarà  presa  in  considerazione  nel  prossimo  paragrafo.    3.  Finzionalismo  sui  personaggi  fittizi  

L’obiettivo  di  Stuart  Brock   in  questo  paragrafo  è  proporre  una  nuova  strategia  per   far  fronte  all’obiezione  presentata  nel  precedente  paragrafo  riguardo  alla  parafrasi  degli  asserti  critici.  Egli   vuole   cioè  proporre  una   semantica  degli   asserti   critici   che   (1)  non  presupponga  un’ontologia  di  personaggi  fittizi  e  (2)  fornisca  un  resoconto  uniforme  di  tutti  gli  asserti  critici.  

Prima   di   presentare   la   strategia,   vale   la   pena   di   osservare   che   il   realista   propone   per  ogni  asserto  critico  C  una  parafrasi  P,  in  alcuni  casi  la  parafrasi  P  coincide  con  l’asserto  critico  C,   in   altri   no   e   in   ogni   caso   la   parafrasi   inevitabilmente   ci   impegna   all’esistenza   di   oggetti  fittizi.  

Ora  la  strategia  proposta  da  Stuart  Brock  è  di  prendere  a  prestito  la  parafrasi  P  proposta  dal  realista  per  ogni  asserto  critico  C  e  di  parafrasare  C  (invece  che  con  P  come  fa  il  realista)  con   “In   base   all’ipotesi   realista,   P”.   E’   utile   rendersi   conto   del   perché   la   parafrasi   del  finzionalista  non  lo  impegna  all’esistenza  degli  oggetti  fittizi.  Abbiamo  visto  che  nel  caso  degli  asserti   fittizi,   la   parafrasi   che   propone   il   finzionalista   è   quella   che   premette   all’asserto   il  prefisso   “In   base   alla   storia   così-­‐e-­‐così”.   Prendiamo   in   considerazione   un   qualsiasi   asserto  fittizio   come   ad   esempio   “Tom   Sawyer   ha   assistito   al   suo   funerale”   che   ci   impegna  all’esistenza   di   un   oggetto   fittizio   (cioè,   all’esistenza   del   personaggio   fittizio   Tom   Sawyer).  Consideriamo   ora   la   parafrasi   che   propone   il   finzionalista   “In   base   a   Le   avventure   di   Tom  Sawyer,  Tom  Sawyer  ha  assistito  al  suo  funerale”,  in  questo  caso  dal  momento  che  si  fa  appello  a  ciò  che  viene  postulato  all’interno  di  un  testo,  non  ci  si  impegna  all’esistenza  di  oggetti  fittizi  come  Tom  Sawyer.  Allo  stesso  modo  se  si  accetta  la  parafrasi  proposta  da  Brock  per  gli  asserti  C,  cioè  “In  base  all’ipotesi  realista,  P”  non  ci  si  impegna  all’esistenza  di  alcun  oggetto  fittizio  a  cui  invece  fa  riferimento  la  parafrasi  P  presa  isolatamente.  L’aggiunta  del  prefisso  fa  in  modo  che  non  ci  si  debba  impegnare  ontologicamente  ad  alcun  oggetto  fittizio.  

Per  comprendere  la  differenza,  può  essere  utile  tener  presente  la  differenza  fra  l’asserto  “Ci   sono   fantasmi”   che   impegna   chiunque   l’asserisca   all’esistenza  di   fantasmi   e   l’asserto   “In  base  a  quello  che  dice  Mario,  ci  sono  fantasmi”  che  ovviamente  non  impegna  all’esistenza  dei  fantasmi  chiunque  lo  asserisca.  

La   proposta   del   finzionalista  Brock   è   quindi   di   considerare   gli   asserti   esistenziali   così  come  sono,  gli  asserti  fittizi  come  asserti  abbreviati  in  cui  è  sottinteso  il  prefisso  “In  base  alla  storia   così-­‐e-­‐così”   e   gli   asserti   critici   C   come   asserti   che   prendono   a   prestito   la   parafrasi  proposta  dal  realista    P  e  sono  parafrasati  con  “In  base  alla  teoria  realista,  P”.  

 

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Una  volta  presentata  la  strategia  finzionalista,  Brock  confronta  la  strategia  finzionalista  sugli  oggetti  di  finzione  con  la  strategia  finzionalista  in  altri  ambiti  per  mostrare  i  vantaggi  del  finzionalismo  sugli  oggetti  fittizi.  

Il   finzionalismo  è  una   tesi  che  si  applica  generalmente  a  una   teoria  T  e   la   tesi  è  che   la  teoria  T  è  una  finzione,  una  storia  che  è  probabilmente  falsa,  ma  che  ha  una  qualche  utilità.  Il  finzionalista  non  si  impegna  alla  falsità  della  teoria  T,  il  finzionalista  sostiene  semplicemente  che  non  ci  si  deve  impegnare  alla  verità  di  ciò  che  la  teoria  sostiene.  Il  finzionalista  ci  dice  che  “In   base   alla   teoria   T,   P”   è   qualcosa   che   noi   possiamo   accettare   (1)   senza   impegnarci  ontologicamente  all’esistenza  di  qualunque  oggetto  a  cui  la  teoria  T  si  impegna  e  (2)  mettendo  in  luce  i  vantaggi  pratici  della  teoria  T.  

Rispetto  al  finzionalismo  su  altre  teorie,  il  finzionalismo  sugli  oggetti  fittizi  ha  i  seguenti  due  vantaggi:  

1) la  teoria  finzionalista  sugli  oggetti  fittizi  non  ha  alcun  vantaggio  pratico,  non  ci  aiuta   a   fare   predizioni   sulla   realtà,   e   quindi   il   finzionalista   sugli   oggetti   di  finzione  non  può  essere  accusato  di  essere  finzionalista  per  sfruttare  i  vantaggi  pratici  della   teoria   realista   senza  pagarne   i   costi  perché   in  questo   caso  non  ci  sono  vantaggi  pratici.  

2) La  teoria  finzionalista  sugli  oggetti  fittizi  è  un  prerequisito  per  ogni  altra  teoria  finzionalista   F.   Uno   non   può   essere   cioè   realista   sugli   oggetti   fittizi   e  finzionalista   F   in   altri   ambiti.   Per   rendercene   conto,   occorre   fare   un  ragionamento  per  assurdo:  supponiamo  che  ci  sia  una  persona  che  sia  realista  sulle  entità  di  finzione,  ma  sia  finzionalista  riguardo  a  qualche  altra  entità  (non  preoccupiamoci   di   specificare   cosa   sono   queste   altre   entità,   possono   essere:  mondi   possibili,   numeri,   particelle   elementari   postulate   dalla   fisica,   ecc.).   Che  cosa   piò   dire   il   finzionalista   su   queste   entità   su   cui   adotta   una   teoria  finzionalista?  Non   può   dire   altro   che   sono   entità   fittizie.   Infatti,   dal  momento  che   egli   ritiene   che   esistano   le   entità   fittizie,   se   dicesse   che   le   entità   in  discussione  sono  entità  fittizie,  sarebbe  costretto  a  essere  un  realista  su  queste  entità.  

 Brock  ha  presentato  quelli  che  a  suo  avviso  sono  i  vantaggi  della  teoria  finzionalista  sugli  

oggetti   fittizi.   Prendiamo  ora   in   considerazione   una   questione   specifica.   Abbiamo  detto   che  secondo  Brock,  un   finzionalista   sugli  oggetti  di   finzione  deve  dire   che  ogni  asserto   critico  C  deve  essere  parafrasato  in  “In  base  alla  teoria  realista,  P”.  Tuttavia,  come  sappiamo,  le  teorie  realiste   sono  diverse   e   si   presenta  quindi   il   problema  di   stabilire  quale   teoria   realista  deve  essere  adottata.  Nella  scelta  della  teoria  realista  Brock  propone  di  adottare  due  criteri:  (i)  la  teoria   realista   non   deve   essere   troppo   revisionista   e   (ii)   la   teoria   realista   deve   fornire   un  trattamento  uniforme  degli  asserti  critici.  

Iniziamo  a  considerare  il  realismo  astratto,  la  parafrasi  che  offre  di  certi  asserti  fittizi  è  lunga  e  molto  articolata.  Per  rendercene  conto  consideriamo  l’asserto  seguente:  

 (7)  Holmes  non  avrebbe  avuto  bisogno  delle  cassette  registrate  per  scoprire  i  segreti  di  

Nixon    La  teoria  deve  parafrasare  questo  asserto  più  o  meno  come  segue:    (7*)  A  Holmes  sono  attribuite  (o  Holmes  è  costituito  parzialmente  da)  certe  proprietà,  e  

chiunque  abbia   tali   proprietà  non  ha  bisogno  di   cassette   registrate  per   scoprire   i   segreti   di  Nixon.  

 

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E’   evidente   che   questa   parafrasi   non   soddisfa   il   primo   requisito   (è   una   parafrasi  chiaramente   revisionista)   e   pertanto   la   posizione   del   realista   concreto   è   preferibile   perché  accetta  un  tale  asserto  per  quello  che  è  e  non  è  pertanto  revisionista.  

Tuttavia   anche   la   posizione   del   realista   concreto   è   revisionista   in   un   certo   senso:  innanzitutto   il   realista   concreto   è  un  non-­‐attualista   e   il   non-­‐attualismo  è   contrario   al   senso  comune   e   quindi   è   revisionista.   Inoltre   il   realista   concreto   deve   assumere   che   certi   asserti  sulle  entità   fittizie   sono   falsi  mentre   si   assume  comunemente  che   sono  veri.   Si  prendano   in  considerazione  questi  due  asserti:  

 (13)  Un  certo  detective  fittizio  è  più  famoso  di  qualunque  detective  reale  (13*)  Un  certo  detective  fittizio  attuale  è  più  famoso  di  qualunque  detective  reale    Intuitivamente,  (13)  e  (13*)  hanno  lo  stesso  valore  di  verità,  ma  un  realista  concreto  è  

costretto  a  dire  che  (13)  è  vero,  ma  (13*)  non  lo  è  (perché  per  un  realista  concreto  gli  oggetti  fittizi  non  sono  attuali).  

Il  realista  deve  quindi  adottare  o  la  tesi  non-­‐attualista  o  la  tesi  astrattista.  Il  finzionalista  non  è  così  vincolato  perché  non  ritiene  che  la  teoria  realista  sia  una  teoria  su  come  stanno  le  cose.  La  proposta  di  Brock  è  quindi  di  adottare  una  teoria  ibrida:  la  teoria  ibrida  accetterà  la  tesi   ontologica   e   il   principio   di   pienezza,   inoltre   per   soddisfare   il   requisito   di   uniformità,  adotterà   la   teoria   realista   concreta,   quando   però   la   teoria   realista   concreta   si   rivela  revisionista,  allora  adotterà  la  teoria  realista  astratta  per  soddisfare  il  requisito  di  uniformità.  E’  appunto  per  soddisfare  i  due  requisiti  che  la  teoria  migliore  da  adottare  secondo  Brock  è  la  teoria  realista  ibrida.    4.  Gli  esistenziali  negativi  

Fin  dall’inizio  del  saggio  Brock  sostiene  che  uno  dei  pregi  del  finzionalismo  sugli  oggetti  fittizi   è   che   può   accettare   gli   asserti   esistenziali   negativi   così   come   sono,   senza   revisioni,  mentre  la  teoria  realista  è  costretta  a  fornire  una  parafrasi  degli  asserti  esistenziali  negativi.  

Tuttavia   egli   riconosce   che   c’è   un   argomento   che   può   essere   usato   per  mostrare   che  nessun   asserto   esistenziale   negativo   può   essere   accettato   per   come   si   presenta.   Questo  argomento   può   ovviamente   essere   usato   dal   realista   contro   il   finzionalista.   Nell’ultimo  paragrafo  del   suo  saggio,  Brock  prende   in   considerazione  questo  argomento  e  propone  due  strategie  che  possono  essere  adottate  dal  finzionalista  per  far  fronte  alla  difficoltà.  

L’argomento   può   essere   espresso   nel   modo   seguente   (dove   P1-­‐P4   sono   le   quattro  premesse  e  C  è  la  conclusione):  

 (P1)  Gli  asserti  esistenziali  negativi  sono  della  forma  soggetto-­‐predicato    (ad  esempio   l’asserto  (16)  è  composto  da  soggetto  “Ebenezer  Scrooge”  e  dal  predicato  “non  esiste”)  (P2)  Se  gli   esistenziali  negativi   sono  accettati  per   come  si  presentano,   la  proposizione  espressa  ha  la  forma  soggetto-­‐predicato  (P3)  Una  proposizione  che  ha   la   forma  soggetto-­‐predicato  è  vera  se  e  solo  se   l’oggetto  denotato  dal  soggetto  gode  della  proprietà  espressa  dal  predicato  (ed  è  falsa  se  e  solo  se  l’oggetto  denotato  dal  soggetto  non  gode  della  proprietà  espressa  dal  predicato)  (P4)  Nessun  oggetto  ha  la  proprietà  di  non  esistere  (C)  Se  gli  esistenziali  negativi  sono  accettati  per  come  si  presentano,  non  ci  può  essere  alcun  esistenziale  negativo  vero    Il  finzionalista  di  fronte  a  questo  argomento  può  adottare  due  possibili  strategie.  

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Prima  strategia:  il  finzionalista  accetta  che  l’argomento  del  realista  è  valido  e  corretto  e  propone   una   parafrasi   per   interpretare   gli   esistenziali   negativi.   Questa   strategia   è   stata   di  fatto  adottata  da  alcuni  finzionalisti  e  le  parafrasi  che  possono  essere  fornite  sono  di  tre  tipi:  

A) si   adotta   la   stessa   parafrasi   fornita   dai   realisti   e   si   assume   che   negli   esistenziali  negativi  il  quantificatore  è  ristretto  agli  oggetti  che  non  sono  fittizi  

B) si   ritiene   che,   contrariamente   alle   apparenze,   gli   esistenziali   negativi   esprimono  proposizioni   metalinguistiche   (cioè,   esprimono   un   contenuto   che   riguarda   le  espressioni  linguistiche  coinvolte).  Ad  esempio  un  enunciato  della  forma  “x  non  esiste”  ha  lo  stesso  significato  di  un  enunciato  della  forma  “il  nome  “x”  non  ha  riferimento”  

C) si  assume  che   i  presunti   termini  singolari  vuoti  siano  equivalenti  a  descrizioni  e   le  si  analizza  come  ha  proposto  Russell  Il   lettore   può   far   fatica   a   comprendere   la   differenza   fra   l’opzione   A   e   l’opzione   C.   La  

differenza  è  la  seguente:  Consideriamo  l’enunciato  “Ebenezer  Scrooge  non  esiste”,  chi  adotta  la   prima   parafrasi   può   tradurre   il   nome   proprio   “Ebenezer   Scrooge”   con   una   costante  individuale  (supponiamo  che  sia  s)  e  propone  la  seguente  tradizione  dell’enunciato:  ¬∃x(x=s).  Il   quantificatore  esistenziale   si   applica   solo   a  un  dominio   ristretto  di   oggetti   fra   cui  non   c’è  Scrooge,  l’enunciato  così  tradotto  e  interpretato  è  vero.  

Consideriamo   come   tradurrebbe   l’enunciato   chi   adotta   l’opzione   C.   In   base   a   questa  parafrasi,   si   tradurrebbe   il   nome   con   una   descrizione   e   quindi   si   tradurrebbe   “Ebenezer  Scrooge”  con  una  descrizione  equivalente,  qualcosa  come  “l’individuo  che  si  chiama  Ebenezer  Scrooge”;  per  tradurre  l’enunciato  si  ha  bisogno  di  una  costante  predicativa  (supponiamo  che  sia   S  =   chiamarsi  Ebenezer   Scrooge)   e   si   traduce   l’enunciato   con  ¬∃x(Sx)   che   risulta   essere  vero  perché  non  esiste  qualcosa  nel  mondo  che  soddisfa  la  descrizione.  

La   differenza   fra   l’opzione   A   e   l’opzione   C   è   che   il   sostenitore   dell’opzione   A   si   deve  impegnare  all’esistenza  di  nomi  per  individui  fittizi,  mentre  il  sostenitore  dell’opzione  C  non  deve   impegnarsi   all’esistenza   di   nomi   ma   solo   all’esistenza   di   proprietà   che   possono   non  essere  soddisfatte  da  alcun  individuo.  

   Al   di   là   della   differenza   fra   le   diverse   opzioni   vale   la   pena   di   considerare   se   la   prima  

alternativa   sia   adeguata.   Brock   rileva   che   il   realista   può   sostenere   di   avere   un   vantaggio  sull’anti-­‐realista  perché  può  accettare  alcuni  asserti  (gli  asserti  fittizi)  per  come  si  presentano,  mentre   l’anti-­‐realista   che   accetta   la  prima  alternativa  non  può  accettare   alcun   asserto   sugli  oggetti   fittizi   per   come   si   presenta,   deve   presentare   una   parafrasi   per   tutti   gli   asserti  apparentemente   su   oggetti   di   finzione.   L’anti-­‐realista   può   sostenere   tuttavia   che   la   sua  parafrasi  è  preferibile  perché  non  impegna  colui  che  la  adotta  all’esistenza  degli  oggetti  fittizi.    

 Seconda  strategia:  l’anti-­‐realista  può  tuttavia  essere  più  ambizioso  e  cercare  di  criticare  

l’argomento   presentato   dal   realista.   L’argomento   ha   quattro   premesse   e   se   si   riesce   a  dimostrare   che   una   delle   premesse   non   è   vera,   l’argomento   non   è   corretto.   La   seconda  strategia  consiste  nel  sostenere  che  la  prima  premessa  (P1)  e  la  terza  premessa  (P3)  non  sono  vere.    

Chiediamoci   innanzitutto   perché   la   terza   premessa   non   è   vera   per   un   sostenitore   del  finzionalismo.   La   terza   premessa   (P3)   dice   che   una   proposizione   della   forma   soggetto-­‐predicato  è  vera  se  e  solo  se  l’oggetto  denotato  dal  soggetto  gode  della  proprietà  denotata  dal  predicato   ed   è   falsa   se   e   solo   se   l’oggetto   denotato   dal   soggetto   non   gode   della   proprietà  denotata  dal  predicato.  Stuart  Brock  ritiene  che  il  secondo  congiunto  sia  falso  egli  ritiene  che  sia  falsa  l’assunzione  seguente:  

(P)   Una   proposizione   della   forma   soggetto-­‐predicato   è   falsa   se   e   solo   se   l’oggetto  denotato  dal  soggetto  non  gode  della  proprietà  denotata  dal  predicato  

 

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Secondo  Brock,  per  un   finzionalista  una  proposizione  della   forma  soggetto-­‐predicato  è  falsa   non   solo   se   l’oggetto   denotato   dal   soggetto   non   gode   della   proprietà   espressa   dal  predicato,  ma  anche  se  il  soggetto  dell’enunciato  non  denota  alcunché.  Per  rendersene  conto  basta  prendere  in  considerazione  i  seguenti  asserti  che  comunemente  riteniamo  falsi:  

 (19) Oliver  Twist  ha  ucciso  il  principe  del  Galles  ieri  (20) Anna  Karenina  ha  cenato  con  Hilary  Clinton  la  scorsa  settimana  (21) Bart  Simpson  è  il  capitano  della  squadra  di  cricket  australiana  

 In   questo   modo,   Stuart   Brock   prende   le   distanze   dalla   tesi   di   Frege   in   base   alla   quale   un  enunciato  che  contiene  un  nome  senza  riferimento  è  privo  di  valore  di  verità.  Secondo  Brock  invece,  gli  asserti  che  contengono  nomi  privi  di  riferimento  hanno  un  valore  di  verità  e  sono  falsi.    

Prendiamo  ora  in  considerazione  un  enunciato  esistenziale  come:    (26)  Ebenezer  Scrooge  esiste    

l’asserto   esprime   una   proposizione   che   ha   la   forma   soggetto-­‐predicato   ed   è   falso   secondo  Sturt  Brock  perché  il  nome  non  si  riferisce  ad  alcunché.  

La  negazione  dell’asserto  (26)  non  esprime  una  proposizione  che  ha   la   forma  soggetto  predicato,  perché  oltre  al  soggetto  e  al  predicato  compare  anche  la  negazione.  E  la  negazione  di  un  asserto  falso  è  ovviamente  vera,  quindi  secondo  Stuart  Brock  l’enunciato  

 (16)  Ebenezer  Scrooge  non  esiste    

non  esprime  una    proposizione  della  forma  soggetto-­‐predicato  (contrariamente  alla  premessa  P1)  ed  è  vero  perché  è  la  negazione  di  un  asserto  falso.    5.  Conclusioni  

Dal   punto   di   vista   di   Stuart   Brock,   il   finzionalismo   sugli   oggetti   fittizi   ha   il   pregio   di  offrire   un   trattamento   uniforme   di   asserti   fittizi   e   critici,   in   entrambi   i   casi   si   offre   una  parafrasi  che  fa  riferimento  a  una  storia.  Se  nella  prima  parte  del  saggio  egli  riteneva  che  gli  asserti   esistenziali   negativi   fossero   un   vantaggio   dei   sostenitori   della   teoria   finzionalista,  nell’ultima  parte  del  saggio  si  mostra  che  gli  asserti  esistenziali  negativi  sono  in  generale  più  problematici   per   tutti,   egli   offre   tuttavia   due   possibili   strategie   per   il   sostenitore   del  finzionalismo.  

È   interessante  notare  che  Brock  non  ritiene  di  aver  difeso   il   finzionalismo  da  qualsiasi  critica,  ma  che  spera  di  aver  dato  maggiore  plausibilità  a  questa  teoria.  È  inoltre  interessante  notare  che  per  Brock  il  realista  mantiene  almeno  un  vantaggio  sul  finzionalista,  può  accettare  alcuni   asserti   sugli   oggetti   fittizi   per   come   si   presentano   (cosa   che   non   è   possibile   per   il  finzionalista).