d.l. 353/2003 (conv. in dcb sped. in a.p. direzione ... · come l’amore, essa si diffonde...

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Anno 113 DOMENICA 26 DICEMBRE 2010 e Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma, 2, DCB Filiale di Pistoia Direzione, Redazione e Amministrazione: PISTOIA Via Puccini, 38 Tel. 0573/21293 - 0573/308372 Fax 0573/28616 e_mail: [email protected] Abb. annuo e 45,00 (Sostenitore e 65,00) c/cp n. 11044518 Pistoia 46 V ita La G I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O e 1,10 Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abi- tavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. Il profeta ammira da lontano l’evento della salvezza, l’inizio dell’era nuova, l’ora della liberazione. “Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Il suo nome sarà Consiglie- re mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace”. Ci sono espressioni più belle per esprimere la grandezza del mo- mento della discesa di Dio, del suo ingresso nella storia degli uomini per riportarla perfezionata al suo punto di partenza? La chiesa non ne ha trovate di meglio e per que- sto ce le fa riascoltare ogni anno nella liturgia incantata della notte del Natale. Poterle riudire è già un richiamo alla speranza, un invito alla gioia. L’assemblea ne pren- de atto nel silenzio commosso e deferente che si addice ai grandi annunci di Dio. Ora il male è vinto alla radice e con il Figlio di Dio ve- nuto per sempre fra noi sarà possi- bile vivere diversamente, lavorare per un mondo nuovo, guardare al futuro con l’animo aperto alla speranza. Il Natale contemplato e vissuto come la notte della luce. La stessa scelta della data si ispira chiaramente a questa immagine: è il momento in cui, nel solstizio d’inverno, il sole “invitto” ripren- de il suo glorioso e interminabile cammino nell’immensità del co- smo. Nel prologo del suo vangelo, Giovanni ne riprenderà il motivo e lo svilupperà in una delle più bel- le pagine dell’intera rivelazione. Con Cristo la luce vera viene nel mondo a illuminare ogni uomo. Una luce che nessuna forza umana potrà mai spegnere, perché è la luce di Dio. Due spartiti, due re- altà, due storie a confronto, l’una alternativa all’altra, inversamen- te proporzionali, per descrivere quella lotta titanica di cui parla il concilio Vaticano II: “Tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre, lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ul- timo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio”. Una lotta senza soste e senza quartiere. L’uomo ne è parte integrante e non soltanto semplice spettatore. Nelle sue let- “Il popolo che camminava nelle tenebre...” tere, l’apostolo Paolo la interpre- terà come la lotta fra lo Spirito e la “carne”, cioè fra Dio e l’uomo a lui ribelle. Al termine del ciclo natalizio, nella liturgia dell’Epifania, la “co- munità della luce”, riprenderà a riflettere sullo stesso tema. La chiesa è la nuova Gerusalemme, che anticipa e prepara nel tempo la Gerusalemme celeste, la città in cui non ci sarà più bisogno del sole e della luna, perché pervasa e at- traversata dall’abbagliante fulgore della gloria di Dio e della sua lam- pada che è l’Agnello. La città della luce e della pace. E’ ancora il libro del profeta Isaia che, dal fondo dei secoli, si rivolge a lei: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popo- li; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te”. La chiesa è la città collocata sul mon- te che fa luce a tutti i viandanti della strada. La casa della santità, dell’amore, della fraternità, della giustizia, della vittoria sull’egoi- smo e sugli istinti che ottenebrano e abbrutiscono la società. Una luce che, espandendosi, coinvol- ge e convoca l’intera umanità. E’ questo il modo di agire costante di Dio: raggiungere gli altri servendosi della mediazione di un popolo, di una comunità, se vogliamo di un piccolo resto, capace di trasmet- tere, prima con la vita che con la parola, la bellezza che gli è stata donata. Allora “cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intor- no e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie Anche se è notte inoltrata, la sentinella che indaga l’orizzonte sa che l’alba non può essere lontana. Giorgio La Pira Dopo la pausa delle vacanze natalizie, La Vita uscirà di nuovo domenica 9 gennaio 2011. A tutti i nostri lettori auguriamo Buone Feste sono portate in braccio”. La luce che rompe le tenebre è un richiamo irresistibile. Come l’amore, essa si diffonde naturalmente, diventa rifugio, conforto, riparo, richiamo, consolazione, speranza per tutti. E’ in grado la chiesa di compie- re questa sua grandiosa missione? Se preso sul serio, il Natale è una decisa spinta in avanti, un appello pressante per i singoli, le famiglie, l’intera comunità. Si narra che W. Goethe, il gran- de scrittore tedesco, sul suo letto di morte, ripetesse in continuità queste parole: “Mehr Licht!”, “Più luce, più luce!”. Soprattutto la luce della verità, la luce di Dio. Un’otti- ma preghiera per il nostro Natale. Giordano Frosini La natività di Gherardo delle notti

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Anno 113

DOMENICA26 DICEMBRE 2010

e 1,10

Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p.D.L. 353/2003 (conv. inL. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma, 2, DCB Filiale di PistoiaDirezione, Redazionee Amministrazione:PISTOIA Via Puccini, 38Tel. 0573/21293 - 0573/308372 Fax 0573/28616e_mail: [email protected]. annuo e 45,00(Sostenitore e 65,00)c/cp n. 11044518 Pistoia

46V itaLaG I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O e 1,10

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abi-tavano in terra tenebrosa una

luce rifulse”. Il profeta ammira da lontano l’evento della salvezza, l’inizio dell’era nuova, l’ora della liberazione. “Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Il suo nome sarà Consiglie-re mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace”. Ci sono espressioni più belle per esprimere la grandezza del mo-mento della discesa di Dio, del suo ingresso nella storia degli uomini per riportarla perfezionata al suo punto di partenza? La chiesa non ne ha trovate di meglio e per que-sto ce le fa riascoltare ogni anno nella liturgia incantata della notte del Natale. Poterle riudire è già un richiamo alla speranza, un invito alla gioia. L’assemblea ne pren-de atto nel silenzio commosso e deferente che si addice ai grandi annunci di Dio. Ora il male è vinto alla radice e con il Figlio di Dio ve-nuto per sempre fra noi sarà possi-bile vivere diversamente, lavorare per un mondo nuovo, guardare al futuro con l’animo aperto alla speranza. Il Natale contemplato e vissuto come la notte della luce. La stessa scelta della data si ispira chiaramente a questa immagine: è il momento in cui, nel solstizio d’inverno, il sole “invitto” ripren-de il suo glorioso e interminabile cammino nell’immensità del co-smo. Nel prologo del suo vangelo, Giovanni ne riprenderà il motivo e lo svilupperà in una delle più bel-le pagine dell’intera rivelazione. Con Cristo la luce vera viene nel mondo a illuminare ogni uomo. Una luce che nessuna forza umana potrà mai spegnere, perché è la luce di Dio. Due spartiti, due re-altà, due storie a confronto, l’una alternativa all’altra, inversamen-te proporzionali, per descrivere quella lotta titanica di cui parla il concilio Vaticano II: “Tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre, lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ul-timo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio”. Una lotta senza soste e senza quartiere. L’uomo ne è parte integrante e non soltanto semplice spettatore. Nelle sue let-

“Il popolo che camminava nelle tenebre...”

tere, l’apostolo Paolo la interpre-terà come la lotta fra lo Spirito e la “carne”, cioè fra Dio e l’uomo a lui ribelle.

Al termine del ciclo natalizio, nella liturgia dell’Epifania, la “co-munità della luce”, riprenderà a riflettere sullo stesso tema. La chiesa è la nuova Gerusalemme, che anticipa e prepara nel tempo la Gerusalemme celeste, la città in cui non ci sarà più bisogno del sole e della luna, perché pervasa e at-traversata dall’abbagliante fulgore della gloria di Dio e della sua lam-pada che è l’Agnello. La città della luce e della pace.

E’ ancora il libro del profeta Isaia che, dal fondo dei secoli, si rivolge a lei: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popo-li; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te”. La chiesa è la città collocata sul mon-te che fa luce a tutti i viandanti della strada. La casa della santità, dell’amore, della fraternità, della giustizia, della vittoria sull’egoi-smo e sugli istinti che ottenebrano e abbrutiscono la società. Una luce che, espandendosi, coinvol-ge e convoca l’intera umanità. E’ questo il modo di agire costante di Dio: raggiungere gli altri servendosi della mediazione di un popolo, di una comunità, se vogliamo di un piccolo resto, capace di trasmet-tere, prima con la vita che con la parola, la bellezza che gli è stata donata.

Allora “cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intor-no e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie

Anche se è notte inoltrata,la sentinella che indaga l’orizzontesa che l’albanon può essere lontana.

Giorgio La Pira

Dopo la pausa delle vacanze

natalizie,La Vita uscirà di nuovo

domenica 9 gennaio 2011.

A tutti i nostri lettoriauguriamo

Buone Feste

sono portate in braccio”. La luce che rompe le tenebre è un richiamo irresistibile. Come l’amore, essa si diffonde naturalmente, diventa rifugio, conforto, riparo, richiamo, consolazione, speranza per tutti.

E’ in grado la chiesa di compie-re questa sua grandiosa missione? Se preso sul serio, il Natale è una decisa spinta in avanti, un appello

pressante per i singoli, le famiglie, l’intera comunità.

Si narra che W. Goethe, il gran-de scrittore tedesco, sul suo letto di morte, ripetesse in continuità queste parole: “Mehr Licht!”, “Più luce, più luce!”. Soprattutto la luce della verità, la luce di Dio. Un’otti-ma preghiera per il nostro Natale.

Giordano Frosini

La natività di Gherardo delle notti

2 n. 46 26 DICEMBRE 2010 LaVitaprimo piano

La strada maestraIl primato dell’educare

di Paolo Bustaffa

l primato dell’educare “Se la libertà religiosa è via per la pace, l’educa-zione religiosa è strada privilegiata per abilitare le nuove generazioni a riconoscere nell’altro

il proprio fratello e la propria sorella, con i quali camminare in-sieme e collaborare perché tutti si sentano membra vive di una stessa famiglia umana, dalla quale nessuno deve essere escluso”.È un pensiero breve, incastonato come un diamante in un prezioso anello di riflessioni: illumina il filo rosso della sensibilità educativa che corre lungo il messaggio di Benedetto XVI.Il Papa ribadisce, con linguaggio laico, che l’impegno, la respon-sabilità e la bellezza di educare alla libertà appartengono a ogni uomo e a ogni donna.È un movimento della ragione quello che viene auspicato, nella fiduciosa convinzione che la meta da raggiungere, cioè la realizzazio-ne di una stessa famiglia umana, non può e non deve sfuggire al diversamente credente come non può e non deve essere insignifi-cante per il non credente.L’invisibile “strada privilegiata” dell’educare attraversa e smuove il terreno della coscienza, cioè il

luogo interiore di ogni persona in cui la scintilla della verità tiene vive la ricerca e la scelta del bene e del bello.È la strada che Benedetto XVI indica ricordando che la libertà religiosa, fonte di ogni altra liber-tà, è radicata “nella dignità stessa della persona”.Un percorso che il Papa propone soprattutto alle nuove generazio-ni e, per questo, si rivolge agli am-bienti nei quali prendono forma le loro sensibilità, i loro sogni, i loro desideri.A iniziare dalla famiglia che “fon-data sul matrimonio, espressione di unione intima e di complemen-tarietà tra un uomo e una donna, si inserisce in questo contesto come la prima scuola di formazio-ne e di crescita sociale, culturale, morale e spirituale dei figli, che dovrebbero sempre trovare nel padre e nella madre i primi te-stimoni di una vita orientata alla ricerca della verità e all’amore di

Dio”.Nella famiglia l’educazione può prendere o, al contrario, perdere la dimensione religiosa, può arric-chirla oppure svuotarla, può spe-gnerla con la mediocrità piuttosto che accenderla con pensieri gran-di e con “relazioni armoniose a tutti i livelli di convivenza umana, nazionale e internazionale”.L’educazione religiosa, da non intendere come educazione confessionale, è costruttrice di un’armonia interiore che vede intrecciarsi e fecondarsi le dimen-sioni orizzontali e le dimensioni verticali del vivere e del pensare.Un dialogo permanente tra fede e ragione che, nel dar vita alla spe-ranza, distingue un essere umano da ogni altro essere vivente.“Questa - scrive ancora Benedet-to XVI - è la strada da percorrere sapientemente per la costruzione di un tessuto sociale solido e so-lidale, per preparare i giovani ad assumere le proprie responsabili-

tà nella vita, in una società libera, in uno spirito di comprensione e di pace”.Non appassionare le nuove gene-razioni alla libertà religiosa, non aiutarle a comprenderne l’au-tentico significato, rende a loro difficile, se non impossibile, dare fondamenta a tutte le altre libertà.E questo, purtroppo, è avvenuto e sta avvenendo anche nel nostro Paese e nella nostra Europa.Il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace giunge in questo scenario per ricordare che “negare o limitare in maniera arbitraria” la libertà religiosa “significa coltivare una visione riduttiva della persona umana”.I primi a pagarne le conseguenze sono i giovani ed è soprattutto per loro che il messaggio diventa una bussola preziosa nell’attraver-sare, mai da soli, il mare mosso della storia e della cronaca.

i

La pace e la libertà religiosa cammi-nano insieme”. Si potrebbe sinte-tizzare con queste parole il forte e attualissimo mes-

saggio che Benedetto XVI lancia alla comunità internazionale in occasione della celebrazione della Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2011. Il fatto è che mai come oggi il mondo ha bisogno di pace. I terribili episodi di persecuzione, di violenza e d’intolleranza religiosa che hanno insanguinato gli ultimi mesi dell’an-no lo stanno a testimoniare. Basti pensare all’efferato attacco, il 31 ottobre scorso, contro i cristiani rac-colti nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad, in Iraq. Ed è proprio questo lancinante bisogno di pace e questa inaudita furia omicida che denunciano l’urgente bisogno di Dio, spesso camuffato o represso, che sale dal nostro mondo. Bisogno di Dio, sì, perché solo in Lui è la nostra vera pace: quella che, invadendo il cuore e illuminando la mente, ispira pen-sieri e progetti efficaci di verità e di giustizia. Ma perché il bisogno di Dio possa trovare risposta, è necessario garantire e promuovere ovunque quella libertà che permette d’in-contrare e riconoscere il Suo volto per camminare sotto il Suo sguardo e guardare agli altri e al nostro co-mune destino con la volontà tenace e perseverante di realizzare solo e sempre ciò che è buono e conforme al Suo disegno d’amore.

Ecco perché la libertà religiosa - argomenta con vigore Benedetto XVI, rilanciando l’insegnamento del Concilio Vaticano II - è “via alla pace”. Non si tratta di un di più che ci può essere o no: la libertà religiosa, infatti, “è radicata nella dignità stessa della persona umana”. L’uomo trova se stesso solo quando sperimenta lo stupore di vedersi guardato, so-stenuto e indirizzato dall’amore di Dio. È di fronte a Dio, nel libero e insondabile colloquio di risposta al Suo amore, che l’uomo scopre la sua straordinaria vocazione. Tra tutti i di-ritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona umana, la libertà religiosa gode perciò di uno statuto singolare. Di tali diritti e di tali libertà è in qualche modo la sor-gente, la garanzia e “la cartina di tor-nasole”, come scriveva Giovani Paolo II. Si tratta di un bene essenziale, di un’acquisizione della civiltà politica e giuridica cui la coscienza umana è pervenuta con sicura certezza nel nostro tempo, non senza la luce ad essa venuta dalla rivelazione cristiana.

A motivo di questa nativa sin-golarità, che la eleva a baluardo di difesa e a principio di promozione della dignità umana, la libertà reli-giosa non può essere capziosamente relegata nella sfera del privato. “Una libertà senza relazione - sottolinea il Papa con incisività - non è libertà compiuta”. La libertà religiosa, per definizione, deve potersi esprimere ed esercitare nella sfera pubblica, esplicandosi nella condivisione e nella solidarietà entro la comunità di fede che da essa principia e si alimenta e di qui offrendo il proprio contributo a tutta la società. In tal modo, la libertà religiosa, quando vissuta nella sincerità del cuore e garantita a livello pubblico, è il più formidabile antidoto alle due forme

Giornata della pace 2011

La sorgentedi ogni libertà

Il messaggiodi Benedetto XVI

di Piero Coda“

speculari ed estreme di rifiuto del legittimo pluralismo e della sana laicità: il fondamentalismo religioso e il laicismo. Positivamente coltivata e socialmente esplicata, la libertà religiosa è piuttosto garanzia del riconoscimento della vera dignità e della giusta libertà di ciascuno. Le comunità religiose, infatti, per loro

intima natura, sono chiamate non solo a promuovere il bene dell’altro, ma a riconoscere in esso quanto di buono viene alla comune ricerca della fraternità e della giustizia. Lungi dall’essere fautrici di esclusione o conflitto, le comunità religiose, in quanto fedeli al volere di Dio, sono chiamate piuttosto a farsi promotrici

di giustizia, solidarietà e pace. Non è un caso che - con penetrante intuito - Benedetto XVI leghi strettamente la sincera ricerca e la rigorosa tutela della libertà religiosa al compito ineludibile del dialogo tra le religioni. Ricordando, tra l’altro, che nel 2011 ricorre il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, voluta ad Assisi da Giovanni Paolo II.

Quello che il Papa propone è un serio esame di coscienza che tutti ci coinvolge. Non solo, in primis, le comunità religiose per verificare la qualità e la misura della loro fedeltà al Dio in cui credono; ma anche i regimi politici di quei Paesi, specie in Asia e in Africa, dove viene impedito ai membri delle minoranze religiose di professare la propria fede o di cam-biarla. Senza dimenticare, infine, quei Paesi occidentali dove una cultura laicista tende a emarginare e compri-mere pubblicamente l’esercizio della fede. “La violenza - conclude il Papa - non si supera con la violenza”. La libertà religiosa è la più formidabile arma della pace e ha oggi da svolgere, a tutto campo, “una missione storica e profetica”.

326 DICEMBRE 2010 n. 46VitaLa

ra an-c h e L u p o , il cane sp i no -ne, che sull’erta

precedeva il padrone con la piccola zona di giunco a tracolla, non spuntava più speditamente. La tempesta di neve che vorticava acce-cante da ogni direzione era in aumento. E con il muso che veniva a strofinare nelle gambe di Battista, proveniente dalla foresta di Cadellarupe, pareva chiedergli “E ora… e ora che la neve è così alta che neanche s’indovina più se siamo sul viottolo per il valico di crinale del Poggione o no… che si fa, che si fa…”, “Vai Lupo, vai! Di lì, di lì. Su su forza, che una volta arrivati in vetta al Poggione di bufera ce ne dovrebbe esser di meno, che di sotto c’è il Mezzogior-no, c’è la Toscana”. Rispondeva Battista. “Ormai son più di 4 ore che si cammina e tor-nare a casa è certo peggio. Accidenti!... E chi credeva ci fosse un peggioramento del tempo di questa fatta qui sul poggione. Raccomandiamoci a Domeneddio e all’angioletto della zana che già sta in cielo e andiamo avanti”.

E moltiplicava lo sforzo d’arrancare con la neve a mezza vita e, a tratti, facendo mescolare le lacrime dei suoi singulti ai fiotti di neve che gli mulinavano sulle gote e sugli occhi.

Già, l’angioletto che ha nella zana è il suo bambino primogenito di quattro mesi morto già da più giorni. “Vai, Lupo, Vai!”

Ma in verità anche Battista cominciava a non aver più tanta certezza della direzione dei suoi passi; ora che anche la conformazione dei tronchi degli alberi –che pur avrebbe riconosciuto uno ad uno- in-crostati di ghiaccio com’erano, apparivano tutti uguali. E s’era ridotto ad affidarsi all’unico riferimento rimastogli: la salita; il sentiero doveva essere per forza in salita. Così, gran fatica o no, bisognava salire e salire. Alzando alte le gambe per riaffondarle via via nella coltre pur con la zana in mano, che benché non fosse né pesante né grande gli era di grande impedimento.

Lupo procedeva a balzi ma guaiolava ad ogni salto. E senza i continui “Vai Lupo, vai Lupo” del padrone si sarebbe volen-tieri e per primo abbandona-to all’abbraccio della coltre bianca a ristare, ad aspettare la fine della tormenta o co-munque non presente altro e migliore di quello ora in atto. Di certo Lupo non poteva avere i lughi pensieri né la ten-sione morale di voler andare e andare di Battista. “Vai Lupo, vai!” Ma neanche lui babbo Battista cominciava a sentirsi prossimo a venir meno e ad ogni falcata per diminuire di un metro la distanza dalla sua

Quella volta che un bambino andò e un bambino venne

Un Natale sull’Appennino

cultura

O

Facciamo bella la vita!Facciamo bella la vita!In questo mondo capace di ferire e far morire ogni bellezza del nostro pianetafuriosamente continuamenteinseguiamo cose bugiardeci rimpinziamo di indifferenza e passivitàdavanti alle storture del mondo.Malati di vili tristezzenon sappiamo coglierele cose essenzialie più vere per noi.Prendiamoci tempoper una vita che ha bisognodelle mie e delle tue gocce d’amoreper essere più bella.Non dirmi che non sei capacedi fare più bella la tua vitaquando verità e bellezzabrillano ancor piùnelle piccole cose che sono làa tua portata di mano-non occorre andare lontano-basta che ti accorgidi quanto sia bellaquella stella che brilla la nottesulla tua casae al mattino quando apri la finestra lasciarti invadere dalla luce nebbiosa o solareche ti porta i coloridelle nuvole rosse sulle collineafferra la speranza che vola nell’ariainsieme al vento così vivoche ti scompiglia i capellimentre cammini.

Saluta gli alberi che incontrie che ti parlano se li riconosci come amiciassapora la timida bellezza di sentirti utileanche se fai piccolissime cose.

Ricorda la bellezza della gioiadi quando il malato ti ha sorrisoe di quando il tuo cuoreha dato un po’ di luceal buio di un altro cuore.

Qua dove tutto è caro da comprare, non è in vendita l’amicizia la speranza l’amorené il sogno che basta guardarlo e respirarlo perché ci aiuti a vivere… Non è in vendita la purezza del cuorené la primavera dell’anima quando sei vecchio.

E tu Piccolo Principe, hai ragione quando dici:“non avrei mai dovuto abbandonareil mio piccolo fioreper inseguire avventure più grandi, era lui la cosa più vera e importante per me, mi profumavae illuminava la mia vita…

Ma allora non sapevo capire”.Anna Tassitano

Poeti Contemporanei

dio di sacrestia trasse un Gesù Bambino di pezza col visino di coccio colorato del tutto uguale a quello del presepio e glielo porse. Alzò la mano benedicente e gli disse: “Buon

Natale anche alla tua sposa”.

E chissà se al prossimo Natale di Serafin ne battezze-rai un altro”.

Cirano Andreini

prima tappa, quella del Valico, col fiatone che gli usciva dalla gola formava tanti “Oh Do-meneddio, oh Domeneddio”. E protendendo in avanti la piccola zana per fare il passo successivo mormorava anche “Oh Serafino, oh Serafino mio. Sai…? Non ti lascio per il mondo… in terra benedetta ti porto!”

Il valico del Poggione, pre-ceduto dal rarefarsi degli alberi, dovuto all’altitudine, dall’addolcirsi della salita e da un cielo di colpo pulito, finalmente arrivò. Lupo, pre-cedendo di un bel pezzo vi giunse per primo. E si piantò impalato sul masso allato del passo abbaiando di letizia al padrone e alla sua zana; che lui recava ora pari pari sugli avambracci avvicinandosi pia-no piano.

Sì, laggiù nell’oltre quasi a picco, c’è l’aria aperta, la luminosità, la quietudine, c’è il Mezzogiorno, la Toscana di Pistoia-Prato-Firenze.

Ora le tre figure, l’uomo, la sua zana, il suo cane, come abbacinati da cotanto rapido mutamento di tempo e di spazio, ristettero per un lungo momento.

“Ooo! Esclamò Battista. E anche Lupo, cane spinone, con la coda parve annuire e confermare… “Ooo”.

Da lì, infatti, gran visuale ad angolo giro, immota l’aria, estatici uomo e cane, la zana col cadaverino adagiata sulla neve e… silenzio, silenzio assoluto. Eppure… eppure da laggiù laggiù non conteneva quell’aere dei vaghi refoli di suonar di campane? Ma era mai possibile che laggiù in quell’universo celestiale l’aria fosse così terza e cristallina da far giungere fin lì echi di cam-pane di lontanissime abbazie come quella di Santo Quirico? E ancora ancora dei bronzi

come quelli di Santo Pietro… del remoto Santo Alluccio e… addirittura frammenti di doppi di cattedrali?

Battista prese a trasalire e a frugarsi in introspezione. Quasi che l’avvenuto trapasso di versante d’Appennino gli avesse recato una sorta di ri-sveglio all’attuale: ma che forse i giorni scorsi, della febbre mortale del suo figliolino, fos-sero stati quelli dell’Avvento e… ora… era Natale? E quel vago scampanìo era, appunto, quello del giorno di Natale? Si capacitò: sì, doveva essere così. E non si rimproverò di non averlo saputo che ora. Troppo zeppi di trepidazione, affanni, inutili cure, invocazioni erano stati quei giorni. Per lui, la sua moglie, per la famiglia tutta. Fintantoche l’angioletto Serafino, smesso anche di sorbire le poche gocce di latte che la mamma china su di lui le metteva sulle labbra, senza punto vagire, spirò. Ed ora –ben fasciato di panni di lana bianca- era lì sotto il coperchio della zana di giunco che stava facendo il pio tragit-to della ricerca benedetta di un camposanto. Qualunque fossero le difficoltà e la lonta-nanza per trovarlo.

Scendendo ora spedita-mente i pendii toscani con la neve al suolo via via in dimi-nuzione, Battista, rinfrancato, un po’ parlava fra sé, un po’ con Lupo e un po’ con la zana. “Vedi” diceva a Serafino, “la tua mamma ed io ti abbiamo imposto in estremis codesto nome… è vero. Ma sarà certo che io… con queste mie mani, aduse all’accetta e al pennato, ho potuto validamente ver-sarti l’acqua sulla testa… Son forse presbitero o diacono io? Che in quel momento neanche ho saputo dire che “Questo è Serafino ed è di Gesù e della Madonna”. E basta. Cosicché ora, costassù,

ti avranno accettato per Sera-fino battezzato? Su su –bam-bino mio- ora ora… Vedrai, è questione di poco e s’arriva in qualche modo da un prete. E questi ti regolarizza e tu potrai certamente entrare da Domeneddio che ti ha creato.

Calavano di balza in balza, di poggiata in poggiata i tre cercatori di un camposanto –Battista, Lupo il suo cane e il suo cadaverino nella zana- la-sciandosi orientare dalla pro-venienza dello scampanìo più prossima. E all’avvistamento dei primi casolari dal camino acceso, di toppe argentate di coltivi ad ulivi e da grumi di cipressi, Battista si rallegrò. E anche più presto di quanto pensasse, l’abbazia di Colledi-bura apparve: forte, maestosa, splendida.

“Sono il Battistini venuto da Cadellarupe della vallata del bolognese”. Disse Battista all’abate, frate priore Ferrante. “E ho portato il mio bambino Serafino di mesi qui per essere sepolto in terra benedetta.

Frate Ferrante disse solo “Ooo!” e lo abbracciò stret-to stretto in silenzio. Si levò la stola dal collo e la mise sulla zana. Ci pregò sopra, sia silenziosamente che con le bellissime parole latine “Ego te baptizzo in nomine patris e filii et spiritis sanctis…” la benedisse e la fece seppellire nel Quadro degli Angeli del cimitero contiguo all’abbazia con tanto di croce di legno con scritto il suo nome.

Nome che già aveva se-gnato sia nel “Liber natalium” che nel “Liber mortuorom” e che certamente così fu confermato anche presso Do-meneddio: Serafino Battistini di mesi quattro. Poi, prima di rimandare l’uomo e il suo cane nel bolognese d’oltre Appennino gli disse: “Battistini, un bambino ti è andato, un bambino ti viene”. E dall’arma-

4 n. 46 26 DICEMBRE 2010 LaVitaattualità ecclesiale

Chiesa e storia

Una nuova stagione“La Traversata” di padre Bartolomeo Sorge

di Massimo Lavena

’aula magna della Pontificia Facoltà teologi-ca della Sarde-gna, a Cagliari, ha ospitato il 10 dicembre un

convegno organizzato dall’Ucsi (Unione cattolica stampa) Sarde-gna per la presentazione dell’ul-timo libro di padre Bartolomeo Sorge. L’occasione di parlare de “La Traversata” -questo il titolo del volume- è stata sfruttata per approfondire il cammino della Chiesa dal Concilio Vaticano II ad oggi, attraverso testimoni scelti dal gesuita che, come ha detto il preside della Facoltà teologica, padre Maurizio Teani, “hanno contribuito al rinnovamento della Chiesa e della società italiana”. Tra le figure, ha precisato il pre-side, “ce n’è una apparentemente minore, mons. Enrico Bartoletti, che fu l’artefice, con padre Sorge, del primo Convegno ecclesia-le nazionale, ‘Evangelizzazione e promozione umana’, tappa importante nella recezione del Concilio che, nonostante difficol-tà e resistenze incontrate, si poté svolgere a Roma nell’autunno del 1976”. Intorno al Concilio, che ha fatto crescere la Chiesa apren-dola alle diversità, si è sviluppata la relazione dell’autore: “Non dobbiamo cadere nell’errore - ha affermato padre Bartolomeo Sorge - di vedere la Chiesa come realtà puramente umana, sennò non tornano i conti e ci scorag-giamo. Gli uomini di Chiesa non sono esseri extraterrestri calati giù dal cielo. La cultura di Paolo VI e quella di Giovanni Paolo II sono diverse: Paolo VI è stato l’uomo della mediazione, Giovanni Paolo II l’uomo della presenza. Ma non si torna indietro. Io vedo il dise-gno della Provvidenza che parte da Paolo VI, uomo della mediazio-ne e del dialogo, passa attraverso

Giovanni Paolo II riprendendo la necessità di un’identità forte di fede e con Benedetto XVI arriva alla sintesi di essere testimoni nel nostro tempo con la fede: noi non ci possiamo vergognare di essere ‘presi’ da Cristo e anche se an-diamo in mezzo agli altri, atei, mu-sulmani, io mi presenterò sempre come sacerdote di Cristo perché vivo Gesù”. Sul tema del Concilio e della sua eredità abbiamo parla-to con padre Sorge a margine del convegno.

Cos’è rimasto del messag-gio del Concilio Vaticano II, dell’apertura della Chiesa al popolo di Dio?“È rimasto un ideale vivo. Non bi-sogna spaventarsi se per tradurre l’ideale in vita occorre camminare, lottare, a volte vincere resistenze e paure; quando si è cresciuti - e con il Concilio la Chiesa è cre-sciuta - non si ritorna più bambini. Il Concilio ci ha detto che la missione della Chiesa è unica, la dignità dei battezzati è unica, la dignità del laico è come quella del Papa e del vescovo. La differenza sta nella funzione che lo Spirito Santo dà: i vescovi, i pastori della Chiesa hanno la missione di guida-re, di essere maestri della fede, di annunziare la Parola; ai laici spetta animare cristianamente la realtà temporale, la famiglia, il lavoro, la scuola, la politica, l’economia. Diverse le funzioni, ma la dignità, la vocazione alla perfezione sono identiche”.

Quanto è plausibile la pos-

l’

a storia dell’uma-nità, di ogni po-polo e quindi di ogni persona, non è estranea a Dio, indubbiamente mi riferisco non

al Motore immobile di Aristotele, impassibile e rinchiuso in se stesso, ma a quel Dio che ha scelto, per infinito amore, un popolo, Israele, e una lingua, l’ebraico, per rivelare il suo Nome nel Roveto Ardente a tutti indistintamente.

Da quel momento, in tutto lo scorrere dei tempi, le fiamme che non bruciano ma continuano ad ardere, hanno lambito ogni cultura e fatto scaturire tradizioni, usanze, radicate nella sensibilità dei popoli che s’interrogavano sul valore della loro esistenza, del loro peregrinare nel mondo, del loro scomparire e si rivolgevano a Dio.

Una forza che si espandeva, se-colo dopo secolo, ma attendeva un preciso momento del tempo e della storia e ci avrebbe fatto capire che la vera forza di Dio non è l’imposizione ma l’impotenza e la debolezza di un neonato: Gesù Cristo che nasce in carne umana.

In Europa questo misterioso evento lo esprimiamo anche con l’albero di Natale, quell’abete sem-preverde che campeggia nelle nostre piazze e nelle nostre case, le profuma e le illumina.

Il Dio che si è rivelato ha accolto le espressioni antiche delle civiltà che anelavano al rinnovarsi della vita e lo leggevano nell’albero sempre-verde, nell’albero cosmico indiano, nel pilastro cosmico della mitologia nordica, nei miti dell’albero in tutta la mitologia degli antichi padri: alberi innalzati, che uomini e donne ador-navano e rendevano ricchi di frutti e di simboli.

Nacque così anche il simbolo cristiano in cui però abita il mistero spirituale di Dio e Signore Gesù Cristo: “L’albero della vita per coloro che l’afferrano”, albero della Croce che salva.

Dopo il solstizio d’inverno del 21 dicembre, gradatamente le ombre diminuiscono e cedono alla luce, la festa del 25 dicembre, del Sole invitto dei pagani, che l’imperatore Aureliano volle celebrare, affermava proprio questo imporsi della luce che però conoscerà la sua fine, il suo estinguersi. Egli, la Luce, invece nasce proprio in questi giorni per essere il Sole di giustizia che non conoscerà tramonto e risplenderà sempre quale Luce del mondo.

I “sacri misteri”, le sacre rap-presentazioni che anticamente si svolgevano sul sagrato delle chiese, durante l’Avvento sceglievano come loro tema la creazione narrata nel libro della Genesi, con il suo giar-dino in cui il Signore passeggiava, si collocava quindi a riproporre la scena biblica un abete con appesi dei frutti, la cui forma simmetrica e rivolta verso l’alto si protendeva verso l’alto, verso Dio.

Successivamente la sacra rappre-sentazione cessò ma rimase il segno dell’abete decorato e illuminato.

Oggi è ridotto ad oggetto pro-fano o profanato quando viene semplicemente inghirlandato e addobbato in una fantasmagoria di colori e di regali, tutti riconducibili ad un evidente business.

La nascita di Gesù

Verso l’altoDai simbolialla verità

di Cristiana DobnerLSi può invece ritrovare l’antico e

autentico simbolismo, conservando tutto il bisogno della persona umana ad esprimersi nella gioia: Egli, il Sal-vatore, squarcia le tenebre perché è la Luce che viene nel mondo, non annunciato dalle miniluci, ma da 12 candele, come 12 sono le porte della città santa di Gerusalemme, 12 sono gli apostoli che traggono la luce dalla Luce che si è accesa nella storia del mondo.

Il dono è Egli stesso che rimarrà sempre presente ai suoi e a tutta la storia nel segno eucaristico, per questo l’abete che prediligo non è quello rigurgitante di doni, di palline di vetro soffiato, di puntali straordi-nari, anche se le strenne poste ai suoi piedi, rappresentano un momento di calda familiarità e di letizia, ma quello che dai suoi rami fa pendere il pane, nella sua forma tonda di frammento circolare, appeso con il filo rosso, segno della sua donazione completa, fino allo spargimento del sangue.

La corona d’Avvento ha prepa-

sibilità di ritornare a quei momenti di confronto e crescita?“Indietro non si torna. Io parlo di traversata e dico che a un certo punto bisogna avere il coraggio di andare avanti verso lidi nuovi, ci vogliono nuovi traghettatori. Ci saranno nuove difficoltà, ma non dimentichiamoci mai che la Chiesa non è un’avventura umana, o solamente umana: c’è dentro la presenza di Gesù Risorto, c’è la dimensione soprannaturale divina che è la garanzia migliore che la barca non andrà a fondo, né alla deriva, nonostante gli scossoni delle tempeste e il mare grosso”.

Con il Concilio c’è un nuo-vo mandato evangelico: quanto è sentito dalla

Chiesa intesa come popolo di Dio?“Ho l’impressione che il messag-gio sia passato, ma di sicuro ‘tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare’: ritorna il concetto che farebbe paura una Chiesa ferma, un popo-lo di Dio fermo, perché non c’è nulla di più fermo di un cadavere. Se, invece, c’è vita e ci si muove si può accelerare il passo. Facciamo di tutto perché il passo sia più ve-loce. Ma finché si vive c’è futuro, e devo dire che sto sperimentando in tante parti d’Italia una vivacità nuova che è il segno dello Spirito: le macerie che noi tante volte ve-diamo sono la purificazione della Chiesa. Ogni qualvolta è avvenuto questo movimento in duemila anni è sempre stato alla vigilia di una nuova stagione cristiana”.

nel preparare la strada al Salvatore: il cero dei Profeti, coloro che lo annunciano da lontano e lo hanno presentano a chi, con cuore dilatato, aveva sete della Parola di Dio; il cero di Betlemme: il “dove” Egli è nato, piccolo neonato che racchiude in sé tutta la potenza della salvezza; il cero dei pastori: di coloro che sono stati attratti e hanno riconosciuto un evento misterioso; il cero degli Angeli: che festosi cantano la gloria del Dio fatto Uomo.

Sempre luce che si fa luce sacra e conduce, progressivamente, a riconoscere la Luce, non affidandosi preda dei nuovi politeismi che ser-peggiano nella nostra cultura, come sta insegnando Benedetto XVI, quin-di “a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”. Egli, la Luce del mondo, che vuole risplendere e inondare ciascuno e ciascuna di noi, business permettendo.

rato lo spirito a questa accoglienza: un cerchio sempreverde di abete che vuole dire la speranza, la vita, ornato di quattro ceri.

Ogni domenica se ne illumina uno, mentre si prega e si canta Ma-ria, la Madre in attesa, percorrendo tutti i passi della pedagogia divina

Natività del Ghirlandaio

526 DICEMBRE 2010 n. 46VitaLa

attenzione torna sulla figura e sul ruolo di Giuseppe nell’ambito della famiglia di Na-zaret, e quindi nella vita della chiesa, che in quella famiglia ha la sua espressione

originaria. Questo uomo giusto accetta di fare da padre a quel bambino che sta per nascere da Maria, per assicurare la piena condizione umana a colui che sarà chiama-to Figlio di Dio, con i suoi progetti di vita completamente sconvolti. E quando ”Maria partorì il bambino, Giuseppe gli mise nome Gesù”: unica sua prerogativa, che gli legitti-ma la paternità, ma lo lega alla vita del figlio. Questo coinvolgimento totale nel destino di quel bambino – “segno di contraddi-zione” – lo espone subito a dure conse-guenze, a partire dall’avventurosa nascita a Betlemme: come può essere Figlio di Dio qualcuno per il quale non c’era posto neanche per nascere, si sarà chiesto. Senza però dare segni di cedimento. C’è poi la sorprendente visita dei Magi, ma lui è come se non esistesse: “Essi entrarono in quella casa e videro il bambino e sua madre, Ma-ria” (Mt 2,11). Riappare subito dopo quan-

do di nuovo l’angelo di Dio lo invita nel sogno a prendere il bambino e sua madre per fuggire in Egitto. Cosa che egli fa pun-tualmente. Maria si era permessa di fare obiezione all’angelo, lui rimane in silenzio e agisce secondo le richieste e le indicazioni ricevute e credute, senza che neanche dica “si faccia di me secondo la tua parola”.Viene da pensare che egli sia totalmente compenetrato nel mistero di Maria sua sposa e non osi minimamente interferire, limitandosi a servire e ad eseguire il dise-gno di Dio su quel nucleo di umanità e di chiesa, attraverso il quale si realizza quella salvezza già prefigurata nell’esodo del popolo dall’Egitto. Giuseppe non sembra esistere per se stesso, senza per questo sentirsi annullato, ed è mai preso in con-siderazione dal figlio solo per sentirsi dire

insieme a Maria: “Non sapevate che io devo essere nella casa del Padre mio?” (Lc 2, 49).Si direbbe che Giuseppe non ha goduto di molte gratificazioni, ma al tempo stesso lo possiamo riconoscere come l’uomo beato di cui ci parla il salmo 127, colui “che teme il Signore e cammina nelle sue vie”. Il co-mandamento “onora il padre e la madre” ritrova le sue radici profonde, non solo come galateo ma come fedeltà al disegno di Dio nel suo santo timore. Siamo forse davanti al primo esempio di ciò che nella Lettera ai Colossesi viene augurato a quel-la comunità e ad ogni comunità credente: “E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!”.Se vogliamo vedere come questa voca-zione ecclesiale – che fa della famiglia una

“chiesa domestica” – si deve esprimere, torniamo a parlare dei sentimenti da avere gli uni per gli altri – così come ci è capitato di fare - ed anche della raccomandazione a non lamentarsi che ci era stata già fatta: “Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rive-stitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro”. Se poi dobbiamo guardare alla realtà della famiglia come si presenta oggi, forse è improduttivo o controproducente invocare “valori non negoziabili”, e chiudere così la stalla, quando si sa che i buoi sono già fuori. Bisognerebbe invece ricreare le condizioni di ascolto e di consapevolezza, che ren-dano capaci di vivere secondo il modello e l’auspicio indicato sempre dalla seconda lettura: “La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. E qualunque cosa fac-ciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre”. Tra di noi c’è chi riesce a farlo! Perché non tentarlo anche noi?

Alberto Simoni

La Parola e le parole

Domenica fra l’ottava Di natale:Santa famiglia Di geSù maria e giuSeppeSir 3, 3-7.14-17a; Sal 127; Col 3, 12-21; Mt 2, 13-15. 19-23

n molte diocesi si celebra la messa di Natale in fab-brica: un incontro richie-sto e desiderato da molti imprenditori e lavoratori dipendenti. Come valu-tare questa scelta anche

rispetto ad altre di segno opposto? Come tener conto di molti che vivono le difficoltà del precariato e della disoccupazione? Ne parliamo con monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, membro della Commissione Cei per la pastorale sociale e responsabile del gruppo del Ccee (Consiglio Conferenze episcopali europee) impegnato nell’elaborazione di un progetto per la Settimana Sociale europea.

La messa di Natale è desi-derata in fabbrica mentre al-trove sembra indesiderata...

“Viviamo spesso segni di rifiuto della presenza pubblica della fede cristiana e quindi è positivo che si facciano queste celebrazioni, e soprattutto che questo avvenga su richiesta di imprenditori e lavoratori, i quali cercano non certo ‘consola-zione’ nelle difficoltà della crisi eco-nomica, ma forza morale e spirituale. È un segno positivo che il nostro popolo non ha cessato di guardare alla religione cristiana anche come fermento di civiltà, oltre che come viatico nelle difficoltà”.

C’è anche il Natale dei disoccupati, dei precari, dei lavoratori a rischio, quale messaggio per loro?

“Il lavoro è un ambito fonda-mentale per trovare il senso della vita. Chi è disoccupato o è in una situazione lavorativa precaria perde la fiducia in se stesso e nella società, si sente colpito nella propria dignità di persona. Quando poi c’è alle spalle una famiglia, il disagio si approfondi-sce e rasenta l’angoscia. I problemi del lavoro vengono spesso affrontati solo con considerazioni sindacali o politiche, ma sotto c’è la concretezza delle persone, la vita, le difficoltà dell’esistenza. E il Natale è Dio che si fa carne per noi, è Dio che scende nel concreto delle nostre sofferenze e le condivide. Egli si fa vicino e pros-

Iattualità ecclesiale

l’

simo. Il Natale non è favola ma storia viva, non è mito ma incontro tra Dio e uomo. Esso è, per questo, invito affinché anche noi siamo prossimi dei nostri fratelli e sappiamo in qualche modo incarnarci nella loro vita”.

Sono i giovani a risentire maggiormente della crisi occupazionale, pensa che la pastorale giovanile debba essere più attenta a questa attesa, a questa sofferenza?

“La pastorale del mondo del lavoro talvolta non si incontra con la pastorale giovanile: procedono su piani diversi. Molti giovani oggi studia-no e questo tende a far dimenticare che invece molti di loro lavorano e spesso in età precoce. Le statistiche parlano di giovani che rimangono tali fino ad età piuttosto avanzata perché si sistemano tardi, ma ci parlano anche di giovani che fanno precoce-mente le esperienze del lavoro, della precarietà e della disoccupazione. Le nostre parrocchie sono spesso fre-

quentate prevalentemente da giovani studenti e questo può distogliere l’attenzione dai giovani lavoratori. Bisogna ricomporre il quadro e dare vita ad un pastorale del mondo del lavoro non solo nei luoghi di lavoro e di formazione al lavoro ma anche nelle parrocchie e nei movimenti”.

Questo appuntamento di fede con il mondo del lavoro perché non sia un episodio a quali riflessioni deve portare la comunità cristiana sulle questioni sociali ed econo-miche?

“La pastorale del mondo del lavoro incontra oggi anche due altre difficoltà. La prima è relativa alle forze da mettere in campo. Nella scarsità di sacerdoti è piuttosto difficile tro-vare sacerdoti preparati che possano dedicarsi a tempo pieno a questa attività. La seconda è che la pastorale del lavoro ha ampliato la propria pro-spettiva divenendo pastorale sociale ed anche qualcosa di più. Questo è

stato positivo, però ha anche reso più generici i nostri interventi pa-storali. Bisogna riprendere una vera e propria pastorale del lavoro, in un contesto anche più ampio, ma senza che perda la propria specificità di linguaggio e di proposta. Questo renderebbe anche più continuativo il messaggio della Chiesa in questo mondo. Questo messaggio consiste nella comunicazione e incarnazione del patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, che non è un insieme di interventi per organizzare in modo diverso il lavoro ma una rigenera-zione dell’uomo che lavora. Natural-mente intendo qui il termine lavoro in senso ampio”.

La Chiesa italiana si avvia a vivere l’impegno educativo come prioritario per il decen-nio appena iniziato. In che misura questo impegno coin-volge l’esperienza del lavoro?

“Non ci può essere impegno educativo che non tenga conto

del mondo del lavoro, perché nel lavoro l’uomo si misura non solo con le ‘cose da fare’ ma con il senso di se stesso e della vita. Non di-mentichiamo che Giovanni Paolo II considerava il lavoro la ‘chiave della questione sociale’. Il lavoro ha a che fare con la famiglia, prima di tutto, ma anche con la politica o la società, con il tempo libero e la cultura e con tutte le dimensioni comunitarie della persona. Agendo nel lavoro l’uomo costruisce se stesso insieme agli altri; ogni lavoro infatti è un lavorare con gli altri e per gli altri. Nel lavoro l’uomo fa esperienza della trascen-denza e incontra Gesù Cristo, il figlio del falegname. Oggi il lavoro cambia, accentua la sua qualifica re-lazionale, ma come tale rimane una esperienza centrale della persona e, quindi, ad alto valore educativo o diseducativo”.

Il lavoro è ancora un luogo educativo?

“Di fatto spesso non lo è. Già Leone XIII, scrivendo la ‘Rerum Novarum’, era preoccupato dell’am-biente morale che i lavoratori di allora trovavano nelle periferie delle grandi città, quando vi si recavano provenienti dalla montagna o dalla campagna. Egli temeva che i valori della tradizione cristiana venissero perduti. Anche oggi questo pericolo esiste, forse più di ieri. Il mondo del lavoro è spesso cinico e non aiuta le persone a comprendersi fino in fondo. Però è anche un ambiente in cui le qualità umane di una persona emergono con grande forza ed è impossibile nascondersi. Il lavoro mette vigorosamente alla prova la nostra umanità, la fa emergere, nel bene e nel male e quindi è senz’altro un fondamentale luogo educativo”.

Messa celebrata dal vescovo Giovanni Santucci alla fabbrica Eaton di Massa Carrara, occupata dal 6 ottobre scorso

Messa in fabbrica

Un appuntamento di fedecol mondo del lavoro

Natale: la Chiesae le preoccupazioni

di lavoratorie disoccupati

6 n. 46 26 DICEMBRE 2010 LaVita

Bambini e adole-scenti disorientati e sempre più soli nella società delle crisi”. È lo scena-rio che emerge dall’indagine cono-

scitiva sull’infanzia e l’adolescenza in Italia condotta da Eurispes e Telefono Azzurro, presentata il 16 dicembre a Roma. “I mutamenti delle strut-ture familiari, i rapidi avanzamenti delle tecnologie, la grave instabilità economica hanno influito profon-damente sul modo in cui i bambini e gli adolescenti vivono e nel modo in cui sono accuditi ed educati”, si spiega nella presentazione della ricerca condotta su 3.100 studenti dai 7 ai 19 anni. La crisi economica ha influito sui compiti genitoriali, rendendoli più gravosi, e sul generale clima familiare. “Più di un adolescente su quattro dichiara che la propria famiglia è stata colpita dalla crisi”, i ragazzi dichiarano che “le famiglie hanno ridimensionato le spese per cibo e vestiti e che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, quasi la metà del campione dice che la sua famiglia ha dovuto ridimensionare spese ex-tra”. Quanto agli effetti nei rapporti inter-familiari, “un adolescente su quattro dice che nell’ultimo periodo i genitori sono diventati più nervosi” e risultano in aumento, sia i litigi tra genitori, sia quelli tra genitori e figli. “Oltre la metà degli adolescenti, am-mette di essere più nervoso che in passato, mentre circa un adolescente su tre litiga più spesso con i propri genitori”.

Genitori e fiGli“Il nervosismo e la conflittualità

all’interno del contesto familiare non aiutano i genitori a crescere sereni”, sottolineano i presidenti di Eurispes

di Michela Cubellis

e Telefono Azzurro, Gian Maria Fara ed Ernesto Caffo. Per i due presidenti, “le famiglie non possono occuparsi dei figli se non adeguata-mente sostenute da politiche che favoriscono il progetto genitoriale, dalla scuola che deve avere un chia-ro progetto educativo, e dalle altre agenzie”. Nella riflessione su come uscire dalla crisi economica e sociale del Paese “è indispensabile includere i bambini e gli adolescenti”. In una società “percepita come precaria”, un dato segnalato come positivo, è che “resiste la famiglia tradizionale”: nonostante negli ultimi anni si siano formati nuclei familiari “atipici”, l’85% degli adolescenti vive con entrambi i genitori. Caratterizzati da “una marcata ambivalenza”, invece, sono

i rapporti genitori-figli. Da un lato, cresce la solitudine e la condivisione di pensieri ed emozioni diventano sporadici. I bambini raccontano ai genitori della vita scolastica (72,2%), ma di rado parlano delle proprie paure (35,2%) o aspirazioni (38,2%). Gli adolescenti, nel 45,5% dei casi hanno con i genitori un dialogo assen-te (5,1%) o assai sporadico (41,4%), pochissimi parlano apertamente di paure (27%). Tra queste, la princi-pale paura è non essere conforme alle aspettative degli altri: quella di deludere i genitori per il 56,6%, gli amici per il 43%. La crisi economica è percepita come paura dal 36,5% degli adolescenti che ammette di temere di non trovare lavoro. Mentre il 29% teme di non trovare l’amore. T

Cyber-bullismoNel 2010 si è rilevato un aumento

del bullismo: il 25% dei bambini è stato più volte vittima di provocazioni e prese in giro da parte di uno più compagni.

Un ultimo aspetto della ricerca riguarda la multietnicità nella scuola: il 46% degli adolescenti e il 43% dei bambini dichiara di avere compagni stranieri. Nei confronti di questi, tra i bambini prevalgono sentimenti positivi (74%). Tra gli adolescenti: curiosità (30,7%), simpatia (19,9%) e interesse (12,4%). Si dice indifferente, invece, circa il 23% e il 2,3% arriva a provare odio o disprezzo.

Gli editoriali dei settimanali cattolici

Politica italianaUn “invito pressante ai nostri laici perché, sorretti e incoraggiati dall’intera comunità e in partico-lare dai suoi responsabili, s’impe-gnino con passione e competenza nella gestione della cosa pubblica, al servizio del bene comune, in particolare dei poveri e degli indifesi che, come sempre, anche attualmente portano il peso della crisi che ci sta sommergendo” viene da Giordano Frosini, diret-tore della Vita (Pistoia). Pino Ma-landrino, direttore della Vita dio-cesana (Noto), ricorda “il contri-buto dei cattolici alla costruzione dell’unità del Paese e quello, an-cora più qualificato, offerto nella fase successiva del suo sviluppo”. Secondo Marco Bonatti, direttore della Voce del Popolo (Torino), “è la formazione delle persone, dei cittadini, l’unica carta vincente di cui l’Italia dispone, oggi come nel 1945, quando il Paese uscì di-strutto - sul piano materiale, mo-rale e politico - dalla guerra”. Per Sandro Vigani, direttore di Gente Veneta (Venezia), “in questa fase

della politica - è bene ricordarlo - chi ha perso più di tutti davvero è soprattutto l’Italia. Ha perso l’Italia perché la crisi alla quale ab-biamo assistito poco ha che fare gli interessi veri del Paese. È nata e si è sviluppata tutta dentro al Centrodestra, da motivazioni che sono parse lontane da un’autenti-ca dialettica tra le parti differenti, legate piuttosto alla personalizza-zione e alla radicalizzazione della politica e di rancori personali. Mai come oggi il mondo della politica italiana è percepito lontano dalla gente, dai suoi problemi reali e dalle sue legittime aspirazioni”. L’auspicio di Lauro Paoletto, direttore della Voce dei Berici (Vicenza), è che “oltre al Governo anche il Paese nel suo insieme, possa ritrovare la fiducia. Tutti gli indicatori segnalano un’Italia ferma, preoccupata, ripiegata su se

stessa. Dire che il momento non è facile significa dire quasi una ovvietà. Anche per questa ragione la nuova fase politica che inizia non potrà non tener conto di tale urgenza: ridare fiducia e speran-za a un Paese in crisi di futuro”. Per Antonio Ricci, direttore del Corriere Apuano (Massa Carrara-Pontremoli), “solo nelle prossime settimane sapremo se in quei due giorni (13 e 14 dicembre, ndr.) si sono poste le basi per il rilancio di un governo che possa durare fino al termine naturale della le-gislatura (2013) o si è solo perso del tempo prezioso (cosa di cui il Paese non ha certo bisogno) per poi andare comunque alle elezioni anticipate in primavera”. Dopo la fiducia del 14 dicembre, secondo Guglielmo Frezza, direttore della Difesa del Popolo (Padova), “re-stano al presidente del Consiglio

due strade da percorrere, sempre e comunque da una posizione di forza: cercare nuovi sostegni in Parlamento, o portare lui il Pa-ese al voto nel momento in cui lo riterrà più opportuno”. “C’è bisogno di passione, di parteci-pazione, di confronto - osserva La Voce del Popolo (Brescia) -. Il voto di martedì ha segnato un punto di svolta per la legislatura e ha detto chiaramente che non c’è in Parlamento un’alternativa praticabile al Governo attuale. Si riparte da qui”. Per Vincenzo To-sello, direttore di Nuova Scintilla (Chioggia), una cosa è evidente: “È stato espresso in modo chiaro anche in Parlamento un ‘desiderio di governabilità’ che - come dice il card. Bagnasco - va ‘rispettato e da tutti perseguito con buona volontà e onestà’”.

Un punto di rotturadi Alberto Campoleoni

Il rapporto Eurispes mette in luce diversi aspetti, con le ricadute su bambini e adolescenti delle trasformazioni dei nostri anni, a cominciare da quelle nel contesto familiare e da quelle legate alle nuove tecnologie, così importanti da determinare nuovi modi di es-sere e di relazionarsi da parte dei più piccoli. Emerge, tra l’altro, in modo particolare, la situazione di difficoltà che si trovano ad attra-versare le famiglie contemporanee, sempre meno attrezzate a “tener botta” di fronte alle sempre più numerose e impegnative richieste della cura dei figli. “Le famiglie - si legge nella presentazione dell’inda-gine - non possono occuparsi dei figli se non adeguatamente soste-nute da politiche che realmente favoriscano il progetto genitoriale, dalla scuola e dalle altre istituzioni educative”. Un agire insieme e in modo concertato che è difficile realizzare. “Con rammarico - dice ancora la presentazione - consta-tiamo come le risposte ai bisogni dei bambini e degli adolescenti continuino ad essere frammentate e poco incisive”. E questo non solo di fronte a fenomeni “border-line”, di rischio, ma più in generale riferendosi a questioni più ampie: “La promozione delle competenze genitoriali e il sostegno alla geni-torialità, il contrasto all’isolamento dei nuclei familiari più proble-matici, lo sviluppo di un chiaro progetto educativo nelle scuole, la facilitazione dell’integrazione dei bambini stranieri, la riduzione dei fattori di rischio ambientali, dei traumi e delle altre condizioni che possono accrescere i livelli di disadattamento e malessere dei bambini e degli adolescenti”.Il rapporto Eurispes è molto ampio ed è impossibile, in bre-ve, affrontare i molti aspetti che emergono dai questionari. Vale invece la pena d’insistere sulle preoccupazioni che emergono e riguardano da una parte la sempre maggiore fragilità delle famiglie e dall’altra la necessità urgente di responsabilità condivise rispetto al tema educativo, l’importanza di muovere azioni comuni e l’atten-zione delle istituzioni.Siamo arrivati - conclude la presentazione dell’indagine - a un “punto di rottura”. Il rischio segnalato dall’Eurispes “è che la mancanza di una coerente politica educativa nel presente comporti nel lungo periodo costi ben più rilevanti in termini di disadat-tamento, difficoltà emotive e relazionali, antisocialità, problemi nell’inserimento lavorativo e pro-duttività”. E ancora: “Il benessere delle nuove generazioni passa da un ripensamento delle azioni a beneficio delle famiglie e delle co-munità, e da una ri-valorizzazione delle relazioni a livello sociale che sole possono supportare lo svilup-po morale, la visione del futuro e il benessere”.È ancora il tema dell’emergenza educativa. I più giovani sono dav-vero il futuro, ma hanno bisogno di un presente più responsabile.

Un’indagine Eurispes e Telefono Azzurro

Bambini e adolescenti disorientati e soli

PistoiaSetteN. 46 26 DICEMBRE 2010

Gli auguridel vescovoTorna il Natale e bussa alla porta della nostra città, della nostra chiesa, della nostra vita.Mi domando: cosa ci chiede questo Natale?Alla città chiede un passo avanti, ancora un passo, sulla strada della dignità e della valorizzazione delle persone, in un anno che pure ha visto importanti realizzazioni.Chiede la vicinanza e l’impegno concorde delle Istituzioni e dei cittadini per coloro che stanno perdendo o hanno perduto il lavoro, per coloro che stanno progressivamente affondando in una situazione di debolezza e di precarietà; chiede che la politica esca, ancora di più, da interne rissosità, sintomo di interessi di parte, e torni ad occuparsi della gente, dei suoi reali e quotidiani problemi, del “bene comune”, concreto e minuto; chiede che si abbrevino le liste di attesa, le code senza fine, le difficoltà ad accedere ai servizi; che alle attese si diano risposte che non sono rimandi, che si valorizzino le risorse presenti nella società pistoiese, capaci di aggregarsi ed espri-mersi nel servizio sociale secondo il criterio costituzionale della sussidiarietà superando latenti impostazioni del “tutto e solo pubblico”.Il Natale chiede che la città sia la casa dei cittadini, quelli di sempre e quelli che vi si affacciano oggi venendo da lontano, vissuta con rispetto e con amore, perché ciascuno vi si senta riconosciuto e trattato con dignità.Alla Chiesa di Pistoia il Natale chiede di diventare più simile alla casa di Bethlem e di Nazaret. Cioè una Chiesa più unita, più segnata dal vincolo della comunione e della partecipazione. Chiede di essere una chiesa-casa, famiglia dove ciascuno si sente accolto, desiderato, valorizzato per quello che è e che ha. Una Chiesa che è interessata a Gesù Cristo ed al Vangelo, di questo parla alla città e di questo vive. Una Chiesa che non rende burocratici i rapporti e che non respinge le persone.Perciò una Chiesa più ricca di Gesù Cristo, di misericordia, di accoglienza fraterna.Una Chiesa che all’occorrenza sa dire parole franche e dure, perché vere, anzitutto a se stessa, e poi anche agli altri, al po-tere economico, politico, culturale, massmediale. Una Chiesa che si lascia ogni giorno umilmente evangelizzare da Gesù attraverso la voce, la presenza, le richieste dei poveri.Alla nostra vita, alla coscienza delle persone, il Natale chiede di non lasciarsi strozzare da un modo di pensare e vivere l’esistenza come se fosse impastata solo degli obiettivi e delle speranze di corto respiro: le “cose” esibite nella vetrina della nostra civiltà. Il Natale ci ricorda che abbiamo un cuore, cioè un’interiorità, una profondità, una dimensione spirituale e trascendente che non può essere snobbata né riempita di materialità come la calza della Befana. Il Natale ci chiede di saperci ascoltare in profondità, di lasciar emergere il meglio che c’è in noi, di non vergognarci del bisogno che abbiamo di essere

amati e della for-midabile risorsa di amare.Il Natale ci chie-de di dilatare in ampiezza e pro-fondità l’orizzonte della nostra vita personale, fami-liare, sociale fino ad accorgerci che l’orizzonte più na-turale per noi è il cielo.Buon Natale.

+ Mansueto Bianchi

Una riflessione sulla preghiera

Ascoltando Enzo Bianchi

acile, piana, convinta la ri-flessione sulla preghiera che il priore di Bose ha rega-lato venerdì

scorso al nostro presbiterio, convenuto per ascoltarlo in numero rilevante, nono-stante il maltempo che stava bloccando le vie di accesso alla città. Con la sua parola suasiva, Enzo ripeteva che la preghiera è il caso serio della fede: un pensiero che ci hanno trasmesso non pochi autori spirituali del nostro passato. Dimmi come preghi e ti dirò chi sei e com’è la tua fede. La vita spirituale e la vita pastorale non hanno tanto bisogno di cose nuove, quanto piuttosto di fare bene le cose più importanti e fondamentali che ci sono state trasmesse dalla tradizione. La preghiera è certamente una di queste.

Essa comincia con l’ascol-to, è cristiana nella misura in cui è risposta all’interpellanza di Dio, un dialogo fra il cielo e la terra, e non soltanto un monologo che si chiude e si immiserisce in se stesso. Al fondo, non sappiamo pregare soprattutto perché non sap-piamo ascoltare. Si prega pri-ma con l’orecchio e poi con la bocca. Il primo interlocutore è Dio stesso che, come ha indirizzato la sua parola a tutti, così l’ha indirizza a ciascuno di noi: una parola sempre attuale, anzi sempre personalizzata, come se l’avesse detta pro-prio per me.

Come sappiamo, la ri-sposta dell’orante ha diverse forme espressive (la doman-da, la richiesta di perdono, il proposito, la domanda di aiuto), ma, proprio sulla base di quanto andiamo dicendo, la

f

prima forma dovrebbe essere quella dell’adorazione e del ringraziamento, due aspetti che scordiamo con molta facilità, ma che ci ricorda continuamente la preghiera liturgica, modello di ogni preghiera personale e privata.

I ministri ordinati, da Gesù creati secondo Mc 3, 14 “per-ché stesero con lui e per man-darli a predicare”, oltre che chiamati a pregare come tutti i cristiani, in più sono chiamati a pregare come responsabili della comunità. Dagli Atti degli apostoli, sappiamo quanto i primi chiamati dal Signore si sforzarono di essere fedeli a questo mandato. Per poter essere liberi di pregare e di predicare, essi crearono con i propri fedeli, dei collabo-ratori che facilitassero loro l’adempimento del proprio mandato specifico. Il servizio delle tavole verrà dopo e lo potranno fare altri; prima in-discutibilmente c’è il servizio della preghiera e il ministero della parola.

Una parola che nell’ascol-to e nella riflessione trova il suo pieno significato, che genera convinzione e che arriva a sentire come propri i bisogni della comunità. “Vo-biscum christianus, vobis epi-scopus”, diceva sant’Agostino. La preghiera del ministro ordinato ha da aggiungere un supplemento alla preghiera degli altri, un supplemento insieme qualitativo e quanti-tativo. Secondo alcuni autori, la preghiera di intercessione, che il ministro ordinato è chiamato a curare come “se-gno e strumento di Cristo capo e pastore”, potrebbe costituire un quarto munus insieme a quelli tradizionali della parola, del sacramento e della guida pastorale. Un munus quadruplice, anziché triplice.

Per quest’opera fonda-mentale occorre trovare tempo, lasciando parte altre cose meno importanti, che possono benissimo essere fatte da una comunità viva e organizzata. Occorre tempo e occorre lo sforzo della volontà, perché pregare costa certamente fatica, domanda capacità di astrarsi dalle oc-cupazioni ordinarie e trovare tempi privilegiati da dedicarsi

Centro Culturale Maritain

Programmaper il 2011

Gli incontri si svolgono nell’aula magna del Seminario vescovile,

via Puccini 36 a PistoiaGiovedì 20 gennaio ore 21“Madelein Delbrel, la chiesa di frontiera” di Edy NataliInterviente Giorgio Mazzanti della Pontificia Università Ur-baniana

Giovedì 10 febbraio ore 17,30Don Primo Mazzolari, una voce ancora vivaMariangela Maraviglia dialoga con don Bruno Bignami, presiden-te della Fondazione Mazzolari, e padre Alfio Filippi, direttore delle edizioni Dehoniane di Bologna

Venerdì 25 febbraio, ore 21Democrazia malataInterverranno Filippo Pizzolato dell’Università di Milano, An-tonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana

Giovedì 31 marzo ore 21Dio il cosmo e l’uomo - Exitus-ReditusUna sintesi teologica di Giordano FrosiniPresentazione di Serena Noceti e Andrea Vaccaio dell’Istituto superiore di scienze religiose

Venerdì 15 aprile ore 21Il Risorgimento italiano nella cultura laica e cattolicaInterverranno Marco Palli dell’Università di FirenzeFulvio De Giorgio dell’Università di Modena e Reggio Emilia

completamente all’indispensa-bile rapporto con Dio.

La raccomandazione va per tutte le forme di pre-ghiera, come quella antica del Rosario, quella più moderna della “Lectio divina” (con i suoi passaggi essenziali, che sono quelli della lettura, della me-ditazione, dell’orazione, della contemplazione, definita da Bianchi come guida a giudicare uomini e cose con gli stessi occhi di Dio). Ma l’insistenza dell’oratore andava soprat-tutto alla recita della Liturgia delle ore, che dovunque, e anche da noi, sta subendo un notevole e progressivo calo di attenzione. La percentuale di coloro che recitano ancora il breviario, diceva Enzo, è sul 25% circa. (Ma siamo sicuri che questa percentuale sia esatta e non sia invece errata per eccesso?). Certamente un depauperamento della vita della Chiesa, una dimenticanza delle promesse fatte nel gior-no dell’ordinazione, un rifiuto sistematico delle esortazioni

che ci vengono ripetute da tutte le parti, una rinuncia preventiva alla grazia divina nella misura in cui questa dipende da noi. In più anche un depauperamento della vita interiore del presbitero, che si priva di un ascolto particolare e appropriato della parola di Dio, delle preghiere e delle riflessioni forgiate dalla chiesa nel corso dei secoli, della let-tura dei Padri, che rimangono i primi e insuperati interpreti della rivelazione cristiana. Un obbligo morale, in qualche modo anche giuridico, che non esiste nemmeno per la celebrazione quotidiana della messa.

Il maltempo ha impedito una discussione più ampia e approfondita. Sotto i primi fiocchi di neve, Enzo è dovuto ripartire per il suo lontano monastero. Il prossimo ap-puntamento è per il tempo forte della Quaresima. Il tema della riflessione sarà quello dell’Eucaristia.

G. F.

8 n. 46 26 DICEMBRE 2010 LaVita

Cattedrale

Vespro d’organocon Roberto MenichettiMusiche di Felix Mendelssohn-Bartoldy e César Frank, eseguite all’organo Costamagna (1969) da Roberto Menichetti, per il primo vespro d’organo del 2011, promosso dall’Accademia Gherardeschi e in programma domenica 9 gennaio (ore 17) nella Cattedrale di Pistoia.

comunità ecclesiale

nche quest’an-no per Natale le chiese del centro stori-co di Pistoia offrono al visitatore una

suggestiva sequenza di presepi allestiti in forme talvolta semplici ed essenziali, quasi austere, tal-volta molto articolate e mosse, ricche di vivaci particolari realisti-ci e di ingegnose invenzioni. Così una nuova provvisioria immagine della nascita di Gesù viene spesso ad affiancarsi a quelle stabili che scultori e pittori vi hanno spesso lasciato, dopo che nel XIII seco-lo San Francesco D’Assisi ebbe istituito a Greccio, la “Festa delle capannucce del santo Natale” , cioè il presepe. Questo episodio si trova dipinto su uno spicchio della grande volta a crociera del Capitolo del convento di San Francesco ed è opera di un pit-tore pistoiese del ‘300, Antonio Vite. Mentre su una parete della adiacente sacrestia un altro pisto-iese, contemporaneo, Giovanni Cristiani, dipinse non l’istituzione del Presepe, ma un presepe vero e proprio. Si capisce dunque che, in quanto eredi di questa tradi-zione, i francescani si impegnino a farlo particolarmente grande, elaborato e significativo.Più tradizionale, anche se è assai grande, è quello della vicina chie-sa di S. Andrea, dove in compenso Giovanni Pisano ha fissato per sempre nel marmo una delle più

Presepi di ieri e di ogginelle chiese

del centro storicoespressive rappresentazioni della nascita di Gesù che si possano vedere.Nelle chiese di S. Bartolomeo e di S. Giovanni Forcivitas il pre-sepe natalizio, sobrio e raccolto rispecchia la pacata descrizione che ne hanno fatta, nei rispettivi pulpiti, Guido da Como e fra Guglielmo.Alla Madonna dell’Umiltà, i lavori di restauro che sono in corso rendono assai problematico l’alle-stimento del presepe: ma nell’ot-tagono da due luminose cappelle centrali -seconda a destra e se-conda a sinistra- da quattro seco-lo si corrispondono in una com-piuta rappresentazione del Natale due grandi quadri: “La Natività” del Passignano e la “Adorazione dei Magi” di Francesco Vanni.Un caso a parte è costituito da S. Domenico. Infatti i domenicani tengono continuamente allestito e illuminato, in un rientranza della parete destra della chiesa, un pre-sepe di estrema semplicità, con pochissime figure, mentre nella cappella dei Magi ne nascondono, o quasi, la più animata e colorita rappresentazione pittorica che esista a Pistoia: l’Adorazione dei Magi di fra Paolino.

a

Marius Vorgaè diventato diacono

8 dicembre si è svolta in Cattedra-le la solenne cele-brazione dell’Im-macolata, durante la quale il semina-rista MariusVorga, seminarista, ha ri-

cevuto per l’imposizione delle mani, dal vescovo, l’ordine del diaconato: ministero che egli svolgerà in un tempo limitato, in attesa di diventare sacerdote. Ciò è detto ministero “transemundi”. E con questo primo grado dell’ordine, egli è entrato a far parte del presbiterio dove, accanto al Vescovo e ai sacerdoti, viene posto al servizio dei fratelli nella Chiesa e per la Chiesa.

È dunque, il suo, un ministero condotto nel segno del servire: ser-vire la Parola di Dio da proclamare e insegnare, servire nella liturgia e sopratutto nella carità.

Diventato ora don Marius, si pone a svolgere con gioia e dedi-zione questo tempo di grazia che lo porterà verso il sacerdozio essendo questo un importante periodo che ad esso lo prepara e lo qualifica.

Nella suggestiva processione d’introito verso l’altare, al canto “Eccomi” tra una moltitudine di fedeli, davanti a molti sacerdoti con-celebranti e diaconi presenti, Marius ha atteso la sua chiamata.

Dopo la liturgia della parola è stato presentato al vescovo. Il rettore del seminario, responsabile della sua formazione, ne ha attestato l’idoneità. E il vescovo, come previ-sto dal rito, lo ha scelto ed accolto quale candidato al ministero del diaconato”Don Marius: è grande il dono che il Signore stasera depone

l’nella tua vita, ed è grande il giorno, questo giorno, in cui lo ricevi.”

Nell’omelia il vescovo, intonan-dosi all’eccomi di Maria, “Sono la serva del Signore”, ha esortato don Marius a considerare la grandezza del dono che il Signore, sull’esempio di Maria ha deposto, nella sua persona e nella sua vita.

“Tu sei costituito servo”, ha detto “con l’effusione dello Spirito Santo che tocca la profondità della tua identità e la configura a quella di Cristo Signore venuto non per essere servito, ma per servire, lavan-do i piedi ai fratelli: gesto liturgico particolarmente significativo del Giovedì santo.

Qui si legge l’impegno del diaco-no a vivere il suo ministero in una carità sincera che sia di esempio per tutti.

“Tu sei servo del Corpo pasquale donato alla chiesa e servo alla sua pa-rola rivolta alla nostra accoglienza di fede”. Questo è il punto di partenza e il punto d’arrivo: l’Eucaristia è per il diacono il tracciato del suo servire che si articola nel seguire alcune grandi leggi della diaconia evangelica.

Il Vescovo ne ha citato sei:- Il servizio non è semplice-mente un gesto, ma una logica di vita che supera ogni forma di tornaconto per vedere nel dono di sé, totalmen-te gratuito, ciò che si può fare per gli altri.- Il servire prima di tutto, esige di saper ricevere dalla grazia

del Signore quella conformità ad essere immagine di Cristo che dilata e promuove la tua stessa umanità. “Poter servire è un dono che si ri-ceve, ancor prima che un dono fatto ad altri: perché nel servire il Signore ti plasma, ti configura a sé, t’imprime il suo Volto, e promuove la tua stessa umanità”.- Considerare che i poveri sono I nostri evangelizzatori in tutte le forme e modi possibili. Essi sono il segno vivo e scomodo del Signore che ci insegna l’alfabeto di Dio, par-tendo dalla zeta.- Il gesto del servizio, per essere evangelico, prima di essere compiuto, deve partire dal cuore. - Il cuore del diacono, come quello di Cristo, deve essere mite e umile. E come Maria: sentirsi servo per amore, poiché il Signore ha guardato all’ umiltà della sua serva.- Questo servire nella verità e nella fedeltà al Vangelo, ha concluso il Vescovo, sul tema di queste leggi, è il modo tipicamente cristiano di amare. “Ogni servizio che non sia formato ed informato dall’amore

Valenzatico

Don EnzoBenesperinuovo parrocoDon Enzo Benesperi, per molti anni missionario, è il nuovo parro-co di Valenzatico in sostituzione di don Patrizio Guidi scomparso la scorsa estate. Lo comunica il vescovo Mansueto Bianchi pre-cisando che don Enzo (76 anni, ordinato sacerdote nel giugno 1957) continuerà ad essere par-roco anche alla Stazione di Mon-tale. Lo stesso monsignor Bianchi, nel documento cui viene data lettura nelle Messe dell’ultima domenica d’Avvento, evidenzia come la sua scelta non sia certo una sorpresa per i parrocchiani del centro quarratino. Questo il testo indirizzato alla “comunità parrocchiale di Valen-zatico”.Carissimi Fratelli e Sorelle,vengo con questa lettera non ad annunciarvi ma a confermarvi quello che già sapete vedendo don Enzo Benesperi a servizio della vostra Comunità: ho infatti deciso di sta-bilizzare questa presenza e questo servizio in mezzo a voi nominando don Enzo parroco di Valenzatico.Ho compiuto questo passo dopo aver ascoltato diverse persone, sa-cerdoti e laici, e da tutti mi è giunto il consiglio e l’incoraggiamento per chiedere a don Enzo questa dispo-nibilità.Sono contento che sia lui a racco-gliere l’impegnativa eredità spiri-tuale, pastorale ed umana di don Patrizio Guidi, indimenticabile figura di uomo e di parroco, perché don Enzo ne è all’altezza e può ben por-tare avanti, verso nuovi sviluppi ed ulteriore crescita, la strada percorsa con d.Patrizio.Sarà facile per voi legarvi a don Enzo, stimarlo e volergli bene, per-ché è ricco di una straordinaria umanità, oltre che di una fede forte e di una esperienza pastorale parti-colarmente valida ed attrezzata per questo nostro tempo.Don Enzo continuerà ad essere par-roco anche della parrocchia di Sta-zione di Montale; deve perciò fare fronte a difficoltà ed impegni non lievi. Vi chiedo di non fargli mancare la vostra collaborazione di laici in tutti quei settori di vita della parroc-chia in cui essa è possibile, in modo che il suo servizio risulti sostenuto e facilitato dalla vostra collaborazione. Da parte sua la Curia di Pistoia non mancherà di dare il suo apporto ed il suo sostegno sotto l’aspetto giuridico ed amministrativo, in modo che il tempo e l’impegno del parroco sia concentrato il più possibile sulla vicenda pastorale della parrocchia.Non posso chiudere questa lettera senza prima ringraziare pubblica-mente don Enzo per la generosità e la disponibilità con cui ha accolto la richiesta del Vescovo di sobbarcarsi questo nuovo servizio. Che Dio lo benedica per la sua apertura di cuo-re alle necessità ed alle attese della nostra Chiesa di Pistoia.A don Enzo ed a tutti voi l’augurio fraterno di Buon Natale con la Be-nedizione del Signore.

+ Mansueto Bianchi

Comunque fra quelli di oggi il più suggestivo resta il presepe allestito nella prima cripta della Cattedrale, così disteso e ampio nel paesaggio desertico in una luce che passa continuamente dal

giorno alla notte, e dalla notte al giorno. A questo effetto contri-buisce anche il materiale partico-larmente leggero che è mais, in parte soffiato.

Daniela Raspollini

diventa inesorabilmente una forma di possesso sull’altro per affermare se stessi”

Infine il vescovo ha concluso la sua omelia con una preghiera: “So-relle e fratelli, chiamiamo la presenza e l’intercessione di Maria, stasera, accanto al nostro fratello ed amico Marius , perché con la sua dolcezza e tenacia di Madre, apra il cuore di questo giovane all’accoglienza dello Spirito, e lo affidi senza difesa e senza sottrazione a quella che fu la Sua risposta a Dio nel giorno dell’Incarnazione. “Ecco io sono la serva del Signore: Si compia in me la Sua Parola”.

Sergio Agostini

926 DICEMBRE 2010 n. 46VitaLa comunità ecclesiale

a buona architettura resi-ste al tempo ed è quella che pur avendo una pro-pria identità si inserisce in modo fluido, direi na-turale, nella trama urbana, collaborando a definire

una qualità più ampia dello spazio.E’ la sensazione che provo ogni

volta che attraverso il Viale dei Tigli sul quale si attestano una serie di polarità che misurano e qualificano lo spazio.

Se dalla Pistoia del Novecento dovessi salvare una parte, lascerei proprio il Villaggio Belvedere. Un quartiere che non è mai stato pe-riferia.

Nelle zone intorno alla città storica sono presenti architetture di qualità ma spesso sono emergenze isolate inserite nella consuetudine: Nel villaggio Belvedere si legge, an-cora oggi, l’impostazione e le volontà progettuali.

Da una parte quella di Leonardo Savioli che dal 1957 al 59 è impe-gnato nella ridefinizione dell’edificio plurifamiliare superando lo schema-tismo tipologico e materializzando una vera e propria architettura di percorso. Lo schema urbanistico denuncia l’intenzione di definire una gerarchia di spazi aperti privati, condominiali e collettivi, capaci di creare ricchezza di relazioni sociali e un nuovo rapporto tra costruito e natura. Il complesso, caratteriz-zato dalla semplicità materica del cemento a vista e dalle specchiature intonacate, è distribuito da un siste-ma di percorsi a due livelli (portico e ballatoio) scandito da esili pilastri, che collega, attraversandoli, i quattro corpi di fabbrica di dimensione e conformazione diversificata che de-gradano verso il parco, divenendo la spina portante dell’intero quartiere a saldatura delle due polarità di piazza dei cedri e di quella del Belvedere.

Poi la lezione di Giovanni Mi-chelucci con la chiesa (1959 -61) del Cuore Immacolato di Maria che

l

Villaggio Belvedere: ancora quartiere

mai periferia

anticipa i temi del Concilio Vaticano II in merito alla definizione dello spa-zio sacro. L’organismo è impostato su un percorso tangente la grande aula assembleare, con una coper-tura elevata da una serie di pilastri ramificati sull’aula per poi abbassarsi sul presbiterio. Il tema della tenda che Michelucci riprenderà nella più famosa Chiesa dell’Autostrada.

Anche Leonardo Ricci progetta all’interno dello stesso Piano Ina casa un complesso, debitrice della lezione di Wright e ispirato a formule abita-tive di avanguardia e molto lontano dalla prassi edilizia, il quale non è però accettato dalla commissione tecnica del comune e purtroppo non realizzato.

I maggiori esponenti della co-siddetta “scuola fiorentina”, hanno avuto la possibilità di cimentarsi nel disegno di un nuovo quartiere. E’ una

lezione che purtroppo, non solo a Pi-stoia, non è stata seguita ma sempre di grande attualità: puntare sul valore del progetto contro la mera crescita quantitativa.

Intorno a questi due episodi si è appoggiata un’architettura mino-re che testimonia un equilibrio e un’attenzione al buon costruire, alla corretta esposizione solare, al rap-porto misurato con gli spazi aperti.

Altro elemento che rende unico questo quartiere è la sua relazione con il verde e più in generale con la natura: dal verde di prossimità all’abitazione sino al grande giardino romantico del Villone Puccini, con il suo sistema di elementi in cui ogni parte vive in relazione con il proprio intorno ambientale e con il paesaggio.

Alla luce di queste considerazioni si può affermare che il nome “Belve-dere” rimane a tutt’oggi appropriato..

“I 50 anni del quartiere Belvedere”; questo è il titolo della mostra fotografica,

visitabile fino al 9 gennaio 2011, realizzata alla biblioteca San Giorgio dalla

Circoscrizione n° 3 per festeggiare i 50 anni di vita del Villaggio Belvedere

di Alessandro Suppressa

A San Biagio in Cascherila storia del presepe

resso la chiesa di San Biagio in Casheri è stato ultimato il presepe per il Natale 2010, realizzato da Francesco e Francesca Rafanelli, Lo-renzo Ponsillo e Danilo Biagini con la collaborazione di Raip Autofficina f.lli Calosci. L’allestimento ha seguito

il preciso intento didattico e divulgativo di poter fornire una vera e propria storia del presepe attraverso le im-magini dei suoi protagonisti. Accanto alla capanna della Natività, si collocano personaggi ed oggetti, scelti per il loro simbolico significato. Tra le suggestiva mura di una roccaforte si snoda l’atmosfera godereccia dell’osteria, metafora del ristoro del viaggiatore, e sembra quasi di udire in simultanea le voci dei venditori di frutta e di pane; poco lontano una lavandaia, testimone del parto verginale di Maria, si accinge al pozzo mentre Benino, il pastore della meraviglia, dorme assorto nel punto più lontano della storia. Ogni personaggio ed oggetto, proprio del nostro immaginario popolare, nel presepe di San Biagio diventa

rappresentazione e simbolo della storia del Cristo riu-scendo a portarci dentro un affascinante percorso visivo, il tutto spiegato in un depliant a disposizione dei visitatori. Durante il periodo natalizio, in data da concordare, sarà inoltre organizzato un incontro sulla storia del presepe.p Aiuto a Scutari,

sommersa dalle acqueCaritas e Misericordia Pistoia aderiscono all’appello di fra Elia,

religioso albanese di San PaoloDa Pistoia verso Scutari un ponte di solidarietà per le alluvioni dello scorso mese. Ci si può rivolgere alla onlus “Fionda di Davide” (in via della Rosa, 39 di Pistoia con il c/c postale 59 66 96 30 oppure alla par-rocchia di San Paolo cercando di fra Elia, il religioso di origine albanese che lancia un forte appello al buon cuore dei pistoiesi davanti al dramma che ha colpito l’intera zona di Scutari). L’iniziativa è in collaborazione con Caritas diocesana e Misericordia di Pistoia. Lunedì 20 dicembre, presso la sede della Misericordia (parco della Vergine), è iniziata la raccolta di materiale e denari. Sul sito della diocesi (www.diocesipistoia.it) c’è un reportage fotografico a cura di fra Elia, che documenta la situazione delle zone alluvionate. Alla raccolta di fondi collaborano anche Caritas diocesana nonché Misericordia di Pistoia. Oltre al ccp è anche possibile effettuare un versamento bancario (Caript sede di Pistoia. IBAN: IT 64Y 06260 138 00000000 2429 C00).

opo circa due anni di lavoro sotto la direzione di Alfio del Serra e Sandra Freschi, con la collaborazione di Laura Caselli, è stato inaugurato in Cattedrale il re-stauro del grandioso quadro dell’Allori raffigurante la Resurrezione di Cristo. Presenti alla cerimonia varie autorità insieme al vescovo Mansueto Bianchi a Ivano Paci, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia (che ha interamente finanziato il

restauro), il funzionario della soprintendenza Maria Cristina Masdea e il presidente del Capitolo monsignor Giordano Frosini.

“Il Cristo Risorto, vincitore della morte -ha sottolineato il vescovo Bian-chi- dice ad ogni cristiano a quale destino egli è atteso, indica che la persona del Risorto è presente nell’eucarestia che nella cattedrale viene celebrata, suggerisce ancora che la vita nuova della Resurrezione diventa la nostra forza e la nostra riconoscibilità in mezzo alla gente, lungo il cammino del tempo.

Lo squarcio di luce che, nel quadro dell’Allori, si apre dietro il capo del Risorto e vince e dissipa lo spessore delle tenebre, esprime esattamente la forza di questa speranza e la capacità trasformatrice di questa cristiana certezza.

Mentre ringrazio la Fondazione della Cassa di Risparmio per aver resti-tuito alla cattedrale, alla diocesi, ed all’intera città di Pistoia la leggibilità di questa grandiosa opera, auspico che il suo messaggio possa essere inteso da ciascuno e diventare motivo di forza e di impegno nel cammino della nostra Chiesa e della nostra città”.

Per Ivano Paci “Il restauro del grande dipinto, che occupa la parete centrale dell’abside della Cattedrale di Pistoia, era da tempo necessario, a causa della patina nerastra che vi era stata depositata da 4 secoli, per tacere di qualche maldestro intervento attuato quando le tecniche ed i materiali usati, più che risanare e recuperare, ottenevano l’effetto contrario. Il nostro auspicio è che la ritrovata purezza dei colori e delle linee del dipinto di cui si parla, serva a far apprezzare e frequentare maggiormente la nostra plurisecolare cattedrale”.

Dal canto suo la dottoressa Masdea ha ripercorso l’affascinante e storia del dipinto, sottolineando come “l’attento e delicato intervento di restauro di Alfio Del Serra e Sandra Freschi, consentendo una leggibilità della Resur-rezione prima negata dalle condizioni conservative, ci restituisce un’opera che, nonostante l’ab-bondanza dei docu-menti a nostra di-sposizione, resta di complessa e difficile interpretazione. No-nostante ciò, e forse proprio per questo, la grande tavola della Cattedrale di Pisto-ia rappresenta un testo pittorico di straordinario fascino, centrale per cercare di avvicinarsi ad un artista dalla persona-lità variegata e con-traddittoria come Cristofano Allori”.

Grande stupo-re ha suscitato nei presenti all’inaugu-razione la calata del telo che copriva il dipinto., salutata da un grande applauso.

In Cattedrale

Restauro del quadro“La Resurrezione”

d

10 n. 46 26 DICEMBRE 2010 LaVitaa pochi giorni Pistoia ha la sua quinta porta, che va ad aggiungersi alle quattro sto-riche: Porta al Borgo, Carratica,

Lucchese e San Marco. Si chiama Por-ta Nuova e costituisce il varco nella barriera ferroviaria a sud della città, creando nuovi collegamenti viari e di raccordo col traffico da e verso l’autostrada, oltre che con la parte nuova di Pistoia, che sarà realizzata attraverso una serie di grandi opere, dal nuovo ospedale al quartiere San Giorgio nell’area ex Breda. L’inter-vento è costato 13 milioni di euro. L’attraversamento interrato è stato realizzato in corrispondenza della Stazione ferroviaria di Pistoia all’al-tezza di via Traversa della Vergine. L’opera è stata inaugurata sabato 18 dicembre, alla presenza delle massime autorità cittadine, tra cui il

comunità e territorio

d

PRESIDENZA E DIREZIONE GENERALE Largo Treviso, 3 - Pistoia - Tel. 0573.3633

- [email protected] - [email protected] PISTOIA

Corso S. Fedi, 25 - Tel 0573 974011 - [email protected] FILIALI

CHIAZZANO Via Pratese, 471 (PT) - Tel 0573 93591 - [email protected]

PISTOIA Via F. D. Guerrazzi, 9 - Tel 0573 3633 - [email protected]

MONTALE Piazza Giovanni XXIII, 1 - (PT) - Tel 0573 557313 - [email protected]

MONTEMURLO Via Montales, 511 (PO) - Tel 0574 680830 - [email protected]

SPAZZAVENTO Via Provinciale Lucchese, 404 (PT) - Tel 0573 570053 - [email protected]

LA COLONNA Via Amendola, 21 - Pieve a Nievole (PT) - Tel 0572 954610 - [email protected]

PRATO Via Mozza sul Gorone 1/3 - Tel 0574 461798 - [email protected]

S. AGOSTINO Via G. Galvani 9/C-D- (PT) - Tel. 0573 935295 - [email protected]

CAMPI BISENZIO Via Petrarca, 48 - Tel. 055 890196 - [email protected]

BOTTEGONEVia Magellano, 9 (PT) - Tel. 0573 947126 - [email protected]

tuazioni di allagamento il sottopasso è dotato di un impianto di sicurezza con sirena e lampeggiante che si attiva in caso di un livello d’acqua al suo interno superiore a 20 cm dal piano viabile. Per quanto riguarda la parte idraulica, l’intera area è stata oggetto di attento studio di detta-

glio preliminare ed è stato scelto il progetto che ha offerto le migliori soluzioni. Il sistema di smaltimento è caratterizzato da griglie di perimetro mentre per la parte di area a deflusso naturale viene utilizzata la medesima rete idraulica esistente, adeguata nel nuovo tracciato.

prefetto Mauro Lubatti, la presidente della Provincia Federica Fratoni e il sindaco Renzo Berti. «E’ un giorno importante per Pistoia –ha detto il sindaco– che con questo intervento ha l’opportunità di aprirsi verso l’esterno. In questi anni la città è cre-sciuta superando i 90mila residenti e aspirando a diventare sempre più un punto di riferimento anche in rela-zione all’area metropolitana. Questa

nuova trasformazione, accanto alle altre grandi opere realizzate e in progetto, cambierà il modo di vivere la città sia per i pistoiesi che per i visitatori: il vantaggio principale sarà quello di trovare una città aperta, non solo nel senso dell’accessibilità ma anche dell’accoglienza superando le antiche barriere, fisiche come le ex Breda o la ferrovia, e soprattutto mentali». Per evitare pericolose si-

Concorso

Liberi da barriere 2011 Al via la seconda edizione “Liberi da barriere 2011.” L’ini-ziativa, sponsorizzata dall’assessorato alle politiche sociali in collaborazione con le associazioni dei portatori di handicap, si propone di stimolare e di incentivare la diffusione fra i giovani e gli studenti delle scuole superiori provinciali di una cultura molto più attenta all’eliminazione delle barriere architetto-niche. Il tema del concorso è la sperimentazione all’interno dell’attività didattica, di percorsi creativi per la crescita di consapevolezza collettiva e sensibilità sociale sulla fruibilità ed accessibilità del territorio. “Soltanto con la collaborazione dei ragazzi –ha detto l’assessore provinciale al sociale Michele Parronchi- possiamo fare quel salto di qualità per una vera e propria cultura dell’accessibilità ed il bando rappresenta un valido strumento per andare in quella direzione. La prima edizione ha sì visto un’ampia e sentita adesione- ha proseguito l’assessore- ma credo che questo secondo bando sia ancor più partecipato dato che la sensibilità nei confronti di questi temi sta avendo fortunatamente un crescendo d’interesse ed anche i ragazzi stanno recependo una forma di cultura che vorrebbe un mondo accessibile a tutti.” La provincia oltre al bando di concorso sta tuttavia cercando di sensibilizzare la cittadinanza mediante il coordinamento e la sperimentazione degli indirizzi operativi per l’attuazione dei piani per l’accessibi-lità coinvolgendo sei comuni del territorio. Tornando al bando i concorrenti potranno scegliere fra varie forme di elaborato: testo descrittivo (poesie, temi e/o articoli giornalistici) lavoro di ricerca o di indagine ed elaborato progettuale architettoni-co; saranno inoltre possibili altre forme di elaborato a patto che siano in possesso di caratteristiche per la loro valutazione.La scadenza della presentazione degli elaborati è il 31 marzo 2011; le informazioni si possono trovare sul sito della Provincia o rivolgendosi a Laura Tesi del servizio alle politiche sociali. I vincitori avranno come premio un soggiorno presso una località che permetterà loro di fare un’ esperienza nell’ambito dell’accessibilità. La scorsa edizione fu vinta dalla 3° dell’Istituto professionale di Stato Sismondi- Pacinotti con la realizzazione del gioco didattico “Tarpiamoci le ali” che vinse un viaggio ad Osimo, alla sede della Lega Filo d’Oro, centro di eccellenza nella riabilitazione. Edoardo Baroncelli

Misericordia di Pistoia

Bilanci e prospettiveome ogn i anno, la Mi-ser icord ia d i P i s to i a ha illustrato alla città il

bilancio della sua attività. Il 2010 è stato un anno ricco di impegni, iniziative, successi che confermano la presenza e l’importanza del beneme-rito ente pistoiese. Vediamo i dati. Sono stati ben 2020 i pistoiesi che hanno benefi-ciato dell’assistenza sanitaria della Misericordia, 28.278 le prestazioni per gli anziani con un aumento del 27% rispetto

cal 2009. I pazienti con disabilità sono aumentati del 28% di cui il 17% per la fascia degli ultraottantenni. Oltre 1.200 persone hanno usufruito delle prestazioni infermieristiche che sono state 29.200 (+ 11% rispetto all’anno precedente). Lo spaccio della solidarietà ha assistito 517 persone (172 famiglie) e la merce donata è stata di 19.746 chilogrammi (+ 8% rispetto al 2009). Le

donazioni di sangue, trami-te il Gruppo Fratres, hanno raggiunto quota 1.000, con un incremento di 400 (45%) rispetto all’anno precedente. La novità più rilevante è che fra breve partirà il nuovo reparto di mammografia, di cui verrà proposto all’Asl il convenzionamento. I servizi di emergenza sono stati 3.403, 28.038 quelli ordinari. Oltre 150.000 le ore impiegati dai

volontari per il servizio in-fermi. Sono state impiegate 16 ambulanze, 20 autovetture per servizi sociali, 9 mezzi per il trasporto disabili. I volontari effettivi che prestano servizio per la Misericordia sono stati 512, che hanno garantito l’at-tività complessiva per il 75%, i soci sono oltre 4.000.

Ma è il futuro che preoc-cupa la Misericordia. Il presi-dente Aligi Bruni ha lanciato

Collega la tangenziale sud con l’areaex Breda. Il sottopasso è dotato

di un sistema di sicurezza che si attivain caso di allagamenti

un grido d’allarme. “I Comuni e l’Asl _ ha detto _ ci han-no tagliato i fondi (400mila euro) che utilizziamo per le emergenze, quindi ci sarà una riduzione dei trasporti socio-sanitari. E come se non bastasse, anche il fisco ci sta soffocando. E non sarà più possibile, per una onlus, fare attività commerciale. Vanno poi aggiunti i tagli al 5 per mille voluti dal governo. La quota più alta, in provincia, l’ha sempre avuta la Misericordia, a testimonianza del ruolo che ha in favore della collettività”. Bruni ha annunciato che l’uni-ca via d’uscita per risolvere tutte queste problematiche è la creazione di una Fonda-zione, che sarà fatta in tempi brevi>.

A Villa Colle Alberto, dove si è svolta la festa sociale, si è parlato anche di microcredito, l’iniziativa finanziaria creata dalla fondazione Un Raggio di luce, dalla Misericordia e dalle banche locali (Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia

e banche di credito coopera-tivo) che permette l’accesso al credito bancario a perso-ne che altrimenti sarebbero escluse. Dal marzo 2009 al 30 novembre 2010 il Microcre-dito ha erogato 740mila euro destinati a diverse finalità, tra cui le principali sono per pa-gare bollette, affitti, acquisti di beni personali, spese sanitarie, studio, inizio attività imprendi-toriali. I richiedenti sono stati 393 (369 privati e famiglie, 24 imprese), i colloqui nei Centri di ascolto 485. Gli italiani che si sono rivolti al Microcredito sono stati 344, gli stranieri sol-tanto 49: ciò si spiega nel fatto che i beneficiari devono esse-re residenti nella provincia di Pistoia. Le pratiche approvate sono state 165, quelle non approvate 51. L’attività del Microcredito pistoiese è stata illustrata da Paolo Carrara e da Lina Ercolini, presidente e collaboratrice della onlus Raggio di Luce.

Enzo Cabella

Promozione

Un marchio per Pistoiae le sue eccellenzeBandita una gara europea per valorizzare il territorio

Identificare il territorio come un insieme di risorse etero-genee, uscire dalla promozione dei singoli settori e luoghi per passare ad una promozione globale, coordinata e coerente, capace di offrire il territorio nel suo complesso. Sarà il compito della «Marca ombrello», un marchio territoriale, per realizzare il quale è stata indetta una gara europea. Il bando scadrà il 31 gennaio 2011 ed è stato presentato a Palazzo Baly, dalla presidente della Provincia Federica Fratoni, dall’assessore pro-vinciale allo sviluppo economico Paolo Magnanensi e Barbara Lucchesi del Comune, dal presidente di Camera di Commercio Stefano Morandi e da Veronica Bocci coordinatrice di Pistoia Futura. «In questo anno e mezzo di mandato –ha sottolineato la Fratoni- Pistoia Futura, che è l’associazione che riunisce enti locali, categorie economiche, Camera di commercio e Comuni, ha fatto un lavoro molto importante di condivisione di una filosofia, che è quella di presentare la provincia sotto un’immagine unica, possibilmente affiancata da un marchio che graficamente sia efficace e di grande impatto comunicativo e che possa rimanere nella mente dei più. Contiamo di arrivare alla prossima estate con la presentazione di questo marchio cui seguirà un’attività intensa di promozione del marchio stesso, per renderlo noto, legandolo sempre di più alle specificità del nostro territorio, quindi essere non solo conosciuti, ma anche riconosciuti in un panorama economico più vasto, che chiaramente dovrebbe andare oltre i confini nazionali». «La novità –ha aggiunto Magnanensi– sta nel fatto che vogliamo presentarci come territorio in maniera univoca, con la nostra identità, che abbiamo sviscerato in tutti questi mesi, in modo che Pistoia sia vista nel mondo come un unicum con caratte-ristiche specifiche, ovviamente agganciata all’idea della Toscana, che sempre nel mondo ha riflessi estremamente positivi».

Viabilità

Inaugurata Porta Nuova

1126 DICEMBRE 2010 n. 46VitaLa comunità e territorio

nata “Naturart” si preoccupa di met-tere in evidenza le caratteristiche naturali e artisti-che, ma anche in-dustriali del nostro

territorio.Una rivista apprezzabile, redatta

con estrema cura, che vuole stupire ed accattivare il lettore attraverso le grandi immagini che da sole racconta-no alcuni scorci della città e le colline autunnali che le fanno corona. Oc-correva un pistoiese emigrato, uno dei tanti che hanno lasciato Pistoia per lavorare nella grande città del nord, come il direttore Luciano Cor-sini, per regalarci nuove suggestioni. Il curatore artistico Nicolò Begliomini ci ripropone una gestalt attraverso nuove visioni nelle forme conosciute. Lo propone sia il magnifico dettaglio del fregio robbiano sulla copertina, sia l’illustrazione inedita del centro cittadino che ne esalta la medievalità.

I testi, invece, sono opera di tante mani. Ciascun curatore ha cercato di illustrare, questa volta a parole, le caratteristiche di chi vive e lavora a Pistoia, chi la rappresenta e cerca di renderla visibile. Di questo principal-mente si è parlato durante l’incontro svolto nell’accogliente sede della Tesi Piante, di come questa nostra provin-cia sia poco conosciuta rispetto alle altre province toscane. Come la sua indole di sorella minore, ma operosa, abbia celato le sue attrattive rispetto alle vicine più vezzose.

Cambiare stile? Certamente no. Pistoia è orgogliosa di essere l’eccellenza ferroviaria italiana che compete nel mondo, di trasportare i cittadini di Boston e San Francisco. Che le piante coltivate nel circonda-rio adornano i giardini delle grandi città europee. Anche di questo la rivista nata oggi racconta, e di tutto questo siamo orgogliosi noi cittadini pistoiesi, stanziali o emigrati.

Editoria

Nasce Naturart

è

ulla base delle pri-me stime di bilancio si prevede, rispetto alla semestrale 2010 un consolidamento dei dati. Salvo fatti ec-cezionali, il corrente esercizio verrà chiuso

con numeri ampiamente positivi. L’utile netto sarà superiore ai 2 milioni di euro (nel 2009 fu di 1,5 milioni); in crescita anche gli aggre-gati: raccolta diretta (+ 7%), impieghi (+ 6%), raccolta indiretta (+ 15%). Positivi anche i due principali indici di stabilità della Banca: coefficiente di solvibilità (15%) e Tier 1 (12%).Sono questi, in sintesi, i dati di bilancio della Bcc di Vignole per il 2010.

«La situazione economica nella quale operiamo – afferma il direttore generale della Bcc di Vignole, Elio Squillantini – è purtroppo ancora oggi di grave difficoltà, e ne sono dimostrazione gli accantonamenti per rettifiche di valore sui crediti che continuano a dover essere alti; tuttavia si notano importanti segnali di ripresa della redditività. In un momento di perdurante crisi economica, la nostra Banca ha conti-nuato a erogare credito e servizi alle famiglie e alle imprese del territorio, riuscendo a mantenere in equilibrio i conti e ponendo le basi, grazie ad una crescente patrimonializzazione e ad adeguati livelli di liquidità, per uno sviluppo sostenibile della Banca nei prossimi anni».

Piano triennale 2011-2013

Proprio una crescita dimensio-nale equilibrata e sostenibile e un rinnovato dinamismo nel sostegno

all’economia del territorio sono le linee guida del Piano strategico triennale 2011-2013, recentemente approvato dal nuovo Consiglio di Amministrazione della Bcc di Vignole. Nella prospettiva generale di un len-tissimo recupero dell’economia e di un Pil in leggera crescita, sono quat-tro gli obiettivi fissati dal Piano della Banca: rafforzamento del patrimonio; miglioramento dei margini reddituali; contenimento del rischio di credito; mantenimento di un’adeguata liqui-dità. Il Piano conferma l’attenzione al tessuto economico locale e il sostegno alle famiglie e alle piccole e medie imprese del territorio nei settori tradizionali di artigianato, commercio, agricoltura e vivaismo.

Per quanto riguarda la compagine sociale, l’obiettivo è quello di raggiun-gere la cifra di 5.000 soci nel 2013 (circa 1300 nuovi soci più di adesso), con una particolare attenzione all’in-gresso dei giovani.

«Va in questa direzione la recente costituzione del Club Giovani Soci Bcc Vignole – spiega Franco Benespe-ri, vice presidente della Bcc di Vignole – . Si tratta della prima esperienza in Toscana di coinvolgimento attivo dei soci di età compresa fra i 18 e i 35 anni in un organismo rappresentativo formalmente costituito, chiamato a evidenziare le esigenze e i bisogni delle nuove generazioni nonché a proporre al Consiglio di Ammini-strazione iniziative utili a disegnare opportune strategie di sempre mag-giore coinvolgimento».

Proprio in virtù di queste pre-visioni, il piano strategico triennale individua importanti investimenti, tra cui l’apertura di 3 nuove agenzie, e l’ampliamento della sede sociale.

Bcc di Vignole

Il bilancio 2010

s

La nuova rivista è stata presentataal pubblico la scorsa settimana presso

la sede dei vivai Giorgio Tesidi Marinella Sichi

Donato possedeva a San Marcello un castello dove ospi-tava spesso sia me che l’amico Carlo Monni”. Queste affermazioni, che Roberto Benigni ha fatto nel Salone de’ Dugento del Palazzo Vecchio di Firenze, hanno ribadito la ‘pistoiesità’ dello scrittore, regista, poeta e attore, Donato Sannini. Morto 39enne, era figlio di un appartenente a una dinastia di imprenditori e avvocati fiorentini nonché di

donna Roberta Farina Cini, originaria di San Marcello, dove Donato iniziò peraltro il proprio corso di studi e si recava sovente con Roberto Benigni, Carlo Monni, Lucia e Paolo Poli ed altri amici. Seduto accanto al sindaco di Firenze Matteo Renzi e Carlo Monni, Roberto Benigni ha presentato con altri “Chi Dio? La poesia? Misteriosamente”, pubblicazione della Titivillius di Pisa nelle cui pagine Andrea Mancini e vari ‘compagni di strada’ di Donato Sannini ne descrivono mirabilmente, vita, cultura e non comune creatività.

Palazzo Vecchio Firenze

Commemorato Donato Sannini

Agliana

Trascendere materiaSarà visitabile gratuitamente fino all’8 gennaio 2011 la bella mostra di Ilaria Saetti, “Trascen-dere materia”, allestita sulle scale del Comune di Agliana.L’artista, nata a Pistoia nel 1980, è laureata presso l’accademia delle Belle arti di Firenze. Dal 2006 al 2008 lavora come restauratrice, nel 2010 entra come membro nell’associazione culturale Della Robbia scultori di marmo e pie-tre dure.Ha partecipato alle seguenti esposizioni: Biennale della fiaba di Pescia nel 2001, personale presso Art Cube-Tenax di Firenze nel 2002, 18esima mostra di pittura e di fotografia medici artisti di Villafranca di Midolla nel 2005, Anno 2010 d.c. presso la Torre ennagonale di Santo Stefano al mare e, sempre quest’anno, al Berlin Gone Wild presso la Gale-rie Friedricksoehe niente meno che a Berlino.L’orario di apertura della mostra è dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 13,30 e il sabato dalle 8,30 alle 12.Il Comune di Agliana si conferma, quindi, una volta di più disponibile ed aperto nei confronti di ogni forma di espressione culturale, ospitando l’esposizione in un luo-go atipico e curioso come le scale del palazzo comunale.

M.B.

Prunetta

Serata culturaleTanta neve e numerose inizia-tive Pro Loco in occasione delle feste natalizie. Folclore, tradizio-ne, poesia per le feste più impor-tanti dell’anno. In questo periodo Prunetta è una piccola Betlemme con tanti presepi mentre nell’aria c’è il buon profumo dell’abete. Al circolo si spazia nel campo della cultura: Vinicio Betti canta a Divi-na Commedia del sommo poeta Dante Alighieri. La serata si svolge il 26 dicembre 2010 alle ore 21. L’artista spiegherà che il poeta dalla selva oscura, da dove il poe-ta Virgilio lo trae, per un cammino sotterraneo, giunge nel vestibo-lo dell’inferno,entra nel primo cerchio o limbo e di cerchio in cerchio lussuriosi, golosi, avari e prodighi, giunge nel cerchio dove sono puniti i traditori. Ed è vicino alla città di Dite che il Conte Ugolino narra a Dante la fine atroce dei suoi figlioli e sua. La bocca sollevò dal fiero pasto, quel peccator forbendola Ai ca-pelli… Nell’atmosfera delle feste non poteva mancare la poesia e Dante Alighieri il quale ha accan-to al significato reale, contorni allegorici,morali e politici di gran-de attualità. Introdurranno la serata i bambini con canzoni del periodo, mentre l’artista di Campo Tizzoro chiude lo spettacolo con stornelli della montagna.

Giorgio Ducceschi

Roberto Benigni e Carlo Monni hanno commemorato il regista e poeta

di Alessandro Tonarelli

Palazzo dei Vescovi

Segui la treccia,trovi il ricamo

era molta gente giovedì 16 dicembre nella sala sinodale del Palazzo dei Vescovi, ad assi-stere alla presentazione del libro di Federica Mabellini, “Segui la treccia, trovi il ricamo”. L’evento era organizzato da Confartigianato e le socie del Moica, in quanto grandi esperte e cultrici di ricamo, vi hanno ricoperto un ruolo di primo piano. Ha aperto i lavori Mas-

simo Donnini, Presidente Confartigianato, con una precisa dichiarazione d’intenti: “Noi vogliamo raccontare al mondo la storia di questa abilità delle donne pistoiesi”. E coerentemente con questo proposito, il libro è bilingue: al testo italiano si affianca quello inglese. In realtà questo incon-tro è stato un riconoscimento tributato alle capacità, alla creatività, allo spirito d’iniziativa delle nostre antenate pistoiesi d’inizio novecento.Nel suo intervento Gabriele Zollo, presidente della Cassa di Risparmio, ha ricordato la crisi, determinatasi tra fine ottocento e inizio novecento, nel settore della lavorazione della paglia per l’arrivo sul mercato della paglia cinese. Quando le trecciaiole si resero conto che la situazione, nono-stante il loro sciopero, non poteva migliorare, decisero di riconvertire le loro capacità in un altro settore, quello del ricamo. Nel frattempo erano sorte le prime scuole di ricamo per diffondere le conoscenze tecniche necessarie. L’idea di base comune a queste scuole era quella d’istruire le giovani per far loro acquisire un mestiere con il quale poter integrare i guadagni provenienti dalle attività agricole o comunque contribuire al sostentamento della famiglia”. Zollo ha citato la casula di S. Atto, attri-buibile secondo Peri a una manifattura pistoiese, per confermare l’idea di un’antica vocazione al ricamo presente nel nostro territorio. Ha poi definito molto positivamente l’istituzione del Museo del Ricamo, dove si dimostra che “Il confine tra la manifattura e l’arte è molto labile”. Al saluto e all’apprezzamento per l’iniziativa espressi dal presidente della Camera di commercio, Stefano Morandi, ha fatto seguito l’intervento di Massimo Donnini che ha delineato con grande umanità un preciso amarcord, nel quale è stata richiamata la memoria di alcune personalità femminili di rilievo nel mondo del ricamo.Veramente ricco di significato l’intervento di Paolo Peri che non si è limitato a parlare della preziosità dei manufatti, ma ha richiamato la vita di queste ricamatrici, l’importanza del loro apporto all’economia familiare ed ha anche denunciato l’in-congruità dei compensi rispetto al prodotto, che veniva poi venduto a prezzi esorbitanti nei negozi più raffinati. In particolare ha deprecato il fatto che”Queste mani di donne non hanno lasciato un nome. Queste competenze straordinarie sono rimaste anonime”. Per ultima ha parlato brevemente l’autrice, Federica Mabellini. Dalle sue parole sono risultati evidenti l’estensione e il rigore della ricerca per redigere quest’opera così documentata, corredata da un ampio apparato iconografico, che comprende alcuni splendidi manufatti conservati nel Museo del Ricamo. La conclusione dell’evento non poteva che essere una visita al Museo, guidata dalla presidente del Moica, Annamaria Palchetti, che ha anche fat-to gli onori di casa al vin d’honneur offerto da Confartigianato nei locali di Palazzo Rospigliosi.

Piera Petracchi

c’

12 n. 46 26 DICEMBRE 2010 LaVita

di Enzo Cabellacontropiedeuna bella favola, quella della Tuscany Pistoia di basket. A Natale si può sognare e la Tuscany sta facendo sognare i suoi tifosi. Chi l’avrebbe detto in

estate che la squadra destinata a lottare per la salvezza si sarebbe trovata, a Natale, al terzo posto in classifica? Pochissimi, solo gli irriducibili appassionati di basket, che speravano di rivivere, dopo anni in chiaroscuro, giorni esaltanti. Ora la realtà sta coronando i loro sogni, la loro squadra è nei quartieri alti della classifica, rivela-zione del campionato di A2, con tutti i crismi per lottare per un posto di rilievo ai playoff. La Tuscany è, come hanno detto molti addetti ai lavori, una squadra atipica, che segna pochi punti ma che riesce a far giocare poco gli avversari, grazie ad una organizzazione difensiva pressoché perfet-ta e capace di liberare le cosidette ‘bocche di fuoco’ al tiro finale. La Tuscany, quando gioca di squadra, e fin qui lo ha fatto quasi sempre, è un avversario scorbutico per chiunque. Qual è il segreto di questa performance? La crescita di rendimento è stata progressiva man mano che il car-neade Varnado ha imposto la sua classe cristallina, sia sotto i tabelloni nell’andare a canestro sia nei rimbalzi, specialità dove il giovane americano si è dimostrato il migliore in assoluto di tutto il torneo; ma mano che Forte si è tolto le scorie di una condizione imperfetta ed è diventato l’uomo-squadra, il punto di riferimento

dei compagni, come regista e come from-boliere; man mano che Toppo si è rivelato capitano coraggioso e duttile tanto da ri-sultare spesso uno dei migliori; man mano che Fucka si è liberato dei tormenti di una condizione fisica approssimativa; man mano che Filloy, Porzingis e Berti sono diventati pedine importanti della forma-zione; man mano che coach Moretti si è reso conto delle qualità dei suoi uomini e con sapiente lavoro ha creato una squadra compatta, granitica, versatile, le cui qualità tecniche e agonistiche si sposano con un crescente convincimento di poter prose-guire questo formidabile cammino. Sì, pos-siamo dirlo ai quattro venti: la Tuscany è una grande squadra, l’entusiasmo dei tifosi è all’apice e i loro sogni non sono finiti all’alba. Nel cielo sereno della Tuscany c’è però una nuvoletta che tiene in ansia i ti-fosi: è quella di Varnado, sul quale si stanno concentrando le chimere mediatiche che lo vorrebbero ora negli States (versione Nba), ora a Siena e Bologna. Lui dice che si trova bene a Pistoia, ma di fronte a cer-te offerte economiche talvolta non si può dire di no.

La squadra, adesso, è andata in vacanza, godendosi il meritato riposo. Riprenderà la preparazione il 27 dicembre, in vista di un inizio d’anno molto impegnativo. Infatti, dovrà giocare tre partite nello spazio di otto giorni: dal 2 al 9 contro Imola in tra-sferta, in casa con Veroli e di nuovo fuori casa a Jesi. Un tour de force che ci dirà fin dove potrà arrivare la Tuscany.

n sogno che si è realizzato: una nuo-tatrice pistoiese sesta ai Mondiali. Alice Nesti (nella foto), 21enne atleta della Nuotatori Pistoiesi di patron Giancarlo Lotti e del tecnico Massi-miliano Lombardi, l’ha concretizzato, grazie anche alle compagne della

Nazionale italiana della staffetta 4x200 stile libero: il quartetto azzurro, infatti, si è classificato al sesto posto, dietro a Cina (oro), Australia (argento), Francia (bronzo), Stati Uniti e Svezia, ma davanti a Ungheria e Russia, ai recenti Campionati del mondo indoor di Dubai, in vasca corta (da 25 metri per intendersi). Le “magnifiche 4”, tra le quali Alice era esordiente assoluta, era composto da Renata Spagnolo, prima frazionista che ha chiuso in 1’57”60, la Nesti, seconda frazionista che ha ultimato la prova col tempo di 1’58”20, la campionessa olimpio-nica e mondiale Federica Pellegrini, terza frazionista che ha nuotato in 1’54”70, e Chiara Masini Luccetti, quarta frazionista che ha terminato in 1’56”30 per un tempo complessivo di 7’46”80, nuovo record italiano. La nostra Alice, che in queste settimane vive proprio nel Paese delle meraviglie, era andata addirittura meglio in fase di qualificazione allorché, sempre da seconda frazionista aveva ottenuto il tempo di 1’57”43 (Masini Luccetti, prima frazionista in 1’57”98; Francesca Segat, terza frazionista in 1’57”47; Renata Spagnolo, quarta frazionista in 1’56”54; tempo globale di 7’49”42, primato italiano poi battuto in finale). “Sono soddisfatta di questa mia prima gara mondiale _ ha assicurato al termine della finale Alice _, soprattutto del comportamento tenuto nelle qualifiche. Spero che per me sia un punto di partenza, in vista di tra-guardi sempre più alti”. “È una gioia grande _ il commento del suo allenatore di club, Lombardi _ vedere una pistoiese sesta ai Mondiali. In fase di qualificazione ha fatto registrare un bellissimo tempo e così in finale, anche se era nell’ordine delle cose che potesse calare un po’. Che le azzurre cogliessero una medaglia era impresa quasi proibitiva, ma bisogna riconoscere che son state brave a tener dietro colossi quali Ungheria e Russia”. Brava, Alice: anni e anni di allenamenti e gare lontano da Pistoia – la città capoluogo di provincia non si è ancora dotata di un impianto olimpico, con vasche da 50 metri – per sfiorare il cielo con un dito.

Gianluca Barni

Nuoto

Una pistoiese 6a

nel mondo: Alice Nesti

u èsport pistoiese

g iovedì 9 dicem-bre è arrivata la notizia positiva per l’azienda An-saldo Breda: il ri-corso al Tar per l’aggiudicazione della gara per i

treni di alta velocità è stato respinto e l’azienda concorrente Alstom è definitivamente fuori dalla possibilità di rientrare nella gara.

Da qui riparte l’opportunità di rilancio e di nuova attività per Ansaldo Breda.

Si tratta di una svolta non solo di strategia imprenditoriale e di mer-cato, ma della forte necessità di un cambiamento culturale nei riguardi di un’azienda che da sempre ha visto ripianare i propri deficit e rispon-dere ai bisogni finanziari, attraverso sostanziose erogazioni degli azionisti di maggioranza, alcuni dei quali a partecipazione statale.

Tale cultura ha fatto venire meno la percezione dell’esigenza di stare in linea con i tempi, di adattare le stra-tegie al cambiamento, di non essere sufficientemente pronti a rispondere a criteri di innovazione e efficienza nonché di efficacia, tendendo a man-tenere quanto acquisito.

Inoltre, l’assenza tutt’ora evi-dente di concrete e chiare strategie industriali nel nostro paese, insieme alla mancanza di un organico disegno riguardo al settore del trasporto

Cisl Pistoia

Breda: una nuova opportunitàpubblico ferrotranviario, e al suo svi-luppo in Italia e verso l’estero, hanno contribuito a far pesare sull’azienda la responsabilità riguardo alle possibile scelte strategiche e di investimento.

Quest’ultimo accordo segna un “cambio di passo” nelle strategie aziendali, nel modello di relazioni industriali, nella definizioni dei ruoli e delle responsabilità.

Si è previsto un periodo di cassa integrazione straordinaria accompa-gnato da percorsi di formazione, per riprendere appieno l’attività alla fine del 2011.

Solo la rigorosa applicazione del piano segnerà la discontinuità col vecchio sistema del passato, garan-tendo così il rilancio dell’azienda e la sua competitività, salvaguardando l’occupazione e valorizzando le professionalità esistenti.

Tale rilancio ed il conseguente aumento di valore competitivo non può essere circoscritto ad un solo ambito territoriale né ad un solo livello istituzionale.

Infatti Ansaldo Breda pur avendo la “testa” e quindi la strategia indu-striale a livello nazionale e forte di un accordo con Bombardier, competitor internazionale, ha le proprie “braccia operative e strategiche” ben radicate nel nostro territorio, apportando ad esso prestigio, riconoscibilità come sito dove si progettano e realizzano prodotti conosciuti in tutto il mondo: treni e metropolitane.

Inoltre la presenza dell’azienda a Pistoia ha rappresentato uno scam-bio di opportunità con il territorio, il quale le ha dato sostegno, e continua ad essere fonte di occupazione e opportunità per l’indotto.

Tale osmosi ormai consolidata tra territorio, piccola e media impresa, e Breda, deve evolvere con un salto di qualità che coinvolga sempre più tutti i soggetti sopra richiamati, per condividere quella necessaria svolta che trascini verso il futuro e nella competizione complessiva le imprese e l’indotto, garantendo anche ad esse competizione, qualità e permanenza nel tempo.

Nello stesso tempo è necessaria la concreta assunzione di responsabi-lità dei vari livelli istituzionali, e quindi che la “politica” giochi il proprio ruo-lo dando risposte certe e condivida progetti concreti.

Il recente convegno svoltosi in Breda a Pistoia ha messo in evidenza che il coordinamento delle azioni dei soggetti che hanno l’opportunità di svolgere ruoli istituzionali ai vari livelli e azioni politiche mirate, potrebbe portare risultati sinergici finora sol-tanto ipotizzati.

Da qui il forte richiamo alla re-sponsabilità della politica e delle Isti-tuzioni alle quali chiediamo l’apertura di un tavolo mirato con la presenza delle istituzioni locali, della Regione e delle organizzazioni sindacali, che, con l’azienda, prevedano un nuovo

progetto per lo sviluppo del traspor-to pubblico locale, da realizzarsi con l’apporto dell’Università.

Lo scopo del tavolo è di indicare un percorso che guardi al futuro, che individui le azioni e gli interventi di ciascun soggetto, partendo dall’assun-to che ognuno può e deve “agire” il proprio ruolo, investendo idee, re-sponsabilità, e facendo sinergia in un progetto condiviso che, con l’apporto dei vari livelli e quindi possibilità mag-giori, offra un risultato concertato, certo e di più alto livello, rispetto alle opportunità dei singoli soggetti.

L’obiettivo è quello di individua-re insieme un percorso di sviluppo concertato e futuribile che possa vedere successivamente coinvolte le piccole e medie imprese, l’indotto, il credito, la provincia, anche per le sue competenze sulla formazione e lo sviluppo economico del territorio.

La Cisl crede che questa nuova opportunità per l’azienda, che si ritiene strategica e fortemente radi-cata nel territorio, sia una occasione da non perdere, considerato il mo-mento difficile che l’intero paese sta attraversando.

Ma Pistoia può cogliere anche un’ulteriore opportunità.

L’investimento consistente da parte degli azionisti per la realizzazio-ne del progetto innovativo di ultima generazione destinato alla rete di alta velocità di Trenitalia, rappresenta l’inizio di una nuovo percorso, che

non deve fermarsi a questo tipo di produzione, ma creare le basi per un prodotto e delle idee che nascano e rimangano nel nostro territorio come nostro patrimonio, da affidare alle strategie aziendali complessive.

Infatti i contenuti del piano innovativo approvato a marzo e la disponibilità aziendale ci danno la possibilità di ipotizzare dei progetti di ideazione e costruzione in loco di prodotti che possano essere qualifi-canti, significativi e realizzabili come “made in Pistoia”, con l’opportunità di un nuovo protagonismo locale ed il consolidamento del lavoro interno ed esterno all’azienda, radicandola ancora di più nel territorio.

Quindi per tutto quanto sopra, riteniamo che il tavolo suddetto ab-bia la funzione di coordinare nuove idee, nuovi percorsi e strategie e si ponga alla giuda di un percorso che porti sviluppo con la velocità dei treni di ultima generazione.

Patrizia Pellegatti

1326 DICEMBRE 2010 n. 46VitaLa dall’Italiai è concluso ufficial-mente il 16 e 17 di-cembre a Bruxelles, l’Anno europeo per la lotta alla povertà e

all’esclusione sociale.Abbiamo chiesto un bilancio dell’An-no europeo ad Adriana Opromolla, responsabile politiche sociali di Caritas Europa, e a Miriam Pikaar, coordinatrice della Campagna “Zero poverty” di Caritas Europa.

Opromolla, in un anno tante azioni ed iniziative contro la povertà in Europa. È possibile un bilancio? Cosa si è smosso a livello politico?

“È difficile fare un bilancio com-pleto perché l’Anno si sta conclu-dendo proprio adesso. Però a Caritas Europa abbiamo avuto l’impressione che la sensibilizzazione sul tema povertà sia andata molto bene. Si sono raggiunti buonissimi risultati in termini di presa di coscienza, sia da parte dei cittadini, sia da parte delle istituzioni. A livello politico europeo ci sono degli sviluppi, che forse si sono prodotti anche grazie all’Anno europeo. Sicuramente l’Anno eu-ropeo ha contribuito a catalizzare l’attenzione e motivare alcuni leader a prendere determinate iniziative. Quest’anno, ad esempio, c’è stato un impegno politico solenne nel mese di settembre delle presidenze spagnola, belga e ungherese dell’Ue di far adottare o proporre, entro l’anno prossimo, una raccomandazione sulla povertà infantile. Di recente c’è stata una Conferenza di consenso sugli homeless, e anche questo è da consi-derarsi un avanzamento. Poi c’è stato un ulteriore slancio verso la messa in opera della Strategia europea sull’inclusione attiva, che esiste dal 2008, ma a questa raccomandazione è stata data poca attuazione. L’Ue ha esortato gli Stati membri a mettere in pratica questa raccomandazione sull’inclusione attiva delle persone più lontane dal mercato del lavoro. La cosa più importante è che nella nuova Strategia Europa 2020 c’è un obiettivo – tra i cinque principali – che è proprio quello della riduzione della povertà (20 milioni in meno di poveri entro il 2020). Al fine di realizzarlo si è anche costituita la Piattaforma europea di lotta alla povertà”.

Avete riscontrato una reale volontà politica di con-tribuire alla soluzione dei problemi o le solite dichia-razioni di principio senza impegni concreti?

“Dipende molto dagli interlocu-tori: presso alcuni abbiamo effettiva-mente riscontrato una reale volontà politica di cambiare le cose. Ad esempio, la presidenza belga dell’Ue si è molto distinta. Anche da parte della Commissione europea c’è un grande impegno nello stimolare gli Stati membri a fare progressi. Quel-lo che purtroppo rallenta questo slancio è il livello nazionale, perché non tutti i governi hanno la stessa volontà politica. Non abbiamo fatto classifiche tra i buoni e i cattivi, ma è significativo che l’Italia sia, insieme alla Grecia, uno dei Paesi che non prevedono un reddito minimo. Per noi questo è un punto dolente”.

La crisi economica e l’au-mento della disoccupazione

Povertà in Europa

Insieme nella lottas

hanno aggravato ulterior-mente la situazione. C’è il rischio che l’azione comples-siva sia stata, per certi versi, vanificata dalle congiunture?

“Secondo noi non è stata va-nificata. Certamente c’è stato un aggravamento delle condizioni ge-nerali che rende ancora più urgente l’intervento sociale. Il fatto di par-larne proprio in questa congiuntura ha contribuito ad accrescere la consapevolezza che c’era proprio una grande urgenza di intervenire. Per noi è stata una buona occasione per portare in superficie problemi che forse sarebbero stati meno in primo piano. Invece l’Anno europeo ci ha dato occasione di ricordarli continuamente e far capire l’impor-tanza di una vera e propria politica sociale. È chiaro ci si è resi conto che bisogna scontrarsi con l’atteg-giamento degli Stati che, di fronte ad una crisi, pensano prima di tutto a tagliare le spese sociali. E questa è una grave difficoltà”.

L’impegno di quest’anno ha avuto buoni frutti in am-bito ecclesiale ed ecumenico?

“Molto importante è stata l’ini-ziativa ecumenica sulla povertà che si è svolta il 30 settembre, con or-ganizzazioni protestanti, ortodosse e cattoliche (Comece, Eurodiaconia , Kek e Caritas Europa). Abbiamo or-ganizzato una conferenza congiunta e prodotto un documento che analizza la povertà dal punto di vista cristiano e i problemi che si pongono oggi e le proposte politiche per i prossimi dieci anni. Questo sarà per noi la base per il prossimo lavoro. Sarà più facile prendere posizioni comuni e promuovere iniziative presso l’Ue”.

Quali priorità sociali per l’Europa nei prossimi anni? E per la Caritas?

“Quelle adottate dall’Ue sono state annunciate in un documento uscito il 16 dicembre, ossia la Piatta-forma europea di lotta alla povertà. Sono priorità che già si conoscevano. Alcuni temi sono classici: la crescita

inclusiva, ossia rialzare i livelli di impiego, con un forte accento sul tema del lavoro; la povertà infantile; la gioventù e il rischio di povertà gio-vanile; i lavoratori poveri e le giuste retribuzioni; gli anziani. A questi temi se ne sono aggiunti altri che colgono i nuovi problemi: i senza dimora, la povertà energetica, l’esclusione finanziaria (mancato accesso al de-bito) e l’indebitamento; i migranti; le minoranze etniche e i Rom; i disabili e i malati cronici. Come Caritas ne proponiamo altri, che abbiamo già introdotti tramite la petizione e la campagna ‘Zero poverty’. Vorremmo che l’Ue e i governi si preoccupino di assicurare una fornitura adeguata e di alta qualità dei servizi sociali, soprattutto l’assistenza a domicilio; riguardo alla povertà infantile vor-remmo portare l’attenzione sui figli dei migranti che rimangono a casa, soprattutto nell’Europa dell’est; il reddito minimo adeguato, che l’Ue non riesce a portare avanti perché si scontra con la volontà di alcuni Paesi di non introdurlo, ma noi continuere-mo a sensibilizzare e fare campagne. Poi c’è il tema della partecipazione, della responsabilizzazione, rendendo il povero protagonista della sua vita”.

Pikaar, quali i risultati del-la Campagna “Zero poverty”? L’impatto è stato effettivo? Siete soddisfatti?

“La cosa buona è che diversi Pa-esi hanno reagito in modi differenti. Ad esempio Caritas italiana è stata molto forte sul versante ‘giovani’, con materiali per scuole, centri giovanili, parrocchie. In Italia c’è stato un buon impatto sul coinvolgimento e la motivazione dei giovani. Anche in Austria c’è stata molta attenzione sui giovani, mentre in Svizzera e in Germania si è lavorato più sul livello politico, su specifici temi sociali. In Albania si sono dati molto da fare nella raccolta firme (circa 16.000) per la petizione europea. Sicura-mente la consapevolezza è cresciuta, ora le persone sanno che esiste una dimensione europea della povertà. Questa esperienza è risultata molto

positiva per gli operatori Caritas che lavorano con i poveri. Siamo un po’ meno soddisfatti sull’andamento della raccolta firme: 135.000 sono tante, ma speravamo fossero molte di più. Ma alla fine è più importante la mobilitazione reale delle persone”.

Uno degli obiettivi di “Zero poverty” era anche creare una rete interna di conoscenza e collaborazione tra le Caritas dei diversi Paesi europei...

“Sì, questo è stato un punto mol-to importante e che ha dato ottimi risultati, perché le Caritas nazionali si sono conosciute e hanno cominciato a sostenersi e a collaborare, a discu-tere progetti per il futuro”.

Ci sono già progetti co-muni in vista del 2011, “Anno europeo del volontariato”?

“Certo. Ci sarà un coordinamen-to tra le varie Caritas che vorranno assumere iniziative in questo settore: Caritas Landern (Fiandre) prende il timone di questa iniziativa, poi c’è Caritas italiana, Caritas Germania, Secours catholique (Francia), Malta, Portogallo e Romania. È una rete nella rete. Noi sosterremo tutte le Caritas in Europa ad essere attive e organizzare eventi e assicureremo lo svolgimento fluido di queste iniziative. Non potremo organizzare una campagna della stessa ampiezza di ‘Zero poverty’, che ha richiesto grande impegno e sforzi, ma conti-nueremo a promuovere e sostenere le attività di volontariato a tutti i livelli perché è un punto molto importante dell’impegno cristiano”.

Quali eventi europei sono previsti per l’“Anno del vo-lontariato”?

“Ci sono già due eventi in pro-gramma: a fine maggio a Friburgo (Germania) e il 5 dicembre a Stra-sburgo, nel Giorno del volontariato. Raccoglieremo ciò che uscirà da questi e altri eventi per sottolineare i valori del volontariato e le buone pratiche”..

La crisi italianaPiù profonda di quanto appare

di Vincenzo Rini

“Sentinella, quanto resta della notte”. Ce lo domandavamo la settimana scorsa sulla scorta del profeta Isaia (21, 11) per parlare della crisi economica in corso. La risposta era che l’alba, per ora, non si intravede. Ritorno sul tema per un’ulteriore sottolineatura. Non sappiamo quando finirà la crisi. Ma una cosa dovremmo, e forse non vogliamo, sapere a crisi finita o non finita, è certo che, comunque, il mondo, la vita del nostro Paese, la nostra stessa vita non saranno più come pri-ma. Perché, al di là delle molte parole (che spesso volutamente nascondono la verità) la crisi non è stata anzitutto economica, bensì sociale culturale, etica. In altre parole antropologica. È la visione stessa dell’essere uomini, convi-venti in società, responsabili del mondo e della natura ad essere andata in crisi. I guai economici sono stati l’effetto più vistoso, immediatamente palpabile. Ma essi sono nati dall’avere forzato la mano, sia a livello personale che sociale, pretendendo di vivere come se il mondo fosse solo un giocattolo nelle mani dell’uomo. Le persone, le famiglie, la società, lo Stato hanno preteso di vivere al disopra delle proprie possibilita Ne è nato il disprezzo per le re-gole e, soprattutto, per la regola fondamentale del vivere che è la responsabilità unita alla sobrietà. Si è pensato di potere sempre tutto, senza confronti con i valori umani e sociali e con le possibilità reali. Distrutte le regole anche retica è stata messa sotto I piedi. I grandi poteri economici e, soprat-tutto, finanziari, hanno ritenuto di potere gestire il mondo senza alcun limite e senza dovere es-sere soggetti ad alcun controllo. Molti governanti, in ogni parte del mondo, hanno pensato di potere guidare i loro Paesi facendo della democrazia formate un assoluto, dimenticando che la verità natu-rale dell’uomo vale per se stessa, non per i numeri parlamentari per cui nessun legislatore ha di-ritto di approvare leggi contrarie ai diritti imprescindibili dell’uomo. A complicare la situazione è stata poi la giobalizzazione che, rendendo nulli o quasi i confini nazionali, ha permesso al “male” (oltre che, naturalmente, a tante cose buone) di essere pratica-mente incontrollabile: si pensi alla globalizzazione del terrorismo, a quella della finanza d’assolto senza regole, per cui i guru della finanza di un Paese possono met-tere in crisi l’economia di interi continenti. E la crisi economica di uno Stato può riversarsi su molti altri. Si veda resempio attuale del-la crisi irlandese che fa tremare tutta Eurolandia… Il mondo e la vita dell’umanità non saranno più come prima. Occorre quindi riprogettare il tutto in maniera serena, nel segno della responsa-bilità della sobrietà e della solida-rietà Altra strada non c’è.

Chiese e Istituzioni:obiettivi raggiuntie da raggiungere

14 n. 46 26 DICEMBRE 2010 LaVitadall’italiaià dalla nascita della Repub-blica italiana sembra che vi siano tentativi di relegare la magistratura a

un ruolo subordinato rispetto agli organi esecutivo e legislativo. A suo avviso, per quale motivo?

In realtà è difficile parlare di un motivo soltanto. Si tratta di un problema che viene da lontano, ma è fondato sulla diffidenza di una parte del potere politico rispetto alla magistratura e al suo ruolo secondo la Costituzione repubblicana. Innan-zitutto abbiamo un motivo storico: l’Italia ha una storia peculiare, non vi è mai stato un equlibrio istituzionale accettato e sentito dagli stessi attori istituzionali come necessario.

Da questo punto di vista l’Italia è debitrice della Francia, che fin dall’epoca della rivoluzione, ha con-siderato il giudice come una mera bocca della legge, senza altre funzioni.

In più il nostro paese era appena reduce dal fascismo, che, portando all’estremo una netta tendenza dello Stato liberale, aveva soppresso ogni indipendenza del potere giudiziario.

Da qui una delle più grandi difficoltà del dopoguerra: la Costi-tuzione era discontinua rispetto alla storia nazionale, e vi era una forte inadeguatezza fra i codici vigenti e una magistratura insensibile ai va-lori costituzionali, perché formatasi durante la dittatura.

Quando si parla dell’inattuazione della Costituzione è troppo parziale attribuirla solo a un difetto di volontà politica dei partiti: senza dubbio ne

Quale giustizia, quale riforma

A colloquio con il professor Giovanni Tarli Barbieri, ordinario nella facoltà di

Giurisprudenza, Università di Firenze

Gin un clima particolare: si parla di una “supplenza” della magistratura, visto che in un certo modo era chiamata a colmare il vuoto della classe politica.

Si continua a vivere i rapporti costituzionali con grandi difficoltà: i magistrati faticano a recuperare le esigenza collegate allo status costitu-zionale di autonomia e indipendenza. Si pensi ad esempio al correntismo, che oggi appare maggiormente una distinzione politico/partitica.

Altro aspetto criticabile della magistratura requirente è la so-vraesposizione mediatica: anche se non si vuole più credere che “il magistrato parla con i suoi atti”, è pericoloso anche un magistrato che racconti inchieste fuori dal contesto istituzionale.

Oggi assistiamo a una frattura sempre più pro-fonda fra potere esecutivo e legislativo da una parte e potere giudiziario dall’altra. Secondo lei quali potrebbe-ro essere i provvedimenti che permetterebero un ri-avvicinamento fra queste istituzioni?

Provvedimenti correttivi: la que-stione è difficile. Credo poco a quello di cui si parla oggi: sembra che le uniche grandi questioni da

è una componente, ma non si pos-sono escludere così anche gli aspetti culturali. Il reale valore della Carta Costituzionale non era stato capito.

L’immagine che appare della magistratura oggi, e più in generale della giustizia, è molto diversa da quella che troviamo nella Costituzione. Qual è stato, secondo lei, il percorso che ha portato al

la corruzione dell’ideale del giudice imparziale e indipen-dente?

Rispetto all’immediato dopo-guerra il clima di oggi è diverso: progressivamente la Costituzione è stata attuata, però nella stagione che stiamo vivendo facciamo fatica a recuperare un equilibrio che è stato alterato negli anni ‘90 col crollo del sistema politico.

Il potere giudiziario si è trovato

n Rapporto di 40 pagine presentato a Vienna per illustrare la situazione

della libertà religiosa in Europa, negli anni fra il 2005 e il 2010, ri-porta in maniera inequivocabile la notizia complessiva, secondo cui in Europa si va diffondendo una forma di sospetto e disaffezione verso il cristianesimo che si può chiamare cristianofobia. Sono documentati contro i cristiani, pastori e fedeli laici, atteggiamenti d’intolleranza e discriminazione. I dati sono stati illustrati a Vienna nel corso di un meeting sulla libertà di religione promosso dall’Organizzazione per la sicu-rezza e la cooperazione in Europa (Osce). Dello stesso argomento si è trattato in Kazakhstan all’ini-zio di dicembre, nella città di Astana, dove il card. Bertone ha svolto un’ampia relazione in cui chiede agli Stati d’impegnarsi a combattere la discriminazione contro i cristiani.

Prendendo atto dei fatti con-creti e dettagliati descritti dal Rapporto e che possono essere preoccupanti e minacciosi per una tendenza che sembra andare in crescendo, non ci si può ferma-re ad una rassegnata costatazione, ma ci si deve domandare le ra-gioni di ciò, che sono molteplici e complesse.

I cristiani si devono domanda-re: perché ce l’hanno con noi?

Un avvocato ebreo docente alla New York University, Joseph

u Libertà di religione

No alla resadel silenzio

Sospetto e disaffezioneverso il cristianesimo in Europa

di Elio Bromuri

Weiler, che ha deciso di difendere il ricorso alla corte di Strasburgo contro l’abolizione del crocifisso dai luoghi pubblici, autore del libro “Un’Europa cristiana. Saggio esplorativo” del 2003, in un’inter-vista a “L’Osservatore Romano” del 6-7 dicembre, afferma che non si tratta di una forma di cristia-nofobia ma di cristofobia. Non sospetto di essere filo- o cripto-cristiano, Weiler fa un’analisi della situazione europea e scrive tra l’altro: “Non ce la si può cavare con frasi del tipo ‘ce l’ho con la Chiesa e la sua storia, e magari con i suoi simpatizzanti, ma rico-nosco l’esempio e la grandezza della figura di Gesù Cristo’. Non volere il crocifisso nelle scuole italiane è prendersela con Gesù. Essere laici come si vorrebbe far credere o degli agnostici significa non preoccuparsi della sfera reli-giosa di chi laico non è”. Indica poi otto motivazioni dell’avversione verso Cristo e la sua Chiesa: mo-tivi di ordine sociologico, psico-logico, emotivo. C’è, per esempio, chi attacca Cristo senza averne una vera conoscenza. Vi sono casi

d’invidia per i successi che il Papa ha riuscendo ad attrarre tante folle in ogni parte del mondo. È a tutti nota, però la ragione di fon-do che consiste nella resistenza della Chiesa al tentativo di piegar-la alla mentalità corrente o delle grandi lobby di pressione laicista. La Chiesa cattolica, insieme alle Chiese ortodosse e a molte, non tutte, le comunità ecclesiali prote-stanti, è l’unica grande istituzione che non cede sui valori che at-tengono a temi quali vita, famiglia, sessualità, migrazioni, solidarietà. In una parola si potrebbe dire che la Chiesa combatte il relativismo che il fronte laicista, di contro, ri-tiene fondamento essenziale della democrazia. Questa è la ragione dell’opposizione: la Chiesa è in-tollerante di fronte alle scelte di libertà.

La risposta è stata data ampia-mente e a più riprese da Benedet-to XVI.

Ha scritto che “noi dobbiamo avere l’audacia di dire: ‘Sì, l’uomo deve cercare la verità; egli è capa-ce di verità’. È chiaro che la verità comporta criteri di verificabilità.

E sempre deve andare anche mano nella mano con la tolleran-za” (“La luce del mondo”, p. 80). Senza il riferimento alla verità, la tolleranza senza misura e limiti si trasforma nel suo contrario, e lascia come “ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” come lo stesso Ratzinger ha affermato nell’omelia della Messa di apertu-ra del Conclave che lo ha eletto Papa. Egli riconosce la gravità del problema: “Il concetto di verità oggi suscita molto sospetto. È giusto dire che di esso si è molto abusato”. La ricerca della verità e la tolleranza nel senso di ricono-scere vicendevolmente la buona fede consentono l’esercizio della libertà.

Nessun cedimento, quindi, alla sindrome dell’accerchiamento e alla resa del silenzio da parte dei cristiani, invitati a dire le ragioni della speranza anche se, come suggerisce Pietro (1Pt 3,15 ss), nel modo giusto, senza presunzione e arroganza. Il problema della comunicazione del messaggio cristiano nelle nuove culture, in un mondo che cambia rimane fondamentale per coniugare insie-me verità e rispetto dell’altro. Ma il Rapporto frutto della ricerca dell’Osce, per il suo carattere di neutralità e la sua serietà d’inda-gine non deve lasciare nessuno distratto o indifferente. Non pos-siamo di nuovo, per motivi diversi e opposti, dopo il crollo delle grandi dittature del secolo scorso divenire, in nome di una falsa tol-leranza, una Chiesa muta.

affrontare siano due, se escludiamo il tema delle intercettazioni, ovvero la reintroduzione dell’immunità e la separazione delle carriere fra magistrato requirente e magistrato giudicante.

Per quanto riguarda la prima, si discute se reintrodurre questa garan-zia solo per le cariche alte dello Stato o per tutti i parlamentari.

Non si può escludere però l’esperienza storica, che dimostra quale abuso vi sia stato dell’immunità: era stata tramutata in una tutela per evitare inchieste scomode.

Se davvero dovesse essere rein-scrita, dovrebbe essere diversa rispetto a prima, senza dubbio non così automatica.

La seconda questione mi spaven-ta: ho paura della separazione delle carriere, che si può attuare solo con una revisione costituzionale, soprattutto per quanto riguarda l’in-dipendenza del pubblico ministero.

Si potrebbe direttamente eli-minare, provvedimento non desi-derabile, in quanto renderebbe il magistrato requirente un dipendente diretto del Ministero della Giustizia, chiunque esso sia. All’estero ne esi-stono di casi simili, ma in Italia ren-derebbe lo scenario preoccupante. Altrimenti l’indipendenza potrebbe essere mantenuta pur separando le carriere, ma non trovo neanche que-sto augurabile: si rischia l’opposto di quello che si vuole ottenere.

Troppo spesso si dimentica che il pubblico ministero non è un accusatore puro e semplice, ma un funzionario che agisce nell’interesse e in difesa della legge. Se si stacca dalla giurisdizione, rendendolo au-toreferenziale, si rischia di creare un corpo di inquisitori tesi a esaltare fino agli estremi limiti la funzione accusatoria. Sarebbe ugualmente preoccupante.

Invece credo che si dovrebbe continuare quel trend legislativo che piuttosto lavora sulla separazione delle funzioni, situazione assai diver-sa: non rompe l’unicità di fondo fra requirenti e giudicanti.

Sarebbe auspicabile rendersi conto che la magistratura è un servizio per i cittadini utenti e, in quanto tale, necessita di fondi: essa è logisticamente abbandonata a se stessa, ma questo è un punto che non è all’ordine del giorno. Servirebbero maggiori risorse di personale, stru-mentali, per rendere questo servizio realmente efficiente.

Il problema della giustizia in Italia chiama direttamente in causa le risorse, nonché la necessità di adeguamenti normativi e processuali: escludendo il problema delle carceri, che già di per sé è enorme, il pro-cesso penale è lento ed inefficiente; non suggerisco certo scorciatoie costituzionali, come potrebbe essere il processo penale, ma va tenuto in considerazione che l’Italia detiene un record per i reati caduti in prescri-zione data la lentezza processuale.

Anche la giustizia civile è al collasso: il problema è grande, sia per la tutela del cittadino che per il sistema paese, anche solo in termini di competitività.

Per attrarre gli investimenti esteri uno Stato deve avere certi requisiti, e fra questi vi è l’efficienza della giustizia civile.

L’Italia, non a caso, è uno degli ultimi paesi in Europa.

R.

1526 DICEMBRE 2010 n. 46VitaLa

Voto a tonGaA Tonga, arcipelago nazione del Pacifico, si sono svolte alla fine di novembre le prime elezioni in 165 anni di storia. Voluto dal re George Tupou V, al trono dal settembre 2006, il voto ha premiato il Democra-tic party of the Friendly Islands capeggiato dall’ex insegnante Akilisi Pohiva, con 14 dei 17 seggi nel par-lamento della capitale Nu-ku’alofa. Grazie ai 42mila votanti, su 110mila abitanti, per la prima volta la mag-gioranza dei parlamentari è stata eletta dal popolo an-ziché nominata dal sovrano. Nel precedente sistema. meno di un terzo (nove deputati) era costituito da “plebei” nella camera di 26; nel nuovo parlamento il loro numero sale a 17, con i restanti 9 nominati dai nobili.

india e sViluPPoTerra in rapida crescita economica, l’India si con-ferma paese in cui investire. Nel contempo, le imprese indiane sono in cerca di nuovi mercati ed ora pun-tano sull’Irlanda dove con-tano di investire 100 milio-ni di dollari nel 201l; la re-pubblica d’Irlanda, secondo le strategie messe a punto nel grande paese asiatico. rappresenterà nell’imme-diato avvenire una base importante di riferimento per le prospettive indiane di sviluppo in Europa. Se i settori di attività bancaria, edilizia ed immobiliare, afferma l’ambasciatore irlandese in India (Kenneth Thompson), sono giudicati a rischio, altre e più ampie possibilità di investimento esistono nei campi dell’in-formatica e della ricerca scientifica.

mondoe miGrazioneIl rapporto sulla migrazione nel mondo 2010, compilato dall’organizzazione inter-nazionale per le migrazioni (Oim), sostiene che il pianeta “sarà colto impre-parato dalla migrazione se gli stati, le organizzazioni internazionali e la socie-tà civile non uniranno le loro forze per rispondere alle prossime sfide”. Per un’emergenza di questa portata, sono stati insuf-ficienti i milioni di dollari spesi per irrobustire la ca-pacità di gestione dei flussi migratori, l’attuale numero dei migranti si aggira into-mo ai 214 milioni, e potrà giungere a 405 milioni en-tro il 2050. Senza adeguati investimenti, il fattore di crisi è destinato ad acuirsi, ha denunciato il direttore generale dell’Oim, Swing.

Dal mondoLdall’estero

e recent i t ra t t a t i ve di una vera e propr ia t r a t t a t i v a tra il gover-no di Kabul

e i principali capi dei Talebani confermano amaramente l’impasse occidentale in Af-ghanistan. Mentre il congresso degli Stati Uniti ha stanziato altri 50 miliardi di dollari per finanziare la guerra, la coalizione internazionale si pone forti interrogativi sulla gestione e la sostenibilità delle operazioni militari, invocando una strategia d’uscita.

Sul terreno, intanto, i Tale-bani, anziché ritirarsi, spesso ramificano la propria pre-senza, finanziandosi nei modi più vari. “Qui i talebani fanno quello che vogliono – afferma Mohammad Omar, governato-re di Kunduz – uccidono, tor-turano, fanno a gara nell’im-porre il controllo del racket”. Omar ricorda l’ampiezza del sistema di estorsione messo in piedi dal suo omologo Ta-lebano, il ‘governatore ombra’ di Kunduz, che preleva una percentuale su quasi tutto ciò che si costruisce nella regione: strade, ponti, scuola, ospedali. Più si ‘ricostruisce l’Afghani-stan – dice – e più i Talebani si arricchiscono.

Un prezzo da pagare, se-condo Wali Mohamad Rasuli, ex viceministro del lavori pubblici, perché, spiega, “se finiamo le strade, la circolazio-ne e il commercio porteranno automaticamente maggiore sicurezza”. Al momento, però, sono parecchie le imprese di sicurezza e di trasporto che si

Impasse dell’occidentenello scenario afghano

Sul terreno i Talebani ramificano la propria presenza finanziandosi

nei modi più varidi Angela Carusone

specifiche e garantisce una certa impunità”.

“Le truppe statunitensi, britanniche e degli altri Paesi della coalizione sono in Afgha-nistan per vincere la guerra: per noi, più la situazione dal punto di vista della sicurez-za si deteriora e meglio è”, ha ammesso un contractor britannico,

Grazie al numero dei loro effettivi, al loro insediamento nel cuore degli stati maggiori dei diversi organismi interal-leati e alle loro connessioni internazionali, queste società militari private sono nelle condizioni di influenzare le decisioni militari relative alle operazioni.

Come in Iraq, l’impiego dei ‘soldati in affitto’ contribu-isce a screditare l’intervento internazionale. “L’effetto è devastante – sottolinea un membro del Parlamento af-gano – perché la popolazione non sa riconoscere un soldato della forza multinazionale da un contractor: la confusione è grande e la coalizione non ne trae vantaggio, tenuto conto del comportamento spesso molto aggressivo dei com-battenti privati”. Non muo-vendosi nello stesso quadro giuridico degli eserciti statali, le società militari private di fatto danneggiano insomma la percezione della Forza multi-nazionale da parte degli afgani.

parsa negli anni Novanta, le società militari private han-no conosciuto uno sviluppo molto rapido: attualmente – scrive Marie Dominique Charlier, analista presso l’Isti-tuto di ricerca strategica della Scuola militare di Pari-gi – esse rappresentano un attore essenziale nei conflitti, tanto sul piano militare che su quello economico; il mercato mondiale di questo settore ammonta a più di 70 miliardi di euro l’anno. La stima degli effettivi delle società militari private presenti in Afghani-stan oscilla tra i 130mila e i 160mila uomini, e l’impiego supplementare do 30mila soldati nel Paese potrebbe es-sere accompagnato dall’invio di 56mila nuovi ‘contractor’. Ora, la loro attività assorbe una parte non trascurabile dei fondi destinati alla ricostru-zione dell’Esercito nazionale afgano.

Oltre all’ampia conver-genza che queste società han-no con gli interessi dei grandi gruppi industriali americani, esse sono particolarmente ambite dai militari statunitensi, cosi0 che il loro stato maggio-re è generalmente composto da anziani ufficiali: questi or-ganizzano così la loro carriera in una continuità naturale tra settore pubblico e privato. “Questa prossimità – avverte Charlier – conferisce loro fa-cilità di accesso a informazioni

sono lamentate a più riprese con l’esercito degli Stati Uniti per le perdite finanziarie cau-sate dal ricorso sistematico ai signori della guerra, ricordan-do che spesso ci sono strade dove l’equilibrio dei poteri è precario e nessun signore della guerra garantisce da solo l’intero percorso.

Non è quindi solo l’oppio a riempire le casse dei Taleba-ni; secondo un rapporto pub-blicato di recente dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, l’oppio rappresenta solo il 10-15 per cento degli introiti dei Talebani, L’unità di intelligence finanziaria della Banca Centra-le ha registrato il transito nel

Paese di 1,3 miliardi di dollari in banconote e, anche se tutto questo denaro non è legato solo ai Talebani, perché alcune somme sono parte dell’aiuto internazionale sottratto da personaggi ufficiali, e altre al traffico di droga, una buona fetta è andata sicuramente a fi-nanziare l’attività degli insorti.

Con il passare degli anni la forza multinazionale ha quindi dovuto cambiare spesso stra-tegia nel Paese, senza peraltro mai riuscire a controllare davvero il territorio.

E, da ultimo, ha affidato al-cune attività a società private, reiterando i rischi che già si sono resi evidenti in Iraq.

A partire dalla loro com-

edici anni non sono proprio come un batter di ciglia. So-prattutto

quando questo tempo è passato in un altro Paese, l’Eritrea, dove ho vissuto la gioia della liberazione e la sofferenza di una guerra... continua. Un missionario non è un sociologo o un politologo, è semplicemen-te una persona che vive con la gente, con i giovani e i ragazzi, come sono stato chiamato a fare io, in Asmara.Se i primi anni, dopo il 1993, anno del referendum e della ufficiale “liberazio-ne”, sono stati caratterizza-ti dalla gioia e dall’entusia-smo, ora si è passati ad una stagione che definirei “sen-za speranza”. Quello che a noi appare come emergen-za lì è quotidianità. Tuttora non riesco a capire come fa una famiglia a vivere, senza lavoro, senza reddito, con tanti figli da mantene-re. Eppure la disperazione di chi cerca di uccidersi per la povertà è rara; sono casi unici quelli dei ragazzi

Eritrea

I volti della paura La tragedia nel deserto del Sinai letta da un missionario

di Flavio Paoli

sche abbiamo soccorso e alloggiato da noi perché la mamma, sordomuta, con l’affitto di casa sempre più alto da pagare e un marito senza lavoro e quattro figli da mantenere ha cercato di togliersi la vita.Ciò che fa più stupore e che spaventa maggiormente è proprio la mancanza di speranza. Ne sono vittime, ad esempio, i giovani che - frequentato l’ultimo anno di scuola al liceo italiano di Asmara - non vedono altra prospettiva che la fuga, perché il Paese non offre possibilità né di studio né di lavoro. È difficile far capire: “Io sono venuto dall’Europa fino a voi per aiutarvi a dare un senso alla vita, e voi volete scappare dal vostro Paese?”. Ma come dargli torto se si sentono prigio-nieri in tutti i sensi non po-tendo né parlare o pensare liberamente e nemmeno

cercare o creare una fonte di guadagno, un lavoro che dia senso al vivere?Per cercare di fare qualcosa abbiamo aperto le porte della nostra casa religiosa ai ragazzi di strada, che hanno cominciato ad affollare le strade di Asmara già nel 2001, dopo l’ultima guerra con l’Etiopia: una guerra ufficialmente conclusa, ma mai finita nell’animo di chi comanda. I ragazzi più pic-coli hanno sempre trovato in noi un aiuto, un conforto, una reale possibilità di vi-vere serenamente la loro fanciullezza.Perché tanta violenza nei confronti di chi scappa o cerca di farlo? In realtà, se la società è retta sulla pau-ra non ci si può meraviglia-re se i metodi sono violenti. Paura di qualcuno che ci può invadere e prendere la nostra libertà conquistata a caro prezzo. Paura che

il vicino o il compagno o parente stretto parli male di te e ti denunci. Paura che quello che fai non sia accettato da chi comanda e quindi ne paghi poi le con-seguenze. Anche paura di pregare con degli amici in casa, dato che alcuni hanno visto la prigione per questo e ci sono rimasti per dei giorni! È facile che questi giovani, vissuti per anni in queste paure, non abbiano poi più paura di niente e siano capaci di sfidare il deserto, il mare, i predatori senza scrupoli.A scuola spesso i ragazzi mi domandavano: “Per un cristiano è lecito imparare a sparare?”. Fare il servizio militare in Eritrea non è solo formalità, perché poi la guerra a quel tempo c’era veramente sul confine! Le domande. Lì, sono più che mai reali, e le risposte non sempre arrivano, anzi... Noi

che sapremmo rispondere? Io non so che dire; faccio un appello alla coscienza e invito ciascuno sempre a confrontarsi con Gesù Cri-sto e la sua Parola.Ecco; lì ho trovato la vera fede. Ho regalato una Bibbia ad un mio amico, un papà di famiglia di tre bambini, andato al servizio militare dodici anni fa. Me l’ha riposta tutta scritta e sottolineata, segno di un vissuto di altri tempi, che io pensavo esistesse solo nei vecchi film. Invece era ed è reale: per lui, per tanti giovani e uomini di quella terra la Bibbia è l’unico vero appiglio ad una vita che altrimenti non avrebbe senso. Io, come prete, sono sprofondato.Con tutti questi ricordi nel cuore potete immaginare come vivo io oggi, qui in Italia, tra liti di politici e urla altisonanti su cose che, viste dal deserto dell’Eri-trea, non hanno alcun sen-so. Il senso della vita è ben altro e io sono chiamato rinnovarlo ogni giorno, sicuro che il Signore della vita mi aiuterà a vincere anche questa volta.

16 musica e spettacolo n. 46 26 DICEMBRE 2010 LaVita

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80 anni e Oscar alla carriera

Godard, il provocatorepassione di Giovanna d’Arco” e ci accorgiamo che le dida-scalie del film commentano metacinematograficamente la sua vita di prostituta. Una blasfemia d’autore, ancor oggi famosissima, com’è celeber-rima la sequenza di Brigitte Bardot completamente nuda, distesa sul letto, che –all’inizio de “Il disprezzo”- domanda a Michel Piccoli quale parte del suo corpo ami di più. Sfortu-natamente per gli spettatori italiani la sequenza fu tagliata dall’edizione montata per il nostro paese, deturpata an-che nel sonoro, visto che la partitura d’archi di Georges Delerue fu sostituita dal jazz d’avanguardia di Piero Piccio-ni. Nondimeno, nonostante alcuni storici del cinema, dicano il contrario, il film è noiosissimo anche nella ver-sione originale, ancor più del già piuttosto soporifero libro di Moravia da cui è tratto.

Godard è stato amatis-simo da molti colleghi per questa sua incessante stravol-gimento del decoupage clas-sico, Bertolucci e Tarantino su tutti. Il primo, dopo aver dichiarato iperbolicamente nei ’60 che per un’inquadra-tura di Godard era disposto non solo ad uccidere ma a farsi uccidere, negli anni ’80, da presidente della Giuria del Festival di Venezia, gli assegnò un Leone d’Oro per “Prenom Carmen”, rivisitazione mo-

Cinema

Non solo gagC’è anche qualcosa di buono in “Megamind”

di Paola Dalla Torre

come ogni Natale cinema-tografico che si rispetti,

anche questo anno tra le offerte del grande scher-mo abbiamo una pellicola d’animazione che possa al-lietare i più piccoli, ma che sia, oggi più che mai, anche in grado di far divertire i più grandi. Questo Natale cinematografico sarà domi-nato dal film d’animazione della Dreamworks “Mega-mind” che in America ha già sbancato il botteghino. Sarà un Natale, n po’ irri-verente, dal momento che la Dreamworks è la casa cinematografica di film come “Shrek” o “Kung Fu Panda”, che sono stati in grado di ribaltare la morale comune dei cartoni animati in modo divertente e sor-prendente, offrendo uno sguardo inedito sul mondo valoriale che raccontano. C’è da dire, infatti, che il genere dell’animazione ri-mane sempre e comunque un genere “morale”, nel senso che offre sempre e comunque un universo morale come base alle storie che racconta. La

a t o a Parigi da una fami-glia agia-t i s s i m a di origi-

ne ginevrina, Jean-Luc Go-dard compie il 3 dicembre ottant’anni. A parte questo ragguardevole genetliaco, il regista transalpino sta fa-cendo parlare di sé per via dell’Oscar alla carriera che L’Accademia losangelina ha deciso di conferirgli in onore del suo operato artistico. Lo dico subito, prima di creare equivoci imbarazzanti: non baratterei nemmeno sotto tortura un qualunque foto-gramma di Truffaut con l’ope-ra omnia godardiana, eppure non posso non rilevare che la sua filmografia occupa un posto fondamentale nel decennio del rinnovamento cinematografico –quello dei Sessanta. Già “A bout de so-ufflè-Fino all’ultimo respiro” rappresentò –su soggetto di Truffaut- una sterzata violenta verso l’anticlassicismo: riprese per la strada, uso massiccio della camera a mano, un plot poliziesco poggiato più su una Stimmung cupa e nervosa più che sui dialoghi, invero ridotti all’osso, una cinofilia dirompente che, nelle opere successive, diverrà quasi mor-bosa, quasi autoreferenziale, se è vero –com’è vero- che alcuni protagonisti si chiama-no ora Lubitsch ora Widmark, proprio come i registi e gli attori da lui amati. Addirittura Godard recluterà cineasti da lui amatissimi per interpretare parti non irrilevanti: Fritz Lang

differenza è che alcune pellicole riescono a gestire questo universo attraverso un punto di vista inedito, ribaltando gli stereotipi legati al bene e al male, ma facendo sempre vincere alla fine i buoni. “Megamind” fa esattamente questo: ribalta tutta una serie di stereotipi per ribadire però sempre e comunque la forza del bene e della morale. E l’essenza della pellicola sta tutta nella convinzione che ognuno di noi può trovare la sua strada verso il bene e dimostrarsi eroe a proprio modo, secondo la propria personalità. La storia rac-conta di due super-eroi entrambi sparati da un pianeta prossimo all’auto-distruzione quando ancora erano bambini e atterrati sulla Terra in contesti diver-si, Metro Man e Megamind sono l’uno lo specchio dell’altro. Il primo, bello, atletico e pieno di tutte le

virtù, è l’idolo delle folle già da piccolo, il secondo, cresciuto in un penitenzia-rio, di attitudine curiosa ma molto più imbranato, non può che dedicarsi al male per poter riuscire in qual-cosa, per essere qualcuno. Nascono così il supereroe e il supercattivo di Metro City. Uno mette in peri-colo la città, l’altro salva le persone. Almeno fino a che inaspettatamente Mega-mind non riesce nell’impre-sa che per antonomasia è negata ai cattivi da fumetto: uccidere Metro Man. A quel punto il supercattivo, libero di spadroneggiare come ha sempre sognato di fare, si rende conto di quanto gli manchi il suo opposto per essere completo e cerca di trovare qualcuno che lo rimpiazzi. Scoprirà che, forse, questa volta, a fare il buono dovrà essere proprio lui. Il film è girato in 3D e non mancano sce-

ne d’azione fulminanti che giocano tutto sul coinvol-gimento quasi fisico dello spettatore. Ma il 3D in questa pellicola viene utiliz-zato anche per migliorare l’espressività dei personaggi disegnati in computer grafica, in maniera tale da rendere la storia capace di trasmettere sensazioni in maniera più sottile e raffinata. A fronte delle solite smorfie e mossette, finalizzate alle gag fisiche e verbali, in “Megamind” sono presenti anche alcuni momenti seri molto intensi proprio grazie all’espressi-vità visuale. Accade così che il racconto in forma anima-ta di supereroi e supercat-tivi da un altro mondo, ri-esca a parlare di umanità e sentimenti meglio di tanto altro cinema. Ricordandoci come le fiabe siano il modo migliore per veicolare mes-saggi e costruire l’orizzonte di senso di una comunità.

n

ne “Il disprezzo” e Samuel Ful-ler (molto amato da Godard grazie a “Quaranta pistole”, influenza primaria dell’opera prima) ne “Il bandito delle ore 11”, storia che si conclude con il suicidio di Pierrot-Belmon-do, commentato da versi di Rimbaud recitati da una voce off. Niente di eccezionale –come ovvio- eppure al tempo una chiusa simile faceva molto chic, erano sequenze, queste, che sollecitavano dibattiti per-sino negli ambienti letterari.

Come quando, ad esempio, tra due personaggi che parlano al bancone di un bar, Godard inquadra i bicchieri lasciando i volti fuori campo, oppure quando, ne “La cinese”, lascia intatti nel montaggio i ciak o mostra l’operatore Coutard dietro la cinepresa, mesco-lando indissolubilmente e impietosamente verità e fin-zione. In “Questa è la mia vita “ Anna Karina (prima moglie del regista) entra in un cinema in cui stanno proiettando “La

dernista dell’eroina di Bizet, film di fatto inconcludente; il secondo ha chiamato la propria casa di produzione “Band à part”, uno dei titoli godardiani degli anni ’60, in cui c’è la nota scena in cui dei ragazzi cronometrano una corsa all’interno del Louvre –omaggiata in “The dreamers”. E’ vero anche, tuttavia, che Godard lo hanno detestato in parecchi, da Philip Roth a Billy Wilder, che una volta affermò :- Dietro la facciata dell’intellettuale si nasconde solo un dilettante”; un gior-nalista francese di grido ha scritto di recente che ormai solo il pubblico di Francia può interessarsi alle tristi sorti di

un egomaniaco come Godard, autore di film che non vede nessuno, il quale può confidare nel fatto che una ristretta elite intellettuale è ancora prigio-niera della vetusta convinzione che se un film annoia a morte allora ha un messaggio impor-tante da proporre. Sono giudi-zi pesanti, livorosi a volte, ma contengono un fondo di verità. Dai tempi di “Week-end” (era il ’68 e la didascalia conclusiva recitava non “Fine” ma “Fine del cinema”) Godard ha girato quasi un film all’anno e non ce n’è uno degno di essere ricordato. La statura d’autore (per giunta, con la maiuscola) che alcuni gli hanno tributato si è sgretolata nel giro di pochi anni quando non ha avuto più nulla da dire, né nella forma né nei contenuti.

Francesco Sgarano