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Anno 121 4 NOVEMBRE 2018 e Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Filiale di Pistoia Direzione, Redazione e Amministrazione: PISTOIA Via Puccini, 38 Tel. 0573/975095 e_mail: [email protected] www.settimanalelavita.it Abb. annuo e 50,00 (Sostenitore e 65,00) c/cp n. 11044518 Pistoia V ita La G I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O e 1,20 dal 1897 La Vita è on line clicca su www.settimanalelavita.it 39 e ritorniamo ancora una volta sulle difficoltà di alcune pagine del Vangelo non è per il gusto della ripetizione, ma perché, specialmente nei giova- ni, si registrano reazioni che non dovrebbero esserci se si tenessero presenti certi principi, alcuni dei quali sono facilmente individuabili e comunicabili agli altri. L’analisi cri- tica dei quattro piccoli libri che for- mano i testi base della vita di Gesù è talmente avanzata che, per trovarsi in pari occorre una vera e propria specializzazione approfondita e raf- finata, di cui non tutti, per diversi motivi, possono essere capaci. Ci sono dei criteri però che, ben spie- gati, possono essere tenuti presenti da tutti, eliminando in tal modo in- comprensioni, confusioni, fraintesi, che poi disturberebbero la mente del lettore attento. Ne citiamo alcuni da accogliersi senza meraviglia e, meno che mai, come motivo di scandalo. Un principio da tutti riconosciu- to, non soltanto in teoria ma anche nella pratica, è quello che, non sol- tanto i vangeli, ma tutti quanti i libri della Bibbia, sono certamente parola di Dio, ma contengono anche il pen- siero e la parola dell’uomo. È facile, anzi normale, che qualcuno esasperi il principio in un senso o in un altro, evidentemente per motivi opposti, ma il principio va conservato. Il caso di Galileo non è certo l’unico, forse nemmeno il più grave, anche se il più famoso che si contenga nei libri ispirati. Perché contenenti parola di uomo, anche i vangeli, contengono errori, contraddizioni, anche nello stesso autore, affermazioni scientifi- che sbagliate, date ed e eventi della storia, giudizi, valutazioni e si vada dicendo. Normalmente, per que- ste strade, non si incontrano errori fuorvianti, ma il lettore avvertito deve essere capace di vedere l’ine- sattezza e saperla correggere senza alcuna difficoltà e con disinvoltura. I vangeli non sono libri di scienza o di storia, ma sostanzialmente libri di fede, catechesi, istruzioni sacre, con fondamento storico. Un genere letterario “sui generis”, che sarebbe erroneo leggere in altro senso e con altre intenzioni. A volte l’intervento umano, più che episodico, può essere anche di mentalità che, come tale, può per- durare nel tempo e passare di libro in libro che, tutto sommato, occupa- no uno spazio quasi bimillenario. Un caso particolare è quello dell’anti- femminismo che si radica in partico- lare in alcuni libri, sia del primo che del secondo Testamento, ma che, se si eccettua categoricamente il pen- siero di Gesù Cristo, in qualche modo pervadono lo spirito dell’intera rac- colta. Un errore, un punto di vista, da correggere, perché certamente non esprime il pensiero di Dio. La letteratura femminile della Bibbia S Per una lettura aggiornata del Vangelo si è incaricata con fatica e lodevol- mente a leggere i testi tramandateci in tutt’altro senso. Altrettanto può essere detto della violenza, della guerra, della vendet- ta, di certe particolari pratiche, per- fino raccomandate, come, per esem- pio, quella del herem, almeno intesa come distruzione totale del nemico vinto e di tutto ciò che gli apparte- neva. Bisogna distinguere bene il sa- cro dal profano: anche collocar certe espressioni sotto la dizione “Parola di Dio”, può essere pericoloso e fon- te di confusione. Pure il riconoscimento e la distin- zione dei diversi generi letterari è indispensabile per non cadere in er- rori grossolani, tanto più che questa distinzione vige ancora nel campo della letteratura: la parabola non narra di per sé un fatto realmente avvenuto e un romanzo storico non racconta una storia totalmente vera. Quello che conta in questi casi è l’in- segnamento morale e spirituale che si vuole trasmettere. Anche l’intenzione dei diversi autori va studiata bene prima di ar- rivare alla vera lettura del loro pen- siero. Si pensi ai racconti natalizi di Matteo e Luca, i quali, certamente su alcuni episodi storici costruiscono dei racconti che intendono mettere subito in luce la divina natura del Bambino di Betlemme, donandoci due meravigliosi scritti certamente più pasquali che natalizi. E anche il racconto dei miracoli può rientrare in parte in questa categoria, volendo far toccare quasi con mano la gran- dezza onnipotente di Gesù. Oggi, sotto le severa critica del miracolo da parte degli scienziati, il discorso dei miracoli va ripreso radicalmente in mano e impostato in altra ma- niera. Gesù ha fatto certamente dei miracoli (si dice guarigioni ed esorci- smi), ma il numero e la natura vanno in parte limitati. Su un tema così delicato, è bene che chi ne deve par- lare consulti prima qualche autore autorevole e aggiornato (il Cardinale W. Kasper, per esempio). Anche il linguaggio della risurrezione, che ri- mane il fatto fondamentale dell’esi- stenza terrena del Figlio di Dio, va rivisto, senza lasciarsi incantare dai pittori, che hanno bisogno dell’im- magine, nella consapevolezza che il grande evento rimane al di là di ogni immaginazione, perché è semplice- mente l’ingresso nell’eternità. Giordano Frosini IL SINODO DEI GIOVANI ALL’ORDINE DEL GIORNO I nostri interventi all’uscita del documento ufficiale consegnato al Papa il quale, su di esso, costruirà il documento post-sinodale

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Anno 121

4 NOVEMBRE 2018

e 1,10

Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p.D.L. 353/2003 (conv. inL. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Filiale di PistoiaDirezione, Redazionee Amministrazione:PISTOIA Via Puccini, 38Tel. 0573/975095e_mail: [email protected]. annuo e 50,00(Sostenitore e 65,00)c/cp n. 11044518 Pistoia VitaLa

G I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O e 1,20

dal 1897

La Vita è on lineclicca su

www.settimanalelavita.it

39e ritorniamo ancora una volta sulle difficoltà di alcune pagine del Vangelo non è per il gusto della ripetizione, ma perché, specialmente nei giova-

ni, si registrano reazioni che non dovrebbero esserci se si tenessero presenti certi principi, alcuni dei quali sono facilmente individuabili e comunicabili agli altri. L’analisi cri-tica dei quattro piccoli libri che for-mano i testi base della vita di Gesù è talmente avanzata che, per trovarsi in pari occorre una vera e propria specializzazione approfondita e raf-finata, di cui non tutti, per diversi motivi, possono essere capaci. Ci sono dei criteri però che, ben spie-gati, possono essere tenuti presenti da tutti, eliminando in tal modo in-comprensioni, confusioni, fraintesi, che poi disturberebbero la mente del lettore attento. Ne citiamo alcuni da accogliersi senza meraviglia e, meno che mai, come motivo di scandalo.

Un principio da tutti riconosciu-to, non soltanto in teoria ma anche nella pratica, è quello che, non sol-tanto i vangeli, ma tutti quanti i libri della Bibbia, sono certamente parola di Dio, ma contengono anche il pen-siero e la parola dell’uomo. È facile, anzi normale, che qualcuno esasperi il principio in un senso o in un altro, evidentemente per motivi opposti, ma il principio va conservato. Il caso di Galileo non è certo l’unico, forse nemmeno il più grave, anche se il più famoso che si contenga nei libri ispirati. Perché contenenti parola di uomo, anche i vangeli, contengono errori, contraddizioni, anche nello stesso autore, affermazioni scientifi-che sbagliate, date ed e eventi della storia, giudizi, valutazioni e si vada dicendo. Normalmente, per que-ste strade, non si incontrano errori fuorvianti, ma il lettore avvertito deve essere capace di vedere l’ine-sattezza e saperla correggere senza alcuna difficoltà e con disinvoltura. I vangeli non sono libri di scienza o di storia, ma sostanzialmente libri di fede, catechesi, istruzioni sacre, con fondamento storico. Un genere letterario “sui generis”, che sarebbe erroneo leggere in altro senso e con altre intenzioni.

A volte l’intervento umano, più che episodico, può essere anche di mentalità che, come tale, può per-durare nel tempo e passare di libro in libro che, tutto sommato, occupa-no uno spazio quasi bimillenario. Un caso particolare è quello dell’anti-femminismo che si radica in partico-lare in alcuni libri, sia del primo che del secondo Testamento, ma che, se si eccettua categoricamente il pen-siero di Gesù Cristo, in qualche modo pervadono lo spirito dell’intera rac-colta. Un errore, un punto di vista, da correggere, perché certamente non esprime il pensiero di Dio. La letteratura femminile della Bibbia

S

Per unaletturaaggiornatadel Vangelo

si è incaricata con fatica e lodevol-mente a leggere i testi tramandateci in tutt’altro senso.

Altrettanto può essere detto della violenza, della guerra, della vendet-ta, di certe particolari pratiche, per-fino raccomandate, come, per esem-pio, quella del herem, almeno intesa come distruzione totale del nemico vinto e di tutto ciò che gli apparte-neva. Bisogna distinguere bene il sa-cro dal profano: anche collocar certe espressioni sotto la dizione “Parola di Dio”, può essere pericoloso e fon-te di confusione.

Pure il riconoscimento e la distin-zione dei diversi generi letterari è indispensabile per non cadere in er-rori grossolani, tanto più che questa distinzione vige ancora nel campo della letteratura: la parabola non narra di per sé un fatto realmente avvenuto e un romanzo storico non racconta una storia totalmente vera. Quello che conta in questi casi è l’in-segnamento morale e spirituale che si vuole trasmettere.

Anche l’intenzione dei diversi autori va studiata bene prima di ar-rivare alla vera lettura del loro pen-siero. Si pensi ai racconti natalizi di Matteo e Luca, i quali, certamente su alcuni episodi storici costruiscono dei racconti che intendono mettere subito in luce la divina natura del Bambino di Betlemme, donandoci due meravigliosi scritti certamente più pasquali che natalizi. E anche il racconto dei miracoli può rientrare in parte in questa categoria, volendo far toccare quasi con mano la gran-dezza onnipotente di Gesù. Oggi,

sotto le severa critica del miracolo da parte degli scienziati, il discorso dei miracoli va ripreso radicalmente in mano e impostato in altra ma-niera. Gesù ha fatto certamente dei miracoli (si dice guarigioni ed esorci-smi), ma il numero e la natura vanno in parte limitati. Su un tema così delicato, è bene che chi ne deve par-lare consulti prima qualche autore autorevole e aggiornato (il Cardinale

W. Kasper, per esempio). Anche il linguaggio della risurrezione, che ri-mane il fatto fondamentale dell’esi-stenza terrena del Figlio di Dio, va rivisto, senza lasciarsi incantare dai pittori, che hanno bisogno dell’im-magine, nella consapevolezza che il grande evento rimane al di là di ogni immaginazione, perché è semplice-mente l’ingresso nell’eternità.

Giordano Frosini

IL SINODO DEI GIOVANI ALL’ORDINE DEL GIORNOI nostri interventi all’uscita del documento ufficiale consegnato al Papa il quale, su di esso,costruirà il documento post-sinodale

2 n. 39 4 novembre 2018 LaVitaprimo piano

Le nostre debolezze non vi scoraggino, le fragilità e i peccati non siano ostacolo alla vostra fiducia. La Chie-

sa vi è madre, non vi abbandona”. È uno dei passi centrali della lettera indirizzata dai padri sinodali ai giova-ni, letta nella basilica di San Pietro, al termine della Messa di chiusura del Sinodo, prima della benedizione so-lenne impartita dal Papa. “La Chiesa e il mondo hanno urgente bisogno del vostro entusiasmo. Fatevi compagni di strada dei più fragili, dei poveri, dei feriti dalla vita. Siete il presente, siate il futuro più luminoso”, la consegna per il dopo-Sinodo. Ecco il testo integrale della lettera:

“A voi, giovani del mondo, ci rivol-giamo noi padri sinodali, con una parola di speranza, di fiducia, di consolazione. In questi giorni ci siamo riuniti per ascoltare la voce di Gesù, ‘il Cristo eternamente giovane’, e riconoscere in Lui le vostre molte voci, le vostre grida di esultanza, i lamenti, i silenzi. Sappiamo delle vostre ricerche interiori, delle gioie e delle speranze, dei dolori e delle angosce che costituiscono la vostra inquietudine. Desideriamo che adesso ascoltiate una parola da noi: vogliamo essere collaboratori della vostra gioia affinché le vostre attese si trasformino in ideali. Siamo certi che sarete pronti a impegnarvi con la vostra voglia di vivere, perché i vostri sogni prendano corpo nella vostra esistenza e nella storia umana. Le nostre debolezze non vi scoraggino, le fragilità e i peccati non siano ostacolo alla vostra fiducia. La Chiesa vi è madre, non vi abbandona, è pronta ad accompagnarvi su strade nuove, sui sentieri di altura ove il vento dello Spirito soffia più forte, spazzando via le nebbie dell’indifferenza, della superficialità, dello scoraggiamento. Quando il mondo, che Dio ha tanto amato da donargli il suo Figlio Gesù, è ripiegato sulle cose, sul successo imme-diato, sul piacere e schiaccia i più deboli, voi aiutatelo a rialzarsi e a rivolgere lo sguardo verso l’amore, la bellezza, la verità, la giustizia. Per un mese abbiamo camminato insieme con alcuni di voi e molti altri legati a noi con la preghiera e l’affetto. Desideriamo continuare ora il cammino in ogni parte della terra ove il Signore Gesù ci invia come discepoli missionari. La Chiesa e il mondo hanno urgente bisogno del vostro entusiasmo. Fatevi compagni di strada dei più fragili, dei poveri, dei feriti dalla vita. Siete il presente, siate il futuro più luminoso”.

Sinodo 2018

l testo – attraversato dal filo rosso dell’episodio evange-lico dei discepoli di Emmaus – si articola in tre parti. La

prima mette a punto la situazione contestuale in cui i giovani sono inseriti, evidenziandone i punti di

Il senso del documento finale

I

“Il risultato delSinodo non è un documento - haspiegato PapaFrancesco a chiusuradei lavori-:lo Spirito Santo ce lo affida perchélavori nei nostri cuori. Siamo noii destinatari deldocumento finale”

forza e le sfide. Una seconda parte è interpretativa: muove dalla fiducia che attraverso la creatività, l’impegno, le sofferenze e le richieste di aiuto dei giovani Dio parla alla Chiesa e al mondo. Infine, la terza parte raccoglie le scelte per una conversione spiri-tuale, pastorale e missionaria.

“Su tutti effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie profete-ranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni» (At 2,17; cfr. Gl 3,1)”. Si apre così l’intro-duzione del documento finale del Sinodo dei giovani, approvato, punto per punto, ben oltre la maggioranza qualificata dei due terzi.

“Su tutti effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie profete-ranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni» (At 2,17; cfr. Gl 3,1)”. Si apre così l’intro-duzione del documento finale del

Sinodo dei giovani, approvato, punto per punto, ben oltre la maggioranza qualificata dei due terzi.

“È l’esperienza che abbiamo fatto in questo Sinodo, camminando insie-me e ponendoci in ascolto della voce dello Spirito – si legge nel testo -. Egli ci ha stupito con la ricchezza dei suoi doni, ci ha colmato del suo coraggio e della sua forza per portare al mondo la speranza. Abbiamo camminato insieme, con il successore di Pietro, che ci ha confermato nella fede e ci ha rinvigoriti nell’entusiasmo della missione – prosegue l’introduzione -. Pur provenendo da contesti molto diversi dal punto di vista culturale ed ecclesiale, abbiamo avvertito fin dall’inizio una sintonia spirituale, un desiderio di dialogo e una vera empatia. Abbiamo lavorato insieme, condividendo ciò che ci stava più a cuore, comunicando le nostre

preoccupazioni, non nascondendo le nostre fatiche. Tanti interventi hanno generato in noi commozione e compassione evangelica: ci siamo sentiti un solo corpo che soffre e gioisce. Vogliamo condividere con tutti l’esperienza di grazia che abbia-mo vissuto e trasmettere alle nostre Chiese e al mondo intero la gioia del Vangelo”.

La presenza dei giovani ha segna-to una novità: attraverso di loro è risuonata nel Sinodo la voce di tutta una generazione. “Camminando con loro, pellegrini alla tomba di Pietro, abbiamo sperimentato che la vicinan-za crea le condizioni perché la Chiesa sia spazio di dialogo e testimonianza di fraternità che affascina. La forza di questa esperienza supera ogni fatica e debolezza . Il Signore continua a ripeterci: Non temete, io sono con voi”.

Lettera dei padrisinodali ai giovani

34 novembre 2018 n. 39VitaLa cultura

Un alitoUn alito misteriososi levadai miseri resti.

Ed è l’alitodi chi è vissutonella carità.

Di chi ha fatto brillarenel proprio tempola speranza.

Di chi ha incisonel suo camminoil segno profondodei giusti. Roberto Luconi

PoetiContemporanei

hi lo dice che una biografia in vita non può essere bella? Lo dimostra l’ultimo libro di Antonio Frintino, “Pa-

olo Baldassarri. Una biografia “in vita” Edizioni Il Metato per la col-lana “Il Metato - Profili”, celebre preside di lungo corso dell’Istituto tecnico “Filippo Pacini” di Pistoia, dal 1979 al 2007, attualmente presidente della Fondazione Con-servatorio San Giovanni Battista. L’opera è frutto di un’amichevole conversazione dell’autore con Bal-dassarri, condividendo un momen-to storico di Pistoia dalla seconda metà del Novecento ai decenni del Terzo millennio. Tre le fasi in cui Andrea Ottanelli, nella prefazione del volume, sud-divide l’esperienza umana e pro-fessionale di Paolo Baldassarri: la giovinezza e gli studi a Mammia-no, San Marcello p.se e Borgo San Lorenzo; la scuola come docente e poi preside, l’esperienza dal 1992 nell’istituzione educativa e cultura-le pistoiese del Conservatorio San Giovanni. In montagna pistoiese frequenta Casa Cini espressione della cultu-ra locale ed europea dell’Ottocen-to toscano, confrontandosi con le testimonianze d’illustri personalità come D’Azeglio, Pirandello, che vi soggiornarono, descrivendo quel mondo in loro opere. In Mugello per studi, nel collegio dei Salesiani, incontra un giovane docente, don

Un LiBRo di AnTonio FRinTino

Una biografia “in vita” Paolo Baldassarri, il preside dei due secoli

di Leonardo Soldati

C

Lorenzo Milani, fondatore della Scuola di Barbiana. Durante gli studi universitari è tra gli Angeli del fango, che a Firenze salvano libri ed opere d’arte di Palazzo Serristori dopo l’alluvione del 1966. Quindi la docenza all’Istitu-to “Pacini”, poi preside della Scuo-la media inferiore Pavana-Pracchia nel 1978 e successivamente dell’Itc “Pacini”, dimostrandosi l’ideale successore del prestigioso preside Oreste Soverchia. Qui innova l’Istituto, istituendo gli indirizzi “biologico-sanitario” e “linguistico”, promuovendo scambi con altre scuole europee ed in-contri con personaggi di cultura e spettacolo, scrittori, sacerdoti, protagonisti della società civile da magistrati a scienziati. Divenuto presidente del Conservatorio, lo trasforma in Fondazione con un

Consiglio d’amministrazione com-posto da docenti, professionisti, personalità della cultura, valoriz-zando il patrimonio immobiliare, restaurando opere d’arte e la chiesa, promuovendo l’inventario dell’Archivio storico. Laureato in Scienze Geologiche all’Università degli Studi di Firen-ze, dov’è stato docente incaricato per esercitazioni di Topografia e Cartografia, disciplina in cui diviene libero docente nel 1974, insegna Legislazione scolastica alla Scuola di specializzazione in Scienze Motorie dell’Università di Firenze. Autore di studi e ricerche scientifiche in ambito ecologico dal 1972, negli anni ’70 è docente di Matematica in scuole medie infe-riori e superiori. Durante l’attività di preside riceve vari incarichi dal Ministero della Pubblica Istruzione

ACCoGLiEnZA

“Umani 100%”A Modena la terza edizione del Festival della migrazione

di Stefano De Martis

Umani 100%” è il titolo della terza edizione del Festival della migrazione di Modena, in programma dal 9 all’11 novembre, con

una serie di iniziative anche prima e dopo la manifestazione che coin-volgeranno altre sedi sul territorio. Tre giorni di incontri, seminari, spettacolo, mostre, film, libri, “per uscire dai luoghi comuni e rimettere al centro l’integrazione”. Tra le novità di quest’anno il “Pranzo dei popoli” e una specifica attenzione per il dialo-go tra le religioni. Il card. Francesco Montenegro, mons. Erio Castellucci, mons. Matteo Zuppi, mons. Gian-carlo Perego, Paolo Ruffini, Romano Prodi, Ilvo Diamanti, Antonio Deca-ro, Carlotta Sami, Marco Damilano, Claudia Lodesani, Elisabetta Soglio, Matteo Marani saranno alcuni dei protagonisti della manifestazione che è promossa da Fondazione Mi-grantes, Associazione Porta Aperta, IntegriaMo e Crid (Centro di ricerca interdipartimentale su discrimina-

Tre giorni di incontri, seminari, spettacolo, mostre, film, libri, “per uscire dai luoghi comunie rimettere al centrol’integrazione”. Tra le novità di quest’anno il “Pranzo dei popoli” e una specifica attenzione per il dialogo tra le religioni

addirittura controproducente”.Il direttore di Migrantes ha messo

in guardia da un approccio parziale alla realtà dell’immigrazione, tutto focalizzato sui richiedenti asilo che invece ne rappresentano una piccola percentuale, e ha sottolineato che “il vero problema non è l’invasione, ma la fuga”, in quanto le persone che escono dall’Italia, italiani e stranieri, sono più di quelle che arrivano. Alla conferenza stampa è intervenuto anche Vito D’Ettorre, giornalista di TV2000, per riferire del docufilm sui corridoi umanitari che sarà presenta-to a Modena. Nel corso dell’incontro è stata inoltre annunciata l’imminente uscita del volume “Il diritto al viaggio. Abbecedario delle migrazioni”, una sorta di lessico in 45 lemmi per contribuire a una “contronarrazione” del fenomeno migratorio.

zioni e vulnerabilità dell’Università di Modena e Reggio Emilia).

“Il Festival cresce e vuole diventa-re grande con un’idea molto definita – spiega il presidente di Porta Aperta, Luca Barbari – quella di superare la fase emergenziale e puntare sull’in-clusione delle persone che hanno trovato accoglienza e prospettive nel nostro Paese”. Quindi tema del “diritto al viaggio” (partire, arrivare, restare) che accompagna il Festival

“si focalizza sul restare”, tenendo sempre presente – sottolinea Bar-bari – che “è anche indispensabile consentire l’arrivo in Italia in modo regolare”. La terza edizione del Fe-stival è stata presentata a Roma nella Sala Caduti di Nassirya di Palazzo Madama. A fare gli onori di casa il senatore Edo Patriarca. Alla con-ferenza stampa hanno partecipato don Giovanni De Robertis, Giorgio Bonini, Alberto Caldana, Maria Eli-

Proiezionee visionedi operedi Flavio

BartolozziAl XXX Premio letterario “Francesco Belluomini”

a Lido di Camaiore

I n occasione del XXX Premio letterario “Fran-cesco Belluomini” a Lido di Camaiore in Versilia, evento con il patrocinio di

Regione e Provincia di Lucca ed il contributo di Fondazione Cassa di risparmio di Lucca, sono state pro-iettate e messe in visione alcune opere del maestro pistoiese Flavio Bartolozzi, pittore e scultore, tra cui l’opera “Flavio e Davide”. L’evento si è tenuto nella sala me-eting Una Hotel Versilia, con la con-duzione della serata del giornalista Rai alBerto Severi con letture dei testi poetici da parte dell’attrice pistoiese aleSSia innocenti.

e dal Provveditorato agli Studi di Pistoia, presidente di Commissioni nell’amministrazione scolastica provinciale, autore di pubblicazioni come “Maggiori diritti per i cittadini; le leggi di Trasparenza” (1992) e curatore di “Pirandello, così a noi pare” (1993). “Paolo Baldassarri. Un biografia “in vita” è corredato da suggestive foto storiche della Montagna Pistoiese e foto della vita personale e pubblica di Paolo Baldassarri, con i familiari, gli amici, alcune delle personalità incontrate come monsignor Riboldi, Don Ben-zi,, Don Gelmini, il giudice Antonino Caponnetto, il premio Nobel Renato Dulbecco, il cantautore Francesco Guccini, l’onorevole Giulio Andreotti, di cose realizzate, articoli di stampa anche sulle centinaia di cartoline ricevute dagli studenti del “Pacini” per convincerlo a non andare in pensione come preside. Il libro sarà presentato venerdì 16 novembre alle 17.30 nella sala Maggiore del Comune di Pistoia, con interventi del sindaco Alessandro Tomasi, Alessandro Sabella assessore alle Politiche giovanili, Paolo Baldassarri, presentazione di Andrea Ottanelli e Renzo Fagioli già sindacalista Cisl Scuola, letture di Paolo Nesi. Antonio Frintino, psicologo psicoterapeuta, è autore di ricerche scientifiche in ambito psicologico-psicopedagogico, saggi biografici ed opere di narra-tiva.

sabetta Vandelli, Teresa Marzocchi. “Credo che la sfida delle migrazioni oggi – ha affermato don Giovanni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes – non riguardi tanto l’accoglienza ma la capacità di costruire un Paese dove le diversità, la presenza di persone di Paesi, culture e religioni diverse, sappiano comporsi in una realtà più ricca: per far ripartire l’Italia abbiamo bisogno di tutti”.

A questo proposito il direttore di Migrantes ha citato la squadra nazionale di volley femminile – con la sua variegata composizione – come esempio “bellissimo” di “un’Italia capace ancora di vincere”. “Per troppo tempo – ha detto ancora don De Robertis – forse abbiamo pensato che era sufficiente salvare chi annegava (e purtroppo continua ad annegare anche oggi nell’indiffe-renza di tanti) e portarlo in qualche porto italiano. Invece questo è solo il primo passo. La vera sfida è, come ci ha ricordato papa Francesco, proteggere, promuovere, integrare. Senza queste azioni non c’è vera accoglienza, anzi, questa può essere

4 n. 39 4 novembre 2018 LaVita

Vorrei dire ai giovani, a nome di tutti noi adulti: scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se,

anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie”. Il Papa ha cominciato l’omelia della Messa di chiusura del Sinodo sui giovani, il terzo convocato da Bergoglio dopo quello in due tappe sulla fa-miglia, con un sincero “mea culpa”, a nome della Chiesa, per tutte quelle volte che non è stata capace di ascoltare i giovani. Al termine dell’omelia, nella basilica di San Pietro, il secondo “mea culpa” di Francesco: “Quante volte abbiamo portato noi stessi, le nostre ‘ricet-te’, le nostre ‘etichette’ nella Chie-sa! Quante volte, anziché fare no-stre le parole del Signore, abbiamo spacciato per parola sua le nostre idee! Quante volte la gente sente più il peso delle nostre istituzioni

attualità ecclesiale

esù incontra uno scriba: un dialogo bellissimo e così stra-ordinario che alla fine

Gesù dirà a quest’uomo: “Non sei lontano dal regno di Dio”. È come dire: sei vicino, perché hai capito che l’amore è il cuore, la vita del credente, perché è anche la più alta celebrazione del mistero di Dio. E Gesù si mostra ancora una volta come il vero Maestro, perché come ogni vero “rabbi”, è capace di indicare, partendo dalla propria esperien-za personale, il centro vitale del rapporto con Dio, che è il primo di tutti i comandi. Questo secon-

La Parola e le paroleDomenica 4 novembre

Dt 6,2-6; Eb 7,23-28; Mc 12,28b-34G nuziale, tra lo sposo e la sposa,

è figura del rapporto Dio-uomo. “Amerai” è futuro imperativo, come se Dio ci dicesse: “Te lo ordino, amami”. Fa tenerezza un Dio che parla così, che ordina l’amore.E il secondo viene dal primo, perché l’amore del Padre lo si vive amando i fratelli “come noi stessi”. Ci si ama riconoscendo che Dio ci ama così, con tutto il cuore, con tutta la vita, con tutta la forza. La prova è Gesù. È l’amore che ci fa dire: questo è bene, lo scelgo; questo è male, non lo faccio.

A.S.

do la grande Tradizione, che aveva nell’Ascolta, Israele il cuore della fede ebraica; ma Gesù manifesta una novità inaudita: al cuore della fede c’è la totale correlazione tra il primo e il secondo coman-damento; entrambi rivelano il comandamento dell’amore.Perché l’amore del prossimo è primo come quello di Dio? Per-ché in Gesù Dio si è fatto pros-

simo a noi assumendo la nostra carne. In lui il prossimo è ogni carne, ogni uomo e donna della terra. Se tutti sono prossimo allora anche tutti i comandamenti sono comandamenti dell’amore, di Dio e del prossimo, autentica risposta, esigente ed incondizio-nata, all’amore ricevuto, da Dio e dal prossimo. Il vangelo di Luca, nella parabola del buon Samarita-

no, spiegherà chi è il prossimo. E il riferimento agli antichi sacrifici porta al sacrificio che Gesù fa di se stesso.L’uomo è fatto per amare Dio con tutto il cuore, l’uomo è fatto ad immagine di Dio che è amore, e amando diventa ciò che è: immagine di Dio, figlio di Dio. Amare è essere l’altra parte di Dio, per questo il rapporto

Sinodo dEi GioVAni 2018

“Scusateci se non vi abbiamo dato ascolto”

Due “mea culpa” del Papa, a cui siè aggiunto quello,implicito, contenutonella letteradei padri sinodaliai giovani.Si è concluso così il terzo Sinodoconvocato da Papa Francesco, dopo quello in duetappe sulla famiglia. “Ascoltare,farsi prossimi,testimoniare”, i treimperativi dell’omelia.Perché “la fedepassa per la vita”,“è questione di incontro,non di teoria”di M. Michela Nicolais

che la presenza amica di Gesù!”.“Le nostre debolezze non vi

scoraggino, le fragilità e i peccati non siano ostacolo alla vostra fidu-cia”, il terzo “mea culpa”, in forma implicita, contenuto nella lettera in-dirizzata dai padri sinodali ai giovani, letta prima della benedizione finale: “La Chiesa vi è madre, non vi ab-bandona, è pronta ad accompagnar-vi su strade nuove, spazzando via le nebbie dell’indifferenza, della super-ficialità, dello scoraggiamento”.

“La Chiesa e il mondo hanno urgente bisogno del vostro entusia-smo”, l’appello alle nuove genera-zioni. “Fatevi compagni di strada dei più fragili, dei poveri, dei feriti dalla vita. Siete il presente, siate il futuro più luminoso”, la consegna per il dopo-Sinodo. “Ascoltare, farsi pros-simi, testimoniare”, i tre imperativi consegnati dal Papa ai padri sinodali, ai giovani e alle migliaia di persone presenti nella basilica di San Pietro. Perché “la fede passa per la vita”. “È una questione di incontro, non di teoria”.

“Come Chiesa di Gesù deside-riamo metterci in vostro ascolto con amore, certi di due cose”, as-sicura il Papa: “Che la vostra vita è preziosa per Dio, perché Dio è gio-

vane e ama i giovani; e che la vostra vita è preziosa anche per noi, anzi necessaria per andare avanti”.

“Quant’è importante per noi ascoltare la vita!”, esclama Fran-cesco. L’apostolato dell’orecchio è il primo passo da compiere per accompagnare alla fede: i discepoli, invece, “preferivano i loro tempi a quelli del Maestro, le loro parole all’ascolto degli altri: seguivano Gesù, ma avevano in mente i loro progetti. È un rischio da cui guar-darsi sempre”.

“Farsi prossimi”, perché “la fede passa per la vita”. Il Papa descrive così il secondo passo. Come fa Gesù, che “si immedesima in Barti-meo, non prescinde dalle sue attese; che io faccia: fare, non solo parlare; per te: non secondo idee prefissa-te per chiunque, ma per te, nella tua situazione. Ecco come fa Dio, coinvolgendosi in prima persona con un amore di predilezione per ciascuno”.

“Quando la fede si concentra puramente sulle formulazioni dot-trinali, rischia di parlare solo alla te-sta, senza toccare il cuore”, il moni-to: “E quando si concentra solo sul fare, rischia di diventare moralismo e di ridursi al sociale. La fede invece

è vita: è vivere l’amore di Dio che ci ha cambiato l’esistenza. Non pos-siamo essere dottrinalisti o attivisti; siamo chiamati a portare avanti l’opera di Dio al modo di Dio, nella prossimità: stretti a Lui, in comunio-ne tra noi, vicini ai fratelli”.

È la prossimità “l’antidoto con-tro la tentazione delle ricette pron-te”. “Chiediamoci se siamo cristiani capaci di diventare prossimi, di usci-re dai nostri circoli per abbracciare quelli che ‘non sono dei nostri’ e che Dio ardentemente cerca”, l’in-vito. L’altra tentazione che ricorre nella Scrittura è quella di “lavarsi le mani”. “Noi invece vogliamo imitare Gesù, e come lui sporcarci le mani”, assicura Francesco: “Non maestri di tutti, non esperti del sacro, ma testimoni dell’amore che salva”.

Nella parte finale dell’omelia della Messa di chiusura del Sinodo, il Papa si sofferma sul “terzo passo” necessario per accompagnare alla fede: testimoniare. “Non è cristiano aspettare che i fratelli in ricerca bussino alle nostre porte; dovremo andare da loro, non portando noi stessi, ma Gesù. Egli ci manda, come quei discepoli, a incoraggiare e rial-zare nel suo nome”.

“Tanti figli, tanti giovani, come

Bartimeo cercano una luce nella vita. Cercano amore vero. E come Bartimeo, nonostante la molta gen-te, invoca solo Gesù, così anch’essi invocano vita, ma spesso trovano solo promesse fasulle e pochi che si interessano davvero a loro”, la denuncia.

“La fede che ha salvato Barti-meo non stava nelle sue idee chiare su Dio, ma nel cercarlo, nel volerlo incontrare”, commenta Francesco: “La fede è questione di incontro, non di teoria. Nell’incontro Gesù passa, nell’incontro palpita il cuore della Chiesa”. Allora “non le nostre prediche, ma la testimonianza della nostra vita sarà efficace”.

“E a tutti voi che avete parteci-pato a questo ‘camminare insieme’, dico grazie per la vostra testimo-nianza”, l’omaggio finale a quanti hanno partecipato al Sinodo, di cui ieri è stato approvato il documen-to finale, ora nelle mani del Santo Padre, che deciderà cosa farne: “Abbiamo lavorato in comunione e con franchezza, col desiderio di servire Dio e il suo popolo. Il Signo-re benedica i nostri passi, perché possiamo ascoltare i giovani, farci prossimi e testimoniare loro la gioia della nostra vita: Gesù”.

PistoiaDiocesiN. 39 4 NOVEMBRE 2018

i sono molti spunti di riflessione, al-meno per coloro che siano riusciti a conservare calma e ragionevolezza, nelle parole che il vescovo di Pistoia

ha rivolto alla chiesa e alla città nel suo recente comunicato. Parole che rappresentano certo un contributo utile alla comprensione di quanto sia accaduto nel tempo recente.

Uno dei richiami sui quali il comunicato di monsignor Fausto si incentra riguarda il valore dell’accoglienza. La domanda che in tutta questa vicenda realmente rintocca, sottotraccia, pro-fonda e sorda, è infatti proprio questa: che cos’è davvero l’accoglienza? Cosa significa veramente accogliere? È questo il punto vero di quanto accaduto, finora affrontato solo dalle parole del vescovo, sul quale appare necessario riflettere. Si tratta di una domanda e di una questione che travalicano gli spiccioli fatti di cronaca più o meno gradevoli.

In questo senso non è possibile non coglie-re nelle parole del vescovo il tentativo di strap-pare alle logiche della cronaca gli accadimenti e gli episodi, per loro stessa natura sempre effimeri e passeggeri, e ricondurre il tutto agli orizzonti di senso, ai significati primi e ultimi dove il rumore della cronaca non può riuscire ad arrivare. Non si tratta, infatti, o non si tratta più di una semplice vicenda parrocchiale. Quel-lo che ormai è in discussione è uno dei valori di riferimento di chi cerca di seguire il signore. Che cos’è l’accoglienza? Come, e perché, e quando, e in nome di chi praticarla?

Lezioni splendide e senza tempo si po-trebbero ritrovare, a questo riguardo, nelle pagine di profeti del nostro passato. Ne cito uno tra tutti: don Tonino Bello. L’accoglienza si rintraccia certamente nelle scelte pastorali che una comunità parrocchiale o una diocesi operano. E a questo proposito occorre dire che sarebbe (stato) bello poter vedere che molte parrocchie si adoperano in questa di-rezione, mentre si deve purtroppo annotare che i molteplici appelli di monsignor Tardelli in tal senso, invece, sono stati scarsamente o frettolosamente ascoltati. Ma ancora di più l’accoglienza si rintraccia in uno stile pastorale, in un atteggiamento interiore davanti ad ogni vicenda. Di essa ci sono chiarissimi e inequi-vocabili segnali rivelatori che ne evidenziano la presenza (o l’assenza) e che, a volte istintiva-mente, le persone sanno riconoscere senza er-rore. L’accoglienza cristiana quindi è veramente tale quando diventa stile di vita ancora più e ancora prima che scelta organizzativa. Quali siano questi segnali non è semplicissimo da dire, ma alcuni possono essere individuati. Cer-tamente il rispetto dell’altro qualunque siano la sua provenienza o il colore della pelle o l’età o le convinzioni politiche. Certamente il rifiuto dello scontro, a partire proprio da coloro che la pensano diversamente. L’accoglienza, quan-do è atteggiamento interiore - e quindi stile di vita, e solo allora scelta operativa - non ha nemici, non sente persecutori, non interrompe il dialogo con alcuno. Vede, apprezza, dà valore alle ragioni dell’altro; fa sue le esigenze di tutti, quelle fisiche, quelle morali, quelle pastorali; si adopera perché chiunque si possa sentire preso in cura. In un certo senso noi cristiani ne abbiamo un alto modello perché l’accoglienza, se è vera, è il frutto di quell’amore all’altro che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Viceversa, se anche dessi tutti i miei beni ai poveri e perfino consegnassi il mio

Che cos’è l’accoglienza? Una riflessione a partire dalle parole del vescovo

C

corpo alle fiamme, non sono nulla di più di un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.

Un programma altissimo che coglie tutti in difetto, a partire dal sottoscritto, e di fronte al quale l’unico atteggiamento possibile è un’umil-tà silenziosa e raccolta.

C’è una domanda nel comunicato che il vescovo Fausto ha rivolto che rintocca e fa riflettere. Come possiamo far crescere tra di noi, nelle nostre comunità, nella nostra città il senso di una fraternità accogliente? Di fronte a quali percorsi, a quali vicende, a quali testi-monianze il cuore si allarga, lo spirito cresce, le coscienze maturano? Cosa può ancora essere capace di renderci persone migliori? Difficile da dire. Di sicuro nulla e nessuno che scelgano di consegnarsi alle alterne sorti della cronaca e alle logiche mediatiche possono farlo. Bauman ha detto parole decisive a questo proposito, tanto per citare qualcuno. Anche se a volte ne siamo tentati e la nostra fragilità ci fa cadere in questi atteggiamenti non possiamo dimenticare che certo non è con la contrapposizione, col dire quattro e quattr’otto, con la pressione mediatica, col dividere i buoni dai cattivi che si dà all’altro una occasione di riflessione, di cambiamento o di integrazione. Dialogo, pazien-za, dolcezza, cura del dettaglio, disponibilità a mettersi in discussione, inclusività ed attenzione nei confronti delle necessità di ognuno, sono la strada obbligata per chiunque e specialmente

per chi sceglie di stare dalla parte degli ultimi. Di più, sono l’inoppugnabile riscontro della bontà delle intenzioni profonde.

Un ultimo punto mi preme sottolineare nelle parole del vescovo Tardelli: il ruolo della politica nelle vicende ecclesiali. Altissimo è il contributo che, almeno in tempi passati, i cri-stiani e il pensiero cattolico hanno saputo dare alla vicenda politica del nostro paese, almeno alla politica intesa come servizio all’uomo, im-pegno disinteressato per il bene comune, forma di carità. Tuttavia la distinzione e lo scarto di questi valori di fondo con l’attualità e con la cronaca è piuttosto stridente perché tali prin-cipi, peraltro da tutti evocati, anche in questo caso non sembrano nascere da atteggiamenti ed orizzonti interiori che poi diventano stili di vita e alla fine si incarnano in decisioni e scelte e comportamenti. Restano spesso parole. Parole di cartone.

Il rapporto tra la chiesa e la politica - si potrebbe dire recuperando un linguaggio un po’ arcaico - va facendosi di conseguenza molto complesso. Se non mancano atti e circostanze di aperta ostilità, permangono tuttavia situazioni e momenti (ad esempio quelli elettorali) in cui la politica, nelle sue espressioni di partito o di associazione, cerca di strumentalizzare la chiesa, a volte anche per supplire ad una mancanza di idee o di collegamento vero con le persone. Purtroppo non sembrano scarseggiare infatti

coloro che, a vario titolo, cercano di sfruttarla dal punto di vista della visibilità personale, o economico, o del pubblico consenso o altro ancora. Ed ogni vicenda di cronaca, perfino questa, ne è un esempio.

Eppure anche di fronte a questo la chiesa deve continuare a dialogare e a battersi, oppor-tune et importune, per un mondo in cui l’uomo, la sua dignità e i suoi bisogni fondamentali siano al centro.

Se mai come ora è stato fragile e problema-tico il dialogo tra chiesa e politica, tra chiesa e politici (o aspiranti tali), è altrettanto vero che mai come ora è urgente riaprire questo dialogo e cercare di dare, da cristiani, il contributo più efficace possibile specialmente in un tempo, come è stato detto nelle conclusioni della settimana sociale di Cagliari, di «investimenti senza progettualità; finanza senza responsabilità; tenore di vita senza sobrietà; efficienza tecnica senza coscienza; politica senza società; rendite senza ridistribuzione; richiesta di risultati senza sacrifici».

Orizzonti di senso - e non piccole vicende di cronaca - da riscoprire e sui quali riflettere a lungo. Almeno per chi vuole lavorare per una comunità più bella e più giusta.

Edoardo BaroncelliCondirettore regionale della

pastorale sociale e del lavorodella Conferenza Episcopale Toscana

6 n. 39 4 novembre 2018 LaVitacomunità ecclesiale

Agendadel vescovo

Da lunedì 5a domenica 11 novembreMercoledì 7 NoveMbre

ore 9,30-10,30: riceve il clero in palazzo vescovileore 11: conferenza stampa nella chiesa di Sant’Andrea con Fondazione Friends of Florence e Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggioore 21: visita pastorale: incontro con il consiglio pastorale e gli operatori pa-storali presso la parrocchia di PavanaGiovedì 8 NoveMbre

ore 9,30: incontro mensile del clero in Seminario ore 17: visita pastorale: incontro con il consiglio pastorale e gli operatori pa-storali presso la parrocchia di TreppioveNerdì 9 NoveMbre

ore 10: a Villa Rospigliosi partecipa all’incontro con il clero sulle letture bibliche della domenicaore 15,30: celebra la S. Messa nella chiesa di Santa Chiara per il MoicaSabato 10 NoveMbre

ore 11: Festa del Seminarioore 16,30: visita pastorale: S. Messa a Pavanaore 20: cena alla chiesa di Ponte di SerravalledoMeNica 11 NoveMbre

ore 11: visita pastorale: S. Messa a Treppio ore 17: amministra le cresime a Montemagno

i è appena concluso il sino-do dei giovani. Un evento che ha visto un grande impegno per l’ascolto dei

giovani di tutto il mondo. Il sinodo, infatti, è stato preparato da un lungo lavoro di ascolto che ha fatto sintesi delle risposte al questionario del Documento preparatorio da parte delle diocesi e dei movimenti; di quanto pervenuto attraverso un questiona-rio online, dagli atti di un seminario internazionale tenutosi a Roma nel 2017 a cui hanno partecipato giovani ed esperti di tutto il mondo e, infine, dalle osservazioni libere pervenute da singoli laici o da gruppi di diversa estrazione. Un impegno non indif-ferente che ha coinvolto anche la chiesa di Pistoia. Abbiamo raccolto il commento di padre Simone Panzeri, membro dell’equipe di Pastorale gio-vanile della diocesi di Pistoia.

Padre Simone, la chiesa cattolica, seguendo il deside-rio di papa Francesco, ha por-tato avanti un grande sforzo nell’ascolto dei giovani. Qual è la tua opinione in merito?

Ciò che mi stupisce prima di tutto è questo ascolto reale da parte della chiesa di tutti i giovani del mon-do credenti o no. A questo livello ricordo anche gli sforzi e le riflessioni fatte nella diocesi di Pistoia per cer-care i modi e i mezzi più adatti per andare a cercare i giovani e ascoltarli, soprattutto quelli che vivono più lontani dai nostri ambienti classici. Mi ha colpito questo sforzo di chiesa di andare “in uscita” verso i giovani, non per proporre loro qualcosa, ma per lasciarsi interrogare da loro, dai loro bisogni e desideri.

Un secondo punto su cui sono rimasto colpito è che i giovani «non

Cosa chiedono i giovanialla Chiesa?

Padre Simone Panzeri dell’equipe di pastorale giovanile di Pistoia propone la propria riflessione sul Sinodo dei giovani appena concluso

vogliono essere considerati come una categoria svantaggiata (…) ma come la risorsa più importante per un futuro migliore» (Guida alla lettura dell’Instrumentum Laboris n. 1.3). Leggendo questo mi sono detto che davvero su questo punto Dio ci chiama ad un’autentica conversione pastorale! Ho pensato a quante volte ho partecipato a progetti che partivano dalla domanda «cosa fare per i problemi dei giovani? Come aiutarli a superare le difficoltà legate alla loro età, condizione sociale…?». Qui i giovani ci stanno dicendo di guardarli con un occhio diverso: sono un tesoro da cui attingere per costruire il futuro. Hanno in sé una carica profetica che, se ben compre-sa e indirizzata, può aprire davvero vie nuove per la chiesa e l’umanità.

Su questo sono stato toccato personalmente anche durante un campo scuola fatto nella missione dei padri Betharramiti di Katiola in Costa d’Avorio con 20 giovani francesi, italiani e africani. Anche in quella occasione, da più giovani, durante i momenti di condivisione e di verifica, ho percepito e sentito lo stesso appello: «siamo il vostro tesoro, la vostra risorsa più bella, guardateci così!».

Ed infine, un terzo punto che mi ha fatto molto riflettere del documento preparatorio, è che dai dati raccolti emerge come i giovani «soffrono per la mancanza di accom-pagnatori autentici e autorevoli che li aiutino a trovare la loro strada» (Guida alla lettura dell’Instrumentum Laboris n. 1.5). Su questo punto siamo chiamati in causa tutti noi adulti, educatori, sacerdoti, religiose…: come stiamo guidando i giovani che incontriamo? A volte ho l’impressio-ne che siamo un po’ “in ritirata” su questa missione di accompagnatori: o ne diventiamo i “migliori amici” perdendo di vista il nostro servizio per farli crescere e ripiegandoli sul “come è bello stare insieme” e ba-

sta, o ne facciamo i “volontari” a cui chiedere una moltitudine di servizi e presenze per darci la soddisfazione che abbiamo un bel gruppo giovani intorno a noi. Ma, mi domando, quan-to li ascoltiamo veramente? Quanto tempo “perdiamo” per sederci a par-lare della loro vita, dei loro ideali, dei loro desideri? Oggi, credo, i giovani abbiano bisogno di un rapporto a tu per tu con qualcuno di reale che gli faccia scoprire il tesoro che sono, che li tiri fuori dalla massa piatta delle reti digitali, li alzi dai divani della pigrizia e li accompagni nella vita vera.

Cosa possono fare gli adulti, gli educatori, le par-rocchie... per i giovani?

Credo che emerga l’importan-za di riscoprire l’importanza della vocazione di accompagnatori delle nuove generazioni, da parte degli adulti che vivono a contatto coi giovani e sentono questo come la loro missione. Mi chiedo quanto si faccia ancora con lo spirito di “ri-spondere ai problemi” dei giovani e non nell’ottica di questo sinodo che

ci chiede di guardare ai giovani come alla “risorsa” per trovare le risposte alle domande sul nostro futuro. È una provocazione forte che, credo, Dio ci faccia attraverso la voce dei giovani del nostro tempo. In effetti, credo si aprano due prospettive interessanti di crescita per noi adulti e realtà impegnate coi giovani.

La prima: ritrovare o incoraggia-re il nostro servizio di accompagna-tori. E questo richiede di darci tempo per essere ben preparati a questo compito. Molto spesso la buona vo-lontà non basta e il rischio è quello di cadere nell’improvvisazione e nel pressapochismo sterile e dannoso. I giovani chiedono da noi adulti un impegno serio, degli accompagnatori preparati, perché ci affidano la loro vita quando ci chiedono questo ser-vizio di aiuto e sostegno. Dovremmo anche essere disponibili a dedicare loro più tempo e spazio d’ascolto, perché non è facile appunto “perde-re del tempo” per ascoltare e stare coi giovani.

La seconda: condividere coi gio-vani le nostre domande sul futuro.

Nella mia piccola esperienza coi giovani in parrocchia o nei campi di missione, ho provato a condividere con loro alcune preoccupazioni per il futuro delle attività pastorali messe in atto per loro: cosa ne pensate delle nostre iniziative? Come vedete noi sacerdoti, educatori, etc? Se-condo voi cosa ci manca per essere “più incisivi”? Cosa ci suggerite per l’animazione vocazionale, giovanile, pastorale…? Quello che ho accolto dalle risposte è stato che i giovani ci chiedono di parlargli di noi, del concreto delle nostre esistenze, di chi siamo, dello spirito che anima le nostre scelte di vita e di fede.

Questo esempio, se vogliamo piccolo, può dar vita a un ascolto più ampio di come i giovani ci vedono, di come guardano alla chiesa, alla fede e di cosa i giovani ci chiedono a livello personale, di gruppo di catechesi, di parrocchia e, perché no, di diocesi. Potrebbe essere la scoperta di un tesoro che non vediamo e che ci può aprire prospettive nuove per il futuro.

D.R.

S

D urante questo mese di otto-bre, ormai giunto al termine, il nostro vescovo ha fatto propria la raccomandazione

del papa, promuovendo in tutta la diocesi il recupero di una delle espressioni più belle della devozione mariana, la recita del Rosario. È un uso antico, che fino a non molto tempo fa, diciamo l’ultimo do-poguerra, era molto diffuso, a livello non solo individuale e liturgico, ma anche po-polare e familiare. Nell’800, dai palazzi nobiliari alla più umile casa di contadini riuniva tutta la famiglia, servi e padroni, uomini e donne, in un comune momento di preghiera al termine della giornata; ed è durato, specialmente nelle campagne, per tutta la metà del secolo seguente. Poi sono sopraggiunti cambiamenti tali da

mettere in crisi molte tradizioni e istitu-zioni, a cominciare dalla famiglia stessa; e in molti casi è stata abbandonata, o almeno trascurata, anche la recita di quel Rosario, «fiorita corona di preghiere», che la Madonna aveva consegnato a san Domenico durante un’apparizione. O almeno così si dice.

Certo è che fu un domenicano, Pietro da Verona, a istituire fra il XIII e il XIV secolo la prima Compagnia del Santo Rosario e che il Rosario non manca mai nelle chiese e nella liturgia dei domenicani. Nemmeno di quelli di Pistoia, che nella nostra città negli ultimi due secoli hanno avuto un’esistenza assai movimentata: cacciati nel 1783 dal vescovo Scipione de Ricci, tornati nel 1928, nel 1943 ebbero il convento

e la chiesa seriamente danneggiati dal bombardamento aereo; e, nonostante il pronto restauro e l’intensa attività reli-giosa e culturale che vi hanno svolto nei decenni seguenti, circa un mese fa hanno deciso di trasferirsi in altre sedi dell’Ordi-ne. Ma nella chiesa – che resterà aperta, almeno la mattina, e dove continuerà ad essere celebrata la messa pomeridiana della domenica – resta esposta all’am-mirazione e alla devozione dei fedeli la cappella del Rosario, ricca di marmi e di affreschi, in mezzo ai quali si trova il bel quadro dove un famoso pittore della seconda metà del ‘500, Cristofano Allori detto il Bronzino, ha dipinto la Vergine che «assisa su un trono di nuvole e circondata da un coro di angeli, porge e suggerisce la devozione del Rosario a san

La Madonna del RosarioUna devozione diffusa dalla spiritualità domenicana

di Maria Valbonesi

Domenico». Fra gli infiniti atti di atten-zione e di culto di cui questa Madonna è stata oggetto, presenta un carattere particolarmente simbolico quello della signora Semiramide Fioravanti Tolomei che nel 1659 «legò ai domenicani un cospicuo lascito con l’obbligo di tenere giorno e notte accesa nella cappella una lampada affinché la santa immagine non restasse mai al buio».

74 novembre 2018 n. 39VitaLa comunità ecclesiale

ercoledì 24 ottobre 2018 è una data che rimarrà impressa negli annuari storici della

diocesi di Pistoia. Questo giorno autun-nale ha visto la chiusura del secolare Monastero della Visitazione di S. Maria di Pistoia.

A seguito della scomparsa della superiora del monastero visitandino, madre Giovanna Teresa Bevilacqua, avvenuta il 17 agosto scorso, la co-munità claustrale si è ridotta soltanto a quattro religiose: suor Maria Teresa Petrucci di Camaiore (Lu), suor Maria Regina Pischedda di Nuoro, suor Maria Rosaria Tortolini di Orvieto (Terni) e suor Anna Grazia Vieri di Prato. Un numero esiguo, considerata la vasta struttura monastica di via delle Logge 3, nella quale, da diversi anni, non arrivavano nuove e giovani vocazioni.

La genesi del Monastero della Visi-tazione di Pistoia risale al lontano 26 febbraio 1737, grazie alla indovinata iniziativa del vescovo pistoiese Federico Alemanni, così desideroso di inserire una comunità dell’Ordine visitandino, sorto ad Annecy (Francia) il 6 giugno 1610, nella propria diocesi.

M UnA BELLA PAGinA di SToRiA A PiSToiA

Le monache visitandineUna testimonianza di fede da non dimenticare

di Carlo Pellegrini

iniziato il quarto anno della scuola di formazione te-ologica sul tema “Al cen-tro del mistero della fede:

annunziamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”.

Il corso di quest’anno si concen-tra su questo annunzio, affrontando tematiche come la morte e la resur-rezione di Cristo. Il prof. Giovanni Ibba, teologo e biblista, terrà due lezioni sul tema della morte e re-surrezione di Gesù; la prima il 26 novembre dal titolo: «la risurrezione di Gesù Cristo: aspetti storici». A lui abbiamo rivolto alcune domande per affrontare un tema decisivo per la nostra fede e stimolare la parte-cipazione agli incontri del quarto anno 2018.

Per quanto riguarda il rac-conto della resurrezione quali fonti storiche o testimonian-ze scritte conosciamo a parte il nuovo Testamento?

Specificamente riguardo alla risurrezione di Gesù abbiamo a di-sposizione anche altre fonti, anche se poche, oltre a quelle neotestamenta-rie. Sono fonti più tardive rispetto ai testi neotestamentari. Comunque, la più antica fra queste è probabilmente quella contenuta nell’opera di Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, dove si legge che i discepoli dichiaravano che Gesù era apparso loro tre giorni dopo la sua morte.

Tutte le fonti neo testa-mentarie raccontano ciò che è accaduto dopo la resurre-zione ...possiamo affermare che la resurrezione è un fatto storico?

Se leggo Tito Livio è chiaro che storicamente posso affermare che al suo tempo la fondazione di Roma era davvero creduta come viene narrata nella sua opera e che Romolo e Remo sono stati allattati dalla lupa, ma, con “giudizio storico”, dirò che si tratta di un mito, di un mito storicamente attestato. La risurrezione è un mito? Nessuno, fra gli storici lo ha mai trattato così. Semmai, nell’Illuminismo e oltre, come di una “invenzione” da parte degli apostoli dopo la morte di

Gesù. Ma è una teoria che “storica-mente” non regge molto, tanto che di fatto è stata abbandonata. Forse anche perché banale. Ciò nonostante, non accettare storicamente la resur-rezione di Gesù e dire che è un’in-venzione, oppure dire che non posso dimostrare che davvero sia accaduta, se da una parte può mostrare anche un problema ideologico, dall’altra apre tutta una serie di riflessioni molto importanti. Cioè: se io come storico voglio capire il successo del cristianesimo senza basarmi sul dato della risurrezione di Gesù, allora qual è l’elemento che ha fatto in modo che si formasse ed espandesse questa religione? Per la fede cristiana il dato della resurrezione è fondamentale, ma per lo storico essa non può essere considerata come un fatto. Nemmeno per il cristiano che fa lo storico, per una questione di metodo, se così mi posso esprimere. Qualcu-no ha però fatto notare che senza di essa non sarebbe potuta avvenire una tale espansione del cristianesimo. Un terremoto avvenuto nel passato lo possiamo appurare studiando le frat-ture nelle rocce. Non posso sentire il terremoto avvenuto nel passato, posso però studiarne le tracce. Ma è chiaro che una simile ipotesi di lavoro ha bisogno, per essere plausibile, di sapere esattamente cos’è un terre-moto e, in questo caso, cos’è una ri-surrezione. A parte la testimonianza degli apostoli, che potrebbe essere “inventata”, oltre a quello che riporta Giuseppe Flavio e altre fonti romane (per inciso su Gesù più che sulla sua risurrezione), non abbiamo a dispo-sizione altro. Per spiegare la nascita e lo sviluppo del cristianesimo molti studiosi hanno allora lavorato sulla storia delle idee, cioè hanno cercato di vedere se c’è un’evoluzione di idee religiose precedenti a Gesù che poi si

La resurrezione di Gesùtra storia e fede

Un’introduzione di Giovanni Ibba al tema degli incontri per il quarto annodella scuola di Formazione teologica diocesana

È

in maniera differente in ogni testo. Perché?

Per quale motivo questi racconti presentano differenze non è del tutto chiaro. Diciamo che ci sono teorie plausibili, e che queste teorie partono dalla considerazione che dietro a ciascun vangelo c’è una comunità che vive e interpreta la resurrezione di Gesù con sentimenti diversi. In ogni caso, tutti e quattro riportano la notizia del ritrovamento della tomba vuota, come anche che la prima testimonianza di questa è data da donne. Se ci sono quattro racconti con differenze sulla resurrezione non significa che allora i dati riportati in questi testi hanno parti inventate, ma solo che lo stesso evento è visto con sensibilità diverse. Come affermerà Ireneo di Lione rispetto ai vangelo, ossia che è uno e quadriforme, così in questo senso si può dire del rac-conto della resurrezione.

La resurrezione è un atto divino che tocca il mondo intero... un aspetto che forse talvolta dimentichiamo.

Mi pare che dimentichiamo molte cose, non solo la risurrezio-ne. Sono convinto che conosciamo quello che proviamo, e quello che proviamo non lo scordiamo, o per lo meno è molto difficile che accada. Abbiamo probabilmente dimenticato un elemento della fede cristiana perché forse trasmesso in modo astratto, non vissuto. Forse sarebbe bene interrogarsi sul significato della risurrezione nella vita e, in qualche modo, viverla. Come si legge negli Atti degli Apostoli o in Paolo. Essere, in sostanza, come dei risorti.

Daniela Raspollini

(I corsi del IV anno si svolgono il lunedì dalle 20.45 alle 22.15 in seminario).

sarebbero sviluppate in una credenza e in una dottrina. Ma anche questo tipo di ricerca non ha dato risposte convincenti, a parte una: Gesù non ha predicato nulla di veramente diverso rispetto a quello che già era espres-so da altre fonti giudaiche della sua epoca. L’eucarestia probabilmente è la vera novità nella storia delle idee (il fare qualcosa e il predicare qualcosa sono azioni assolutamente inter-scambiabili nel vangelo). Si potrebbe vedere la risurrezione di Gesù come una metafora della prima comunità cristiana? Gli Atti degli Apostoli sono quasi un quinto vangelo: Pietro, Gia-como, Stefano e Paolo dicono e fanno cose perfettamente simili a quelle che ha detto e fatto Gesù. Gesù è risorto perché vive negli apostoli e nei loro seguaci. Ma affermare semplicemente questo significherebbe comunque

forzare le fonti neotestamentarie, le quali si esprimono chiaramente sulla risurrezione. Soprattutto parlano della testimonianza degli apostoli riguardo alla risurrezione di Gesù, anche se ciò che hanno visto può verificarsi in altro modo all’interno della comunità.

Pertanto, parlando in modo rigoroso, possiamo dire che storica-mente è attestato il racconto della risurrezione di Gesù come anche la testimonianza degli apostoli, ma non che la risurrezione sia un dato “stori-co” in senso stretto. Il dato della fede, la risurrezione di Gesù, si basa quindi sul credere a ciò che viene scritto nei vangeli e dalla predicazione degli apostoli.

nei vangeli la questione

della resurrezione è trattata

Il presule, consapevole della prezio-sità e della funzione di questo cenobio, si avvalse della collaborazione del Monastero della Visitazione di Massa e Cozzile, in Valdinievole. Infatti, dal capoluogo massese, giunsero a Pistoia la triade delle fondatrici, le monache: sr. Maria Margherita Livizzani, sr. Maria Vittoria Margherita Puccini e sr. Maria Anna Eletta Cecilia Cosi Del Voglia, che subentrarono al secolare monastero delle vergini, in condizione decadente. La nobile suor Maria Margherita Livizzani (1679-1757) fu la prima superiora fon-datrice e la prima superiora anche della lunga rassegna delle superiori fino alla scomparsa, come abbiamo ricordato, della madre Giovanna Teresa Bevilacqua.

Pagine edificanti di storia hanno accompagnato l’esistenza di questo glorioso monastero, nel quale non sono mai venute a mancare l’incessante

preghiera orante, il sacrificio, le rinunce e la dedizione al lavoro comunitario, finalizzato al benessere e alla redenzio-ne dell’umanità. Infatti, come scriveva il vescovo pistoiese Benvenuto Matteucci, «nessuna monaca è inutile entro le mura di un monastero, nessuna è relegata in un ambito di passività. Il maggior servizio che una creatura possa rendere all’uma-nità viene dalle comunità di clausura. Il mondo non sarà mai solo, abbandonato ai limiti febbrili della desolazione; la terra non sarà mai deserta, i suoi abitanti mai inariditi dalla disperazione, finchè vi siano queste testimoni di verità con-templata e di amore partecipato, e cuori capaci di comprendere e di accogliere i loro richiami spirituali».

I pistoiesi, i benefattori e i numerosi amici del Monastero della Visitazione di Pistoia non hanno mai smentito il valore insostituibile e la mansione ecclesiale

delle loro monache, alcune delle quali assai zelanti, virtuose e tali da lasciare segni indelebili. In questi giorni, tutti hanno manifestato il loro acuto dissenso e una forte amarezza per la chiusura di questo importante monastero. Lacrime abbondanti hanno bagnato il viso di uomini e donne, di giovani e di meno giovani... segno eloquente di grande affetto e di profondo attaccamento.

Avremo sempre nel cuore anche tutte le madri che si sono alternate, con i dovuti intervalli statutari, alla guida della comunità dagli anni sessanta ad oggi: sr. Maria Amata Pozzati, sr. Maria Luisa Pochero, sr. Maria Cecilia Vannini, sr. Maria Amata Sbaragli, sr. Anna Grazia Vieri e sr. Giovanna Teresa Bevilacqua. E nemmeno potremo mai dimenticare i cappellani del monastero di questi ultimi decenni: monsignor Guido Lenzini, don Mario Coppini, monsignor Serafino

Bonacchi, don Sergio Cinelli, don Tom-maso Rekiel, mons. Romano Lotti e can. Roberto Breschi. In questa luminosa compagine monastica pistoiese non possiamo fare a meno di menzionare il valoroso e durevole contributo fornito da don Marino Marini in qualità di confessore.

Dal 24 ottobre scorso, suor Maria Teresa Petrucci, suor Maria Regina Pischedda, suor Maria Rosaria Tortolini e suor Anna Grazia Vieri sono così pas-sate, dopo oltre cinquanta anni vissuti nel monastero di Pistoia, a quello della Visitazione di San Pancrazio/Matraia (Lucca), Via per Matraia 143 (telef. 0583/406356).

E così, quando ci troveremo a pas-sare per via delle Logge, ci sentiremo tutti più poveri e orfani delle nostre monache, del loro silenzio orante e del loro tenero saluto: ”Dio sia benedetto!” .

8 n. 39 4 novembre 2018 LaVitacomunità ecclesiale

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R

a Zona Agesci di Pistoia è promotrice di un cammino di pace in collaborazione con il Centro Studi “G. Do-

nati”. La marcia della pace avrà luogo domenica 4 novembre e percorrerà le vie del centro storico da piazza San Francesco fino alla Cattedrale di San Zeno (ore 15.30-16.30) in oc-casione della trentaseiesima giornata internazionale della pace.

Abbiamo incontrato i responsa-bili Claudio Curreli e Maria Veronica Sforzi per conoscere finalità e obiet-tivi della Zona Agesci di Pistoia.

Qual è lo scopo della mar-cia e perché avete voluto partecipare a questo cammi-no di pace?

Il Centro studi Donati ha pro-mosso questa giornata e ci ha invitato all’organizzazione alla quale stiamo partecipando con grande convinzione, perché soprattutto in questo particolare momento storico ci sembra giusto testimoniare con forza i valore di pace, fratellanza e solidarietà, valori che sono quelli fondanti della nostra associazione e che potremmo dire insiti nel nostro dna.

oggi in italia si respira

un clima politico e culturale

piuttosto difficile. L’Agesci promuove sempre un’analisi della realtà del territorio. Quali sono, a suo avviso, le emergenze del nostro ter-ritorio?

Le emergenze sono molteplici a partire dalla povertà, dall’immigra-zione, dal rispetto del prossimo… ma questi sono concetti per noi non “politico-partitici”, ma di poli-tica vera, ovvero quella che cerca di ascoltare i bisogni di chi ci sta intorno senza fare valutazioni di genere, estrazione sociale o colore della pelle.

Si è appena concluso il si-nodo dei vescovi sui giovani. Quali sono le sue aspettative in merito?

La speranza è quella di riuscire a coinvolgere sempre di più i no-stri giovani - e per nostri giovani intendiamo tutti, non solo quelli della nostra associazione - nelle problematiche del vivere quotidiano, affinchè abbiano un occhio attento e vivano un impegno concreto verso chi ha veramente bisogno di aiuto, senza pregiudizi e distinzioni.

Quali altri progetti avete

in cantiere per la città?In questo momento siamo in

iparte a ottobre l’attività informativa del Centro di Educazione nutrizionale presso la Misericordia di

Pistoia in collaborazione con la Associa-zione Alberto Sordi di Roma. I prossimi incontri, come sempre gratuiti e aperti a tutti gli interessati, si svolgeranno in via Can Bianco 35 a partire da Mercoledì 31 ottobre dalle ore 17.30.

Gli argomenti trattati, come al solito saranno particolarmente interessanti e di grande utilità pratica, principalmente

per scongiurare il rischio di invecchiare in condizioni di fragilità e di non auto-sufficienza. Sarà spiegato infatti come si possano prevenire ed attenuare le patologie dovute alla evoluzione della vecchiaia. In particolare verrà esposto come una attenta valutazione di alcuni comuni esami di laboratorio possano consentire di verificare la rispondenza tra età anagrafica e età biologica, e indi-viduare così il rischio di invecchiamento patologico in tempo, per adottare uno stile di vita più conveniente.

inFo: tel. 0573 505246 – 0573 5050 (è gradita la prenotazione dal lunedì al venerdì ore 9-12 oppure cell. 335 7725684).

IncontrI gratuItImercoledì 31 ottobre – mercoledì 7 novembre / mercoledì 14 novembre / mercoledì 21 novembre ore 17,30.

Sede incontri : Misericordia - Via del Can Bianco, 35 Pistoia – (sala riunioni ultimo piano)

MiSERiCoRdiA PiSToiA

Prosegue l’attivitàdel Centro di informazione

nutrizionale

Un cammino di pace per tempi difficiliLa zona Agesci di Pistoia parteciperà, con il Centro Studi “G. Donati”

a una “marcia” per la pace e la solidarietà il prossimo 4 novembre

l Centro Studi Donati e il Conservatorio San Giovanni nella ricorrenza della trenta-seiesima giornata della pace, cultura e solidarietà promovo-

no per lunedì 5 novembre un evento in memoria di Alba Mantovani, vittima delle leggi razziali nel tempo del fascismo. Approfondiamo il senso di questa giornata con il presidente del Conservatorio San Giovanni Battista dott. Paolo Baldassarri.

dott. Baldassari, com’è nata l’idea di questo evento?

Direi grazie ad una ricerca svolta negli archivi del Conservatorio. In occasione di questa ricerca abbiamo ritrovati dei documenti che attestano la persecuzione di Alba Mantovani, all’epoca direttrice del Conservato-rio. A causa delle leggi razziali, infatti, nell’anno 1938 Alba fu costretta a lasciare il proprio incarico. Abbiamo pensato, pertanto, di fare memoria

di questa figura grazie alla collabo-razione del Centro Studi Donati de-dicandogli una targa ricordo presso il nostro Conservatorio.

Cosa prevede il program-ma?

Lunedi 5 alle 10.30, nell’aula Ma-gna dell’Istituto ITCS Filippo Pacini, si terrà un dibattito sul tema delle leggi razziali di cui quest’anno ricorre l’ot-tantesimo anniversario. Sarà presente un membro della comunità ebraica di Firenze e lo storico Andrea Ottanelli che parlerà del contesto in cui visse Alba Mantovani. Successivamente ci sposteremo nella chiesa di San Gio-vanni, dove spiegherò l’importanza dei Conservatori. Dopo questa mia relazione si terrà un momento molto importante, cioè la posa della targa in memoria di Alba presso il Conserva-torio Giovanni Battista.

Molti pensano che i Con-servatori siano soltanto delle

scuola di musica e invece… I Conservatori sono istituzioni

uniche in Toscana che hanno una va-lenza educativa. A volte sono gestiti da consacrati o religiosi, infatti il gran-ducato di Toscana con motu proprio del 21 marzo del 1785 soppresse molti monasteri e numerosi si tra-sformarono in Conservatori. Ancora adesso il nostro conservatorio di San Giovanni Battista si presenta come una importante realtà educativa nel nostro territorio.

Quale messaggio inten-dete trasmettere con questa iniziativa?

Il messaggio di questa nostra iniziativa sta nel far comprendere ai giovani quali siano stati i problemi e i drammi di quel momento storico, le difficoltà, le persecuzioni, affinché si possa oggi creare un mondo di pace e di fratellanza.

D.R.

l’impegno assunto col Comune di Pistoia per la cura e manutenzione del “Bosco in città”.

Gli scout rappresentano una forza e una realtà tra le più belle in ambito ecclesia-le. Come potreste invitare i giovani a impegnarsi in una bella avventura come la vostra?

Lasciando alle spalle i pregiudizi e «buttando il cuore oltre la staccio-nata» come dice il nostro fondatore Baden Powel: tutti possono provare questa avventura, che forse non sarà facile da portare avanti, ma che è sicuramente un’esperienza che ti riempie la vita, perché importante è fare del nostro meglio ogni giorno non solo nelle nostre attività ma nella vita quotidiana, testimoniando quei valori che tanto ci sono cari.

Daniela Raspollini

fase di stesura del nostro progetto triennale di zona e, quindi, non pos-siamo rispondere con precisione a questa domanda; possiamo però confermare con certezza che saremo

sempre pronti a condividere ed ad impegnarci in prima persona in atti-vità che rispecchino le nostre scelte associative di servizio e di cittadi-nanza attiva. Continueremo, inoltre,

Ricordo di Alba Mantovani, vittima delle leggi razziali

Un evento inserito nel programmadella XXXVI Giornata della pace, cultura e solidarietà

I

el novembre del 1997, ventuno anni fa, venne a mancare a San Pantaleo, nella chiesa di cui era parroco da tanti anni,

don Sabatino Bertini. Mi piace ri-cordare un diario che scrisse negli ultimi anni della sua vita. Colpiscono le sue illuminate espressioni di fede, insieme ad alcune lucide considera-zioni con le quali esamina lo stato della nostra popolazione che vede un progressivo incremento di persone anziane non autosufficienti rispetto ai più giovani che lavorano e sono chiamati a sostenerle. Una spropor-zione che oggi ritroviamo ancora più

Ricordando don Bertini fondatore

del Teisd

N

C

MoiCASuffragio

dei defuntiome ogni anno il Moica partecipa alla celebrazio-ne della messa da parte del vescovo, monsignor

Fausto Tardelli, in suffragio dei de-funti, soci e familiari dell’associazio-ne. È un’occasione per riunirci nella preghiera e nell’affettuoso ricordo di chi è scomparso, ma pur sempre vivo nei ricordi.L’appuntamento è per venerdì 9 novembre alle 15,30 nella chiesa di Santa Chiara presso il seminario vescovile in via Puccini n. 34.

consistente. Preoccupato da simile constata-

zione, il generoso parroco pensò di devolvere tutte le sue sostanze e i suoi risparmi, oltre alla sua disponibi-lità organizzativa, per la fondazione e la gestione di una forma di assistenza ad anziani disabili nella sua parroc-chia e oltre. Ad essa diede il nome di Teisd (terza età inabili servizio a domicilio). Subito trovò l’aiuto e la collaborazione di un attivo gruppo di parrocchiane che si adoperarono, e si adoperano tuttora, per il sostegno di tanti anziani bisognosi, attingendo al fondo finanziario concesso dal sacerdote e agli interessi maturati.

Il mio ricordo di don Sabatino risale agli anni lontani quando face-vamo insieme i lunghi viaggi sull’au-tobus che ci portava in montagna, alla scuola dove eravamo colleghi insegnanti. Nei nostri colloqui mi col-pivano la sua dolcezza, il suo modo semplice e diretto di esprimere i propri sentimenti religiosi, lo stesso che era solito usare con i ragazzi, che trovavano piu leggero l’impatto con le difficoltà della sintassi e della lingua italiana. Oggi, nell’anniversario della sua morte, mi sembra dovero-so ricordarlo per la sua missione sacerdotale che lo rese caro a tutti i suoi parrocchiani, per il suo impegno scolastico, per la fondazione che richiede tanti suoi sacrifici materiali, ma che lo sta ripagando anche oggi con evidenti risultati.

Viviano Becagli

94 novembre 2018 n. 39VitaLa

anno del servizio civile volon-tario, oltre che un’esperienza di crescita personale, può esse-re valorizzato anche ai fini di

una futura pensione. Negli anni si sono susseguite disposizioni normative che hanno modificato l’inqua-dramento previdenziale dei giovani avviati al servizio civile prevedendo modalità di accredito contributivo diverse a seconda dell’epoca in cui il servizio è stato presta-to. Fino al 31/12/2005 i periodi di servizio civile sono validi ai fini pensionistici quale contribuzione figurativa, con le stesse mo-dalità di accredito previste per il servizio militare. Pertanto, il giovane volontario avviato al servizio civile prima del 2006 può ottenere l’accredito figurativo dall’In-ps o da altro Ente previdenziale, presen-tando l’attestato rilasciato a conclusione del servizio o un’autocertificazione. Tale

trattamento è riconosciuto anche ai volon-tari che sono stati avviati al servizio civile nel corso del 2005 e hanno concluso l’atti-vità nell’anno 2006. Dal 1° gennaio 2006, dopo la sospensione della leva obbligatoria, il servizio civile è prestato su base esclusivamente volonta-ria e i giovani impegnati nel servizio sono assicurati, ai fini pensionistici, con iscri-zione alla Gestione Separata. In pratica, i periodi di servizio civile sono coperti da contribuzione obbligatoria, con onere a ca-rico del Fondo Nazionale. Questo regime è durato fino al 31 dicembre 2008. A partire dal 1° gennaio 2009, per effetto delle disposizioni introdotte dal “decreto anticrisi” del 2008 (DL 185/2008), cessa qualsiasi obbligo contributivo a carico del Fondo Nazionale e i relativi periodi di servizio sono coperti da contribuzione solo mediante riscatto, con onere a carico degli assicurati. I giovani che hanno iniziato il

servizio civile nel 2008 e hanno concluso l’attività nel corso dell’anno 2009, hanno continuato ad essere iscritti alla Gestione separata per tutto il periodo di durata del servizio. Il riscatto può essere chiesto all’Inps, alla gestione ex-Inpdap, nella Gestione Separata, ecc., purché risulti versato, al momento della domanda, almeno un con-tributo obbligatorio. Il periodo di servizio civile da riscattare, inoltre, non deve risul-tare già coperto da contribuzione, obbliga-toria o figurativa o da riscatto. La domanda può essere presentata in qualsiasi momento e il riscatto può essere chiesto solo per una parte del periodo di servizio svolto. L’onere si può versare in unica soluzione ovvero in 120 rate mensili senza applicazione di interessi.

a cura del PatronatoAcli nazionale

PATRONATO ACLI

Servizio civile

La contribuzione dei volontari

L’

italiali italiani sono razzisti? È questo un dilemma che ci tormenta ogni volta che leggiamo sui giornali

fatti incresciosi e gravi in tal senso. Non direi però che fatti isolati,

anche se ripetuti, possano indicare un razzismo strisciante e congenito in seno agli italiani.

Nel 1937 Mussolini dovette emanare una legge che vietava i ma-trimoni misti nelle colonie.

Certo, una legge di stampo razzi-sta, ma inglesi e francesi non dovette-ro mai promulgare leggi simili perché nelle loro colonie il fenomeno non si presentava, semplicemente. Nes-suno, neppure il soldato semplice si sarebbe mai sposato con una donna del luogo, né in Algeria né in India.

No, gli italiani non sono razzisti, però…. (c’è sempre un però).

Fintantoché gli immigrati an-davano a ricoprire posti di lavoro nella scala più bassa della società, non sorgeva alcun problema. Erano i benvenuti come badanti, nelle fon-derie, ad asfaltare le strade in luglio e agosto, manovali nei cantieri; tutti mestieri che noi non volevamo più fare e che ben volentieri lasciavamo a loro.

Dopo circa 30 anni di immigra-zione c’è la seconda generazione di albanesi, rumeni, africani, ucraini, cinesi e via elencando. Chi è arrivato in Italia con il gommone, o attraver-sando clandestinamente le frontiere nei boschi, ha una determinazione sconosciuta ai nostri giovani tutti presi a “spippolare” il telefonino e con i soldi del babbo in tasca.

Gli immigrati di prima genera-zione hanno messo in piedi officine meccaniche, sono diventati bravi muratori e piastrellisti, sono fornai, ortolani apprezzati, camionisti e i figli se riportano un 7 a scuola sono addirittura puniti, perché sanno be-nissimo che per crescere nella scala sociale un immigrato deve valere molto di più di un italiano.

In una parola gli immigrati e i loro figli stanno scalzando le occupazioni tradizionali di un buona fetta di po-polazione italiana che si cullava dello status, professionale ed economico, raggiunto.

Il rovescio della medaglia è che gli italiani si sentono in pericolo: hanno timore di perdere il lavoro e di scen-dere velocemente nella scala sociale.

È questo un fenomeno già regi-strato nel nostro Paese in almeno tre fasi storiche.

1917, rotta di Caporetto. 500.000 profughi italiani scappano dalle loro terre e, faticosamente, vengono mandati in tutta la penisola, soprat-tutto al Centro Sud. L’accoglienza è pessima da tutte le parti: li chiamano i “tedeschi” e sono osteggiati dalla popolazione residente per la paura che portino via quel poco di pane che avevano.

A cavallo tra gli anni ’20 e ’30 fu bonificato l’Agro Pontino, costruite 4.000 case coloniche e concesse a contadini veneti appositamente trasferiti. Anche in questo caso ci furono problemi di inserimento con la scarsa popolazione autoctona.

Negli anni del “boom” economi-co, ben 5 milioni di persone lasciaro-no il Sud subendo gravi problemi abi-tativi e di inserimento nelle società del Nord. Il cartello con scritto “non si affitta a Meridionali” era molto comune nelle case di ringhiera della Torino operaia di quegli anni.

Gli italiani sono razzisti?di Piero Bargellini

G

Non ci dobbiamo meravigliare di tutto ciò, in fondo non è altro che una legge economica ben conosciu-ta: quando c’è una offerta di lavoro (lavoratori), superiore alla domanda (aziende), i salari diminuiscono. Così è stato in tutte le epoche e in ogni parte del globo.

Abbiamo pure la controprova! Dopo la grande pestilenza del 1348 che falcidiò almeno il 30% della popolazione, ma in alcune zone raggiunse anche il 50, i salari schiz-zarono alle stelle, appunto per la penuria di braccia.

Di che meravigliarsi dunque se gli iscritti alla Cgil hanno votato per il 23% per la Lega e il 40% per i 5 Stelle.

Di che si meraviglia la sinistra se non riesce a catturare consenso? Evidentemente esiste una classe dirigente che non sta più né in fab-brica né tra la gente e non coglie un

sentimento profondo e diffuso. Di che meravigliarsi se nessuno

ha più un progetto complessivo per questa società, ma difende con le unghie e con i denti il proprio orti-cello, tentando, solo tentando, così di rincorrere la destra sul suo terreno. Sembra quasi che taluni gruppi diri-genti siano agli antipodi rispetto alla propria base.

Di che meravigliarsi poi se gli in-dustriali sono molto favorevoli all’im-migrazione: essa tiene bassi i salari e non favorisce certo l’innovazione tecnologica. Sta succedendo l’esatto contrario degli anni degli anni ’60 e ’70 quando la piena occupazione favorì la crescita salariale, stimolò l’innovazione tecnologica e con essa la competitività delle nostre aziende in Europa e nel Mondo.

Al di là di alcuni casi patologici, gli italiani non sono razzisti, ma sono molto attenti, da sempre, ai sovver-timenti sociali ed economici dovuti alla presenza di altre popolazioni sul loro territorio.

10 n. 39 4 novembre 2018 LaVitaitalia

Un appello ai leader di tutto il mondo, in vista della Cop24 sul clima che si terrà in Polonia a dicembre, perchéintervengano per contrastare gli effetti devastanti del riscaldamento globale.È stato firmato a Roma dai presidenti delleConferenze episcopali regionali di Europa, Asia, Africa, America Latina ed Oceania. Focus sull’Africa con monsignor Gabriel Mbilingi, arcivescovo di Lubango (Angola) e presidente del Secam, il Simposio delle Conferenzeepiscopali di Africae Madagascardi Patrizia Caiffa

CLiMA: Un GRido d’ALLARME

“Azione immediata” per contrastare “gli effetti devastanti”

I vescovi di tutto il mondo uniti contro gli “effetti devastanti” del riscaldamento globalecontrastare “gli effetti devastanti” dei cambiamenti climatici. In vista del summit Cop24 che si svolgerà a dicembre a Katowice, in Polonia, i vescovi reclamano un accordo per limitare l’innalzamento del riscalda-mento globale a 1,5 gradi centigradi. Il processo è sostenuto da Caritas internationalis, Cidse e The Global catholic climate movement. Nel do-cumento viene ricordata l’urgenza di “una giustizia intergenerazionale” nei confronti dei giovani; di “tutelare la dignità umana e i diritti, in particolare dei più vulnerabili”; di “preservare e proteggere il sapere e le tradizioni delle comunità indigene”, di cambiare il “paradigma finanziario”, “trasfor-mare il settore energetico” e “ripen-sare il settore agricolo”. Firmatari dell’appello il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Fabc, la federazione delle Con-ferenze episcopali asiatiche; mons. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Comece, rappresentante della Chiesa cattolica nell’Unione europea insieme al card. Angelo Bagnasco, presidente del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee); il card. Rubén Salazar Gomez, arcivescovo di Bogotà e presidente del Celam, la Conferenza degli episcopati dell’America Latina, l’arcivescovo Peter Loy Chong, pre-sidente della Fcbco (Oceania). Per

l’Africa ha firmato monsignor Gabriel Mbilingi, arcivescovo di Lubango (An-gola) e presidente del Secam, il Sim-posio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar, che ci ha parlato dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla popolazione africana.

Come la Chiesa dell’An-gola sta affrontando la sfida ambientale causata anche dai cambiamenti climatici?

L’Angola è uno dei Paesi africani più sfruttati per la presenza di petro-lio, diamanti e foreste. Abbiamo tanti problemi riguardo ai cambiamenti climatici perché lo sfruttamento minerario causa l’impoverimento dei terreni, che diventano non più coltivabili. In questo momento i pro-blemi ambientali sono molto gravi. Il governo angolano ha istituito un Ministero per l’ambiente, noi come Conferenza episcopale cerchiamo di essere d’aiuto, anche perché nella regione dell’Africa australe dal 2016 c’è stata una precisa opzione a favore della tutela dell’ambiente. Abbiamo una Commissione giustizia e pace, stiamo preparando un manuale su questi temi, vogliamo lavorare sull’educazione, sul cambiamento di stili di vita e su leggi che possano dare delle garanzie.

Non vogliamo essere all’interno di quella parte di società che distrug-

ge l’ambiente.

E a livello continentale?A livello di Secam abbiamo la

Commissione Giustizia, pace e svi-luppo che collabora con il Dicastero per il servizio allo sviluppo umano integrale, perché lo sviluppo ha a che fare con l’ecologia. Stiamo cercando di portare avanti una azione comune, coordinata dal Secam, in tutte le otto regioni del continente africano. Abbiamo anche un’attività di lobby sulle questioni maggiori, tra cui la mi-grazione e la democrazia e l’ecologia, presso l’Unione africana (Ua).

in che misura il clima è causa di migrazioni forzate in Africa?

Moltissimo. Quando le persone si rendono conto che la terra non può più essere lavorata sono costretti ad abbandonarla. Molti lasciano i loro Paesi a causa della povertà, acuita dalla questione ecologica. Altri per problemi politici, per la mancanza di democrazia e perché i nostri gover-nanti sono d’accordo con coloro che vogliono sfruttare le risorse del conti-nente. È vero che la maggior parte dei migranti verso l’Europa provengono più dall’Africa settentrionale e centra-le ma anche nell’Africa subsahariana ci sono grossi problemi di migrazioni interne, dovuti alla mancanza di pace

e democrazia in molti Paesi.

in questi giorni di presenza al Sinodo si sarà reso conto che in Europa il dibattito sui migranti ha assunto toni osti-li, soprattutto nei confronti di chi arriva dall’Africa. Quali soluzioni?

Le migrazioni esistono dall’inizio del mondo, ricordiamo i massicci flussi di europei verso le Americhe dopo la seconda guerra mondiale. In questi giorni ci rendiamo conto che tanti Paesi europei hanno anche bisogno di manovalanza straniera per sopperire al calo demografico ma quando si arriva al punto di favorire leggi per regolamentare una migra-zione più ordinata non si assumono responsabilità. La migrazione è oramai una questione mondiale.

Come Chiesa non possiamo es-sere d’accordo con gli atteggiamenti dell’Europa nei confronti dei migranti africani.

Facciamo perciò un appello af-finché i governi dei Paesi di origine e di destinazione trovino un modo ragionevole per affrontare il fe-nomeno. Perché i governi europei non aiutano i nostri capi in Africa a creare le condizioni perché la gente rimanga? Questo è il problema. Forse costerebbe molto di più all’inizio ma poi il fenomeno si potrebbe ridurre.

presidenti delle Conferenze episcopali regionali di Europa, Asia, Africa, America Latina ed Oceania hanno firmato a

Roma, nella sede di Radio Vaticana, una dichiarazione congiunta per chie-dere ai leader dei governi di tutto il mondo “una azione immediata” per

I

a bocciatura della manovra da parte della commissione europea non ha sorpreso nessuno, neppure gli espo-

nenti del governo. La decisione era nell’aria e sono in molti a sostenere che le due “torri” del governo, Sal-vini e Di Maio, se la siano andata a cercare. Avere tutti contro, dicono, significa che stiamo operando bene. Il fatto che la commissione abbia preso proprio nei confronti dell’Italia per la prima volta una decisione così grave, viene considerato addirittura un primato di cui vantarsi. Di nor-ma la Commissione esprime un primo parere circa l’aderenza delle manovre dei vari paesi europei agli impegni presi sul fronte dei vincoli di finanza pubblica, entro il 30 novem-bre. Ora il governo ha tre settimane per resistere sulle sue posizioni o per assumere un atteggiamento più ragionevole. Il cammino di questo governo, va riconosciuto, non è dei

PoLiTiCA

Resistere o ragionare

di Pino Malandrino

Governare non è un’ impresa facile. Per nessuno.È più facile fare opposizione.Ogni governonel passato, comenel presente, ha dovutoe deve fare i conti con problemi atavici.A fronte di tanti fattoridi successo ci sonoproblemi che minanola stessa strutturadel Paese...

riduzione delle tasse e altre ancora. Con l’aggravante che, poiché le vuole il popolo, nessuno può censurarle. Così, incuranti dei danni che arre-cano al Paese, indirizzano invettive – “ne uccide più la lingua che la spada” – contro coloro che espri-mono, a vario titolo, osservazioni nei confronti della manovra del governo. Per Di Maio e Salvini, i pareri dei tecnici di Bruxelles, come quelli delle agenzie di rating (le società che va-lutano la solidità e la solvibilità di un Paese), quelli dei tecnici dei ministeri, degli economisti e degli opinionisti, costituiscono un’ingerenza indebita e, pertanto, da rigettare. Chi vuole sostenere tesi contrarie a quelle del governo, affermano, si dimetta dal proprio incarico e si faccia eleggere dai cittadini.

Tradendo un vizio tutto italico – il vittimismo – si ingenera così il sospetto che nei confronti del nostro Paese vi sia una sorta di congiura per minare all’origine il tentativo “giallo-verde” di cambiare l’Italia. Non è un male che si com-batta la povertà, l’errore sta nel non eliminarne le cause, con investimenti capaci di creare occasioni di crescita economica e quindi di lavoro. Con la conseguenza di lasciare il sud in uno stato di permanente dipendenza. Il resto è tutta propaganda.

Lpiù agevoli. È costretto a far fronte ad attacchi e ad insidie che gli arri-vano da ogni parte, dall’esterno, ma anche dall’interno. L’episodio di una possibile manipolazione del verbale del Consiglio dei ministri denunciato dal leader dei Cinquestelle, Di Maio, è il segnale delle forti contrapposizioni fra Lega e Cinquestelle. D’altra parte i due partiti, avversari durante le ele-zioni, hanno programmi e motivazioni diverse, frutto della loro storia e degli elettorati di riferimento: l’Italia pro-duttiva del nord, per la Lega, le tante situazioni di disagio del meridione, per i Cinque stelle. Esigenze superate – “turandosi il naso” – pur di conqui-stare il potere. Anche perché né la Lega, né i 5S hanno, da soli, vinto le elezioni. Per governare hanno dovuto sommare i rispettivi voti, imponendo anche i rispettivi programmi. Cosic-

ché il governo deve sostenere non uno, ma due programmi. Con tutte le conseguenze – incompatibilità, sforamento dei bilanci – che hanno portato alla bocciatura della manovra.

Governare non è un’ impresa facile. Per nessuno. È più facile fare opposizione. Ogni governo nel pas-sato, come nel presente, ha dovuto e deve fare i conti con problemi atavici. A fronte di tanti fattori di successo ci sono problemi che minano la stessa struttura del Paese. Un debito stratosferico, un’economia a due velocità, elevata al nord, lenta al sud; oltre cinque milioni di poveri; la più alta percentuale di giovani disoccu-pati in Europa. Per non parlare delle tante carenze in tutti i settori, dalla macchina amministrativa alla giustizia, dalla scuola alla sanità. Governare in queste condizioni è quasi impossibile.

Ogni tentativo deve essere ispirato a competenza, saggezza, coraggio, umiltà e lungimiranza. Con la con-sapevolezza che non si governa solo per risolvere i problemi contingenti, ma per costruire il Paese del domani. Una celebre frase attribuita a De Gasperi dice che: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”.

Molte esperienze del passato, come quella del governo attuale, vanno nella direzione opposta. A determinare le scelte del governo non sono, infatti, i sani principi della politica, ma l’asticella del consenso popolare. Ebbene, anche a costo di sfasciare i conti pubblici, si costrui-sce una manovra che contiene tutto quello promesso al popolo: pensioni anticipate, reddito di cittadinanza, condono per le tasse non pagate,

114 novembre 2018 n. 39VitaLa europa

air Bolsonaro è dunque, come ampiamente previ-sto, il nuovo presidente del Brasile, con il 55,1% dei voti. Vittoria attesa e pre-figurata da tutti i sondaggi,

dopo il 46 per cento ottenuto al primo turno tre settimane fa, ma non per questo meno dirompente e clamorosa. In pochi mesi, il can-didato dell’ultradestra antisistema, ex capitano dell’Esercito nostalgico della dittatura militare, non certo un uomo nuovo essendo in Parla-mento fin dal 1991, ha sconvolto la politica brasiliana imponendo uno stile politico aggressivo e spesso violento, messo da parte solo sta-notte, per un conciliante discorso (“Rispetterò la Costituzione e la democrazia”).

Bolsonaro ha infarcito la cam-pagna elettorale di slogan antifem-ministi e omofobi, veicolati soprat-tutto attraverso i social network. Ha promesso il pugno di ferro e l’uso dell’esercito per combattere la criminalità. E ha goduto della cri-si dei partiti al governo negli ultimi anni, tutti coinvolti in scandali di corruzione. Il grande sconfitto è stato infatti il Partito dei lavoratori (Pt), rimasto orfano dell’ex presi-dente Lula, ancora agli arresti. Era forse l’unico, con il suo carisma, in grado di fronteggiare Bolsonaro, mentre ben poco ha potuto l’ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad, che pure è leggermente risalito negli ultimi giorni, evitando di essere umiliato.

L’esito delle elezioni nei singoli Stati dell’immensa federazione conferma la tendenziale crisi del Pt, ma offre un panorama diversificato e frammentato: il nord del Paese è quasi tutto a sinistra, il sud a destra. E i nuovi Governatori di San Paolo e Rio de Janeiro, usciti vincitori alo ballottaggio, erano appoggiati da Bolsonaro.

Ora, dopo una campagna elet-torale che ha drammaticamente spaccato un Paese in profonda crisi economica, sociale e morale, si apre, ora un periodo denso di incognite per il grande Paese lati-noamericano e per il futuro delle classi più povere, degli indigeni, della stessa Amazzonia. Tra i grandi

ELEZioni in BRASiLE

Bolsonaroè il nuovo Presidente

Monsignor Krieger (primate): “La Chiesa non rinuncerà al suo ruolo profetico”

Vittoria attesa eprefigurata da tutti isondaggi, dopo il 46 per cento ottenuto al primo turno tre settimane fa, ma non per questo meno dirompente e clamorosa. In pochi mesi, ilcandidato dell’ultradestra antisistema, ex capitano dell’Esercito nostalgico della dittatura militare, non certo un uomo nuovo essendo in Parlamento fin dal 1991, ha sconvolto la politica brasilianaimponendo uno stilepolitico aggressivo e spesso violento, messo da parte solo stanotte, per un conciliante discorso (“Rispetterò la Costituzionee la democrazia”)di Bruno Desidera

elettori di Bolsonaro, fortissimo soprattutto nel sud del Brasile, dove tantissimi sono i discendenti degli emigranti italiani (lo stesso nuovo Presidente ha origini venete da parte del padre e toscane da parte della madre), figurano i grandi proprietari terrieri e i grandi grup-pi industriali. Un ruolo decisivo è stato rivestito anche dalle comunità evangeliche e pentecostali.

Denso di incognite, invece, il rapporto con la Chiesa brasilia-na, che non ha preso posizione sui singoli candidati in campagna elettorale, invitando però ripetu-tamente, fino a pochi giorni fa, a “deporre le armi dell’odio e della vendetta”. Tuttavia, Bolsonaro ha ripetutamente attaccato i vescovi e ha definito la Conferenza nazio-nale dei vescovi del Brasile (Cnbb) e il Cimi (il Consiglio indigenista missionario) la “parte marcia” dei cattolici brasiliani. Sugli scenari che ora si aprono,abbiamo intervistato dom Murilo Krieger, arcivescovo di San Salvador de Bahia, primate del Brasile e vicepresidente della Cnbb (nell’ultimo mese ha svolto le fun-zioni di presidente, in assenza del cardinale da Rocha, impegnato al Si-nodo). L’arcivescovo tende la mano al nuovo presidente, ma avverte:

“La chIesa nonrInuncerà aL suo ruoLo profetIco”

Come il Brasile potrà uscire da questo clima di polarizzazione e violenza?

Ho molto più che una speran-za, direi ne ho quasi la certezza: superato questo appuntamento elettorale, a partire da subito, la pace tornerà a regnare qui in Brasile. Tutti sono stanchi di una campagna elettorale che è stata molto estenuante, in quanto ci sono state ben poche proposte e molti attacchi reciproci. Certamen-te, in breve tempo, sia i sostenitori del candidato “X” che il candidato “Y” diventeranno consapevoli dei loro eccessi. Per quanto riguarda la violenza: è bene ricordare che essa è stata principalmente scritta o verbale. Di violenza fisica, come sappiamo, c’è stato un caso, ed è successo proprio qui nella sede dell’Arcidiocesi primaziale del Bra-sile, a San Salvador.

Quali saranno le princi-pali richieste della Chiesa brasiliana al nuovo Gover-no?

Qui in Brasile, quando si insedia un nuovo Governo, c’è la tradizio-ne di aspettare i primi cento giorni, per vedere che direzione prende. Quanto alle possibili domande: non abbiamo preparato nulla di preciso da chiedere agli eletti, anche se le posizioni della Cnbb (Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile) sono sempre state molto chiare.

J

• scopI deLLa commIssIone europea: promuo-ve l’interesse generale dell’Ue proponendo la legislazione e assicurandone il rispetto e attuando le politiche e il bilancio dell’Ue

• membrI: un gruppo o “collegio” di commissa-ri, uno per ciascun paese dell’Ue

• presIdente: Jean Claude Juncker

• anno dI IstItuzIone: 1958

• sede: Bruxelles (Belgio)

Cosa fa la Commissione?

Propone nuove leggi La Commissione è l’unica istituzione dell’Ue

a presentare al Parlamento europeo e al Consiglio disposizioni legislative da adottare e:

• tutela gli interessi dell’Ue e dei suoi cittadini su questioni che non possono essere gestite efficacemente a livello nazionale

• si avvale, per gli aspetti tecnici, di esperti e dell’opinione pubblica.

Gestisce le politiche e assegna i finanziamenti dell’Ue• Stabilisce le priorità di spesa dell’Ue, unita-

mente al Consiglio e al Parlamento.• Prepara i bilanci annuali da sottoporre

all’approvazione del Parlamento e del Consi-glio.

• Controlla come vengono usati i fondi, sotto l’attenta sorveglianza della Corte dei conti.

Assicura il rispetto della legislazione dell’UE• insieme alla Corte di giustizia garantisce che

il diritto dell’Ue sia correttamente applicato in tutti i paesi membri.

Rappresenta l’UE sulla scenainternazionale• Fa da portavoce per tutti i paesi dell’Ue pres-

so gli organismi internazionali, in particolare nei settori della politica commerciale e degli aiuti umanitari.

• Negozia accordi internazionali per conto dell’Ue.

APPROFONDIMENTI

Commissione europea

Tutti sanno quello che pensiamo noi vescovi. Certamente, mi riferisco soprattutto a ciò che è essenziale, ai valori. Per quanto riguarda le po-sizioni riguardo a singole questioni, potrebbero esserci delle differenze tra di noi. In ogni caso, valuteremo di volta in volta cosa chiedere.

La Chiesa continuerà a parlare di questioni sociali? E quali , soprattutto?

Nel momento attuale della no-stra storia, ciò che ci preoccupa di più sono il numero di disoccupati e

la crescente violenza, in gran parte causata dalla droga e dal narcotraffi-co. Continuiamo a sostenere che la pace è il frutto della giustizia; quindi dobbiamo investire di più nell’istru-zione e su progetti che rispondano alle sfide della mancanza di alimenti, dei senzatetto, delle malattie, alcune delle quali erano ormai scomparse.

Siete preoccupati, come Chiesa brasiliana, del futuro del creato, dei popoli indige-ni e dei più poveri? Come di-fenderli, nel nuovo contesto

che si è venuto a creare?La Chiesa è stata per decenni

una coscienza critica riguardo alle decisioni esecutive e legislative. La Chiesa, in poche parole, applaude quando vengono prese misure so-lide, mentre critica i provvedimenti che feriscono i diritti dei più fragili. Agiamo attraverso note pastorali, messaggi, la Campagna della Frater-nità, l’attività della Pastorale sociale, l’azione con deputati e i senatori che condividono i nostri valori, ecc. La Chiesa continuerà quindi a rive-stire il suo ruolo profetico.

12 cinema e spettacolo n. 39 4 novembre 2018 LaVita

CHIUSO IN TIPOGRAFIA: 30 OTTOBRE 2018

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iovanissima, ma il 7 luglio si è già aggiu-dicata il 3° posto nella I° edizione

del concorso “Strada facendo” Coppa Royal Palace a Mon-tecatini Terme. È Virginia De Luca, 13 anni, di Uzzano: 10 i concorrenti ciascuno esibitosi con 2 brani; lei, la più giovane, con “Sarò Libera” di Emma Marrone e “Stupendo fino a qui” di Alessandra Amoroso. Il giorno seguente vince invece la categoria Junior della 5° edizione “Xtalent”, concorso a squadre organizzato dal Laboratorio artisti di Quarrata, valutata da una giuria tecnica d’esperti musicali e popolare. Il 21 giugno, alla Festa nazionale della musica, con un amico si è esibita in un centro commer-ciale per un’ora, riscuotendo un ottimo riscontro di pub-blico, interpretando 8 brani ciascuno. Nei mesi di agosto e settembre scorsi lavora al primo inedito, “Un momento tutto da vivere” scritto da Anna Persiano di Lucca. L’autrice ha scritto il singolo pensando alla giovane età di Virginia: parla dei pregiudizi e delle critiche che gli adulti spesso muovono contro i bambini e gli adolescenti, nella maggior parte dei casi invece privi di malizia e doppi sensi, ragazzi

Saranno famosi... La giovanissima cantante Virginia De Luca

di Leonardo Soldati

Gche vogliono solo vivere la loro età anche con spensieratezza, facendo le proprie esperienze alla scoperta del mondo; una sorta d’invito agli adulti a ricordarsi che anche loro a suo tempo hanno vissuto quel momento. L’11 agosto è in scena alla Rocca di Bibbona per le fasi re-gionali del Cantagiro, ricevendo voti altissimi e accedendo alla fase finale della gara tenutasi in settembre a Fiuggi, esorden-do con l’inedito “Un momento tutto da vivere”. Il 25 settem-bre, invece, la convocazione alla fase macroregionale del concorso internazionale Tour music fest, a Bagno a Ripoli (FI), importante vetrina con patron Enzo De Carlo e i maestri Ma-rio Torosantucci, Elvino Echeoni, Antonietta Calo. «Diciamo che quest’anno è stato l’anno dei riconoscimenti, -dichiara la madre di Virginia- che ci hanno ripagato dei sacrifici e l’impegno messi da parte della nostra famiglia». La ragazza studia canto e ha conseguito la certificazione di primo livello per canto moder-

no, e pianoforte. Partecipa al primo concorso canoro a 10 anni per la 3° edizione “Una voce una canzone” 2015 a Porcari; tre edizioni dal 2015 di Talent busters acchiappatalenti di Elisabetta Branchetti con premio simpatia e 5° classi-ficata con premio della giuria popolare, finalista nel format tv in onda a giugno scorso su Toscana TV. L’anno scorso è in scena nel musical “Il magico mondo dei cartoon Disney” intrepre-tando la principessa Tiana, opera tratta da “Il principe e il ranocchio” a sostegno di Aisla Arezzo; partecipa al “Musicalmente” famosi mu-sicals a favore dell’ospedale pediatrico Mayer di Firenze; partecipa alla 4° edizione Xtalent a Quarrata; è presente con il coro Mystical Voices del Vocalab di Mary Filizola con la direzione del maestro Gianluca Sambataro nello spettacolo “Io doppio” dell’attore Paolo Ruffini al Teatro Verdi di Firenze. Quest’anno è stata semifina-lista nella 18° edizione “Una voce una canzone - Cantapalio”

di Fucecchio (FI) e partecipa a Cantauzzano ottenendo il premio della giuria; il 3° posto a “Dilettando-dilettanti allo sbaraglio” e in semifinale ne “Il biscione d’oro” categoria Pinocchio. Partecipa ad eventi come “Noi per voi” a sostegno di Att - Associazione toscana tu-mori, “Incantesimus”; in “Artisti allo Specchio” interpreta Nina Zilli, collabora con Area live 23 diretto dal maestro Gianluca Sambatario,prende parte allo stage di canto corale moderno con Sambataro e di musical Disney con Jacopo Pelliccia a Scandicci (FI); sfila nella 12 edizione Fashion night live al Santomato live a Pistoia.

onostante sia en-trato nel mondo del cinema alla fine degli anni ‘60,

influenzato non poco dagli onirismi felliniani, è solo nei primi anni ‘80 che Pupi Avati ha incontrato il favore del grosso pubblico con “Una gita scolastica”. È la storia di un timido professore che, inna-morato senza speranza di una disinibita collega, la difende quando si abbatte su di lei lo scandalo di essersi appartata con uno studente durante una passeggiata montana in gita coi suoi alunni. L’intera storia non è però raccontata al presente ma è rievocata attraverso una fotografia -proprio come una famosa poesia di Gozzano- che ri-porta ai fatti in questione, accaduti nel lontano 1914. Il ritorno al passato, una sensazione piuttosto mesta dello scorrere del tempo, un serpeggiante malessere nostalgico -quasi gozzaniano appunto- delle esperienze giovanili, sono elementi carat-teristici del cinema avatiano, tanto significativi nella poetica dell’autore che è difficile non riconoscere -più o meno riusciti- la paternità dei suoi film. Per la verità il successo, o perlomeno la notorietà, per il regista bolognese era giunta già nel 1978 quando, in tre puntate, era andato in onda lo sceneggiato “Jazz band”, che racconta le origini del gruppo dixieland in cui Avati cominciò a suonare giovanis-simo come clarinettista.

La carriera musicale poi dovette abbandonarla di ma-lavoglia -lui, grandissimo ap-passionato di jazz, che ricorre

N

CinEMA

Pupi Avati, il regista della nostalgiafrequentemente nelle colonne sonore dei suoi film- poichè ben presto s’inserì nel gruppo un tipo barbuto, tozzo, brutta-rello, cui sulle prime Avati non dette una cicca. Si chiamava Lucio Dalla. Di fronte al genio il corretto strumentista non potè fare altro che cambiare strada e la storia (raccontata più volte spassosamente, con tanto di repressi propositi omicidi di colui che aveva intralciato il raggiungimen-to dei suoi sogni) è stata raccontata in “Ma quando arrivano le ragazze?”, in cui il solitamente bravo Claudio Santamaria appare troppo autocompiaciuto per essere davvero convincente. Altrove Avati ha omaggiato un vero e proprio idolo, Bix Beiderbe-cke, il leggendario cornettista bianco morto alcolizzato a nemmeno trent’anni, di cui ci restano registrazioni stra-ordinarie. Sfortunatamente anche “Bix” non è tra i suoi lavori migliori. Avati è nel suo spazio più congeniale quando lavora a casa sua e racconta la sua terra: Bologna. Coi suoi portici, le sue eleganti piazze, le strade piastrellate, il suo fascino discreto, il capoluogo felsineo non sfugge mai agli sguardi del regista, sempre pieni d’affetto e di pudore. A Bologna è ambientato uno dei suoi film più belli, “Il cuore altrove”, che gli regalò un Da-vid, in cui una ragazza cieca fa innamorare di sè molti uomini, tra cui anche un impacciato insegnante di lettere antiche, che non dimenticherà mai la notte d’amore trascorsa con lei. Temi vecchi ma sfumature nuove, come accade spesso nei racconti di Avati, merite-vole anche di essere uno dei migliori direttori d’attori del cinema italiano. Qui dirige esemplarmente due debuttan-ti come Vanessa Incontrada e Neri Marcorè; in altre circo-

stanze ha saputo ridare linfa ad attori male utilizzati o sciupati in prodotti poco dignitosi, vedi il baffuto Diego Abantantuono e l’ossuto Carlo Delle Piane. Il secondo, riesumato già alla fine dei ‘70, è il docente del

citato “Una gita scolastica” e il non meno goffo protagonista di “Festa di laurea”. Insieme i due attori si sono ritrovati invece in quello che è uno dei migliori film corali di Avati, “Regalo di Natale”, cupa storia

di fallimenti esistenziali e di amicizie tradite (che frutta a Delle Piane la Coppa Volpi e ad Abantantuono il Nastro d’Argento nel 1986) e che troverà un sequel meno riu-scito, molti anni dopo, con “La rivincita di Natale”. Sull’Ap-pennino bolognese, a Porretta Terme, è girato anche “Storia di ragazze e ragazzi”, bianco e nero, un po’ vanesio, ispirato al racconto del pranzo di nozze dei genitori di Pupi Avati (e del fratello Antonio, solitamente produttore dei suoi lavori). Film molto trattenuti, compo-sti, quasi vecchio stampo, sono anche “La via degli angeli”, con la Cervi e la Muti, nipote (di Gino) e figlia (di Riccardo) d’arte, “La seconda notte di nozze”, in cui figura una Riccia-

relli non disprezzabile, “Il papà di Giovanna”, toccante inter-pretazione di Silvio Orlando e “Il figlio più piccolo”, ancora una volta una dimostrazione delle doti maieutiche di Avati che trasforma credibilmente Christian De Sica in valido at-tore drammatico. Alcuni critici hanno lodato anche alcune de-viazioni dell’autore nell’horror padano (“La casa dalle finestre che ridono” e “Zeder”) e nella stomachevole descrizione di un Medioevo imbarbarito (“Magnificat”) ma Avati, sem-pre buon professionista, è più a suo agio nelle mezze tinte, nei toni sfumati, in un cinema fatto di sussurri e non di grida, di lacrime appena intraviste e non di pianti sguaiati.

Compie 80 anniil 3 novembredi Francesco Sgarano