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INDICE
DOCUMENTO POLITICO
TESI 1: La conoscenza e l’università nel processo di mercificazione dei saperi:
immaginare e praticare un mondo nuovo ____________________________ pag. 2
TESI 2: L’Università nel post-Gelmini: cos’è cambiato e cosa cambieremo __ pag. 4
TESI 3: Diritto allo Studio ______________________________________ pag. 6
3.1 Borse di Studio ________________________________________ pag. 7
3.2 Prestito d’onore _______________________________________ pag. 9
3.3 Erasmus: Dove vuoi andare _______________________________ pag. 10
TESI 4: Didattica e Valutazione __________________________________ pag. 12
TESI 5: Sogno un’Università libera e aperta a tutt ____________________ pag. 16
TESI 6: Tassazione ____________________________________________ pag. 19
TESI 7: Rappresentanza ________________________________________ pag. 21
TESI 8: Cosa s’intende per Welfare ________________________________ pag. 22
TESI 9: Trasporti ______________________________________________ pag. 26
TESI 10: Precarietà e lavoro la questione di una generazione “mutata” ____ pag. 27
TESI 11: Antifascismo e Antimafia ________________________________ pag. 30
TESI 12: Liber* di saper amare – LGBTQI ___________________________ pag. 31
TESI 13: Rete della Conoscenza __________________________________ pag. 33
TESI 14: E’ tutta una questione di spazio __________________________ pag. 33
TESI 15: L’importanza della partecipazione _________________________ pag. 34
DOCUMENTO ORGANIZZATIVO TESI 1: LINK Fisciano 2.0 _______________________________________ pag. 36
TESI 2: Autonomia e sostentamento dell’organizzazione _______________ pag. 37
TESI 3: Comunicazione _________________________________________ pag. 38
Contributi dai collettivi Pikuadro Kollettivo Ingegneria ____________________________________ pag. 40
APES Assemblea Permanente Studentesca ___________________________ pag. 41
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DOCUMENTO POLITICO
TESI 1: LA CONOSCENZA E L’UNIVERSITÀ NEL PROCESSO
DI MERCIFICAZIONE DEI SAPERI: IMMAGINARE E
PRATICARE UN MONDO NUOVO.
La situazione mondiale, economica e sociale, che viviamo è profondamente cambiata
rispetto a quella in cui hanno vissuto le generazioni precedenti. La natura del Capitalismo
ha creato condizioni nuove di accumulazione di ricchezza e ha spostato il suo raggio agli
ambiti della conoscenza. Dai trattati del WTO alla direttiva Bolkestein vediamo come il
Sapere sia stato inserito nei processi economici e di mercato; dal classico sistema di
produzione materiale di beni, modello ispirato al fordismo e alla grande fabbrica, si è
passati all’accumulazione di ricchezze solamente nominali, al mercato finanziario che di
fatto costituisce in sé una realtà completamente autonoma rispetto all’economia reale, pur
avendo ricadute su di essa, che sono sotto gli occhi di tutti. In questo contesto la
conoscenza, la sua fruibilità e la sua natura collettiva entra in contrasto con un pensiero
che la vede asservita e funzionale solamente al mercato, svilendo la sua funzione sociale e
di emancipatore personale. Da una caratterizzazione qualitativa di essa si passa a una
caratterizzazione quantitativa, che la rende una merce e quindi dato materiale da trattare
come bene di consumo. E’ in questo senso che vediamo la perdita del valore d’uso degli
oggetti verso una valorizzazione estetica e mediale che permette possibilità maggiori di
profitto.
Il ruolo e la funzione dell’Università in questo contesto diviene perciò centrale. Da essa
proviene la ricerca che permette al capitale finanziario di arricchirsi ulteriormente e la
formazione della nuova manodopera istruita ad un sapere che permetta il mantenimento
dello status-quo. L’inizio può essere collocato nel giugno 1999, quando i Ministri
dell'Istruzione dell'U.E. si riunirono a Bologna per sancire la nascita del c.d. “Spazio
Europeo per l'Istruzione” che avrebbe dovuto portare entro il 2010 ad importanti risultati:
internazionalizzazione tra gli atenei, aumento
dell’occupazione per i laureati, perequazione tra i sistemi formativi dei paesi dell'Unione,
etc…
Il famoso Processo di Bologna, come vediamo vivendo le nostre università, ha invece
portato la messa in competizione tra gli atenei, giustificata dalla incalzante retorica del
merito, portando le università non a coltivare le proprie specificità nella didattica e nella
ricerca, ma piuttosto sui servizi offerti e sulle possibilità reali o teoriche che le facoltà
offrono per l'ingresso nel mondo del lavoro.
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Si viene così a formare un pensiero che vede l’Università come un Azienda, finalizzata alla
produttività e all’offerta di servizi ad un utenza che paga rette sempre più alte e a cui
viene offerta una formazione funzionale all’ingresso nel mercato del lavoro. Così la
funzione pubblica di formazione delle generazioni future passa in secondo piano,
traducendosi in un ritrarsi dello Stato dalla filiera dell’Istruzione. La triplicazione delle rette
universitarie britanniche, che ha già portato alla diminuzione dell’8% delle iscrizioni; il
fallimento della formula del prestito d’onore negli USA, forma di indebitamento che per
molti analisti potrebbe essere un'altra bolla finanziaria paragonabile a quella immobiliare,
dimostrano come questo pensiero si traduca materialmente nell’inaccessibilità ai luoghi
della formazione e quindi nella possibilità di costruirsi un futuro diverso da quello già
segnato dall’appartenenza a un determinato contesto socio-economico.
Questi processi, in Italia, hanno inizio con la riforma Ruperti del 1990, che introducendo la
possibilità per i privati di finanziare l'università e l'autonomia finanziaria degli atenei, ha
dato avvio alla competizione nel settore della formazione. Il vero momento di svolta si è
avuto però nel 2000 con la riforma Zecchino-Berlinguer, declinazione italiana del processo
di Bologna, che, attraverso il 3+2 e il sistema dei crediti, ha introdotto di fatto un sistema
di quantificazione del sapere, che avrebbe dovuto renderlo più spendibile sul mercato del
lavoro.
Il non raggiungimento degli obiettivi e il fallimento del sistema 3+2 è evidente e ormai
riconosciuto un po’ da tutti: gli unici effetti ottenuti sono stati una maggiore
frammentazione della didattica, l’impoverimento in termini di qualità,
all'iperspecializzazione di corsi di laurea. Questo, accompagnato dalla demolizione del
concetto di “pubblico”, additato come fonte di sprechi e di corruzione, non che questo non
sia spesso accaduto e che ci pone di fronte al pensare a qualcosa di nuovo che non alla
difesa asettica dell’Istituzione ma che non può giustificare la retorica del privato efficiente
a cui veniamo sempre sottoposti e che affonda le sue radici in una posizione puramente
ideologica, ha portato, da un ventennio a questa parte, allo smantellamento sistematico
dell’Università Pubblica. Tramite la retorica del merito, promossa sia da centro-destra sia
da centro-sinistra, si sono potute giustificare tutte quelle forme di restringimento
dell’accesso a coloro che non possono economicamente permetterselo. Dall’ estinzione,
quasi letterale, del finanziamento alle borse di studio, unica possibilità per migliaia di
studenti di frequentare gli studi, allo sbarramento, oramai generalizzato, dell’accesso ai
corsi di laurea, tramite il quale si specula sui sogni e le speranze delle matricole, fino
all’eliminazione di fatto del limite del 20% della contribuzione studentesca rispetto all'FFO,
si palesa un progetto chiaro: la ristrutturazione del sistema universitario italiano, che dovrà
essere composto da pochi atenei finanziati in maniera adeguata, con investimenti adeguati
per ricerca e didattica, con tasse molto alte e una formazione di qualità, e tanti atenei,
sotto finanziati, rivolti solo alla didattica, più accessibili dal punto di vista economico per le
classi lavoratrici.
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Si innesca un processo per cui l’acquisizione della conoscenza diviene sempre più elitaria e
specializzata, mentre viene garantita un’istruzione generalizzata di carattere nozionistico e
acritico. La conoscenza diviene “risorsa scarsa” e perciò mercificabile e innestabile sulle
rotaie del mercato. Risorsa che permette la perpetuazione del sistema di Potere vigente,
svuotata della sua capacità di sviluppare sapere critico perde la sua funzione di fornire gli
strumenti per pensare ed immaginare un mondo diverso, migliore.
La sfida che dobbiamo saper cogliere, e che si deve tradurre nel nostro agire quotidiano, è
quella di rivendicare e costruire un pensiero diverso, sia della Conoscenza sia
dell’Università, che abbia come centrale la sua libertà da ogni costrizione di tipo
economico, da ogni concetto di possessione elitaria, da ogni influsso privatistico e
aziendale. Una conoscenza che sia fondata sulla sua costituzione relazionale, condivisibile
liberamente e accessibile a tutti e tutte. Rivendicarne il suo ruolo emancipatorio, sia
sociale che individuale, affinché possano emergere coscienze capaci di comprendere la
complessità dell’esistente e capaci di non arrendersi ad essa.
Dobbiamo opporci a tutti quei provvedimenti che vogliono ridurre l’accesso delle persone
all’Università e che vogliono luoghi funzionali alla produzione di generazioni precarie,
sfruttabili; sapendo incorniciare del nostro immaginario tutte le vertenze che portiamo ogni
giorno nella nostra università, costruendo un idea per cui a nessuno e a nessuna può
essere negato la possibilità di sperare un futuro migliore a causa della condizione socio-
economica di partenza, in cui la didattica non sia nozionistica e univoca, in cui i processi
decisionali non sono in mano a pochi ma la partecipazione e i diritti siano patrimonio
fondante di tutti.
Saper pensare e praticare un’ università all’altezza dei nostri sogni è la nostra sfida,
saperla vincere il nostro obiettivo perché “Solo chi rischia di andare molto lontano avrà la
possibilità di scoprire quanto lontano si può andare!”.
TESI 2: L'UNIVERSITA' NEL POST-GELMINI: COS'E'
CAMBIATO E COSA CAMBIEREMO.
La gestione del ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del ministro Gelmini
ha rappresentato uno dei momenti più terrificanti per l'Università e l'istruzione pubblica in
generale. Sotto la guida del governo di centro-destra Berlusconi, il mondo della
conoscenza ha subito l'attacco più devastante e mirato degli ultimi anni, portando a
termine quel processo ventennale di privatizzazione, mascherato dalla falsa promessa di
un qualcosa di funzionante, adeguato, perfetto.
L'andamento è quello che ormai si perpetua di governo in governo, di ministro in ministro,
cioè quello di rendere il sapere sempre meno di massa e meno accessibile a tutti, creando
e mantenendo pochi poli di eccellenza che inculcano sapere, condizionato dall'alto, alle
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giovani menti che possono permetterselo. Un meccanismo oleato da criteri di efficienza,
produttività, selettività, processi ben definiti nello schema del nuovo liberismo che impera
nel nostro continente, dalle direttive imposte da tendenze economiche e bancarie ma
soprattutto dal generare profitto al nuovo sistema capitalista.
Ma qual'è il ruolo dell'istruzione e dell'Università in questo quadro in sfacelo e declino?
Quale deve essere l'identità che lo studente dovrebbe sentirsi cucita addosso fin dal primo
giorno della sua immatricolazione? Come possiamo prendere coscienza della nostra
posizione e del nostro peso all'interno di una società che rifiuta la conoscenza e mortifica
gli studenti? L'Università diventa un grande parcheggio sociale dove si crea una nuova
classe sociale, precaria prima di entrare nel mondo del lavoro e che sente, sulle sue spalle,
il peso di una condizione irreversibile di alienazione esistenziale, consapevole del fatto che,
il conseguimento di un titolo di studio, non sarà più fautore di mobilità sociale ma, sempre
più, una cristallizzazione che limita le possibilità dei meno abbienti divenendo uno
strumento di esclusione invece che d'inclusione sociale.
Oggi è tangibile un processo di liceizzazione dell'Università, un grande esamificio dove lo
studente sente la gravità del tempo e l'insostenibilità di un sereno percorso di studi, irto di
ostacoli e sbarramenti che impedisce il compimento di una sana comprensione di quello
che si apprende, diventando una corsa, un rapido susseguirsi di esami vacui ed inutili alla
crescita intellettuale. Gli Atenei si vendono al miglior offerente, che siano piccole aziende,
grandi multinazionali o banche internazionali per adeguarsi ai sempre più gravosi tagli che
colpiscono, trasversalmente, tutti gli ambiti della cultura e del sapere, concedendo loro di
potere incidere sulla qualità della didattica e sulle ricerche da sviluppare, rendendo
l'Università sempre meno libera di attuare quei processi di formazione e di emancipare gli
studenti dalla condizione esistenziale che li attanaglia.
È qui che i giochi di potere del neo liberismo entrano in atto con tutta la loro forza: cosa ci
guadagna una multinazionale o una banca dall'investire e finanziare i luoghi del sapere?
Essenzialmente necessitano di una futura classe dirigente che in questo modo possono
controllare e gestire fin dalla preparazione accademica, innescando quel sistema
clientelare che, già nella politica dell'ultimo cinquantennio, ha dato i suoi frutti marci,
preferendo comprare materialmente dei corsi di studio piuttosto che investire su percorsi
di formazione interna agli stessi enti privati, successivi al percorso di studio.
Siamo di fronte ad una serie di concatenazioni il cui unico scopo è quello di risparmiare
sulla formazione, a spese del sistema pubblico, e ad indirizzare verso ambiti ben
specializzati del sapere ai fini della produzione capitalistica.
La nostra missione deve essere quella di liberare i saperi da queste logiche di produzione,
scardinarle da vecchie teorie economiche che, ancora oggi, gestiscono la nostra
quotidianità, riprenderci i luoghi del sapere in quanto noi ne siamo l'essenza, l'anima e il
sostentamento. Per rovesciare il pensiero dominante serve immaginare un mondo diverso
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e diffondere le basi attraverso l'utilizzo tanto di sistemi di conoscenza alternativi, tanto di
quelli più classici.
Dobbiamo immaginare un ruolo diverso per la conoscenza, che dovrà essere interpretata
non in modo utilitaristico ma allo stesso tempo possibile strumento di uscita dalla crisi.
L'Università deve farsi centro propulsivo del cambiamento che alberga dentro di noi.
Deve farsi luogo di scambio, di creazione, di dibattito e di proposta di un cambiamento
radicale del modello di sviluppo, promotrice di evoluzione culturale ed emancipazione
intellettuale e sociale.
L'istituzione universitaria deve farsi soprattutto garante della formazione dello studente e
della qualità della ricerca per incanalare il sapere verso quella libera fruibilità che è sempre
più sotto attacco e che, ogni giorno che passa, diventa sempre più vittima di soprusi
ideologici e materiali.
Liberare l'Università diventa una nostra priorità in quanto soggettività caratterizzante di
quest'ultima e parte fondamentale della crescita futura del nostro Paese.
TESI 3: DIRITTO ALLO STUDIO
Il Diritto allo Studio è sancito da una legge approvata dal Parlamento Italiano già nel 1991
(Legge 2 dic. 1991 n. 390); l’importanza di tale Diritto può essere riconosciuta anche
leggendo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art. 26).
La tutela che va a manifestarsi direttamente con questo strumento riguarda l’uguaglianza
tra cittadini ed il loro sviluppo: sussistono infatti, nell’accesso ai gradi di istruzione
superiore, ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’usufruire del sapere a
determinate fasce della popolazione; si specifica altresì che per Studio non si intende
esclusivamente l’accrescimento della cultura specifica di un settore ma anche il pieno
sviluppo della personalità umana ed il rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali.
Il reale perseguimento di tali principi si rispecchia attraverso specifici strumenti che
vadano a coprire sia l’ingresso per tutti sia la permanenza per i capaci e i meritevoli. Le
disuguaglianze di qualsiasi tipo vengono risolte tramite risorse economiche che
provvedono ad avvicinare fisicamente lo studente al polo universitario e ad assicurargli
una sussistenza tale che sia possibile un tranquillo svolgimento delle attività culturali,
inoltre si copre direttamente, con servizi di dipendenza universitaria, anche le esigenze di
vitto oltre che di alloggio
Purtroppo le misure messe in atto non bastano a coprire né la totalità degli aventi diritto
né la totalità delle esigenze, anzi i dati sono nettamente deprimenti. La copertura
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finanziaria è derivante nella maggior parte dalla Tassa Regionale, sollevando ancora di più
gli enti locali e nazionali dal rispetto di uno dei diritti fondamentali del cittadino prima e
dello studente poi. In un clima simile non si è più posti nei confronti dell’Università come
luogo di livellamento delle differenze, bensì come base di partenza per l’allargamento del
divario tra la fascia di popolazione a basso e bassissimo reddito e le restanti fasce. Ancora
peggio, si potrebbe correre il rischio di considerare un luogo culturale come laureificio che
sforna lauree e possibilità di lavoro, ignorando che queste ultime due finalità sono
conseguenze del vero obiettivo di una Università e dello Studio, la crescita e
l’emancipazione culturale e personale dell’individuo.
Sembra inoltre che ogni governo sia chiamato a peggiorare la situazione, come se non
bastassero le difficoltà intrinseche del sistema stesso. La legge Gelmini, i decreti operativi
436 e 437, il prestito d’onore, i trasporti non garantiti, l’abolizione del valore legale del
titolo di studio e in questi ultimi giorni la legge Profumo sui LEP.
In tutto questo Link Fisciano non può far altro che ribadire la sua posizione sul Diritto allo
Studio: l’obiettivo principale da perseguire come Stato Italiano, come Europa e come
Comunità è lo sviluppo massimo delle possibilità di accedere all’ istruzione senza sé e
senza ma. Possibilità di sperare e costruire un futuro migliore per sé e per la collettività,
senza prevaricazione degli interessi economici o ancora peggio finanziari.
Una intersezione tra Università e Lavoro sincera e profonda, attraverso procedure di stage,
tirocini ed inserimenti che siano complementari ad una piena formazione di base, e non
motivo di sfruttamento gratuito di manodopera.
Investimenti e lotta agli sprechi devono essere le parole da sostituire a tagli lineari e
indiscriminati; la crisi economica non deve essere motivo di una crisi culturale futura, né di
una privatizzazione dei saperi.
TESI 3.1: BORSE DI STUDIO
Il Diritto allo studio universitario continua ad essere finanziato dallo stato, dalle regioni,
dagli studenti tramite le tasse regionali sul Diritto allo studio. Lo stato partecipa attraverso
il fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio. Ancora nessuna cifra è
stata definita poiché sarà il MIUR, sentito il ministero dell'economia, a definire ogni anno
tramite decreto l'entità dei finanziamenti per la copertura del fondo. Le regioni deve
contribuire almeno in misura superiore al 40% per la definizione dei requisiti di eleggibilità
riferiti alla condizione economica dello studente rispetto ai fondi stanziati dallo Stato.
Lo Stato e le Regioni non sono i principali finanziatori del sistema di Diritto allo studio,
perché sono gli studenti, attraverso le loro tasse, a versare la quota maggiore. Il decreto
436 trasformatosi in Legge 86 del 2012, prevedeva infatti un cospicuo aumento delle tasse
sul Diritto allo studio. Questo aumento, che in molte Regioni ha più che raddoppiato la
tassa regionale (nel caso specifico della Regione Campania: da 62€ a 140€), non ha
comportato una maggiore copertura delle borse di studio come ci si auspicava con l’extra-
gettito nelle casse regionali. Nel caso dell’Università di Salerno, malgrado l’aumento della
tassa regionale per il Diritto allo Studio del 126%, la copertura delle borse di studio è
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aumentata, in riferimento all’a.a. 2011/2012, solo di 8 punti percentuali, passando da una
copertura del 31% del passato anno accademico, al 39%, mantenendo viva quella figura
paradossale e tipica della nostra politica italiana, dello studente “idoneo non beneficiario”.
Si è verificata quindi una situazione paradossale che vede ancora una volta gli studenti
vittima di aumenti indiscriminati senza la conseguente garanzia rispetto a quello che
dovrebbe essere un Diritto loro garantito.
Come se ciò non fosse abbastanza, in questi giorni abbiamo vissuto l’ultimo colpo di coda
del Governo uscente che, nella persona di Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca del mandato tecnico Monti, ha prodotto un nuovo decreto,
che prevede una riassegnazione dei Lep e criteri più restrittivi di accesso alle borse di
studio.
È nei nostri interessi bloccare il decreto profumo, il quale ha subito pesanti modifiche in
merito ai criteri per l’assegnazione delle Borse di Studio, che inizialmente prevedeva un
grosso divario tra le università a seconda della loro locazione geografica: Nord, Centro,
Sud.
Ma i punti critici del testo di legge permangono:
Discriminazione nei criteri per la determinazione dell’ISEE: La soglia minima per l’accesso
alle Borse di Studio non è proporzionale su scala nazionale. Ogni ente regionale può
decidere autonomamente la soglia minima per l’accesso alle Borse di Studio. È definita una
media nazionale pari a 18.250€, dalla quale ogni regione può discostarsi al più del 15%.
Requisiti di merito eccessivamente restrittivi: Ricorrendo in appello all’art.34 della
Costituzione, vogliamo che l’accesso ai saperi sia libero. Non vogliamo quindi che questo
decreto vada ad intaccare la possibilità di ottenere la Borsa di Studio con dei requisiti che
siano così restrittivi da non corrispondere alla meritocrazia. Non è pensabile introdurre dei
limiti di età per l’accesso alle Borse di Studio, la quale rappresenta un nostro diritto e
l’unico modo per poter compiere un sereno percorso di studi. Pensare che, per l’istituzione
universitaria, avendo 25 anni alla triennale e 35 anni alla magistrale si è vecchi e non ci si
possa emancipare dalla propria condizione sociale, culturale e, soprattutto, economica è
inconcepibile e iniquo.
Pensiamo inoltre che la valutazione dello stato di Fuori Sede attualmente definita su criteri
temporali pari a 65 minuti di distanza dal luogo di formazione, innanzitutto non aumenti
ulteriormente come previsto dal decreto a 75 minuti, ma che avvenga su criteri definiti
dalla distanza spaziale da percorrere.
Diminuzione dell’importo della borsa di studio agli studenti Fuori Sede: Chiediamo la
copertura totale delle Borse di Studio mediante un Fondo Statale erogato in maniera
commisurata alle esigenze Regionali, mettendo fine alla assurdità degli idonei non
beneficiari.
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Rivendichiamo una legge quadro nazionale che stabilisca univocamente i requisiti minimi di
accesso alle Borse di studio. Raggiunto questo obbiettivo, si può pensare ad un
incremento degli studenti idonei tramite l’estensione dei criteri di fasciazione.
Da non sottovalutare poi, è la continua e crescente destinazione di fondi di finanziamento
agli istituti privati, che va ad intaccare il finanziamento alle scuole pubbliche e che vede la
nostra ferma opposizione partendo dalla qualità dell’offerta formativa, che, scevra da
finanziamenti privati e restituita al pubblico, necessita di tali fondi per il suo sostentamento
e per mantenere la sua indipendenza dalle logiche di mercato.
TESI 3.2: PRESTITO D’ONORE
Il prestito d’onore è un debito che lo studente consegue al fine di finanziare il
proseguimento degli studi nei confronti di un istituto di credito a tasso nullo o agevolato;
carattere peculiare del prestito d’onore è il ruolo delle Regioni o dello Stato come garanti
dell’estinzione del debito presso l’istituto di credito. E’ concesso dalle aziende ed istituti di
credito agli studenti universitari nel rispetto dei requisiti di merito ed economici.
La legge 390/1991 stabilisce che “il prestito d'onore e' rimborsato ratealmente, senza
interessi, dopo il completamento o la definitiva interruzione degli studi e non prima
dell'inizio di un’attività di lavoro dipendente o autonomo. La rata di rimborso del prestito
non può superare il 20 per cento del reddito del beneficiario. Decorsi comunque cinque
anni dal completamento o dalla interruzione degli studi, il beneficiario che non abbia
iniziato alcuna attività lavorativa e' tenuto al rimborso del prestito e, limitatamente al
periodo successivo al completamento o alla definitiva interruzione degli studi, alla
corresponsione degli interessi al tasso legale.”
Abbiamo sempre affermato che il DSU è un diritto universale che deve essere garantito a
tutti, come sancito dall’art. 34 della Costituzione, a prescindere dalle condizioni
economiche di partenza, pertanto lo Stato non può delegarlo alle leggi del mercato e dei
prestiti. L'evoluzione del sistema di Diritto allo studio verso un sostanziale annullamento
del fondo per le Borse di Studio, favorisce lo sviluppo di quest'ultimo strumento
producendo una generazione di indebitati che sono costretti a richiedere il prestito d'onore
per poter pagare i propri studi.
Anche l'Università di Salerno, all'interno del bilancio preventivo del 2012 dell' ADISU,
destina un fondo di 50.000€ verso il cap. 2315 che riguarda il prestito d'onore, sottraendoli
al fondo per le Borse di Studio, come se il dato preoccupante del 61% di idonei non
beneficiari nel nostro ateneo non fosse assolutamente contemplato.
Già da tempo la nostra organizzazione ha proposto di estinguere questo capitolo
reindirizzando i fondi verso quello che eroga le borse di studio.
Mettere in luce, come anche nel nostro piccolo e provinciale ateneo si rispecchino le
dinamiche globali di indebitamento e precarizzazione del percorso formativo e personale è
un compito che solo LINK Fisciano può assumere nel nostro territorio.
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TESI 3.3: ERASMUS, DOVE VUOI ANDARE?
Viaggiare per completare la propria preparazione accademica, relazionandosi e
interagendo con studenti di tutta Europa, è un passaggio importante, se non
fondamentale, della nostra vita da studenti universitari. Uscire dai confini nazionali, fare i
primi approcci con una lingua ed una cultura differente dalla propria, fare esperienza di
emancipazione dalla famiglia sono requisiti fondamentali, soprattutto in questa società del
terzo millennio caratterizzata da confini nazionali sempre più sfumati, dalla forte
globalizzazione che impera su di noi. In questo mondo allargato, ognuno di noi si sente
parte e attore di una società cosmopoliticizzata, ed ognuno di noi vuole recitarne una
parte. Diventa necessario, per soggetti in formazione come noi, fare l'esperienza del
viaggio e vivere sulla propria pelle, l'essenza dello scambio culturale.
Il progetto Erasmus è proprio il realizzarsi di tutte queste aspettative. Questo nasce nel
1987 dopo che grazie all'associazione studentesca Egee, oggi Aegee, fondata da Franck
Biancheri, oggi presidente del movimento trans-europeo Newropeans, il quale convinse il
presidente francese Françoise Mitterrand ad appoggiare la nascita di Erasmus che, a
partire dal 2007, venne inserito nel Life-long Learning Program, un sistema di
finanziamento comunitario che va fino al 2013.
Oggi gli studenti di tutta Europa, grazie a finanziamenti provenienti dall'Unione Europea e
al conseguimento di una borsa Erasmus, (che può variare da un minimo di tre mesi ad un
massimo di un intero anno accademico) possono ritrovarsi a studiare tra i banchi dall'altra
parte del continente.
Malgrado queste rosee e promettenti premesse, i dati italiani sulla mobilità internazionale
sono sconcertanti e deprimenti. Di tutti gli studenti iscritti nelle Università italiane, solo il
5% di questi usufruisce della possibilità di andare a studiare in un altro paese europeo. Lo
studente italiano è scoraggiato e affranto dalla possibilità di studiare fuori dal paese natio
per vari motivi: le borse di studio per la mobilità internazionale, di valore molto diverso a
seconda dei singoli atenei, sono gravemente insufficienti per la copertura delle spese che
lo studente deve affrontare e dovrebbero essere, oltre che aumentate, calibrate alle spese
che comporta lo specifico paese di destinazione. Lo studente italiano si ritrova in uno stato
in cui la borsa Erasmus da lui vinta può non bastare al suo sostentamento a chilometri di
distanza da casa e dalla famiglia.
Nel nostro caso specifico, siamo vicini al paradossale. L'Università di Salerno stanzia borse
di un anno per permettere agli studenti salernitani di restare fuori dalla nazione per l'intero
anno accademico, ma il finanziamento vero e proprio che lo studente percepirà sarà fino
ad un massimo di sei mesi. Siamo di fronte ad un caso emblematico di come l'Università si
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disinteressi dello studente e ne neghi i diritti. Le Università non sono tenute a stanziare
borse che non possono coprire e ci sembra inammissibile pensare che, una volta vinta una
borsa che dovrebbe permettere allo studente di autosostenersi all'estero, i singoli ragazzi
debbano pagare di tasca propria il resto della permanenza.
Come organizzazione, non possiamo non tenere conto che la mobilità deve essere
garantita e lo studente non deve sentirsi costretto, alle porte della sua partenza, di fare i
conti in tasca e di domandarsi se partire può essere gravoso per sé e per la sua famiglia.
Un altra criticità riscontrata da numerosi studenti italiani sono i seri problemi per la
convalida degli esami sostenuti nelle università estere, fattore che danneggia lo studente
Erasmus al ritorno nella sua Università e disincentiva gli altri studenti a compiere questo
passo molto importante dal punto di vista formativo e culturale. Ciò allontana ancora più i
ragazzi che, partendo, non sanno se al loro ritorno, gli esami sostenuti all'estero possano
essere invalidati, con il serio rischio di aver perso tempo e denaro in un mondo
accademico e del lavoro che fa del tempo la discriminante maggiore.
L’Erasmus rappresenta una delle poche “boccate di ossigeno” a disposizione degli
studenti, costretti a fare i conti con aumenti di tasse, tagli alla didattica e al diritto allo
studio e con tutti i problemi che un normale studente deve affrontare ogni giorno della
sua carriera accademica, che spaziano dall'appello saltato fino alle poche sessioni di
laurea.
Nel 2010 si cominciano a sentire i primi accenni di malessere provenienti dall'Unione
Europea. La causa fu una lunga e travagliata trattativa tra Parlamento, Commissione e
Stati membri che dovevano accordarsi sul nuovo piano di assestamento finanziario. Senza
un accordo che stanziasse i fondi necessari a coprire i pagamenti sui quali l'UE si era già
impegnata, c'era il rischio che soprattutto i programmi ad alta capacità di spesa, che
quindi tendono a spendere tutte le risorse stanziate e non hanno residui di cassa con i
quali autosostenersi, si trovino in “crisi di liquidità” e tra questi programmi a rischio c'era
anche l'Erasmus. Ci fu il serio rischio che gli studenti, partiti con la sicurezza della borsa, si
trovassero a metà della loro esperienza senza più i finanziamenti provenienti dall'Europa.
Quest'ultima raggiunse in extremis un accordo che permise il mantenimento degli studenti,
in quel momento fuori paese, e il rifinanziamento del progetto di 500 milioni di euro per il
2013.
Possiamo dire che, la paura di perdere un progetto fondamentale per la nostra crescita
intellettuale e culturale, non è del tutto svanita in quanto ancora non è stato varato un
ciclo di bilancio per il 2014-2020. Se da un lato gli Stati propendono per la necessità di un
bilancio in grado di stimolare sia la crescita che la coesione, dall'altro non perdono tempo
a definanziare le uniche leve di espansione e crescita sociale cioè istruzione, ricerca e lotta
alla disoccupazione. Da queste decisioni si evincerà se, in futuro, l'Unione Europea sarà
propensa ad incentivare progetti votati al rilancio del continente, a formare studenti che
saranno il futuro e a garantire esperienze che solo la mobilità internazionale e lo scambio
culturale possono far fiorire nelle giovani menti.
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TESI 4: DIDATTICA E VALUTAZIONE
Cosa ci ha condotto allo stato attuale: L'attuale stato dell'università pubblica è la crisi.
Negli ultimi è perseguito l'obiettivo di compattare il più possibile i corsi di laurea, tagliando
i fondi di finanziamento dell'università e adottando misure riduttive (come la contro-
riforma Gelmini), andando ad intaccare la qualità dei saperi che vengono trasmessi nei
nostri atenei e sulla nostra formazione.
Sin dall'introduzione dei crediti formativi (Legge Zecchino – Berlinguer) come strumento di
quantifica dei contenuti dell'insegnamento, si va ad imporre a soggetti diversi una
standardizzazione delle metodologie e delle tempistiche di apprendimento.
Con l'introduzione del cosiddetto “3+2” si è dato inizio ad una proliferazione e
deformazione dei corsi di laurea, creando un rapporto in cui lo studente affamato di
sapere si ingozza di nozioni scialbe, perché bisogna stringere i tempi, bisogna far tutto in
semestri interi, e riversarlo entro il primo appello d'esame utile. Di certo non ci si può
aspettare che concetti non maturati restino a lungo nella mente dello studente medio, che
magari il semestre successivo necessita di risorse per incamerare concetti del tutto nuovi.
Questione Tagli: I tagli effettuati dalla L.133/08 all'FFO degli atenei italiani, hanno causato
una riduzione dei servizi per gli studenti, tra cui i budget destinati al Fondo 390 e per il
Miglioramento della Didattica, dove confluiscono tutti i soldi destinati alle attrezzature dei
laboratori didattici, al materiale inventariabile, all'acquisto di libri per le biblioteche,
comportando un calo della qualità della didattica.
Inoltre il blocco del turn-over del 20% previsto dalla stessa legge ha determinato
l'interruzione di quel ricambio generazionale nel corpo docente che consente l'ingresso dei
ricercatori portatori di nuove conoscenze e di metodi d'insegnamento che innalzano il
livello qualitativo della didattica.
Nonostante la costituzione delle “magistrali” con la 270/2004 e la nota 160 del Miur si
legge esplicitamente l'obiettivo di ridurre i corsi di laurea non essenziali al fine di ridurre le
spese e non per un reale miglioramento della didattica. Il raggiungimento di questo
risultato infatti si ha solo ponendo dei criteri quantitativi per l'istituzione dei corsi di laurea:
l'attivazione dei corsi è vincolata a criteri dimensionali che interessano il numero di docenti
e studenti, sbilanciandone le proporzioni. Questo riduzione si traduce quindi
nell’accorpamento di alcuni corsi di laurea e nella soppressione di altri, fenomeni che
hanno assunto i connotati di uno smantellamento generale dell'offerta formativa, attuato
senza criteri qualitativi adatti.
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Il d.m. 17 del 2010 peggiora ulteriormente la situazione. Oltre a definire il chiaro obiettivo
di “razionalizzazione” dell'offerta formativa, pone vincoli molto rigidi riguardo al numero di
ore, ai settori scientifico disciplinari. In base al blocco delle assunzioni vi è il rischio, per
quei corsi con alto tasso di docenti in età pensionabile, di essere chiusi o accorpati
indipendentemente da una valutazione sulla qualità dell'offerta formativa o dal ruolo
strategico di un corso di laurea.
La lotta contro il blocco del turn over, di riflesso è anche la lotta per una maggiore
trasparenza nei meccanismi di assunzione e promozione dei docenti, oggi sempre più
penalizzati dalla L. 240 che pone una fasulla idoneità nazionale, nella mani delle
commissioni degli atenei composte da solo docenti ordinari.
Il miglioramento della qualità dei saperi che vengono trasmessi all’interno dei nostri atenei
non può che passare attraverso un’inversione di rotta delle politiche di finanziamento
dell’università pubblica. I tagli progressivi attuati delle varie leggi finanziarie e di riforma
dell’università, hanno messo in crisi un sistema che già di per se presentava problemi
notevoli; le misure introdotte dalla legge 133 in merito al blocco del turn over, porteranno
l’Italia sempre più in basso nella graduatoria del rapporto docenti-studenti, partendo da
una situazione già peggiore rispetto agli altri paesi europei.
La qualità non si misura solo sulla competenza dei singoli docenti: essa è da ricercare
anche negli stessi procedimenti di insegnamento e apprendimento.
Cosa accade nelle università: Il processo di massificazione dell’università accompagnato
però da un sempre più limitato finanziamento statale, ha fatto si che la lezione
universitaria sia andata tramutandosi in una lezione frontale, di stampo liceale, dove la
possibilità di espressione e apprendimento critico dello studente viene sacrificata a fini di
tempistica e copertura del programma del corso. La scomparsa di seminari e laboratori,
che ancora nel vecchio ordinamento rappresentavano momenti in cui gli studenti
imparavano lo know-how delle diverse discipline, ha inflitto un duro colpo alla qualità della
didattica: in quelle sedi veniva mostrato il “retroscena” delle elaborazioni scientifiche o
tecniche, in modo che gli studenti potessero iniziare a cimentarsi con la pratica dei
rispettivi campi di specializzazione.
Se vogliamo che nelle nostre aule universitarie si possa creare un percorso di
apprendimento critico e innovativo, non è possibile continuare a frequentare lezioni in
duecento-trecento persone, con un solo professore, che si trova costretto ad attenersi a
modalità standardizzate di insegnamento; una situazione che il più delle volte esclude a
priori la possibilità di una espressione della didattica dal punto di vista dello studente. Il
nostro obiettivo è quello di puntare alla svolta di questa situazione di apprendimento
acritico e manualistico, attraverso l’adozione di nuove metodologie di insegnamento che
prediligano la forma seminariale e una collaborazione più stretta tra gli studenti, e tra
studenti e docenti. Questi risultati possono essere ottenuti ad esempio attraverso la
pratica del lavoro di gruppo e del progetto collettivo, che favoriscono, oltre
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all’apprendimento dei contenuti, anche l’accrescimento delle capacità di collaborazione tra
individui, portando a uno sviluppo della persona e della sua sociabilità, oltre che della
cultura individuale e collettiva.
Bisogna infine incidere sull’aspetto della libertà dello studente nella scelta dei corsi: va
garantita una maggiore flessibilità dei piani di studio individuali, con la garanzia di un
offerta formativa ampia e plurale; deve essere promossa una maggiore mobilità a livello di
atenei nazionali con la possibilità per lo studente di sostenere esami nelle varie università
italiane, al fine di favorire una libera circolazione di persone e idee, ovviamente anche
attraverso un potenziamento del sistema di erogazione del diritto allo studio.
L’importanza dell’università non si gioca solo sul piano della trasmissione di un bagaglio di
conoscenze puramente teoriche, ma anche nell’ambito del mondo del lavoro e della
formazione di professionalità spendibili in esso. Ad oggi, le forme di stage o tirocini messe
in campo dagli atenei per favorire una maggior compenetrazione fra mondo accademico e
mondo del lavoro non hanno, in gran parte dei casi, raggiunto l’obiettivo prefissato; anzi,
molto spesso, si sono trasformate in occasioni di vero e proprio sfruttamento della
manovalanza studentesca. Un miglioramento qualitativo di questo aspetto della
formazione, deve passare attraverso una completa revisione dello strumento degli stage e
tirocini, trasformandolo in una esperienza lavorativa di formazione, e perciò
adeguatamente retribuita, che sia attinente al percorso di studio scelto, e che possa
essere strumento efficace per stimolare capacità pratiche e professionalizzanti. A questo
proposito risulta necessario un maggior controllo e selezione degli enti accreditati per
queste tipologie di attività, di modo che si assicuri un effettivo contesto di formazione e
crescita personale dello studente.
Questione Valutazione della didattica: L’ipocrisia relativa a merito e meritocrazia nei
discorsi dei “riformatori” dell’università, si manifesta nella totale inconsistenza dei
cosiddetti organi di valutazione nazionale della qualità (ANVUR), e nel continuo processo di
demolizione del diritto allo studio, che invece è uno strumento necessario per una corretta
valutazione del merito individuale, al netto delle condizioni sociali, economiche e culturali
di partenza.
Non si deve poi dimenticare che noi studenti, in quanto persone che vivono l’università
sulla propria pelle, siamo i primi soggetti da dover consultare in un ambito vitale quale
quello della valutazione della qualità della didattica nei nostri atenei.
La valutazione della didattica da parte degli studenti è uno strumento di democrazia
partecipativa che riteniamo di fondamentale importanza, per poter ottenere un concreto
miglioramento della qualità. Chi eroga un servizio può pure fare dell’autocritica, ma deve
in ogni caso tener conto della soddisfazione del fruitore del servizio: il giudizio dello
studente non può essere ignorato, nel momento in cui si vanno ad analizzare queste
tematiche. Riteniamo fondamentale e necessario che siano costituite commissioni
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didattiche paritetiche con potere decisionale, oltre che nei dipartimenti, anche all’interno
dei singoli corsi di studio, vista la contingenza in questa sede di argomenti quali la
valutazione degli insegnamenti e dei professori, nonché la maggior efficacia e tempestività
nell’affrontare tali problematiche in questa sede.
A nostro avviso queste commissioni dovrebbero essere composte da un ugual numero di
docenti e studenti, per compilare essa stessa l'assegnazione degli insegnamenti e gli orari
delle lezioni.
La commissione didattica di corso di studio si occuperà innanzitutto della discussione degli
esiti dei questionari di valutazione in merito ai singoli insegnamenti.
In questo processo è essenziale che i rappresentanti degli studenti vengano coinvolti come
parte attiva nella discussione, nonché vengano loro forniti tutti i dati necessari per un
completo svolgimento delle loro funzioni. Inoltre è necessario dotare la commissione
didattica anche di adeguati ed oggettivi strumenti esecutivi da poter applicare soprattutto
nei casi di perseverante valutazione negativa, quali una diminuzione scalare dello stipendio
del singolo docente in questione o una limitazione di benefici o prerogative di cui gode.
Riteniamo fondamentale dover applicare una sanzione al singolo piuttosto che all’ateneo,
come invece l’attuale legge prevede, mediante una diminuzione di parte del Fondo di
Finanziamento Ordinario. Un processo di valutazione di questo tipo deve essere svolto
anche su scala temporale, per poter monitorare la variazione della qualità nel corso degli
anni e permettere di verificare l’efficacia delle misure di perfezionamento delle
metodologie di insegnamento.
L’università pubblica deve essere intesa tanto come luogo di ricerca, quanto come luogo di
trasmissione del sapere. Solo con un concreto investimento ed un serio monitoraggio della
qualità della didattica possiamo garantire una formazione adeguata per la nostra
generazione e per quelle a venire.
La nostra posizione
Per accrescere la qualità della didattica, scongiurare la proliferazione del numero
chiuso è necessario intervenire sul rapporto docenti/studenti. E' pertanto necessario
abolire il blocco del turn over.
Abolizione dei requisiti minimi necessari: risolvere il problema della proliferazione
dei corsi di laurea è possibile solo mediante una valutazione qualitativa e non
quantitativa. In ogni caso la eventuale chiusura corsi deve veder garantita la
continuità del percorso di studi e la massima mobilità mediante un sistema
nazionale di diritto allo studio.
Le commissioni didattiche paritetiche devono avere un ruolo fondamentale in
materia di didattica per gli organi cui afferiscono. Debbono essere presenti almeno
in ogni corso di laurea (o raggruppamento di corsi di laurea affini, o dipartimento)
per discutere in particolare dell'organizzazione del programma di studi; inoltre,
debbono esistere commissioni didattiche paritetiche (o quantomeno coordinamenti
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delle strutture di cui al corso di laurea) per ogni struttura di raccordo, per trattare
gli aspetti organizzativi e formali della didattica (quali ad esempio il calendario
accademico). In particolare, gli organi corrispondenti devono chiedere un parere
obbligatorio in quanto all’attivazione o soppressione di corsi di studio e ai criteri di
valutazione di didattica e servizi agli studenti; inoltre, sono obbligati a discutere le
proposte delle commissioni in merito a qualsiasi variazione dell’offerta formativa.
La scelta del corso di laurea deve essere sostenuta da un sistema di orientamento
universitario realizzato in maniera coordinata con le scuole, in particolare con le
scuole dei territori, a partire dalla trasparenza nella presentazione del corso di studi.
5. È necessario superare l'attuale impianto dell'organizzazione dei corsi a partire da
corsi impostati su macro aree divise in esami fondamentali, caratterizzanti, e a
scelta in modo da consentire il più alto livello di autogestione del proprio percorso
formativo superando definitivamente il sistema dei crediti che impedisce mobilità
dentro i corsi e tra i corsi.
Impostare la didattica con metodi di tipo seminariale, che favoriscano la
cooperazione tra studenti e le presentazioni in pubblico.
Istituire uno statuto dei diritti degli studenti che svolgono stage e tirocini che
garantisca l'attinenza del tirocinio con il percorso di studi, che definisca modalità
stringenti per l'accreditamento degli enti accreditati, affidando tale compito alla
commissione didattica paritetica.
Lo statuto deve sancire il divieto di usare stagisti per la sostituzione nelle mansioni di
coloro che lavorano presso l'ente accreditato, limitandosi all'affiancamento finalizzato alla
formazione; deve essere garantito un rimborso spese. L'ente che non rispetta il progetto
formativo perde la possibilità di accreditarsi presso tutte le università italiane.
Conclusioni: In pratica c’è bisogno di un reale investimento dell’Università Pubblica
italiana, un investimento almeno alla pari degli altri stati europei. La possibilità per gli
atenei di confederarsi, deve passare attraverso una diversificazione dell'offerta formativa
negli atenei confederati, che non può significare specializzazione dei corsi di laurea solo in
base alle esigenze lavorative e alle caratteristiche del territori. I corsi di laurea dovranno
essere sempre liberi da ogni logica di mercato e soprattutto rivolti alla valorizzazione e allo
sviluppo della Ricerca all’interno del territorio. In ogni caso l’eventuale chiusura di corsi
deve veder garantita la continuità del percorso di studi e la massima mobilità degli
studenti mediante un sistema nazionale di diritto allo studi.
TESI 5: SOGNO UN’UNIVERSITÀ LIBERA E APERTA A TUTT*
I saperi devono essere liberi, accessibili a tutti, senza restrizioni di tipo logistico,
economico e sociale ed è dovere dell'Università e delle istituzioni tutte, far si che non
esista nessun ostacolo per l'accesso al sapere e che venga garantita a tutti la libertà
dell'individuo.
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Questi princìpi sono sanciti nella costituzione dal famoso articolo 34 che promuove e
garantisce la fruibilità del sapere, non più prerogativa delle classi più abbienti ed
economicamente favorite, ma un sapere libero da vincoli di ogni genere e aperto a tutti
coloro che vogliono diventare parte di quella società della conoscenza.
Le battaglie del '68 hanno dato l'avvio a quella fantastica idea, fino ad allora
improponibile, di un'Università finalmente di massa, un'Università che non sarebbe più
dovuta essere appannaggio di pochi, ma per tutta la popolazione, attraverso l’abolizione
dei limiti di ingresso ai corsi di laurea sulla base del diploma conseguito. Ma questo
mirabolante sogno di milioni di giovani, desiderosi di entrare a far parte di quel mondo
della conoscenza, fino ad allora, chiuso solo ad una parte della società, s'infranse contro le
difficoltà economiche delle famiglie che, senza un sostegno adeguato dello Stato, non
avrebbero mai potuto garantire ai figli il supporto necessario per il completamento degli
studi.
Nel 1999, sotto il governo di centro-sinistra D'Alema con Zecchino ministro dell'Istruzione,
avviene il primo attacco all'Università di massa. Viene varata la legge 264/1999 che
introduce il numero chiuso per le professioni sanitarie, Medicina e Chirurgia e per altri corsi
di laurea: accedere all'università non è più solamente un problema economico e di risorse
necessarie per l'iscrizione, ma per alcuni corsi di laurea diventa un problema di natura
giuridico-politica. Gli effetti di questa legge, che fu basata su direttive europee, si spinsero
oltre in quanto dava la possibilità di introdurre lo sbarramento del numero chiuso anche in
altri casi.
Se inizialmente la limitazione era stata prevista a livello nazionale solamente per pochi
corsi di laurea, principalmente quelli preparatori alle professioni sanitarie, ben presto si
ebbe una concatenazione che colpì diverse facoltà scientifiche programmando il numero di
accesso nei diversi corsi di laurea e giustificando questa scelta con motivazioni varie:
necessità logistiche e di mantenimento della qualità, insufficienza delle strutture
laboratoriali esistenti e impossibilità di costruirne delle nuove ed, in effetti, lo Stato ha di
fatto permesso a tante università di introdurre il numero programmato nel caso in cui
fosse documentata carenza di aule e laboratori adatti a ricevere tutti gli studenti iscritti ma
sappiamo che, successivamente, si è iniziato un processo d'introduzione di questo per
evitare di uscire dai limiti previsti dai decreti ministeriali per cui deve essere garantita la
numerosità della docenza in rapporto alla numerosità degli studenti.
Sono passati alcuni anni dall'introduzione del numero programmato nelle Università
italiane e ora possiamo tirare le somme e darne una valutazione realistica. La selezione
degli studenti avviene, molto spesso, attraverso un test che non si è rivelato, in molti casi,
lo specchio della preparazione dei singoli studenti, ma soltanto uno strumento inaffidabile
e ingiusto. Tra domande formulate in modo inappropriato e che richiedono conoscenze che
lo studente dovrebbe acquisire durante il proprio percorso di studi, il test del numero
programmato si è rivelato fallimentare in numerosi aspetti.
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Riteniamo di capitale importanza, l'abolizione e la totale eliminazione del numero
programmato nelle Università per permettere il libero accesso a tutti gli studenti e di poter
frequentare il corso di laurea a cui hanno tanto agognato, per permettere una selezione
delle competenza in itinere e adeguando le strutture in base alla richiesta, ricordandoci
che non esiste nessun obbligo da parte delle Università di attivare corsi di laurea che non
può mantenere o curare in tutti i suoi aspetti (cnf. Corso di laurea in Editoria e
Pubblicistica e la facoltà di Medicina nell'Università degli studi di Salerno).
Un ulteriore forma di sbarramento all'accesso al mondo della formazione è costituito dai
cosiddetti “Corsi di Laurea Magistrale a libero accesso con verifica della preparazione”
(introdotti dal D.M. 270/2004) che costituiscono un secondo tipo d'intoppo che si aggiunge
al test a numero programmato.
A differenza dei corsi di laurea a numero chiuso, questi non hanno un limite di iscritti
annuali, ma sta a discrezione di una commissione esaminatrice, il proseguimento o meno
del proprio percorso di laurea alla magistrale. Questo al fine di creare classi di studenti
d'eccellenza, ragazzi scelti da questa commissione per le loro capacità che sono risultate al
di sopra della media. In realtà, il ragionamento errato, che si ritrova nuovamente alla base
di questa decisione, è la scarsità di risorse economiche, che si vorrebbero concentrate sul
minor numero di studenti possibile per innalzare il livello di qualità.
Tali mezzi e strumenti per garantire una migliore qualità dei corsi di laurea sono da
ritenere iniqui e discriminanti soprattutto se non si tiene conto del valore legale del titolo di
studio, mettendo in forte dubbio l'egual peso di certificati rilasciati nei vari Atenei italiani.
Discutibili sono anche le modalità in cui avvengono i colloqui: la valutazione di lettere
motivazionali o verifiche orali a porte chiuse dei vari candidati sono solo alcuni esempi di
come possano essere ingiuste e contingenti.
Nel caso specifico della nostra Università, quando uno studente si accinge ad iscriversi ad
un corso di laurea senza alcun tipo di sbarramento nel numero, si troverà di fronte un test
valutativo obbligatorio che non ha nessun valore ostacolante. Nel nostro Ateneo, non
esiste nessun corso di laurea che non preveda, prima dell’immatricolazione, lo svolgersi di
tale test. Il problema sta nel fatto che, per poter iscriversi al test valutativo, lo studente
salernitano deve prima pagare un bollettino di pre-iscrizione per poi, finalmente,
completare l’immatricolazione dopo di questo. Condanniamo in toto questa pratica che,
con la falsa maschera di creare una sorta di graduatoria meritocratica paradossale in un
corso di laurea aperto, la vera intenzione è quella di far cassa sui sogni degli studenti che
si trovano costretti a dover, comunque, pagare il proprio accesso ad un corso di laurea
aperto o, quantomeno, ne da l’illusione. Un discorso simile si può fare in riguardo a quei
corsi di laurea che prevedono, previo il sostenere di un test che dovrebbe valutare le
nostre capacità, il cosiddetto “anno 0”, un anno di corsi di preparazione che dovrebbe
porre le basi per poter affrontare il percorso di studi scelto. Gli studenti che non riescono a
conseguire un buon risultato nel test di ammissione, finiscono nel limbo dell'anno 0, in cui
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questi pagano regolarmente la retta all'Ateneo ma non sono iscritti, in caso di elezioni della
rappresentanza non possono votare, non possono prenotare esami né presentarsi a
ricevimento dai professori dei corsi che seguono. Lo studente e sballottato da una parte
all'altra del Campus per seguire degli pseudo corsi che sono, in realtà, una farsa, non
appianano le differenze tra i ragazzi che hanno superato i test e coloro che non li hanno
superati, con l'unico risultato tangibile di far perdere un anno, se non di più, a ragazzi che
non risultano nemmeno nei registri dei professori. È impensabile che una soggettività
all'interno dell'università non sia tutelata, rappresentata né, tanto meno, seguita e
garantita.
Garantire la libertà d'accesso ai corsi di laurea ed abbattere le barriere dei numeri
programmati rappresenta un punto focale della nostra condizione esistenziale di studenti,
ma questa libertà deve essere sostenuta da un adeguato sistema di Diritto allo Studio,
carente in molti aspetti e che non aiuta gli studenti a sfondare il muro dell'accesso al
sapere, rappresentato non solo dalle difficoltà giuridiche ma anche, e soprattutto, da
quelle economiche che ogni anno non ci garantiscono un sano e spensierato percorso di
studio, ma ci fanno vivere la condizione di corsa alla laurea come una forma di liberazione
da una condizione mortificante.
Lottare contro ogni forma di limitazione all'accesso al sapere, che è negazione della libertà
dello studente di formarsi e di vivere la vita accademica con la serenità che gli spetta, è
una nostra priorità. In quanto studenti dobbiamo esser consapevoli del nostro ruolo
all'interno degli atenei e delle decisioni affinché non ci siano più restrizioni da abbattere.
TESI 6: TASSAZIONE
Negli ultimi anni le università italiane si sono viste tagliare i finanziamenti statali e regionali
portando lo studente a divenire il principale finanziatore del proprio percorso di studi. Il
DPR 306/1997 tutelava gli studenti imponendo agli atenei il rispetto di un certo limite
riguardo la contribuzione studentesca che si attesta al 20% rispetto all’ FFO (fondo di
finanziamento ordinario): cioè se lo Stato eroga 100, gli studenti potranno contribuire fino
a 20. Questo punto è fondamentale in quanto limita le pretese di un'università, che
sempre più sotto-finanziata, cercherà di attingere dalle tasche degli studenti.
Quest’anno il Ministro Profumo ha inserito un provvedimento contenuto nella spending
review che modifica il limite del 20% nel rapporto tra contribuzione studentesca e FFO: il
calcolo del limite del 20% non avverrà più tenendo conto dell’intero ammontare della
contribuzione studentesca complessiva ma solo ed esclusivamente di quella relativa agli
studenti italiani che risultano essere IN CORSO ed inoltre questo limite non sarà più
calcolato sul rapporto tra tasse studentesche e FFO ma sul rapporto tra tasse
studentesche dei soli studenti in corso e l'intero ammontare dei traferimenti dello stato alle
università che sono molto più alti del solo FFO in quanto comprendono anche i
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trasferimenti per l'edilizia universitaria. Ciò significa che con l’eliminazione sostanziale del
limite del 20% le Università italiane avranno la possibilità di aumentare le tasse
universitarie per gli studenti in corso (nel limite di un 20% che offre larghissimi margini di
manovra) e per gli studenti fuori-corso (senza alcun limite).
Questo porterà le università a diventare solo un luogo di formazione d'élite dove chi più
paga più si forma, dove lo studente diventa cliente, lo studio un lusso e l'ascensore sociale
si spegne inesorabilmente.
Allo stato attuale tutti noi siamo chiamati a pagare un contributo che varia da persona a
persona in base alla categoria in cui ci si ritrova rispetto al proprio livello di reddito ISEE.
Non solo, essa varia di ateneo in ateneo in quanto ognuno, liberamente, decide i propri
parametri e parzializza la contribuzione studentesca nel modo che ritiene più equo (la ratio
dovrebbe essere quella). Per riportare un esempio: l'università “La Sapienza” di Roma
conta trentaquattro fasce di contribuzione che vanno da un minimo di 0-3.000 € di reddito
dichiarato, fino all'ultima fascia che fa riferimento ai redditi che superano i 99.000 € di
reddito, ogni fascia contiene ulteriori tre sub-ripartizioni. Gli appartenenti alla prima fascia
pagano un totale di 370€ medi, invece gli appartenenti all'ultima fascia pagano un totale di
2.100€ di media (differenza reddito 99.000 €, minimo; differenza nei pagamenti 1.800 €).
L'università degli studi di Salerno conta sette fasce, di cui la prima va da 0 a 4.500 € e
l'ultima comprende tutti gli iscritti dichiaranti un reddito superiore ai 32.000 €, questo vuol
dire che chi dichiara un reddito di 3.000 € paga 362 € e chi dichiara un reddito pari o
addirittura superiore ai 32.000 € paga 1.211 € con una differenza di soli 900€ di
contribuzione! Proviamo a vederla sotto un punto di vista proporzionale. Lo studente con
ISEE pari a 3.000 €, dovendo pagare 300 € si troverà a versare all'università il 10% del
suo reddito familiare, invece lo studente avente l'indicatore ISEE che poniamo pari a
50.000 € verserà solo il 2% del proprio reddito totale pagando 1.211 €, o meglio ancora,
uno studente con reddito pari a 90.000 € pagherà una somma pari al 1,3%. È evidente la
mancanza di equità e l'aggravio a carico degli studenti meno abbienti, che spesso si
vedranno anche negata la possibilità di usufruire della borsa di studio figurando come
idoneo non beneficiario o peggio ancora escluso. L'evidenza mostra come qualcosa vada
cambiato, e se non ho capito male l'articolo 54 della Costituzione recita che “il sistema
tributario è informato a criteri di progressività”, allora pare ovvio che la percentuale di
tasse pagata dai più abbienti debba essere maggiore di quella pagata dai meno abbienti
(non ci vuole la Costituzione per capirlo). Questo sistema di tassazione va cambiato! Chi
ha di più deve pagare di più! È così che si premierà il merito, dando a tutti le stesse
possibilità e non alzando il numero di crediti da conseguire, o mezzucci simili perché “i
capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti
dell'istruzione”.
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TESI 7: RAPPRESENTANZA
Il ruolo principale del rappresentante degli studenti è quello di dar voce alle esigenze delle
persone che rappresenta. Si tratta quindi di un importante strumento attraverso il quale è
possibile far valere dei diritti, mettere in luce eventuali problematiche, proporre iniziative,
ecc.
Tuttavia, tra i rappresentanti è particolarmente diffusa una forte "amnesia delle
responsabilità" che li induce a non svolgere efficacemente il loro compito. La diffusione di
questo fenomeno porta ad una generale sfiducia nella reale possibilità di risolvere un
qualsiasi problema rivolgendosi ai rappresentanti, così come accade frequentemente nella
nostra società e che alimenta quella disaffezione alla cosa pubblica che tutti conosciamo.
Gli studenti tirano avanti cercando di laurearsi quanto prima, senza nemmeno chiedersi se
ciò che loro vivono come normalità sia effettivamente tale, senza pensare che c'è qualcuno
con il preciso compito di dar voce ai loro problemi e far sì che dei cambiamenti siano
possibili.
È fondamentale invertire questa tendenza.
Non è possibile dar voce a studenti che non capiscono quanto la loro voce possa essere
determinante. Essenziale dunque è che essi sappiano sempre di avere la possibilità di
esporre le proprie opinioni, così da sfruttare quello che è un importante strumento
democratico.
Senza questa presa di coscienza viene meno la ragion d'essere della rappresentanza.
Si può facilmente evincere lo stato di trascuratezza in cui è tenuta tale questione dal fatto
che per quattro anni nell'ateneo di Fisciano non si sono svolte elezioni per il rinnovo della
rappresentanza studentesca, che da regolamento prevede un mandato biennale. Anche la
rappresentanza può andare fuoricorso!
La causa è da ricercare nel disinteresse e nella disillusione degli studenti, sul quale
marciano i fin troppo chiari interessi di chi ricopre determinati ruoli istituzionali.
Ciò ci pone una priorità fondamentale, che mette in luce anche il fallimento di un certo
tipo di rappresentanza: provare a mettere in campo strumenti reali di partecipazione e di
decisione collettiva. Promuovere assemblee mensili di facoltà/dipartimento, tramite il quale
confrontarsi periodicamente con gli studenti, ascoltarne i bisogni, comprenderne le
necessità è prioritario per un organizzazione come la nostra che crede in una
rappresentanza mai autoreferenziale ma capace di mettersi in gioco tramite la reale
partecipazione ai processi decisionali.
Prioritario poichè, dopo l’approvazione della legge Gelmini, gli spazi di rappresentanza e
democrazia, già infimi nel passato, sono quasi completamente scomparsi, lasciando la
governance degli atenei in mano a organi composti da pochissime persone e praticamente
incapaci di essere realmente rappresentativi. A questo si aggiunge l’inserimento di 2
membri “esterni” che rappresenterebbero quel processo di privatizzazione contro cui i
movimenti studenteschi si sono battuti fin dall’Onda del 2008.
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Compito della rappresentanza deve essere individuato nell'essere strumento attraverso il
quale lo studente possa non solo inserirsi nel contesto universitario del proprio ateneo, ma
soprattutto partecipare alla vita politica universitaria italiana. Gli studenti, prima di esser
tali, sono cittadini e, come minimo, dovrebbero interessarsi a ciò che nel loro Paese accade
e che condizionerà la loro vita. Ciò che colpisce, ad esempio, è lo stupore degli studenti
nel ritrovarsi a pagare una tassa regionale più che raddoppiata, sintomo di una carente
informazione a riguardo e di una scarsissima partecipazione a ciò che viene deciso alle loro
spalle, mentre sono presi da esami e lezioni da seguire.
Questo è causato da una rappresentanza impegnata perlopiù in pratiche clientelistiche,
volte solo ad assicurarsi l'appoggio di studenti, la cui effettiva formazione alla fine dei conti
non interessa.
Rappresentare gli studenti non significa preoccuparsi solo delle questioni burocratiche, dei
piani di studio non approvati o degli appelli d'esame non disponibili, ma difendere e
accrescere, anche con pratiche conflittuali, i diritti e le tutele del soggetto sociale a cui
dovrebbero dar voce.
Il rappresentante deve sempre tenere a mente chi rappresenta, ovvero studenti
accomunati dalla volontà di approfondire determinati ambiti di conoscenza, discenti di un
sapere che, però, non può non esser considerato come dinamico, in continuo
accrescimento. L'apprendimento passivo, finalizzato solo al superamento dell'esame,
risulta sterile senza un successivo momento critico, in cui possa verificarsi un
rinnovamento del sapere. I rappresentanti degli studenti devono considerare questa
necessità speculativa importante almeno quanto altri tipi di vertenze, di ordine tecnico-
burocratico. Devono creare occasioni nelle quali gli studenti possano investire le loro
capacità e competenze, contrastando quello svuotamento di senso cui stanno andando
incontro le università.
TESI 8: COSA S'INTENDE PER WELFARE?
Con il termine “Welfare State”, si indica un tipo di Stato che si fa carico del benessere dei
suoi cittadini, quindi di uno Stato che garantisce standard minimi di vita attraverso la
tutela ed il rispetto di determinati Diritti detti “Sociali” nonché i correlati servizi.
Ma cosa s'intende per “Diritti Sociali” e soprattutto in cosa consistono?
Per “diritti sociali” s'intende un complesso di tutele e servizi erogati dallo stato e dagli enti
locali, tutelati direttamente dalla costituzione al fine di garantire una protezione sociale:
Assistenza Sanitaria (Art32), Pubblica Istruzione (art.34), tutela dei lavoratori (Artt.35-36-
37-39), Previdenza Sociale(Art.38) ne sono l'espressione.
L'Art 3 Costituzione Italiana enuncia al primo comma che “tutti i cittadini hanno pari dignità
e sono uguali davanti alla legge[...]” e che inoltre “è compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del Paese”.
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Quindi lo Stato è tenuto ad eliminare ogni forma di privilegio che offenda la pari dignità,
ma soprattutto è tenuto anche a promuovere una politica di sostegno e di aiuto che
consenta all'individuo di autodeterminarsi e permetta ai cittadini di godere effettivamente
di eguali opportunità e di usufruire dei diritti che gli spettano.
Insomma uno Stato basato su un'eguaglianza sostanziale, che assicuri alle persone il
godimento di diritti ritenuti inviolabili (art.2cost.) e consenta ad ogni singolo individuo di
avere un esistenza, che la costituzione stessa, in conformità anche con altre Costituzioni
vigenti nonché con la Carta dei diritti fondamentali dei diritti dell'Unione Europea (Art.34.4)
definisce: “Libera e dignitosa”(art.36). Il riconoscimento di un diritto all'esistenza dunque!
Tuttavia, la discussione intorno al riconoscimento di determinati diritti, è accompagnata
anche da un altro problema: quello della loro applicazione concreta. La situazione sociale
che ci si prospetta dinnanzi non è delle migliori. I nostri tempi son anche quelli della vita
precaria, della sopravvivenza, del lavoro che manca, delle poche opportunità. Siamo in una
società in cui è forte il ritorno della povertà che dilaga, e incessantemente ritorna il
richiamo a quei diritti costituzionalmente protetti.
Tuttavia, nonostante ciò sia sancito dalla stessa Costituzione, fonte gerarchicamente
superiore ed alla quale le leggi di rango inferiore devono conformarsi, oggigiorno sempre
più spesso il Welfare è ripetutamente sott'attacco e messo alle strette. E lo dimostrano i
fatti. Negli ultimi 5 anni i fondi nazionali per gli interventi sociali hanno perso il 75% delle
risorse stanziate dallo Stato.
In particolar modo il fondo per le politiche sociali, principale fonte di finanziamento statale
per interventi alle persone ed alle famiglie, ha subito una fortissima decurtazione,
passando da ben 923,3 milioni a soli 69,95 milioni! Il fondo Nazionale per la non auto
sufficienza è stato completamente eliminato! Il fondo per le politiche giovanili da 84,4 a
8,18 milioni! (dati Spi-Cgil). Nondimeno è stato fatto per l'università. Continui tagli, che a
mano a mano hanno ridotto lo studente in una situazione di “precarietà”. Negli ultimi anni
abbiamo assistito ad una diminuzione del finanziamento pubblico all'università , sostituito
da investimenti privati spesso derivanti da accordi di programma con grandi banche
oppure da fondi di grandi aziende che mirano ad investire in determinati settori
dell'università o nel peggiore dei casi ad acquistare direttamente singoli corsi di laurea
assumendone di fatto la proprietà e la gestione.
Gli atenei italiani sono ricorsi, come misura aggiuntiva o alternativa, all’innalzamento della
contribuzione studentesca causando un processo di diminuzione degli iscritti, come
testimoniano i numeri: negli ultimi anni 58.ooo iscritti in meno agli atenei è un bel numero.
Ma anche nel mondo del lavoro la situazione non è migliore. La precarietà diffusa, ci
prospetta un futuro incerto, ma ancora più sconvolgente è la disoccupazione diffusa, che
dilaga come un mare in tempesta, e che ci preclude la possibilità di un futuro sviluppo e
soprattutto ci allontana dal sogno di una vita migliore.
Oggi siamo dinnanzi ad una mentalità diffusa secondo cui azzerare completamente i diritti
sociali dell'uomo sia necessario per risollevare la condizione economica del paese.
Insomma, per accedere ai beni fondamentali della vita, quali ad esempio istruzione e
sanità, dobbiamo passare per il mercato e acquistare i relativi servizi. Dobbiamo acquistare
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i nostri diritti!
Un lento processo di privatizzazione si sta diffondendo, mascherato da false idee e
bugiarde verità, una strada creata sul sacrificio delle classi più deboli, calpestate ed
emarginate.
Infatti, quello che ci si prospetta dinnanzi è chiaramente un sistema discriminatorio. Gli
effetti di una privatizzazione di determinati settori, come ad esempio l'istruzione, comporta
l'esclusione di chi risorse ne a poco o niente. I dati lo testimoniano. Ci stiamo quindi
avviando verso un sistema in cui, a godere di buoni servizi, saranno solo coloro che ne
avranno la possibilità economica.
Noi, non crediamo che il modo migliore per uscire dalla crisi sia attaccare il welfare. Anzi
ciò produce l'effetto inverso. Uno dei motivi della crisi di oggi, risiede anche nella forte
diseguaglianza economica. Politiche neo liberiste hanno accresciuto in modo abnorme il
divario tra molto ricchi e molto poveri, diminuendo anche la coesione sociale.
Noi crediamo, che attualmente una reale soluzione sia quella di investire maggiormente
nell'istruzione pubblica. Un maggior sostentamento per le Scuole pubbliche ed in particolar
modo per l'università. Secondo la nostra analisi è proprio quello il settore in cui bisogna
puntare per risollevarci. Investire nell'istruzione pubblica, significa investire nella
conoscenza e dunque trovare nuove possibili soluzioni all'attuale crisi, non solo economica
ma soprattutto culturale. La cultura diventa fondamentale per la crescita. Il maturare di
nuove idee, di nuovi pensieri, il risveglio di coscienze assopite, per ovviare a tale sistema
massacrante. Ecco da dove bisogna ripartire! Compito dello Stato è permettere lo sviluppo
dell'uomo, attraverso la tutela di determinati diritti già riconosciuti. Pubblica istruzione
significa permettere a chiunque, anche a chi di mezzi sufficienti non ne ha, di poter
partecipare a tale processo evolutivo. Lo Stato deve permettere a chi non ha la possibilità
di poter usufruire del sapere, attraverso mezzi di sostentamento, quali soprattutto borse di
studio, di poter in modo tranquillo e sereno procedere verso un percorso formativo,
concedendo indistintamente a chiunque di poter crearsi un futuro ma soprattutto di poter
crescere personalmente, e di uscire da questo lungo letargo che ci sta conducendo alla
rovina.
Ma la situazione reale ci mostra che sta avvenendo completamente l'opposto.
Da alcuni anni a questa parte, ci si è avviati verso un lento ma corposo processo di
privatizzazione dei saperi. Dietro parole come “tagli agli sprechi”, “riduzione delle spese” si
sta mascherando il vero intento: quello di una mercificazione del sapere. Sotto la spinta
del mercato, gli studenti spesso si trovano a combattere con se stessi. La preoccupazione
per un futuro lavoro, porta al radicale abbandono di determinate facoltà ritenute “inutili”
per il sistema, mosso dal mercato, ed in cui determinate figure non trovano più spazio,
poiché non adatte a produrre. Produci, consuma, crepa! Questa è la strada che vogliono
per noi. Macchine senza idee, prive di coscienza, incapaci a giudicare, ma soprattutto
calpestate ed emarginate da un sistema in cui vince, non il più forte, ma quello più scaltro.
Un sistema in cui si avverte una forte discriminazione. Basta vedere l'ultimo , ma non
ultimo di una lunga serie, decreto che si sta cercando di approvare, quello del ministro
Profumo in cui un chiaro esempio di discriminazione è dato dai criteri adottati per poter
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accedere alla borsa di studio. Soglie minime di ISEE diverse tra nord, centro e sud. Infatti
al sud la soglia ISEE per accedere alla borsa di studio è di 15.000 € a differenza di quelle
del nord in cui la soglia è di 21.000 €. Ciò comporterebbe seri problemi per il Sud-Italia in
quanto potrebbe segnare un progressivo abbandono dei giovani dal Sud-Italia per poter
rientrare più facilmente nei requisiti essenziali per usufruire di borse di studio. Ciò
comporterebbe sia un abbandono in termini anagrafici, ma soprattutto segnerebbe un non
sviluppo per il sud, in cui già il lavoro scarseggia per la mancanza di investimenti, e che a
seguito di tale riforma sarebbe accentuato, in quanto a risentirne sarebbe l'istruzione,
fonte principale per lo sviluppo stesso. Il riproporsi più forte di prima della questione
meridionale. Insomma un ritorno al passato. Ma compito della Repubblica è evitare ciò.
Essa deve permettere la non creazione di forme di disparità tra le regioni, ma creare
eguaglianza tra il popolo. Compito della repubblica è promuovere lo sviluppo del popolo,
evitare discriminazioni, non favorire gli interessi di pochi. Che chiaramente hanno interesse
a creare un sistema del genere. Oggi gli interessi di singoli privati assurge a diventare
bene comune per l'intera comunità e tutto ciò a discapito dei diritti degli stessi uomini.
Quell'eguaglianza tanto cercata nel corso delle storia, dalla rivoluzione francese alle lotte
del '69, è messa in serio pericolo. Lo strumento per arrivare ad essa è lo Stato Sociale,
abbandonarlo significherebbe rinunciare ad essa. Avvertita allora è la necessità di un
riforma del Welfare.
Noi crediamo che una giusta soluzione sia l'introduzione del Basic Income cioè del reddito
minimo garantito o reddito universale di cittadinanza come dir si voglia. Siamo convinti
soprattutto che una soluzione sia data da una maggiore distribuzione della ricchezza nella
società attraverso tale strumento.
Recenti studi hanno dimostrato come il Basic Income sia diventato il fulcro attorno al quale
è possibile ridisegnare il nuovo statuto delle garanzie non solo del lavoro ma anche della
cittadinanza.
Il reddito minimo garantito è un reddito di base incondizionato (RBI), dato a livello
individuale, ai residenti (e non solo ai cittadini), incondizionato (ovvero non sottoposto a
nessun obbligo), pagato dalla fiscalità generale e non dai contributi sociali, ed è una
misura di welfare che oggi esiste ed è consolidato nella maggior parte dei Paesi Ue, tranne
in Grecia, Italia ed Ungheria. Economisti hanno dimostrato che è una possibile soluzione
ma perché?
Il Basic Income ci permetterebbe di essere autonomi e soprattutto liberi dal ricatto
occupazionale, che è una forte causa del lavoro in nero, grande problema per l'intero
Stato. Inoltre sarebbe utile sia in tempo di prosperità economica ma soprattutto in quello
di crisi economica e di attacco alle condizioni di vita e di lavoro della popolazione. La
perdita di un lavoro causa disagi, oltre che economici anche personali. Quindi acquisisce
anche rilevanza sociale, in quanto consentirebbe una vita più agiata, un esistenza più
dignitosa appunto. Inoltre indubbiamente è uno stabilizzatore del consumo, poiché
permette di sostenere la domanda in periodo di crisi, evitando ampliamento della
diseguaglianza economica nel paese e favorendo una maggiore coesione sociale.
Ma oltre ad essere uno strumento importante per combattere la povertà ed abbattere le
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diseguaglianze, sarebbe anche un ottimo strumento che permetterebbe un cambiamento
sociale e politico che permetterebbe un riordino delle relazioni sociali a favore della libertà,
autonomia nonché del rispetto e del riconoscimento degli uomini e delle donne.
Un ottimo strumento per lo Stato, poiché darebbe la possibilità ad esso di poter assolvere
il suo più difficile compito. Assicurare eguaglianza ed una dignitosa esistenza, in modo
indistinto a tutte le fasce del popolo.
TESI 9: TRASPORTI
La lontananza dell’Università degli Studi di Salerno dal centro della città obbliga la maggior
parte degli studenti a dover usufruire dei trasporti pubblici.
Il Consorzio Salernitano Trasporti Pubblici è l'azienda che gestisce il trasporto su gomma
nella città di Salerno e in parte del territorio della provincia.
Negli ultimi due anni la crisi che ha toccato il CSTP è ricaduta su tutta la cittadinanza.
E’ stato ridotto il numero dei dirigenti da tre ad uno, ed il numero dei lavoratori da 754 agli
attuali 573, con un’ulteriore previsione di riduzione delle unità che a luglio prossimo
saranno 565.
Questa situazione porta la sua negatività su due fronti. Da un lato i lavoratori si trovano
costretti ad accettare la cassa integrazione e i tagli in busta paga, nonostante il fatto che
la ricapitalizzazione non è realmente vicina. Molti Comuni ancora devono provvedere a
firmare le delibere per l’ufficializzazione di quest’ultima. Alcuni di questi rimandano la
questione addirittura al mese di maggio, periodo in cui l’azienda sarebbe condannata
definitivamente al fallimento. Dall’altro lato studenti di scuola e di università, lavoratori,
anziani, insomma tutta la popolazione della provincia di Salerno sentono il peso di questa
situazione. I tagli sulle corse degli autobus non permettono il raggiungimento di scuole,
università e luoghi di lavoro.
La situazione è pressoché assurda. Le fermate dei pullman sono gremite di gente in
qualunque orario della giornata ed è quasi d’obbligo oramai dover aspettare almeno un
paio d’ore per poter fare ritorno a casa. Gli autobus sono privi di carburante e di
manutenzione.
L’università ne risente ancora di più. Addirittura gli studenti residenti nel comune di
Salerno si vedono costretti a non poter raggiungere il campus della loro città.
Ne deriva da questo che diventa quasi impossibile riuscire a seguire le lezioni di prima
mattina, riuscire ad arrivare in tempo agli esami, riuscire a raggiungere l’università anche
solo per utilizzarla come luogo di studio. Ci si ritrova a raggiungerla solamente quando è
strettamente necessario, e molto spesso non si ha la possibilità nemmeno in questi casi.
E’ diventata un luogo cui possono accedervi solo i pochi fortunati che possiedono un
mezzo ti trasporto o chi vi abita vicino.
Ma a cosa serve un’università irraggiungibile?
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Per la garanzia del Diritto allo Studio è necessario che il trasporto pubblico sia funzionante
ed efficiente. Nonostante le recentissime questioni altrettanto importanti riguardo le
modalità d’accesso alle borse di studio e quant’altro concerne il decreto ministeriale di
Profumo, non bisogna lasciare che la faccenda dei trasporti passi in secondo piano.
Anzi sono lotte che devono essere parallelamente condotte e portate a compimento al più
presto.
TESI 10: PRECARIETA’ E LAVORO LA QUESTIONE DI UNA
GENERAZIONE “MUTATA”
Parlare di precarietà e lavoro in questa fase storica, contraddistinta dagli effetti di un
attacco a 360° portato dai governi succedutisi negli ultimi vent’anni alla nostra
generazione, rappresenta per un’organizzazione come la nostra una priorità.
Il movimento studentesco, infatti, non nasce soltanto dalla necessità di costruire
un’Università diversa, di qualità e accessibile a tutti, ma dalla convinzione che i luoghi della
formazione, attraverso luoghi di discussione politica, debbano costituire dei laboratori di
rilettura complessiva della società. Per questo intrecciare le lotte, partendo dalla
formazione ed allargandosi ai diversi movimenti di lotta sociale, è la naturale e logica
conseguenza di un discorso unico che si apre con il mondo dei saperi e conclude il suo
cammino nel mondo del lavoro. Pertanto le nostre rivendicazioni seguono un iter che
conduce alla costruzione di uno stesso orizzonte di cambiamento politico, economico,
sociale e culturale.
I contenuti del movimento studentesco devono necessariamente essere espansi per
includere battaglie più ampie: dai beni comuni alla riforma del lavoro, dalla crisi globale
alla precarietà, dai diritti sociali alle discriminazioni. In particolare il tema della
riappropriazione del futuro è stato imposto con forza dagli studenti nel dibattito politico
fino a fare della “questione generazionale” una “questione sociale”.
Con essa, infatti, i giovani si sono imposti all’interno del dibattito pubblico e politico,
ricevendo come risposta l’attacco di quell’esecutivo che si è sentito chiamato alla sfida su
quel terreno, provando ad espropriarli di rivendicazioni complessive e facendo delle
rivendicazioni più specifiche oggetto scambio. Il dibattito sulla Riforma Fornero in questo
senso è l’esempio lampante: una riforma per i giovani contro i lavoratori garantiti vissuti
nella “bambagia” , la retorica dei “bamboccioni”, il paternalismo che ben si prestava a
questa fase politica: se a governare sono “i professori”, gli studenti possono solo prendere
appunti. I giovani devono abdicare la partecipazione e le loro richieste a qualcuno più
saggio ed esperto di loro.
L’espropriazione e l’attacco alla questione generazionale è un po’ il riflesso
dell’espropriazione della democrazia da parte dei potere dei mercati, un potere unilaterale
contro cui non è possibile confrontarsi. E’ il riflesso di una politica europea che abdica
ancora una volta alle ricette fallimentari dell’austerity per uscire dalla crisi.
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Per l’ottenimento di tale scopo è necessario che il movimento studentesco si smarchi da
queste logiche e si rimetta in connessione con gli altri soggetti sociali contrari alla
distruzione del pubblico e in lotta contro le politiche di austerity che sono state portate
avanti dai recenti governi.
Troppe volte ormai ci siamo trovati di fronte risposte che in tutte le loro forme si possono
riassumere nell’acronimo T.I.N.A. (There Is Not Alternative). È impensabile restare quindi
fermi di fronte alla negazione di un futuro, di una alternativa, di un cambiamento.
Uno dei fenomeni più preoccupanti e sintomatici di una certa arrendevolezza in cui siamo
stati confinati proprio dalle logiche sopra citate, è quello ormai conosciuto con il nome di
“fuga dei cervelli”.
Sempre più giovani menti, forgiate in un Paese che ha offerto loro la possibilità di ricevere
un’istruzione e una formazione, scelgono la via dell’estero per poter trovare una
dimensione e un riconoscimento adeguato, sia sotto forma di soddisfazione professionale
che economica. Come si può restare in un Paese che non investe in ricerca, innovazione,
sviluppo e lavoro?
Un altro fenomeno da non sottovalutare è, evidenziato quello che vede lo svuotamento del
Paese delle sue intelligenze, quello che consiste nell’abbandono delle zone periferiche dello
stesso a vantaggio dei grandi centri presenti principalmente al centro-nord.
Tale fenomeno vede una desertificazione delle nostre terre, lasciate nell’abbandono e nel
degrado, in mano ai poteri che attualmente le governano e che continueranno a
governarle indisturbati una volta sprovviste della cultura e della capacità delle giovani
menti che potrebbero investire il loro sapere ed il loro impegno produttivo e sociale nel
riscatto di queste.
Un terzo ed ultimo preoccupante fenomeno evidenziatosi con la mancanza di prospettive e
il protrarsi di politiche intraprese da un sistema che tende ad isolare ed emarginare gli
individui, è quello dell’abbandono delle proprie aspettative che sta coinvolgendo sempre
più i soggetti in formazione. Vedendosi privati della possibilità di realizzarsi, molto spesso,
questi lasciano gli studi regredendo alla propria dimensione di partenza, dalla quale per
altro tentavano di emanciparsi, riprendendo attività rurali o a carattere familiare che
possono costituire una forma di certezza o una dimensione comoda nella quale
riconoscersi.
Tutto questo non è altro che il riflesso del blocco esistente in ingresso al sistema lavoro.
Più di un italiano su tre, tra i 18 e i 24 anni, è senza lavoro, e negli ultimi 5 anni sono stati
persi 1,5 milioni di posti di lavoro tra gli under 35. La disoccupazione giovanile cresce tre
volte più velocemente di quella complessiva, con picchi che superano il 50% per le donne
nel Mezzogiorno. I pochi che lavorano, se non sono in nero, sono costretti a destreggiarsi
tra i vari contratti precari, senza alcuna tutela da parte del sistema di welfare, senza
alcuna protezione contro discriminazioni e licenziamenti arbitrari, senza alcuna possibilità
di costruirsi autonomamente un percorso di vita dignitoso. Le disparità tra i generi
vengono ampliate da una precarietà che è generalizzata, ma da cui le donne escono più
difficilmente. Al paradosso di un Paese che ha pochissimi laureati e non riesce a dare un
lavoro neanche a quei pochi, si risponde chiudendo sempre di più l’accesso al sapere ed
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espellendo un numero sempre crescente di studenti dai luoghi della formazione con tagli e
aumenti delle tasse.
È evidente come la classe dirigente, incapace e corrotta, abbia con il suo operato
sconsiderato, distrutto il tessuto sociale, economico e ambientale del Paese, relegando i
giovani ad un ruolo marginale inserendoli in un vortice di precarietà lavorativa ed
esistenziale.
Si rende necessaria una forte inversione di rotta per far si che la componente
generazionale che sceglie di partire, possa intravedere uno spiraglio per restare.
In questo senso si muove la campagna “Io Voglio Restare” che, lanciata nel contesto di
Firenze del Forum Sociale Europeo, offre una piattaforma significativa dove poter costruire
dal basso l’alternativa che non ci viene fornita da chi dovrebbe essere lì per farlo.
In questa complessa opera di ricostruzione sarà necessario porre come prioritario il
superamento di qualunque forma di lavoro non retribuito o staccato da un parametro di
equo compenso definito per legge ("pionieristico", in questo senso, il percorso in itinere sul
lavoro giornalistico): dal dottorato di ricerca senza borsa nelle università pubbliche italiane,
fiore all’occhiello del nostro sistema di distruzione della formazione e ricerca, ai tanti stage
e periodi di prova in enti privati e pubblici che offrono in cambio di una prestazione
lavorativa la sola speranza, ormai quasi sempre tradita, di un'assunzione. Allo stesso modo
va superata ogni forma di lavoro parasubordinato che, in virtù della sua natura ibrida tra
lavoro subordinato e lavoro autonomo, riduce il lavoratore a una condizione in cui si
sposano pericolosamente i vincoli del primo e le incertezze del secondo, sotto la vernice di
una indipendenza di facciata del lavoratore stesso. In questo senso va denunciata con
forza l'opera peggiorativa messa in campo dalla Riforma Fornero. Annunciata come una
riforma a favore dei giovani, in realtà ha ulteriormente peggiorato il regime di tutele e
diritti previdenziali e contrattuali per i lavoratori e le lavoratrici parasubordinate, nonché
abbassato e colpito al cuore la funzione deterrente dell'articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori, ragion per cui fu convocato lo sciopero generale da parte dei sindacati come
CGIL, FIOM e NIDIL, con l’intento di bloccare la riforma. Il governo tecnico, in sostanza,
ha voluto una riforma piena di significati politici, con l'obiettivo di livellare ulteriormente
verso il basso le retribuzioni, i diritti e la dignità di chi lavora. Stesso discorso
sull'introduzione truffa di Aspi e mini Aspi: tagliare totalmente fuori dall'accesso a questo
ammortizzatore tutti i contratti parasubordinati e gli iscritti agli Ordini professionali
significa fare una scelta netta, cioè impoverire e rendere ricattabili ancor di più le nuove
generazioni.
Pertanto punti cardine della campagna risultano: la reintroduzione dell’art. 8 e dell’art. 18
dello Statuto dei Lavoratori, l’introduzione di un reddito minimo garantito e la
riproposizione su scala nazionale di quanto si è riuscito ad ottenere con alcuni esperimenti
come la legge regionale pugliese sugli indici di congruità, che rappresenta sicuramente un
passo da porre alla base di questo dibattito (per evitare che il mercato del lavoro sia
gestito dalla criminalità e da meccanismi clientelari, come sempre più spesso succede per i
giovani e per i lavoratori stranieri in diversi settori).
Non possiamo, come organizzazione, esimerci dall’impegno nella costruzione dei comitati
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provinciali che costituiranno il fulcro su cui si incentrerà la campagna. Per questo è
previsto un ruolo attivo di LINK Fisciano sulla base d’azione salernitana.
TESI 11: ANTIFASCISMO E ANTIMAFIA
Antifascismo è il sentimento comune che Link Fisciano reinterpreta come spunto di unione
contro tutti i Fascismi.
Per Fascismi intendiamo tutte le forme di oppressione e attacco diretto alla libertà di
parola, azione e pensiero.
Forze che oggi si manifestano in svariate forme in tutte le società.
Oggi soprattutto rinnoviamo il nostro impegno a sradicare dall'immaginario comune quel
sentimento di rivalsa e ordine sociale che spesso sfocia nei suddetti fascismi, militando per
costruire una società in cui questi atteggiamenti non siano presenti ma nemmeno
auspicabili. Militare non significa solo sradicare questi meccanismi convulsi ma anche
invitare l'intera cittadinanza al ricordo del fatto che come italiani abbiamo subito in prima
persona gli abomini del ventennio fascista. Ma soprattutto memori dei partigiani che si
immolarono, combatterono e sacrificarono le loro esistenze per annientare la dittatura
fascista e ripristinare la libertà.
Per questo Link Fisciano ha collaborato e collaborerà con l' A.N.P.I. ,che ci ha insegnato
l'importanza di ripartire da chi ancora può testimoniare atti e momenti, luoghi e
personaggi, che hanno avuto un ruolo all'interno della lotta di Liberazione in Italia.
L'Antifascismo oggi deve ripartire da ciò: dalla Memoria, dalla testimonianza, dagli
insegnamenti di chi ha lottato per un ideale e lo ha difeso sempre e comunque, fiero delle
proprie azioni.
La crisi delle appartenenze collettive e il dilagare dell'individualismo e della guerra tra
poveri, rendono necessario un lavoro collettivo per ricostruire i legami sociali che i poteri
politici ed economici logorano ogni giorno. Per questo Link Fisciano ha intrapreso delle
collaborazioni di ampio spettro che alimentino la crescita e la
formazione di tutti i compagni, che dal confronto sistematico con queste organizzazioni
crescono in termini di analisi e competenze.
Inevitabilmente ci ritroviamo dalla stessa parte di uomini e donne che nel quotidiano
intraprendono le nostre stesse battaglie e contemporaneamente ci forniscono aiuto
materiale e appoggio morale per la continuazione delle stesse.
In prima linea la CGIL, FIOM, Legambiente , Comitato NO PETROLIO, ArciGay e infine
Libera Salerno sono state persone, sindacati e associazioni che hanno dato e daranno
sostegno al nostro lavoro e alla nostra lotta.
La vicinanza con Libera ci ha aiutato ad approfondire il rapporto tra la nostra terra le
organizzazioni di stampo mafioso. La lotta alla mentalità mafiosa, alla cultura della violenza
e della sopraffazione, alle infiltrazione e alla influenze mafiose nei luoghi della
formazione e del lavoro deve essere il caposaldo di una attività di militanza basata sulla
costruzione di una sincera legalità che sradichi la semenza delle attività mafiose che sono
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ormai pratiche usuali nei nostri modi di fare di italiani del Sud e non solo.
Arma più forte, contro il radicamento della Mafia, è sicuramente da ricercare nei luoghi
della formazione. Questi sono dei luoghi centrali per il contrasto alla criminalità organizzata
infatti la dispersione scolastica crea centri di attrazione intorno alla microcriminalità di cui
la mafia si nutre, causata da un sistema di garanzia del diritto allo studio inefficace . E’
necessario sottrarre braccia e possibilità d’azione alle fila delle mafie, abbattendo gli
ostacoli di natura socio-economica che impediscono l’accesso all’istruzione a tutte e a tutti
e rendendo scuole e università presidi di democrazia sincera dove crescere culturalmente
e umanamente.
TESI 12: LIBER* DI SAPER AMARE – LGBTQI
“Se non ti mobiliti per difendere i diritti di qualcuno che in quel momento ne è privato,
quando poi intaccheranno i tuoi, nessuno si muoverà per te. E ti ritroverai solo.” - Harvey
Milk (Sean Penn)dal film "Milk" di Gus Van Sant
La battaglia dei diritti LGBTQI rappresenta in Italia un’occasione in più per combattere la
paura rivolta verso il "diverso", che si manifesta in tutti gli aspetti della nostra vita,
conducendo noi stessi a rappresentarci e a rappresentare tutto ciò che vediamo e che
viviamo sotto forma di etichette e/o categorie. Sappiamo che questo processo di
"classificazione" non è solo individuale, ma è supportato e alimentato spesso dal
potere e dalla strumentalizzazione di teorie pseudo scientifiche, che riconoscono l'esistente
solo categorizzandolo.
Tutto ciò porta ad una determinata forma di controllo sociale dall’alto, volta al
mantenimento dello stereotipo della "normalità". L’eliminazione dell’omosessualità dai
registri ufficiali dell’OMS delle patologie è avvenuta 20 anni fa.
Attualmente, sono 13 i Paesi nel mondo che garantiscono alla comunità LGBT di poter
ricorrere all’istituzione del matrimonio, e altrettanti quelli che garantiscono l’adozione.
Nell’ultimo mese Francia ed Inghilterra si sono aggiunte alla lista, avviando provvedimenti
che porteranno alla legalizzazione del matrimonio gay.
L’Italia ad oggi non prevede nessuna legge che regoli le unioni di coppie dello stesso
sesso: ciò è dovuto anche alla forte influenza dello Stato Vaticano, che si è sempre
apertamente schierato in un’ottica conservatrice contro l’omosessualità, facendo talvolta
pressioni sulla classe politica vigente, e stroncando ogni tentativo di apertura
dell’argomento, impostando modelli familiari etero-sessisti e etero-patriarcali.. Uno Stato
che assume il principio di laicità (art. 7 Cost.) si dovrebbe impegnare concretamente a
garantire la libera espressione sessuale di ogni individuo.
Le persone lesbiche, gay, trans*, intersex e bisex hanno da sempre subito questo
processo aberrante, ma nella storia dei movimenti di lotta e rivendicazione possiamo
leggere un bisogno di soggettivazione, in contrasto con il fenomeno della
categorizzazione delle persone secondo il proprio orientamento sessuale.
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Il bisogno di vedere riconosciuta la propria identità non può che passare per la visibilità,
per l'essere ciò che si vuole a prescindere da quanto questo si discosti dalla norma vigente
e dall’inganno dell’etero-normalità.
La base di partenza è sicuramente la lotta all’omofobia, alla transfobia, alla xenofobia e a
tutte le altre forme di odio o discriminazione. La costruttiva prospettiva di una società
capace di combattere queste paure è quella del riconoscimento e della valorizzazione della
ricchezza culturale alimentata dalla diversità.
L’Università dovrebbe essere un luogo di confronto, dibattito, di scambio, di educazione a
una cultura delle differenze, dovrebbe allontanare l’odio da tutto ciò che è
apparentemente diverso. E’ dall’Università che dovrebbe partire una vera battaglia
culturale, che vada a demolire e a cancellare i soliti pregiudizi, che vada a richiedere
rispetto, che provi ad abbattere una cultura omofobica sempre più forte nel nostro Pese.
L’Università è un punto forte di criticità, è centrale nella nostra società, è centrale nella
crescita(formazione)delle singole persone ed ha il compito di farsi portavoce anche di
queste tematiche sociali per sradicare i soliti tabù, i soliti pregiudizi e le solite paure.
In questo senso, va letta la costituzione del primo(primo in Italia, in un campus
universitario) Sportello d’ascolto a difesa dei diritti inaugurato nel maggio 2012
all’Università degli Studi di Salerno, in collaborazione con Arcigay Salerno, e la
conseguente partecipazione al Pride del 26 maggio 2012 tenutosi a Salerno.
Per Link Fisciano, questo sportello non è solo un luogo dove denunciare eventuali episodi
di discriminazione a carattere omofobico e bullismo ma un vero e proprio presidio in difesa
di tutti quei diritti ancora negati.
La società che ci immaginiamo quindi non può che essere antisessista, denunciando ogni
atteggiamento maschilista e patriarcale presente nella società, che calpesti la dignità delle
donne e delle/dei transessuali, impedendone l’effettiva parità giuridica e sociale o, peggio,
alimentando vili atti di violenza fisica e psicologica. Un’idea, dunque, di sessualità
realmente libera da ogni pregiudizio e discriminazione, una sessualità che nasca dalla
piena consapevolezza di sé, della propria identità sessuale e identità di genere.
Come Link Fisciano rivendichiamo quindi un processo di soggettivazione, convinti che
questa battaglia non possa essere combattuta esclusivamente da una "minoranza".
Ognuno vive una quotidiana oppressione, che agisce trasversalmente rispetto a ciò che noi
siamo, quindi come donne, migranti, transessuali, lesbiche, gay, precari e precarie, etc.
E’ nostro obiettivo mettere in relazione le diverse soggettività, ognuna con le proprie
oppressioni, in una lotta non corporativa, ma con una più ampia prospettiva di
liberazione: creare un soggetto sociale con un sentimento comune, un movimento
in grado di dare voce a tutte le diversità, rivendicare una legge nazionale contro
l’omofobia e la transfobia, con ancora maggior forza dopo la bocciatura per
pregiudiziale d'incostituzionalità della Legge Concia, e creare così un nuovo modello di
cittadinanza capace di parlare delle libertà di tutti.
Infine è fondamentale collegare le battaglie del movimento LGBTQI a quelle della
rivendicazione di un nuovo welfare universale, in quanto superando la logica familistica del
welfare ed è in grado di includere e dare cittadinanza e diritti a ogni singolo individuo e a
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ogni gruppo sociale in quanto soggetti con diritti e doveri uguali agli altri: bisogna
garantire la libertà a tutt* e a ciascun* di vivere e costruire i propri nuclei d’affetto e
relazione.
TESI 13: RETE DELLA CONOSCENZA
Già da più di un anno la nostra organizzazione si sta interrogando su che ruolo essa possa
avere nella costituzione del nodo di Rete locale.
Il fallimento, che dobbiamo saper riconoscere, dei tentativi di collegamento tra l'Unione
degli Studenti Salerno e Avellino con LINK Fisciano, causati da una lontananza sia
geografica sia di contesti cittadini e esigenze sociali, ci pone in una riflessione complica
sulle modalità di costruzione di questo percorso. Questo ovviamente presuppone un
impegno, oltre che politico, di livello fisico di partecipazione ai futuri momenti di Rete,
rinunciando a una struttura che si basi sulla sola collaborazione delle organizzazioni, ma
che si estendi al coinvolgimento degli individui nel contesto delle proprie città e province di
provenienza.
Riuscire a riportare, con le nostre persone, l'università e le conoscenze universitarie sui
nostri territori diviene perciò una priorità fondamentale. Bisogna costruire campagne
condivise sulle tematiche di Rete contestualizzandole al territorio di provenienza così da
poter essere realmente incisivi, come soggetto sociale, all'interno delle politiche cittadine.
TESI 14: E’ TUTTA UNA QUESTIONE DI SPAZIO – SPAZIO E
MUTUALISMO
Nella crisi dei luoghi della formazione, segnata dalla progressiva privatizzazione e
mercificazione dei saperi, dal restringimento degli spazi di democrazia e di partecipazione,
da una trasmissione delle conoscenze sempre più nozionistica e gerarchizzata, la conquista
degli spazi(fisici e non)di resistenza e opposizione a tali processi, di costruzione e
condivisione orizzontale delle conoscenze, di libera espressione della creatività degli
studenti, di aggregazione fuori dalle logiche di mercato, è uno dei primi passi da compiere
per invertire la rotta.
I luoghi collettivi nella nostra Università si sono ormai ridotti al minimo, e sono affetti da
una duplice condizione di sofferenza dettata da altrettanti mali: da una parte il disinteresse
istituzionale e dall’altra la “disaffezione” studentesca.
L'assenza di aule studio nel nostro ateneo, due delle quali chiuse negli ultimi anni e
posizionate nel polo umanistico, sono sentore del concetto di individualismo che pervade i
nostri corridoi e che ci impone di trovare spazi precari e adibiti ad altro dove studiare.
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La biblioteca centrale, eccellenza per numero di libri consultabili, offre servizi sempre più
scarni: chiusura alle 18.30, chiusura dei prestiti alle 16.30, impedendo di poter usufruire di
spazi e di luoghi adibiti alla condivisione, fruizione e diffusione dei Saperi.
Essi, in realtà, sarebbero strumenti fondamentali per soddisfare numerosi bisogni
dell’essere studente, accrescendo la vivibilità della collettività (vista come condizione
umana materiale) e aiutando a coltivare quel senso di appartenenza ad una comunità,
specie in un momento di crisi sociale ed economica acuta.
TESI 15: L’IMPORTANZA DELLA PARTECIPAZIONE
Quello della partecipazione, per un'organizzazione come la nostra, è un punto
imprescindibile nonché un obbiettivo.
Lo studente, infatti, viene inteso non solo come soggetto in formazione a livello
accademico ma viene contestualizzato all'interno della società, nella quale dovrà avere un
ruolo attivo, decorsi gli anni di vita accademica.
Pertanto ci poniamo come obbiettivo quello di far avvenire uno scatto di consapevolezza
all'interno della componente studentesca che, crescendo durante il percorso universitario,
prenda coscienza dei propri diritti e doveri civici.
Questa considerazione proviene dall'analisi della situazione politica nazionale da cui
emerge la plateale disaffezione ai temi civili e sociali da parte della cittadinanza causata
dalla distanza creatasi tra coloro che sono rappresentati e coloro chiamati a rappresentare.
Nel nostro ateneo, specchio della società odierna, questa esigenza è stata amplificata
dall'assenza di trasparenza e chiarezza della rappresentanza studentesca attuale riguardo
la politica interna e riguardo ai provvedimenti che vengono presi a tutti i livelli di
governance.
Per risanare questa lacerazione la nostra organizzazione, attua una rappresentanza di tipo
partecipativo, ovvero prova a coinvolgere in prima persona gli studenti nei processi
decisionali allargando alla collettività tutta, quelli che sono problemi di tipo vertenziale che
vengono discussi nei luoghi di rappresentanza.
Questo processo viene attuato tramite la pubblicazione di quelli che sono gli atti prodotti,
in modo da rendere coscienti gli studenti di ciò che viene discusso all'interno dei consigli
ad ogni livello.
Strumento principe, utile per perseguire il nostro scopo, è la costruzione di assemblee di
facoltà/dipartimento atte a rendere possibile il reale confronto tra i rappresentanti e il
soggetto studentesco rappresentato. Questo confronto permette al rappresentato di
esprimere direttamente i propri bisogni ed esigenze, al rappresentante di non perdere il
contatto con la realtà dei corridoi e delle aule, affinché si inneschi un processo dialettico di
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crescita necessario a una posizione condivisa e collettiva sulle tematiche.
Per quanto questo strumento venga da noi già utilizzato in modo ufficioso, ci proponiamo
di iniziare una battaglia finalizzata al riconoscimento istituzionale di questa pratica, come
già avviene all'interno delle scuole superiori.
Ulteriore strumento di democrazia, non meno importante delle assemblee, è quello che
siamo riusciti ad ottenere all'interno del dibattito sulla modifica dello Statuto di Ateneo
(successivo alla Legge Gelmini): la consultazione referendaria.
Per quanto ancora non regolamentato dal Senato Accademico, esso rappresenta uno
strumento innovativo e mai sperimentato in altri atenei, ci impegneremo affinché esso
diventi una pratica diffusa e realmente incisiva nelle decisioni che riguardano il nostro
ateneo/dipartimento.
In senso più ampio, LINK Fisciano, cerca la partecipazione attiva anche riguardo a temi
non direttamente riconducibili a quelle che possono essere delle vertenze locali. Essendo
un movimento studentesco di base nazionale, è sensibile ad un ventaglio di tematiche
ampio, che spazia dall'istruzione al lavoro.
Pertanto coinvolgere gli studenti all'interno di rivendicazioni più ampie contestualizzandole
ed allargando lo spettro di riferimento è quello che ci poniamo come obbiettivo finale.
Muovendoci in questa direzione ci auspichiamo una maggiore partecipazione degli studenti
su quelli che sono tematiche di interesse collettivo proponendoci come intermediari tra il
mondo esterno ed il mondo universitario.
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DOCUMENTO ORGANIZZATIVO
TESI 1: LINK FISCIANO 2.0
Stilare il bilancio organizzativo dell’Associazione Link Fisciano a poco più di due anni dalla
data della sua fondazione ufficiale è un passo obbligato.
L’Organizzazione gode di buona salute, forte delle figure introdotte in un secondo
momento rispetto a quello fondativo, che prevedeva i soli coordinatori nelle vesti di
“tuttofare”. La suddivisione di responsabilità, operata con le nomine del Responsabile
Organizzazione e del Responsabile Comunicazione, ha sveltito i processi sia interni che
verso l’esterno dell’organizzazione stessa.
Il nucleo esecutivo così composto ha offerto un periodo di ottimizzazione e miglioramento
delle basi comunicative.
Come il Coordinamento Nazionale, anche la realtà locale è indipendente e svincolata da
logiche clientelari, dai condizionamenti e dai posizionamenti partitici e si basa su processi
di scambio diretto fra le realtà a livello orizzontale.
Con il Nazionale si condividono modalità d’azione e di analisi, la natura di movimento e le
linee politiche si intrecciano disegnando lo spaccato di un quadro sempre più vasto ed
eterogeneo.
Per questo la nostra struttura è scevra da verticismi, l’orizzontalità e la capillarità
permettono il miglior flusso di dati e nozioni possibile e le deleghe, rappresentate dai
responsabili di area tematica, offrono una migliore e più completa sinergia dei militanti con
l’organizzazione nazionale.
Il gruppo, cresciuto nel tempo, ha permesso la fondazione di due collettivi di facoltà,
PiKuadro ed APES, rispettivamente nelle facoltà di Ingegneria e Lettere e Filosofia.
Con questi LINK condivide le idee, l’azione sindacale, l’analisi e il movimento, lasciando
autonomia organizzativa e gestionale agli stessi componenti dei gruppi o concertando con
essi strategie d’azione.
Fare il salto di qualità, allo stato attuale delle cose, significa da un lato comprendere
sempre più quanto sul territorio l'associazione determini e condivida la linea politica,
strategica e progettuale, dall'altro concepire l’organizzazione non solo come un veicolo di
condivisione dell'elaborazione e della politica territoriale ma anche delle pratiche e delle
competenze organizzative per riuscire a divenire, in fine, il collante fra tutti i vari pezzi
attivi di elaborazione e discussione politica ed aggregare così anche coloro che non hanno
la nostra stessa maturità in un contesto più ampio ed articolato, costituendoci, come per
altro già accade, traino del movimento territoriale.
In questo senso è importante iniziare a riflettere sul nostro lavoro quotidiano di azione
vertenziale a tutti i livelli. Riuscire ad essere “sindacato studentesco” partendo dai bisogni
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materiali degli studenti, provando a migliorare le condizioni in cui essi versano costruendo
“movimento” è una priorità fondamentale. Questo processo non può non passare
attraverso la “politicizzazione delle vertenze”, cioè tramite la nostra capacità di riuscire a
collegare i problemi che giorno dopo giorno proviamo a risolvere nelle nostre facoltà ad un
piano più generale di rivendicazione e di analisi tramite il quale fare luce sui processi che
permettono i primi. Quindi riuscire a collegare e portare alla ribalta come l’iscrizione di 30€
per il test di Filosofia nel nostro Ateneo sia permesso da un più generale pensiero che
vuole chiudere l’accesso alla formazione superiore e costruire un’ Università di élite.
Questo però non deve portarci a una sostanziale autoreferenzialità delle nostre analisi,
anzi esse devono essere da sprono verso l’ampliamento del dibattito tramite le forme della
partecipazione che nel nostro ateneo vengono poste in secondo piano rispetto a una
rappresentanza onnipotente e realmente autoreferenziale. C’è bisogno di diffondere e
creare strumenti di partecipazione reale a partire dalle assemblee fino alla consultazione
generale studentesca, utilizzando anche lo strumento della “consultazione studentesca”
che tramite il nostro lavoro in sede di modifica dello Statuto d’ateneo, siamo riusciti ad
ottenere. Partire da questo piano ideale per ricostruire il tessuto aggregativo e conflittuale,
sopito da troppi anni nel nostro ateneo, è prioritario per un associazione che prova a
rappresentare il soggetto sociale studentesco in tutte le sue forme.
TESI 2 : AUTONOMIA E SOSTENTAMENTO DELL’ORGANIZZAZIONE
“Lo stato di salute del bilancio è uno degli obiettivi principali di un'organizzazione, uno
degli strumenti più importanti per consegnare all'associazione la capacità di esprimere al
meglio la propria produzione politica soprattutto in virtù della nostra imprescindibile
autonomia.
Il bilancio di un territorio generalmente si compone del ricavato di feste o altri eventi di
autofinanziamento, contributi esterni da parte di altre organizzazioni e interni (auto-
tassazione, gettoni di presenza), progetti e bandi”.
Questo è quello che si legge nell’introduzione al documento organizzativo nazionale
discusso ed approvato il 3-4 Agosto 2012 al Riot Village.
Da questo punto di vista la nostra organizzazione territoriale deve necessariamente fare
una forte autocritica.
I proventi derivanti dalla prima festa che ha visto la nostra partecipazione attiva, il Party
Quorum, svoltasi in occasione dei referendum su acqua pubblica, nucleare e legittimo
impedimento, periodo contrassegnato dalla nostra attività di raccolta firme e opera di
sensibilizzazione verso i temi e le modalità di voto, hanno permesso all’organizzazione di
maturare un piccolo budget di cassa che è stato il nostro unico sostentamento per quasi
un anno.
L’organizzazione dello “Study Share Enjoy ING” da parte del collettivo PiKuadro,
appoggiata economicamente da LINK Fisciano stessa, ha visto dilapidare il gruzzolo a poco
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tempo di distanza dalle elezioni studentesche in un evento che ha rappresentato un
investimento errato per scelta del periodo.
La festa, priva dei fuori sede rientrati alle proprie abitazioni per le vacanze estive, ha avuto
una scarsa partecipazione per altro non preventivata (anche se preventivabile) a fronte di
un investimento cospicuo che voleva essere il trampolino per “fare cassa” in vista delle
spese elettorali, portate avanti grazie all’ennesima auto-tassazione dei membri.
L’autocritica quindi va fatta, anche se non ci si può fermare soltanto all’evento singolo.
Come territorio non siamo riusciti, dopo due anni, a pensare ed attuare un reale piano di
finanziamento necessario e imprescindibile per un’organizzazione come la nostra che non
gode di aiuti economici da parte di nessuna struttura esterna.
Pertanto uno dei punti principali da affrontare è la stesura di un piano programmatico ben
delineato e concertato per attuare finalmente delle reali pratiche di autofinanziamento.
TESI 3: COMUNICAZIONE
“Siamo sepolti sotto il peso delle informazioni, che vengono confuse con la conoscenza. La
quantità è scambiata con l’abbondanza e la ricchezza con la felicità. Il cane di Leona
Helmsley ha guadagnato 12 milioni di dollari l’anno scorso… e Dean McLaine, un contadino
dell’Ohio, ne ha portati a casa 30.000. E’ una versione colossale della pazzia che germoglia
nei nostri cervelli, senza eccezioni. Siamo scimmie armate e piene di soldi.“(Tom Waits)
“Informazione non è conoscenza,
conoscenza non è saggezza,
saggezza non è verità,
verità non è bellezza,
bellezza non è amore,
amore non è musica.
La musica è la cosa migliore che esista.” (Frank Zappa)
Discussione: L'abilità principale consiste nella comprensione. Il ragionamento ha inizio
nella definizione che può averne una persona comune, ovvero l'insieme dei fenomeni che
comportano il trasferimento di informazioni. Quì c'è da precisare che ciò di cui abbiamo
parlato decade completamente nell'assenza di significato nel momento in cui vengono a
mancare 4 elementi fondamentali: parliamo di emittente, canale, contenuto, ricevente.
Quindi facciamo 4 passi indietro.
Emittente: O di colui che utilizza un canale, per trasmettere un contenuto, indirizzato ad
un ricevente. L'errore comune in cui ci si può imbattere è confonderlo con sé stessi. Ancor
prima di innescare il ragionamento sul chi o cosa debba essere identificata nell'emittente,
bisogna comprendere appieno quale sia, non tanto il messaggio da trasmettere, ma cosa
vogliamo ottenere dal ricevente; quindi facciamo un altro passo indietro.
Cosa vogliamo ottenere: Per quanto ci riguarda, la risposta è senza dubbio nella più
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elevata forma di conoscenza possibile e padronanza del mondo che ci circonda finalizzata
nel miglioramento in tutte le sue forme delle condizioni di vita e la conservazione della
specie alla quale apparteniamo e di ogni altra. Nello specifico del nostro ambito di lavoro,
possiamo semplificare la seconda parte della proposizione precedente in una sola parola:
lo studente.
A questo punto è necessario fare una breve digressione, che ho l'impressione che
sconvolgerà completamente il contenuto potenziale della tesi, ma che di fatto non lo è.
Comunicazione: Dal latino: cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino
communico = mettere in comune, far partecipe; e di come tale definizione assume
un'importanza fondamentale nel ruolo del responsabile della comunicazione. La storia ci
insegna che l'unione fa la forza. Non dimentichiamo il nostro fine, già discusso al paragrafo
"Cosa vogliamo ottenere". Ad uno sviluppo della potenza del canale di comunicazione,
corrisponde uno sviluppo direttamente proporzionale (o esponenziale ndr) della sua
portata, quindi si parla di maggiore potenziale del ricevente, non altro. Il potenziale del
Contenuto, invece, sta solo ed esclusivamente nell'abilità di chi lo crea ed elabora. (il tutto
sempre, e preme sottolinearlo, declinato al punto "Cosa vogliamo ottenere"). Al che,
osservando lo sviluppo delle telecomunicazioni nel tempo, possiamo notare un parallelo
sviluppo della tecnologia, dell'arte in tutte le sue forme e così discorrendo, tagliando corto,
perché ciò che ci deve interessare è il caos collaterale a tutto questo, definito sotto forma
di utilizzo improprio di quella che da questo punto in poi definirò Comunicazione positiva.
Comunicazione positiva, neutra e negativa: Le differenze si possono facilmente dedurre
dalle precedenti analisi. Qualora uno o più individui elaborino del contenuto relativamente
vicino al "Cosa vogliamo ottenere", possiamo parlare di Comunicazione positiva. A ciò,
parliamo di comunicazione neutra nel momento in cui il contenuto è ininfluente e di
comunicazione negativa laddove il contenuto possa recare danno e ostacolare l'obiettivo
precedentemente trattato.
Responsabile della comunicazione: E' compito di tale figura, vigilare, affinché
l'organizzazione alla quale appartiene rispetti quanto più possibile una soglia positiva di
comunicazione.
individuazione di un giusto emittente: quindi discutere di quale debba essere. Nella
maggior parte dei casi l'emittente giusto è l'organizzazione. E' compito del resp. Com.
scoraggiare eventuali individualismi, sia nella scelta dell'emittente che nell'elaborazione del
contenuto, affinché i singoli individui non sfruttino l'organizzazione per scopi personali.
individuazione del canale: il resp. Com. deve avere
padronanza della propria lingua madre e dell'inglese, lingua internazionale;
padronanza della scrittura, da non confondere con il linguaggio parlato, da cui
differisce per ricchezza di sfumature quali tono della voce, espressioni del viso, che
possono stravolgere completamente il significato delle parole;
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padronanza dell'informatica, tenendosi continuamente aggiornato dell'evoluzione
dei principali mezzi comunicativi che s'intersecano in essa, quali programmi di editing
grafico, video e audio, e mezzi di comunicazione via web
elaborazione del contenuto: è compito del resp. Com. vigilare sulla positività del
messaggio e sull'effetto che questo possa avere (associato all'emittente e scalato alla
potenza del canale) al ricevente. L'abilità del responsabile comunicazione sta nel mettere a
sistema quante più persone verso un'idea comune e scoraggiare elaborazioni lontane dal
contesto dell'organizzazione.
padronanza del ricevente: ultimo ma non per importanza, conoscere la persona a
cui ci rivolgiamo ci aiuta nell'elaborazione del messaggio per essa ottimale alla
realizzazione del nostro obiettivo. Quindi, nel constatare che l'attuale dominio dei riceventi
della nostra organizzazione è un italiano medio vittima del degrado culturale causato dal
berlusconismo, dalla sua incontrastata potenza mediatica e dall'abitudine dell'80% della
popolazione di utilizzare principalmente la televisione come canale informativo, ci
rendiamo conto che tali riceventi sono terra arida. E' compito del resp. Com. individuare
quanta più terra fertile possibile e mantenere nel tempo un'adeguata cura affinché essa
fiorisca e contagi positivamente quella adiacente.
CONTRIBUTI DEI COLLETTIVI
PIKUADRO COLLETTIVO INGEGNERIA: Se gli ingegneri si prendono per mano Cos’è PiKuadro? La domanda è apparentemente semplice, ma la risposta è stata, fin dalla
fondazione del Collettivo, motivo di discussione, spunto per riflessioni e, a volte, di dubbi.
Quando il 14 Marzo del 2011 nasceva, PiKuadro Kollettivo Ingegneria si è nutrito
immediatamente dei principi che ancora oggi, nonostante il mutare del tempo, delle
contingenze e degli animi, regolano più o meno ufficialmente il gruppo. La mancanza di
un effettivo verticismo, l’orizzontalità e il rifiuto delle gerarchie sono i presupposti su cui si
basa il collettivo, il cui fine è quello di estendere al mondo degli studenti la propria idea di
partecipazione. Attraverso il dibattito, il confronto, lo studente promuove i propri diritti,
afferma il proprio protagonismo all’interno della società, rompe quella passiva barriera di
ignavia che, molto spesso, rappresentanze poco coinvolgenti contribuiscono a creare,
alimentando disinteresse e disinformazione. La battaglia di PiKuadro è in realtà una piccola
faida contro i mulini dell’indifferenza.
Ma PiKuadro, quindi, deve occuparsi delle banali vertenze, dei problemi di tutti i giorni? La
risposta che con fermezza ci siamo dati è “sì”. Sosteniamo la pratica condivisione di
esperienze e conoscenze tra chi ha maturato competenze e consapevolezze e chi vuole
acquisirne. Soprattutto, ci siamo mossi ponendo come scopo l’autosufficienza dello
studente: su questa linea si trovano infatti tutte le iniziative del collettivo riguardanti gli
aspetti più pratici della vita universitaria, come la creazione di mappe delle aule e degli
studi dei docenti. Prima fra tutte, per successo e riscontro di effettiva utilità, è l’orario delle
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aule libere, al contempo denuncia del bisogno sempre crescente di spazi. Pikuadro ha
lavorato però anche su proposte di più ampio respiro. Tra le più importanti figura la
gestione, purtroppo non burocraticamente ufficiale, dell’aula cad, frutto del nostro
impegno ma soprattutto di una esigenza effettiva e comune alla totalità degli studenti di
Ingegneria. L’aula Cad, le attrezzature e i fondi inutilizzati della Facoltà sono emblema
della paradossale coesistenza tra disponibilità e inaccessibilità agli strumenti, tra esigenza
e rassegnazione. Anche la lettera aperta al Preside sul tema delle Schede di Valutazione,
risoltasi con un positivo riscontro da parte dei rappresentanti del momento, resta ancora
oggi una questione insoluta. Tutto ciò non può far altro che ricordare al Collettivo la
difficile convivenza con le altre realtà presenti in facoltà, di matrice discretamente diversa,
che oggi ricoprono la quasi totalità delle cariche all’interno degli organi di rappresentanza.
Le elezioni svoltesi ai primi di Dicembre hanno visto PiKuadro distinguersi per signorilità e
rispetto nei confronti degli studenti anche e soprattutto nella loro veste di elettori. Questa
piccola vittoria è costata però al collettivo una sconfitta quasi plebiscitaria. Il fallimento ci
ha mostrato con chiarezza che le tematiche per noi prioritarie hanno fatto breccia soltanto
in quella minoranza di persone disposta a fermarsi ad ascoltare, a riflettere insieme. Ma
dar voce alle minoranze non è in fin dei conti il dovere di un sindacato? Il nostro
programma per il futuro ha pertanto lo scopo di informare, sensibilizzare, non creare bensì
risvegliare gli interessi sopiti in ogni studente rassegnato. Uno degli strumenti che
Pikuadro intende utilizzare è l’assemblea. Istituire un appuntamento mensile pubblico ci
sembra il modo più diretto per creare una forma di collettivo aperto e dinamico, un
momento che sarà formativo in primis per noi.
Il primo movente che ci spinge ad andare avanti è il sogno di estrarre finalmente
dall’università quel potenziale luogo fisico e intellettuale in cui desideriamo crescere, non
soltanto sulla carta, ma come uomini.
APES: Assemblea Permanente Studentesca (Lettere e Filosofia)
Il collettivo Assemblea Permanente Studentesca (in sigla APES) nasce dall'esigenza di una
defibrillazione politica e culturale all'interno della facoltà di Lettere e Filosofia, nel tentativo
di dar vita ad una coscienza comune di studenti che, oltre a condividere semplicemente
un'aula durante le ore di lezione, tentino di aprire un confronto di microcosmi singoli al
fine di creare un macrocosmo formativo e informativo partendo da interessi comuni anche
in ottica di crescita e maturazione personale.
Sorto dalle ceneri del Kollettivo Lettere e Filosofia UniSa (Klus), APES si propone di portare
avanti un progetto basato sulla partecipazione attiva, utilizzando perciò la formula
dell'assemblea pubblica e partecipativa dei suoi membri (con cadenza settimanale) come
mezzo di discussione e confronto con la realtà studentesca. L'idea di un collettivo nasce
dal tentativo di ridurre la distanza tra studenti e rappresentanza, al fine di promuovere non
solo la partecipazione da parte della componente studentesca alla vita sociale ed
universitaria, ma anche dall'esigenza di arginare i problemi quotidiani di facoltà.
Ci si pone come obiettivo cardine il cambiamento reale delle condizioni materiali degli
studenti, attraverso vertenze e assemblee di facoltà, banchetti informativi, azioni di
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volantinaggio esplicativo, iniziative sociali e petizioni referendarie.
La realtà disgregante del campus e gli impegni personali fanno si che oltre all'assemblea
settimanale, ci si coordini anche attraverso i social network, grazie ad un gruppo
organizzativo e informativo per i soli membri interni, parallelo ad una campagna
informativa mirata e massiccia atta a pubblicizzare per far conoscere ed allargare la realtà
del collettivo.
All'interno del collettivo non esiste una gerarchia di ruoli definiti, all'occorrenza un
portavoce designato dall'assemblea esporrà il pensiero comune, scaturito dopo dibattiti
interni, in occasione di eventi pubblici o confronti con altre realtà. Questo stesso portavoce
sarà incaricato, qualora sorgesse la necessità, di esprimere l'opinione del collettivo
all'interno dell'assemblea di Link Fisciano.
Inoltre, APES si sostiene attraverso l'autofinanziamento e si basa sulla libera adesione, con
un impegno non vincolato da tessere o iscrizioni, ma che si attiene al solo senso di
responsabilità personale di ogni militante, anzi, lo scarso incremento di volti nuovi e di
interesse esterno, deve essere visto come uno stimolo ad un maggiore impegno da parte
dei militanti con più esperienza pregressa.
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