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Pievi
Storia, funzioni religiose e sociali, tipologie architettoniche ed
ipotesi d’impatto emotivo.
dott. Lorenzo Michelini
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Indice
1 Origini del Cristianesimo e impero romano .................................................................2
2 Origine delle Chiese battesimali IV - VII secolo ...........................................................4
3 Longobardi e Chiesa: storia .............................................................................................9
4 Rapporto tra Chiesa e Longobardi ...............................................................................11
5 Gregorio Magno e la superiorità delle chiesa battesimali.........................................13
6 Nascita di una rete di chiese battesimali che da origine alle pievi (tra VII e VIII secolo) ...............................................................................................................................14
7 Carlo Magno e l’autorità civile delle pievi VIII - IX secolo .......................................16
8 Ricostruzione del XI - XII secolo ...................................................................................21
9 Il sorgere delle parrocchie e l'inizio del declino del sistema organizzativo "per
pievi" .................................................................................................................................26
10 Componenti architettoniche ......................................................................................29
11 Conclusioni ..................................................................................................................47
2
1 Origini del Cristianesimo e Impero Romano
La struttura organizzativa per pievi, e quindi le pievi stesse, nascono e si formano tra la
fine del VII secolo e gl’inizi del VIII secolo, tuttavia è doveroso fare un passo indietro per
poter comprendere come le pievi possano essere divenute il centro della vita religiosa e
civile nel territorio rurale.
Inizialmente il cristianesimo non aveva un’organizzazione complessa, ma era affidato
all’azione degli apostoli itineranti; già nel corso del I secolo le prime comunità cristiane si
dettero un tipo di organizzazione gerarchica formata da presbiteri (anziani), vescovi,
(sorveglianti) e diaconi (assistenti) che si occupavano dell’assistenza ai poveri e della
gestione dei beni della comunità. Fu Paolo di Tarso che portò il cristianesimo nell’impero
romano, la sua predicazione si svolgeva per città, perché l’impero romano era concepito
per città, fu per questo che nelle campagne la popolazione rimase legata ai culti religiosi
pagani (i cristiani chiamavano pagani i “non cristiani”, proprio perché il pagus era il
territorio rurale dell’impero dove inizialmente non trovò diffusione il cristianesimo).
L’impero romano comincia a far sentire i primi scricchiolii del futuro cedimento: prima
viene diviso in oriente e occidente con due capitali distinte, poi l’oriente prede le redini di
tutto l’impero e Costantino ne è alla guida. I predecessori di Costantino spesso ritennero i
cristiani un elemento di disturbo all’interno dell’impero, una causa di debolezza e di
disgregazione, tanto che per un certo periodo i cristiani subirono delle persecuzioni,
Costantino invece capì le potenzialità del cristianesimo e ne approfittò per dare stabilità
all’impero; ormai erano finiti i tempi in cui il solo fatto di sentirsi romano era un motivo
per accomunare un intero impero, ormai nelle file dell’esercito romano i mercenari barbari
erano la quasi totalità, la corruzione delle amministrazioni aveva raggiunto livelli critici,
anche Roma non era più la capitale dell’Impero, ormai il mito dell’Impero stava svanendo,
ecco che serviva un nuovo cemento per una popolazione così vasta. Costantino nel 313
emanò l’editto di Milano con cui si concedeva libertà di culto ai cristiani.
Col tempo i Vescovi delle città romane finirono per essere scelti tra i personaggi che
avevano autorità civile, proprio grazie alle loro qualità organizzative ed al loro carisma; è
qui che si ha il germe di una prima fusione tra potere civile ed ecclesiastico. In questo
3
periodo personaggi dell’amministrazione romana erano anche vescovi, è facile
comprendere che il potere dei primi vescovi ricalcasse quello delle autorità civili, quindi le
prime diocesi erano già organizzate per confini territoriali, e i confini delle diocesi non
potevano che riprodurre le ripartizioni cittadine, o comunque fondarsi sullo stesso
principio. Sin dai primi anni c’è una comunanza d’origine tra gli amministratori
ecclesiastici e quelli civili.
Nel 330 Costantino fonda la nuova capitale di tutto l’impero romano, Costantinopoli, dove
vengono concentrati tutti i poteri dell’impero romano. La chiesa, nel momento in cui
ottenne la libertà e i mezzi per poter crescere, non aveva ancora una struttura ben definita
che gli permettesse un organizzazione efficiente, così s’ispirò ai quadri amministrativi
dell’Impero; nel IV secolo la Chiesa comincia a muovere i primi passi a fianco dell’impero
romano, ma al volgere del V secolo l’impero romano d’occidente si sfalda definitivamente
sotto la guida di tribù barbariche; la chiesa perde il suo prezioso alleato ed costretta a
cercarsi un nuovo protettore: l’impero d’oriente, le ultime vestigia dell’impero romano. In
Italia tutta l’organizzazione e l’esperienza di gestione del territorio accumulati da secoli
dall’impero romano, vengono perse nel giro di poche generazioni: le città, che erano il
centro della vita e dell’organizzazione dell’impero, perdono la loro funzione, e parte della
popolazione si riversa nelle campagne, dove è possibile vivere con un grado di
organizzazione molto minore; la Chiesa così, almeno in occidente, rimane l’unico
riferimento per la popolazione.
4
2 Origine delle Chiese battesimali IV - VII secolo
All’origine del sistema organizzativo “per pievi” c’è una rete di chiese battesimali già
presente sul territorio rurale. Le prime chiese battesimali sorsero con la legittimazione
della religione cristiana da parte di Costantino nel IV secolo; la chiesa battesimale era
l’elemento fondamentale della “nuova” religione ed è ovvio che esse sorsero nei principali
centri per permettere il primo rito del Cristiano, tuttavia vi sono pareri contrastanti sul
come e sul quando le chiese battesimali si siano formate nel territorio rurale. Come già
detto, il cristianesimo inizialmente si diffuse per città, perché per città era concepito
l’impero romano, ma le chiese battesimali che in seguito daranno origine alla struttura per
pievi sono quelle che coprono il territorio rurale, ed è quindi su queste ultime che ci
concentreremo.
Secondo gli studi condotti dal Violante1 queste si sarebbero formate attorno al V secolo:
“2.2.1. In una sua lettera (fram. 19) a certi vescovi (non sappiamo né quali né quanti
fossero) il Papa Gelasio I, a proposito di dispute sorte circa la consacrazione di un oratorio
appena costruito, affrontò il problema del criterio con cui dovessero essere individuati i
confini diocesani. […] Gelasio negò che gli oratori di nuova costruzione dovessero essere
pregiudizialmente inseriti nel quadro dell’antica ripartizione territoriale tra le diocesi […]
2.2.2.
[…]
Dunque Gelasio I, che per le diocesi si era vivamente preoccupato di mantenere stabile il
popolo dei fedeli, voleva che invece per le chiese battesimali fosse lasciata libertà di scelta
e quindi consentita una certa mobilità. Probabilmente, una volta stabilita come cardine
delle strutture organizzative ecclesiastiche la diocesi, egli voleva che all’interno di questa
ci fosse una libertà di movimento che agevolasse la conversione di un popolo non ancora
del tutto cristiano.
Se alla fine del V secolo le chiese battesimali non avevano ancora -generalmente- un
proprio popolo di fedeli fisso, si può ritenere che esse fossero -allora- di costruzione
abbastanza recente e non avessero completato il proprio sviluppo istituzionale.”
1 Cinzio Violante “Le strutture organizzative della cura d’anime nella campagne dell’Italia centro settentrionale (secoli V - X)”
5
Dunque, per quanto riguarda la nascita della prima rete di chiese battesimali, Violante
conclude che, se alla data della lettera di Papa Gelasio le chiese battesimali non avevano
ancora una popolazione fissa di fedeli, esse dovevano essere di recente costruzione e
quindi collocabili attorno al V secolo. Sembra quindi che sia trascorso circa un secolo dalla
legittimazione di Costantino prima che la diffusione del Cristianesimo cominciasse ad
interessare anche il territorio rurale.
Secondo gli studi del Sacerdote Luigi Nanni, che si basano sull’analisi dei documenti
conservati presso la Diocesi di Lucca, il sistema organizzativo per pievi avrebbe origine
romana: “Circa il tempo della V loro fondazione non possiamo affermare niente di preciso.
Di nessuna pieve abbiamo la carta di dotazione od altre notizie che c'informino riguardo
alla sua origine. Nel sec. VIII — epoca nella quale ha inizio la serie delle nostre carte — le
troviamo già esistenti. Per la pieve di S. Pietro di Neure conserviamo un prezioso
documento del febbraio 716. E' un giudicato di Ulziano notaro, delegato dal re Liutprando,
per una questione vertente fra il vescovo di Lucca (Talesperiano) e quello di Pistoia
(Giovanni), circa il possesso delle due chiese di S. Andrea — dov'era il battistero — e di S.
Gerusalemme, situate nel territorio Pistoiese. II giudice si pronunzio in favore del vescovo
di Lucca, perché — secondo la testimonianza giurata del avvocato lucchese — «ipsas
aeglesias S. Andree cum baptisterio suo et S. Hierusalem, a tempore Romanorum vel usque
et modo semper sub iura aeglesie S. Petri fuerunt », cioè della pieve di Neure.
Quell'inciso «a tempore Romanorum» — trovandosi in una testimonianza giudiziaria, nè
essendo stato smentito, per quanto apparisce, da nessuno — non può certamente esser
destituito del suo valore. Riterremo, quindi, che — almeno questa pieve — risalisse all'età
romana. Ora — se non si vuole ammettere l'assurda ipotesi che in quel tempo sia stata
fondata soltanto quella pieve — bisognerà convenire che anche altre pievi siano, press'a
poco, coeve e che — per conseguenza — tutta 1'organizzazione plebanale della diocesi
risalga all'età romana. […] Se nei secoli IV e V avvenne la grande diffusione del
Cristianesimo nelle campagne, non è supponibile che — almeno per i fedeli più lontani
dalla città — non siasi provveduto in modo stabile e conveniente. Il sec. V, se non anche la
seconda metà del IV, fu quello che — a nostro parere — vide sorgere le pievi lucchesi.”2
2 Sac. L.Nanni “La Parrocchia studiata nei documenti lucchesi dei secoli VIII-XIII”
6
Dunque i documenti lucchesi sostengono chiaramente l’esistenza di chiese battesimali sin
“a tempore Romanorum”; il Nanni inoltre sostiene che, senza dubbio, le pievi -di cui
abbiamo una delle prime esplicite affermazioni solo nel 746- esistessero già dal IV secolo,
identificandole con quelle che prima del 746 erano nominate semplicemente chiesa
battesimale; sebbene si possa riscontrare una corrispondenza diretta tra gli edifici
nominati, prima chiesa battesimale e in seguito pievi, tuttavia non è possibile stabilire se
tali chiese battesimali avessero già fin dall’origine la struttura organizzativa delle pievi.
Sono queste le motivazioni che m’inducono a sottolineare prudentemente la distinzione
tra la rete di chiese battesimali e il sistema organizzativo per pievi.
Tale ragionevole dubbio si riflette anche sul principio di territorialità delle pievi e quindi
sulla loro capacità di riscuotere le decime: mentre sappiamo con certezza che le pievi
riscuotono le decime e che da un certo momento hanno un territorio limitato da confini,
poco, possiamo affermare, riguardo alle precedenti chiese battesimali.
In tale contesto alcuni studiosi -tra cui il Nanni- ipotizzano che le pievi fossero una
struttura amministrativa derivata direttamente dall’impero romano e che da esso avesse
assorbito -grosso modo- la territorialità dei pagi e dei vici, e che da sempre, fosse stata
preposta alla riscossione delle decime; altri -tra cui Violante- fanno riferimento solo alla
presenza di una rete di chiese battesimali già presente dal V secolo; riportiamo di seguito
un brano tratto dal testo del Nanni:
“Abbiamo detto che la pieve e una frazione della diocesi, a scopo amministrativo. Le
circoscrizioni ecclesiastiche nell'età romana furono modellate su quelle amministrative
civili. Noi sappiamo che, nell'antichità romana, il vasto territorio rurale che si estendeva
oltre il suburbio delle città, dalle quali dipendeva, era diviso in un determinato numero di
«pagi», ognuno dei quali comprendeva diversi «vici». Ed ogni «pago» aveva i suoi speciali
magistrati, soggetti ai magistrati della città. Ora è verosimile che le pievi originarie
corrispondessero — press'a poco — agli antichi «pagi» e che, a suo tempo, nel «vico» più
comodo (oppure più importante) di ogni pago, forse dove aveva residenza il magistrato
civile, si edificasse una chiesa, alla quale potessero facilmente convenire i fedeli dei « vici »
circostanti ". Così — probabilmente — sorsero le pievi, cominciando dalle regioni più
lontane dalle città. […] Ad ogni pieve apparteneva dunque un certo numero di località
circostanti (vici), e gli abitanti di esse pagavano la decima al rettore della pieve.
Caratteristica e molto istruttiva — a questo proposito — è una carta dell'ottobre 892 […] Si
7
procedette allora all’esame dei testimoni. Uno di essi (Altiprando) affermò che gli abitanti
di quei luoghi in questione, da 40 anni erano soliti dare le offerte e le decime alla chiesa di
ariano.”3
Il Nanni prosegue affermando che tale documento -risalente al 892- è il più antico che
testimoni l’appartenenza dei vici alla pieve e, come si può osservare dal documento-
almeno dalla metà del IX secolo i vici corrispondevano regolarmente le decime alla loro
pieve.
Le ricerche condotte da Pierotti sulle chiese nella Valdiserchio4 ci servono per
comprendere la logica insediativa delle pievi: “l’ubicazione [delle pievi], come del resto
quella delle chiese non battesimali, […] seguiva criteri assai diversi da quelli di un corretto
rapporto con le popolazioni residenti. […] il tipico insediamento romano nelle campagne
era la villa rustica, ossia la fattoria isolata legata direttamente al fondo e ai terreni di
proprietà, abitata unicamente dalla «familia». La logica insediativi e sociale dei monasteri,
delle chiese, delle pievi in età altomedievale è la vera erede del sistema rurale romano,
anch’essa dettata dai legami con la proprietà fondiaria e con le esigenze della sua gestione.
Nei confronti dell’insediamento per villaggi (cioè per comunità aggregate e organizzate)
tale logica si pone in rapporto di antitesi, se non di autentico conflitto. Nel periodo di cui ci
occupiamo la vera comunità ecclesiale è quella che risiede nella chiesa o nel monastero e
che coltiva i terreni di proprietà, non la popolazione di un ipotetica circoscrizione plebana
o parrocchiale della quale, almeno fino al secolo X, non troviamo assolutamente traccia.”
Dunque, le prime chiese battesimali che sorsero sul territorio rurale non seguirono la
logica insediativi per centri abitati, ma sorsero isolate come le aziende agricole romane, le
villae, rimanendo profondamente legate alla proprietà fondiaria e alle relative esigenze di
gestione agricola.
Sebbene la casistica della collocazione delle pievi sia molto varia, credo che la disposizione
sul territorio delle prime chiese battesimali si fosse basata appunto sulla semplice logica:
collocare la chiesa battesimale nel punto mediamente più vicino al maggior numero di
fedeli compatibilmente con le condizioni geografiche; questo criterio spiegherebbe
appunto perché molte chiese battesimali sorsero isolate nelle campagne, lontane anche dai 3 Cfr. nota 2 4 Pierotti, “ Chiese private, pievi territorio nella Valdiserchio (secoli VIII -XI)” in “Romanico padano Romanico europeo” Università degli studi di Parma, Istituto di storia dell’arte, centro di studi Medioevali.
8
piccoli insediamenti che potevano esserci nelle vicinanze. Osservando la piccola
percentuale delle pievi che sono arrivate ai nostri giorni si può notare che esse sorgessero
principalmente lungo le principali arterie viarie e fluviali (che, come fa notare Pierotti, non
sempre coincidono con quelle attuali), in modo da trovarsi su un percorso raggiungibile
da tutta la popolazione dei fedeli di quella pieve. Tuttavia oggi possiamo osservare che
molte pievi sorgono anche all’interno di centri abitati e che addirittura alcuni di essi
riportano il toponimo “Pieve”; in questi casi la pieve -che inizialmente era isolata- riuscì ad
attirare attorno a sé una popolazione di fedeli tale da giustificare la nascita di un centro
abitato che nel corso degli anni si è evoluto (nel caso di Prato, sino a diventare provincia,
la cui attuale Cattedrale era in origine una pieve). La ragione per cui alcune pievi dettero
origine ad un centro abitato è legata alle funzioni civili e amministrativi che esse
ricoprirono in seguito e di cui tratteremo più avanti.
Ricapitolando, subito dopo l’approvazione del cristianesimo da parte di Costantino
comincia l’edificazione di chiese nel territorio rurale, sta nascendo una prima rete - e per
ora, ancora a maglie larghe- di chiese, che noi prudentemente continueremo a chiamare
battesimali, destinate a coprire il territorio rurale: queste chiese sono le antenate delle
pievi. A causa della mancanza di una documentazione, è tuttora impossibile stabilire con
certezza se le prime chiese battesimali sorte sul territorio rurale fossero già organizzate
come le future pievi o se inizialmente ricoprissero solamente una funzione religiosa.
Alcuni resti sperduti nelle campagne testimoniano che le prime chiese rurali furono
costruite all’interno di edifici romani dimessi; una significativa testimonianza di quanto
affermato ci è offerta dalla Pieve vecchia di Campagnatico, nella diocesi di Grosseto.
Questa chiesa, attualmente adibita a fienile, è stata ricavata adattando i resti di una
costruzione romana -probabilmente una cisterna- che ancora mostra l’interna struttura dei
muri, realizzati in tenace calcestruzzo, esternamente rivestiti in laterizi e in pietra, con
alcuni inserti decorativi ad “opus reticulatum”.
Alla fine del V secolo Papa Gelasio I, dispone che, d’ora in poi, avrebbe fatto fede la chiesa
battesimale in cui si è ricevuto il battesimo, per stabilire l’appartenenza di un fedele ad
una chiesa: il legame con la chiesa battesimale è già più forte che il legame con il territorio.
È in virtù di questo legame che in seguito le pievi riusciranno a sviluppare la loro raffinata
struttura e la loro grande importanza religiosa e civile.
9
3 Longobardi e Chiesa: storia
Tra VI e VII secolo la popolazione italica subì un calo demografico impressionante dovuto
alla guerra greco gotica (535 553), alle epidemie, carestie e infine all’invasione dei
Longobardi; in questi anni la chiesa si appoggia all’Impero di Bisanzio, che in Italia ha la
sua rappresentanza a Ravenna; ben presto tuttavia il legame tra Chiesa e Impero d’Oriente
si rompe: la lontananza di Costantinopoli non permette una protezione sufficiente alla
Chiesa, inoltre i dogmi della corte di Costantinopoli si discostano sempre più da quelli
della chiesa d’Occidente. Il peggior colpo per la popolazioni italiche arrivò nel 568 con
l’invasione della popolazione barbarica dei Longobardi. Le precedenti invasioni erano
state compiute da popolazioni che erano già da tempo nell’orbita dell’impero romano e
quindi avevano già assimilato una certa romanitas, con i Longobardi invece era tutta
un’altra cosa, essi non erano mai venuti in contatto con l’impero e al loro arrivo l’impatto
sulla popolazione fu devastante: i proprietari terrieri furono uccisi e gli invasori
s’impossessarono dei loro beni, molte sedi vescovili rimasero vacanti perché i vescovi
furono uccisi o fuggirono, le città che un tempo erano il perno dell’impero, adesso si
svuotano perché la vita in città richiede un grado di organizzazione troppo elevato per le
condizioni attuali: la popolazione superstite in gran parte si riversa nelle campagne. In
questo contesto, anche l’organizzazione ecclesiastica – che ancora non era arrivata a
coprire integralmente il territorio rurale- subisce un duro colpo, tuttavia ha la capacità di
riprendersi e addirittura di trarne vantaggio.
Coma abbiamo visto i Longobardi arrivano in Italia nel 568 come invasori, s’impossessano
delle proprietà terriere e dominano il territorio in modo non unitario, ma affidato alla
iniziativa dei vari capi delle Fare, proprio come ci si aspetterebbe da una popolazione di
nomadi guerrieri; tuttavia con il tempo le varie Fare si stabilizzano sui territori occupati, e
cominciano lentamente a divenire una popolazione stanziale; adesso – a loro volta – hanno
la necessità di difendere i propri territori e di definire chiaramente le proprietà, così
finirono per rivolgersi anche loro verso il modello romano, con conseguente rafforzamento
del ruolo del re, che a sua volta comportò la ricerca dell’appoggio dell’episcopato cattolico
e quindi del consenso della popolazione romana. In risposta a queste nuove esigenze
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comincia una lenta trasformazione all’interno della società longobarda che porta ad un
maggiore unità , ad un maggiore potere del re, e un avvicinamento al modello romano.
Re Autari nel 584 dette inizio a questo processo con il rafforzamento del proprio potere,
facendosi consegnare da tutti i duchi Longobardi metà delle loro terre per fornire alla
monarchia i mezzi necessari per il proprio funzionamento. Successore di Autari fu
Agilulfo (590 616) che per la prima volta si pose in termini non conflittuali con la Chiesa
cattolica (in origine i Longobardi erano pagani, poi furono convertiti all’Arianesimo, anche
se mantennero molti riti pagani). Papa Gregorio Magno (590 604) portò avanti il progetto
di conversione dei Longobardi al Cattolicesimo accordandosi con il nuovo re longobardo
Agilulfo e soprattutto con la moglie Teodolinda che fece battezzare il proprio figlio e erede
al trono Adoloaldo secondo il rito cattolico. La conversione dei Longobardi non fu totale,
anzi per tutto il VII secolo si alternarono re cattolici e ariani, però Gregorio Magno riuscì a
gettare le basi per il futuro: dagli inizi del VII secolo in Tuscia e in Longobardia iniziò una
progressiva opera di conversione dei Longobardi ad opera dei monaci orientali, che sarà
conclusa con la totale conversione della popolazione longobarda avvenuta sotto il re
Liutprando (712 - 744).
Il culmine dell’alleanza tra Longobardi e Chiesa avvenne nel 728: Liutprando aveva
progettato di completare la conquista dell’Italia e quindi di conquistare anche i territori
che erano rimasti sotto la protezione dei bizantini (l’esarcato di Ravenna, la Pentapoli e i
territori circostanti Roma). Nel 728 Liutprando conquista alcuni territori della Chiesa, ma
Papa Gregorio II viene a patti con Liutprando ottenendo la restituzione dei territori
appena conquistati; di fatto, in questo periodo, la Chiesa di Roma non aveva autonomia
politica sui propri territori, possedeva moltissimi territori e di sicuro vi esercitava il
proprio potere, ma ufficialmente non aveva un controllo politico sui di essi, anzi, di fatto i
territori della Chiesa erano proprietà dell’Impero Bizantino. Liutprando però non
restituisce i territori conquistati a Bisanzio, ma ai “Santissimi apostoli Pietro e Paolo”
dando di fatto inizio al potere temporale della Chiesa di Roma. Da adesso la Chiesa di
Roma aveva ufficialmente dei propri territori sui cui esercitava un potere politico, nasce
quindi lo Stato della Chiesa.
L’alleanza tra stato della Chiesa e Longobardi non durerà molto: già alla metà del secolo lo
Stato della Chiesa chiederà aiuto ai Franchi contro i tentativi d’invasione dei Longobardi e
nel 774 Carlo Magno avrà conquistato tutti i territori longobardi.
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4 Rapporto tra Chiesa e Longobardi
Come abbiamo visto, già prima dell’arrivo dei Longobardi in Italia, era presente una rete,
seppur molto rada, di chiese battesimali sul territorio rurale. Fattore determinante per la
nascita della struttura organizzativa per pievi fu la realizzazione una rete capillare di
chiese battesimali che copriva tutto il territorio rurale; “Ma agli inizi del secolo VII nella
stessa ‘Tuscia’ e nella ‘Langobardia’ fu intrapresa […] un intensa opera di conversione dei
Longobardi […] e delle rimanenti popolazioni rurali non ancora del tutto cristianizzate
[…] in seguito a quest’opera di conversione, […] nel periodo tra la fine del secolo VII e il
principio dell’VIII, proprio nelle diocesi della Tuscia, le chiese battesimali erano diventate
ormai più numerose, fino a costituire in alcune zone già quasi una rete”5. Tale impresa fu il
prodotto di diverse situazioni politiche, ma soprattutto fu il mezzo che consentì la
conversione dei Longobardi in Italia. Cerchiamo di capire le ragioni che portarono alla
conversione dei Longobardi.
Con l’arrivo dei Longobardi molti beni appartenenti alle diocesi vengono “incamerati”
dagli invasori e, per un certo periodo, alcune diocesi cadono in uno stato di abbandono
dovuto alla violenza della nuova popolazione. Inizialmente dunque l’impatto con i
Longobardi è traumatico per la popolazione italica e per le strutture ecclesiastiche;
tuttavia, in un secondo momento, i Longobardi, da guerrieri nomadi cominciano a
divenire sedentari e a cercare di proteggere i territori recentemente razziati. Gli invasori
adesso hanno bisogno di rendere ufficiali i titoli di possesso dei loro territori, e per farlo
necessitano dell’appoggio della Chiesa; da sottolineare che i Longobardi essendo
essenzialmente una popolazione nomade, non avevano mai avuto l’esigenza di sviluppare
un sistema complesso per la gestione del territorio, la Chiesa invece -grazie
all’organizzazione ereditata dall’impero romano e alla scrittura - era l’unica che avesse
mantenuto -durante più di due secoli e mezzo di invasioni barbariche- la capacità di
gestire ampi territori. Contemporaneamente la Chiesa ha perso il prezioso appoggio
politico dell’impero romano e non ha i mezzi per riuscire a proteggere i propri
possedimenti, ha quindi bisogno di una forza militare che protegga i suoi interessi. Le due
5 Violante, Ricerche sulle istituzioni ecclesiastiche dell’Italia centro-settentrionale nel Medioevo.
12
parti trovano un compromesso: la chiesa offre l’assistenza necessaria ai Longobardi per
garantire l’ufficialità dei loro possedimenti e i Longobardi proteggono i beni della Chiesa.
È utile vedere nel dettaglio come si svolsero i fatti. I Longobardi si convertono al
Cristianesimo, e, i principali membri della nobiltà entrano a far parte della gerarchia
ecclesiastica, raggiungendone i vertici; a questo punto donano i loro possedimenti alla
Chiesa essendo ormai loro stessi parte della Chiesa. I possedimenti che un tempo erano
“illeciti” vengono ufficializzati con la donazione alla Chiesa, ma di fatto continuano ad
essere amministrati in modo personale dall’aristocrazia longobarda, che adesso è anche ai
vertici dell’amministrazione ecclesiastica; altro elemento determinante è che l’aristocrazia
longobarda adesso può usufruire di una struttura adeguata all’amministrazione di ampi
territori. La Chiesa, dal canto suo, ottiene la protezione dei beni ecclesiastici, e rientra in
possesso -anche se puramente formale- dei beni che le furono sottratti durante l’invasione,
ma quello che è veramente importante è che la Chiesa ottiene la conversione dell’intera
popolazione longobarda.
A conferma delle precedenti affermazioni riportiamo di seguito un brano tratto da un testo
di Nanni, che si basa sull’analisi dei documenti conservati presso la Diocesi di Lucca: “Con
un attento esame delle carte arcivescovili del sec. VIII, non è difficile pervenire alle
seguenti constatazioni: a) la cultura, in quel secolo, era ridotta al minimo grado; b) i
longobardi erano in possesso di numerosi beni (evidentemente non in conseguenza di
legittimo acquisto, ma di rapine e di stragi); c) il clero stesso era, in gran parte, di
nazionalità longobarda (ciò apparisce chiaramente dall’onomastica); d) tutti i vescovi di
quel secolo furono longobardi.”6
È in questo contesto storico -tra la fine del VII e l'inizi dell'VIII secolo- che s’inserisce la
realizzazione di una capillare rete di chiese battesimali destinata a coprire tutto il territorio
rurale finalizzata alla conversione dei Longobardi.
6 Cfr. nota 2.
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5 Gregorio Magno e la superiorità delle chiesa battesimali
Ai tempi di Gregorio Magno (590 604) le chiese battesimali appaiono già distinte dai
semplici oratori – in cui non era consentito svolgere la Messa pubblica, seppellire i morti e
ovviamente battezzare -tuttavia non vi è ancora nessun riferimento all’autorità
giurisdizionale delle pievi: la struttura delle istituzioni pievane non era ancora completata.
L'importanza delle prime chiese battesimali è testimoniata anche da documenti di
Gregorio Magno: sebbene nel territorio rurale ci fosse carenza di fonti battesimali, il papa
non consentì che venissero costruiti fonti battesimali privati, mentre invece era concessa la
costruzione di oratori privati e chiese; evidentemente le chiese battesimali avevano già una
funzione determinante e il papa voleva mantenere la prerogativa della gestione delle
chiese battesimali. Quindi, già ai tempi di Gregorio Magno, le Chiese battesimali hanno un
ruolo di rilievo rispetto alle altre strutture ecclesiastiche del contado.
14
6 Nascita di una rete di chiese battesimali che da origine alle pievi (tra VII e VIII secolo)
Tra la fine del VII e l'inizi dell'VIII -quindi in pieno regno longobardo-, in Tuscia sorsero
numerose chiese battesimali sino a formare una rete che copriva buona parte del territorio.
La presenza sistematica delle chiese battesimali sul territorio rurale agevolò - secondo
Violante- la fissazione del popolo dei fedeli pertinente a ciascuna chiesa battesimale e
pertanto la determinazione e il riconoscimento del relativo territorio. È proprio in questo
periodo, alla fine del VII che appare per la prima volta in ambito popolare in Tuscia il
termine “plebs”, nelle accezioni che indicano la chiesa battesimale e il suo territorio. Da ora
finalmente troviamo nelle fonti chiara ed esplicita testimonianza della chiesa battesimale e
del suo popolo di fedeli e sopratutto del suo territorio. Il termine Plebs nelle sue nuove
accezioni di pieve (chiesa battesimale) e di piviere, non viene ancora usato come un
termine tecnico nei documenti ufficiali, poi cominciò ad essere definito "plebs" cioè il
piviere, contemporaneamente anche la chiesa stessa, che era fornita del fonte battesimale
ed era preposta alla cura delle anime di quel territorio, cominciò ad essere chiamata "plebs"
cioè pieve. Ufficialmente il termine "Plebs" verrà usato per la prima volta solo nel 813 -
quindi sotto il regno carolingio- per indicare la pieve e ancora nell’ 813 per indicare il
piviere, tuttavia nei contratti tra privati lo troviamo usato, nelle carte della Diocesi di
Lucca almeno già dal 746.
Dal VIII secolo risulta che gli oratori erano sottoposti all'autorità della chiesa battesimale,
ciò conferma che in questo periodo la struttura delle chiese battesimali era già efficiente e
le chiese battesimali avevano già un ruolo di rilievo nell'organizzazione ecclesiastica
rurale.
In conclusione, i dati certi sono che successivamente all’approvazione del Cristianesimo da
parte di Costantino abbiamo tracce delle primissime chiese battesimali sul territorio rurale;
in seguito, tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII secolo -quindi in periodo longobardo-, si
sviluppa una rete di chiese battesimali. È solo tra la seconda metà dell’VIII e gli inizi del IX
secolo che comincia a comparire (con una certa frequenza) nei documenti il termine “plebs”
e le prime testimonianze dell’organizzazione della cura d’anime per pievi.
15
Sebbene le pievi siano ben documentate dall’inizio del regno carolingio, tuttavia, a causa
della mancanza di documentazioni certe, non è possibile stabilire con certezza se le pievi
con il loro sistema organizzativo abbiamo origine direttamente sotto l’impero romano,
oppure se esse sorsero come chiese battesimali ed in seguito assunsero la tipica
organizzazione per pievi, e in questo caso non è neanche possibili stabilire con esattezza
quando avvenne questa ipotetica “trasformazione” delle chiese battesimali in pievi.
16
7 Carlo Magno e l’autorità civile delle pievi VIII - IX secolo
L'impero carolingio sicuramente seppe sfruttare la capillare diffusione sul territorio e
l'intrinseca capacità di aggregazione delle chiese battesimali di campagna e le utilizzò
come uno strumento per governare; le pievi dunque erano anche un ottimo strumento
amministrativo capace di raggiungere le più remote aree rurali, ma ciò che le rese così
necessarie alla politica imperiale fu la loro capacità di diffondere capillarmente il
Cristianesimo che era in perfetta armonia -almeno per ora- con la politica imperiale; fu
quindi totale interesse dell'impero che le pievi fossero dotate di ottimi sacerdoti capaci di
trasmettere la vera dottrina, quella ufficiale. Fu solamente in un secondo momento che le
pievi furono date a livello a rettori laici o comunque esponenti della nobiltà feudale.
Con Carlo Magno si ebbe una stretta collaborazione tra regno e Chiesa: agli ecclesiastici
venivano conferiti incarichi di natura politica e il compito di fare da contrappeso al potere
dei conti, mentre i funzionari pubblici venivano incaricati di assistere l’operato dei vescovi
nell’espletamento delle loro funzioni religiose. La corte imperiale era composta
dall’Imperatore, e da tre alti funzionari: l’arcicappellano, preposto a tutti gli affari di
natura ecclesiastica; il cancelliere, anch’egli un ecclesiastico, che aveva la funzione di
redigere lettere e diplomi (nell’alto medioevo gran parte delle persone che sapevano
scrivere erano ecclesiastici); il conte o i conti palatini che erano i responsabili
dell’amministrazione della giustizia. Carlo dedicò non pochi capitolari al funzionamento
delle istituzioni religiose e alla riforma dei monasteri, di fatto proseguì l’opera di
restaurazione ecclesiastica intrapresa al tempo di Pipino il Breve; lo scopo della riforma
era quello di garantire un corretto funzionamento delle istituzioni ecclesiastiche che a loro
volta avrebbero assicurato l’inquadramento della popolazione contribuendo a dare
stabilità all’Impero carolingio. Alla conquista dell’Italia Carlo fece seguire l’opera dei
missionari e l’introduzione dei modelli organizzativi della chiesa franca, articolata in
province, diocesi e pievi: le prime erano rette da arcivescovi e comprendevano un certo
numero di diocesi che a loro volta erano divise per pievi. In questo periodo gli ecclesiastici
di corte venivano elaborando un modello di Impero coincidente con la comunità cristiana
e retto in piena unità di intenti dall’imperatore e dal papa, sulla base dei principi enunciati
17
da Papa Gelasio I. È in questo contesto che ha ufficialmente inizio il sistema organizzativo
per pievi, e da adesso esse ricoprono ufficialmente anche funzioni civili ed amministrative
e la loro funzione è garantita dall’autorità imperiale; vale la pena sottolineare che questo
indice temporale è riferito all’inizio “ufficiale” del sistema organizzativo per pievi, cioè da
questo momento troviamo costanti notizie delle pievi anche nei testi legislativi emanati
dall’autorità imperiale; d’altra parte va ricordato che il termine “plebs” lo troviamo usato
per la prima volta (e con una frequenza assolutamente rarefatta), almeno dal 746, e quindi
prima della conquista di Carlo Magno dei territori italiani.
Di fatto si ebbe un alleanza tra Stato della Chiesa e regno carolingio, la chiesa avrebbe
avuto un nuovo protettore e il regno carolingio, un indispensabile collaborazione che
avrebbe unito la popolazione sotto la guida di Carlo Magno; l’incoronazione ad
Imperatore del Sacro Romano Impero di Carlo Magno rende ufficiale questa alleanza tra
Impero e Chiesa.
Con la conquista carolingia del regno iniziò in Italia centro settentrionale un intensa
attività normativa civile ed ecclesiastica che si occupava delle strutture organizzative della
cura d'anime per pievi e pivieri; da questi capitolari risulta come ormai l'autorità civile si
occupasse anche delle questioni ecclesiastiche: le autorità regie imponevano il rispetto
delle disposizioni ecclesiastiche per mezzo di pubblici ufficiali regi, le pievi vennero
considerate sempre più come i cardini non solo dell'ordinamento ecclesiastico, ma anche
di quello civile.
Vengono emanate norme che disciplinano gli obblighi dei vescovi nei confronti delle pievi:
essi dovevano nominare rettore di una chiesa un prete -che poi prenderà il nome di
arciprete- di illustri capacità che poteva reggere una sola pieve; i vescovi non dovevano
eleggere i preti rettori delle pievi con simonia, ma con il consenso del popolo, non
dovevano sottrarre i beni della pieve ne esigere dai rettori le offerte della pieve. L’arciprete
doveva essere eletto dai preti della diocesi e con il consenso del popolo e possibilmente
scelto tra i preti della diocesi, il vescovo non avrebbe potuto rimuoverlo a meno che in
caso di delitto o di inadempienza. L’arciprete doveva avere ampi poteri sul proprio piviere
-inferiori solo a quelli del vescovo- e, ad esso, dovevano essere sottoposti tutti gli oratori
del piviere; inoltre veniva fatta pena ai vescovi che non avessero nominato
tempestivamente un rettore stabile delle loro pievi (i vescovi tendevano a non eleggere un
arciprete perché preferivano tenersi direttamente quella carica). Nel 832 Lotario I inviò i
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propri “missi” affinché controllassero che i vescovi avessero provvisto in modo giusto le
loro pievi di idonei rettori; insomma sia in ambiente regio che papale si manifestava una
concreta volontà di interrompere gli abusi perpetrati dai vescovi sulle chiese battesimali.
La pieve era il centro dell’organizzazione ecclesiastica e della vita religiosa nel contado, le
funzioni di cura d’anima erano l’amministrazione dei sacramenti (battesimo, cresima ed
altri) predicazione della Messa pubblica nei giorni festivi, i fedeli avevano l’obbligo di
restaurare la chiesa pievana e di pagare ad essa la decima. Nel 832 Lotario I stabilisce gli
obblighi a cui sono tenuti i fedeli che si sono battezzati in una pieve (da notare che faceva
fede ancora il principio di Gelasio I), nel 850 si stabilisce che le decime dovevano essere
pagate alla chiesa in cui si era ricevuto il battesimo inoltre che l’arciprete pievano doveva
essere eletto dai preti e dai chierici della pieve stessa e con il successivo consenso dei
fedeli, l’arciprete pievano aveva la responsabilità dei preti degli oratori, doveva
personalmente fare il giro dei suoi villaggi e interrogare i singoli padri di famiglia per
assicurarsi che tutti i peccatori pubblici facessero la loro penitenza, nelle pievi dovevano
esistere scuole per i giovani che si preparavano al sacerdozio, nelle pievi veniva affisso
l’elenco degli scomunicati che l’impero s’impegnava a non assume in incarichi pubblici. La
pieve era organizzata come il centro di vita religiosa ma anche di quella sociale del
territorio a cui essa faceva capo.
Il pagamento obbligatorio per tutti delle decime era stato subito introdotto in Italia dai
Carolingi, in origine il provento delle decime doveva essere ridistribuito secondo la
volontà del vescovo e probabilmente le decime venivano versate direttamente a lui, poi
dal 780-90 si ordinò che le decime fossero pagate direttamente “ad ecclesiam”.
Con il Capitolare dell’813 Carlo Magno stabilì che nessuna parte delle decime versate dai
fedeli alle loro pievi, dovesse spettare al vescovo, sempre con lo stesso capitolare fu
stabilito che una commissione di laici ed ecclesiastici per ciascuna pieve avrebbe dovuto
stabilire quali persone avrebbero dovuto pagare la decime e quanto avrebbero dovuto
pagare, venne introdotta anche la coercizione da parte delle autorità civili di pagare le
decime. Si nota una tendenza da parte dei capitolari imperiali a proteggere le pievi e
addirittura a proteggerle –se non a staccarle- dal loro vescovo. Nel 821 fu riproposta (o
ristabilita?) la quadripartizione gelasiana delle decime. Inoltre fu stabilito che se un laico
avesse fondato una chiesa sulla sua terra ad essa dovesse pagarci le decime solo relative
alla pars dominica, mentre i vari mansi avrebbero pagato le loro decime alle rispettive pievi,
19
questo perché la pars dominica era separata dai vari mansi che a loro volta erano
sparpagliati a macchia di leopardo per diversi pivieri.
Durante i primi anni dell' Impero carolingio furono emanate norme per contrastare la
cattiva gestione dei beni ecclesiastici e garantirne il buon funzionamento che come
abbiamo detto era alla base della stabilità politica dell'Impero stesso.
Sebbene Carlo avesse conquistato tutti i territori dei longobardi in Italia e si fosse
proclamato loro re, tuttavia in Tuscia l’aristocrazia longobarda manteneva ancora la sua
posizione di prestigio, sia a livello civile che ecclesiastico; fu proprio a livello ecclesiastico
che l’aristocrazia longobarda ottenne immensi vantaggi facendosi assegnare con i contratti
di livello gran parte delle proprietà e delle rendite del piviere. È ben testimoniato dalle
fonti -soprattutto quelle relative alla Diocesi di Lucca - quale fosse lo stato di penuria della
chiesa in questo periodo: il patrimonio ecclesiastico era spesso gestito dall’aristocrazia
longobarda che riuscì così a crearsi immensi poteri personali
Nella Diocesi di Lucca i vescovi, che in questo caso erano appunto appartenenti alle
famiglie nobili longobarde, venivano nominati conti dall’impero carolingio; ciò avveniva
perché i vescovi con la loro capillare organizzazione di gestione del territorio erano spesso
gli unici in grado di amministrare al maglio ampie regioni. È evidente quanto la chiesa
fosse completamente coinvolta nella gestione politico amministrativa del territorio. In
particolare i vescovi nominati conti dall’imperatore erano appartenenti alle famiglie nobili
longobarde, le stesse famiglie che avevano donato i loro beni alla chiesa; da ciò risulta
chiaro come in Toscana il potere fosse tuttora nelle mani della nobiltà longobarda: essa
possedeva enormi territori, era ai vertici della gerarchia ecclesiastica e, adesso, anche ai
vertici dell’amministrazione imperiale, con la facoltà di riscuotere le tasse e gestire un
esercito. In queste condizioni politiche è evidente che la chiesa non fosse una semplice
organizzazione religiosa e che essa non fosse libera di perseguire i propri ideali evangelici;
la Chiesa e le strutture ecclesiastiche in questo sono coinvolte dall’interno nei giuochi
politici delle famiglie aristocratiche e per questo si trovano a svolgere molte funzioni
amministrative e di controllo del territorio.
20
In conclusione, durante il regno carolingio le pievi assumono una funzione ufficiale,
garantita anche dalle leggi imperiali ed è solo da questo momento che cominciamo ad
avere delle chiare documentazioni sulla organizzazione per pievi.
21
8 Ricostruzione del XI - XII secolo
“Mentre si avvicinava il terzo anno dopo il Mille, in quasi tutto il mondo, ma soprattutto
in Italia e in Gallia, le chiese furono rinnovate. Benché la maggior parte di loro, di solida
costruzione, non avesse bisogno di essere restaurata, tuttavia i cristiani sembravano
rivaleggiare tra loro per edificare chiese che fossero le più belle delle altre. Era come se il
mondo si fosse scosso e, liberandosi dalla sua vecchiaia, si fosse rivestito di un candido
manto di chiese. I fedeli, in effetti, non soltanto abbellirono quasi tutte le cattedrali e le
chiese dei monasteri dedicate a diversi santi, ma anche le piccole cappelle situate nei
villaggi” 7
“Nessuna delle pievi del contado fiorentino sorte nel periodo preromanico è giunta a noi:
non una di quelle costruzioni fu risparmiata dal grandioso e diffuso rinnovamento edilizio
che si verificò a partire dall'XI secolo, conferendo un'impronta duratura al paesaggio
toscano. Lo sviluppo economico verificatosi a partire dall'XI secolo e il conseguente,
notevole incremento demografico spiegano questo rifiorire dell'architettura religiosa. Il
fenomeno, oltre che nelle città, si manifesto capillarmente anche nel contado, tanto che
tutte le pievi esistenti furono ricostruite in forme romaniche e numerose altre chiese
vennero edificate la ove la popolazione era andata costituendo nuovi insediamenti. È
questa la ragione che spiega la grande diffusione di chiese romaniche nella campagna
toscana”. 8
Dunque, tra XI e XII secolo, quasi tutte le pievi toscane vennero ricostruite, o
profondamente modificate; alla base di questa rigenerazione degli edifici ecclesiastici ci
sono importanti cambiamenti economici e religiosi.
“In Toscana, come in gran parte dell’occidente, a partire dal XI secolo, si ebbe una rinascita
economica che fornì le basi economiche per la ricostruzione delle chiese; le accumulazioni
di capitale dotarono gli enti ecclesiastici, le cui ricchezze si accrescevano per le donazioni,
7 Rodolfo il Glabro (monaco cluniacense) Storie 1048. 8 Moretti, Stopani, “Chiese romaniche in Val di Pesa e Val di Greve”
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di notevoli disponibilità finanziarie che furono investite nella costruzione di nuove chiese.
Fu questa la base economica su cui si basa il radicale rinnovamento dell’edilizia religiosa
che caratterizzò la Toscana dell’XI secolo fino a tutto il Duecento: nelle campagne, come
nei centri urbani, tutte le chiese esistenti furono ricostruite e numerosi edifici sorsero in
corrispondenza dei nuovi punti di agglomerazione demografica, a esprimere il sentimento
religioso della nuova società.
Forte impulso all’architettura religiosa fu dato dagli ordini monastici e in particolare dai
benedettini. Già nel X secolo il mondo monastico in reazione alla generale decadenza che
aveva investito tutta la chiesa, espresse una sua opera di riforma con Cluny che
rappresentò per almeno un paio di secoli il centro spirituale del cristianesimo. Le abbazie
Cluniacensi cominciarono a diffondersi dal X secolo, ma in Toscana trovarono scarsa
diffusione, soprattutto a causa della fortuna delle congregazioni benedettine che nacquero
nella regione a riforma del monachesimo benedettino; essi sono gli ordini Camaldolesi e
Vallombrosani che furono caratterizzati da una osservanza delle regola di San Benedetto
alla lettera e da forme di vita austere. Questi due ordini benedettini si opposero al tipo di
monachesimo imperante espressione della spiritualità della ricchezza che vedeva i potenti
feudatari dotare con prodigalità i monasteri da essi fondati.
Sempre più in Italia si fece strada un cambiamento di mentalità: la perfezione venne vista
proprio nella povertà e alla chiesa si contestò addirittura di manifestare la propria potenza
mondana.
Per rispondere alle esigenze di una società in trasformazione e in piena crescita economica
e demografica e allo scopo di creare un alternativa evangelica alla sempre più diffusa sete
di ricchezza, i nuovi ordini proposero un esempio di vita contemplativa e povera,
modellata sulla testimonianza del Cristo. Esempio delle prime comunità di benedettini in
Toscana sul finire dell’XI secolo sono l’abbazia di Sant’Antimo e del San Salvatore sul
monte Amiata, a Vallombrosa San Giovanni Gualberto fondò il nuovo ordine nel 1036.
L’altra importante componente del rinnovamento dell’edilizia religiosa del periodo
romanico è rappresentata dalla chiese facenti parte dell’organizzazione diocesana.
La ripresa dell’edilizia religiosa, legata al nuovo assetto della Cristianità, con l’attuazione
della Riforma Gregoriana, investì in pieno la struttura diocesana e determinò un
rinnovamento capillare delle costruzioni religiose, che non troverà mai più riscontro nella
storia del nostro paese. Il substrato economico che permise l’attuazione di questo processo
23
fu, nelle città, la ripresa delle attività commerciali e creditizie, che provocarono il rifiorire
della vita nei centri che erano riusciti a conservare la loro dignità di “civitas” (anche
soltanto per il fatto di essere rimasti sedi vescovili), nonché il sorgere di nuovi centri che
tesero ad assumere forma urbana.
Nelle campagne ovviamente il rinnovamento edilizio fu legato alla rinascita
dell’agricoltura, e al conseguente incremento demografico, col grandioso moto
dell’ampliamento dello spazio coltivato. I due fenomeni furono peraltro strettamente
correlati, perché l’aumento della produzione e della produttività agricola costituirono la
base di quella accumulazione originaria di capitale dalla quale dovette partire la ripresa
della altre attività economiche.
II rinnovamento edilizio anche per le chiese plebane si attenua negli ultimi decenni del
Duecento, per arrestarsi quasi del tutto nei corso del secolo successive.” 9
I fattori che maggiormente contribuirono a questa ricostruzione sistematica furono
ricollegabili a due eventi che si accavallarono nel corso dell’ XI e del XII secolo: la ripresa
economica e la riforma della Chiesa.
La riforma della Chiesa
I forti interessi personali della nobiltà impedirono un corretto funzionamento
dell’amministrazione ecclesiastica; questa situazione di degenero causò conseguentemente
una crisi dei valori morali che erano alla base della Chiesa, creando forte sdegno nelle
persone che si dedicavano onestamente alla vita religiosa.
Già a partire dal X secolo a Cluny cominciò un opera di riforma morale della vita religiosa:
per prima cosa i monaci cluniacensi si garantirono l’indipendenza dalle ingerenze dei
vescovi -che spesso erano personaggi dell’aristocrazia- ponendo il monastero e tutti i suoi
beni direttamente sotto l’autorità del Papa. Questo fu il primo segnale della volontà di
reazione da parte della chiesa a cui seguì la Riforma della Chiesa avviata da Papa Gregorio
VII (1073 1085). La chiesa sta cercando la sua autonomia e sta cercando di liberarsi della
morsa della nobiltà che la allontana dalla propria missione evangelica; questo è il clima
religioso che caratterizza l’XI secolo e che è alla base della ricostruzione del patrimonio
ecclesiastico. Come ci testimonia Rodolfo il Glabro, monaco cluniacense e uno dei 9 Moretti Stopani, “Romanico Senese”
24
maggiori cronisti del medioevo, la Chiesa si sta scrollando di dosso il vecchio clima
politico e si riveste di un candido manto di chiese: l’inizio di un importante cambiamento.
La ripresa economica
Con l’anno Mille si ha una formidabile ripresa economica che in un certo senso “finanzia”
la ricostruzione iniziata nell’ XI secolo; i fattori che portarono a tale ripresa furono il
riassetto dell’organizzazione territoriale delle zone rurali, l’apporto di innovazioni
tecnologiche per l’agricoltura che permisero maggiori rendimenti e il passaggio da un
economia sostanzialmente di autosussistenza ad un economia commerciale.
“La vita economica della Toscana fu caratterizzata, a partire dall’XI secolo, da un
evoluzione delle strutture produttive che, attraverso modifiche dell’organizzazione
agraria, portò a un nuovo assetto del territorio. Progressivamente le singole parcelle di
terreno, i “poderi” si sostituirono alla rete delle “Curtes” e dei “mansi” alto medievali: fu il
primo passo verso la costituzione dell’azienda agraria moderna che, con il sistema
mezzadrile, porterà ad un notevole aumento della produttività. Si verificò così la nascita di
nuovi insediamenti.
Nel corso di questa trasformazione dell'assetto socio-economico del territorio il sistema
ecclesiastico dei plebati seppe ben adattarsi alla nuova situazione che si andava creando. I
pivieri vennero infatti divisi in più popoli facenti capo alle numerose chiesette rurali sorte
nei luoghi dove la popolazione si era concentrata. In tal modo la chiesa, mantenendo
inalterata la sua organizzazione a plebati (sorta nell'alto medioevo sulla base della
divisione territoriale amministrativa dell'impero), si trovò presente anche nei più piccoli
centri nati in conseguenza dello sviluppo economico e demografico.” 10
Questi cambiamenti portarono ad una nuova organizzazione del territorio e dell’economia
che si rifletté anche sull’organizzazione ecclesiastica; in seguito alla nascita di nuovi centri
nel territorio rurale, sorsero altrettante chiesette suffraganee destinate a raggiungere i
nuovi insediamenti di fedeli, tali chiese rientravano sotto l’autorità della pieve ed erano
quindi comprese nella territorialità del piviere.
10 Moretti, Stopani, “Chiese romaniche in Val di Pesa e Val di Greve”
25
In conclusione si può ipotizzare che la Riforma della Chiesa fosse stata il motore della
sistematica ricostruzione avviata nell’XI secolo, d’altra parte la ripresa economica fu il
mezzo che permise un opera di tali proporzioni e l’austero stile romanico -in conformità
con la riforma morale- il modus operandi.
26
9 Il sorgere delle parrocchie e l'inizio del declino del sistema organizzativo "per pievi"
"fino al sec. XI, tutta, la vita religiosa del popolo s'impernia intorno, alla pieve e le «chiese
soggette» non sono altro che succursali od oratorii della pieve, senza nessuno di quei
diritti, che oggi chiamiamo «parrocchiali». Al contrario, nei secoli XII-XIII, tutta la vita
religiosa s'impernia intorno alla «parrocchia » (già « chiesa soggetta»), la quale - per
necessità - rallenta sempre più i vincoli, onde era legata, alla chiesa matrice avviandosi ad
una autonomia quasi completa. Nei capitoli seguenti vedremo, con precisione, in quali
elementi la «parrocchia» diventi autonoma e in quali altri rimanga subordinata alla
pieve."[…]
D'ora innanzi, ciò di cui converrà tener maggior conto, non sono più i diritti storici della
pieve, ma il popolo, o - se si vuole - la Chiesa a cui « parochialis eius populus pro Divini
Officii susceptione convenerit ». La parrocchialità d 'una chiesa è originata da un fatto
d'ordine pratico, cioè dalla frequenza del suo popolo, ossia del popolo abitante nella
«vicinia». […]
I diritti della pieve sulle cappelle dipendenti si ridurranno esclusivamente al battesimo e
all'obbligo - per i rettori da queste - di partecipare ogni anno ad alcune funzioni religiose
della pieve e di avere «riverenza» verso il pievano: ma di ciò parleremo diffusamente in
seguito. Qui accenneremo soltanto che, nei secoli XIV e XV, parte delle parrocchie minori
acquisteranno anche il fonte battesimale, pur rimanendo subordinate alla pieve.
Non si creda, pero, che tale diminuzione dei diritti delle pievi rispetto alle chiese
subalterne, abbia prodotto fin da principio una diminuzione anche del personale addetto
alle medesime e dello splendore del culto. Al contrario, verso la fine del sec. XII e nel
secolo XIII, le pievi diventano, generalmente, « collegiate »; un certo numero di chierici (da
non confondersi coi «cappellani» o rettori delle parrocchie minori) e di «canonici», eletti
dal pievano, sono addetti al servizio di esse; ciò apparisce frequentemente nei nostri
documenti.” 11
11 Sac. Luigi Nanni, La Parrocchia studiata nei documenti lucchesi dei secoli VIII-XIII.
27
Queste nuove chiese inizialmente erano dunque suffraganee, cioè dipendenti dalla pieve,
ma con il passare degli anni esse ricoprirono tutte le funzioni ecclesiastiche delle pievi -
eccezione fatta per il Battesimo-; questo fenomeno portò alla trasformazione
dell'amministrazione ecclesiastica del territorio rurale che passò quindi dal sistema detto
"per pievi" a quello "per parrocchie". Quindi, se le parrocchie stavano aumentando il loro
potere e le loro funzioni ecclesiastiche, le pievi del contado stavano gradualmente
perdendo la loro supremazia territoriale; la fase terminale di questo lento processo
evolutivo si ha nei secoli XIV e XV, quando parte delle parrocchie minori acquisteranno
anche il fonte battesimale, pur rimanendo subordinate alla pieve.
Il Nanni sostiene inoltre che la nascita delle parrocchie fosse intimamente legata alla
nascita dei comuni.
"Tutto ciò indica - a nostro parere - che l'origine della nuova parrocchia è intimamente
connessa coll'origine dei Comuni. Il popolo, il quale, erettosi in « Comune», nomina i
propri consoli, delibera sui negozi più importanti della «vicinia », forma - in una parola -
una specie di repubblica a se, dovrà pure avere un sacerdote proprio, con funzioni
ordinarie, in fatto d'amministrazione di Sacramenti e di uffici religiosi: e come i consoli
sono i capi civili della « vicinia», così il proprio sacerdote dovrà essere, il capo spirituale
«rector et pastor» della medesima. Non e più possibile - senza subire una evidente
diminuzione - che il Comune, per tutte le funzioni religiose, debba ricorrere al sacerdote di
un altro comune. Parimente, data l'intima unione fra l'elemento religioso e quello civile,
non desterà meraviglia che il popolo, come ha parte attiva - o direttamente o per mezzo
dei suoi rappresentanti - nei disimpegno degli affari che riguardano il Comune e
nell'elezione dei suoi consoli, si studi di partecipare - allo stesso modo - anche all'elezione
del proprio « pastore », nonché a certi atti di amministrazione di beni ecclesiastici." […]
"II sorgere dei Comuni è - secondo noi - il fattore principale dello smembramento della
pieve."[…]
Dalle date risulta evidente che tale trasformazione fu lenta e progressiva: inizialmente,
proprio quando si colloca la ricostruzione delle chiese, le pievi "convissero" con le
parrocchie, e anche in seguito, quando le parrocchie ricoprirono certe funzioni tipiche
delle pievi, queste ultime continuarono ad avere la loro importanza, soprattutto legata
28
all'esclusiva del fonte battesimale; è solo nella fase finale del XIV e XV secolo che le pievi
perdono la loro supremazia. Tuttavia, tale declino, le ha preservate dagli
ammodernamenti successivi, ed ha permesso che almeno una piccola parte delle pievi
giungessero sino ai giorni nostri conservando il loro aspetto originario per quasi un
millennio.
29
10 Componenti architettoniche
Le tipologie architettoniche adottate per le pievi sono molto semplici e, fatta eccezione per
alcuni casi particolari, molti simili; le pievi sono caratterizzate da pochi elementi
architettonici che hanno inoltre poche varianti, è quindi possibile procedere analizzandoli
singolarmente in tutte le loro possibili varianti.
È doveroso sottolineare che per facilitare una chiara ricostruzione delle componenti
architettoniche delle pievi, non verrà tenuto conto delle modifiche apportate nel corso dei
secoli alle strutture “originarie”: per struttura originaria non intendo la prima costruzione
in assoluto realizzata su quel sito, ma mi riferisco alla più recente struttura architettonica
realizzata nel contesto di un'unica fase progettuale, anche se questa è in assoluto la
seconda o la terza ricostruzione organica di quella chiesa.
Il corpo della chiesa
È lo spazio architettonico destinato ad accogliere i fedeli, esso può essere composto da un
unica navata (navata ad aula) o da tre navate separate da sostegni verticali, vi sono inoltre
alcuni rarissimi casi di pievi con due navate.
Il corpo a navata unica è composto da un unico ambiente a pianta rettangolare, limitato
perimetralmente dalla muratura esterna; la pianta è dunque estremamente semplice, ma è
tutt'altro che banale: alla base del semplice rettangolo vi sono infatti studi empirici e teorici
affinché essa possa rispondere alle esigenze della pieve.
(Pieve di San Giovanni Battista,
Campo nell’Elba, Isola d’Elba)
Dall’immagine risulta evidente
la semplicità della struttura a
navata unica.
30
La prima esigenza della pieve è appunto quella di accogliere un certo numero di persone
al suo interno, quasi sempre se la pieve è collocata in zone poco popolate (zone montane)
ha una sola navata proprio perché il numero dei fedeli che deve accogliere è limitato, al
contrario quando essa si trova in zone capaci di raccogliere un numero maggiore di fedeli
(fondovalle o comunque presso le principali vie di comunicazione) essa ha tre navate.
All'interno della pieve il sacerdote parlava ad una popolazione di fedeli, quindi la
volumetria interna delle pievi doveva essere progettata in modo da rispondere anche alle
esigenze acustiche; questo aspetto è ovviamente comune a tutti i tipi di chiesa.
La pianta delle pievi a navata unica generalmente si avvicina ad un modello di rettangolo
con il lato lungo che è circa il doppio di quello corto; sicuramente questa forma rispondeva
all’esigenza di avere un acustica interna accettabile e all’esigenza di poter disporre i fedeli
in senso longitudinale secondo l’ordine gerarchico ecclesiastico: vicini all’entrata, i fedeli
di rango minore e verso l’altare, quelli via via di rango maggiore, attorno all’altare gli
ecclesiastici.
Il corpo a tre navate è
caratterizzata da una navata
centrale di dimensioni
maggiori, con due navate
laterali affiancate; la navata
centrale è divisa dalle laterali
da elementi verticali necessari
a sorreggere la copertura.
(Pieve di San Pietro a Romena
Pratovecchio, Arezzo)
31
La navata centrale oltre ad essere più larga delle laterali è anche più alta, e a volte, è dotata
di cleristorio12.
(Pieve di Santa Maria a Cellole, San Gimignano, Siena)
L’immagine mostra la soluzione di chiesa a tre navate senza cleristorio.
Nelle strutture a tre navate le monofore si possono aprire sui fianchi delle navate laterali
e/o sulle pareti del cleristorio, la cui funzione principale è quella di consentire
l’illuminazione interna.
12 Il cleristorio è la zona della navata maggiore che s’innalza sopra quelle minori mediante due setti murari paralleli alla navata maggiore.
32
(Pieve dei Santi Pietro e Paolo a Coiano, Castelfiorentino, Firenze)
L’immagine mostra la soluzione di una pieve a tre navate con cleristorio.
Il corpo a tre navate ha una maggiore capienza ed è quindi destinato a quelle pievi
collocate in zone in cui confluisce in numero di fedeli maggiore; generalmente queste pievi
si trovano nel fondovalle e comunque sempre in prossimità di importanti vie di
comunicazioni, fluviali o terrestri. È facile immaginare che maggiore era il numero di
fedeli maggiori fossero le decime e quindi le “entrate” della pieve; da questi fattori
dipendeva dunque l’importanza della pieve e la possibilità di realizzare strutture migliori
e impreziosite da affascinanti rilievi architettonici.
Tutte le pievi sono realizzate in pietra (in certe zone in laterizio) e il loro corpo si staglia in
maniera netta e definita sullo sfondo di un paesaggio rurale; la nettezza dei contorni della
pieve doveva spiccare non poco rispetto alla maggioranza delle costruzioni rurali,
realizzate per lo più in legno e indubbiamente prive di volontà estetica; ritengo plausibile
che lo sfoggio di forme e materiali così “diversi” dagli standard rurali, non fosse un caso,
ma avesse il preciso scopo di colpire l’attenzione della popolazione rurale.
La facciata
Credo che non sia errato affermare che nella facciata si riassumano tutti i significati delle
pievi e del caratteristico intreccio tra politica, religione e nobiltà che caratterizzò il potere
ecclesiastico in quei secoli. Secoli di studi sulla natura umana confluiscono in un edificio in
cui tutto è semplice, chiaro e armonico: la pieve; essa sorgeva nel territorio rurale, isolata,
33
in un periodo in cui la legge non poteva offrire molte garanzie, serviva ad officiare i più
importanti sacramenti, a conservare le decime e sopratutto a tenere unificato un impero,
doveva quindi evocare profondi sentimenti religiosi, essere ben difendibile e far presa
sulla semplice popolazione rurale.
La prima funzione di una facciata, la più evidente e senza dubbio la più affascinante è che
essa è stata concepita per essere espressiva e comunicare tutta una serie di chiari messaggi
alla popolazione.
(Pieve di Vicopisano, Pisa)
Per comprendere l’importantissima funzione svolta dall’immagine che offre di se una
chiesa, bisogna tener conto di quelli che erano i veicoli di comunicazione medievali; un
argomento così ampio non può essere esaurientemente affrontato in questa sede, ma per
quello che riguarda tale studio basta considerare che l’alfabetizzazione era praticamente
assente tra i normali fedeli, e che le immagini non erano concepite solo per essere viste, ma
per parlare ed esprimere concetti di effetto immediato. La facciata, a modo suo (e
soprattutto nel suo contesto originario), parlava chiaramente la lingua della popolazione
rurale.
La sicurezza era il primo messaggio che la facciata lanciava: nessuna incertezza, nessun
elemento superfluo che potesse tradire la certezza che quella struttura era lì da sempre e lì
sarebbe rimasta a svolgere il proprio compito; la forma della facciata è dunque studiata in
modo da ottenere un effetto sobrio ed armonioso che rassicurasse i fedeli sulla serietà e la
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costanza delle strutture ecclesiastiche; ogni forma è concepita in modo da superare il
confronto con il tempo, sia dal punto di vista materiale, sia dal punto di vista estetico,
poiché i valori del Cristianesimo si basano sull’eternità. Il semplice profilo della facciata è
studiato in modo da esprimere sicurezza mediante l’armonia delle forme; secoli di studi
hanno portato alla codificazione di forme e proporzioni capaci di suscitare una risposta
emotiva nei fedeli; il segreto di questa armonia, non sta tanto nelle misure, quanto nelle
proporzioni.
Uno studio di Pierotti e Benassi13 dimostra chiaramente come i costruttori medievali
ricorressero ad elaborati rapporti matematici e geometrici per ottenere forme armoniose;
“Come ben noto, i costruttori medievali non avevano strumenti sofisticati per rendere le
misure, ma si servivano di corde per mettere gli angoli a squadra o per tracciare
circonferenze. Quindi era comodo, e comunque anche rispondente alla loro mentalità,
sfruttare la ripetizione di moduli e di relazioni geometriche basilari.”14
Oltre alla sicurezza morale, le facciate delle pievi esprimevano anche il concetto di solidità
(allusione alla solidità politica dell’organizzazione ecclesiastica) e di forza (allusione alla
capacità della Chiesa di reprimere “le forze del male” che spesso erano dei semplici nemici
politici); la solidità viene perfettamente rappresentata dalle possenti opere murarie che
spesso sono realizzati in grandi conci di pietra lasciati a vista, oltre che dalle robuste
proporzioni della struttura; la forza è altrettanto perfettamente riassunta nelle strutture
architettoniche che ricordano molto quelle militari (monofore e campanili a torre in
particolare).
La facciata non doveva solo scoraggiare i malintenzionati, ma soprattutto doveva attirare i
fedeli; le proporzioni tendenzialmente basse e larghe riproducono infatti la tipica forma a
capanna -evidenziata maggiormente nelle facciate di chiese a tre navate- che allude
fortemente al concetto di casa e di familiarità; tale sensazione è agevolata dalla simmetria e
dalla pulizia strutturale della facciata che nella maggior parte è caratterizzata dalle solo
aperture collocate in maniera simmetrica e povera di decorazioni architettoniche.
Dunque la facciata era una sorta di “manifesto pubblicitario” della politica religiosa; ad
essa era affidato il compito di comunicare con la popolazione rurale l’immagine di una
chiesa fortemente presente sul territorio, stabile politicamente, in grado di usare la forza
13 Pierotti, Benassi, “Deotisalvi” 14 Cfr. nota 12.
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ove si dimostrasse necessario e specialmente l’immagine di una chiesa come un porto
sicuro per i fedeli.
Come è facile notare, le pievi erano solitamente collocate in punti “strategici”, sia perché
fossero facilmente raggiungibili dai vari villaggi, sia per rendere manifesta la costante
presenza sul territorio della chiesa; dunque è probabile che, in un paesaggio in gran parte
costituito da campi, boschi e da qualche modesta abitazione di legno, la pieve spiccasse
notevolmente, e riuscisse facilmente ad attirare gli sguardi distratti della popolazione
rurale, divenendo il principale riferimento della campagna.
Le absidi
Le absidi sono elementi architettonici posti a conclusione delle navate; il loro sviluppo
verticale è caratterizzata da una superficie semicilindrica che nella parte superiore termina
con una volta all'incirca corrispondente ad un quarto di sfera, definita catino absidale.
(Pieve di Santa Maria a Lamula, Arcidosso, Grosseto)
Nell’immagine è possibile osservare la struttura interna di un abside
realizzata in conci di pietra.
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(Pieve di Santa Maria a Lamula, Arcidosso, Grosseto)
Soluzione di tre chiesa a tre navate terminante in tre absidi.
Sono frequenti i casi in cui abbiamo chiese con un abside per navata (sia che le navate
siano tre o solamente una), sia casi in cui abbiamo una sola abside nella navata centrale
anche quando la chiesa ha tre navate. Le absidi possono essere sia esterne al perimetro del
corpo della chiesa (caso molto più frequente) che interne ad esso; nel primo caso la sagoma
delle absidi è visibile dall'esterno nel secondo caso no. I casi in cui si hanno absidi interne
sono spesso riconducibili a modifiche successive. Dunque, anche la forma delle absidi è
estremamente semplice, ma anche in questo caso è geniale, perché riesce a rispondere
brillantemente a tutta una serie di esigenze (anche fortemente contrastanti tra loro) nel
modo migliore. La prima funzione dell'abside è quella di sottolineare l'importanza dello
spazio destinato alla presenza del divino e dei suoi ministri: nell'abside è infatti collocato
l'altare delle chiesa e l'accesso è riservato solo al sacerdote. La forma circolare non è
casuale, ma è il risultato di teorie riconducibili alla rappresentazione del divino: il cerchio
è infatti la forma perfetta per eccellenza, uguale in ogni sua parte ed equidistante dal suo
centro, simbolo per eccellenza dell'equilibrio e della costanza, ma l’allusione più diretta
della forma circolare è sicuramente la volta celeste in quanto sede della divinità; forse, la
forma semicircolare, oltre ad avere ovvie ragioni pratiche, allude proprio alla doppia
natura del Cristo, la cui natura è sia divina che umana.
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Anche dal punto di vista estetico l'abside ha una propria ragione di esistere: entrando in
una pieve (specialmente in quelle di piccole dimensioni a navata unica) se non ci fosse
l'abside si avrebbe la netta sensazione di essere rinchiusi in una sorta di gabbia
rettangolare, la vista dell'osservatore si fermerebbe immediatamente sulla piatta parete di
fondo, rendendo l'ambiente angusto, banale e prevedibile, dunque assolutamente terreno
e non adatto a far innalzare la mente verso pensieri divini. L'aggiunta di un piccolo
ambiente semicircolare risolve perfettamente questo problema: la corsa dello sguardo
infatti non viene ostacolata dalla parete di fondo, ma viene incanalata nello spazio
semicircolare e da li rilanciata verso l'alto in una corsa sempre più veloce (ad una
soluzione simile giungerà anche Borromini quando dovette risolvere i problemi di spazio
in San Carlino alle Quattro Fontane); dunque il semplice ambiente semicircolare eleva un
banale volume rettangolare ad un ambiente divino. Un’altra ipotesi sulle funzioni della
absidi sarebbe legata alla natura difensiva delle pievi: “Quanto all’abside semicircolare,
essa si presenta al di fuori come un bastione e offre a chi sta dentro il vantaggio di una
visione periscopica” 15; a conforto di questa ipotesi si può aggiungere che sulle absidi
quasi sempre si trova (o almeno si trovava in origine) una o tre monofore dalle dimensioni
estremamente ridotte, che le fanno sembrare più simili a delle aggraziate feritoie di natura
militare che a delle finestre. È sorprendente notare come le absidi possano dunque
assolvere in maniera così perfetta ad esigenze così diverse tra loro.
Monofore
Le monofore sono delle particolari “finestre” caratterizzate da un taglio verticale nella
muratura (che può essere più o meno sottile), limitate nella parte inferiore da una soglia, e
nella parte superiore da un arco o da uno pseudo-arco; spesso le monofore sono dotate di
una strombatura che può trovarsi all’esterno, all’interno o su entrambe i fronti.
15 P. Pierotti, “Chiese private, pievi, territorio nella Valdiserchio (secoli VIII-XI)” all’interno di “Romanico padano Romanico europeo” edito da Università degli studi di Parma, Istituto di storia dell’arte, Centro studi Medioevali.
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(Pieve di San Giovanni Battista, Campo nell’Elba, Isola
d’Elba)
Monofora con strombatura dal lato esterno.
(Pieve di San Giovanni Battista,
Campo nell’Elba, Isola d’Elba)
Monofore con strombatura dal lato
interno.
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Le monofore sono adottate in molti tipi di edifici con la funzione di far prendere luce ed
aria, ma nel caso specifico delle pievi esse erano studiate per rispondere a specifiche
esigenze.
La funzione più elementare delle monofore è quella di illuminare l’ambiente interno: le
monofore lasciavano filtrare una minima quantità di luce, e, a causa della loro forma,
quasi tutta riflessa; l’interno delle pievi era quindi dominato da una costante penombra,
che in certi momenti poteva essere squarciata da sottili lame di luce. Non c’è dubbio che si
venisse a formare un atmosfera molto suggestiva, che spesso veniva resa ancor più
emozionante da un altro fattore: a causa della mancanza d’infissi sulle finestre, l’interno
della chiesa era attraversato da deboli correnti d’aria, esse facevano danzare le fiammelle
delle candele; la luce vibrante che si generava da questo fenomeno, faceva “muovere” le
figure mostruose dei capitelli istoriati e lampeggiare le dorature delle tavole dipinte
(l’effetto è amplificato se al posto di numerose candele si utilizzano poche torce in
prossimità delle immagini). Ritengo che, d’altra parte, anche i rilievi architettonici presenti
all’interno delle pievi fossero concepiti in modo da agevolare questo fenomeno:
osservandoli è facile notare che spesso le figure d’angolo sono riprodotte in maniera
speculare, in modo da creare uno sdoppiamento dell’immagine che quindi sembra passare
velocemente da un lato all’altro del capitello a seconda di come è illuminata; spesso nei
rilievi possiamo notare anche il passaggio da una figura all’altra, senza soluzione di
continuità: in questo caso non avremo l’effetto del rapido movimento della stessa figura,
ma l’effetto della trasformazione di una figura in un'altra. Anche per le immagini dipinte il
concetto era simile: le immagini dorate hanno quasi sempre una superficie irregolare (a
volte punzonata artificialmente per amplificare l’effetto), che fa lampeggiare le piccole
porzioni illuminate, ora da un lato, ora dall’altro.
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(Pieve di Santa Maria a Lamula, Arcidosso, Grosseto)
Capitello istoriato, immagine affrontata specularmene in angolo.
Tali fenomeni potevano essere ricercati per ottenere, all’interno delle pievi, un atmosfera
mistica, che annullasse le certezze e le sicurezze dell’uomo, ponendolo in uno stato
d’animo d’incertezza; nell’incertezza, nella sua inferiorità, l’uomo sente il bisogno di una
guida.
Ma le monofore avevano anche un’altra funzione molto più pragmatica: dovevano servire
a difendere la pieve in caso di attacchi dall’esterno o di furti. Come abbiamo già visto, le
pievi potevano essere soggette di attacchi e la particolare forma delle monofore era stata
concepita per rispondere anche a questa esigenza. Le monofore sono caratterizzate da una
sottile apertura verticale, che in certi casi ricorda una vera e propria feritoia di tipo
militare; l’apertura è preceduta sia dall’interno che dall’esterno da una strombatura che
rende più ampio il campo visivo di chi sta all’interno, senza rendere più vulnerabile
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l’apertura; le monofore sono collocate in alto in modo che dall’esterno non si possa avere
una visione interna, ed internamente erano raggiungibili da ponteggi lignei che
consentivano di usare le monofore come vere e proprie feritoie da cui colpire un nemico
esterno.
La stretta apertura delle monofore era stata progettata anche per impedire l’ingresso
d’intrusi; nelle pievi infatti venivano immagazzinate le decime che in gran parte erano
costituite da derrate alimentari, e quindi erano una forte tentazione per molte persone.
Le monofore infine erano state concepite per rispondere ad un’altra esigenza: mantenere le
condizioni di temperatura ed umidità ideali per la conservazione delle derrate alimentari.
La sottile apertura delle monofore era stata originariamente studiata per impedire che
all’interno della pieve si formasse un eccessivo tasso di umidità nei mesi invernali e
un’eccessiva temperatura nei mesi estivi; la loro particolare forma inoltre permetteva che
si generassero delle micro correnti convettive che contribuivano a rendere l’ambiente
asciutto e quindi ad limitare la formazione di muffe e batteri.
I sostegni verticali
I sostegni verticali assolvono alla funzione di sostenere le arcate, e quindi la copertura,
quando il corpo della chiesa è composto da almeno tre navate (nel caso di una chiesa a
navata unica, il carico della copertura grava sulle pareti perimetrali). Nel caso di una
chiesa a tre navate, i sostegni verticali sono collocati lungo i fianchi della navata centrale in
modo da consentire il passaggio dei fedeli da una navata all’altra. I sostegni possono
essere costituiti da pilastri in muratura -di forma quadrangolare o circolare-, oppure da
vere e proprie colonne; nei casi in cui la copertura originaria sia a volte, venivano utilizzati
esclusivamente i pilastri, e preferibilmente quelli quadrangolari, che a parità di superficie,
hanno un ingombro minore del 13%. I pilastri circolari -indipendentemente dal tipo di
muratura con cui sono realizzati- richiedono una maggiore specializzazione e tempi di
realizzazione più lunghi, quindi -a parità di tipologia muraria- erano sicuramente più
costosi, infine, nel caso di pilastri circolari, realizzati in conci di pietra, erano necessarie
maestranze veramente molto esperte.
Al di sopra dei sostegni verticali, si trovano gli archi, che collegano longitudinalmente tutti
sostegni su ognuno dei due fianchi della navata centrale, in modo da creare una base
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d’appoggio per le travature della copertura; in questo caso i sostegni sono sollecitati
solamente a compressione (lo sforzo passa per l’asse della struttura) in quanto la
copertura a capriate è considerata “non spingente”.
(Pieve di San Pietro a Romena, Pratovecchio, Arezzo)
Dall’immagine sono visibili i sostegni verticali, le arcate e una finestra del cleristorio; da notare che in questo
caso i sostegni sono costituiti da colonne monolitiche.
Nel caso di strutture con copertura a volte i sostegni sopportano invece il carico di due
serie di archi, una longitudinale e una trasversale costituita dalle volte della copertura;
mentre la serie di archi longitudinali si può considerare “non spingente” perché ogni arco
annulla la propria spinta laterale scaricandola sull’arco successivo, la serie di archi e volte
trasversali sono invece spingenti, cioè, oltre alla normale compressione (che si esercita
lungo l’asse della struttura) archi e volte laterali esercitano sul pilastro anche una spinta
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laterale, che genera un nuovo tipo di sforzo definito pressoflessione. È evidente che in
questo caso i sostegni verticali debbano essere di dimensioni maggiori in modo da
resistere anche alla spinta laterale delle volte.
Le coperture
La copertura delle pievi è nella maggioranza dei casi costituita da capriate lignee, ma
esistono esempi più tardi di pievi con copertura a volte.
Le capriate sono degli elementi architettonici in grado di trasformare i carichi della
copertura in compressione semplice e per questo si dice che sono “strutture non
spingenti”, cioè che non trasmettono nessuna componente orizzontale alle strutture
sottostanti.
Meccanica della capriata.
Come si evince dalle frecce la capriata scarica sui sostegni verticali solamente una spinta verticale.
Nel caso di strutture a navata unica la compressione viene scaricata esclusivamente e
direttamente sulle murature perimetrali, mentre nel caso di una struttura a tre navate essa
scarica sulle arcate longitudinali e quindi sui sostegni verticali, e in parte, anche sulle
murature perimetrali.
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Le coperture a volte sono invece delle strutture “spingenti” in quanto trasmettono ai
pilastri una componente orizzontale; affinché tale spinta non faccia collassare la struttura è
necessario che venga fatta rientrare all’interno del terzo medio del pilastro, che per questo
motivo deve essere di adeguate proporzioni.
Meccanica della volta a crociera.
Come si evince dalla direzione delle frecce la volta scarica sui pilastri anche una spinta orizzontale.
Le tipologie di copertura a volte sono principalmente due: una volta a botte lunga tutta la
navata centrale (con eventuali arconi di sostegno in corrispondenza dei pilastri), oppure -
molto più frequente- delle volte a crociera; nelle navate laterali spesso viene mantenuta la
copertura linea anche quando nella centrale si hanno le volte, oppure hanno le volte a
crociera.
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Il campanile
Spesso le pievi erano dotate di un robusto campanile a torre caratterizzato da una base
quadrangolare -molto vicina al quadrato- e da una notevole altezza.
(Pieve di Romena, Pratovecchio, Arezzo)
Dalla foto sono ben visibili le robuste proporzioni della pianta del campanile.
La principale funzione dei campanili è quella di portare le campane ad un altezza tale da
rendere udibile il loro suono anche in lontananza, ma i campanili delle pievi hanno anche
altre caratteristiche che li rendono somiglianti ai torrioni militari e alle torri
d’avvistamento; spesso infatti i campanili sono privi di aperture al piano terreno
(caratteristica tipica delle strutture militari che serviva ad impedire lo sfondamento delle
porte con gli arieti) e sono dotati di monofore negli ultimi piani. È plausibile immaginare
che tali strutture coniugassero la funzione religiosa con quella militare: dall’alto del
campanile era possibile avvistare con un sufficiente anticipo un eventuale nemico e dare
l’allarme, infine è possibile che servissero come estremo bastione difensivo.
Sebbene la campana non fosse certo un’invenzione delle pievi, tuttavia è plausibile
supporre che il suono della campana, che riecheggiava per le campagne, dovesse esordire
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un particolare effetto, sulla semplice popolazione delle campagne, che difficilmente
avrebbe avuto altre occasioni di ascoltare dei suoni. Sebbene il suono della campana non
potesse avere un effetto magico sulla popolazione tuttavia è molto probabile che esso
riuscisse ad emozionarla.
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11 Conclusioni
In considerazione della mancanza di fonti che chiariscano la natura e l’organizzazione
delle chiese battesimali prima del regno carolingio in Italia, è preferibile porre questa data
come limite iniziale della struttura organizzativa per pievi, anche se non ci sono prove che
tale organizzazione non fosse già presente addirittura dai tempi dell’impero romano; le
seguenti conclusioni saranno dunque riferite al periodo successivo a tale limite.
Dal punto di vista religioso le pievi con i loro territorio erano frazioni in cui si suddivideva
amministrativamente il territorio rurale della diocesi; ogni pieve controllava un proprio
territorio, detto appunto piviere; all’interno del piviere, tutte le chiese dipendevano dalla
pieve. Le pievi avevano molti privilegi rispetto alle altre chiese: esse erano le uniche chiese
ad avere il fonte battesimale e il cimitero, e dunque, erano le uniche chiese che potessero
svolgere tali riti; bisogna tenere presente che il battesimo e la sepoltura erano riti
indispensabili al cristiano (e in questo periodo essere cristiano non era un fatto di sola
fede) e quindi tutta la popolazione di un piviere doveva ricorrere alla pieve. Tra l’altro
tutti i riti religiosi prevedevano un corrispettivo, un’offerta o comunque un pagamento,
quindi, già da questo si può comprendere l’importanza della pieve; l'esclusiva di
determinati uffici liturgici fece si che le pievi costituissero l'unico polo di attrazione per la
popolazione rurale (che per lo più viveva in piccoli villaggi isolati) e quindi è evidente che
le pievi ricoprissero, più o meno direttamente, un importante ruolo sociale. Dunque, sia
per fede che per la naturale tendenza dell'uomo ad aggregarsi, le pievi attiravano a se la
popolazione sparsa per le campagne e la concentrazione di persone favoriva inoltre
attività importantissime come la comunicazione ed il commercio; fu questa capacità di
aggregazione che costituì uno dei maggiori punti di forza delle pievi.
Un altro fattore che determinò l’importanza delle pievi fu legato agli enormi patrimoni
terrieri di proprietà delle pievi; come abbiamo visto le vecchie famiglie nobiliari
longobarde per rendere ufficiale i loro titoli di proprietà, donarono i loro territori alle pievi
o ai monasteri e s’inerirono a capo delle gerarchie ecclesiastiche che gestivano tali beni.
Tali beni venivano concessi a livello (almeno inizialmente) alle famiglie contadine del
piviere, e il corrispettivo poteva essere pagato in denaro, in natura o in prestazioni
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d’opera, prestate al servizio del rettore della pieve; dunque il legame tra la popolazione
rurale e la pieve era molto forte.
Spesso la pieve era la sede in cui venivano rogati gli atti, davanti alla pieve venivano prese
le decisioni pubbliche che riguardavano l’intera popolazione del piviere, davanti alla pieve
venivano lette le comunicazioni ufficiali e le nuove leggi, la popolazione del piviere aveva
un peso nella scelta del rettore della pieve e, al rettore della pieve, erano rimessi i giudizi
riguardanti le controversie tra i capifamiglia appartenenti alla popolazione del piviere,
infine, il vescovo poteva convocare le persone a cui erano stati concessi a livello terreni di
proprietà della pieve, quando egli prendeva decisioni o amministrava la giustizia, in virtù
della formula rituale che i beneficiari del livello dovevano recitare: “«A mandato vestro (=
del vescovo) venire debeamus, legem et iustitiam faciendum»”16; dunque la pieve
ricopriva anche importanti funzioni amministrative e giudiziarie, poiché nel regime
feudale, al vescovo spetta un compito legislativo e giudiziario, che egli assolve con la
collaborazione dei rettori delle pievi.
Le pievi avevano il compito di riscuotere le decime (una tassazione che ogni capofamiglia
doveva versare al rettore della pieve, teoricamente corrispondente alla decima parte del
raccolto) che potevano essere pagate in denaro o più semplicemente in natura, e quindi in
derrate alimentari e altri generi deperibili; per comodità e per sicurezza le decime
venivano conservate all’interno della pieve che quindi doveva avere una struttura
adeguata a conservare tali beni.
Le pievi avevano il compito di provvedere alla manutenzione delle strade, liberandole dai
tronchi d’albero caduti, spianando le buche e tagliando la vegetazione: efficienti vie di
comunicazione rendevano più rapide le comunicazioni, la mobilitazione militare ed il
commercio ed erano quindi un elemento essenziale per la vita di un impero.
Probabilmente le pievi dovettero anche assolvere a funzioni difensive, soprattutto quando
entrarono a far parte dei giuochi politici per il controllo del territorio da parte delle
famiglie della nobiltà feudale. Come avevamo già visto le famiglie di origine longobarda
in molti casi donarono i loro territori alle chiesa o ai monasteri, e ne rientrarono in
controllo entrando a far parte delle gerarchie ecclesiastiche; è in questo contesto che si
colloca la necessità di realizzare strutture capaci di resistere anche ad un eventuale attacco;
bisogna inoltre tener presente che all’interno delle pievi venivano immagazzinate le 16 Cfr. nota 2.
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decime e tutte le offerte relative alle funzioni religiose, quindi, quanto meno, dovevano
impedire l’accesso ai ladri.
La funzione religiosa ricoperta dalle pievi su tutto il territorio rurale fu senza dubbio
l’aspetto più importante di questo tipo di struttura. È bene sottolineare che durante tutto il
medioevo, e soprattutto durante l’impero carolingio, la religione era profondamente
coinvolta anche nella politica, e dunque, essere religiosi, non era un fatto solo di fede; nello
specifico clima politico dell’alleanza tra impero carolingio e papato, la religione cristiana
era l’unico cemento in grado di mantenere unita, e fedele ad un unico imperatore, la
popolazione sparsa su di un territorio corrispondente a diverse nazioni. La caratteristica
che accomunava genti così diverse era appunto il cristianesimo, o meglio, i principi
cristiani dettati dalla Chiesa di Roma; una sottile differenza che tuttavia basta a giustificare
l’enorme importanza attribuita dall’imperatore alle pievi e alle strutture ecclesiastiche in
genere. I principi cristiani infatti, erano estremamente affini con le necessità dell’impero, e
dunque, la capillare diffusione delle pievi sul territorio rurale, garantiva all’imperatore un
indispensabile strumento di governo. Le pievi servivano soprattutto ad accogliere i fedeli
e, in un certo senso, a persuaderli sulla bontà dei principi professati dalla chiesa (a tal
proposito ritengo che i rilievi architettonici forniscano un eloquente esempio); ritengo
quindi che la loro struttura architettonica, la loro forma, la loro collocazione, - non
diversamente da tutti gli edifici pubblici - rispecchino anche la necessità di mantenere una
comunicazione con i fedeli e quindi siano state progettate per ottenere un forte impatto
emotivo sulla popolazione rurale. Ritengo quindi che le pievi fossero state ideate anche
per ottenere una risposta emotiva; la popolazione che viveva nelle campagne aveva
standard di vita molto bassi: vivevano in modeste costruzioni, in gran arte di legno, e non
erano certo abituati ai lussi della nobiltà; per essi la giornata cominciava e finiva con il
sorgere e il tramontare del sole, gli unici suoni erano quelli della natura e anche le
immagini erano in gran parte quelle offerte dal paesaggio naturale. Il suono della campana
che riecheggiava per le campagne, l’immagine netta e ben proporzionata della pieve, che,
in lontananza, spiccava sul paesaggio circostante, le immagini mostruose che sembravano
muoversi e trasformarsi sotto la luce delle torce, l’atmosfera altamente autoriflessiva,
erano i mezzi usati per ottenere un impatto emotivo sulla popolazione rurale.