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1
13@- ‘ g?
/6le E , ‘
COLLANA
DEGLI
ANTICHI STORICI GREGI
VOLGARIZZATI.
’ LE STORIE ’
' DI'
POLIBIODA MEGALOPOLI
VOLGABIZZATE
SUL TESTO GRECO DELLO SCHWEIGHAUSER
E CORREDATE DI NOTE
DAL DOTTORE I. G. B. KOHEN
DA TRIESTE
TOMO 01‘T170
COI TIPI DI PAOLO ANDREA MOLINA
Contrada de!l’ Agnello , N. 963 ,
1842.
DELLE STORIE
DI POLIBIO DA MEGALOPOLI‘
-<j"_
AVANZI DEL LIBRO VIGESIMO NONO
I. (I) IL senato, udito che Antioco era divenuto pa
drone dell’ Egitto, (e) e fra poco il sarebbe ‘d’Alessan
dria; stimando spettar alquanto a sè l’ aggrandimento
‘del re anzidetto, creò ambasciadnri Caio Popillio ed al
tri, perché fossero mediatori della pace, ed csaminassero
in generale qual fosse la situazione degli affari. Cosi e
rano le cose in Italia.
I
II. (3) Essendo innanzi all’inverno ritornato Ippia
che Perseo mandato una ambasciadore a (4) Genzio
pell’alleanza, ed esponendo che il re pronto era ad ad
dossarsi la guerra contro i Romani, ove gli fossero dati
trecento talenti, (5) e le convenienti sicurezze circa la.
somma degli afl’ari; Perseo, udito ciò, e giudicando es
serin necessaria la cooperazione di Genzio, elesse Pan
A. di R.
586
Qlimp.
cx.n,4
Amb. go
me. 85
6
A. di R. tauco, uno de’suoi. principali amici, e spedillo con que
586’ sli incarichi: primieramente d’accordarsi pe’ danari , e’
di dare e prendere il giuramento pell’alleanza; poscia di
procacciare che Gennaio mandasse tosto gli statichi
che piacerebbe a Paulauco, e da sè ricevesse quelliche
Genzio nominati avea nella scritta; oltre a ciò s’accon
ciasse con lui pcl trasporto de’trecento talenti. Pantau
co partitosi incontanente, e giunto in (7) Meteone della
Labeatide c colà abboccatosi con Genzio, subito indus
se il giovine ad accomuuare con Perseo le sue speran
ze. Come prima prestato e scritto fu il giuramento cir
ca l’alleanza, Genzio mandò gli statichi designati da
Panlauco, e seco loro Olimpione per prendere da Per
seo il giuramento e gli statichi, ed alhi che avessero
cura del danaro. Senza che persuase Pantauco a Gen
zio di mandar ad un tempo ambasciadori, i quali in
sieme con quelli ch’erano mandati da Perseo andassero
a Rodo per trattare la comune alleanza. (8) Lo che_fiz
cendori, ed entrando i Rodii pure in questa guerra , i
Romani, asscrì egli, vinti varebbono con grande_fàcililà.
Genzio condiscese a tutte queste richieste, ed eletti Par
menione e Morco spedilli con ordine, che quando a
vessero presi da Perseo il giuramento e gli statichi,
(g) e fossero d’ accordo pe’ denari, andassero in amba
sciata a Rodo.
III. Tutti costoro adunque recaronsi in Macedonia.
Ma (lo) Paulauco, rimase al fianco del re, andavan am
moneudo e punzecchiando, affinché non ritardasse gli
apparecchi, ma fosse pronto a preoccupar i luoghi, le
città e gli alleati, e sovrattutlo chiedeva da lui che pre
21!
7/
filtrassfl l’occorrevole ad (11) una battaglia navale. Im‘- A. digli.
58perciocclnè essendo i Romani in sifl'atto particolare al
tutto sprovvisti, egli nell’Epiro e nell’Illiria avrebbe di
leggieri mandato ad efi'etto qualsivoglia proponimento
da sé, e per mezzo di quelli che avrebbe inviati. Genzio,
sedotto da questi discorsi, occupavasi nein apparecchi
di terra e di mare. Perseo pertanto, come vennero in
Macedonia gli ambasciadori di Genzio e gli staticbi, par
titosi dal campo circa il fiume Enipco con tutti icavalli,
riscontrò gli anzidetti (1:) presso Dio, e con loro u
nit0si, dapprima prestò il giuramento pell’ alleanza(13) nel cospetto di tutta la cavalleria; perciocchè voleva I
egli che i Macedoni bene conoscessero la società di Gen«
zio, sperando che per siffatta giunta crescerebbe loro
l’animo. Indi ricevette gli statichi, e consegnò i suoi ad
Olimpione, del quali i più illustri erano Limneo di Po
lemocrate, e Balauco di Pantanco. Poscia mandò colo
ro ch’erano venuti pe’danari a Palla, perché colà li pren
dessero. Gli ambasciadori destina-ti per Rodo fece an
dar aTessalonica (14) da Melrodoro, ordinando loro
d’ esser pronti a far vela. (I 5) Persuase così ancor a’ Ro
dii di entrar nella guerra. Poich’ ebbe disposte que‘
ste cose, spedì (16) Crifonte ambasciadore ad Éumene,
ch’ era già stato in addietroa tal uopo mandato; e
. (17) Telemnasto creteSe ad Antioco, (18) esoflandolo a
non lasciarsi sfuggire l’ occasione, e a non credere che
la superbia, ed il duro trattamento de’ Romani a sè
solo giugnerebbono; anzi avesse per fermo, che, (lg) se
ora nol aiutasse, sovrattutto adoperandosi pelle pace,
8 I
A. di R. e, (no) non riuscendo questa, mandandoin soccorsi, e
586
Amb. 86
Amb. 87 ‘
gli ben presto sperimenterebbe la stessa fortuna.
IV. Essendo annunziati i comizii a Rodo, vinse il
partito cui piacque (2|) mandar ambasciadori pella pa
ce. -Per tal modo decise il consiglio le fazioni contrarie
de’ Rodii (conforme è esposto (2.2) nella raccolta delle'
aringhe): nel quale consiglio apparivano molto più po
tenti coloro che teneano con Perseo , che non quelli
che studiavansi di salvare la patria e le leggi. (22.) I Prita
ni crearono tosto ambasciadori che avean a trattar la
pace, per Roma (24) Agepoli e Cleombroto, al console
ed a Perseo, Demone, Nicoslrato, (25) Agesiloco e Te
lefo. Le (26) c0se che a queste tennero dietro esegui
rono nella stessa conformità, ed accumulando gli errori
si tolsero ogni adito alla scusa. Imperciocchè subito
mandaron in Creta ambasciadori per rinnovare con
(27) tutti i Cretesi 1’ antica amicizia , e per esortarli a
considerar i tempi e le circostanze, a consentire col po
polo de’Rodii,ed astringer seco lega d’ofl‘esa e difesa.
Furon egualmente mandate persone (2.8) nelle singole
città a trattar delle medesime cose.
V. (29) Giunti a Rodo Parmianione e Marco, inau
dati da Genzio, e con e3si Metrodoro, e raccolto il con
siglio, (30) fu la ragunan’za al tutto tumultuosa , osan
do già Dinone' manifestamentedi (3|) parlar lu.favore
di Perseo, e Teeteto col suo partito sbigottiti essendo
di quanto accadeva. Imperciocchè l’arrivo (3,2) delle
barche, e la moltitudine de’ cavalieri periti e la tramu
379
9
laz'ionedi Genzio gli avviliva. Quindi ebbe la ragunan
za un termine conforme a ciò che dianzi dicemmo;sen
dochè parve a’ Bodii di risponder amichevolmente ad
amendue i re, e di far loro a sapere, come avean riso
luto di (33) procacciar loro la pace; onde ammonivanli
vi dessero opera essi ancora. Furon eziandio gli
ambasciadori di Genzio accolti e pubblicamente spesati
con molta cortesia.
(35) Polibio nel libro vigesimo nono dice, che Gen
zio re degl’ lllirii menò , perciocchè molto bevea, una
vita assai facinorosa , essendo. sempre notte e giorno
avvinazzato: ed ucciso avendo il fratello (36) Pleurato ,
che dovea sposare la figlia di Menunio , sposò egli la
fanciulla, e crudelmente trattò i sudditi.
_ \
VI. I Roma|ni,(37) per la possanza della rotella, e
degli scudi ligustici fatti di cuoio , valorosamente resi
stavano.
(38) Il primo fra quelli ch’erand presenti, Nasica
cognominato Scipione, genero di Scipione Africano, il
quale in tempi posteriori moltissimo valse nel senato ,
si assunse dicondnrre l’accerchiamento. Il secondo Fa
bio Massimo, figlio maggiore d’ Emilio, ancor giovinetto,
rimossi, alla stessa fazione dichiarandosi pronto. Di ciò
rallegratosi Emilio , diede loro soldati, (39) non quanti
riferisce Polibio, ma quanti lo stesso Nasica dice d’aVer
ricevuti, nella lettera che intorno a questi avvenimenti
scrisse ad uno de’ re . . . A,Perseo pertanto, il quale
A. di a.
586
Ateneo
I. K, c. Il
Suida
alla voce
Héfful
Plutarco
nell’ E
milio
Paullo
10
A. di R.
586
Suida
alle voci
n . A a i
xuis
Suida
alle voci
041.72
e
' A v9upcc
Anysin.
Suir1a
alla vnt‘8
' A era da:
Al’a’.
vedeva Emilio starsi tranquillo alla campagna, nè avvi
savasi di ciò che accadeva, un disertore cretese fuggi
to dalla strada venne significando il giro che facevan i
Romani. Egli turbatosi, non mosse tuttavia l’esercito ,
ma consegnati a Milone diecimila mercenarii e due mi
la Macedoni spedilli, ingiugnendo loro d’accelerare i
passi e di occupare i boschi. (40) Su costoro dice Po
libio, che piombaron i Romani, mentre ancor dormiva
no; ma secondo Nasica avvenne un fiero e pericoloso
combattimento circa le vette de’ monti.
Eclissando la luna (4|) sotto il regno di Perseo il
Macedone , invalse nel volga la fama che ciò denotava
l’eclissamento del re. La qual cosa aggiunse animo a'
Romani, ed avvili i Macedoni. Tanto è Vero il prover
bio comune: che nella guerra v’ha molti (4a) spauracchi.
(43) Il console Lucio Emilio, non avendo mai vedu
ta una falange, se non se allora la prima volta sotto
Perseo, sovente confessò di poi ad alcuni in Roma,
ch’egli non avea veduto niente di più formidabile
e potente che la falange macedoniea: sebben’egli non
solo di molte battaglie quant’ogni altro fosse stato spet
tatore, ma molte ancora ne avesse dirette.
Perseo, avendo un solo proponimento, o di vinccr
o di morire, non gliene bastò allora l’ animo, ma
(45) avvilissi, non altrimenti che (46)i cavalieri mandati
innanzi per ispiare.
di?
I I
Perseo, impiegato avendo tempo e fatica, cadde al
tutto d’animo, conforme fanno gli atleti mal dispo
sti; perciocchè allorquando (48) avvicinavasi il pericolo,
e d0veasi venir a battaglia decisiva, non gliene bastava
il cuore.
Il re de’ Macedoni, siccome dice Polibio, incomin
ciata essendo la pugna, avvilitosi, se ne cavalcò in cit
tà; fingendo di sacrificar (49) ad Ercole , il quale non
accetta (50) da vili sacrificii di viltà, né voli ingiusli a
dempie.
VII. Allorquando Perseo sconfitto se ne fuggì, piac
_ que al Senato di chiamar a sè (51) gli ambasciadori ve
nuti da Rodo per procacciar la pace a Perseo, mentre
che la fortuna come a bello studio traeva in iscena
(52) la stolida superbia de’Bodii, se pur dee dirsi de‘ Ro
dii, e non di quegli uomini che allora preponderavano in
Rodo. Entrato che in (53) Agepoli co’suoi colleghi dis
se, esSer venuto per negoziar la pace; dappoichè il po
polo rodio era entrato in questo pensiero, veggendo
che la guerra andava in lungo, e che (54) a tuttii Gro
ci (55) dannosa riusciva, ed agli stessi Romani palla
grandezza delle spese, ma ora essendo la guerra finita
(56) secondo il desiderio de’ Rodii, c_ougratularsi seco
loro. Agepoli, poich’ebbe detto ciò brevemente, (57) se
ne andò co’suoi compagni. Il senato, valutosi dell’oc
casione, e volendo statuir un esempio ne’Rodii, (58) die
de fuori una risposta, gli articoli principali della qua
le sono questi: Non aver i Rodii mandata quest’ amba
J. di R.
586
Suida
alla voce
anlx
loihles
Plutarco
nel
Paullo
Emilio
Amb. 88
la
A. di R. sceria per amore de’Greci, né di sé, ma di Perseo. Im
586
Ama 89
perciocchè se l’avessero fatta in grazia de’ Greci, il
tempo più opportuno stato sarebbe allorquando Per
seo guastava la campagna e le città de’ Greci, osteggiau
do in Tessaglia pressoché due anni. (59) Ma l’aver tras
curato quel tempo, ed esser ora venuti\studiandosi di
conciliar la pace, mentre le nostre legioni arcano invasa
la Macedonia, e Perseo rinchiuso avea pochissima spe
ranza di salvezza, manifesto rende a chi diritto mira ,
come avean mandate le ambascerie , non con animo di
trattare la pace , ma per disbrigare Perseo e salvarlo,
secondo la l0ro possa. (60) Per le quali cose dissero,
non esser al presente obbligati nè di beneficarli, né di
dar loro benigna risposta. In siffatto modo il senato tral
tò cogli ambasciadori ,de’Rodii.
VIII. Essendo nel corso dell’inverno venuti' nel Pe
loponneso ambasciadori da (61) amendue ire Tolemei
per aiuti, si fecero molte consultazioni, in cui v’ebbero
molte gare. Imperciocchè a Callicrate, a (62)_Diofanfi,
ed insieme ad (63) Iperbato non piaceva che si dessero
soccorsi; ma ad (64) Arcene, a Licorta ed a Polibio pia
ceva che a’ re si dessero secondo la vigente alleanza.
lmperciocchè allora Tolemeo minore era stato dal volg0
dichiarato re, (65) ed il maggiore, per cagione dell’im
minente pericolo ritornato da Menfi, regnava insieme col
fratello. Ed abbisognando essi d’ogni maniera d’aiuti,
spedirono ambasciadori Eumeue e Dionisodoro agli A.
chei, chiedendo mille fanti e dugento cavalli, ed a duce
di tutte le forze alleate Licorta, e della cavalleria Poli
x3
bio. A Teodorida da Sicione mandarono,invitandolo ad A. di Il.
assoldare mille stranieri. Ed aveano per avventura i re
maggiore famigliarità colle persone anzidette (66) pelle
gesta di cui abbiam parlato. Venuti gli ambasciadori,
mentrechè il congresso degli Achei era in Corinto,
(67) e rammentati avendo i grandi beneficii della casa
regia verso di loro, e posto sott’occhio l’infelice stato
de’ re, e richiedendoli d’ aiuti, era la moltitudine degli
Achei pronta a combattere non con una parte delle
forze, ma con tutte eziandio , ove fosse stato mestieri,
in favore de’re: (68) (ché amendue aveau il diadema e
la potestà regia). Ma Callicrate ed il partito di lui vi si
opposero dicendo, non dovere generalmente gli Achei
(69) mescolarsi negli affari altrui, e sovrattutto ne’ tempi
presenti, ma tenersi liberi da ogni distrazione, affine
di prestar i loro servigi a’ Romani. Imperciocchè allora
principalmente aspettavasi la (70) battaglia decisiva, sver
nando Quinto Filippo in Macedonia.
IX. Essendo pertanto la moltitudine caduta nel
dubbio di apparir poco curante (le’ Romani, Licorta e
Polibio , ripreso il discorso la istruirono, e molte cose
adducendo rammentarono , come (7|) 1’ anno addietro,
avendo gli Achei decretato di soccorrere con loro sforzo
i Romani, e mandato Polibio ambasciadore , Quinto,
aggradito il loro buon animo , disse , non aver bisogno
d’ aiuti, dappoichè avea superato l’ingresso in Macedo
nia.Donde dimostrarono esser mero pretesto il se'rvigio
de’ Romani, affine di far sospendere gli aiuti. Il perché
esortavano gli Achei,‘ dimostrando la grandezza del pe-'
ricolo, in cui allora trovavasi il reame, a non 'negligere
586
14
A. di R. l’ occasione, (ya) ma ricordandosi delle convenzioni e
586
4
de’ beneficii, e sovrattutto de’giuramenti, a serbar i
trattati. (73) Esponendo di bel nuovo la moltitudine u
nanimamente la opinione che si soccorresse, Callicrate
(74) sospese la deliberazione , spaventando i magistrati
con dire che non aveano facoltà secondo le leggi di
consultare (75) in p0polare ragunanza intorno agli aiuti.
Dopo qualche tempo raccoltoài il senato in Sicione,
a cui intervenne non solo il (76) consiglio, ma tutti da
trent’ anni in su, ed essendosi fatti molti discorsi, e con
fermando singolarmente Polibio , primieramenle che i
Romani non avean bisogno d’ aiuti (Io che egli sembrava
non dire gratuitamente, essendo (77) nella passata stagio
ne stato in Macedonia (78) presso Marcio Filippo), in
secondo luogo dicendo, che ove i Romani bisogno aves
sero di forze ausiliarie, gli Achei per cagione di dugento
cavalli e mille fanti che manderebbonsi in Alessandria,
non sarebbero nell’impossibilità di soccorrer i Romani,
dappoicllè (79) giustamente valutate sommavano le loro
forze trenta ed anche quaranta mila combattenti: la
moltitudine approvando questi detti inclinava al mandare
soccorsi. Il giorno appresso, in cui secondo le leggi
(80) i consultori propor doveano i decreti, Licorta propo
se, che s’avessero a mandare gli aiuti, e Callicrate che si
dovessero spedir ambasciadori per riconciliare i re con
Antioco. Ed essendo di bel nuovo recate innanzi queste
deliberazioni, nacque una gagliarda contesa; ma il par
tito di Licorta. era molto superiore. Imperciocchè con
frontati (81).i due regni, trovassi che grandemente dif
ferivano. Conciofosscchè sotto quello dl Antioco scarse
15
prnove _di famigliarità co’ Greci si riuvenissere ne’ tem- A. di R.
pi addietro (sebbene quegli che allor regnava era ma- 586
nifestamente generoso verso i Greci )', ma dal regno di
Tolemeo tali e tante beneficenze ridondareno 3in A
chei ne’ tempi passati che (Sa) a nessuno più. Le quali
cose Licorta condegnamente sponendo diede lor grande
spicco; che dal confronto perfettaente risultava la diff
ferenza. Imperciocchè, siccome facil non era ,d’ annove-_
rare i beneficii de’ re d’ Alessandria, cosi non p0tea tro
varsi alcun tratto di henignità nel regno d’Antioco,
donde agli affari degli Achei derivasse qualche ragione.
vele, vantaggio.
X. Continuarono per qualche tempo (83) Audronida Amb. 9|
e Callicrate a discorrere sulla mediazione della pace; ma '
non dando ad essi nessuno retta, introdussero un’ astu
zia. Venne dalla strada nel teatro un corriere con una
lettera da Quinto Marcio , per mezzo della quale esor
tava gli Achei, che seguivano la volontà de’Romani, ad
ingegnarsi di pacificar i re. Imperciocchè avea il senato
ancora mandati ambasciadori con (84) T. Numisio per
conciliare celeste pace. Ma era ciò (85) contro la loro
supposiziene; dappoichè Tito, non avendo potuto rap
pattumar i re, ritornò a Roma seuz’ aver operato nulla.
Polibio pertanto, non volendo per rispetto di Marcio
contraddir alla lettera, (86) si ritrasse dagli affari. Cotal
esito ebbe la discussione intorno aglijajuti da mandarsi
a’ re. Ma agli Achei piacque di mandar ambasciadori'
per trattare la pace, ed a questo effetto elessero Arcene
da Egira, Arcesilao ed Aristone da Megalopoli. Gli am
‘ basciadori(87) di Tolemeo, delusi del soccorso, diedero
16 ‘
A. di a.
586
me. ga
a’ magistrati una lettera de’ re che tenevano pronta ,
nella quale chiedevan agli Achei di mandar loro Licorta
e Polibio per la presente guerra.
XI. (88)Esseudo venuto Antioco a Tolemeo per
ottenere Pelusio, Popillio duce supremo de’Romani,
al re che il salhtava da lontano colla voce, e‘ stendea
verso di lui-la destra , porse la tavoletta ch’egli avea
nelle mani, nella qual’era (89) scritto il decreto del sena-'
to, ed ordiuògli innanzi ogni cosa di leggerla, (go) sde
gnando, secondochè io credo, di dare il segno d’ami
cizia , avanti di conoscere l’Inteuzione di colui che gli '
porgeva la destra, se amico era od inimico. Poiché’il re,
avendo letto, disse, che volea consigliarsi coin amici su
cotal novità; Popillio, ciò udito, fece una cosa, che seto
brava, a dir vero dura e superbissima. Iniperciocchè a
vendo la mano una bacchetta di vite , circoscrisse con
quella Antioco , ed in cotesto circolo gli comandò di
dare la risposta intorno allo scritto. Il re attonito del
fatto e della superchierìa, stato alcun poco sopra di sé,
disse, che farebbe tutto ciò che fosse comandato da’ Ro
mani. (92) Allora Popillio ed insieme coloro ch’erano
seco, presa la sua destra, il salutarono amichevolmen
te. Era il tenore dello scritto, che subito ponesse fine
alla guerra con Tolemeo. Dategli adunque il termi
ne d’alcuni giorni, Antioco condusse il suo eserci
to (93) in Siria, dolente e gemeboudo si , ma cedendo
frattanto alle circostanze. Popillio, com’ ebbe riordinate
le cose d’ Alessandria, ed esortatii re alla conCordia,’
cd imposto loro ancora di mandare Poliarato in
ferri a Roma, navigò alla volta di Cipro, volendo quanto
I7
prima cacciare dell’isola le forze d’Anlioco che vi era- J. di 15‘.
no. Giunti colà, e trovatii capitani di Tolemeo sconfitti
in battaglia, (95) e tutto Cipro a soqquadro, fece subito
uscire l’ esercito da quel luogo , e vi rimase stanziato,
finché le forze salparono palla Siria. I Romani per tal
modo salvarono il regno di Tolemeo, che per poco non
era (lisfatlo; governaudo cesî la fortuna gli affari di Per
Seo e de’ Macedoni, che Alessandria e tutto l’ Egitto
venuti essendo nell’ estremo pericolo, raddrizzaroasi di
bel nuovo per ciò appunto, che antecedentemente com
piuto era il destino di Perseo. (96) Che se ciò non fosse
accaduto e fattosi noto, a me non sembra che Antioco
ubbidito avrebbe a’ comandamenti ricevuti.
FINE DEGLI AVANZI DEL LIBRO VIGESIMO NONO.
roumo, (0m. ruz. . 2
586
\
tN"
253
SOMMARIO
AGLI AVANZI DEL LIBRO VIGESIMO NONO.
Arr.uu o’ ITALIJ.
IL senato romano manda C. Popillia ambasciad0re in E
gitto (S I).
Gonna PERSICA.
Trattato di Perseo con Genzio(S II-III). - Ambasceria di
Perseo a’Rodii - ad Eumene - ad Anlioro III). - I Rodii
mandano ambasciarlori a Roma ed a Perseo con animo di con
ciliare la pace - ed a’ Cretesi per rinnovare l’amicizia (5 IV). -
Gli ambasciadori di Perseo e di Genzìo arrivano in Rodo (5 V). -
Scudo ligure. - Scipione Nasica discente da Polibio secondo
Plutarco. -Eclisse lunare. - Emilio attonito della falange maccdonica. - Perseo dà le mosse Val/a fuga. (5 VI). _- Asluta
nrnbasceria de’ Rodii mandato a vuoto dal senato romano (S VII).
Jr‘rdnl n’Ecn-ro s m SUI/4.
Due fratelli Tolemei regnano contemporaneamente in Egit
to. - Chieggon aiuti dagli Auliei. - Questi deliberano. - Cul
licratc dissuade (S. VIII). - Livorta e Polibio persuadono. -
Gli Aclttl dfli:riscono di parere circa l’aiuto da mandarsi a’
Tolernei (S IX). - T. Numisio nmbasciudore a’ Tolemei e ad
20
Jntioeo. - Gli Achei mandnn ambascindori per rappottumare
i re. - I Tolemei chieggano Livorta e Polibio a condottieri
del? esercito (S X). - Popillio confina Antioco in un circolo.
Antioco abbandona l’Egitto. - Popillio scaccia da Cipm le
forze d‘Antioco. - L’ Egitto conservato a’ Tolemci da’ Romani
(S Xl).
h“
’-ès
ANNOTAZIONI
AGLI AVANZI DEL LlBRO VIGESIMO NONO.
-_Qflc’
Continua in questo libro la narrazione della guerra de’ Ro
mani con Perseo sino alla sua fine. Se non che tranne l’ alleanza
che fece questo re con Genzio innanzi d’ entrare nell'ultimo ci
mento, tutto il resto può considerarsi perdute, ben poco essendo
ciò che Ateneo e Plutarco nell' esporre i fatti a cotesta guerra
appartenenti attribuiscon a Polibio. Intorno all’epoca di questi
avvenimenti veggasi l’ introduzione alle note del libro xxvm.
(1) Il senato ecc. Che Polibio incominciasse la storia di cia
scbednn anno degli avvenimenti d’Italia, siccome pretende lo
Schweigh., non apparirà vero a chi si porrà ad esaminqri libri
che di lui ci sono pervenuti intieri; dappoichè negli altri, de’quali
non abbiamo che frammenti più o meno ragguardevoli, manca
sovente la relazione delle geste che al principio del libro corri
spondono. E male, cred' io, si appoggia quel commentatore, per
provare la sua asserzione, a quanto scrisse il Nostro verso la fine
del lib xxvm, c. 14. Imperciocchè la sposizione delle dicerie
dein ambasciadori e delle risposte ch’ ebbero avanti d’ indi
rare la loro elezione e spedizione, conforme colà leggcsi, di
mostra bensi che le pratiche del senato romano, dove quelle di
cerie e quelle risposte si pronunziarono, ai narrassero anterior
mente agli affari dc' paesi che ambasciadori a lui mandavano ,
- ma non altrimenti che la storia dell’anno sempre incominciasse
I
22
da’ fatti in ltalia accaduti. Alla nomiuazione di Popillio e degli
altri ambasciadori ad Antioco, che furono C. Decimin e C. Osti
Iio, tengono tosto dietro in T. Livio (xx, lv, ao) l’arrivo de’le
gati dalla Macedonia, annunzianti la cattivaposizione dell’eser
cito romano e la spedizione aqnclla volta del console L. Emilio
con un giusto esercito, e di Cn.0ttavio colle forze navali; poscia
seguono, quei fatti contemporanei a quelli d' Italia poc' anzi rac
contati, le cose elle nel prossimo capitolo espone il Nostro. Quindi
bene fece lo Schweigb. a trasportare qui la presente ecloga dal
luogo che assegnato le aveano gli editori che lo precedettero.
(a) Efra poco. Vedi xxvm, 18.
(5) Essendo ecc. Ciò che manca al compimento di questa nar
razione puossi ripetere da Livio (xuv, 13 e seg.) e da Appiano
(De reb. Maced.fragm. xvn) , donde Ù maggiormente apparisce,
aver Perseo per avarizia precipitati i suoi affari; dappoichè coi
danari non solo indotto avrebbe Eumene a non prestar in quella
guerra soccorsi a’ Romani, ma avrebb’ eziandio aggiunto al suo
esercito un notabile rinforzo di Galli abitanti nella Gezia apiede
ed a cavallo. Perfino de’ trecento talenti, che per patto sommi
nistrar dovea n Genzio, non esborsò egli che dieci, trattenendo i
rimanenti come vide che quel re incominciata ebbe la guerra coi
Romani, imprigionando gli ambasciadori che questi avean a lui
mandati.
(i) Gensio. È singolare, conforme osservò già lo Scbweigh., che
in Polibio ed in Appiano trovasi questo nome costantemente scritto
col 5, quando Livio lo scrive dappertutto col 1', sebbene il th e
sprime sempre nell’ idioma latino quella greca consonante. Forse
non Vollc Livio deviare nella scrittura di questo nome proprio
da quella degli altri latini che hanno la medesima desinenza,sic
come Mezentiur, Prudentius. '
(5) E le convenienti sicurezze. Queste erano gli statichi ed il
giuramento. La somma poi degli affitti comprendeva gli articoli
della convenzione, nè veggo col Reislte il bisogno di mutare qui
l'iAìv in iz'Mtuv, quaaichè Genzio chiedesse mollevcria pe’ri
manenti danari che non avea per anche ricevuti. Qui lrattavasi
661
23
soltanto della stipulazione dell'accordo, non già della consegria
de’ talenti che seguir dovea poscia in Palla.
(6) Che Genzio mandasse ecc. Livio dice: U! 0bst'des ul
tra citroque darentur (che si dessero staticbi dall’ una parte e
dall’altra), omettendo la circostanza notata da Polibin, che darsi
dovessero tali che a'plenipotenziarii di Perseo ed a Genzio pia
cessero maggiormente, donde procedeva sicurezza più valida a
gl’ interessi d’ amendue. In generale è più estesa la relazione che
dà il Nostro di questo trattato che non quella che ne lasciò lo
storico romano.
(7) Meleone della Labiatìde. Era questa provincia illirica,se
condo Plinio (m, 25, no), una di quelle che avaauo città greche,
e tale sembra essere stata la qui mentovata i cui abitanti altrove
(n, a) il Nostro appella Medionii. Veggasi intorno ad essa colà la
nota 6. L’ Orsini vorrebbe che, seguendo Livio1 si leggesse Ille
deone, e si riferisce alla scrittura eguale di Plinio nel luogo ci
tato, dove pertanto non trovasi rammentata cotesta città.
(8) Lo chefacea ecc. Hanno più efficacia presso Livio le pa
rnle di Pantauco, autore dell’ambasciata da farsi a’ Rodii: Po
tersi, gli fa quello storico dire, incitar i Rodii alla guerra in
nome de’ due re uniti. .lggiunla la costoro repubblica,che sola
possedeva la gloria delle cose navali, nèper terra,nè per'mal‘e
rimarrebbe a’ Romani speranza alcuna.
(g) Efosscro d' accordo pe' danari. Secondo Livio (xuv, 03)
non dovean essi andar a Rodo prima d’aver ricevuti i danari:
et pecunia accepta, tam demum Rhodum proficisrerentur. L’ac
cordo pertanto del quale qui ragionasi non 5’ aggirava sulla som
ma da pagarsi, cb’ era già stabilita in trecento talenti, ma_ sul
modo del pagamento. Infatti giunti gli ambasciadori in Pella ,
coqvennero con Perseo di coniare 1’ 0:0 pattuito, ol' argento che
fosse, coll’ impronta illirica, lo'cbe fu loro dal re conceduto;
quantunque poscia gl’ingannasse, mandando a Pantauco rimaso
presso Genzio soli dieci talenti, perchè glieli conscgnasse, e fa
cendo portar loro dietro il resto della moneta sino a’confmi
della Macedonia, dove ordinò che si fermasse sino a nuova sua
24 , _
't‘“.‘;--______
disposizione, conforflme riferisce Livio al cap xxvu dell’ indicato
libro. ‘
(io) Ma Pantauc0. Allorquando costui instigava Genzio ad
operare con efficacia contro i Romani, gli ambasciadori ritornati
dalla Macedonia non arcano per anche consegnata a quel mini
stro di Perseo la piccola somma della quale di sopra parlammo,
ma continuò egli le stesse pratiche eziaudio dopo la sordida a
zione, ed il re d’ llliria, non si tosto ebbe commesse le prime
ostilità, che defrautlato fu dall’avaro Macedone di pressoch‘e tutta
la somma pattuito.
(il) 1411 una. battaglia navale. Quantunque gl’ Illirii non si
cimentasscro co' Romaui ad una battaglia di mare, abbiamo ciò
non pertanto da Livio (xxrv, So) che Genzio per suggerimento di
Pantuuco mandò ottanta navi a guast'ar i campi situati sulla co
sta di Dirrachio c d‘ Apollonia, città alleate de’ Romani. Le quali
navi soprapprese dall’ armata romana a questa si art‘eudettcro.
(1'!) Presso Dio. ll testo ha in 7‘. Ai’u, quasichè propria
mente nella città di Dio fosse avvenuto lo scontro. Livio pertanto
scrisse ad Dium, cher\corrisponde a presso, verso, e lo Selxw«:igh.,
cita nel dizionario Polibiano parecchi passi del Nostro ne’ quali
in coll’ accitsativo del nome che segue ha il significato di npc.
Che se dentro a Dio si fossero raggiunti i Macedoni o gl’ lllirii,
conveniva forse porre 'u 7; Ai', (lat, in Dio Ma dove, sic
come qui e negli altri luoghi rammentati dallo SeltWeiglt., bassi
ad esprimere moto, non disdicesi la frase dal Nostro usata. Così
leggesi in Senofonte (Cyrop. vu. 5, 41): trafîv ìn7à èu7‘o zaftlor,
venne nello stesso lungo.
(13) Nel cospetto. Livio amplifica la cosa, facendo circondare
la comitiva dalla cavalleria che il re Non seco, circumfuso ag
mt'ne equilum,‘ e forse la faccenda Sarà stato cosi, dappoichè la
ristrettezza dello spazio, a cui per formare circolo (l0\'(‘uSl ridurre
quella milizia, era più a proposito perché tutti vedessero bene ed
udissero ciò che operavasi c parlavasi, che non la posizioneschierata. i
25
(14) Da Metrodoro.Fu costui. a detta di Livio, poc’ anzi manda
Io in Tessalonica per autorità di Diuone e Poliarato (intorno a' quali
ragioni) il Nostro nel c. 6 del lib- xxvn), principali della fazione
favorevole a Perseo presso i l\odii, affinché annunziasse essere i
suoi concittadini apparecchiati alla guerra. Gli ambasciadori illi
rici imbarcaronsi seco lui, che fu loro dato a capo, nell’anzidetta
città. marittima. ‘
(t5) Persuàse eziandio a’Rodii ecc. Dopo ciò che Metrodoro
ebbe annunziato a Perseo circa la disposizione de’ suoi concitta
dini -ad unirsi con lui contro i Romani, non facea mestieri di
siffatta persuasione. Io pertanto non credo Collo SchWeigh., che
queste pa_role sicno anticipate da quanto segue, ed un’ abbrevia
zione fatta dal compilatore; sembrami anzi che una menda più
significante vi sia uasi:osa. Forse scrisse Polibio, che Perseo avea
ordinata la pronta partenza degli ambasciadori, posciachi: udì da
liletrndoro che i Rodii persuasi erano alla guerra, ed in tal caso
sarebbe da leggersi: ’t'a-u7m (facilmente scambiato per ‘e'xlm)
nati 70i15 'PsrÌ/ifi îiuufl d'uliptfiat'rlfl (in luogo di tru,u,Bdt'rln
già corretto dallo Schweigh.,) 'u: 7‘" z.Aepu (poiché udì ch’cn
ll‘ereblwno nella guerra).
(16) Grifonte. Eroponte (Eropon) il chiama costantemente Li
vio (xuv,‘ 24. 27, 28), che il Crevier la prima volta, avendo pre
sente la scrittura del Nostro, mutò in Crifonte (Cryphon). Il
lìeiske, non so perchè, propose 'HpaQiiflu (Erofonte), Xm,o@iflu
(Gherofonte), ovvero Kpmpu7nv (Cresfonte). Ad ogni modo dee
tenersi la lezione di Livio, o quella del Nostro.
(l7) Telemnasto. Se questi fosse il medesimo che trenta e più
anni prima, duce essendo di cinquecento Cretesi, prestò agli Achci
utili servigi nella guerra contro Nabide (xxxm, 15) è difficile a.
dirsi.
(t8) Esortandoli. Questa parola che ho aggiunta al testo:
ed a cui corrisponde il monens dello Schweigh., non esprime già il
nn'lifm‘ che lo stesso trar vorrebbe dal periodo anteriore, a meno
che non vi si aggiunga iurii'r (ordinando che dicessero), od altro
\
26 _ _
verbo simile. È più probabile che Polibio scritto abbia 7rspnu
Aiuuv.
(19) Se ora. Sembrb il testo imperfetto al Rciske. il quale a
in fai) mi 16: aggiunse 37;, che non hassia rigettare, comechè
non sia necessario. Se ora pure ,- se ora finalmente suonerebbc
in italiano la frase greca con siffatta giunta.
(no) E non riuscendo questa. S’ inganna lo Schweigb.,sti
mando qui superflua la particella negativa fasi, che manca nel cod.
Bav. I testi d’0mero da lui citati dimostrano bensì che all”n 5‘:
si può sottintendere fiiuAs'lm ovveramente 9iAn; ma a que
sto luogo non si adatta punto siffatta frasc- Perseo avrebbe in tal
senso mandato dicendo ad Antioco, ch’ egli si adoperasse per la
pace, e se vonasse gli spedisse soccorsi. Chi non vede come il
buon successo della prima di queste proposizioni escluder dovea
il bisogno dell'altra? Piuttosto sembrami che abbiasi a supporre
dopo si di [là la mancanza di dóm'lzs, se non può conseguire
la pace, se non gli riesce d’oltenerla.
(ai) Mandar ambasciazlori per la pace, « cioè per la pace
da stabilirsi trai Romani e Perseo, la qual cosa tentarono già di
trattare co’ Romani nell’ antecedente ambasciata. n Scl!Weigh.
Confronta su ciò il cap. |4 del lib. xxvnr e colà la nostra an
notazione 107.
(un) Nella raccolta delle arringhe. Siccome per ordine di
Costantino Porfirogeneto furon estratte le ambasceriee gli esem
pli di virtù e di malizia contenuti nelle storie del Nostro edizi
tri, così sembra che fossero raccolte le scelte orazioni tenute al
popolo, Aspoyspiei, tra le quali, se fossero a noi pervenute, sa
rebbono tutti i discorsi che in quella occasione si fecero nel con
siglio de’ Rodii. Bene osservò dunque il Reiske, che le parole
',qui addotte non sono di Polibio, ma del suo compendiatore, il
quale avverte d’aver omessa una parte delle parole del Nostro,
che contenute sono nella summentovata raccolta. Il Casaub. tra
duce questo passo per modo, che credersi dovrebbe avere scritto
Polibio un trattato. sulla maniera d’ arringar il popolo. Sicnt (li
97
rlum est, sono sue perde, quum de more conciones ad popu
hmr habendi agerefitus.
(‘13) I Pritani'. Di questo maestrato supremo de’ Rodii tro
vasi fatta menzione in varii luoghi dl questa storia. Sembra clic
ciaschedun anno due ne fossero nominati, ma che un solo ne fosse
in carica ogni semestre (xxvn, 6). Negli affari più importanti è da
supporsi che amendue si adoperassero, conforme veggiamo che
qui accadde.
(24) Agepoli e Cleombrolo. Lo Schwigh. trovato avendo nel
suo cod. Bav. Jr‘a m; KAsu’pfipo'luit: luogo di sul KA. credette che
quelle voci insignificanti fossero le tracce del nome (1’ un terzo amba
sciadore che fors'era secondo lui Au'yiur (accus. Auy€n;) dappoichè
avendone i Rodii mandati quattro al console ed a Perseo, ei si
conveniva pure che ne inviassero tre a’ Romani, dove già in ad
dietro n’ ebbero spedito un egual numero. Io non sono di cotal
avviso; giacché, se quelle due storpiature del cod. Bar. fossero
avanzi d’ un nome, svanirebbe il sul copula premessa sempre a cia
scbeduno degli ambasciadori. Nè sarebbe stata men onorevole
l'ambasceria destinata per Roma, composta di due soliindividpi,
quando nell' altra n’erano quattro, che pure come doppia dee
considerarsi, incaricata essendo di trattare col re di Macedonia ed
insieme col console romano. Livio che sorpassa quest'ambasce
ria, o la cui relazione su tal avvenimento andò smarrita, siccome
è più probabile per le molte lacune che trovansi in questa parte
della sua storia, Livio, dissi, non può recat‘ alcuna luce alpresente
luogo. '
(25) Jgesiloco. Intorno a questo nome veggasi la nota II?)
al lib. xxvm.
(26) Le cose cc. Il 7o'o7,u vulgata è certamente uno sbaglio; ma
non v’ha ragione di sostituirvi7éflu; proposto dal Reiske, anzi.
che 7a'u7m prescelto dall' Orsini, sendochè il Nostro fa regger
all'iiiî; promiscnamente il secondo ed il terzo caso. Se non che
stimando il Beiske e lo Scbwigb, che 7) vv'llzI-i sia una ripetizione
inutile dell’iiîîs che il precrde, diedero all’l2îr il significato di dei/1
_Z‘Ì)
28
de (poscia); ma non parmi che con siffatta mutazione di senso
abbiau essi migliorata la condizione del testo, che suonerebbe:
Pescia le cose seguenti eseguimno, accumulando ec ; a nulla dire
che lo Schweigh. ne devio nella traduzione scrivendo: Secundum
haec etiam reliqua convenienler istis adminislrarunt. Il qual
conqenienter islis, lasciando 'iEîr in qualsivoglia de’ due sensi
accennati, non trovasi nel greco. Il perché io vi sostituirei '0'pollr,
che molto bene terrebbe dietro a ro’vrg 6‘ comechè diverso dal
vocabolo de’libri che in nessun modo può tollerarsi.
(27) Tutti i Cretesi. Sebbene riscontrasi in più luoghi del
-Nostro il Kpflmais che qui leggasi in vece di Kpfllz; da K,Qlis;ciò
non pertanto non mi dispiace il suggerimento del Reiske di leg
gere flémpq'luf, siccome trovasi Ilariavts, erzzauai, 114,430
1070l, tutti i Ionii, tutti gli Achei, tutti iBeozìi ch’ erano can
federazioni da varii stati composte.
('18) Nelle singole città. Di Creta, secondo il Beislte, essendo
l’ambasceria testé mentovata diretta a tutti i Cretesi in generale:
'provvidenza in quell'isola necessaria, dappoichè, conforme abbiam
giù altrove osservato,i singoli stati non erano gran fatto subor
dinati alle decisioni de’congressi generali.
(29) Giunti a lindo cc. Dice Livio (xuv, ‘29) che all’arrivo
de’ legati macedoni ed illirii aggiunse autorità presso i Rodii la
contemporanea comparsa di quaranta barche maccdoniche, vaganti
per le Cicladi e per il mar Egeo, e la unione de' due re Perseo
e Genzio, e la fama d’ un grande sforzo di fanteria e di cavalle
ria de’ Galli che venivano. ‘
(So) Fu la ragunanza. Brevcmente si spaccia Livio dal ri
sultato di questa conferenza, taceudo i particolari qui addotti dal
Nostro che vi ebbero tanta influenza. ‘
(5|) Di parlar in favore di Perseo. Ai7€n 724 705 flipflnr
è propriamente esporre cose tali che persuadann al consiglio le
ragioni di Perseo; nel qual senso di persuasione trovasi in Se
noi'onte (Cyrop. Il, 4, t7) KniAàrnu Aiyur, ottime cose mi per
snodi.
29
(5a) Delle barche di Macedonia poc’ anzi rammentato. - De‘
cavalieri periti, cioè de’ Romani uccisi nella battaglia equestre
vinta da Perseo. - La tramulazione di Genzio, il quale dapprin
cipio ricusava l’alleanza di Perseo contro i Romani.
(35) Di procacciar loro la pace. Con ragione 1’ Ernesti ri
ferisce ’iu707; (loro) a’ due re (7ai; ,BanAiuw), per modo
che ne risulta il senso che noi abbiamo espresso. Infatti ò’mìiónv,
‘che qui è nel modo attivo, non può stare senza la persona a cui
dirigesi l’azione; laddove quando è assoluto trovasi nel medio
(dm7uia9m). 'Oltrechè in tal ipotesi non è necessaria la traspo
sizione di parole (utipfiu7or) che piace allo Schweigh. di ricono-’
scer in questo luogo (323n7m u'tl7oî; 6mM’m: in vece di 623.
anni. éu7n'ic).
(54) Gli ambasciadori di Genzio. Vorrebbe il Reiske che a
costoro si aggiugnessero anche quelli di Perseo; ma egli a mio
parere s' inganna. giacché dal principio del capitolo scorgesi che
gl’ inviati soli di Genzio erano giunti a Rodo con Metrodoro,
venuto a Tessalonica per imbarcarli. Perseo non aveva altrimenti
bisogno di mandar ambasciadori a’ Rodii, poichè riseppe da Me
trodoro ch’ erano disposti ad entrar in guerra do’ Romani. V. so
pra cap. 5, e colà la nota 15.i (55) Genzio. Ateneo, dond’ è tratto questo frammento, scrive
FirS/nm, Genthiona, accusativo greco di I‘év5/uv,Gefll/zion, aven
dolo altrove (xiv, p. 440) nominato I‘h7uv, Genthion, come
Livio. Crede pertanto il Casaub. nelle annotazioni ad Ateneo, che
I‘nSfu sia la vera scrittura, come l’ha Polibio. 4 '
(36) Pleurato. Secondo Livio (xuv, 50) chiamavasi il fra
tello ucciso da Genzio Plalore, ed Onuno, Honunus, era il nome
del principe de’ Dardani, la figlia di cui quell’ infelice dovea im
palmare.
(37) Per la po.ssanzd ec. Dal Nostro tolse Livio (xuv, 35 ),
nella descrizione dell pugna tra le milizie leggiere de' Romani e
de’ Macedoni, le espresswni (che qui riscontriamo: Comirms, stabi
lior et tulior, aut panna, aut scalo ligustino, Romana; eral.
30
(Davvicino era più stabile e più sicuro il romano, per la rotella
c per lo scudo ligustico). Tuttavia crede Lipsia (deMilit.Ram. III. a)
essere lo storico romano qui mutilato, e da Plutarco, che descrive
questa pugna, meglio conoscersi appartener amendue gli scudi
all’armadura leggicra; dappoicltèi veliti romani portavano la
parma, ed i Settecento Liguri che, per relazione di lui, insieme
con essi combattevano e leggermente erano vestiti, lo scudo della
loro nazione. - Del resto era la panna propria de’ Romani; il
perchè rimase nel greco la sua denominazione waip,zq. Secondo
Varrone (De ling. lat. lV, p. 35 ed. Gryph.) fu cosi chiamata
per essere dal mezzo eguale in tutte le parti, quod a medio in
omnes partes par, rotonda adunque e meritevole, se non vado
errato, del nome italiano che le abbiam attribuito. Lo scudo li
gustico poi copriva tutta la persona, conforme riferisce Diod. Sic.
(xxm, ecl. 4), e traeva nella favella greca la denominazione dal
cuoio, fitipm, che n’era. la principale difesa, la parte interiore es
sendo di legno. '
('58) Il primo cc. Questi) due brani tolse lo Scbweigh. da.
Plutarco, perciocchè contengono due asserzioni di Polihio, che
suonano diversamente da quanto su' medesimi particolari riferi
sce un uomo di autorità somma ch’ebbe parte nella fazione qui
descritta. Cotal motivo pertanto non mi sembra abbastanza plau_
sibile per giustificare l' introduzione d’un articolo che tutto ad
altro scrittore appartiene. Tuttavia non volli omettcrlo, avendomi
sino dal principio del presente lavoro proposto di non violare
l‘ integrità del testo, quale ne lo diede l' ultimo benemerito edi
tore di Polibio.
(59) 'Non quali riferisce Palibio ec. Sappiamo da Livio
(xt.tv, 55), che il numero de’ soldati scelti che, in quella occa
sione Emilio gaqu5liede a Nasica suo genero ed a Fabio Mas
simo suo figlio ascendeva a cinquemila uomini. Se poi lo storiCo
romano siasi attenuto in riferendo quel numero, alla relazione del
Nostro od a quella di Nasica, non è possibifli a determinarsi. Reca
ben;i mamviglia, come Plutarco siasi limitato ad accennare la con
31
"addizione tra i due documenti, senz’ addurre ciò che nel pro
posito l' uno e l’ altro contengono.‘
(40) Su. castoro dice Polibio. E perduta la narrazione fatta
da Livio dell’esito di questa sorpresa; quindi non possiamo sa
pere se ein seguito abbia in ciò il Nostro, ovveramente la spo
sizioue del duce romano. Tuttavolta potrebbero amendue aver
avuta ragione, in quanto che non asserisce Polibio che i nemici
sopraggiunti dal sonno fossero senza resistenza tagliati. ,
(4:) Sotto il regno di Perseo. Queste parolel nelle quali ab
biam renduto l'ìr} Dry-vai; del testo, fanno conoscere che il
brano qui citato e un ristretto compendio a cui ridusse Suidi:
la sposizione che Polibio fece del presente avvenimento, e che più
esteso trovasi in Livio (xuv, 37)cd in Plutarco (Aemil. p. ‘264).
(42) Spauracchi. Kuì che leggesi nel testo significa propria
mente cosd vane, che non hanno alcuna ragione, alcun fonda
menta; ma qui deve intendersi nel senso di vani terrori che una
falsa opinione sparge tra la milizia che accingesi alla pugno , e
che altrimenti dicesi ancora lermr panico, sul quale veggasi la
nota 5î7 al lib. 5. Nelle edizioni di Suida anteriori a quella del
Kustero era mania, nuove,slrane , che questi ridusse alla lezione
più probabile, dichiarata già dal Casaubono in una uoterella più
conforme alla mente di Polibio.
(45) Il console cc. « A Polibio, che Suida non nominò , riferì
questo frammento per il primo l’ Orsini, poscia il Casaub. Cou
fronla Plutarco nell' Emilio p. 264. La narrazione di Livio là,
dove trattavasi della stessa cosa , è Iaceru al lib. xuv, 40 n
Schweigh. Livio non parla punto di questa confessione d’Emilio
nel luogo testé citato; sibbene fa egli nel cap. seguente (4 I) co
noscer brevemente, col fatto di questa battaglia, i vantaggi ed i
disavvantaggi della falange, su’ quali molto si estese il Nostro nel
lib. me, cup. 11 e seguenti.
(44) Formidalu'l e potente. Per evitare la ripetizione, che un
argomento cotanto severo, qual è il presente, male sopporta, ho
creduto di dare al 3uniiqu il senso di forza che ha questo ag
«295‘
32
gettivo, non solo nel fisico, ma cziandio nel morale, siccome
quando lo si applica all’ eloquenza, alla perizia in alcun’ arte. -
Del resto consisteva la formidabilità e forza di quest’ ordine di
milizia in ciò, che di fronte per la sua densità non poteva attac
carsi con successo, ma lo si faceva a’ fianchi ed alle spalle, ove
t|irhavasi la continuazione dello schieramento per qualche inter
stizio che vi nasceva a cagione dell’ineguaglianza de'luoghi o d’al
tri accidenti che sconcertavano la pugna.
(45) Avvilisqì. Timori succubuit tradusse lo Sehweigh.; e
Suida definì &m8";.ifi, ‘tii;die, temeva. Ma siccome 3uAi'u la
miseria e viltà anzichè semplice timore , che talvolta può esser
ragionevole, così ho scelto il verbo che a quello stato dell’animo
Corrisponde.
(46) [cavalieri mandati innanzi. Lo Schweigh. dice che non
bene comprendeva il testo zaSaiflp ii srfec’z‘7nu 781 iqtiav.
A dir vero, la sua traduzione specttlatores eqm'tnm è affatto
oscura; meno lo èla correzione ch’egli ne fece nelle note: Equi
tcs speculatum praemissi, che io ho ritenuta nel volgarizzamenlo.
Tuttavia sembrami che dare si possa a queste parole il seguente
senso. I cavalieri, soli rimasi salvi dalla strage di pressochè tutti
i fanti, conforme riferisce Livio (Xt.lv, 42), furono in parte man
dati innanzi da Perseo, affinché esplorassero se v’ avea pericolo
nella ritirata ch’egli meditava di fare, e questi stessi cavalieri
non meno di lui erano avviliti.
(47) Gli atleti mal disposti del corpo, grande essendo la in
lluenza della forza fisica in quella dell'animo. La incorretta se
lute iugenera alacrità e coraggio, la inferma abbattimento dello
spirito e timore. Kazu7aîrll; , scrive qui Suida anni; 31.7:
Si'puu 7i|r 'ifiu, àf9ivo'óv'lu, male disposti della costituzione, af
fievoliti, con che egli significa lo stato morboso del corpo non
meno che dello spirito. ‘ '
(48) Avvicinuvasi. Non a questa battaglia soltanto, che fu l’ul
tima, urrecò Perseo, secondo il Nostro, un animo iucostantee pn
vido, ma fatto avea ciò nelle altre ancora; lo che indica, siccome]
{9?
33
bene osserva lo Schweigh., l’ 211 allorquando, che precede il
verbo.
(49) Ad Ercole. Orfeo nell‘inno consecrato a questo nume lo
invocn aria-n Èpuy‘t, che a tutti soccorne; ma Polibio fa una giu
sta eccezione a questa sua prerogativa , non comportando la di
gnità di un eroe deificato ch’egli presti aiuto a vigliacchi.
(50) Da vili cc. Amà mqì 73v 3uAn’î: ispìs è male ren
dnto per muticulosorum sacra, in che voltò lo Schweigli. quelle
energicbe espressioni. lo non ho neppur qui sostituita paura a
viltà, e credo d’essermi meglio avvicinato al testo.
(5|) Gli ambasciadùrt' cc. Quelli di cui si è ragionato nel cap. 4
di questo libro. Livio (xnv, S) riferisce secondo alcuni, tra li
quali si conosce dal contesto che fosse Polibio. come gli amba
sciadori, non per anche stati ammessi, poiché erasi annunziata la
vittoria, quasi per isclxerno della loro stella superbia furono chia
mati in senato. lo pertanto tengo sbagliata nel ‘testo Liviano la
scrittura missos (mandati), quasi che non fossero a quel tempo
stati per anche spediti da Rodo, cdi Romani per beffarsi di loro
li avassero fatti venire da colà. Eran essi bensì a Roma , ma
avanti la fine della guerra con Perseo non fumo ammessi in se
nato. Leggasi dunque nondnm admissns. ’
(Sa) La sto/(zia superbia. Ho tolta da. Livio questa espres
sione. nella quale non dubito ch’ ein abbia voltata l’iîyum del
Nostro, che, siccome avvertiamo nella nota I?) al lib. xxtm, prende
sovente cotesto vocabolo ueL senso di colpa, delitto , cui poteva
benissimo ascriversi il contegno de'Rodii, i quali pretendevano
di dar legge a‘ Romani nella gravissima contesa che questi aveuno
con Perseo.
(53) Jgepoli. Circa questo nome veggasi la nota II?) al lib.
xxvm, dove io amerei di non avere scritto nel testo Agepolide,
dappo_ichè ‘Ayinln ha il Nostro ucll’accusativo, e non altri
menti 'AysznAuî». Livio il chiama principe degli alliba5ci:tdofi e
lo scrive costantemente Agesipolis. _
(54) A tutti i Greci. Lo Scbweigh. è fluttuante tra la scrit
POLIBIO, rom. ruz. 3
34
tura vulgata che arreca wìm 7:.is Silvia“, 1: falli gli altri che imba
razzati erano in quella guerra oltre a’ Romani, e la correzione
che, stando alle parole di Livio, omni Graeciae, fece l’ Orsini
in 7an "Bhutan. lo confesso che siffatta emendazioue non era ne
cessaria; tuttavia l’ho ricevuta, perciocchè rende il testo più chiaro
e meglio conviene all' indole ‘del1’ italiana favella.
(55) Dannosa. 'AAwn'ltìu‘fi che ha qui Polibio non è in
commodum, siccome lo espressero itradnttori latini, sihbene inu
tile, anzi dannevole, precipiloso, per la proprietà che il greco
idioma ha comune col romano di negar un attributo sottinten
dendo l’ opposto, p. e. band malus per bonus, inam'n (difetto di
malizia) per sanlilà di vita, e simili.
(56) Secondo il desiderio de’ Rodii. Crede il Beiske che as
surda sarebbe stata la congratulazione de' Rodii co’ Romani, se
la guerra avesse avuto un esito conforme al desiderio de’ primi,
anzichi: a quello de’ secondi, c quindi suggerisce di sostituire 'I’u
puinn a 'PnJiui. Lo Schweigh. pertanto scorge dell’astuzia nel
discorso dell’ambasciadore, Io che apparisce eziandio dalle parole
che Livio mette nella costui bocca: Forlunam perbeneficìsse, quan
do finito alilcr bello (nempe alitcr ac ipsi Rodiî expectaverant ),
grnlnlnndi sibi de victoria egregia Romani: opportunilalem de
dissct.l\'on dissimulavqn essi, nè l’avrebbono potuto, come il suc
cesso della guerra era stato contrario alla loro aspettazione; ma
ad un tempo protestavansi animati sempre dal desiderio di po
tersene congratulare co’ Romani.
(57) Se ne andò. Non avendo' gli aurbasciadori, per cagione
della guerra finita, più motivo d’ interporsi per la pace, rallegra
tisi col senato della conseguita vittoria, se ne andarono senz’al
' tendere risposta. Egli è perciò che io amerci di mutare l’irmiA
901 del testo, da Hrnripr'9nH, ritornare, venir un’altra volta
(V. i grammatici) in éràA9n, nel qual senso l’ho tradotto, e lo
Schweigh. ancora non meno che il Casuub. così il voltarono,co
mecltè lasciassero la scrittura volgata. Da Livio non si conosce
che gli oratori rodii si fossero allontanati, innanzichè il senato
pronuuciussc la sua opinione in cotesta emergenza.
‘
35
(58) Dicie fuori 'una risposta. "A1ro'xpwu ififiahn , non
semplicemente l’1rlrtpt'vllo, rispose; dappoichè 1' assenza de
gli ambasciadori non permetteva di dirigerla a questi, subito, do
po il breve discorso che avean l‘atto. Quindi è da credersi che ,
dopo avere su tale bisogna maturamente deliberato, avessero estesa
una lunga e ben ponderata risposta, della quale Polibio e Livio
non ci diedero che il compendio.
(59) Ma l’aver trascurato ec. La lacuna che avanti queste parole
segnata aveano gli editori di Polibio ingegnaronsi di fare svanire
il Reiskc e lo Schweigh., il primo cancellando il p‘n dopo e-rpa
7.mtliom (osteggiando) e cangiando il Tu di (ma) in 7;? di, donde ri
sulta questo senso: Ma per ca’giorte dell’ aver trascurato ec.. .
rendersi manifesto: l’altro (lo Schweigh.) adottando che il arp
Qm‘fs elmi (esser manifesto) per la sua grande distanza dal Te di
costituisca una sconcordanza (avanaon9ia) tollerabile. Amendue
questi ripieghi ci sembrano accettabili, e noi ci siamo tenuti di
mezzo tra loro.- L' altra proposizione del Beiske di lasciar il testo
intatto, supplendo ciò che manca da Livio, non panni che possa
accettarsi. Le parole dello storico romano ch' egli vorrebbe iu
trodurre; alias (graecas urbes) obsirieret, alias denuntinlione ar
morum terreret sono già accennate da questa di Polibio: 7th 7571
EÀìnivuv za’puu lara'p9n nati 7Eir a-Éitus (guastava la campagna
ele città de’ Greci).
(60) Per le quali cose cc. Questa chiusa, che pur convenivasi
all’ acerba risposta data dal senato, Livio omise del tutto.
(6|) Da amenduc i re Tolomei, che avean per cognome, il
maggiore Filomelore, il‘secondq Fiscone ed Evergete Il. Eransi
costoro cinti il diadema simultaneamente e faceansi la guerra;
ma assaliti da Antioco Epifane, che profittar volea della loro di
scordia per conquistare 1’ Egitto e giunto era già sotto le mura
d’ Alessandria, rappatturnaronsi (Vedi la nota ultima al lib. xxvm).
Nel qual frangente richiesero gli Achei di soccorso. È quindi senza
fondamento la opinione del Reiske, che , trovandosi nel testo la
inetta ripetizione fl'lnMpnieu turi H7»Àiputt'av, al primo od al
36
secondo debba sostituirsi 'A.7/axw. Entrambi i fratelli Tolomei pa
cificati domandarono agli Achci aiuti contro Antioco. Vero è che
male suona senz’ alcun carattere di distinzione lo stesso nome ri
petuto; ma forse fu ciò colpa del compilatore. che omise d'ag
giugner all’ uno irpirrf3u7épw, ed all’ altro van/Tip», ovveramente
0|Àopq’lapoî e Oor:ainî.
(65) lperbnto. Era costui stato pretore degli Achei l’anno 575
di H., undici anni innanzi a questi avvenimenti (xxn, I), ed
nvcn già allora, associatosi con Callicrate, impugnata la sentenza
Ill Licorta in favme de’ fnorusciti di Lacedemone.
(64) Areone-Licorta-Palibio. Capi erano questi tra gli Achei
del partito che difendeva la indipendenza della Grecia dall' in
fluenza dc’llomani, i qUali cornechè dopo aver vinto Filippo pa
dre di Perseo, la dichiarassero libera, non pativano che nelle
controversie de' varii stati, ond’ era composta, ad altri che a loro
si appellasse, e pretendevano che secondo la loro volontà si fa
cesse la decisione. Così la iutcscro nell' affare tra Sparta e Mes
sene che’citammo nelle note antecedenti, e tal era altresl la mente
loro nella presente sentenza , che condussero a fine mandando,
siccome vedremo, Popillio ad Antioco.
(65) Ed il maggiore. Il buon senso non può approvare la
scrittura vulgata ch'è la seguente: T‘ov v:ólspov fli'»Aspnîu
t'rr‘o 751 3,31." è|46î8l7x94| fintflìtiu (lui: li" 1ript'rrza'u, Tu
di Ipla‘firi7apor i: 7;: Minrn; xu7mrwrnpsiie9m, Tolemeo
minore era stato dal volga dichiarato re per cagione dell’im
minente pericolo (propter conditioncm rerum et tempurum,
Schweigh.) ed il maggiore ritornato dd Illenjì. Come potea il
pericolo sovrastante dal re Antioco, o la condizione delle cose
e de’ tempi aver indotti gli Alessandrini a proclamar re il minore
Tolemeo anziché il maggiore, del quale non si dice che fosse
meno valoroso e meno buono ed assenualo dal fratello? Propongo
adunque di legger il testo così: T. I. 117. 5.7. Ex. imdedtîz9a.
/Szrrìtia, Tor di I,iffit’i7lflyi 6|‘17à' Itpt'nmrn in 7. M. 1.17.,
e ciò espressi nel volgarizzamento. Infatti il pericolo appunto,
che per la invasione dell' Egitto fatta dal re di Siria minacciava
amendue i re, costrinse gli Alessandrini a richiamare l’ e
spulso , onde colle forze unite d’ entrambi e con quelle che da
fuori avrebbon ottenute resister alla tempesta che lor veniva ad
dosso. - Quanto è al vocabolo ripinnn: , io tengo cb‘ caso qui
significhi propriamente pericolo, in cui realmente era allora 1’ F.
gitto, nel qual senso il troviamo spesso usato dal Nostro, e non
equivalgn a semplice condizione de’ tempi, conforme piacque a'
traduttori latini.
(66) Pelle gesle di cui abbiam parlata nel cap. 7 del lib. xxv,
dove leggesi che 'l'olemeo Epifane, padre de’ due che insieme re
gnavano, affine di rinnovare l’ alleanza cogli Achei, accordato avea‘
ad essi armi, navi e danari, che Licorta con Polibio‘ed Arato in
caricati furono a farsi consegnare. - Alcuni anni prima erasi lo
stesso re stretto in alleanza colla nazione achea per mezzo di Li
corta . o del Teodorida da Sicione qui nominato, (xxttl, I).
(67) E mmmenlali avendo. La scrittura vulgata lui li qu
Àd’.I9fliîl xp‘us 7in fintnMinv n'zmnumpivuv, à'vla p|7aiAn,
racchiude uno sconcio maggiore di quello che sospetto il Reiskc,
il quale giustamente osserva, che alcuni re d' Egitto eransii ren
duti maravigliosamcnte benemeriti degli Achei, non questi di
quelli. V. la nota antecedente. Quindicred’egli che nel testo fosse
wpin‘ 7»‘,I waM'ltiav 7_S|' fianMigz a'nauu;., cioè la benevolenza
della casa regia Verso Ia repubblica degli Achei; ma in tal
ipotesi avrebbesi a scrivere 7‘c @1A119f4n; li: ,Bac0tim: 1,0.
7. ma, - Lo Schweigh:, prende ‘pniìn9puini nel senso di
@Aia , amicizia, non già di meriti e benq/icii, e non vorrebbe
che si cangiasse nulla; oltreché , siccome a me pare , non si
trattava qui di rinnovare i beneficii già conferiti agli Achei
da' sovrani dell’ Egitto, de’quali anzi questi ahbisognavano. Ma
ad ogni modo sussisteva ancora l’alleanza tra i due stati,
conforme leggesi di sopra in questo stesso capitolo: Ku7ii 7|‘"
lini/www: ruppsxi'ar, e perciò era superflua la sua rin
novazione. Stimo adunque che per cavare dal presente luogo un
' A.
38
senso ragionevole abbiasi a modificarlo in questa guisa: Kai 7Ìz
70 piAnîvs-puara 7G;- fiafiaMt'z: wpii: 7oin‘ 'Axal'w; ampia".
piva-v, à’v7u fl.l?aiÀd, e così l’ho volgarizzato.
(68) Ché amendue, ec. Temo forte non queste parole colle
seguenti, che ho chiuse tra cancelli, sieno aggiunte dal compila
tore; dappoicbè sino dal principio del capitolo li vediamo tutti
e due investiti della potestà regia.
(69) Mescolarsi nein affari altrui. Non voglio lasciar inos
servata la proprietà del verbo w;uy,ua7ounîv che ha qui Po
libio, e che realmente è l' affaticarsi che fa alcuno nein affan
che a lui non appartengono. Ama Polibio la composizione del
verbo numiv, che significa sempre adoperare con energia (quasi
mlw'iuv, tagliare, in senso figurato) con alcuni altri nomi, sicco
m’è w;afimnliu. maneggiare con secretepraliche, 2AMuumu,
sbraeciarsi per avere il favore de’ Greci. La massima qui predi
cata da Callicrate tendeva a distruggere la libertà della Grecia ,
la quale, composta essendo di stati indipendenti e solo protetti
da’ Romani, dovea pur atiere l’ arbitrio di coltivare le antiche
amicizie e di stringer alleanze con altri stati, ove a quelli non
nè fosse ridondato alcun danno. Ma dopo la disfatta di Antioco
Magno ben 5’ avvide quel popolo sovrano, come i varii umori
ond’ erano agitato le democrazie greche produr doveano contin
ganze favorevoli n’ vasti loro disegni di conquista. Ed infatti non
indugiò molto la massa degli ambiziosi e degli sprecatori a tra
dire la pubblica causa ed a sagrificare la patria ai privati loro van
taggi, aècusando i buoni ed armandosi di falso zelo per l’ onore
e per la superiorità dei Romani. ,
(70) La battaglia decisiva, che fu nella prossima state -data
a Perseo da Emilio Paullo. Q. Marcio Filippo avetm allora con
dotta a termine la sua campagna, essandosi lasciato sfuggire l’ e
sercito nemico, conforme distesamente narra Livio (xmv, t
e seg.). '
(7|) L’ anno addietro.l cioè nella passata campagna ; chè gli
anni militari si calcolavano dalle epoche delle fazioni di guerra ,
in cui non era compreso il verno, che allor appunto correva.
(72) Ma ricordandosi ec. Questa espressione e ciò che segue
sono, Se non vo errato, un appoggio alla correzione che ho pro
posta di sopra alla nota 67.
(75) Esponendo cc. Lo SCllWeiglt., da classiche autorità in
dotto, da all"stspyimv del testo il senso che abbiam c
spresso. Tuttavia ricevett‘cgli nella traduzione dal Casaub.accla
masset, quasichè, conforme sospettato ebbe dapprincipio, scritto
fosse ’tm09sgqapivuv.
(74) Sospesa la deliberazione. Allo Schweigh. parve la spie
gazione della frase i2ifiahe 73 614,80'uh101 addetta dal Reiske ,
prorogava la deliberazione, la rigettava ad altro tempo, e che
noi abbiamo ricevuta, da preferirsi a quella dell’ Ernesti, il quale
a ix/SÉAMn dà il significato d’annullart2. Ed infatti cotesto di
lazionare fu‘messo in pratica, essendosi qualche tempo appresso
fatta una ragunanza generale in Sicione. La stessa frase occorre
nel lib. i, 58, e fu già dal Reiske nel medesimo modo interpre
tata: HAu’yae ezfiniìtìtoon , plage; rejiciunt in allud tempus, e
noi in questo senso appunto cola volgarizzammo: Sospcrulon i
colpi.
(75) In popolare ragurmnza. 'Er éyo;{i, propriamente nelfo
ro, o dir vogliamo in piazza, dove raccoglievasi indistintamente
ciasclaeduno del popolo per dare il voto sui pubblici affari, senza
esservi chiamato, e che corrispondeva a'comizii de' Romani. Da
questo genere di congresso dilleriva quello che convocavasi,don
d’ ebbe il nome di róynq'lor, che poco appresso riscontrasi , e
col quale impropriamente esprimevasi il senato romano, che se
condo la sua etimologia (da senes vecchi) dovrebbesi rendere con
76petiflu; nome usato dal Nostro per denotare il consiglio de’ vec
chi presso i Cartaginesi, distinto dal senato ( I, al, 1, 68), ed
cziandio talvolta quello degli Acl1ei (xxxvm, 5). V. la nota 23a
_al lib. v).
(76) Il consiglio. Ne' traduttori latini leggersi qui: Cui‘ non
magiirtralus solummodo intera-mal; ma, secondoch‘ea me pare,
la flovhsi (il consiglio) non era semplicemente composta di ma
4o
gistrati, che il vocabolo Éfxn'iu propriamente esprime, sihhene
bassi a credere che convocati vi fossero, oltre a‘ magistrati, ide
putati di tutte le città achee, cui pertanto univansi ancora tutti
quelli che per la loro età superiore a’ trent' anni avean il di
ritto d’essere scelti alle cariche dello stato, o convenissem da
sia, conforme sembra indicare il rvptspivur9.u del testo, o vi fos
sero invitati,siccome apparirebbe dal ruyxAn'7ov che precede. Fatto
sta che per tal modo il congresso era poco men che generale, nè
differiva da quello che Callicrate avea sciolto, se non se nel sito
della ragunanza. che in luogo del foro iyopìs era il teatro, sicco
me scorgesi dal capitolo che a questo segue.
(77) Nella passata stagione. Fecero bene il Casnuh., e lo
Schw«:igh. a non accettare l’ assurdo nin7u. (notte) che hanno i
libri, nè comprendo come l’ Orsini vi sia passato sopra. Se non
che discorda dal 71": napM54'urzv femminile l'annus ì'7u, neutro
ed inév'larmnsc. che pose il primo nel!a traduzione e vi sot
tinteso nel testo; nè può approvzu‘si il 9rpiuu aggettivo (auli
mm), che in luogo di 9ipas, neutro, amerebhe di sostituirvi lo
Schweigh. Io propongo di scrivcr iiva, che espressi nel volga
rizzameulo; sostantivo che nel greco idioma non meno che nel
l’italiano può riferirsi alla state qui accennata da_ Polibio, c che
fa evitare la sconcordanza grammaticale de' generi diversi.
(78) Presso Marzio Filippo. L’Orsini ed il Casaubouo hanno
recato qualche confusione a questo luogo, includendo tra parentesi
le parole che seguono 1î: B.|9imv, meno le ultime I'l,l (Orsini)
7I'zr\d (meglio Casaub.) 7,? (DM/ararp. Lo Schweigh.omise affatto
cotesta inclusione; osservando la iiiconveuienza nella quale cad
de il Casauh. di non comprendervi le ultime parole. Io vi ho
comprese queste ancora, imitando l’ Ernesti ; dappoichè sembrom
mi doversi per tal modo separare il ragionamento che precede
dalla riflessione a cui dà motivo.
(79) Giuslamente valulale. A me pare che nessuno degl' in
terpreti di Polibio abbia ben inteso il aniis ruu'u7m, né
305‘
41
’ù'ytn che qui riscontrasi. Il primo tradusse il Casaub. nullo
auo‘incoinodo (senz'alcuu loro incomodo ), che potrebbe stare
ove 5Éyuv facesse le veci di a'vni7lfl (raccogliere, accozzare); quan
do, riferito ad un esercito, significa più presto condurlo contro
il nemico. Il Reislte dà alla summentovata frase il senso di se
cumlae sane fortunae beneficio (per beneficio della favorevole
loro furluna), e ad à'ysu quello di valere, aestimariposse(vale
re, potersi stimare ), per modo che avrebbe detto Polibio, che gli
Achei per loro buona sorte poteano stimare da trenta a quo
ranla mila uomini la loro gioventù atta al combattimento, e lo
Sehweigb. acconsente a questa spiegazione. lo pertanto ho cre
duto che, siccome a naAì': conviene un’ applicazione molto vasta,
potendo significare tutto ciò che s’ adatta alla norma del buo
no, del retto, del giusto, dell’onesto; cosi miti: arnni'v, dove trat
tasi di qualificare una stima, una vaiutazione, abbia a suonare,
quale qui 1’ espressi, regolarsi con precisione, aggiustatezza.
(80)'1 consultori. Erano questi Callicrate e Licorta, i quali
nel giorno antecedente sostenute aveano contrarie sentenze, le
quali allora dovean essere proposte in forma di decreto, affinché
il consiglio 1’ una o l' altra sanzionasse. È quindi, a mio parere,
da preferirsi la lezione flw).svopinus in che l’0rsini mutò quella
de’ Codici, ed andarono errati il Reiske e lo Scbweigh., richia
mando la vulgata fiouìtopcirovs, con cui verrebbesi a dire, che il
» secondo giorno non coloro soltanto che nel primo di disputato
aveano in favore o contro una sentenza, ma chiunque volea re
car poteva in mezzo il progetto del decreto da deliberarsi.
(SI) I due regni di Siria e d’ Egitto, non d’Antioco e di To
lemeo che allora regnavano, quantunque nel testo denominati ven
gano da questi sovrani. La distinzione de' tempi addietro da
quelli dell'allora vivente monarca della Siria, che riscontrasi nel
seguente periodo, rende la cosa abbastanza chiara.
(82) Che a nessuno più. Dispiacque allo Schweigh. il vol
gato srAsîav, ch’ egli corretto volle in zAsiom, come quel nu
mero che meglio si accorda col paàaiaSpuwu cui si riferisce. Ma
rouato, tam. 7111. 4
42
ciò non mi sembra necessario, potendosi dare al a-Mi'u il va
lore d’ avverbio. Cosi non è sbagliato 1' italiano più, sebbeneuon
istarebbe male 1’ aggettivo plurale maggiori. ‘
(83) A'ndronìda e Callicrate. « Altre persone troviamo no
minate con Callicrate nello stesso affare (vm, 2); ma que’due
(Diofane ed Iperbato) accennati sono insieme con Audronicla ,
'Auîpun’8m nei 702:: ÀOII'OlI; nel lib. xxx, c. ‘20.» Schvveiglz.
(84) T. Numisio. Era costui nel numero de'dieci legati che,
finita la guerra persica, mandati furono dal senato in Macedonia
per dare sesto agli affari di quel regno soggiogato (Liv. xnv, I7),
ed opportunamente riflette lo Scbweigh., che questo medesimo
probabil è che fosse inviato con un’ ambasceria a’ re di Siria e
d’ Egitto, affine di pacificarli, innanzi che vi andasse C. Pupil
lin, il quale condusse la impresa a buon fine, conforme scorgia
mo da quanto riferisce il Nostro nel cap. seguente e Livio nel
lib. xI.v, c. 12. Che se circa questa legazione anteriore nulla tro
vasi nello storico romano, ciò, continua lo Schweigh., dipende
dall’esser a noi giunto mutilato il lib. 1LIV di lui, dove contene
vausi gli avvenimenti di que’ tempi. - Il leggersi nel testo di
Polibio Nemesio per Numisca procede, secondo lo stesso com
mentatore, dall’ uso de’ Greci di cangiar in i l’ a e PI de' la
tini.
(85) Coner la loro supposizio’ne. Ym’9u-u non vale qui
argomento, sentenza, conforme piacque a’ traduttori latini, sib
bcne lIassi a prendere nel senso che indica la sua composizione.
Supponevann Callicrate e quelli del suo partito di conseguire me
diante un’ ambascerìa la pacificazione de’ re, e con ciò intende
vano di far cosa grata a’ Romani; ma non riflettevano che, es
sendo andati a vuoto i maneggi di questi, anche da’ proprii nulla
potenno sperare. L\'è forse è tanto assurda, siccome parve allo
SchWeigh., la congettura del Reiske, che in luogo di “‘73 7;:
ua-oSinac sospetti; doversi leggere sulle 731 Aóyn 7;: (ma
ed interpretollo: erat enim id consentanenm consilio et volan
lnli Romanorum; giacché era infatti opinione e volontà de’R0
mani, che cotal ambasciata si facesse. ‘
301
43
(86) Si rilmsse dain ajfari. Ho stimato di preferire la ver
sione del Casaub., a quella dello ScbWeigh. 'Anxa'ifswu 'm 731
n;aypé7m ha il testo, che il primo degli anzidetti interpreti tra
dusse: pnblicarum rerum cura et administratione se abdicavit
(licenziossi dalla cura e dall’amministrazione de’ pubblici affari),
e l’ altro: urgere snam sentsnliam amplius noluil (non volle più
insistere nella sua opinione). Infatti il plurale 75v wpaypi'lm, che
lo Scbweigh. non calcola per nulla, sta per la traduzione che
ho adottato , e se l’élaxuft'iu presso il Nostro senza l' aggiunta
di quel sostantivo (xxx, IO) significa ritirarsi dal governo della
repubblica, tanto più debbe aver siffatto verbo questo significato
coll’ aggiunta del medesimo. Qual maraviglia se Polibio e coloro
che in fatto di governo della repubblica erano della sua sentenza
si ridncessero alla vita privata, come vinti si videro in ciò che
formava il nerbo della loro politica? - Del resto non è a du
bitarsi che i suoi avversarìi ottenuta avessero per secreti maneggi
1’ anzidettn lettera di Q, Marcio, e l’avessero fatta giugnere a tem
po per opprimere la fazione di Licorta.
(87) Di Tolemeo. Propriamente de’ Tolemei; che amendue i
fratelli avean chiesti aiuti agli Achei contro Antioco, il quale,
sotto specie di ristabilir il maggiore nella patria e nel regno,
erasi impossessato dell‘Egitto. V. la nota ult. al lib. xxvn, e xxvm,
19. Ma bene osserva lo Sebwaîgh., che il fratello maggiore sarà
stato nominato per amendue.
(88) Essendo venuto ec. Bene s’ appose il Reiske attribuendo
quest’ oscuro principio al compilatore. Giunto era Antioco, secon
dochè leggesi in Livio (xt.v, II) in Rinoeolura, prima città del
l’Egitto verso la Celesiria, e colà vennero a lui gli ambasciadori
di Tolemeo maggiore, che col mezzo suo sperava di andare al pos
sesso del regno. Tolemeo pertanto era in Pelusio, che Antioco
volea gli fosse ceduto; quindi e inesatto quanto qui dicesi della
venuta del secondo di questi re al primo.
(89) Eh! scritto il decreto del senato. Tofi ruynAn’inu zîo’ypu
xu7tyaypér'la. Questo era senza dubbio il senatus consullum che,
44a detta di Voler. Mass. (L. VI, e. 4, 3) era contenuto nelle la
volcttc, tabella: senalus consultus continente; tradidit. [I per
chè è da maravigliarsi che in Livio (xav, 12) riscontrisiscriptum
habcntes. L’ Orsini vorrebbe che nel testo di Livio fosse incorso
in: errore col cangiarsi se in scriplum. Lo Schwcigh. propone
di rimediarvi, scrivendo l’ uno e l’ altrozlo che sarebbe una tra
duzione dal Nostro, non senza pleonasmo. Le edizioni Liviane
posteriori all’ Orsini conservarono l’antica probabilmente sbagliata
lezione.
(go) Sdegnando. Questa giusta riflessione di Polibio fu o
messa da Livio. Popillio non potea riconoscer in Antioco un a
mico del popolo romano, se assuggettato non si fosse al decreto
di cui egli era portatore. È pertanto da rifiutarsi la lezione dl!
1rp'7qav &Ei'unu (non prima stimato) proposta dal Reiske, e che
non dispiacque allo Schweigh. in confronto del arpi7qu cint
(i5| introdotto nel testo del Casaub., che disapprovc‘i il medio
bv.zfirniptnf dell’Orsini, da questo sostituito all’aiiuîr3m che re
cava il suo Codice. "Ou'is èwafnvfluv 7‘o ‘t'pyu (non istimaudo
indegno cosa) che riscontrasi in Tucidide (I, p. 4) è frase che le
gittima il senso da noi dato a questo verbo, e che i traduttori
latini non raggiunsero col nolnit.
(gt) Delfatto di circoscriverlo con una Verga- e della su
perchieria. di arrogarsi tant’ autorità sopra di lui clt’ era pur re.
Queste sono al certo due cose distinte, nè vi veggo l'endiade
(espressione d’ una cosa con due parole), che secondo lo Schweigh.
indusse il Casaub. ad interpretare 'Ìò YI?IdfGIIOI mai 71‘" tim
fo,gin imperiosuntfactum.
(go) Allora Popillio cc. Ben diversamente narra la faccenda
Plinio (H. N. xxxrv, 6, ti).A detta di lui pagò il duce romano ,
clt’ egli denomina Gneo Ottavio, l' audacia sua colla vita, ed il se
nato, siccome far soleva a tutti coloro cb’ erano stati uccisi in qual.
che ambasciata, gli rizzò la statua ne' rostri in sito molto esposto
alla vista, in loco oculatissimo. Ma come avrassi a prestar fede al
racconto del naturalista ruotano appello alla relazione che noia.
45
sciaròno Polibio e Livio, istorici veritieri e tanto più vicini a’ tempi
di quelli avvenimenti, a tacere di Cicerone (PlIilipp. vm, 8) cdi
altri posteriori. siccome Valer. Mass. (I, c.), Velleio Patercolo
(Hist. Rom. I, 10), che s' accordano cogli anzidetti scrittori? Se
non che confuse Plinio due fatti ben diversi, il presente ed altro
raccontato da Cicerone nella nona delle Filippiche, cap.a, non ha
dando, conforme già osservò il Lipsio, che l’ Antioco uccisore di
Ottavio era figlio dell’ Epifane circoscritto da Popillio, e nipote
d‘ Antioco Maguo , siccome il qualifica Tullio: Nepotem A"
tiochi regia, ejus‘, qui cum mnjoribns noslris bellum gesseral.
(95) In Siria. La vulgata lezione ’Apyz'a: già disapprovata dal
l’ Orsini, ritenuta dal Casaub. e corretta dal Reiske in Ev'i‘"
potrebbe pur essere stata corruzione di 'Apnfi/au (Arabiam), con
forme nelle note appiè di testo sospettò lo Schweigb., che s' a
vesse a leggere, comechè egli non ne additi il motivo. Stando
alla relazione di Livio (xev, n), sebbene tronca a noi pervenuta,
Antioco da’ dintorni di Pelusio incamminavasi alla volta d’ Ales
saudria per 1’ Arabia deserta, probabilmente per la stessa strada
che fecero gli Ebrei usciti (1’ Egitto innanzi di giugner al mar ros
so. (Exorl. xm, ao; mv, 4). Qual maraviglia dunque se per la
'stessa via egli ricondusse l’esercito in Siria’? Siccome pertanto
nel testo di Polibio che possediamo n0n trovasi fatta menzione
della calata in Egitto per il deserto dell' Arabia , cosi non volli
introdurre novità nel mio volgarizzamento. v e
(95) Poliaralo. Era costui da Rodo ed avea sostenuto tra li
suoi il partit'o di Perseo controi Romani (XXVII, 6, II). Da Po
libio non si conosce ch’ ein fosse in Alessandria coll’ambasceria
che vi mandarmi i Rodii per conciliare la pace (XXVIII, Ig), sib
bene sappiamo da una relazione posteriore (XXX, 9) come scon
sigliato e vigliacco, forse per timore de’ Romani dopo la sciagura
di Perseo, egli trattenevasi presso Tolemeo. - Ho tradotto im
tilursn mandarin firri, perciocchè questo è il senso del verbo
qui usato dal Nostro, quasichè scritto avesse in3lpmn wipnn.
46
Altrove ancora (I, 7; xxx, g) il riscontriamo nello stesso signifi
cato.
(95) Era tutto Cipro a soqqundra. Il testo ha 4‘ip’pim (73:
1473: 705 Kinrpsv), che quanto al senso è ciò eh' espressero tutti
i traduttori, ma quanto alla proprietà della frase fu sospetto a
tutti. Il Casaub. notò un segno di lacuna dopo il leo’psvat. Il
Reiske propose varie cmendnzioni, tra le quali panni doversi pre
ferire u:er eptfiptm (male condotti). Cosi leggesi in Senofonte
(Agesil. I, 35) uni: Qi;w9m 7B 'uv'la’ó (andar male i suoi
affari). 0iptu mai Eiyuv, a dir vero, è guastare, mandar in
ruina per via di guerra; ma in si fatto senso pipa" non si
trova mai solo.
(gli) Che se ciò cc. Sta bene yinpinv nel passato, sugge
rito dal Ileiske in luogo del presente 717mpivov. In qual modo
pertanto un avvenimento tanto clamoroso non si fosse divulgato,
o non venisse creduto, È: difficile a comprendersi. 'H sia nel m
fllv9iv7o;, 0 se non fosse stato ancor credulo suppone il Rei
ske che scritto abbia il Nostro, ma siffatta modificazione nulla to
glie alla stranezza del concetto.
FINE DELLE ANNOTAZIONI
AGLI AVANZI DEL LIBRO VIGESIMO NONO.
5“
DELLE STORIE
,«
DI POLIBIO DA MEGALOPOLI
--_n.
AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMO
l. (l) Intorno a quel tempo venne Attalo da parte
di suo fratello Enmene; ed aveva ein ben titolo di ve
'nir a Roma ,quand’auche non fosse accaduta la (a) scia
gura che il. regno sofferse da’Galli , per cagione di
congratularsi col senato, e di conseguir qualche o‘nori
fica distinzione, avendo militato insieme co’ Romani, e
di buon grado partecipato a tutti i loro combattimen
ti: sebbene allora recossi a Roma anche di necessità
pella sgraziata contingenza de’ Galli. Anmlolo tutti ac
colto benignamente, pella famigliarità seco lui contratta
nel campo, e perché lo stimavano a sè propenso, ed es
sendoglisi fatto un (3) riscontro superiore alla sua aspet
tazione ,egli montò in grandi speranze, non conoscen
do la vera causa di siffatta accoglienza. Il perché per
poco non guastò i proprii affari, e ruinò tutto il reame.
A. di R.
587
Qlimp.
Cl.lll,l
Amb. 95
48
A. di R. lmperciocchè, essendo gli animi della maggior parte de’
587 Romani alignati dal re Eumene, e credendo ch’ egli
fosse stato d’obbliquo procedere in quella guerra, in
trattenendo pratiche con Perseo, e stando all’ agguato
de’ tempi ad essi contrarii :, alcuni dc’maggiorenti, tratto
Attalo in disparte, l’esortavano a deporre l’ambasceria
per il fratello, ed a parlare per sè stesso: (5) volergli il
senato procacciare un proprio impero e dominio , pel
l’ avversione che aveano contra il fratello. A questi di
scorsi Attalo molto insuperbl, e nelle private conversa
zioni dava retta a coloro che a siffatto cose lo instiga
vano. Finalmente obbligossi con alcuni de’ principali
che verrebbe in senato a ragionare su questa faccenda. '
Il. Tal essendo la disposizione d’ Attalo, il re pre
sagendo l’ avvenire (6) mandò inoltre il medico Stra
tio a Roma, nel qual egli riponeva la maggior fiducia,
(7) ed avendogli esposti i suoi pensamenti incaricollo di
adoperarsi con ogn’ industria, affinché Attalo non se
guitasse il consiglio di coloro che voleano (8) guastare
laloryo casa. Costui venuto a Roma, e preso Attalo in di
sparte, fece molti e varii discorsi: ed era Stratio (9) no
mo prudente ed atto a persuadere. Tuttavia_con gran
pena conseguì l’intento, e ritrasse Attalo da quel im
peto irragionevole , ponendoin sott’ occhi che al pre
sente regnava col fratello, in ciò solo da lui differente,
ch’ egli non cigneva il diadcma, né era chiamato re;
del resto aver egli egual potestà, ed in avvenire sarebbe
senza contrasto lasciato successore del regno, la quale
speranza non. era lontana, dappoichè il re pelle debo
lezza del corpo aspettava sempre il fine della vita, e non
315
49
avendo prole, non potea neppur volendo lasciare altrui A. [Il R.
‘il supremo dominio (perciocehè (10) non era per anche
manifestato il figlio carnale che poscia gli succedette nel
regno). Ma principalmente, disse, maravigliarsi, (1 1) per
ché in colesti tempi a tant’ oltraggio trascorresse; (1 e) do
vendosi anzi grandemente ringraziare gli Dei, se co
spirando e ad un solo sentimento appigliandosi potes'
sero rispignere le (13) minacce de’ Galli, ed il pericolo
che da questi loro s0vrastava. Che se egli ora veniva a ri
bellione e discordia col fratello, chiaro era che (14) scon
volgerebbe il regno, e priverebbe sé cosi del pre
sente potere, come delle speranze nell’ avvenire, e pri
verebbe ancora i fratelli del dominio e della signoria
che vi hanno. Avendo Stratio fatti questi ed altri simili
discorsi, persuase ad Attalo di lasciar le cose come
stavano.
III. Laonde entrato l’ anzidetto nel senato, congra
tulossi dell’ accaduto, e ragionò della benevolenza e
della premura da sè dimostrate (15) nella guerra con
tro Perseo. Fece eziandio istanza con molte parole, che
mandassero ambasciadori per reprimere la tracotanza
de’Galli, e per rimetterli nella situazione di prima. Parlo
ancora delle città (16) d’ Eno e di Maronea, che chie
deva per sé in dono, ma il discorso contro il re, e circa
la divisione del regno passò al tutto sotto silenzio. (17) Il
senato, stimando ch’egli intorno a queste cose entrerebbe
un’altra volta a parlare separatamente, promise di mandar
ambasciadori, ed onorollo magnificamente eo’doni con
sueti; annunziò ancora che gli darebbe le mentovate città.
Ma poiché (18) conseguite avendo tante cortesia egli si
587
50
A. di R. Parti da Roma, senza far nulla di ciò che aspettavasi; il
587 senato deluso nelle sue speranze, (19) non potendo far
altro mentre ch’ egli era ancora in Italia, dichiarò libere
Eno e Maronea, annullando la data promessa. (10) A’
Galli mandò un’ambasceria condotta da. Publio ÎJicinio,
cui quali incumbenze desse facil non è a dirsi; ma non
difficile a conghielturarsi da quanto poscia accadde: ed
i fatti stessi lo manifestarono. ‘
IV. Vennero eziandio ambasciadori da Rodo, (2.1) dap
prima Filocrnte , poscia Filofrone ed Astimede. Imper
ciocchè i Rodii, (2.2.) ricevuta la risposta ch’ ebbe Age
polide subito dopo la battaglia, e scorgendo da quella
l’ira e la minaccia del senato, spedirono tosto le anzi‘
dette ambascerie. Astimede pertanto e Filofrone, cono
scendo da’ discorsi della gente, così in pubblico, come
in privato, ch’ erano a tutti sospetti ed odiosi, caddero
al tutto d’ animo. Ma quando (2.3) una de’ pretori, sa
lito su’rostri, eccitò la moltitudine a dichiararla guerra
a’ Rodii; fuori di senno pel pericolo della patria, a tale
si ridussero , che addossarono vestiti scuri, e (2.4) nelle ‘
raccomandazioni, non come chi si raccomanda agli
amici e li prega adoperarono, ma supplicarono con ’la
grime ‘(li non risolver il loro eccidio. Dopo alcuni giorni,
introdotti da Antonio tribuno della plebe, il quale trasse
da’ restri il pret0re che instigava la plebe alla guerra,
parlò dapprima Filofrone, poscia (25) Astimede. Allor
avendo secondo il proverbio mandato fuori (9.6)il canto del
cigno, ottennero (27) tali risposte, che sembrarono li
berati dall’ estremo pericolo d‘una guerra; ma il senato
con aspre e gravi parole rinfacciò loro partitamente le
3’?
' 5I
colpe di che eran accusati. Era questa la s0stanza della A. di R'.
risposta, che se non rimaneva per (2.8) pochi amici di
loro, e massimamente per (29) essi, molto bene sapeva,
come andavano trattati. Astimede credette d’aver egre
' giamente parlato a pro della patria‘7 ma nè a’ Greci
ch’eran venuti da altri paesi, nè a quelli che soggior
navan in Roma piacque punto. Scriss’ egli poscia e pub
blicò la sua difesa , la quale alla maggior parte di co
loro che l’ ebbero tra le mani parve assurda ed affatto
inetta a persuadere. Imperciocchè fondò egli la sua di
sputazione non solo (30) nella giustificazione della pa
tria , ma più ancora nell’ accusa degli altri: che con
frontando e mettendo al paragone quanto ciaschedun
fece di per sé e (3r)cooperòa vantaggio de’Romaai, esal
tòi meriti de’Rodii, e quanto era in lui in molti doppii
li crebbe; laddove ingegnossi d’ abbassar e di falsare le
azioni degli altri. (32) Degli errori fu il contrario, avendo
egli aeerbamente e con animosità biasimati gli altrui .,
e tentato di scemare quelli de’ Rodii, affinché nel con
fronto quelli de’ suoi apparissero piccoli e degni di per
dono, equelh' degli altri imperdonabili e grandissimiga
malgrado di che, soggiuuse , (33) furon a tutti rimesse
le peccata. Il qual genere di difesa non conviensi as
solutamente ad uomo che sostiene la dignità di politi
co; dappoicbè fra coloro che hanno società di qualche
fazione occulta-non lodinmo quelli che per paura o per
dolore rendqnsi delatori de’ loro compagni, sibbene ap
plaudiamo ed uomini dabbene predichiamo quelli che
tolleran ogni tormento e supplizio, anziché farsi a’loro
complici cagione della medesima sciagura. Ma costui
587
52 i '
A. [Ii B. per (34) un timore occulto ponendo sott’ occhi a'domi.
587natori i falli altrui, e (35) rimestando ciò che il tempo
avea fatti; obbliar a’ potenti, come dispiacer non dovea
a chi l‘ascollava? .
V. Filocrate, avuta questa risposta, se ne andò in
contanente; ma Astimede colà rimase in osserv,azione
affinché nulla gli sfuggisse delle nuove che giugneano,
'o di ciò che diceasi contro la patria. I Bodii, risaputa
ch’ ebbero cotal risposta, veggeudosi liberati dal mag
gior timore della guerra, sopportarono facilmente il re
sto, quantunque fosse assai duro. Così sempre l’ aspct-'
[azione di maggiori mali fa dimenticare le minori scia
gure. Il perché decretaron tosto a Roma una corona
di (36) diecimila monete d’oro , e creato (37) 'l‘eeteto
ambasciador insieme e comandante dell’ armata, lo spe
dirono in sull’ incominciar della state colla corona ,' e
dopo di lui elessero (38) Bodofonle ingegnandosi per
Ogni modo di contrarre alleanza co’Romani. '(39) Ciò
fecero con animo di rimanerne esclusi senza decreto e
senza lcgt-I'lioue, se i Romani mutassero parere ; e quindi
vollero per mezzo del comandante navale taslare il loro
divisamento; avendo quegli in vigor della legge (40) co
tal facoltà. Era pertanto la repubblica di Rodo con sif
fatta prudenza gowrnata , che avendo prestata l’opera
sua a’ Romani per cenquarant’ anni nelle più nobili ed
insigni geste, non fece seco loro alleanza. E per qual
motivo i Rodii così si reggessero, non è giusto che omel
tiamo. Non volendo essi a nessun signor e potentato
levare la speranza de’ loro aiuti e della loro società, ri
cusarono di vincolarsi con alcuno, e di lasciarsi preoc-\
n‘i'
_ 311
55
cnpare (49.) con giuramenti e convenzioni; ma rima
nendo liberi intendevano di recarsi a profitto le altrui
speranze. Allora pertanto mism'o ogn’ industria a con
seguire cotal onore da’ Romani, (43) non mossi a strin
gere qualche alleanza, nè temendo per allora di chic
chessia fuorché de’Romani, ma volendo col mag
' gior impegno toglier i sospetti di coloro che pensavano
male della loro città. AppenaTeetcto era approdato,
che i (46) Caunii ribellaronsi, cdi Milassei ancora oc
cuparono la città d’ Euromo. Circa (47) quel tempo il
senato emanò un decreto che dichiarava liberi i Cari
ed i Licii, che dopo la guerra d’ Antioco assegnati aveva
a’ Rodii. Quanto è a’Caunii ed agli Euromei , i Rodii
presto acconciarono la faccenda. Imperciocchè i Caunii,
mandatovi Lico con gente, riduSseri; all’ubbidienza,
quantunque i Cibirati gli aiutassero; e fatta una spedi
zione nelle città d’ Euromo, vinsero in battaglia i Mi
lassi e gli Alabandesi,i quali amendue venuti erano con
un esercito (49) sovra Ortosia. Come giunse a loro il
decreto circa i Licii ed i Cari, sumrrironsi nuovamente
d’animo, temendo non fosse lor tornato vano il dono
della corona, e vane le speranze dell’alleanza.
VI. . . . Avendo noi prima rivolta l’attenzione de’
leggitori sovra il proponimcuto (50) di Dinone e di Po-.
liarato. Imperciocchè accaduti essendo grandi casi e
sconvolgimenti non solo presso iRodii, ma quasi in
tutti gli stati; e’sarà utile d’esamiuar e di conoscere
le massime di ciascheduuo fra coloro che governavano
le repubbliche, per iscorgere quali ebbero una ragione
A. di Il.
587
Eslr. Vul.
54‘
A. d; 3, vole condotta, e quali trasgredirono il dovere, affinché
587 i posteri, (5|) in siffatti esempli specchiand0si, possano
quando simili casi avvengono trar dietro a ciò che bassi
ad abbracciare, e fuggir le cose che 5’ hanno realmente
a cansare, né in sul fine della vita chiudendo gli occhi al.
I’ onestà, (52.) nulle rendano le azioni ancora de’ giorni
passati. Eran (53) adunque tre generi di coloro che cad
dero in colpa nella guerra di Perseo: l’uno di quelli
che non vedeano di buon grado la decisione degli af
fari, e la podestà su tutta la terra ridursi nelle" mani
d’un solo governo, ma che nè cooperavano co’Romani,
né li chntrariavano in nulla, e lasciavano gli avvenimenti
come in balia della fortuna, l’ altro di quelli che con
piacere vedeano decisi gli affari, e volevano che Perseo
vincesse, non potendo pertanto trarre i proprii concit
tadini e connazionali nella loro sentenza ‘, il terzo con
sisteva in quelli che trassero seco i loro governi e li
gittarono nell’ alleanza con Perseo. '
Vli. Come adunque ciascbeduno di questi partiti
governò i suoi affari, e facile a conoscersi. Strascinarono
nella causa di Perseo la nazione de’ Molossi (54) An
tinoo e Teodoto, e con essi Cefalo. (55) E riusciti es
sendo gli affari al tutto contrari a’ loro disegni, e so
vrastando il pericolo, ed avvicinandosi l’eccidio , tutti
uniti (56) mostraron il viso alla fortuna e valorosamente
morirono. Il perché sono ben meritevoli d’esser lodati,
posciaché non abbandonarono sè stessi, nè si ridussero
ad una condizione indegna della vita passata. In Achea
pertanto e presso i'I‘essali e Perrebii caddero in colpa
maggior numero di persone per esser rimasi cheti, come
3:?
‘ ’ ‘ ' .55I
se stessero in osservazione de’ tempi, e favoreggiassero A. di It.
Perseo. Sebbene costoro nessun discorso di tal fatta
fuori mettessero, nè colti fossero seriwndo o mandando
a dire alcuna cosa di ciò a Perseo, ma si conservarouo
irrepreusibili. Quindi a buon dritto questi sostennero
ed il processo ed il giudizio, (57) e cimentaronsi ad ogni
evento. (58) lmpercioccbè non è minor segno di vigliac
cheria torsi la vita senz’aver la coscienza di delitti
bruttata, quando per ispavento delle minacce della fa
zione contraria, quando per paura de’vincitori, di quello
che amar la vita oltre il dovere. In Rodo, ed in C00,
ed in molte altre città v’ ebbe alcuni che tenevano con
Perseo, i quali osato avendo di parlar nelle proprie re
pubbliche in favore de’Macedoni, e d’accusar i Ro
mani, e perfino di consigliar a stringere società con
Perseo; non poterono strascinar le loro repubbliche a
cotal alleanza. I più cospicui fra costoro eranoîpresso
i Coi Ippocrito e Diomedoute , fratelli:,' Presso i Bodii
Dinone e Poliarato. _ '
VIII. Il costoro divisamento chi non biasimerà? i
quali primieramente , avendo i concittadini a testimoni
di quanto fu da loro fatto e detto, poscia essendo state
intercette e tratte alla luce le lettere, c0si quelle che da
Perseo a loro furono mandate, come quelle che a Per
seo da loro, ed insieme presi gli uomini che da amen
due le parti reciprocamente spedivansi, non ebbero
animo di cedere, nè di togliere sè stessi di mezzo, ma
stettero in dubbio più che mai. Laonde persewrando
essi nell’amare la vita, a malgrado delle perdute spe
ranze, (5g) rovesciaron eziandio la Opinione (1’ arditezza
587
56
\
A. di R. e d’ audacia ch’ erans: procacc:ata, per modo che non
587 restò loro presso i posteri il benchè minimo luogo alla
misericordia- ed al compatimento; ché convinti in sul
’viso da’ proprii man0scritti e ministri, apparvero non
solo sfortunati, ma più ancora svergognati. Era certo
Toante, di coloro che spesso in Macedonia navigavano,
mandato dagli anzidetti. Questi nella (60) mutazione
delle cose, conscio a sè stesso di ciò ch’ebbe operato,
per timore se ne scantonò in Gnido, ed avendolo i
Gnidii posto in prigione, richiesto da’ Rodii venne a Ro
do. Colà essendo ridotto a confessare per mezzo di tor
menti, fu nel confronto trovato d’accordo con tutti i se
gui delle scritture prese, ed egualmente colle lettere
spedite da Perseo a Dinonc e da questo a quello. Don
d’ e a meravigliarsi da qual ragione indotto Dinone tul
lerò la vita, e sostenne che si facesse di lui (61) esem
plare mostra cotale.
IX. Ma Poliarato avanzava di gran lunga Dinone
in isconsigliatezza e viltà. Imperciocchè (62.) avendo P0
pillio ordinato al re Tolemeo, di mandar Poliarato a
Roma, il re a Roma non giudicò di mandarlo, (63) per
rispetto della patria e di Poliarato , ma decise di spe
dirlo a’Rodii, chiedendolo questi ancora. Allestita dun
que una barca, e consegnatolo a Demetrio, uno de’su0i
confidenti, spedillo, e scrisse pur a’Rodii del suo‘ com
miato. Ma l’oliarato, approdato nel tragitto a Fa
selide, e venutoin non so qual pensiero, prese rami
d’ ulivo, e ricovrò (65) nel pubblico asilo. Costui, se al
cune l’ avesse_interrogato,che cosa volea, io son persuaso
che nel avrebbe potuto dire. Imperciocchè se desidera
/
.1'
52:
57
va di andarnella patria, ache abbisoghava egli di (66) rami A. di R.
587d’ulivo, quando (67) cotest’ era lo scopo di chilo con
duceva? Se (68) a Roma aveasi a recare, anche non vo
lendo ciò dovea fare di necessità. Adunque qual altra
‘ cosa rimaneva (69) fuorché di navigar a Rodo, non v’a
vendo altro luogo che con sicurezza 1’ accogliesse? Del
’ resto siccome i Faseliti mandato ebbero a Rodo esor
tando a prendere ed a scortare Poliarato; così i Rodii
con accorto divisamento spediron una nave scoperta che
il dovesse accompagnare, ma vietarono al comandante
di i‘iceVerlo, perciocchè a quelli d’ Alessandria era or
dinato di rimetterlo in Rodo. Giunta la nave in\Fase
lide, e non volendo Epicaro che n’era il coniandante ac
cettarlo,e Demetrio, ch’era stato nominato dal re (go) per
isrorta, comandandogli che (71) di là si togliesu e
navigasse , instando eziandìo i Faseliti, perciocchè te
. .
‘. /
mevano, non |Romam per tal cagione da loro se la re- 4
cassero; sbigottito dell’ emergenza, rientrò nella barca
di Demetrio. Ma (72) in mentrechè salpavano, valutosi
di un opportuno pretesto , ricoverò (73) di bel nuovo
in Canna, e col_à nello stesso modo supplicò gli abitanti
di soccorrerlb. Questi avendolo pur respinto, percioc
chè erano stati (74) assoggettati a’ Rodii, mandò a’ Ci- .
birati, ipregandoli di riceverlo nella città e, d’ inviargli
una scorta: ed avea ein (75) un titolo verso la città,
per avere presso di sé allevati i figli del tiranno Pan
crate. Questi gli diedero retta , e soddisfecero alle sue
richieste; ma venuto che fu in Cibira gittò sè stesso
ed i Cibirati (76) in un imbarazzo maggiore di prima,
quando egli fu press0i Faseliti. lmperciocchè nè osaro
roumo, 10.11. nn. 5
58
A. di R.
587
Amb. 9';
no di-riteuel‘lo, pella paura che aveano de’ Romani,
né poterono (77) mandarlo a Roma, palla loro inespe
rienza nelle cose di mare, come quelli ch’ eran al tutto
meditcrranei.'Alla perfine furono costretti a mandare
un’ ambasceria a Rodo ed al proqousole in Macedonia,
chiedendo che se lo prendessero. Ma__f.ucio Emi-l'2.
avendo scritto a’ Cibira_ti,_che gelosamente custodissero
Poliarato ed il recassero a Rodo, ed a’ Rodii che aves
sero cura di farlo scortar per mare, affinché con sicu
rezza fosse trasportato nel territorio de’Romani, Po
liarato per tal modo venne a Roma, mettendo in iscena
la sua sconsigliatezza e la sua viltà per quanto fa in
lui, ed essendo stato consegnato non solo dal re "I‘ole
meo, ma da’ Faseliti ancora, e da’ Cibirati, e da’Rodii,
per cagione della propria (78) stoltezza. - Perché. ora ho
io fatto tante parole circa Poliarato e Diuone? Non
affinché io prenda ad insultar le loro sciagure, lo che
sarebbe cosa enorme; ma affinché palese rendendo la
loro inconsideratezza, io procacci che meglio si consi
glino, e più senno adoperino quelli che fossero per ca-v
dere in simili disgrazie.
X. Dopo l’ eccidio di Perseo, come prima fu ogni
cosa decisa, da tutte le parti maudaronsi ambascerie,
per congratularsi co’ duci dell’ accaduto. Essendo per
tanto gli affari del tutto inclinati a favore de’ Romani,
eda galla pella condizione de’ tempi in tutte le repub
bliche coloro che de’ Romani reputavansi amici, erano
questi creati pelle ambascerie e pelle altre bisogna. Il
perché concorsero nella Macedonia dall’Achea (79) Cal
I
I .' ' 4L" “l W“Î"Αî‘ffi'-‘W:'"W '0‘ "'
. 59
licrate, Aristodamo, Agesia, Filippo; dalla Benzia Mna- A. di R.
sipp0‘, dall’Acarnania Creme; dagli Epiroti Caropè e 587
Nicia; dagli Etoli Licisco e Tisippo. Tutti costoro tro
vandosi insieme, e con fervore gareggiand‘o intorno allo
stesso oggetto, ne opponendosi loro alcuno, pereiocchè
tutti quelli della fazione contraria , cedendo alle circo
stanze, (80) eransi affatto ritirati, spuntarono senza fa
tica il lor intento. Alle altre città e corpi nazionali (8i)i
dieci per mezzo degli stessi (82) pretori imposero chi
dovessero mandar a Roma, ed erzÎnîîîesti i medesimi
che gli anzidetti aveano indicati e notati, ciasceduno
(83) secondo le proprie dissensioni di parte, tranne as
sai pochi, ch’ eransi con qualche fatto manifestati. Alla
nazione degli Achei mandarono ambasciadori i più il- '
lustri de’ dieci. Caio Claudio e Gneo Domizio, per due
cagioni : primicramente perché temevano, non solo
che gli Achei non eseguisséro ciò che loro per iscritto
era stato ingiunto, ma ancora che venisse in pericolo
Callicrate ed i suoi compagni, i quali erano in concetto
d’aver operate le accuse contro tutti i Greci, lo che fu .
realmente, in secondo luogo perché in_nessuno‘degli
,
-Ì'fî
i"1"
scritti intercetti trovossi nulla di preciso contro nessuno
degli Achei. (85) Circa questi adunque il console, dopo
qualche tempo, spedì lettere ed ambasciadori, comechè
egli,(86) quanto era al proprio suo parere, non approvasse
le accuse di Licisco e di Callicrate, siccome co’fatti
posògsi rendettè palese: ‘
XI. I re d’Egitto, liberati dalla guerra con Antioco, Amb. 95
mandarono dapprima ambasciadore a Roma Numenio,
uno de’loro confidenti, affine di render grazie pe’bene
60
A. di R.
587
Amb. 96
Ateneo
l..nr,c. l.
fizii ricevuti. Libemron eziandio il lacedemone Menal
cida, il qual erasi con ogn’ industria abusato de’difiicili
tempi de’ re per (87) arricchirsi; avendo Caio Popillio
chiesta da’principi la grazia della sua dimissione.
Xll. Intorno a quel tempo (88) Coli re degli Odrisi
mandò ambasciadori a Roma , chiedendo che gli fosse
restituito il figlio,(8g) ed iscusandosi della società avuta
con Perseo. I Romani, che stimavano d’aver compiuta
mente ottenuto il lor intento, essendo la guerra con
Perseo riuscita secondo il lor desiderio, e che (90) a
nulla più tendeva la loro dimensione con Coli , accor
daron a questo di pigliarsi il figlio, che dato in Macedo
nia per ostaggio, fu preso co’figli di Perseo, volendo di
mostrare la loro clemenza e magnanimilà, ed insieme
(9|) farsi vedere placati con Coti per mezzo di siffatta
grazia. .
XIII. (92) Lucio Anicio, poich’ebbe debellati gl’llli
rii, e condotti prigioni il loro re Genzio co’figli, ne’giuochi
trionfali ch’egli celebròin Roma, fece cosr: (93) degne del
maggior riso, conforme narra Polibio nel libro trentesi
mo. lmperciocchè fatti renir dalla Grecia i più chiari
artefici, ed eretto nel circo un palco vastissimo , v' in
trodusse prima tutti i sonat0ri di flauto, i quali erano
Teodoro beozib, Tcopompo, Ermipr e Lisimaco, i più
illustri di que’tcmpi. Avendo messi questi nel proscenio
insieme col coro, comandò che tutti uniti sonassero.
Costoro (91|) accompagnando le note col moto con
\cnienle , disse Anicio che cotest0 suono non era bel
lo, ed ordinò che ,(95) piuttosto combatt.essero. Ed es;
scudo essi imbarazzanti, alcunov tlc’littori mostrò loro
I
61
che voltatisi l’un contro l" altro si assaltassero, e (96) fa
cessero come una guerra. Isonatori avendo ciò pre
sto compreso, e conseguita la facoltà conveniente alla
loro (97) petulanza, fecero una grande confusione. Im
perciocchè (98) voltandoi cori di mezzo verso quelli
delle estremità, essi (99) soffiando all’impazzata ne’flanti
e (100) tra loro discordando andavansi addosso reci
procamente. Ad un tempo i cori schiama'zzaudo ed
(101) entrando insieme nella scena, precipitavansi sugli
avversarii, e (102.) giratisi di bel nuovo ritiravansi. Ma
allorquando (103) uno de’coristi, succintosi , fece ‘una
voltata ed alzò le mani a modo di pugilato verso il so
natore che a lui avventavasi, nacque un immenso plauso
e clamore degli spettatori. Mentre questi anca; (104) bat‘
tagliavano, ecco entrar nell’ orchestra (105) due bal
lerini accompagnati da sinfonia, e quattro pugili passeg
giare sulla scena con (106) trombe e corna.l quali con
tendendo tutti insieme, indicibil è ciò (107) che ne pro
Veniva. Che (108) se, dice Polibio, io prendessi a par«
are de’ tragici attori , e’ sembrerebbe ad alcuni che io
voglia motteggiare.
XIV. (109) Gli Etoli erano avvezzi a procacciarsi il
vitto di ladrouecci e (1’ altre simili scelleratezzc. E finché
era loro concesso di rubar e depredare i Greci, di siffatle
cose accumulavano le sostanze, ogni terra avendo per
nemica. Ma in appresso, s0vrastandoi Romani alla Gre.
eia, impediti di (1 10) trargiovamehto dalle cose di fuori,
voltaronsi contra sé stessi. (111) E dappriucipio quanto
v’ ha delle guerre civili di più terribile praticarouo, ma
(112) poco innanzi a questi tempi, gustato avendo reci
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A. di R.
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procamente il sangue nelle uccisioni (113) ad Arsinoc,
eran aîtutto apparecchiati, ed inferociti per modo, che
non davano neppur a’ capi luogo di deliberare. Il perché
fu l’Etolia piena di confusione, di perfidia e di ammaz
zamenti , e tutto ciò che presso di loro escguivasi non
era operato con ragione e disegno, ma con temerilà ed
alla mescolata , non altrimenti che se (114) un grave
ucmbo fosse lor addosso piombato.
In Epiro cose simili si fecero. Imperciocchè quanto
più moderati erano qui (“5) gli uomini in generale che
non nell’ Etolia, tanto più empio e scellerato di tutti
era il loro capo: ché, a mio parere,non fu e non sarà
giammai ugmo più bestiale ed atroce di (116) Campo.
XV.»Emilio Pau_l_g, ammirata avendo la (1 17) fortez
za di- Sici0ne, ed il potere della città degli Argivi, venne
in (118) Epidauro.
Da lungo tempo in (Hg) aspettazione dello spet
tacolo d’Olimpia, andò a quella volta.
Lucio _Emilio_ venuto nel tempio ch’ è in Olimpia, c
veduta la statua di Giove, rimase attonito, (mo) e'disse,
che Fidia solo gli sembrava d’aver imitato (19.1) il Giove
d’0mero, perciocchè grande essendo la sua aspettazione
d’ Olimpia, trovò che la verità superava l’ aspettazione.
(12.2) Polibio racconta che Paulo Emilio distrusse
settanta città degli Epiroti dopo l’eccidio de’Macedoni
63
e di Perseo. La maggior parte essere stata de’ Molossi; A. di R.
cenbinquanta mila uomini aver egli ridotti in ischiavitù.
587
I1
XVI. Nello stesso tempo (1à3) venne aurora il re A, di R.
Prusia a Roma, per congratularsi col senato e (12.4) co’
duci della vittoria. (12‘5) Cotesto Prusia non era punto
degno della maestà regia; lo che può arguirsi da ciò che
segue. Primierarpente, allorquando giunsero a lui gli
ambasciadori romani, andò egli lor incontro colla testa
rasa, (19.6) in cappello, toga e scarpe; in somma nell’ar
nese di coloro che sono di (12.7) recente francati presso
i Romani, e che chiamano liberli. Salutati ch’ ebbe gli
ambasciadori: Vedete, disse, me vostro liberto, che tutto
far vuole per vostro amore, ed imitare i vostri costumi;
voce più abbietta della quale non è facil a pronunciare.
Allora entrato nel senato, stando alla porta di rincoutro
a’ padri, ed abbassando amendue le mani, (128) adorò
prostrato la soglia e quelli c'h’ erano seduti, gridando:
Vi saluto, Dei salvatori; eccesso di (129) viltà, ed insie
me d’effeminatezza e d’ adulazione, a cui non perverrà
l’età futura. Conforme a questo fu il colloquio ch’ ebbe,
poiché entrò; intorno alla qual cosa lo scriver eziandio
è indecente. (130) Appalesat0si al tutto spregevole, ot
tenne perciò appuuto una risposta benigna.
XVII. Appena ebbe questi ricevuta la risposta, che
giunse la unovacome veniva Eumene. La qual faccenda
molto imbarazzo recò a’ senatori; perciocchè (131) es
sendo a lui nemici, e prese avendo immutabili deter
minazioni, non vulcano in alcun modo palesarsi. Con
ciossiachè avendo essi a tutti mostrato (132) essere cc
588
Olimp.
cL111,11
Amb. 97
64 .
A. di R. stui il primo ed il maggior amico de’ Romani; se , ve
588 unto al loro cospetto , avessero accolta la sua difesa e
data la risposta conformemente alla lor Opinione ,
sarebb0nsi fatti scorgere , per aver tanto 0pmato cotal
uomo ne’ tempi addietro, e se, (133) servendo all’ ap
parenza esterna gli avessero amichevolmente risposto,
avrebbouo trascurata la verità e lciò che util era alla
patria. Il perché dovendo da amendue le sentenze se
guir loro (134) qualche imbarazzo trovar0no cotale scio
glimento del problema. Quasi che dispiacessero loro ge
neralmente le visite de’re, emanarono un decreto, che
nessun re a loro venisse. Poscia avendo sentito ch’Eu
mene, giunto in Italia, approdato era a Brundusio, gli
spediron (135) il questore , che recasse il decreto, e
lo invitasse ad esporgli , se per avventura abbisoguava
di qualche cosa dal senato; e se di nulla avea me
stieri , gli annunziasse che quanto prima uscisse del
l’Italia. Il re, abboccatosi col questore, e conosciuta la
volontà del senato, al tutto si tacque, dicendo che non
avea bisogno di nulla. Per tal guisa fu interdetta ad
Eumeue l’ andata a Roma. Seguì ancora per questa ri
soluzione un altro (136) avvenimento d’ importanza.
Impiarciocché so_vrastando al regno un grande pericolo
da’Gallogreci, egli era manifesto, che per cagione di
questo (137) sono rifiuto gli alleati del re doveano tutti
avvilirsi, ed i Gallogreci doppiamente incoraggiarsi alla
guerra. Quindi coloro che (138) per ogni verso volean
umiliarlo, entrarono in questa sentenza. Avvennero
queste cose (139) in s’ull’incor'ninciar del verno. Indi
diede il senato udienza a tutte le ambascerie presenti:
65
(O
(che non v’ area città, ne potentato , nè re, che non
‘ avesse a quel tempo spedita un’ ambasceria per con
gratularsi dell’ accaduto ),‘ alle (140) quali tutte fece
cortese accoglienza: tranne a quella de’ Rodii, che
(141) trascurò mostrandole incerto I’ avvenire. Circa gli
Ateniesi ancora (142) trattenne la sua decisione. _
XVI“. Gli (143) Ateniesi vennero in ambasciata,
principalmente pelle salvezza degli Aliarti. Ma
essendosi poco badato a quanto ragionavano su questo
particolare, cangiarono discorso, e parlarono di Dolo e
di Lenno, e della campagna degli Aliarti, chiedendone
per sè il possesso ; perciocchè avreano due (145) incom
benze. Quanto è a Delo ed a Lenno, nessuno gliene
darà carico, (l46)da'ppoichè in addietro ancora eransi
queste isole appropriate, ma circa la (147) campagna
degli Aliarti alcuno a buon dritto li biasimerà. Imper
ciocchè non aiutar per ogni modo a risorgere la città
(148) quasi più antica della Beozia, ch’ era abbattuta,
ma al contrario spiantarla, togliendo a’ miseri perfino
la speranza nell’ avvenire; egli è chiaro che non con
viensi a nessun Greco, e molto meno agli Ateniesi:
che (149) render comune a tutti la propria patria, e di
strugger quelle degli altri, non sembra consentanco a’
costumi di quella città. Del resto diede (150) loroil se
nato Delo e Lenno. In questi termini erano gli affari
degli Ateniesi. ’
A. rii R.
588
Àmb. 93
se?
66 ' .
A. di R.
588
Amb. 99
Amb. 103
XIX. Intorno quel tempo (151) Teeteto, entrato nel
senato, parlò dell’ alleanza; ma mentre il senato indu
giava a deliberare, quegli morì di morte naturale, avendo
già più di ottant’ anni. Venuti poii fuorusciti da Cauno
e da Stratonicea a Roma, ed entrati nel senato, fu per
decreto imposto a’Rodii che conducessero (152) le guer
nigioui fuori di Cauuo e di (153) Stratonicea. Filofroue
ed Astimede, ricevuta questa risposta, navigarono in
fretta a casa , temendo non i Rodii negligendo di me
nar fuori i presidii, dessero incominciamento ad altre
colpe.
XX. (154) Nel Peloponneso, (155) poiché vennero
gli ambasciadori, ed esposero le risposte avute, non già
tumulto, ma ira ed odio manifesto ne nacque contro'
Callicrate. _
(156) Qual fosse l’odio contro Callicrale ed (157) An
dronida e gli altri del costoro partito, può quindi ar
guirsi. Celebrand0si in Sicione (158) le feste Antigonie,
ed avendo tutti i bagni comuni (15g) tinozze e vasche
ressa a neste collocate nelle cali li uomini iù,q 1 q 8 P
puliti solevauo entrare separatamente; quando alcuno
della fazione di Andronida e di Callicrate in quelle
(160) calava, nessuno di coloro che sopravvenivano usava
di scendervi, se pria il bagnajuolo non gittava' fuori tutta
l’ acqua che v’avea, ed altra pura vi versava. Lo che
facevano, stimando come insozzarsi, ore immersi si fos
sero nella stessa acqua in cui gli anzidetti eransi ba
gnati. Le fischiata poi e le beffe che facevausi nelle
-
351
, 5 67
pubbliche ragunanze de’Greci, quando alcuno prendeva J. di R.
a preconizzare unodi costoro , facil non è a narrarsi. 588
I fanciulli stessi pelle strade, ritornando dalle scuole,
ardivanò di chiamarli in faccia traditori. Tale fu il di
spetto : l’odio che invalse contro gli anzidetti.
FINE DEGLI AVANZI DEL LIBRO TBENTESIMO.
33
6?
SOMMARIO
AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMO.
A? VENIUENTI D‘ 11.11.11. .
Attalo è mandato a Roma da Enmene. «(Gonfiasi di
urina speme (S I). - Eumene manda a lui Slmtio, il quale
l‘ammonisce (S Il ). - Ormione d’ Attnlo al senato. - Ri
sposta del senato. - Erto e Maronea. - Ambasceria de’ Ro
mani (1’ Gnllogreci (S III). - Ambascerin de’Rodii. - I Ra
mnni adirati contro i Rodii. - Antonio tribuno della plebe. -
Canto di cigno. - l’olibio binsima l’ orazione d‘Astimecle
(S IV). - Nuova ambasceria de’ Rodii. - Potere del navnrco
di Rodo. - Prudenza de’ Rodii nella stringer alleanze. - II Borlii ambiscono con ogni studio la società de’ Romani. »- I
Cmmii ribellansi da’ Rotli'i. - I Romani francnno iCarii ed
i Licii ( 5 V - Incoslnnzndi Dinone e (li Poliarato. -- Va
rii partiti degli uomini nella guerra persico (5 VI ). - Il
suicidio è indizio d’animo imbecille - Ippocrito da C00 (S VII).
- Dinone e Poliarnto rorlii sono convinti lrl' ngerfivoreggiato
Perseo. - Dinone (S Vlll). -'- Polinrato. - E consegnato »a' 1
Romani (S IX). - Ambascerie de‘ Greci a’ Romani in Ma
cedonia. - Ambascerie de’ Greci a Roma. - Causa dein A
chei. - Callicrate calunnia gli Achei ( 5 X). - Alnbnscerin
de’ Tolemei n Romn. -- 1lfennlcida lacerlemone (S XI -
/lmbnscerin “di Coli (S XII). - Genzio menato in triorfi. -
Giuochi Circensi. -‘ Combattimento de’ sonntori di flauto. -
Ballerini. - Pngili (SrXIII
70
Arma: DI ancu.
Uccisioni e lumulli presso gli Etoli. - Campa il più scel
lernlo fra gli uomini (S XIV -- Sicione. - Argo.- Giove
Olimpia. - l’aula Emilio distruggekelùmta città nell’ Epi
ro (5 XV ).
AFFARI D’ITALM NELL’ANNO mxxxynr.
Brulla àdulau'one di Prusia XVI » Vietasi ad Eu
mene di venir a Roma. - Decreto ch’ esclude i re rlall’ Ita
lia. - I Romani abbassano Eumene. - Gli amlmscimlori so
no ammessi nel senato (S XV"). - Gli Jleniesi chiedono
Aliarlo, Delo e Lenno. -La pretesa circa la campagna (l’A
linrto ingiusta. - Belo e Lenno sonorlati ain dleniesi(XVlll). -
Teeleto muore a Roma. - Fuoruscili di Canna (XIX).
AFFARI .DEL PELOPQNNESO.
Callicrate traditore degli Achei. _ Odian da mm (% XX ).
ANNOTAZIONI
AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMO.
I
Dc’ fatti contenuti ne’ frammenti di questo libro ragiona Li
via nel x1.v della sua storia, e parte di quelli leggevasi nel xzvr,
ch’ètra i perduti. Havvi pertanto tra gli autori, che presero ad
illustrare gli avvenimenti che aquesta epoca appartengono, grande
confusione in fatto di cronologia. Imperciocchè, secondo il Ca
saub., l'anno in cui ebbe fine la guerra mace‘donica fu il 586 di
R., al qual egli assegna i consoli Go. Elio Pelo e M. Giulio Pen
no', laddove, giusta il Sigonio, il consolato di costoro e l’eccidio
di Perseo debbono trasportarsi all’anno 585. Il P. Petavio (Rae
tiones tempor., T. 2, p. 454) Spinge innanzi di un anno il cal
colo del Casaub., ed a lui si è attenuto (comechè nol dica) lo
Schweigh.; ben ragionemlmente, dappoichè nel 587 di R. fini
scon appunto icinquantatrè anni su’ quali disse già Polibio che
5’ aggira propriamente la sua storia, e la parte a cotal epoca po
steriore sino al 6o8, anno della distruzione di Corinto, non è se
non se un’ appendice di quella. Nel corso delle note al presente
libro avremo ancor occasione di ritornare su questo argomento,
che abbisogna di maggiore dilucidazione. ‘
(I) Intorno a quel tempo. Quest’ ambasceria di Attalo è de
scritta da T. Livio ne‘cap. 19 e 20 del lib. x1.v per modo, che
sembra una traduzione di ciò che dice qui il Nostro.
7 2 ‘
(a) La sciagura ce. Di questo avvenimento non trovasi fatta
che superficiale menzione così in Livio, come in Pulibio. Il pri
ma lo chiama gal/ipus tumullus, cb’ è quanto invasione repen
tina, quale soleva fare quella leggiera ed impetuosa nazione ne'
paesi a lei vicini, non senza strage d' uomini cdi robe, incuteuti
agli assaliti maggiore spavento che non sogliono fare le guerre or
dinarie e prevedute. Al qual proposito asserì Cicerone (Plai
lipp. vm, I) esser il tumulto più grave della guerra , e poter
avvenire questa senza quello, non già l'opposto. Ed a questa par
ticolarità sembrami che volesse aeceunar il Nostro usando il vo
cabolo r6pr7upa, ch'è proprio cosa, avvertimento in senso si
nistro, siccom’ erano pell’appunto siffatte irruzioni. Poco appresso
chiama ein cotesta guerra, I‘aAn7im‘n mp'nenv, nello stessa
significato, non già l‘aÀa7rzin ‘ra'Àlp0I.
(5) Risconlro. [l vocabolo greco cimiv'lqns‘, che ho cosi vol
tato, equivale qui ad accoglienza fatta per mezzo di persone di
stime mandate incontro al forestiero che s’ intendea d’ onorare,
nel qual scuso trovasi questajoce usata nelle lettere del Caro;
laddove incontro sostantivo per esprimere siffatta accoglienza non
si adopera. [traduttori latini ne fecero una circoscrizione: Quum
que majore quam sperasse! ipse comilalu obviam ei esse!
prqfèctum (essendoglisi andato incontro con maggior incompa
gnamcnto di quello cb' egli stesso sperava).
(4) lntrallenendo pratiche. Mi sono attenuto alla spiegazione
che dà il Reiske al AuAe'óflu. del testo: parlando a Perseo
segretamente, avendo seco lui pratiche. Propriamenle è uni.
parlare di cose frivole , ciarlare, lo che pare che a simili ben
serii trattati non convenga. Tuttavia credo che il discorrere cou
lidcnzialmenle‘, e quasi all’orecchio, conforme qui fece Eumeue
con Perseo, non differisce gran fatto dal ciarlare.
(5) Volerglt'. Stimai opportuna la correzione fatta dall‘ Orsiui
e ricevuta dal Casaub. al /3w7iiolr9air del testo in BauMid'9ru, quan
tiigqUe non l’approvasse lo Schweigh; dappoich‘c fleoÀiulrl non è,
siccome in questo pare, cogitare, id agere (pensare, esser in ciò
357
fi’9occupato), sibbene consultare, deltbemre in pieno consiglio, lo
che certamente non fece allora il senato su cotal argomento.
(G) Mandò inoltre. 'Emariparn ha il testo che, per mio av
viso, i traduttori male rendettero per post (fratrem) mittit. Non
dopo il fratello è da credersi cb’ Eumene mandasse Stratio a Ro
ma, ma con lui, siccome scrivesi da Livio: Slratius cum eo fiu't
medicus. La preposizione iarl innanzi ad un verbo significa non
di ram aggiunta all' azione che lo stesso verbo esprime.
(7) Ed avendoin esposti ec- Secondo Livio due erano le in
cumbenze che costui ebbe dal re: esplorar i maneggi delfra
tello, ed ammonirlo ove si allontanasse dalla fedeltà. Qui pure
si distinguono due cose: primieramente quelle ch’Eumepe fece
conoscere, mostrò (indi/fui) a Stratio, cioè l’ambizione d’ At
talo ed i passi segreti che questa gli suggeriva , e che d’uopo
aveano d’ esser esplorati; poscia il comandamento (iv7ttMîplus
d’ ammonirlo se lo scoprisse infedele. Quindi nè deesi, secondo
che propone il Reiske, leggere 73 p‘n EiAAe 6nd. , quasi che
fosse questa la sentenza del Nostro: Tra le altre cose che gli
prescrisse, avendolo ancora incaricato ec.; nè può accettarsi la
versione del Casauh., re comunicata, cliè la semplice comunica
zione del fatto eseguita da Eumene era superflua a significarsi, non
così la sposizione dell' animo d’ Attalo riconosciuto dal fratello;
nè tampoco si può passar allo Scbweigh. che timò‘tt'fiai: esprima
alquanto meno di ’u'luha'psnr, non altrimenti che se Eumcue
raccomandate avesse al medico alcune c05e più, altre meno caldamente. , I
(8) Guastarc la loro casa- Non mi piace il cangiamento di
fimo-mia; in Spinta; (consenso), ovveramente rvaanfau
(accordo) proposto dal ltèiske, potendosi, conforme osserva egli
stesso, interpretare fiasnAl/m casa regia, stato del regno. Era
stato suggerito ad Attalo di chiedere la divisione del regno. col
darne a lui una parte (c. 5), lo che sarebbe al corto stato ca-,
gioue di perpetua nimistà tra i fratelli, che con ogni sforzo avreb
buuo procacciata la reciproca loro mina. Lo SchWeigh. lascia a
POLIBIO, tam. 7111. 6
\
,45
MH
/
fluo-Uni» il suo più comune significato di regno, reame, ap
poggiato sopra un passo ch' è verso la fine di questo capitolo,e
che a suo luogo prenderemo a considerare.
(9) Uomo prudente ed atto a persuadere. Chi s’ accigne a
persuader altrui qualche partito meriterassi la lode di prudente,
ove con efficaci parole gli rappresenti i vantaggi che a lui ridon
deranno dall‘esecuzione del procedimento suggerito, e le funeste
conseguenze che risulterebbono dall’appigliarsi al consiglio op
posto. Amendue questi argomenti svolse Stratio con ammirabile
maestria.
(IO) Non era per anche manifestato. 'Am3uîu’7puu, fu
dallo Schweigh. nelle note e nel vocabolario male renduto per
nata, procreala, nel quale senso non trovasi questo Verbo in nes
sun altro luogo del Nostro, nè presso qualsivoglia autore. Potrebbe
muover dubbio sull’esistenza di questo figlio, al tempo degli av
venimenti che qui si narrano, l’avereprimu detto Polibio ch’Eu
mene non avea prole, non altrimenti che scrisse Livio (u.v, lg)
di lui, nullam stirpem liberdm Imbean (non avendo discen
denza di figliuoli). Ma è egli forse impossibile che cotesto bam
bino, nato uell’ estrema vecchiezza del padre, non fosse da questo
riconosciuto dapprincipio per il sospetto che la moglie da altr’uo
mo l'avesse concepito,e che in appresso ricredutosi il dichiarasse
sua prole legittima? Livio al Certo, che avea Polibio sott’ occhi,
non avrebbe scritto: Nondum enim agnoverat rum (che nol
avea egli per anche riconosciuto) se trattato si fosse di persona
non ancora nata. - Ku72t @iwn abbiamo già detto altrove
(nota 108 al lib. xvm) che non significa ilfiglio naturale delle
nazioni moderne, ma che sta in opposizione al figlio adottiva
ch’e5primevasi per 1473 Sian.
(Il) Pere/tè in celesti [empi cc. Il testo volgato non può stare:
fla'm ,6Miw'lu 7oi“ rum-57;: nmfoiu , verbalmente: Quante
cosa ofl'enda ein i presenti tempi. Oltre 1’ imbarazzo di due so
stantivi retti da un solo verbo, è da considerarsi che non si of
fendono già i tempi, sibbene le persone o le cose ne’ tempi. Pro
pose già lo Schweigb. giudiziosmnente di leggere,»a7ir 7aiif ivi.
n.374; xl:pniaî , ne'lempi presenti; ma converrebbe ancora in
luogo di mitra (quante cose) scrivere xiv“; (come).
(le) Dovendosi . . . . ringraziare cc. All’Orsini, sembrò sba
gliato l’inm congiunto con zip: nel senso di dover ringraziare,
e vi sostituì ii3iuu (sapere). Il Gronovio reputò eziandio tron
ca la frase e vi aggiunse 6171 (dovere) daversi saper grazia
agli Dei. Io tengo collo Scbweigb. che niente è da cangiarsi, e
sprimendo la frase, siccom'è nel testo, in buon greco abbastanza
quello che volle significar il Nostro. Tuttavia m’ è convenuto, per
rimaner fedele all’ indole della nostra favella, avvicinarmi alle e
mendazioni summentovate.
(15) Le minacce de’ Galli. Tîiv nitr‘o 73| l‘aàa7iv Qo’,3u,
propriamente il timore incasso de' Galli, cioè dalle loro mi
nacce, che qual causa abbiam sostituito all’ effetto (timore) sottin
teso. l traduttori latini non colsero con precisione nel senso del
l’Autore scrivendo: Praesentem gallicum tumullum. Non scrissi
Galaziì, sebbene Galazia avesse nome la regione da costoro abi
tata, perciocchè l‘ami7ui (Galazii), non altrimenti che KiA7m
(Celti), erano i Galli tutti da‘Greci chiamati (V. Strab., IV, p. 189).
(I 4) Scorwolgerebbe il regno ee. A questa espressione si rife’
risce lo Scbweigh. per dimostrare che ,Bflo'tìtll'a al principio di
questo capitolo significa reame anzicbè casa reale, conforme avver
timmo alle nota 8. Noi non ci opporrcmo al suo parere , che
qui l’anzidetto nome greco abbia cotale significato, ma nella poca
convenienza che lo abbia al luogo citato osserveremo. che quanto
segue è tutto relativo alla famiglia regia, parlandovisi de’ danni
che dalla condotta d'Attalo deriverebbero non solo ad Attan
medesimo , ma eziandio agli altri suoi fratelli. Il perché non è
assurdo che qui pure a flawlur'u si attribuisce: l’ altro Senso
meno usitato.
(I5) Nella guerra contro Perseo. Essendo nel testo xc.7is
7‘“ [Uffici wo'M|unv, l’ Orsini posi: ii; 7o! innanzi nu7‘a: ag
giunta molto conveniente, precedendo come qui il verbo ampie
O
viriur“f"" V » "h-"e-u -fi.-WI"“"M " V
_7. u.,,,, ' , 7
f.’ .fil \
xiv-9m cui il Nostro fa sovente succedere sir, e talvolta tpin'
eoll’accusativo della cosa nella quale si adopera la persona. Ma
allo Scbweigh. piacque meglio che si omettessero queste parole ,
comechè ein le abbia ricevute nel testo, e nelle note propone
di scrivere semplicemente tutti: 7‘" flipe’iuf, ovveramente “IP
n»ìn aro')up.u; anzi dà per cerlissima la lezione ni7ì 73v wpias’
flipeiaz 1rtiMpn. lo amerei che si leggesse: El: oppure arpia:
7%; nulla (contro) Hspvio; ara'Aapuv.
(l6) Erto. Cinque città che portavano questo nome annovera
Stefano, situate in varie provincie, ed un' isola presso 1’ Arabia
felice. La presente era città marittima della Tracia alla foce del
1’ Ebro, la quale non altrimenti che Maronea, sulla stess:n costa
alla foce dell’ Ismari, apparteneva dapprima a’ re d’Egitto ( v, 54),
e poscia fu usurpata da Filippo padre di Perseo, il quale per
tanto dovette sgombemrla per comandamento del senato romano,
presso cui eransi di ciò laguati i fuoruseiti di quelle, che aveano
parteggiato per Eumeue (xxut, Il ). Quindi non è a maravi- ‘
gliarsi se Attalo le chiedesse ora in premio della sua inconcussa
fedeltà verso i Romani. _
(17) Il senato. Suppo_neva questo che il motivo principale
della venuta d'Attalo a Roma fosse il chiedere per sé una parte
del regno di suo fratello, la cui fede erasi renduta sospetta a’Ro
mani; e forse era tale il suo divisamento innanzichè il discorso
di Stratio 1’ animo suo a contrario pensiero volgesse. Ma più del
l' ambizione poté in quel principe, non già l'amor fraterno, sib
bene il timore delle conseguenze che risultate sarebbouo dalla di
visione del regno posseduto da Eumene. Se non che il senato, per
quanto desiderasse cotal divisione, e forse amato avesse di tra
sferir in Attalo tutto il dominio, non volle pubblicamente far
gliene la proposta, e come vide ch’ egli, non cedendo alle secreto
subornazioni, si taceva affatto sull’argomento che stava loro tanto
a cuore, tenero del proprio decoro se ne ristette, e preferì di fargli
conoscer il suo risentimento colla sottrazione del dono promesso.
Livio (xzv, ’10) riferisce, ch’egli, non solo presente, ma ezian
34t‘
e
%‘idio nella partenza fu come pochi re o privati trattato con tutti
gli onori e doni, e non fa motto della cessione a lui mancata
d’ Eno e di Maronea. Nella sposizione del qual fatto sembrnmi
che lo storico romano fosse più guidato da patt‘io rispetto che
da amore di verità.
(18) Conseguite avendo se. l MSS. che recano tapis 751
Tuzév'li’n chfluspuz'tzv sono al certo sbagliati, e l’ Orsini,
seguito da Casaub. , ne fece rapa7vzi‘ur; ragionewlmente, se
condochè a ma pare. Il Reisko propose di scrivere rupuu7it (fa
migliare al Nostro per tapzwrtfzt, tosto, subita) 7lllzài , e la
sentenza verrebbe ad essere: Come prima ebbe ricevute le cor
tesia se ne andò da Roma; lo che rassomiglierebbe ad una pre
cipitosa fuga anziché ad una tranquilla partenza. Oltracciò è il
zapau7ia troppo distante dal verbo a'ippqflv che di per sè e
sprime celerità, impeto, senzachè abbia mestieri d’essere da al
tro vocabolo rafforzato. Ma forse basterebbe il semplice 7uxiin
seuz’ altra precedenza.
(ig) Non potendo far altro, « cioè non poteva impedire che
ciò accadesse, o non potea render nullo ciò ch’ era fatto ». Rei»
ske. Questo non panni il senso del testo. Il senato, dice il No
stra, non poteva in altro modo punir Attalo, il quale ingannata
avea la sua aspettazione, che non dando a lui le città che già gli
ebbe promesse colla tacita condizione, ch’ egli dovesse chiedere
per s‘c parte del regno di suo fratello.
(20) A’ Galli mandò un’ ambasceria. Di questa, siccome del
l'antecedente risoluzione del senato, non parla Livio. Era questa,
per quanto scorgiamo dal presente luogo, secreta, ma poscia se
ne vide il risultamento, che consisteva nell’accordar a quella
gente di vivere colle proprie leggi, libere dal giogo d’ Eumene,
ma coll'obbligo di non uscir armati da’proprii confini. (V. xxxr, a).
(2|) Dapprima Filarrate. Secondo Livio (xav, 25) i prin
cipi dell’ambasciata erano Filocrate ed Astimede; di Filofronè
_non fa egli menzione alcuna. La venuta anteriore di Filocrate
avea, secondo lo Schweigh., per iscopo la consegnazione a’Romani
l
l‘8
,.l
di/î)inone e Polka-Mo, capi della fazione a questi avversa, con
forme scorgesi da varii luoghi de’ libri ‘17, ’18, 29 del Nostro, e
dal lib. xnv, 22 di Livio. In tal caso dopo ci mpi 7‘ov 01Anpé
7m converrebbe porre 7in Aenóm lal7in fla)tuuipu7or mzpulr
3óv7ss.
'(2’2) Ricevuta la risposta cc. Que5Io l‘atto importante, da cui
ebbe origine la costeruazione de’ Rodii ed il loro contegno in
Roma, è sorpassato da Livio. La risposta stessa leggesi nel
lib. xxrx, 7, e ne risulta lo sdegno de’ Romani per l’audacia de’
Rodii che, veggendo Perseo chiuso in Macedonia e ridotto a mal
partito, imporre voleano a quelli colla minaccia d’accordare a co
stui il loro favore, e ad un tempo vi si scorge la volontà lorointenta alconsiderarli come nemici.
(25) Uno de’pretari. Era questi, a detta di Livio (xav, 2| ).
M. Giuvenzio Talea, che avea la giurisdizione tra i cittadini ctl
i forestieri, ed al cui tribunale per conseguente questa faccenda
propriamente apparteneva. Con procedimento al tutto arbitrario,
senza consultar il senato e senza render avvertiti iconsoli, pro
pos’ egli la guerra da dichiararsi a’ Rodii. A lui si opposero i
tribuni M. Antonio e M. Pomponio; ma i tribuni ancora non
avean diritto di frapporsi ( intercetlere) innanzichè fosse loro con
ccduta la potestà di persuadere o dissuader la legge a’ particolari,
lo che allora non era il caso, non essendo questi stati interro
gati. Insurse quindi una fiera gara tra il pretore ed i tribuni, l’e
sito della quale non si conosce da Livio, ch’è qui mutilato. Tut
tavia sembra che i tribuni avessero riportata la vittoria, dappoi
che riferisce il Nostro che Antonio trasse il pretore da’ rostri, e
veggiamo che i legati rodii ebbero poscia facoltà di parlare.
(24) Nelle raccomandazioni. Dispiacque al Reiske ed allo
Schweig. quel rupanàifln tosto seguito da uapcuaìni'v, e pro
posero di sostituir al primo di questi vocaboli ‘n'liufm’, siccome
leggesi in Diod. Sic. (Eclog.. Phot. , lib. xxxr, x), il quale
compendiando questo fatto il narra quasi tutto colle stesse pa
role di Polibio, ed il Wesselingio ancora vorrebbe mutare l’e
"" " '“"_*._fiA. >--- _«muhiui-ù_di » i!
,75' 77
spressione del Nostro in quella di Diodoro. Ma 'n'lclin è pro.
priamente colloquio, congresso, udienza, senso a questo luogo
molto meno conveniente che non quello che risulta dal rupe
I.Mifli , secondo la sua etimologia invomzione dell’altrui aiuto,
lo che, se non m’inganno, corrisponde alla voce raccomandazione
qui da me usata. Cosi voltai nel lib. xxm, 7: p‘s'l'ufiwflos
tal sapa=Afinus muvpsmv loin' Ao'yws‘, avendo parlato
come chi supplica e si raccomanda.
('25) Astimede. La costui orazione, della quale Polibio, od il
suo epitomatore, non rammenta che i sommi capi, fu data per
esteso da Livio; se non che il principio, dove senza dubbio leg
gevasi il nome di chi la pronunciò, n’ andò smarrito. Noi ver
remo confrontando la opinione del Nostro su questo discorso co’
passi dello storico romano che vi hanno relazione.
(‘26) Il canto del cigno,-del quale si favoleggia che canti una
sul volta innanzi alla morte. Così gli ambasciadori rodii, esposta
ch’ebbero la loro difesa, aspettavansi la sentenza dell'estrema
sciagura che dovea colpirli. Lo Schweigh. suppone che questo
proverbio si adatti pure a coloro che sono in qualsivoglia peri
colo, ed appoggia la sua asserzione sul presente passo e sopra
un altro nel principio del e. 20, lib. un.
(27) Tali risposte. Molto più si estende in queste il Nostro
che non Livio, il quale (xzv. a5) dice aver il senato risposta
a’ Rodii per modo che non divennero amici, ma rimasero socii.
(28) Pochi amici di loro. ltraduttori latini rendettero àu7îv
per Romunorum. (de’ Romani), ma a me sembra piuttosto che
cutesti fossero amidi de’ Rodii, tra i quali fu il principale Mi
Porcio Catone che li difese con energico discorso, di cui ci serbò
alcuni brani A. Gallio (vu, I); l’ intiero che , a detta di Livio
(l. e.), leggevasi nel quinto libro delle Origini essendo perduto
insieme con questi libri; (che adulterini debbono reputarsi quelli
che sotto cotal nome pubblicò Annio da Viterbo). Da’ pochi pe
riodi che di siffatta orazione rimangono scorgesi , come il Cen
sure, verso i suoi concittadini più severo che verso i miseri Ro
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d{i,6quclli rampognavn per la superbia in cui erano montati do
po la vittoria, questi scusava per non aver essi giammai ostil
mente operato, n‘e mosse le armi controi Romani. Non si com
prende pertanto, come Polibio non ebbe fatto molto dell’ arringa
di Catone in favore de’Rodii; chi non supponesse che tanto
stomacato fosse dell’ orazione d’ Astimede, e tanto forse gli dispia
cesse il contegno di questa nazione, che non la reputasse degna
di cotal difensore, ed amasse meglio di non parlarne tampoco.
(29) Per essi. Pegli ambasciadori medesimi, i quali eransi
tanto umiliati, ed in certo modo confessato avean il torto della
loro gente.
(50) Nella giusti/irruzione della patria. Tu ‘riis warp'a'u
Jlum sono qui propriamente le ragioni valide, igiusti mo
tivi che indussero la patria a comportarsi nel modo che fece. La
traduzione latina di questo passo sembrami deviare da siffatta
idea, anzi al tutto vaga. Suona essa cosi: Nani ille palriae caus
ram non magi: eommemorandis ii: rebus est tutatus, quae ad
eia: excusationem pertinebant, quam aliorum criminationibus.
( Imperciocchè egli difese la causa della patria meno rammentan
do le cose che alla scusa di lei appartenevano, che non coll’ac
cesare gli altri).
(5|) Nel principio della guerra. 11 Noi (diceva Astimedc)
nel principio della guerra mandammo a voi ambasciadori, che vi
esibissero quanto fosse alla guerra necessario , apparecchiati di
chiarandoci a tutto co’ navigli, colle armi, colla nostra gioventù,
siccome nelle guerre antecedenti ». Ma fatto sta che tutto questo
immenso apparato si ridusse a quaranta navi che allestirono per
il caso che i Romani li richiedessero d’aiuti (xxvu, 3). Quanto
è poi alle operazioni degli altri a vantaggio dc’Romani,non tro
vasi, a dir vero, in ciò che di quella orazione a noi pervenne
che il legato rodio le confrontasse con quelle della propria na
zione, e nel rigor del terminc le abbassasse. Tuttavia, rlappoichi:
egli fece menzione onorevole cotanto de' sacrificii recati da’ suoi
a’ Romani nelle guerre contro Filippo, giustizia volca ch’ egli
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non defraudasse Attalo ne gli Acl1ei (l8llfl‘d0Vlllè lodi, dicendo
come non meno di questi erano stati i Rodii benemeriti de’Ro
mani, e nella presente guerra non minori offerte loro facessero
che gli Achei.
(3a) Dagli errori cc. Disse degli Ateniesi cb’ erano precipitosi
e sopra le loro forze audaci nelle imprese, de’ Lacedemoni ch'e
rano temporeggiatori, ed entravan appena negli affari che inspi
ravan loro fiducia. Gli Asiani tutti accusava di votezza d'inge
gno, ma de’ suoi asseri solo che avean il parlare un poco gonfio,
perciocchè (notate millanteria) sapevansi dappiù degli altri stati
vicini. E tant’ oltre giunse nell’ incolpar altrui a torto, che 1’ of
fesa recata a’ Romani nell’antccedente ambascerìa non attribuì al
governo, dond’ essa procedeva, sibbene all’ oratore che, a della
sua, usò verso il senato espressioni stolte e superbe.
(53) Furon a tutti rimesse cc. Qui accenna egli singolarmente
a’ Macedoni e agl'lllirii, de’ quali lagnavasi che i Romani li di
chiararono liberi, mentrechè servito avean avanti di guerreggiarc
contro di loro. Del resto se la dicerie di Astimede fosse intiera
a noi pervenuta, maggiormente apparirebbe quanto asserisce il
Nostro intorno alla sua assurdità. E già la prima sentenza, donde
incomincia la parte che ne fu serbata , è non meno falsa che ar
dita: È a dubitarsi ancora (essa suona) se abbiam peccato:
le pene e le ignominie tulle (del peccato) già sopporliamo.
(54) Per un timore occullo, cioè ch’ egli occultava. Aggira
vasi questo timore sulle sciagure che aovrastavano a’Rodii da’Ro
mani, e ch’ essi con ogni mezzo eziandio il più ingiusto volevano
da se allontanare , riversandolc sopra altri che dimostravano di
loro più colpevoli.(55) Rimestando. È rimestare secondo il Varchi (Ercolano 6o)i
ritrattar alcuna cosa a malgrado di colui al quale tocca , e dice
più di rinnovar , non altrimenti che il volgato satuwuei'v
più esprime dell’rinpnicms od ènpniur (rammentando) pro
posti dal Reiske.
(56) Diecimìla monete d’ oro. Secondo Livio erano queste
I
<fi’2.
78
ventimila, la qual somma sarebbe veramente enorme per una
corona; duppoichè Venti dramma ottiche d’ argento formando
una moneta o dramma d’ oro zpunîiî (V. Sopipg. ad He
sych. alla voce zfvu'ós), ne segue che ventimila d' oro corri
spondono a quattrocentomila d’ argento, o dir vogliamo a sessan
tasei talenti e due terzi, che a 5400 franchi per talento equival
gono a franchi 360,000. Sebbene non erasempre una corona il
dono che in tali occasioni porgevasi, segnatamente quando, siccome
qui, trattavasi d’una ragguardevole somma; ma tal fiala era desse la
valuta effettiva che sotto il nome di aurum coronarium offerivasi
da’ popoli vinti, 0 che, non altrimenti che ora i Rodii, aveau otte
nulo qualche grazia segnalata da chi avrebbe potuto opfirimerli
(Vedi Lips. , De magnit. rom. Opp. , t. m, p. 402, 6).
(57) Teelel0. Mi sembra ragionevole la restituzione che fece
lo S:hweigh. di questo nome recato dal cod. dell’ Orsini e dal
bavarese, rifiutando il Teadolo che hanno tutte le edizioni di Po
libio, non eccettuato la Orsiniana, e Livio stesso, la cui autorità
forse impose ain editori. Tre altre volte trovasi rammentato Tee
teto tra gli uomini di stato che figuraron in Rodo (xxm, 5;xxvn,
Il; xxvm, a); nessuna Teodoto. Che se da’ luoghi testè citati
non iscorgesi ch’egli fosse comandante dell’ armata rodia, leggesi
qui che quella dignità gli fu conferita nell’ occasione appunto che
lo si creò ambasciadore per portarel’ oro destinato alla corona.
Dalle espressioni di Livio, Theodotum praefedum classi: in
cam legationem miserunt, dovrebbe concludersi ch’egli avesse
anche prima il supremo comando della forza navale,e questa ine«
sattezza possibil è che convalidasse l’errore in che incorsero ili
hri stampati.
(58) Rodqfonte- Costui pure avea sempre tenuto co’ Romani,
conforme bassi dal lib. xxvn, c. 6, dov’ egli è nominato con
Astimede, e dal lib. xxvm, c. a, dove il veggiam unito a Tee
mm.
(59) E ciò jècera cc. All’ oscuro testo di Polibio che abbiam
fra mano apporta luce la traduzione che ne fa Livio: u Volendo
79'essi (scriv’cgli) chiedere da' Romani la socielà per modo," che
di quella cosa non si facesse un decreto dal popolo, a si re
casse in iscritto ; Io che se non avessero impetrato, la vergo
gna dell’ essere stati rigettali sarebbe maggiore. in Con questa
scorta pertanto sembrami che procedano benissimo le parole del
Nostro. Tentavan i Rodii ad ogni modo di stringer alleanza
eo’ Romani, ma volevan ad un tempo, se a questi altrimenti
piacesse,'senza decreto e senza legazione rimanerne privi. La
ragione di cotesta volontà aggiunse Livio, ed il Nostro la sot
tinteso: La vergogna d’ un pubblico rifiuto. Quindi io stimo
inopportune le correzioni proposte qui dall’ Orsini, dal Reiske e
dallo Schweigb. ‘
(40) Cola! facoltà, cioè, conforme dice Livio, di trattare sif
fatta bisogna senza che ne sia fatta alcuna proposta: non già,
siccome hanno gl’ interpreti latini, di stabilire la mentovala so
cietà (sancieudae societatis potestatem ).
(4|) Non fece sera loro alleanza. Diane Cassio (fragm.
n. un) dice che i Rodìi non erano prima di quest’ epoCa le
gati da nessun giuramento d' amicizia co' Romani, e ’che perciò
poteansi da loro sciogliere quandochè fosse. Il passo d’ Appiano
addotto dallo Schweigb., per far conoscere in quali particolarità i
Romani distinguevano gli amici dagli alleati non fa al proposi
to, dicendosi in quello, che i Romani permettevano a'forestieri
d’esser amici, ma senza bisogno di soccorrerli, come verso gli
amici si usa.
(42) Con giaramenti e convenzioni, che l' avrebbon obbli
gato ad avere per amici e nemici quelli de’ loro alleati, ed in
ciò particolarmente differiva la società dall’ amicizia , conforme
veggiam ancora dal luogo di Cassio citato nella nota antece
dente.
(43) Non massi a stringer alleanza per essere fatti più si«
curi dalle altrui aggressioni; siccome Livio amplifica il detto da
Polibio: quae IMIÌONS eos ab aliis fitcerel. L’ iwuyépuu del
testo è poco esattamente renduto da' traduttori latini con ma
..-.5..
93
’,-. .-«,.-.
53.?
8<.
,%gnopere opus Imbebant; che iniyw9’u è propriamente essere
spinto, impulso, invitato, non già avere grande bisogno.
(44) Col maggior impegno toglier isospetti. Questo passo che
il Reiske dichiarò oscuro nel e certamente, ova col Gronovio e
collo Scbweiglr, t‘mîp9irn s’interpreti magnitudi1wm,gfanrlczza,
anzi grandezza superlativa, il qual senso avrebbesi dovuto esprimere
con mazimo, non singolari stadio. Nulla dirò del Casaub., che lesse
bene, ma tradusse male.- Ad 'nnm’zr pertanto conviene sosti
tuirc imuu'ns, sospetti, siccome bene suggerì l’0rsini, dappoichè
l1r/nla e pensiero, consiglio, macchinamcnto, secondocbè osserva
lo stesso Schweigh., il quale ioaipli'r9m 72;; Ìfl'no/Ùî tradus
se: irrita reddercnt causi/io. Ma alla mente di Polibio ed al te
sto di Livio meglio coufassi suspìciones, che il Casaub. accolse
nella sua versione, sebbene lasciò intatto l’originale.
((5) Era approdato, cioè giunto in porto per andare a Ro
ma; quindi non scrisse male il Cusaub. Via: Romam appuleml;
comechè necessaria non sia l’aggiunta di Romam, che io ho 0
messa seguendo lo Scbweigh. In patria al certo non era ein al
lora ritornato, dappoichè più tardi ancora il veggiamo a Roma,
dove morì (c. ig).
(46) I Caunii. Era Calmo città marittima della Curia con
darsena ed un porto che potea chiudersi. Fenile al sommo avea
la campagna, ma l' aria malsana (V. Strab.. lib. xrv, p. 65|).
Forse vi corrispondel’orliema Marmarizza, dove non ha guari
svernarono i vascelli da guerra britanni ed austriaci, dopo la glo
riosa espugnazioue di Sayda e di S. Giovanni d'Acri (Sidone e
Tolemaide). - I Milassii. Intorno a Milasso, città essa pure della
Caria , veggansi le note 57 e 145 al libro xvx. Livio a questo
luogo scrive il nome de’ suoi abitanti con 1' semplice, Mylascn
ses, non altrimenti che Plinio. - Euromo. Dal presente luogo
puossi arguire essere questa città allora stata una repubblica che
soggette aveva altre città, le quali occupate furono da que’ di Mi
lasso, probabilmente perchè erano fedeli a’ Rodii, sebbene sem
bra che la capitale non avessero iuwsa. La rammenta Straboue
(mv, p. 657), e Plinio (v, 29, che 1’ appella Eurome.
(47) Circa quel tempo cc. Livio non fa menzione di questo
senatusconsulto, ma dice solo che a’ Rodii fu comandato di ri
tirar entro un certo termine i governatori della Liciae della Ca
ria . lo che fece loro sospettare che i Romani fossero per to
glier loro coteste province. Erra pertanto, a mio parere, 1’ Or
sini, credendo che qui in Livio abbiasi a sostituire Rhodit's a
Romanis. ed origine del suo errore si fu lo spiegare udemtae
a Romania, tolte a’ Romani; mentrechè significa in realtà da'
Romani, e vi si sottindende a’ Bodii.
((8) hlamlalovi Liso. Al Rciske dispiacque l'è marip4usflas
del testo, cui preferirebbe il semplice riptlmv7ir, ovveramente
imxip4vav'lu, senza render ragione di siffatto mutamento da
lui proposto. Lo Schweigh. difende la seconda di queste le
zioni , supponendo omesso 'nr' àv7o‘us; spedendo lor addosso,
contra di loro. Ma il senso più ricevuto di irnripfln ‘e man.
dar dietro, oltre alcuno che si è già mandato , e ciò non fu
in questo caso. Noi abbiamo ritenuta la scrittura volgata, nè
vi supponemmo nessuna omissione. Quanto è al nome di -Lico,
non istimiamo collo stesso Reiske che debba cangiarsi in Lico
- frone, comechè questi trovisi in altra occasione (XXVI, 8) man
dato da’ Rodii ambasciadore a Roma.
(49) Savr’ Ortosia. Qui appunto, a detta di Livio, fu data la
battaglia, nella quale i Rodii rimasero vincitori.
(50) Di Dianne e di Poliarata. Di costoro, ch' erano capi del
partito favorevole a Perseo, ha il Nostro ragionato in varii luo
ghi. In questo periodo, tronco a noi pervenuto, e' si pare che
Polibio espressa abbia siffatta sentenza, od altra simile: Così fu
ro'no da noi esposte le varie opinioni che divisero i Rodii nella
guerra di Perseo, avendo prima cc., e ragion vuole che ante
riormente in occasione dell’ ambasciata rodia , fatta dopo l’esito
di quella guerra, egli siasi diffuso nella narrazione delle politiche
mene in che agitaronsi quegl’ isolani, poiché parlato ebbe dc’ sum
mentovali uomini avversi alla causa de’ Romani.
(5|) In si[fizlti esempli specchiandasi. Il testo ha o'o‘uu‘t 7|iarav
ìu7t9-lpimv, verbalmente, quasi da modelli esposti, parole che
voltate furono in latino: tamquam ex proposito excmplo discant
(apparino quasi da esempio proposto). A me è sembrato affarsi
meglio al senso dell'Autore la frase italiana che ho usatn,i mo
delli esposti che qui riscontransi rappresentando proprio le im- '
magini che affisiamo, perché ci rimangano impresse nell’animo,
e ci siano di guida nella nostra condotta. In questa sentenza
scrisse Terenzio (Adelpb, Act. 5. Se. 5):
Inspicere, tanqunm in speculurn, in vitas omnium
Jabeo, alque ex aliis stimere excmplum cibi.
(59) [Valle rendano le azioni. Il testo ha 'lnif , . . . 1’de
fisu aiuer a-u3n, dove manifestamente innanzi al verbo manca
alcun vocabolo che qualificbi le azioni. 1 commentatori in varii
modi vi suppliscono. [I Gronovio suppose che in luogo di d'èu7fiv
fosse scritto 7' éu7‘v, lo stesso, ma ciò non dà un senso abba
stanza chiaro. Al Valesio piacerebbe «Eden/pane (rpéfur), azioni
disonorate. 'Enuuîwnw, vel‘gngn0se, è=Auic. senza gloria ,
Èpavpaós, oscure, èm@ihsis, inutili propose il Reiske. Allo
Sebwetgh. è sommamente probabile che le due voci niu'lîiv arnie;
siano corrotte da un verbo composto, il quale non gli veniva alla
mente. lo pertanto, senz’aver il dotto capo ed il felice ingegno
cui lo stesso Scliweigh. rimette il ritrovamento di cotal verbo,
stimo che questo potrebb’essere è9|'lliv, annullare, render vano;
nella quale supposiziona avrebbe qui a_leggersi 4.917501, e spa
rirebbe la lacuna.
(55) Erano adunque tre generi. Livioìncora (x1.v, 5|) stabi
lisce tre diverse fazioni tra i Greci per rispetto alla guerra che
finì coll’ eccidio di Perseo; ma nel determinarle non s'accortln
col Nostro. Tria genera principum, sono parole del primo , in
civilalibus erant :duo quae adulandu aut Romanorum impe
rimn, aut amict'liam regum , sibt' privalim ape: oppressi: [avic
bant ciuitalibus, medium verum utl‘iquc generi aversum, liberta
tem et lega; tucbatur. Dividevansi quindi secondo lui i partiti
realmente in due classi. L’una mirava al proprio vantaggio el'a
voriva quando i Romani, quando i re (notisi che qui non si
tratta solo di Perseo, ma degli altri re ancora manifesti o segreti
' nemici de’ Romani), secondochè a questi od a quelli era propi
zia la fortuna. L’ altra classe, che difendeva la‘libertà e le leggi
patrie, stavasi di mezzo, ed era non meno amata da’ suoi che in
grazia presso gli stranieri. Ma giusta Polibio non v’avea alcuno
che per procacciarsi ricchezze ed onori parteggiasse pcgli uni o
pein altri, e tutti i tre generi da lui annoverati contrarii erano
a’ Romani. Il primo non potea tollerare 1' universal dominio di
questa nazione, e coincide col terzo di Livio, dappoicbè siccome
questo nella condotta non si dimostrava parziale. 1 due ultimi e
rano amici dichiarati di Perseo, e il sostenevano con tutte le loro
forze; se non che dill‘erivauo nell’ essere tornati Vani od efficaci
i loro maneggi a pro dell’ anzidetto re. A Polibio pertanto, greco
di que’ tempi e non poco interessato nelle vicende della sua pa
tria, prestar dobbiamo maggior fede. Couosceva egli certamente
quali passioni capivano nell’ animo de’suoi connazionali, e tra
quelle non diede luogo al turpe amore di se, che forse avrà mac
chiato l' onore di qualche individuo, ma non si estese a tale, che
un genere numeroso di colpevoli se ne potesse formare.
(54) Antinoo e Teodolo, ec. Intorno ad Antinoo e Cefalo veg»
gasi il lib. xxvu, c. 15. Di Teodoto Colà non si parla. I Mo
lossi, a dir Vero, erano nazione epirota; ma nel luogo testè ci
tato ragionasi di tutto l'Epiro.
(55) Riusciti essendo gli affari ec. Anicio, 'poich’ ebbe vinto
Genzio ed erasi impossessato dell' llliria, penetrò nella Molossi
dc. Colà gli anzidetti, che per avere sedotte le popolazioni a ri
lmellarsi de’ Romani sperar non poteano da questi perdono, per
suadere volendo a’ loro compatriotti di chiuder a' Romani le porte
€‘2
334delle loro città e non essendo da essi ascoltati, oacciaronsi nelle
prime file de’ nemici ed incontrarono la morte (Liv. xzv, '16). -
Il Reislte e lo Schwcigh., fecero ragionevolmente un’_ aggiunta al
testo, senza la quale mozzo sarebbe il preSente periodo. Se non
che in vece d’incominciarlo: 0175! apa7;ui7uv, iquali (Antidm
lo, Teodoto e Cefalo) riusciti ec., io preferirei di scriverez‘l'b
3i npn7psi7m x.. 7. A., siccome l’ho espresso nel volgarizzamcnto;
potendo il sub?“ che segue stare benissimo senza l’articolo si
che ne sarebbe troppo lontano.
(56) Mostraua il viso alla fortuna. Non piacque al Reiske
nè allo SchWeigh. il volgato nairm7u, ed il primo ne fece za
pi{av7s;, l’ altro nrnimflu. Io non posso approvare nessuna di
queste lezioni; dappoichi: zdpt’Cltt èseparare, dividere, allonlzi
nnre, ed anche assegnnr un luogo, i quali sensi non possono
qui convenire, dove trattasi di andar incontro, avvicinarsi rille
armi. 2urrîuu, a dir vero, equivalea congredi, attaccarsi in bat
taglia , e evrnism71s 707; capa’ón sarebbe quanto entrar in
lotta colla presente fortuna; ma ciò non fecero certamente que’
tre che disperavano della loro salvezza e correvano a morte vo
lontaria; che non era lotta illoro combattimento, sibbene abbando
no risoluto al ferro nemico; 'lrrémt all’apposito, aoristo sec0ndo
't’o’fqpl, donde o-niuv7u, significa stabilire, collocare,presentare,
e richiede l’accusalivo di ciò che si stabilisce, colloca, il qual
accusativo qui manca, ma potrebl)’ essere supplito per iau7obs
(si: stessi, per modo che la sentenza sarebbe: Presentaron si:
stessi alla fortuna, o come io l' ho espressa.
(57) E cimentnronsì ad ogni evento. Kai mia-u ibiAsyxu
7àt; iAxizias; verbalmente: e tentarono, cimentarono tutte le
speranze, io che non ha senso. Alqne in innocentia sua spes
positns habnere (e collocarouo le loro speranze nella propria in
nocenza) è proposizione‘chiara e conveniente al fatto qui espo
sto; ma non è ciò che ha espresso Polibio, che nulla disse della
costoro innocenza. Ora considerando come 's’Ams ed iA=ri{sn
non dicesi solo del bene che si aspetta, ma di qualsivoglia esito
8,5/8“
dell’avvenire, conforme leggasi nello Scoliaste di Tucidide (i,
pag. I, ed. Erist., Port.);‘cosi interpretai l)zl86; in qqesto signi
ficato, e panni di non aver errato.
(58) Imperciocchè ec. Fra i frammenti grammatici di Polibio
trovasi questa sentenza stravolta, per modo, che ne risulta quasi ,
il senso contrario, dicendosi colà che desiderare ed amare la
vita è sempre indizio di viltà e d’ animo maligno. Siffatta mas
o
sima al tutto assurda e probabilmente fattura di qualche inetto
compilatore, è contraddetta dall’ esempio addotto nell’ antecedente
periodo, in occasione del quale il Nostro profl'erì la massima mo
rale che qui leggesi.
(59) Rovesciaron. Con ragione fu al Reiske ed allo Scbweigh.
sospetto l'airicrpt-dm: del testo, ivanpi@uv significaudo voltare.
girare, senso che qui non conviene. Vi sostituirono ivi'l'pnluu,
da àvalpifln, rovesciare, abbattere, atterrare, donde risulta la
sentenza, che abbattuta fu a Dionne ed a Poliarato, dalla viltà
che allora dimostravano, la riputazione di forti ed arditi ch'e
ransi acquistata nel resister a’ Romani. Tuttavia leggesi nella tra
duzione latina imminuerunt (diminuirono), che ha valor ben in
feriore a quello del Vocabolo greco.
(60) Nella mutazione delle cose, che dapprima erano favo
reVoli a Perseo, e per il partito che avea tra i Greci, e per la
battaglia equestre da lui vinta sopra i Romani, della quale si è
parlato ne’ libri antecedenti.
(6|) Esemplare mostra coiale. Hapdduypa lurpeias è nel testo,
che derivato da 60Îypo, mostrù,îba in sè la idea di pubblica e
sposizione. Quindi esprimcsi il trionfire col verbo rafadujrfeut
7/Cnv; dappoichè ue'trionfi de’supremi duci romani faceasi mostra
delle città prese a’nemici, delle quali portavansi le immagini dell'oro
e dell' argento che avean 5000 recato da’/paesi soggiogati, edcgli
stessi dominatori delle vinte contrade che strascinavano il carro
trionfale. Il ludibrium de' traduttori latini non panni che abbia
tutta la forza di siffatta pubblicità cui esponevansi i colpevali,
nè accenni allo scopo per cui viene istituita, ch’è l’esempio. Nel
lib. Il, c. (30 tradussi za,dsiypultgiluevos, ad esempio mostrato.
’POLIBIO, TOM, VIII. 7
I‘IÎh’v-Ù
89°
(62) Avendo Papillio. Vedi su questo argomento quanto ne
scrisse il Nostro nel lib. xxtx, c. n.
(65) Per rispetto della patria e di Poliaralo. Avean i Ro
dii, confortati da Q. Marzio allorquando osteggiava in Macedo
nia, mandata un’ ambasceria in Alessandria per far cessare la
guerra tra Antioco e Tolemeo (xxvm, 15), e forse fu train am
basciadori Poliarato. Quindi era in tale supposizione costui non
meno che la sua patria ben meritevole de' riguardi che allora
ebbe per esso il re d' Egitto.
(64) Approdato . . . . a Faselide.
Scbweigh., aver fatto, siccom’ egli si esprime, quanto dovea can
giando il volgato rpq;fiv col e semplice in 1rqu;5v col e
doppio; giacché derivaudo questo participio da arpvlzuv. ch’è
A me non sembra lo
proprio l’appellere de' latini, anche nell' altro senso di appellem
animum, rpoo'lxln 7ln "'61. era da preferirsi il wpu;giìv. o me
glio wpacîzln al disarmonico Ipewzîr_ - Faselide era città
della Panfilia ne’ confini della Licia, quindi poco lungi da Rodo,
fabbricate sopra un monte, celebre pe’ suoi pirati che servivansi
d’ un genere di naviglio bislungo e veloce del nome di quella
denominato phaselus , Qua'hr. Del resto chi navigava da
Rodi in Alessandria non passava dinanzi a Fuselide, che giaceva
di là da quell' isola; non altrimenti che se taluno oggidì, tragit
tar volendo da un porto della Dalmaziaa Venezia, inutilmente
‘prolungasse la via recandosi prima a Trieste. Il qual giro vi
zioso tanto maggiormente qualifica la dissenuatezza di Poliarato.
(65) Nel pubblico asilo, secondo il testo al pubblico foco
lare, lai 7ÈI lanin 'wr/nv. Ed i particolari ancora avean il sacro
focolare , dove presso tutti i popoli greci ricoveravansi ifuggia
echi dalla patria che imploravano protezione. Cosi narra Tuci
dide che Temistocle rifuggl all’ ara del re de’ Molossi, da cui
ottenne salvezza contro gli Ateniesi cd i Lacedemoni che glielo
avean chiesto. Ciò pertanto non esprime il penetrale urbis, con
che reudettero il Valesio e lo Sweigh. le anzidette parole; che
penetrale è propriamente la stanza più interna della casa, dove
\
/8_/?!/
riceveansi gli ospiti che maggiormente velenosi onorare, e pene
trale urbìs, secondochè bassi da Livio (xm, no), era l’edificio nel
quale nutrivami a pubbliche spese i cittadini benemeriti della pa
tria, lo stesso che il Prilaneo in Atene ed in altre città della
Grecia.
(66) Rami d' ulivo. Avvolgevansi questi in fasce eporgevansi
da'supplicanti per muovcr a pietà. I Greci li chiamavan ancora
ixe7aipza. da in'liutn , supplicare, ed i Romani velamenla da'
veli che coprivan i rami anzidetti, donde la frase velamenta praelen
dere che veggo qui usata da’ traduttori. Tuttavia oltre n’ rami
d' ulivo coperti sembra che a tal effetto altri veli si facessero sven
tolare. Rama: oleae, dice Livio (xxtv, 50 in fine), ac VELAMENI'A
ALIA supplicum porrigenles. l’orlavan eziandloisupplicanti sem
plicemente fasce, infulas, siccome bassi da Cesare (Bell. civ., u,
12), alle quali forse avrà accennato Livio nel luogo testè citato.
(67) Questo era lo scopo. Toîilo 72| 'rp'alulu'lo' su. Nel
latino fu omessa questa indicazione di proponimento che dovea pur
e5primersi per la precisione del discorso. Rodo era il termine che
i conduttori proposto avcan al loro viaggio, ed in patria non e
ragli mestieri di supplichcpet‘ esser ricevuto. Il m: che non si
gnifica nulla andrebbe cancellatoj, conforme già osservarono il
Reislxe e lo Sclwnigh. Questi vorrebbe nelle note sostituirvi arco
nel senso di stima, crcrlo, realmente, senza dubbio. Altrove (m,'
108) spiega egli siffatta interiezione in certo modo, in qualche
guisa; significato che a questo luogo disdicc; ma l’ altro pure
non mi piace, ed io credo superflua affatto la particella in qual
sivoglia modo si legga.
(68) Se a Roma aveasi a recare. Nel testo manca il verbo ,
e vi è Semplicemente al (fin lì" Pu'yqv(noanfiu ch’è la scrit
tura volgata giustamente corretta dallo |St‘liwcigh.). Dalla qual
mancanza dedursi dovrebbe clic se ne abbia ad empier il vuoto
col sottintendervi pakli'v im91iy.fl, desiderasse d’andare , re
lativo alla patria, e così 1’ hanno intesai traduttori latini scriven
do: St'n Romam pro/ict'sei malclmt. Ma come mai supporre che
. 324
2‘“ .Poliarato avesse scelto di mettersi in mano de' suoi nemici capi
tali i’ Anche l'inz n7ao"rn'rnu, restiluirsi, suggerito dallo Selrwcigh.
nelle note, le verbo che male qui si adatta, dappoichè Poliaralo
veniva da Alessandria, e non era altrimenti stato a Roma giam
.mai. Che se dall’ orazione degli ultimi ambasciadori rodii, che
vennero in quella capitale per chiedere grazia e perdono, appari
sce aver essi tratti col'a i partigiani di Perseo, affinché il senato
ne faCesse il suo piacere, non sembra che in questo novero fos
sero compresi Dinone e Poliarato. Ecco le parole dell' oratore:
Nondum segrego civilalis caussam a Polyarnto et Dinona, n- m,
9170: Lu TRADEIIEMUA' rom: annvxuutfi. Dond’ è chiaro che coloro
che avean ad esser consegnati erano diversi da Dionne e Polia
rato. E quand’anche vi fossero stati condotti, come avrebbe Po
liarato trovato mezzo di sottrarsi dalla prigione e di andar in
Alessandria? Suppongo adunque che manchi nel testo ànyu'7.
od altro verbo di simile valore, ed in tal senso ho volgarizzato
questo passo.
(69) Fuorchè di navigar a Rodo. Qui m’ i: parato di dover
fare un’ aggiunta al testo, onde cavarnc un senso ragionevole. Po
linrato non avrebbe dovuto npprodar a Fasèlide, dond’ egli a
' Rodo od a Roma aveva ad esser condotto. In Rodo sua patria
non aveva egli bisogno di mettersi in un' attitudine supplicante ,
siccome scioccamente fece a Faselide. A Roma, se il comandante
della nave che il trasportava avea ordine di condurlo, egli ciò
non potea impedire. l\estava che si recasse a Rodo, nel quel
luogo solo ein poteri sperare d’ esser salvo. Suppongo quindi che
manchino nel codice del Valesio queste parole od altre di tal
fatta: WÀI‘|I tir "Patio! Èfl'otàiîv.
(70) Per iscorm. Continua lo Schweigh. nell’ errore che To‘
lemeo spedito avesse Poliarato, perchè fosse condotto a Roma, e
dice di Demetrio che lo scortava: qui ad eum Rou.«n millendum
val tmnsveheudum a nega conslilulus emi. Il 343 7‘). a'na‘rop
ml. disapprovato dallo stesso commentatore, che propone di sosti
tuirvi Ìn’i, rp‘or, in 7. ai. non sembrami al tutto fuori di pro
posito, preso nel senso di propter, per ragione.
551
8693
(7|) Che si tagliare (li là e navigasse. Era Poliarato in terra
presso i Faseliti, discesovi dalla barca di Demetrio, il quale non
si sa perché, trascurato il comandamento avuto da Tolemeo di
scortare in Rodo l’ uomo affidatogli, tosto' uscì di via per me«
narlo altrove. Se non che potrebbe darsi che un vento contrario
sopraggiunto gl’ impedisse di recarsi al luogo destinatogli, e lo
facesse entrare nel porto di Faselide.
(7a) Mentreclxè mlpavano. Questo sembrami essere il vero si
gnificato di xa'lìe 7òv Esca-Asi", che non compresero nè il Vale-‘
sia, né lo Schweigh. ll primo lo interpretò in erreensione (nel_
l’ uscita della nave); la quale non poteva effettuarsi avanti 1’ ar
rivo in Rodo. E neppure lo Schvveigh. la intese bene traducen
do: in e0 cursu (in quella corsa, quando navigavano). Nelle note
si corressa scrivendo: Dum in ca emnt ut rolvcrent (quando ac
cingevansi a salpare), e questa versione mi è sembrata più giu
sm. E altresì verisimile, conforme opina il medesimo, che a Po
liarato si fosse offerto il destro di entrar furtivamente in una
nave ceunia , e di recarsi per tal modo in Canne, ma in siffatto
caso nol avrebbe costretto il vento controrio ad approdarvi, de
viando da Rodo.
(75) Di bel nuovo. Jh’tAn. Non era questa dunque la prima
fuga, e s’ avrebbe a cre'dere che tale fosse ancora l’ondata a Fa
selide, dove Demetrio, prestando fede ad un qualche pretesto da
quello sciagurato addotto, sarà approdato. In tale supposizione
avrà egli la seconda volta pure ingannato il suo conduttore, sen
zaclxè necessario sia di congetturare che fuggito fosse in una nave
caunia , lo che senz'altro. escluderebhe il bisogno di un pre
IBSIO.
(74) Assaggellati a'Rodit. Queste parole sembrmni cb’ espri
mano meglio il 7177::9m iur‘a 751 P551'm che non la tradu
zione latina Rhodiis contributi- Cauno città della Caria era stata
da' Romani, insieme col rimanente di questa provincia sino al
Meandro e colla Licia, conceduta ‘in dominio a‘ Rodii, qual com
penso degli 'ajuti loro prestati nella guerra (1’ Antioco (Polib., XXII,
7, ’17). Ma poco dopo l’ avvenimento qui narrato si ribellarono.
» ‘È‘«i
90
(75) Un titolo. 'AQoppìv. Pretesto, colore, motivo nel senso
dato a questo vocabolo dallh Crusca al S 6. Pare qnindi che co
testo Pancrate, o comandasse allora tuttavia a’ Cihirati, o che gli
serhassero grata memoria se allora fosse già morto; dappoiehè
altrimenti non avrebbero protetto un amico del loro oppressore.
_ Ma era costume de' Greci d’ Europa che reggeansi a governo li
boro d’appellare tirarmi i signorotti di piccole provincie, o bene
o male trattassero i loro sudditi. ‘
(76) In un imbarazzo cc. Non sapevano forse i Cibirati, quan
do Poliarato' li richiese d’ ospitalità, ch’egli dovea esser conso
gnato a’ Romani; ma, venuti di ciò in cognizione per relazione
di lui o d’ altri, procacciarono di levarselo d’ intorno.
(77) Mandarlo a Roma, cioè, secondocbè osserva lo Schweigh.,
in qualche porto d’ Italia; perciocchè le navi che venivano dal
l’Asia non approdano altrimenti a Roma, ma quasi sempre a
Brindisi, donde per terra gli uomini andavan a Roma. Il perché
non disapprova l’anzidetto commentatore la lezione vulgata in,
71‘" Pupm'm (sottinteudi zaipav) nel territorio di Roma, mutata
dal Reislte in 'u; 7»‘,v Paipnr, che a noi è sembrato più conve
nevole, Roma essendo stata la meta di quella spedizione.
(78) Stollezza. Non posso acconsentire allo Schweiglr, che
Polibio qui abbia scritto u’iyvemv in luogo di n’înmv, ch’ è proprio
difetto di mente, sciocchezza, quale si fu quella di Poliarato, che
gittossì nelle braccia di tanti ch’ egli pur sapea n0n poterlo sot
trarre da’ Romani. "A7nur. significa errore ed eziandio colpa per
volontaria ignoranza, siccome abbiam dimostrato nella nota |5
al lib. xxvn , ma il contegno di Poliarato niì dall’uno, né dal
l’ altra era derivato, conforme scorgesi ancora dalle espressioni
del Nostro alla fine di questo capitolo.
(79) Callìcrate ec. Di alcuni de’ qui nominati ha già il No
stro altrove parlato come di traditori della Grecia; di Callicra
te xxv:, I e seg.; xxxr, 8; di Licisco xxvu, l3; xxvnt, 4,8; di
Campo xx, 5; xxvu, 15. ‘
(So) Ernna‘t' affatto ritirati. Circa il significato che qui con
9‘
viene al verbo àvuzu_uîv vcggasi la nota 86 al lib‘. xxrx. lo non
ho aggiunte nel volgarizzamento le parole esprimenti a gubcrnn
culi: neipublicne che hanno i traduttori latini, giacché non ri
scontransi le equivalenti nel testo, ed il verbo solo basta per ren
der il senso compiuto. Altrove (xxvm, 5) l’abbiamo in altro modo
interpretato per le ragioni che adducemmo colà nella nota 18.
(8|) I dieci. e I decemviri che da Roma furono mandati
nella Grecia, per dar sesto alle cose di quel paese. a Reiske.
(82) Pretari. Bene osserva il Reislte che questi erano i su
premi maestrati della Grecia; non già i pretori romani. S’in
gauna pertanto, a mio credere, lo _fichvveigh._in sostenendo che
celesti pretori erano i duci romani (il proconsole L. Emilio edil propretore Gn. Ottavio), e che anzi abbiasi a leggere ti“ Èvrioî7o'tî
npa7q?aî accennando al duce supremo, secondo l.ivio (x1.v, 5|)
che dice essere stato dato l’ordine literis Imperatoris. Fat
to sta che i dieci non poteano trovar esecutori più fedeli degli
stessi pretori greci; dappoichè le prime cariche erano tutte oc
cupate da uomini addetti alla fazione de’ Romani, conforme af
ferma il Nostro, e Livio ancora colle parole: Romanorum . . .
fautore: soli tum in magistratt'bus, soli in Iegnlionibus‘ erant.
Nessuno al certo meglio di costoro potea conoscere quelli tra i
Greci che avversi eran a’ Romani, ed aveano favorita la Causa di
Perseo.
(85) Secondo le proprie dissensioni di parte. Male , a mio
credere , spiega lo Schweigh. questo passo nelle note. ‘Sarebbo
no, a detta sua, le 13141 rapayoqmi del testo quanto l’odio pri
Vato e le nimicizié che indussero quegli uomini a denunciar fal
samcnte coloro che i Romani trassero nella capitale per proces
sarli ; pochi essendo i veramente colpevoli che con qualche fatto
segnalato dimostrata ebbero la loro propensione per Perseo ed il
loro odio verso de’ Romani. Ma rapayyyati non sono semplici ni
micizie per qualsivoglia cagione nate, sibbene, stando al signifi
cato della parola che suona opposizione di setta, di fazione (sic
come nel senso non figurato le marcio di due eserciti l’ n'no al
l’altro opposti), discordie che han origine da siffatta opposizione,
_. '16
Ed in odio privato si risolvono, non già in zelo per la pubblica
causa. [monde non potea considerarsi falsa cotal accusa quanto
all’opinione degli accusati, ma quanto a’ fatti, co’ quali ben pochi
avean manifestati i loro sentimenti. - Che i pretori avessero o
messi nelle loro denunzie coloro che con qualche distinto bene
fizio eransi acquistati de’ meriti verso i Romani, conforme sup
pone il Reiske che volesse esprimer Polibio, la sentenza troppo
assurda perché faccia mestieri di confutarla. N‘e sembra il Ca
saub. , averla intesa diversamente traducvudo: 75| 'm3q).ir 71
arimmu’7uv, ezimìo aliqua merito insigne: (ch‘eransi segnalati
con qualche gran merito): versione conservata dallo Schweigh.,
a malgrado della opinione diversa esterunta nelle annotazioni. Le
parole greche testi: addotte significano propriamente: Di coloro
che avean falla qualche cosa mantfesla, la qual cosa nouè uc
cessario che fosse un atto grandemente meritevole.
(86) Non 5010. Ho seguito il Reiske, il quale giudiziosmnente
suppose qui omesso l'aó po'ur dalla congiunzione &A)tit {al che
segue, e con questa elissi egli difende gl’indicativi IitSl,àlivîat/trl
e nntîuviunw: che hanno i codici in luogo del congiuntivo od
ottativo che richiederebbe la semplice particella fui.
(85) Circa quesli adunque cc. La sposizione del tradimento
che costò la libertà ad Oltre mille Achei ne fu serbata da Pau
sania (vn, lo). Callicrate volea che pronunciata fosse anticipata
'|nente la sentenza -di morte contro coloro ch' egli avrebbe nomi
nati; ma i Romani, meno crudeli che non era quel mostro verso
i proprii concittadini, non glielo accordarono, e dispersero quelli
ch’egli aveva accusati per le città della Tirrenia' (Etruria). Il no
stro Storico ancora fu in quella proscrizione compreso, ma po
scia liberato per mezzo di Scipione Emiliano divenuto suo amico
e discepolo, che l’ebbe sempre al fianco (V. la prima prefazione,
t. I, p. 5). _ Le lettere erano, secondo lo Schweigh., l’ ordine
mandato dal capitano per sentenza de' dieci, affinché tutti gli uo
mini principali degli Achei, che nominati avea il traditore Cali
crate, fossero chiamati a Roma.
361
(86) Quanto era al suo proprio parere. lo mi sono atétîtî
alla traduzione del Casauh. Ad propriam quidem ipsius volim
latem quod attinel, anziché adottare la correzione del Reislte, che
aiu'loi cangia in ipmflo’ó, emenar buono allo Schweigh. il senso
di prima persona ch’ egli attribuisce a questo pronome citando
due esempli del Nostro (XVI, ’20, xvu, 5), dove realmente lo si
dee cosi intendere, perché chi lo pronuncia parla di se, quando
nel presente luogo di terza persona Polibio èche favella. Se non
che vollai 7ec’pnr parere, non già volontà, che n’è ben dill'e
rcnte , siccome fece il Caaaubono.
(87) Per arricchirsi. flphr 71‘)! idt'ou 'swuvo'p90nr, per il SUO
proprio avvantaggiamento. In varii luoghi del Nostro riscontrasi
imntlp90nf, ch‘ è propriamente correzione, raddrizzamento nel
senso di utilità, vantaggio,‘lucro, quasi correzione della propria
fortuna.
(83) Coli. L’ elogio di questo re d’ una popolazione tracica ,
‘con brevi ma energichc parole espresso, vedi nel lib. xxvn, e. 10.
Secondo Livio (xnv, 42) aveva egli dato agli ambasciadori da
nari per il riscatto del figlio, giusta la somma che destinerebbe
il senato, il quale lo restitui gratuitamente, memore dell’amicizia
avuta co’ suoi maggiori.
(89) Ed iscusandosi ce. Avea Coli unite le sue forze a quelle
di Perseo, e manifestamente parteggiava per lui, quando Genzio
re degl’ lllirii non erasi per anche spiegato. Tuttavia adduceva
egli allora in sua difesa d’ aver ciò fatto a suo malgrado costret
to a dare statichi (Liv- un, ng, 51 ; xav, 42), tra’ quali Veggia
mo qui esservi stato il suo figlio.
(go) Anulla più tendeva ec. Hp‘u audi! ’t'71 6m'lu'mr che il
Casaub. e lo Schweigh. tradussero, acque quidquam amplius ipso
rum (Romanorum) interesse! (nè recar più ad essi (a’Bomani)
vantaggio alcunola nimicizia ec.), sta bene quanto alla sentenza
dell' Autore, ma non rende il 6m'ln'yuv, ch’è appartenere, spet
tare, tendere, e si riferisce al nulla, non altrimenti a’ Romani.
(9|) Farsi vederplacnti. 'Aitlu’ipuu nel senso di onorare qui
«m
‘ o;
94 'al certo non conviene, la generosità non meritata avendo forza di
umiliare anziché di recar onore; ma non perciò soscrivo al
l’irdaópsmr del Reislte, quasichè i Romani obbligarsi volessero
questo non potente re con sifl‘atto benefizio. Più mi piace il senso
di lfiaìtaintm9m, o meglio lania‘nuv9m, placarsi, attribuito ad
èulivmr5au da Esichio, il quale vi aggiugne, à; inthó7» l,’8.
7lfeflpfar , come chi ha già preso castigo (dall’offcnsore); lo che
per l’appunto fu il caso de’ Romani con Goti. Male adunque rifiutò
lo Schweigh. siffatta Spiegazione: solo parmi che innanzi al
]’airlnvi;zemr possa mancare @miv'ln, che ho supplito nel volga
rizzamento colle parole,farsi vedere.
(g‘z) Lucio Anicìa. Avea questo trionfato di Genzio lo stesso
anno che Emilo Paullo ebbe trionfato di Pers_eo. La pompa fu
eguale in amendue, comechè Emilio fossa stato l‘ anno antece
dente, 586_ di R., console, ed Anicio solo pretorc.
(95) Degne del maggior risa. Um'l‘or 7i7tu'lor lîim, parole
che il Dalecamp. traduttore latino d’Ateneo nella edizione del
Casaub., 1598, molto esattamente rendctte per quovis risu digna
(degne d’ ogni riso). Maximum risum concilwv‘t, che ha qui lo
Schwaigh-, non è nel testo. lo mi son ingegnato d’ avvicinarmi
all’originale meglio che il comportava l’indole della nostra fa
vella.
(94) Accompagnando cc. Qui pure il traduttore primo d’A
teneo meglio colse nel segno che non lo Schweigh. Infatti che
cosa significa : Modulalo ac numeroso digitorum motu tibia: per
cttrrere? (scorrcr i flauti con modulato e misurato moto delle
dita). il moto non si riferisce qui altrimenti alle dita, sibbene a
tutto il corpo'che passeggiando (3mnpuo’ptnv) per la scena a
dattavasi alle note (là; xpuiaur), cioè a’ suoni musicali con moto
conveniente (za7àz 7;; ripfcoCat'tflti lHq’flllî). Se non che l'ag
giunta di [ente all’incedentium nella versione antica e superflua,
ed io ho preferito di qualificare quel ruolo pell' accompagnamento
che partecipava dell’ armonia da' suoni.I (95) Piuttosto combattessero. Qui la intese meglio lo Schweiglr,
\
’
‘
che tradusse èyn:'{w9m p.22Mu, ul polins cerlarent. Vchemen
tius ha l‘ altro interprete, vocabolo donde s' arguirebbe aver essi
già, ma debolmente combattuto, quando il combattimento esser
dowa un esercizio nuovo da introdursi.
(96) Facessero come una guerra. Nella versione del Daleclt.
è; Pugnae speciem repraesentnrenl, in quella dello Schvveigb.,
e:lerent. Io ho espresse le precise parole del testo: Kzi z‘oîin
cicain fui/‘51". ‘ '
(97) Conveniente alla loro petulanza. I sonatori di flauto
presso i voluttuosi Greci rallegravano i banchetti colla musica,
e menavano vita lasciva, conforme bassi da Giovenale (Sat. in,
v. 63 e seg.) ‘
«Jampridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes,
Et linguam et mores et cnm tibieine chordas
Obliquas, nec non gentilia tympana secum
Vexit. 1)
È buona pezza che l’Oronte Sirio
Sboccb nel Tebro, e col finalista seco
Menù lingua e costumi, e corde obbliqur,
E il gentilizio timpano. ‘
E che costoro‘appartenessero alla vile ciurmaglia che l' opera
sua prestava a'più sozzi piaceri, il veggiam ancora nella vita del?
1’ imperadore Lucio Vero scritta da Giulio Capitolino, il quale
di lui narra, come ritornato dall’ Asia condusse seco sonatori di
Violino e di flauto, e buffoni mimici, e giocolatori, ed ogni ge
nere di servaeci, della cui voluttà la Siria ed Alessandria si pa
scevano. Presso i Romani pertanto, nazione più morigerata della
greca, meno spregevoli erano i tibiani: dappoichè la principale
loro incumbenza era di assistere sonando a’ sacrifici. Tuttavia
eran essi, secondochè scorgesi da Livio (xx, 50), molto dediti al
vino, ed era loro permesso di girare per la città ogni anno tra
96v î°°
[giorni consecutivi, mascherati con licenzinso diportamento. Cosi
tra i Greci, come tra i Romani counpnrivan essi sulla scéna , e
volgevansi sonando verso i cantanti che dovean accompagnare. A
nicio fece venir i suoi dalla Grecia, perchè i Romani non erano
abbastanza addestrati ne’ movimenti vivaci ch’ ein volea far ese
guire. -- Premesse queste notizie, massimamente circa i tibicini
greci, apparirà l’ assurdità della traduzione che del presente passo
fece il Dalecbamp con queste parole: Tibia: canta inflanles,
qui ardari pugnantium mililum convenirel,‘ che al certo iri
A7ua non è l’ardore di soldati che combattono. - Del rimanente ‘
manca nel testo volgalo il sostantivo da unirsi all’aggettivo Eusiu,
e bene si appese il Valesio suggerendo l’ aggiunta di ìan/av,
ficoltà.
(98) Voltaudo cc. Abbiam veduto nella nota antecedente
che i sonatori volgevansi verso i cantanti accompagnandoli. Ora
costoro girandosi senza ordine, quando verso i cantanti di mezzo,
quando verso quelli dell’estremità, faceano sì che il canto degli uni
mescolavasi con quello degli altri, e che ne nascesse lo schiamaz
zo indicato nel periodo che tosto segue.
(gg) Sofliarzdo all’ impazzata. Il verbo Quer"u che qui usa il
Nostro non significa suonqr ilflauta, tibiis canene, siccome lo
ha tradotto lo Schweigh., ma semplicemente soffiare; e soffiar
cose pazze, è6mvóq'ia, insauia quaedam la frase ben strana, con
traria al buon senso. lo leggo quindi à3mm»î7u, iavverbio,e ri-’
ferisco il Qua-517" e 70% invia: cui forse non male si farebbe
andar innanzi la preposizione u's (soffiando ne’ tubi). Nelle note
marginali alla prima traduzione latina si propone à6mvuî'lu;
che s' interpreta. Qui vix quales esserti intelligerentnr. Nella tra
dufione stessa e più ragionevolmente scritto: insanis modi; (in
modi pazzi).
(mo) Fra IOI'O' discordando. Ampipuv7z; è relativo n’ sona
lori e non altrimenti alle cose sonate; che in tal caso avrebbe
il testo Jm@îpu7e, eppure voltò lo Scthigh., dissonantia. Il Da
Iecl‘a. cir‘coscrivendo pose: Tibinrum cancentu disse/ala. lo cre
366
Î.é-Îrfi.z?k --"’,W“‘ ' ' i,»
97’(lo d’essermi meglio avvicinato al testo che non amcmlue i tra
duttori latini"
(mi) Ed entrando insieme nella scena. Era il proacenio,
siccome lo indica il nome, un luogo situato davanti alla scena,
nel quale collocavasi il coro ed i senatori di flauto che rego
lavan il suo canto, mentrecbè la scena, posta di dietro, riservata
era agli attori. Nello spettacolo dato da Anicio il coro ed i su
natori occupavano dappriucipio, conforme è detto di sopra, il
proscenio; ma nella confusione nata di poi, per cagione della
zolla appiccatasi tra i senatori , e questi ed il coro trascorsero
nella scena dove prima non erano. Ciò sembra che non abbiano
compreso nè il Dalech. né lo Schweigh. traducendo il primo
vvnarunb'lu 71h autqnil; Scenam quatienles irruebant (en
travan a precipizio calpestando la scena), ed il secondo: In sce
nam procurrentes (correndo innanzi nella scena).
(IO?) Giralisi. Qui troviamo nel testo il vocabolo pi7n/SaAl;
usato dal Nostro nel descrivere gli esercizi della cavalleria greca.
(tam. IV, p. ‘106; lib. 1, c. 2|), e che colà nella nota 104 spie
gammo, il girar tanto che la faccia venga ad essere dov’era
prima i! dorso, e questo dav’ era la faccia. Tergn vertentes ,
terga dante: de’ traduttori latini significa la stessa cosa, ma ad un
tempo la fuga accennàta già sufficientemente dall’àtuzu'pwu.
Peggior è il significato mutato consilio dato in una nota mar
ginale dell' edizione Casauhoniana.
(103) Una da’ coristi. Male voltò qui il Dalech., saltalar qui
dnm (certo ballerino), meglio lo Schweigh.: Nescio qui: e choro
(non so chi del coro). Xopiuau, a dir vero, significa cosi cantar
in coro, come ballare. Xupivu, paAaflai' . . . àpzli'lai, Esichio;
ma nel presente luogo trattavasi al certo d’uno de’ cantanti, es
sendo poscia stati introdotti due saltatori ‘ofznfl'al con quattro
pugili, per porre come il colmo alla stravaganza dello spettacolo.
L’ aggiunta la 705 xupo’ó (fuori del coro, dal coro), che sembra
superflua, è forse destinata a toglier ogni equivoco "che nascer
potrebbe dal doppio senso di corista e di ballerino che ha il vo
cabolo zopw7iyr.
4 "un-l'U- -v
. (vg'L1;
/ (1,04) Baltagliaunna. Ho voluto render la immagine che ri
suite dalla frase greca 'n; nepanîfisu: àyu u'(w9m. ch'è propria
mente pugnare schienali in ordine di battaglia. Quanto l’ abbia
espressa lo Schweigh. scrivendo: lllis inter se dimir‘anhlurs, ed
il Dalech. che usci al tutto fuori del seminato colle parole: Com‘
missis illi: duobus . . . decerlanlibns, ognuno sei vede.
(ro5) Orchestra. Luogo della scena destinato a’ ballerini , e
che pare diverso dal proscenio nel quale trattenevasi il coro. E
comechè il coro stesso al canto sovente unis.se il ballo, siccome
lo indica l’ etimologia di afxîll'sll che ad amendue si applica;
ciò non pertanto convien Credere che, siccome noi, avessero i
Greci il ballo figurato, o dir vogliamo pantomimico, e che 5"”
nol fossero quelli cosi denominati dal Nostro che lo eseguivano in
itn sito appartato dalla scena.
(106) Con trombe e corna. Differivano la tromba ed il corno
in ciò che la prima era diritta, il secondo curvato in se stesso, a
guisa del nostro come di caccia (Vedi Vegezio , De ne milit.,
l. in, c. 5 ). Quindi non dalla materia, che in amendue era me
tallica, sibbene dalla forma deriva il nome di corno dato a que
Sto strumento musicale. Vedi Polibio, mv, 3, dove ho tradotto
cornalori (sonatori di corno) i Bw»nnflcr che qui pure riscon
transi. Erano pertanto presso i Greci ed i Romani le trombe e
le corna, siccome lo sono tuttavia. propriamente strumenti belli
ci, ed è perciò che in questa stranissima zuffa, che imitar dovca
' la guerra, furono introdotti da Anicio. Gli antichi ebrei davan fiato
alle trombe non solo negli scontri guerreschi, ma eziandio nelle
sacre loro solennità (Nnm. x, IO), e chiamavanle con voce espres
siva Chazeozzerròt, che ricorda il Tarotnntara d'Ennio (V. il
Forcellini a questa voce). Le corna poi, bu'ccinas , appellevano
Sciofnrot, le quali nelle battaglie e negli assalti,affincltè col rau
co "lor suono incutessero maggior terrore, non erano altrimenti
di metallo , ma corna d' arieti, siccome leggasi nella descrizione
della presa di Jcrico (Jos., cap. vr, vv. 4, 15).
(107) Ciò che ne proveniva, 7‘o q‘vpfiait'ror, qualejuerit spe
r ' ma,J9
èlaculum che scrisse lo Schwcigb., mi dispiace meno del senso
espresso dal Dalech., gratissimum et laetissimum spectnculum ,
che forse non era quello contemplato dal Nostro. Giudichi il dotto
lettore se io più di questi interpreti mi sia accostato alla mente
dell’ Autore.
(108) Che se, dice Polibio cc. Se il testo d’Ateneo è come il
leggiamo, andò di gran lunga errato il Dalech. in traducendolo
eosi : De illis qui in iisdem ludis tragnedias egerunt , si quae Po
lybius memorat adnitar oralione persequi, me volli: illudere
quidam aulumabunl (Di coloro che rappresentarono le trage
y die se io m’ingegnassi di raccontare ciò che ne rammenta Poli
bio, crederà taluno che io voglia di voi le beffe). Probabilè tanta
essere stata 1' indecenza e la stravaganza di que’ ginocbi, che Po
libio stesso per non meritarsi la taccia di beffeggiatore abbia sti
mato di passarli Sotto silenzio. Il licenzioso Ateneo non li avreb
be taciuti, se trovati li avesse descritti dal Nostro. Infatti è P0
libio che così parla (altri! i fleìltifiia;),e non altrimenti Ateneo.
(mg) Gli Etoli cc. L’ avarizia degli Etoli, le loro rapine ela
loro ferocia ha il Nostro in diversi luoghi notate (u. 49; IV, 5;
DI, 55). » Schweigh. '
(no) Di trar giovamento cc. La traduzione che dà il Vale
sio di nuAv9iy7e; 7î: 'urmwp/aî colle parole; Cum aliena di
ripere hauzlquaquam sinerentur, è con ragione riprovata dallo
Schwaìgh., il quale ad ‘tmuvpla attribuisce qui il senso di ei@i
Mm, vantaggio, utilità, lucro, e non già il più comune di ajuto
in{ guerra. In fatti 'emuupsi'v per giovare, esser utile trovasi in
Senofonte (Cyrop., I. vi, e- 50) dove leggesi: Ee9ù; ,uîv 7“,
379 'inir ni@9nei7ipa wapoiio‘a, IoÀÀI‘I uni ii7mx'nr7t sui
sépwv'h unuupi'. I vestiti che alcuno ha in gran copia gio
vano, sono utilia lui sana ed ammalata. Il qual giovamento non
è a dir vero, il guadagno, che ad alcuno ridonda da qualche ope
razione ; sibbene il comodo , l’agio che gliene deriva, e questo
sarebbe stato ben poco per quella rapace nazione. Se non che i
grandi bisogni degli Etoli, non meno avidi che scialacquatori
10 -’1
l 00
(ilolib. xm, I) l'aceauo al che co’ rubamcnti procacciavansi in certo
modo aiuti per campare. Cosi potrebbe qui restituirsi ad immu
pia il suo senso più usato. \
(In) Edapprincipio ec. Osserva lo Schwcigh., che la me
moria di questa guerra intestina degli Eloli non è più tra le sto
rie di Polibio, ma che alcuni cenni se ne trovano in Livio. Nel
lib. xu, 25 dice questi che il._/iwore dein Etolicoritro sé stessi
minacciava di ridurli alla perdizione; e nel lib. xav, 98 leggasi
come Licisco o Tisippo uccisinueano cinquflento cinquanta dei
principali loro cittadini, altri cacciati in esilio, e come i' beni
degli uccisi e dein esiliati posseduti erano dagli accusatori.
(un) Malpoco innanzi a questi tempi. Né la traduzione
del Valesio: Recenti antem memoria, ne quella che suggerisce lo
Schweiglt. nelle note: Paullo vero superiori memoria, è al pa
rer mio da accollarsi. La versione poco meno che letterale da
me eseguita panni la migliore. Mi si opporrà che superiori me
moria 'è ottima frase per esprimere l’ età passata (Cic. , pro Bal
bo, c. I5); ma io rifletterò che dall' epoca delle uccisioni d’Arsi
noe al tempo in cui Polibio descrisse questi avvenimenti non era
trascorsa un' età, sibbenc pochi anni, conforme scorgesi da' testi
di Livio addotti nella nota antecedente. Laonde quantunque inni
7lfn verbalmente significhi superius, l"0"llf0I xpin_u non è quanto
superiori memoria (alla, memoria de’ tempi passati); senzacltè non
vi si adatterebbe il fipaxt; paullo, quasicbè un tempo determi«
nato, qual è una età, esser potesse più o meno breve. Recenti
memoria (a memoria de’ tempi recenti, teste Passati), se fosse
modo di dire appoggiato su classica autorità, sarebbe più con
forme alla mente del Nostro. Paullo aule lmec tempora a
vrebbesi secondo me a voltare questo passo, e così l'ho volga
rizzato.
(nS) Ad Arsinoe. Preteude lo Schweigb.,cbe Polibio l'atto
abbia menzione di questa strage nel lib. 1x, 45, dove rammenta
l' anzidetta città all’ anno di lì. 545, o 5“; ma siffatta supposi
zione e al tutto gratuita. V. colà la nostra nota.
Aîî’fîî ' 'zia-1.“ .u
, . ,.; .
,/|
1,6!
(I mi) Un g'mve nembo. AGI’ÀIG'4/ non è procella, siccome lo
interpretano il Valesio e lo Schweigh. Cotesto sconvolgimento
dell’aria non va necessariamente unito ad uno scroscio di piog
gia, ed il vocabolo greco che qui riscontriamo significa per l’ ap
punto, secondo Esichio, chip.» rwrp@iir pt7iz iit'loîi un turbine
di vento con pioggia. E giusto è il paragone, dappoichè la ca
duta impetuosa.di Vortici acquosi arreca il colmo della confu
sioue ad una procella.
(H5) Gli uomini in generale: Non tutti, sibbene ci IOÀÀei
751 iir9pa'ran, la moltitudine, quasi il volga degli uomini. Nella
traduzione latina è omessa questa restrizione.
(tifi) Campo. Di costui vuggansi i luoghi del Nostro citati al
cap. lo di questo libro nella nota 79.
“ (H7) La fortezza di Sicione ed il potere della t'flfà dein
Jrgivi. Delle due città qui mentovate lasciòscritto Livio in ram
mentando ch’ erano solamente nobili. Di Sicione pertanto rife
risce Strabone (vm, p. 582) ch’ era fabbricate sopra un colle
forte di natura, 'ur‘i Ao'tpor 't'pvpuor. Argo divenne città opu
lentissima dopo la distruzione di Micene, già residenza del po
tente Agamennone, ma di lei a' tempi dell’anzidetto geografo
(p. 571) non esistevano neppur le vestigic. Quanto è alla voce
fiaipoî, propriamente peso, può essa esprimere cosi massa di for
ze, come di ricchezze; il qual doppio senso ha eziandio l’ ape:
de’ Latini, e se non vo' errato il palme, la potenza degli Italiani
ancora. .
(tl8) Epidaura, celebre per il magnifico. tempio d' Esculapio
da lei cinque miglia distante, ma meno nobile delle altre due
(l.iv., I. c. ).
(Hg) In nspellazione. Mu7iupos che ha qui Polihio è pro
prio sospeso, incerto dell’avvenire, qual è appunto chi si reca
a vedere una cosa della cui eccellenza ha tnolto sentito a ragio
nare. Ma il cupin'ns, in che fu voltato questo aggettivo , non e
5prime che parte di siffatta idea, e vi manca I' altra forse più im
portante della scena che si crea la fantasia dell’uomo messo in
POLIBIO, rom. 7111.‘ 8
405'
106
102
aspettazione. - Del resto era _ Emilio da Epidauro passato nella
Lacedcmonia, e di qui per Megalopoli salito in Olimpia (Liv., I. c.).
(120) E disse ec. Questo elogio di Fidia non riscontrasi in
Livio, ma vi si legge com’egli, non altrimenti che se avesse ad
immolare nel Capitolio, comandi: che si preparasse un sagrificio
più amplo del solito.
(ml) Il Giove d’0mero, la cui maestà è tutta espressa ne’versi
del poeta sommo, dove ti si presentano le divine chiome scosse
in-sulla testa del re immortale, onde trema il grande Olimpo:
immagine che non lasciarono d' imitare i più sublimi tra ipoeti
romani, Virgilio nel cenno che fa tremare l’Olimpo, Orazio nel
sopmcciglio che tutto muove. Cotesto immenso risultamento sem
brò ad ‘E_r'n_ilio Paullo di scorgere nell’ insigne lavoro di Fidia
qui rammentato, la cui minuta descrizione trovasi in Pausaniaî’”
(Eliac. prior., e. xi.)
(ma) Polibio racconta cc. Lo stesso numero di città distrutte e
di prigioni menati via riferito è da Livio (xnv, 35). Immensa fu,
secondo lo stesso storico, la quantità dell’ oro e dell’argento ac
cozzata, e la preda raccolta dalle città che misero a sacco. Quanto
è al frammento che lo Sehweigh. trar vorrebbe a questo luogo
dain avanzi Polibiani ch’ egli collocò alla fine del testo, a me
non pare, siccome a lui, che il confronto con ciò che dice Livio
circa lo stato di Corinto, al tempo che vi si recò E:nilio,_,iie au
torizzi a credere quelle parole del Nostro; dappoicltè lo storico
romano non fa molto delle particolarità toccate in quel fram
mento, cioè a dire del sito di quella città e della opportunità del
suo castello per rispetto a’ luoghi che sono dentro e fuori del
1’ lstmo. - Del resto 055erva bene lo Scbweigb. che gli avanzi
uniti in questo capitolo andavano posti innanzi all'ambasceria ri
ferita nel Cap. lo; conciossiacbè L,___Emilioflgirasse la Grecia
avanti l'arrivo de’ dieci legati, conforme Livio insegna chiara
mente nel lib. xt.v, c. 27.
(125) Venne ancora il re Prusia. Ragioncvolmente nota lo
Scbweigb. che Prusia, il quale subito dopo il suo arrivo fu in- "
trodotto nel senato, conforme dice Livio (XLV, 45), giunto era
j,.’v'
\03’
in Roma, secondochè bassi dal Nostro nel cap. |7 di questo li‘
bro, al principio dell’ inverno dell'anno antecedente a questo, in
cui furono consoli C. Claudio Marcello e C. Sulpicio Gallo ;' lad
dove agli ambasciadori delle altre nazioni che vennero pure ono
revolmente accolti, si diede senato, poiché inuovi consoli entrati
erano in funzione alla metà di marzo. Per tal modo possono
combinarsi i due storici.
(l‘24) E co’ duci. Non solo, siccom’ è parere dello Schweigh.,
con L. Emilio e Gn. Ottavio che ottennero l’ onore del trionfo ,
ma con tutti i duci ch’ erano stati nella Macedonia, secondocbè
opina il Reiske, il quale prova la sua asserzione colle parole di
Livio circa Prusia (l. e.): Omnium, qui in. Macedonia fuerunt
imperatores, flwore est adjutus.
(l‘15) Catasto Prusia ec. Diversamente la raccontavano gli sto
rici romani, conforme bassi da Livio (I. c.), il quale tuttavia
accenna quanto riferisce Polibio su questo particolare, senza e
sporre la sua opinione, che noi francamente pronunciamo in fa
vore dello Scrittore greco più vicino a’ tempi in cui quelle cose
avvennero, e non rattenuto da’ rispetti che sovente guidarono la
penna del Romano.
(m6) In cappello , toga e scarpe. Diod. Sic., che nell'eglo
ga xxu delle ambascerie copiò quasi le parole del Nostro circa
questo avvenimento (t. il, p. 625 ed. Wesseling.), aggiugne al
m'Aur (pileus) l’ epiteto di Mun‘oc (bianco ). Doveva egli piut
tosto apporlo alla 71;filvm (toga), che sappiamo essere stata
bianca (Tertull., De Resurrect.carn. in Lips. Opp. t. 1, p. 256, 6):
del cappello non è noto che il fosse. - KaAm/ov: ha Poli
bio esprimendo grecameute il Vocabolo latiuo' calceos. Le scar
pe de’Greci e de’ popoli d’ Oriente erano suole , assicurate al
piede ed alla parte inferiore della gamba col mezzo di sottili co
regge, dond’ ebbero il nome di izodópa7a. Appiano riferendo
questa viltà di Prusia (Mithrid. a) causa il latinismo adottato da
Polibio, e chiama i calceos ònrîu’f‘a7a ì7aAml» suole ila
liane. ' ,
m
I 04
(l'17) Di recente fmncah'. A detta di Lipsia (De Ampbi
theatr. Opp., t. m , p. 579) nulla v’avca di’più noto e testi
firato quanto che i nuovi liberti portassero cappelli, ed intorno
alla toga valga il testo dello stesso scrittore citato nella nota che
a questa precede. Alle autorità su cui nppoggiasi questo fatto
può esser aggiunta la presente di Polibio. Da Livio pertanto ciò
non apparisce, dicendo ein solamente che Prusia portava le in
segne dell’ ordine‘ de’liberti, ÌIIJÌGIIÌB eju: ordinir; quasièhè sif
fatti distintivi non fossero stati proprii de’ nuovi liberti.
(m8) Adorò prostrato la soglia. Il verbo arpanoui'v che
qui riscontrasi è da Senofonte sempre usato nel neutro per
prorlrnrsi in alto di venerazione (Cyrop., n, 4, 13; v, 5, 18;
VIII, 5. 14; Agesil. 54 ) ; e ciò dovean fare tutti coloro che pre
sentavansi al re di Persia (V. Coro. -Nep. in Conon. 3; Plutnrrb.
in Themismcle Qui lo troviam attivo reggente gli oggetti ado
rati, e così leggiamo ancora in Erodoto (Polymn.) ii!9ffl'fl'fl
wpanunîv, e nel luogo di Plutarco, testè citato zpofltniÎv
inu’m Sui; dove pertanto l’oggetto dell’ adorazione è la per
sona del re o la sua immagine, e non altrimenti la soglia ba
ciata , conforme apparisee dalla scrittura che abbiamo per ma
ni. Livio fa dire al Nostro: Osculo Iimen curiae canligisse , il
qual bacio, stando al testo, non solo dovea essere impresso alla so
glia, ma gittata eziandio a’ senatori dentro alla curia seduti; Io
che non so come Prusia avrebbe potuto eseguire colle mani ab
bassate: attitudine descritta da Livio alquanto oscuramenle colle pa
role submisis.àe se. Come sarebbe se Polibio avesse scritto:
Ufnvln‘rnfl (neutro), 705 50805 Q:Àripta7i id»nipnof 14‘! 707€
xa.9npiuu ind)9|7{aplnf; ovveramente, dappoicbè nel arpa
nuveTv è compresa la prostrazioue ed il bacio, npoo‘iz. 'urt‘ -ra'6
5113475, nel 707; x. 7. A-, prostrossi adorando sulla soglia,
e gridando ec.? Sospettò già il Reislte che al vulgata 7aîc nu
91,uinv? sarebbe meglio sostituir il dativo, riferendolo al verbo
che segue anziché a quello che precede, e male, per mio avviso,
lo Schweìgh. si oppose a siffatta emendazione; ma io non ho vo
luto nrbitrare nel Volgarîzzamento.
Iiw/5'IGT
(mg) Villd-q/fiminalezzn. 'Avnrdfi'd , cui credetti che cor
rispondcsse la prima' di queste voci, non è sinonimo di yannur
pi); cli’ espressi per la seconda; perciocchè mancanza di virilità,
cioè della forza morale che qualifica il sesso migliore, non pone
la esistenza di mollezza muliebre , ch’è sibaritica ‘dissolulezza, e
più assai che la semplice negazione di valore e la timidità che
all’ onore fa preferire la vita. Prusia a tanta bassezza discendendo,
Greco e re com’egli era, davanti a’ Romani, che cotal umiliazione
non chiedevano neppure dallo straniero il più volgare , ben me
ritavasi la taccia di effeminato.
(i50) Olienne per ciò appunto. Terribile rimprovero e que
_sto alla superbia de’ Romani, che compiacevansi dell’ umiliazione
de’ popoli e di chi li reggeva; non altrimenti che abborrivano e
con severe pene affliggevano chi appalto al loro sovrano potere
pretendeva di sostenere la propria dignità, siccome nel libro an
tecedente vedemmo che avvenne a’ Rodii.
(15|) Essendo a lui nemici. Lo Schweigh. nel dizionario Po
libiano asserisce che il participio 3mfiefiAq’puu deriva dall' in
finito passivo 3m,8éAktr9nu, cui ein dà il significato di incu
sari, male audire (esser accusato, in mala voce ). Ma qui era in
mala voce Eumene, non _già il senato, cui si riferisce quel parti
cipio. Il passo di Platone, citato da lui nelle note, credo che po
trà rettificar le nostre idee su quel verbo. Nel Pedone (t. i,
p. 67, ediz. di Enr. Stef.) leggasi: ’11: 72:,» 3mfia/3M’v7m tu‘u
ravrazafi 7; nî.ua7a (nel dativo), imperciocchè se in ogni parte
sono nemici al corpo; donde scorgesi che 6mfiifihqpaa suona
questo verbo, passivo di forma, attivo di senso, nella prima per
sona dell’indicativo presente espresso da Platone. - Del resto in
torno all’ andata di Eumene a Roma e della esclusione di lui,
siccome di tutti gli altri re, non abbiamo da Livio se non se un
brevissimo cenno nella epitome del lib. xavr, ch'è il primo de’
perduti.
(l52) Essere costui il primo cc. La benev'olenza de’ Romani
verso Eumene, che aveva a questi fruttato il possedimento di tutti
, _._n’ . a-.nvfm-Mafl»w -
313
106
i paesi di qua dal Tauro, meno la Licia e la Caria (un, 7 ), e
gli onori con cui fu da quelli ricevuto (xxn, I) ebbero origine
da’ meriti d' Attalo suo padre nella guerra contro Filippo e da’
suoi proprii in quella contro Antioco, esposti da lui medesimo
nell’ orazione che tenne in senato (Xii, 2-5); ma il non retto
suo diportamento nella guerra di Perseo alienarono da lui gli
animi di quelli.
(155) 111' apparenza esterna. Tii 731 in7ìr Qav7un'g:, ver
balmente all' Opinione , all' immaginazione di que’ di fuori. 1
traduttori latini hanno: Famae pnbblicae serviendo, ch'è la me
desima sentenza espressa dal Nostro; ma io ho creduto di non
offendere la proprietà della nostra favella avvicinandomi maggior
mente al testo.
(l34) Qualche imbarazzo. Sebbene la scrittura del cod. Bav.
i.i94iyfl 7i ipa. sia mostruosa, conforme osserva lo Scbweigb.
io non so appagarmi neppure di quella dell’ Orsini accoltada
lui e dal Casaub. Infatti ove leggiamo n'imàénv 7nln àv7.is 22;
nvou-9n'nu, dovremmo cosi voltare questo passo: Seguir loro
qualche cosa d’ incredibile, d’ improbabile; lo che panni che
poco s’ accordi col buon senso- Come sarebbe se la vera lezione
etncrgesse dalla viziata del cod. Bav., nella quale si conservas
sero le due estremità con piccola modificazione facendone a'unpt’nu
ch’ è appunto l’imbarazzo (la difficoltà, l’inconveniente) da noi
eSpresso.
(135) Il questore. Fra le attribuzioni de’ questori era ezian
dio quella di procurare gli alloggiamenti e le provvigioni agli
ambasciadori ed a’ re che venivan a Roma (V. Kipping., Antiq.
rom., p. 579). Ora, non volendo il senato ricever Eumene, man
dò a lui lo stesso magistrato che avrebbe avuta l’ incombenze di
prestarsi a’ suoi bisogni nel caso che fosse stato ammesso.
(156) Avvenimenlo d'importanza, fu voltato in latino: Quod
' ndprime ad rem _fiwiebat (che principalmente alla cosa appar
teneva ), lo che panni assai oscuro e per niente corrispondere
alla espressione del testo. flpîypu. è affare, pratica di qualche
31,4
a..,,n- =r
paîm
importanza, che si trae dietro gravi conseguenze; quindi arpay
ps'inna’r 7: che qui abbiamo significa un avvenimento im
portante, qual era per 1’ appunto il pericolo che ad Eumene so
vrastava da' Gallogreci.
(137) Sozzo rifiuto. Cosi m’ è sembrato dover volgarizzare la
voce raufialtwp‘ar derivata da retifiaàn, ch’ è propriamente
lo sterco renduto duro e secco per la lunga dimora negl’iutesti
ni. Esicbio lo definisce ixthwpu 7‘o èîa'mpu, cosa vile, ino
norala. Contumeliosam rejeclionem (ingiurioso rifiuto) ne fe
cero gl'iuterpetri latini. lo 1’ ho avvicinato , per quanto il per
metteva la decenza, alla sua origine che, se non m’inganno, ade
guatamente esprime il somtno disprezzo con che il senato trattò
quel sovrano in altri tempi assai benemerito della repubblica.
(158) Per ogni verso. Non panni che possa meglio rendersi
nell’ idioma italiano il -min7» rév7ur che ba'il Nostro non qui
solo, ma in parecchi altri luoghi della sua storia, e che significa
dappertutto, in tutta la estensione della cosa cui viene appli
cato. Così nel lib. vr, c. il trovasi questo modo di dire per ai
gnificare la misura di dodici dita che una lamina di bronzo posta
aul petto ha da tutte le parti, cioè in lunghezza ed in larghezza.
Così in parecchi altri luoghi raccolti dallo Scbweigh. nel dizio
nario Polibiano, anche dove non trattasi di estensione materiale,
bassi ad intendere il complesso di tutti i casi cui è soggetto l’ar
gomento del quale si tratta. Tal è il passo nel lib. xxxv, 9. dove
io tradussi ‘t'angn mi.r7q wa'u'ias, .tfuggì al tutto in ogni in
rontro. L’Ernesti pretende che la prima di queste voci sia l'an
tico dativo mîvrp (col n soscritto), al quale fu poi sostituito
miq; ma ciò non può essere, dappoichè vi si dovrebbe sottin
tender un sostantivo femminile, quzmdola struttura della parola,
meno l' a, è quella'del dativo mascolino mi 17|, che potrebbe ri
ferirsi al 7po'arp elitticamente ammesso : sebbene in mini“ ‘rptiray
e 141.734 a-u'.fla 7po'a'u sieno le buone frasi corrispondenti all' i
tuliauo ad ogni modo. Per mio avviso è catasta una ripeti
zione alquanto modificata dello stesso avverbio, la quale mira ad
108
accrescer energia alla sua espressione. Il medesimo senso emerge
dall’ italiano qfllztto, afl‘alto, che non disdirebbesi a tutti que' luo
ghi dove il Nostro ha il srév7» miv'lu: , se si eccettui quello
del lib. vt di sopra citato.
(159) In sull’incominciar del verno. Vedi la nota m'5 al
principio del cap. antecedente.
([50) Alle quali tutte. Per mio avviso non v‘ba qui mestieri
di emendazione, siccome piacque al Reislte, che propose di cau
giare 1’ in (a’queli) in 7067“; (a questi), giacché dopo la paren
tesi non finisce altrimenti il periodo. Nè tampoco io veggo nel
presente passo un vizio di connessione, aìmuAav9/as, confor
me sostiene lo Schwcigh. Nel Volgarizzanmnto mi sono esatta
mente allenato al testo, enou panni che da cotesta fedeltà sia
risultato alcun inceppamento.
(I4I) Trascurò. Hapînpfl non è propriamente trattare
con qualche disprezzo, siccome [serve allo Schweigh. che il tra
dusse: Contemtius egli. La preposizione rqìs dà talvolta al ver
bo cui è Congiunta il senso di negligenza , poco riguardo nel
consumare l’azione. Cosi a-apunéui; nel principio del susse
guente capitolo equivale a udire sbadatammte, senz'attenu'ohe.
Il Casaub. scrisse semplicemente dimisit .( licenziò), e forse non
andrebbero male, unite amendue le versioni latine, dimiu't ron
temtius, cum contenuta (licenziò con disprezzo).
(ila) Tmttenne la sua decisione, siccome avea fatto co’ Ro
dii, a’ quali nè bene né male_avea detto intorno al trattamento
che in appresso doveansi aspettare. Il Casaub. tradusse: Sed et
Atheniensibus irati patres erant , la qual traduzione il Reiske
accettò e volle che, per trarne il senso in lei espresso, si leggesse
inizi, attivo, e cosi piacque pur all’Ernesti; lo Schweigh. bene
s'apposc conservando 'ts'iixt'ls, tua dandogli il sigmficato di
trallenersi. Ecco com’cgli su ciò ragiona: a Riteneiido il vol
gato ’ixiizt'ls (cioè inizi 'uu7iv) sul n.473» 70iir'A9uaiaut questa
è la forza di quelle parole: ma verso degli Ateniesi ancora il senato
si trattenne (continuit se), cioè non si dimostrò gran fatto
511
, ‘11'5
pronta; la premura e la benevolenza, con cui trattò gli amba
sciadori degli altri popoli, trattenne e moderò.
(145) Gli Ateniesi. Lo Schweigh. ritiene per certo che que
st’ambasceria è la continuazione dell'antecedente, alla quale egli
amerebbe di attaccarla cosi incominciando: '01 p‘u yizp 'A9,.;7.,
(Imperciocchè gli Ateniesi). A me non sembra la cosa tanto
evidente; dappoichè la venuta degli oratori ateniesi, non meno
che delle altre nazioni, a Roma avea per solo motivo il congra«
tularsi col senato delle_vittorie ottenute sopra Perseo e Genzio.
Non è impossibile che gli Ateniesi in qualche altra occasione
avessero spedita un’ ambasciata per chiedere i favori che qui sono
riportati.
(1M) Pella salvezza degli Alinrtì. Allorquando Perseo vin
cevai Romani in una battaglia equestre, il pretore Lucrezio in
cominciava il soggiogamento della Beozial dalla espugnazione di
Aliarto, ed impossessatosi di questa città, la distrusse dalle fon
damenta, ne vendette gli abitanti, e recò alle navi le suppellettili
preziose, che vi rinvenne (Liv. un, 65 Gli Ateniesi domanda
ma al senato la liberazione di quegl’infelici, e forse il ristaura
mento ancora della città stessa, ma più stava loro a cuore la sua
campagna, col possesso della quale inutili rendevano le grazie im
plorate da’Romani in favore degli Aliarti.
(t45) Due ineumbenze. L’una era la riedificazione d’Aliarto
e la liberazione de’ suoi abitanti ; l’altra i possedimenti che chie
davano.
(t46) Dappaichè in addietro. Dopo la espulsione di Serse
dalla Grecia e’ sembra che queste isole rimanessero agli Ateniesi.
Di Delo sappiamo da Tucidide che questi due volte la purifica
rono, vi stabilirono il pubblico tesoro della Grecia, vi istituirono
feste egiuochi, ne cacciarono i primi abitanti e poscia li rimiser0
in patria; le quali cose tutte indicano padronanza. l Macedoni,
osserva lo Schweigh., pare che le abbian loro tolte. A
(147) La campagna degli Aliarti. Essere questa stata molto
pingue lo indica l’ epiteto di erb0sa che le dà Omero. (Il. t|,'
v. 505).
POLIBIO, TOM. fili. 9
I 10
(148) Quasi più antica. La fabbricò, secondo Stefano Bizan
tino, Aliarto, figlio di Tersandro, nipote d’Eolo.
(149) Ché render comune cc. Abbiamo da Senofonte (De
repub. Alben., c. 1, m) che gli Ateniesi accordavano a’ cittadini
forestieri eguali diritti, perciocchè abbisognavano di forestîeri per
cagione delle molte arti che coltivavano e della marineria.
(150) Del resto diede loro il senato Dolo e Lenno; ma
diede ad essi ancora la campagna di Aliarto, secondochè riferi
sce Strabone (1x, p. 411 ), a’tempi del quale la città non più
esisteva, donde apparisce che non fu altrimenti rifabbricata.
(151) Teeteio. Della costui ambasciata veggasi il c. 5 di que
sto libro.
(152) Stratonicea, egualmente che Cauno, città della Caria e,
a detta di Strabone (xw, p. 660 ), colonia de' Macedoni, uscita
probabilmente di Stratonica, che Tolemeo (111, 15) annovera tra
le città della Macedonia e pone nel seno Singitico. Stefano le
confonde amendue.
(155) Filofrone ed Astimede. Circa costoro, che precedettero
nell‘ambasciata Teeteto, veggasi il cap. 4 di questo libro.
(154) Nel Peloponneso ec. Qui si accorse lo Schweigh. che
non tutte le materie nel presente libro trattate appartengono al
trentesimo; dappoichè al cap. 15 appunto finisce la storia de’
quasi 1.111 anni che corsero dal principio della seconda guerra
punica sino al fine della guerra di Perseo: spazio di tempo che
il Nostro erasi proposto a termine della sua storia, conform’ egli
stesso lo dice ne’ libri 1, I, e 11|, 1 e 4. Ora avendo ein prese le
mosse dall’ Olimpiade cm. che (posta la edificazione di Roma se
condo lui nel secondo anno dell’ Olimpiade v1) corrisponde al
I’ anno 534 di R., ne segue che il soggiogamento della Macedo«
nia, cui tennero dietro i torbidi dell’ Acbea, avvenisse nel 587
di R., nel quale anno trionfò Emilio di Perseo. L. Anicio per
tanto, che trionfi), giusta Livio (xnv,43), nelle feste quirinali che
cadevano in febbraio, e precisamente il dodicesimo giorno avanti
le Calende di marzo, ebbe ancor egli quest’onure sottoi consoli
MS‘
}’I I
del 587, non già sotto quelli del 588, conforme stima lo Schweigh.,
giacché i nuovi consoli entrano in funzione negl’ldi, cioè a’|5
di marzo.
(155) Poiché vennero gli ambasciadori. Parecchie ambasce
rie aveano gli Achei mandato a Roma per chiedere grazia; ma
invano, che non si ebbe ad esse alcun riguardo. V. Pausau.,vn, IO.
(156) Qua1 fosse l’odio contro Callicrate. Se questo estratto
dee collegarsi colla breve ambasceria che il precede ed esserne
la continuazione, non può star al certo il testo volgato: Toî
mp‘: KuAAupé7qv pt’nuf5 sibbene converrà scrivere col Rei
ske: Tu’ (di) arpia; Kncààmpai7»;v pivot, ovveramente troie! d":
in 73 n'p. I. p. , siccome noi l’abbiam volgarizzato, tanto più
che 7letutt'fl7'9sst m": 7nos non è buona frase, qual parve allo
Scbweigh., quanto lo è 7:»pmpw9mla.
(157) Andronida. Di questo compagno di Callicrate vegga
si xx1x, IO nel principio. '
(158) Le feste Antigonie. Su queste consultisi la nota 150
al lib. xxtx. Antigono sovrannomato Bosone, tutore di Filippo,
che fu poscia padre di Perseo, poi ch’ ebbe vinto in battaglia
Cleomene re di Sparta, e liberati gli Acbei dalla costui tirannia,
ritornando a casa ottenne, a detta del Nostro (u, 70), così dal
comune di questa nazione, come da ogni città in particolare
quanto confirir puossi a chi si è meritato un onore immortale.
Fra siffatti onori scorgesi qui che furono le feste Antigouie isti
tuite da quelli di Sicioue.
(159) Tinozze e vasche. Comechè secondo] Esichio pniz7pd
nel senso di vaso da bagno suoni lo stesso che róc7ws, ciò non
pertanto osserviamo da questo luogo che nelle prime , siccome
comuni, più d’un uomo scendeva, nelle altre un solo. Anche a
detta di Polluce (Onomast. vn, I68) bagnavasi più d’uno nella
fluis'lfii, cosi denominata per la sua somiglianza alla madia , in
cui s’intride la farina per ridurla a pane. Quindi è da rifiutarsi
la lezione del Valesio, il quale leggendo nuzpiir sull’autorità d’un
codice, mutar vorrebbe unite in umile, quasi grandi taber
“6
I 34’
navali, tende, e quella del Gronovio, che propone xAz'ust', mi
'ln;, letti, giacigli. Più si appese al vero il Reiske, che non altri
menti in mula, sibbene in (magli: trovò il vizio della scrittura
e vi sostituì pax'lfif. ritenuto dallo Schweigh.
(t60) Calava. K43:imt, al pari dell’italiano calare si usa in
senso attivo non meno che passivo, esignifica così mandar già,
come discendere. - Quanto è alla correzione del testo volgato ti
746744: 'Éa-‘ls 7n‘ na9ig, preferisco quella dello Schweigh. 'ue
7467.1: 'É'ls fi; me9u'p (quando alcuno in queste calava) al
l’altra del Reiske si 7aiv7au m'7: 745 “‘95,, (se in queste
talvalta alcuno discendeva), non parendomi il dativo bene retto
da cotal verbo. Il xe'ltinfl pertanto non era. per mio avviso,
da tentarsi, che non è sbaglio, sibbene particolarità del dialetto
ionico, del quale non è a maravigliarsi se rimanesse qualche trac
cia presso gli Achei discendenti dagli Ionii, e l’Arcadia, patria di
Polibio, era compresa nell’Achea.
I/
FINE DELLE ANNOTAZIONI AL LIBRO TRENTESIHO DI POLIBIO.
. *mer=n u’u 'u II"!- _,_--‘*-I Q"-'+’Ù"um'«M‘hilrl '- m - .. ._ - _ 7
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DII\ Bandi mi,
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/
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v.» Brani. {1:
Puflu'). 70/. 171 pqy.u3. a .
38:
DELLE STORIE '
DI POLIBIÙ DA MEGALOPOLI
<Ù”
AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOPRIMO.
I. In quel tempo iCnossii ed i Gortinii (1) guerreg- A.5:gi
giavano co’ Rancii, ed obbligaronsi tra di loro con giu
ramenti di non cessar dalla guerra avanti d‘aver (a) pre
' sa Banco colla forza. (3) I Rodii risaputa la delibera
zione del senato circa i Caunii, e vegèendo che non ti
niva l’ ira de’ Romani, poiché ubbidito ebbero in ogni
cosa a quanto recava la risposta, crearono tosto un’ am
bascerie cui preposero Aristotile, e la mandaron a Roma,
incaricandola di far un nuovo tentativo circa l’alleanza.
Giunti costoro in Roma nel cuor della state , entrarono
nel senato, ed incautamente esposcro come il popolo
ubbidito aveva a’ suoi comandamenti, e con molli e varii
discorsi esortarono all’alleanza. Il senato diede loro una
risposta, in cui tacque dell’ amicizia, e circa I’ alleanza
disse, che non gli conveniva per ora d’ accordarla ai
Rodii.
9
Olimp.
CLIII,I Il
ti?
Amb. 100
114
A. di R.
58
Amb. ?oa
Ateneo
V. 5.
Il. Agli ambasciadori de" Galli d’Asia accordarono
di governarsi colle proprie leggi, restando nelle loro
magioni, e non combattendo fuori de’ proprii confini.
III. (5) Antioco, udito avendo da’ giuochi (6) eseguiti
in Macedonia da Emilio Paulo, capitano supremo de’Ro
mani, volendo in (7) magriificenza e generosità avanzat‘
Paulo, mandò pelle città ambasciadori e (8) legati sacri,
per annuriziar i giuochi che doveansi da lui celebrare
(9) presso Dafne. Incominciò la festività con una pompa,
così condotta. Precedevano cinquemila uomini di fiorita
gioventù, armati alla romana in corazza uncinate. Dopo
i quali seguivano subito cinquemila Misii, Cilici armati
alla leggiera, con corone d’oro, tremila; appresso a que
sti Traci tremila, e Galati cinquemila, ed altri con scudi
d’argento, cui tenean dietro dugenquaranta paia d’ ac
coltellanti. A tergo di questi erano mille (to) cavalieri
Nisei, ed urbani tremila, la maggior parte de’ quali avean
aureo bardature e corone; gli altri aveano le bardature
d’argento. Indi Venivano (t t)i cavalieri così detti Com
pagni, ch’ erano da mille, tutti colle bardaturc d’ oro.
Vicini a questi era il corpo degli Amici, eguale ad essi
di numero e d’ornato :, ed appresso seguivano mille scelti,
cui andava dietro il così detto Agema, reputato il più
forte corpo di cavalieri, ascendente a mille uomini circa.
Da sezzo marciava la cavalleria catafratta, nella quale i
(12) cavalli e gli uomini traggon egualmente il nome
dalle armi onde sono coperti. Sommavano questi mille
cinquecento. Tutti gli anzidetti aveano*mantelli di por
pera, molli eziaudio con liste d’oro e figure d‘animali.
, u?
Carrozze da sei cavalli erano cento, da quattro (13) quat- A. di R.
trecento; (14) poscia un carro tirato da quattro elefanti, 589 ‘
ed uno da due. Seguivano in fila trentasei elefanti for
niti. Il resto della pompa difficil è adescriversi, tuttavia
,lo faremo sommariamente. Andavan in processione ot
tocento giovani di primo pelo, con corone d’oro; bovi
grassi intorno a mille; (15) mense sacre poco meno di
trecento; denti d’elefante ottocento. Il numero delle sta
tue non è possibile di riferire. lmperciocchè di tutti co
loro che presso gli uomini chiamami o credousi Dei o
Genii,e degli eroi pure, conducevansi i simulacri, quali
dorati, quali vestiti di stole listate d’ oro; ed a questi
tutti apponevansi le respettive favole secondo le tradi
zioni in sontuosi apparati. Li seguitava il simulacro della
Notte e del Giorno, della Terra, del Cielo, dell’Aurora
e del Mezzodì. La moltitudine pertanto delle dorerìe e
delle argenterie, puossi da ciò arguire. Uno degli Amici,
Dionigi il segretario, avea nella processione mille paggi,
che portavano argentgrìe, nessuna delle quali pesava me
no di mille dramma. Appresso erano seicento paggi reali
con vasellame d’oro, poscia da dugento donne, che da
urne d'oro versavan olii odorosi. Dietro a queste anda
van a mostra ottanta donne sopra lettighe ’co’ piedi
d’oro, e cinquecento sopra lettighe co’piedi d’argento,
sedute e magnificamente ornate. Queste erano le cose
più illustri della pompa.
IV. Finiti i giuocbi edi duelli e le cacce, pe’ trenta
/ giorni ne’ quali celebrava gli spettacoli, i primi cinque
giorni venivano tutti nella palestra unti da (16) conrhe
d’ oro con olio di croco; i cinque seguenti con olio di
116
A. di R.
589
Amb. 10|
vciunamomo, ed un egual numero con olio di nardo. Si
milmente ne’suecessivi apportavansi olii di fieno greco ,
di (17) majorana e (18) d’ iride , tutti squisiti per soa-’
vità d’ odori. Apparecchiavansi per banchetti, quando
mille letti da tre, quando mille cinquecento, con son
tuosissimo fornimcnto. Del maneggio delle cose occu
pavasi il re medesimo; percioccbè sopra un cattivo ronl
zino scorreva la processione, comandando gli uni d’au
dar innanzi, ain altri di trattenersi. Ne’ conviti stava egli
sugl’ ingressi, ed alcuni introduceva, altri (19) collocava
alle mense, ed i serventi che portavano le vivande egli
menavn. Girando intorno alle tavole, (love s’ assideva,
dove si (2.0) buttava, e talvolta deponeudo nel mezzo
il boccone, o il bicchiere, balzava su,e cangiava posto,
e girava intorno alle mense ove beveasi , ricevendo in
piedi il beveraggio offertogli dall’ uno e dall’ altro, ed
insieme scherzando con (2.:) chi cantava o recitava. Ed
essendo il banchetto molto innoltr-ato, e molti già par
titi, era il re dagli strioni portato dentro tutto coperto,
e messo in terra , come se fosse uno di loro. Eccitato
dal musicale accordo, saltava su e ballava, c (n) faceva
le maschere co’ buffoni, a tale che tutti vergognatisi fug
givano. Tutte queste cose furon eseguite, parte con ciò
cb’ egli erasi appropriato dall’ Egitto , (2.3) allorquando
tradì il re Filometore, cl1’ era ancor fanciullo; parte con
quanto gli amici contribuirono; ma sovrattuttò collo
24) spoglio ch’ egli fece de' templi.
V. Poiché furono compiuti i (n.5) giuochi poc’auzi ce
lebrati, vennero (26) Tiberio coin altri ambasciadori, con
l){i€l‘
ordine d’esplorare lo stato delle coàe.l quali con tanta
destrezza e benignilà furono accolti da Antioco, che ben
lungi dal sospettare, che questi alcuna(z7)impresa contro
di lui mulinasse, o scorger qualche dimostrazione di ran
core (28) pelle cose accadute in Alessandria , condan
navano tutti colmo che siffatti discorsi facevano, per ca
gione dell’estrema cordialità con cui li avea ricevuti, per
modo, che in aggiunta ad altre gentilezze, cedette il suo
palazzo ain ambasciadoi'i,e presso che dissi il diadema,
in apparenza; quantunqu‘ ein ('19) nell’animo non fosse
tale, ma al contrario alienissimo da’ Romani. '
VI. Vennero a Roma molte ed altre Vambascerie, le
più illustri delle quali furono de’ Bodii Astimede, degli
Achei Eurea, Anassidamo' e Satiro, di Prusia Pilone; cui
il senato diede udienza. (31) Gli ambasciadori di Prusia
accusavano il re Eumene, dicendo che questi avea loro
tolte alcune (32.) castella, e (33) non si asteneva punto
dalla Galazia,nè ubbidiva a’ decreti del senato; ma im
pinguava coloro che per lui parteggiavano, laddove quelli
che seguivan il partito de’ Romani, e vulcano governarsi
in conformità de’ decreti del senato, per ogni modo ab
bassava. V’ avea pure alcuni ambasciadori dalle città
d’Asia, i quali accusavan il re, facendo fede (34) della
pratica che teneva con Antioco. Il senato, uditi Clt’cbb8
gli accusatori, non rigettò le incolpazioni, nè fece scot;
gere la sua sentenza, ma in sè la tenne , diffidando al
tutto d’ Eumene e d’Antioco. Tuttavia a’ Calati sempre
alcuna cosa aggiugneva, a rinforzo della loro_lihertà.
(35) Tiberio pertanto ed isuoi compagni, ritornati dal
A. dl R.
589
A. di R.
590
Olimp.
CLIII,IV
Amb. 104
118
A. di R. l’ambasceria, non poterono niente da vantaggio nè essi
590 stessi comprendere , nè esporre al senato intorno alle
faccende d’Eumene e d’Antioco, di quello che sapeva
no quando erano prima in Roma: tanto (36) aveauli i re
colla loro benigna accoglienza svolti da ogni investiga
zione.
VII. (37) Pescia chiamò il senato i Rodii ed ndilli.
Astimede, entrato, (38) si diportò con maggior modera
zione e meglio che non nell’ ambasciata di prima, per
ciocchè lasciando d’accusare gli altri, si condusse a chie
der perdono, siccome fanno (39) quelli che vengono fla
gellati, dicendo, aver la sua patria sofferti sufficienti ca
stigl1i , e maggiori del suo fallire. [In aggiunta percorse
sommariamente i danni di quella; in primo luogo che
perdute avea la Caria e la Licia, per cui ebbe spesa
grande quantità di danaro, essendo stata costretta a far
con esse tre (40) guerre, ed ora trovarsi spogliata di molte
entrate, che dalle medesime percepiva. Ma forse, disse,
non è ciò senza ragione. lmperciocchè le deste al no
stro popolo, per (4|) dimostrarin l’ animo vostro grato
e benevolo , ed ora gli togliete cotesto beneficio, stiman
do di far ciò a buon diritto, dappoichè intervenne qual
che sospetto e discordia. Ma Cauno abbiam al certo
(4:) comperata per dugento talenti da’ capitani di Tole
meo, e Stratonicea ricevemmo in solenne gratificazione
da (43) Antioco- e da Scleuco; e da amendue queste città
proveniva al popolo ciaschedun anno una rendita di cen
tOVenti talenti. Di tutte queste rendite siamo spogliati,
quando volonterosi ubbidiamo a’ vostri comandamenti.
Quindi maggior tributo imponeste a’ Rodii per il loro
113119
delitto d’ imprudenza , che non a’ Macedoni vostri ca- A. di R.
pitali nemici. Ma la più grande sciagura della nostra
città si è l’ aver perduta la rendita del porto, poiché
Delo faceste esente da gabelle, e levaste al popolo
l’arbitrio, per mezzo del quale gli affari del porto e tutti
gli altri della città erano colla conveniente autorità am
' ministrati. E che ciò sia vero difficil non è a conoscersi;
perciocchè laddove ne’ tempi addietro pe’ proventi de’
porti trovavasi un milione di dramme, ora appena
se ne trovano cencinquanta mila. Talmente, o Romani,
l’ ira vostra ha feriti i luoghi più vitali della nostra
città. Che se il fallo fosse di tutti ed il popolo da voi
alienato, forse avreste ragione di perseverare nell’ ira e
d’essere implacabili. Ma se chiaro conoscete, che pochis
simi sono stati gli autori del peccato, e questi tutti dallo
stesso popolo puniti colla morte; perché siete inesora
bili verso di coloro che non sono colpevoli, e ciò
mentrecbè a tutti gli altri vi dimostrate al sommò dolci
e magnanimi? Il perché, (48) o Romani, il nostro po
polo, perdute avendo l’ entrate, la (49) libertà, la egua'
glianza, per cui ne’ tempi addietro sempre ogni pati
meuto ha sostenuto, voi tutti prega e supplica, che dopo
essere stato sufficientemente battuto , cessiate l’ira , e
(50) gli accordiate la pace e fermiate seco lui alleanza,
affinché a tutti fia’manifesto, che avete deposta la col
lera contro iRodii, e siete ritornati alla volontà ed ami
cizia di prima. lmperciocchè di questo ha (5|) ora bi
sogno il nostro popolo, non già di un’ alleanza d’ armi
e di soldati. Poiché Astimede queste ed altre simili cose
ebbe dette, parve alutti il suo discorso conveniente alle
590
I 20
A. di R.
590
Amb. 105
circostanze. Moltissimo pertanto (52.) aiutò i Rodii a con
seguire l’alleanza Tiberio Gracco, testé giunto. Imper
ciocchè attestò, primieramente che i Rodii avean ubbi
dito a tutti i decreti del senato; poscia cb’ erano stati
da loro condannati a morte tutti gli autori dell’ odio
contro i Romani: laonde vinti furono gli oppositori , e
fecesi 1’ alleanza co’ Romani.
VIII. Dopo qualche tempo entrarono gli ambascia
dori degli Achei con incumbenze (53) conformi alle ri
sposte, che aveano prima ricevute. E queste erano,
che si maravigliavano, come gli Achei provocassero la
sentenza del senato intorno a coloro, ch’ essi medesimi
avean già sentenziati. Il perché era allor venuta un’ am
bascerìa condotta da Eurea, per dichiarare di bel nuovo
a’ padri, che la nazione nè aveva uditafila difesa degli
accusati, nè pronunziata sentenza alcuna contro di loro;
onde pregava essa il senato di far provvedimento , af
finché (55) quegli uomini venissero giudicati, e non pe
rissero senza processo. E sovrattutto lo supplicava di
manifestare chi fossero coloro cb’ erano in colpe avvi
luppati; ma se distratto in altre occupazioni non potesse
ciò fare, ne lasciasse l’ arbitrio agli Achei,i quali inge
gnerebbonsi di (56) punire condegnamente gli autori
delle reità; Il senato , poicb’ ebbe uditi i discorsi degli
ambasciadori conformi alle incombenze avute, non sa
pea che si fare; perciocchè da (57) qualsivoglia parte
sarebbesi esposto a biasimo: che lo sentenziare non isti
mava appartener a sé, e l’assolverli senza giudizio (58) sa
rebbe stata manifesta ruina de’proprii partigiani. II per
I
afl/ché indotto dalla necessità, e volendo levare alla 'molti
tudine ogni speranza circa la salvezza de’ prigioni, af
finché ad (59) occhi chiusi ubbidisse, scrisse nell’Achea
a Callicrate, e negli altri stati a chi credeva esser amici
de’ Romani siffatta risposta: Non (6o) crediam utile né
a noi nè a’ vostri popoli, che questi uomini ritornino a
casa. Uscita questa risposta, smarrironsi forte e caddero
in grande avvilimento, non solo quelli ch’ erano stati
chiamati a Roma, ma fra tutti i Greci ancora era quasi
un pubblico lutto, apparendo da cotal risposta tolta ai
miseri ogni speranza di salvezza. Essend0si divulgata
pella Grecia la risposta data agli Achei circa gli accu
sati, la moltitudine ne rimase abbattuta , e furono tutti
(6!) come da disperazione assaliti. Ma Campo e Calli
crate, e tuttii capi della stessa setta sollevaronsi a nuove
speranze.
IX. Tiberio ridusse i(62)Cammani sotto l’ubbidienza
de’ Romani, parte colla forza, parte coll’ inganno.
Essendo venuti a Roma molti ambasciadori , il se
nato diede udienza ad Attalo e ad Ateneo. Impercioc
ché Prusia, non solo con ogn’ industria accusava Eu
mene ed Attalo, ma instigava ancor i Gelati ed i (63) Scl
gei, e parecchi altri popoli dell’ Asia a fare lo stesso.
Per la qual cosa il re Eumene mandò i fratelli, per di
fenderlo dalle liti contro di lui mosse. Questi entrati nel
senato parvero aver fatta conveniente difesa contro tutte
le accuse; e finalmente non solo (64) respinsero le colpe
che erano state loro apposte, ma ritornaron eziandio
J. di R.
590
Amb. |06
I 22
‘A. . di R.
587
Eslr. Val.
Estr. Val.
colmati d’ onori in Asia. Ciò non pertanto non depose
il senato i(65) sospetti contra Eumene e contr’Autioco;
ma nominò ambasciadori (66) Caio Sulpicio e Manie
Sergio, e spedilli, cosi per invigilare sugli affari de’Greci,
(67) come per giudicare fra iMegalopolitani ed i Lacc
demoni circa la campagna che disputavansi; ma sovrat
tulto per (68) esaminare minutamente gli affari d’ An
tioco e d’ Eumene, affinché (69) non si riducessero a
qualche apparecchio e società contro i Romani.
X. (70) Caio Gallo, oltre alle imprudenza testé ri
ferite, venuto in Asia, espose pelle città più illustri de
gli edittiz, comandando a chi voleva accusar Eumene,
di recarsi da lui in Sardi ad un certo tempo determi
nato. Poseia essendo egli stesso giunto in Sardi, (71) se
dutosi a scranna nel ginnasio, ascoltò per dieci giorni
gli accusatori; accogliendo ogni vituperió e villania che
dicevansi contro il re, ed in generale mandando in lungo
tutte le faccende e tutte le accuse , come colui gch’ era
uomo (72) di mente stravolta, e cercava gloria nella dis
sensione con Eumene. ‘
XI. In (73) Siria il re Antioco, volendo procacciarsi
danari, si propose di far una spedizione contro il tem
pio di Diana (74) nell’ Elimaide. Giunto in que’ luoghi,
e fallitagli la speranza, perciocchè i barbari che intorno
a quel sito abitavano non cedettero alla sua scellerata
za, ritirossi, ed in (75) Taba città della Persia lasciò la
vita, (76) caduto in furore, siccome alcuni dicono, per
certi (77) segni dati dal Nume in disapprovazione, del di R.
l’ampietà contro l’ anzidetto tempio commessa. .590
XII. (78) Demetrio figlio di Seleuco, trattenuto già Amb. 117
lungo tempo in Roma per ostaggio, lagnavasi buona
pezza che lo si tratteneva contra il giusto, perciocchè,
diceva, averlo dato il padre Seleuco in pegno della sua
fede , ed ora che Antioco gli era succedute nel regno,
non dovere sè rimanere statico pe’ figli di lui. Tuttavia
aveva egli in addietro taciuto, e singolarmente per im
potenza, come quegli ch’ era ancor fanciullo; ma allora,
essendo nel fiore degli anni, venne nel senato chiedendo
con molta instanza d’ esser ricondotto nel regno; sen
dochè (79) più a lui che a’ figli d’Antioco apparteneva
il supremo potere. Ed avendo fatte molte parole nel
l’anzidetto argomento, e massimamente (80) trascorrendo
in dire che Roma gli era patria e nutrice, che come suoi
fratelli considerava tutti i fiin de’ senatori, e questi co
me padri, dappoichè era venuto in(81)età ancor infan
tile, ed allor avea Ventitrè anni: si commossero tutti in
ciò udend0', tuttavolta parve al senato di trattener De
metrio, e di procacciar il regno al figlio lasciato da An
tioco. La qual cosa esso fece, per quanto io credo, aven
do in sospetto la florida età di Demetrio, e giudicando
convenire meglio a’ proprii interessi l’ infanzia e l’ im
potenza del fanciullo successore del regno. E fu ciò ma
nifesto da quanto accadde in appresso. Imperciocchè 's
tosto crearon ambasciadori (89.) Gneo Ottavio, Spurio
Lucrezio e Lucio Aurelio , e li mandarono ad ammini
strar il regno (83) secondo il volere del senato: argo
124
A. di R.
590
mentando, che nessuno sarebbe per impedir l’esecuzione
de’ loro ordini, mentre il re era ancor fanciullo, ed i
(84) maggiorenti l’ avrebbon avuto a grado che il regno
non fosse dato a Demetrio. Gneo adunque si partì col
1’ incumbenza , che innanzi ogni cosa (85) bruciasse le
‘ navi coperte, poscia (86) tagliasse igaretti agli elefanti,
ed in somma fiaccasse la forza regia. L’incaricarbn ezian
dio di visitare la Macedonia; perciocchè i Macedoni,
non assuefatti al governo popolare ed (87) alle adunanze,
fra di loro tumultuaflno. Dovean (88) oltracciò gli amba
‘ sciadori investigare gli affari de’Galati e quelli del regno
Amb. 108
di Ariarate. Dopo qualche tempo fu loro ingiunto per
lettera del senato, che facessero il possibile per pacifi
care (89) i re (1’ Alessandria.
XIII. in quel tempo vennero ambasciadori da Ro
ma; dapprima (90) Marco Giugno, per comporre le dif
ferenze fra iGalati ed il re (gl) Ariarate. Imperciocchè
non avendo potuto i Trocmi (ga) di per sè staccar al
cuna parte della Cappadocia, (93) ma essendo subito stati
respinti ogni qual volta prendevano ad attaccar i Cap
padoci ; rifuggitisi pressoi Romani, tentarono d’accusar
Ariarate. Per la qual cosa spedito fu Giugno e gli altri
ambasciadori, co’ quali avendo il re fatto il conveniente
discorso, non che amorevolmente conversato, licen
ziolli preconizzanti le sue lodi. Pescia venuti gli altri
ambasciadori, Gneo Ottavio e Spurio Lucrezio, i quali
parlarono nroamente col re circa la differenza ch’egli
avea co’ Galati: quegli intorno a siffatta vertenza spic
ciatosi brevemente, disse che di buon grado si rimette
I
rebbe alla loro sentenza, del resto molto ragionò sugli
affari della Siria, ove sapea cb’ era per andare Ottavio,
mostrando loro l’incerto stato di quel regno, e la (g5)leg
gierezza di coloro che gli soprastavano, e promettendo
che li seguirebbe con un esercito, e starebbe attento ad
ogn’ incontro, sino a che essi fossero ritornati salvi dalla
Siria. Gneo grato accogliendo in tutto la benevolenza e
pronta volontà del re, disse che per ora non avea me
stieri d’accompagnamento. In avvenire, se ne occorresse
qualche bisogno, glielo farebbe a sapere senza indugio;
perciocchè il giudicava uno de’ veri amici de’ Romani.
XIV. Nello stesso tempo vennero ambasciadori da
(98) Ariarate, testé succeduto nel regno della Cappado
cia, per rinnovare l’ antica amicizia ed alleanza , e per
pregar il senato d’ accettare la benevolenza e la pronta
volontà che il re così in pubblico come in privato pro
fessava a tutti i Romani. Il senato, udito il discorso, rin
novò l’amicizia e l’ alleanza, ed approvata in ogni cosa
la buona intenzione del re , trattolli benignamente. La
qual cosa avvenne principalmente, perché Tiberio, al
lorquando fu spedito perinvestigare la mente del re, al
suo ritorno disse ogni bene (97) del padre e di tutto il
regno. Il senato, prestandogli fede, accolse cortesemente
gli ambasciadori, e lodò l’ animo del re.
XV. Ariarate re di Cappadocia, poiché ricevette gli
ambasciadori ch’ egli avea mandati a Roma , arguendo
dalle loro risposte esseril suo regnoin salvo, dappoichè
avea conseguita la benevolenza de’ Romani, sacrificò agli
roumo, tam. nu. IO
|À°Î
A. di R,
590
A. di R.
591
Olimp.
cuv,r
Amb. 109
Àm6. x 12
126
A. di R.
588
Amb. tao
Amb. In
Dei in ringraziamento dell’ avvenuto, e banchettò i suoi
duci. Poscia spedì ambasciadori a Lisia in Antiochia ,
ingegnandosi di riavere le (98) ossa della sorella e della
madre. Lagnarsi pertanto (99) dell’ empietà commessa
reputo inconveniente , non volendo irritar Lisia, affin
ché non gli fallisse il disegno, quantunque fosse molto
dolente del caso ; ma incaricò gli ambasciadori che spedì
di chieder colle buone. Cedette Lisia, e le ossa gli fu
rono riportate, le quali egli ricevette con pompa, e sep
pelli a grande onore presso la tomba del padre.
XVI. I Bodii, (100) respirato ch’ebbero dalla cala
mità sofferta, mandarono Cleagora a Roma per amba
sciadore, affine di chiedere che fosse loro ceduta la città
di Calinda. Quanto alle possessioni che aveano nella Li
cia e nella Caria, pregaron il senato che fosse loro per
messo d’averle come per lo passato. Decretaron ezian
dio di rizzar il colosso del popolo romano nel tempio
di Minerva, (101)alt0 trenta cubili.
' XVII. (102.) Essendosi i Calindesi ribellati da’ Cau
nii, e poscia accingendosi questi ad assediarli; dapprin
cipio i Calindesi chiamaron i Cnidii, i quali affrettatisi
al soccorso resistettero alquanto a’ nemici. Ma temendo
l’ avvenire mandaron ambasciadori a’Rodii , per arren-‘
dare sè stessi e la città. I Bodii, spediti aiuti per terra
e per mare, levarono l’ assedio, ed accettarono la città.
Avvenne poi che il senato ancora confermò loro il pos
sesso di Calinda.
,v‘
W?XVIII. (103) Poicbe i Tolemei partirono il regno, A. di R.
venne a Roma Tolemeo minore, per annullare la divi
sion_e fatta tra lui ed il fratello, dicendo , come non di
buon grado, ma stretto dalle circostanze eseguito avea
ciò che gli era stato imposto. Pregava dunque il senato
d’ assegnargii Cipro: perciocchè, quand’ anche ciò ac
cadesse, la sua parte sarebbe molto più scarsa di quella
del fratello. Ma avendo (104)Canuleio e Quinto fatto fede
a’ detti di Menillo, ch’ era colà ambasciadore di Tole
meo maggiore, (105) come il minore per beneficio di
questi avea e (106) Cirene e la vita, e tal era l’alienazione
ed il dispetto del volgo verso di lui, ch’ essendogli con
tro speranza ed aspettazione dato il regno di Cirene, egli
volentieri accettollo, (107) e fermò i patti con sagrificii
e (108) mutui giuramenti: Tolemeo a tutto ciò contra
disse, ed il senato veggendo che la divisione era (mg) al
tutto ineguale, e volendo insieme partir il regno con
(1 10) astuto consiglio, facendo i fratelli stessi autori della
divisione, acconsenti alle richieste del minore per la
propria utilità. Imperciocchè molto sono in voga siffatte
deliberazioni presso i Romani, con cui per la stoltezza
altrui accrescono e consolidano il lor impero destramen
te, (111) facendo grazia a coloro che han errato e mo
strando di beneficarli. Il perché osservando la grandezza
della signoria d’ Egitto , e temendo non un giorno gli
toccasse un principe, che più del conveniente alzasse il
capo: elessero ad ambasciadori Tito Torquato e Gneo
Merula, per condnrre Tolemeo in Cipro, ed insieme per
recar ad effetto il loro divisamento e quello del re. Ed
incontanente gli spedirono, incaricandoli di rappattu
H:
592
Olimp.
cr.1v,z
Amb. 115
128
A. di R. mar i fratelli, e di procacciare al minore Cipro senza
587guerra.
I
Amb. 114_** XIX. Giunta intorno a quel tempo la nuova del caso
di. Gneo Ottavio, il quale fu ucciso , ed essendo venuti
gli ambasciadori del re Antioco, che avea mandati Lisia,
e molto ragionando essi circa l’innocenza degli amici
del re in quel misfatto, (112.) trascurò il senato gli am
basciadori, non volendo dare circa cotesto affare alcu
na risposta, né punto svelare l’ animo suo. Demetrio,
(1 13) spaventato a questo annunzio, subito chiamò a sè
Polibio, (114) e gli espose l’incertezza in cui era , se
doveva un’ altra finta parlare col senato de’ suoi affari.
Questi ammonillo (1 1 5)non urtasse due volte nello stesso
scoglio , ma riponesse in sè stesso tutte le speranze, e
facesse qualche tentativo che degno fosse di chi aspira
ad un regno, dappoichè le (116) presenti circostanze
gliene offerivano molte occasioni. Demetrio comprese
questi detti, ma allora si tacque. Poco stante comunicò
la faccenda ad Apollonio uno de’ suoi famigliari. Questi,
ch’ era senza malizia e molto giovane, lo (117) consi
gliò di fare ancor una prova col senato; perciocm.è era
persuaso , che avendolo senza ragione spogliata del re
gno, l’ assolverebbe dal rimanersi ostaggio. Conciossia
chè fosse cosa del tutto assurda, che mentre il fanciullo
Antioco era succeduto nel regno di Siria, (118) Deme
trio avesse ad essere statico per lui. Indotto da questi
discorsi entrò egli nuovamente nel senato, e fece instanza
che il francasse dalla necessità d’essere statico, dappoi
che avea giudicato di procacciar il regno ad Antioco.
129 53
Disse molto più in questo senso, ma il senato perseverò A. di R.
nel suo partito, e meritamen_te; giacché in addietro an- 592
cura avea risoluto di (119) aiutar il fanciullo a conser
-var il regno , non perchéDemetrio non dicesse il gin
sto, ma perché util era a’ proprii affari. E siccome tutto
era rimaso nella stessa situazione, cosi ragion volea che
il senato ancora non mutasse il suo divisamento.
XX. Del resto Demetrio (120) mandata fuori invano
la ultima voce, e conoscendo che Polibio gli avea bene
consigliato di non urtar due volte nello stesso scoglio ,
pentitosi del passato, ed essendo per natura d’alti sensi,
ed avendo sufficiente ardire per eseguir le sue risolu
zioni, chiamò subito Diodoro, ch’ era testé venuto dalla
Siria, e deliberò seco lui circa il suo affare. Era stato
Diodoro aio di Demetrio, ed accorto com" egli era, e
delle cose della Siria esattamente informato, gli fece
conoscere, che essendo colà tutto in confusione (1 21) pel
l’ ammazzamento di Gneo , e diffidando la moltitudine
di Lisia e Lisia della moltitudine, mentre il senato cre
deva che la violazione da’ suoi ambasciadori derivasse.
dagli amici del re, esser questo il miglior tempo (122.) per
comparire di sorpresa in mezzo al trambusto. Impercioc
chè quelli di là tosto il regno a lui (19.3) trasferirebbo
no, quand’anche con un solo fanciullo arrivasse; (I al.) né
oserebbe il senato di recar aiuto a Lisia e di consoli
darlo, poiché tanto delitto ebbe commesso. Nulla resta
va, se (19.5) non che partissero secretamente da Roma,
senza che alcuno avesse sentore del suo disegno. Ap
provato cotesto suggerimento, mandò per Polibio, e ma
nifestatain la sua determinazione , pregollo d’ aiutarlo
130
A. di R. nell’impresa , e di seco lui consultare , come avesse a
592 maneggiare la fuga. Era allora per avventura in Roma
(126) Menillo d'Alabanda ambasciadore del re Tolemeo
maggiore, per (12.7) venire a ‘confronto e disputare con
Tolemeo minore. Polibio avea già prima con Menillo
stretta famigliarità e fida amicizia; quindi, stimatolo op
portuno alla presente bisogna, il raccomandò a Deme
trio colla maggior (12.8) premura ed insistenza. Costui
fatto partecipe del disegno, s’assunse d’apparecchiar la
nave, e d’ allestir il resto che occorreva per la naviga
zione; ed avendo trovato nella foce del Tebro un va
scello cartaginese (mg) di quelli che conducon oggetti
sacri, il uoleggiò. Scelgonsi coteste navi con ogni cura
a Cartagine, e mandano i Cartaginesi su quelle in Tiro
le patrie primizie agli Dei. Noleggiolla dunque aperta
mente pel proprio ritorno. Il perché preparava senza
destare sospetto (130) le vettovaglie, e parlava pubblica
mente co’ marinai, ed accordava il tempo della partenza.
XXI. Poiché il nocchiero ebbe pronta ogni cosa, e
solo mancava che Demetrio le sue cose allestisse; spedì
ein innanzi il suo ajo in Siria, affinché colle (131)pr0
prie orecchie e co’ proprii occhi esplorasse quanto colà
fra il volgo accadeva. Apollonio pertanto ch’ era stato
seco lui allevato, dapprincipio partecipe era del suo di
segno; (132) ed essendovi due fratelli, Meleagt'o e Me
nesteo, Demetrio comunicò loro l’ affare, ma a nessun
altro de’ compagni, quantunque fossero molti. Erano
questi tiin 11’ Apollonio, ch’ era stato in (133) grande
favore presso Seleuco; ma poiché Antioco avea preso
il governo era passato in Mileto. Approssimatosi il giorno
1,3"il 3f
destinato co’ navigatori, dovea Demetrio celebrare la sua A. di R.
partenza con un (134) convito presso certo suo amico; 59"
perciocchè a casa sua non potea farsi la cena , avendo
ein costantemente per costume d’ invitar tutti quelli che
gli erano dattorno.l conscii dell’affare doveano, usciti
della cena , salir sulla nave, con un fanciullo per cia
scheduuo: che gli altri spediti aveano in (135) Anagni,
ove dicevano di seguirli il di vegnente. Polibio era per
avventura in quel tempo infermo e stavasi a letto, ma
sapeva tutto ciò che facevasi, riferendogli Menillo di con
tinuo quanto andava accadendo. Il perché temendo egli
non si protraesse il banchettare , ed essendo Demetrio
per natura (136) inclinato alla gozzoviglia e molto gio
vine , nascesse pell’ ubbriachezza qualche impedimento
alla partenza; scrisse un breve (137) viglietto, e sigilla
tolo mandò un suo ragazzo in (138) sull’imbrunire delcielo, ordinandogli di chiamar fuori il coppiere di De-l
metrio, senza dirgli chi fosse né da chi venisse, e di co
mandargli che il desse a Demetrio , affinché subito lo
leggesse. Fatto tutto secondochè fu ordinato, prese De
metrio il viglietto e lesse. Eran in esso contenute le se
guenti sentenze : ‘
(139) » Chi_/à si piglia il premio di chi indugia.
(140) La notte egual perr'glio a tutti reca.
Ma più vantaggio a colui che s’ arrischia.
(141) Ardisci, attentati, opra, o li riesca,
O meno: anzi che te, tutto abbandona :
(142) Sii sobrio, e il diflidar rammenta. Questi
Sono gli articoli della prudenza.
132
..4 di R.
Sga
XXII. Demetrio, com’ ebbe ciò letto, e comprese le
sentenze, quali erano, e da chi venivano, infintosi tosto
d’ esser soprappresso da nausea, se ne andò, uscendo
con lui i suoi amici. Giunto alla tenda,i domestici non
opportuni al suo intento mandò in Anagni, ordinando
loro di prender le reti ed i cani, e di venirgli incontro
alla volta del (143), monte Circeo; ché colà soleva egli
con diligenza cacciar (144) il cinghiale; donde avvenne
che incominciò la famigliarità ch’ egli ebbe con Polibio.
Poscia aperse a (145) Nicanore ed a quelli ch’ erano se
co il suo disegno, ed esortolli ad entrare con lui nelle
medesime speranze. Avendo tutti di buon animo accon
sentito alle sue richieste, annunziò loro che andassero
in fretta alle proprie abitazioni, ed ordinassero a’ ragaz
zi, che verso il mattino proseguissero alla volta (1’ Ana
gni, e co’ cacciatori venissero ed incontrarlo sul Cir
ceo , ma essi, presi gli abiti da viaggio , ritor
nàssero a lui, e dicessero a’ domestici, che Demetrio
sarebbe con loro il di vegnente nell’anzidetto luogo.
Eseguita che fu ogni cosa conforme avea detto, anda
rono di notte verso Ostia alla foce del Tebro. Menillp
camminato innanzi parlava co‘ marinai, dicendo, come
(146) gli erano venute nuove dal re, per cui egli dovea
al presente rimaner in Roma , e mandar a lui i (147) gio
vani più fidati, da’ quali conoscerebbe quanto risguar
dava (148) il fratello. Il perché disse che non sarebbe
altrimenti entrato in nave,sibbene verrebbono (149) in
torno alla mezzanotte i giovani che avean a navigare.
Il nocchiero era indifferente, perciocché gli rimaneva
il nolo dapprima stabilito, e tutto era già da molto
132
133
tempo pronto a salpare. Venne Demetrio in (150) sul A. di R.
finire della terza vigilia, con otto compagni, cinque
servi, tre ragazzi. Menillo, avendo con loro parlato, e
mostrata la provvigione de’ viveri, e raccomandatili al
nocchiero ed alla ciurma caldamente, essi montaron in
nave. Il timoniere (151), appena fattosi giorno, alzò le
àncore, e si diede a navigar bonariamente, non sospet
tendo punto di ciò ch’ era, ma come se ein conducesse
alcuni soldati da Menillo a Tolemeo.
XXIII. In Roma il giorno appresso nessuno si curò
di cercar Demetrio, nè quelli ch’ eransi con lui partiti.
Imperciocchè coloro ch’ erano colà rimasi il credean
andato sul Circeo; e quelli che trovavansi in Anagni gli
si fecero incontro alla volta dello stesso-luogo, come se
ivi fosse per giugnere. Il perché fu la fuga di lui al tut
to occulta, finché uno de’ suoi ragazzi, frustato in A
592
nagni, (15a) corse sul Circeo per riscontrarsi là con De- .
metrio; ma non veggendolo si voltò verso Roma, sti
mando d’avvenirsi in lui cammin facendo. Non avea-q
dolo pertanto in nessun luogo trovato, denunziò la co- ‘
sa agli amici ch’ erano in Roma,ed a quelli ch’ egli a
vea lasciati in custodia della casa. (153) Ed essendosi
cercato Demetrio il quarto giorno dacchè erasi par
tito, si ebbe sospetto dell’ accaduto. Il quinto ragunossi
tosto a cotal fine il senato , nel qual giorno era già De
metrio fuori dello stretto di Sicilia: Rinunziarou adun
que al pensiero d’ iuseguirlo, supponendo ch’ egli aves
se fatta molta strada navigando, perciocchè avea il vento
favorevole , (154) donde prevedevano che il volergli im
pedire d’ andar innanzi era impossibile. Dopo alcuni
134
A. di R. giorni crearon ambasciadori Tiberio Gracco, Lucio Len
592 tuloe Servilio Glaucia, i quali dovean primieramente esa
minare gli affari de’ Greci, (155) e quindi passar in Asia
per osservare i movimenti Demetrio, per investigare
le intenzioni degli altri re e'per pronunziar giudizio sul
le quistioni che gli anzidetti aveano co’ Galati (156). No
minarono adunque Tiberio, perciocchè egli nell’ambasce
ria di prima esaminata ebbe ogni cosa di presenza. In '
questi termini erano le cose d’ Italia.
I
(157) Demetrio aspettando l’ arrivo di colui che do
veasi a lui mandare. . . .
Aleneo XXIV. (158) Catone, conforme narra Polibio nel li
1- ":°”" bro trigesimoprimo delle storie, sdegnato gridava, perché
alcuni avean introdotte in Roma le delizie forestiere;
comperandosi per trecento dramme (159) l’ orcio di sala
me Pontico, ed il prezzo di un bel giovanetto superan
do quello di una campagna.
Amb_ Il5 XXV. Dopo di ciò (160) Tolomeo minore, venuto
in Grecia cogli ambasciadori romani, vi assoldò una gros
sa mano di gente, fra cui prese anche il macedone Da-’
masippo , il quale uccisi avendo in (161) Facio i mem
bri del Consiglio, fuggì dalla Macedonia colla moglie e
co’figli. Il re, venuto (162) nella Perea de’ Rodii,e rice
vuto ospitalmente dal popolo, si propose di navigar in
Cipro. Torquato veggendo ch’ egli componeva una p0
derosa massa di milizie straniere, ricordatosi dell’ inca
rico ricevuto di dovere senza guerra far il ritorno, I’ in
603
413513"
dusse finalmente a licenziare la soldatesca, con cui A. di R.
(163) egli era marciato innanzi sino a (164) Side, a de
, sistere dall’ impresa di Cipro, ed a venir seco a collo
quio ne’ confini della Cirenaica. Essi ambasciadori, disse,
sarebbono frattanto andati in Alessandria, ed avrebbo
no disposto il re alle sue richieste; poscia sarebbonsi re
cati a’ confini, conducendo lui pure seco. Persuaso adun
que Tolomeo minore da questo ragionamento, rinunzia
to all’ affare di Cipro , licenziò la gente da sé assolda
ta , e navigò dapprima in Creta, avendo seco Damasip
po ed uno degli ambasciadori Gneo Merula. Indi as
soldò in Creta da mille uomini, e fatto il tragitto nella
Libia , afferrò in (165) Api.
XXVI. (166) Torquato trasferitosi in Alessandria in
gegnossi di persuadere a Tolemeo maggiore di pacificarsi
col fratello e di cedergli Cipro. Ma siccome Tolemeo
' (167) alcune cose prometteva , ad altre dava poco ascol
to, e per tal modo mandava l’afi'arein lungogcosì ilminore
accampatosi co’Cretesi nella Libia intorno ad Api se
condo il concertato, ed altamente sdegnatosi perché
(168) nulla gli si facea sapere , dapprincipio spedì Gneo
in Alessandria, affinché per mezzo di lui (169) Torqua
to s’inducesse a venire. Ma (170) conformatosi quegli
ancora al volere di coloro che prima vi erano giunti,
e protraendosi il tempo, e passati essendo quaranta gior
ni senza che venisse alcuna nuova, incominciò egli a
dubitare dell’esito. Imperciocchè il re’più vecchio con
(171) ogni genere di compiacenza erasi feudali suoi
gli ambasciadori , ed aveali trattenuti a loro malgra
do anzichè volentieri. Frattanto riseppe il giovine T0
592
136
A. di R. lemeo che i Cireuei eransi ribellati, e le (172) città con
592 essi accordavansi (173) , partecipando della ribellione
(174).Tolemeo Simpetesi, egizio di nazione,cui era stata
affidata dal re la cura di tutti gli affari (175), allorquan
do egli navigò a Roma. Come giunse al re questa nuo
va , e poco stante che i Cireuei eransi accampati all’a
perto, temendo non, mentre ch’ egli volea aggiugnere
Cipro a’ suoi stati, fosse per perdere Cirene; posta ogni
altra c05a in non cale, mosse verso Cireue. Venuto
al luogo chiamato il (176) grande Catabatmo, trovò
(177) i Libii che co’ Cireuei occupavano le strette.
Tolemeo, imbarazzato in tal frangente, imbarcò la
metà de’ soldati, ed ordinò loro di girare le strette,
(178) e di comparire da tergo a’ nemici; egli stesso col
I’ altra metà attaccolli di fronte (179) , avviandosi alla
salita. I Libii sbigottiti del doppio assalto, lasciarono
que’ luoghi, ed egli impadronissi della salita, ed (180)
insieme del forte delle quattro torri che sotto a quella
giace , 1101!" era grande abbondanza d’acqua. Quindipartitosi, viaggiò sette giorni peril deserto (181). Areni
dolo pure raggiunto le navi di Mbchirino,trovar0nsi i Ci
renei accampati con ottomila fanti e cinquecento ca
valli. Imperciocchè i Cireuei, sperimentato avendo l’ a
nimo di Tolemeo da (182.) ciò ch’egli ebbe fatto in A
Iessandria, e veggendo che il suo governo e tutta la sua
condotta non erano da re, ma da tiranno; non pote
vano assoggettarsi a lui di buon grado, ma osarono di
tollerar ogni cosa fermi nella speranza di salvare la li
bertà. Il perché allora, come prima s’ avvicinò, si mise
ro in ordinanza, ed alla fine fu sconfitto.
15,1
137.
XXVII. Circa quel tempo venne Gneo Merula da A- A. di R.
Iessandria per informare il re, come il fratello non avea
condisceso a nulla di quanto egli avea chiesto, ma di
ceva doversi stare agli acccordi di prima. Il re udito ciò
elesse tosto i fratelli (183) Comano e Tolemeo, e gli
spedì ambasciadori a Roma con Gneo per significare al
senato l’ avarizia e l’ orgoglio del fratello. Nello stesso
tempo (184) Tolemeo maggiore licenziò Tito Torquato
infruttuosamente. In tale situazione erano gli affari d’ A
lessandria e di Cireue.
FINE DEGLI ÀVÀNZI DEL LIBRO TRENTESIMO PRIMO
\ e
5 z
Amlii 116
SOMMARIO
AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOPRIMO.
Ayyrmucnrrr Dcu’ armo DI 1101!.4‘589. \
GUERRE intestine de’Cretesi. -I Rodii cl1ieggono di bel nuo
va la società de’ Romani. - Ma indarno (S I). accordata
la libertà 11’ Gnlati (S I I). - Antioco Epi/àne mena una pom
pa magni ca. - Celebra giuochi. - Riceve l” ambasc'iadore Tib.
Gracco (5 III, IV, V).
AVVENIMENTI DELL’ ANNO DI ROMA 590.
Ambnrceria de’ Rodii e dein Achei. - Ambarceria di I’r -
sia contro Eumene. -I Romani fiworeggiano i Galati (S VI).
- I Rodii dimnndano perdono. -- Farsi la società co’ Rodii
(S VII). - Gli Acl1ei chieggono mercè pein esuli chiamati
a Roma. - Risposta scorg/brtante del senato. - Gli esuli non
sono rimessi. - Insolenza di Campo e di Callicrate. - (S VIII).
- Gracco assoggetla i Cammani. - C. Sulpicio , Mania Ser
gio, ambasciadori in Grecia e in Asia (S IX). - Sulpicio
Gallo tratta Eumene con espressa (S X). - Antioco Epifiz
ne tenta ili spogliare il tempio di Diana in Elimaide. - .Muo
re in Tuba città della Persia (S XI). - Demetrio chieded’es
ser restituito in Siria. - Il senàto glielo niega. - Gneo Ot
tavio ambasaimlore in Asia, in Macedonia, epres’so Ariarate
(S XII). - M. Giugno ambasciadore. - Trocmi. - Gn. Ot
tavio rimbosciadore (S XIII).
139’” ma
AVVENIMENTI DELL’ANNO DI nona 591.
Arinrate succede al padre. '- Rinnova l‘ amicizia co’ Ro
mani (S XIV). »- Nefiz finta. - Ripete da Lisia le ossa della
madre e della sorella (8 XV). - /Imbnscerìa de’ Rodii a
Roma (5 XVI). - Calinda s’ arrende a’ Rodii (S XVII).
AVVENIMENTI DELL’ANNO DI 110114 561.
Il regno (1’ Egitto diviso fin due fratelli. - Cannlejo c
Quinto,ambasciadori. -- Consigli astuti del senato. » T. Tor
quato e Gn. Merula , ambasciadori (S XVIII). °- Uccisione
di Gn. Ottavio. - Demetrio delibera con Polibio. - Non se
gue il consiglio di Polibio (S XIX). - Diodoro, «fa di De
metrio. - Menillo, ambasciadore di Tolemeo maggiore, aiuta
Demetrio (S XX). - Jpollonio. - Demetrio prepara la fu
ga. - Polibio ammalato. - Demetrio bevitore. - Àmmonizi0
ni di Polibio XXI). -À Demetrio s’in/Ìnge d’andar alla
caccia. - S’ imbarca in Ostia (S XXII). - Tardi si conosce
la sua fuga. - Il senato destina ambasciadori in Asia (S XXIII).
- Catone si lagnn del lusso de’ Romani (S XXIV). - Tole
meo Fiscone va in Cipro. - Torquato lo induce a licenziar
i soldati mercenarii. - Gn. Merula, nmbasciadore (S XXV).
- Tolemeo Filometore non vuol cedere Cipro. - Fiscone pres
so Api in Libia. - I Cirenei da.lui si ribellano. - Grande
Catabalmo. - Forte di quattro torri. - Tolemeo sconfitto da'
Cirenei (S XXVI). - Gli ambasciadori ritornano da Alessandria
iq/i‘uttuosamente. - Commano e Tolemeo fratelli (S XXVII).
ANNOTAZIONI
AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOPBIMO.
-<ac,
Cmca l’epoca degli avvenimenti che trattansi in questo libro
e generalmente in quella parte di tutta l’opera alla quale ora ci.
accostiamo, veggasi la nota 154 al lib. XXX.
(1) Guerreggiauano. Io non tenterei la scrittura volgata isra
Aipnmv, a malgrado dell’ ifsmì.i,mîmr che recano il end. del
1’ Orsini ed il Bav., e dell’osservazione dello Schweighaeuser che
'uuroAspsi'r np‘a; 71m e quanto bellum suscipere, gerere cum
aliquo, imprendcre, far guerra con alcuno. Nell‘ esempio ch’egli
adduce dal lib. xv, 6 manca il wp‘os innanzi all’accusativo éA
M'Mw, ed il vero significato di quel testo igsa'aàtpiirapslv uAA.
. e: ci siam ostinatamente fitta la guerra col divisamento di de
bellarci; la qual modificazione adeguatamente esprime la parti
cella ix premessa al Verbo. Qui pertanto la c0nsumazione della
guerra coll’ ultimo eccidio non era determinata nel principio di
quella, sibbene lo fu in progresso di tempo. Sfuggi allo Schweigh.
che imrsAlpti'r arp‘u 7nd, conforme qui il riscontriamo, 1’ ado
però il Nostro nel lib. xx, c. 4 per eccitare alla guerra; senso
ben diverso da quello ch’ egli nel presente luogo amerebbe d’at
tribuire a cotesta frase.
‘(a) Presa Banco colla jbrza. Cosi Volgarizzando mi è sem
brato d‘ avvicinarmi meglio al zu'iì np‘t7u iAs'h che non fecero
i traduttori latini con vi expugnassent;dappoichè espugnare con
tiene già in sè l’idea di jbrza, e rende il 'vi pleonastico. Che Po
libio possa aver scritto 'r’Anm nell’ottativo , siccome parve allo
I 4 V’::‘1
Schweigh. per non rigettare al tutto la viziosa scrittura 'o’kiv del
cod. Bav., io nol credo, perciocchè farebbe una brutta sconcer
danza coll’infinito 7u'wln che precede.
(3) I Radii. Era stato imposto a costoro dal senato romano
di levare le guernigioni da Calmo e da Stratonicea , città della
Caria (xxx, 19) , la prima delle quali comperata aveano da’ ge
nerali di Tolemeo, l'altra avuta in dono da Seleuco ed Antioco
(xxxu, 7), e furon essi assoggettati a questa perdita in punizione
della temerità cb’ ebbero d' intromettersi nella quistione tra i Ro
mani e Perseo. Ma nulla giov\ò ad essi la ubbidienza in questo
particolare; che fu loro negata l’alleanza, cioè a dire "la comu
nità d’ amici e di nemici (lega offensiva e difensiva), chiesta già
per mezzo dell’ anteriore ambasciata; e dell’ amicizia stessa, che
il solo stato di pace tra due nazioni importava, non si fece molto.
(4) Agli ambasciadori da’ Galli d’Asia. Minacciavan costoro
d’ invader il regno d’ Eumene che i Romani avean umiliato esclu
dendolo dall’ Italia, perciocchè sapevano ch’ egli avea tenute se
grete pratiche con Perseo. Non amavano pertanto che que’ bar
bari si diffondessero nell’Asia, memori delle stragi che ue’secoli
addietro menate aveano, non solo nella Grecia, ma eziandio in
Italia ed in Roma stessa. Il perché concedettero loro bensì di
viver indipendenti, ma li confinarono entro il proprio territorio.
Confr. il cap. |7 del lib. xxx.
(5) Antioco. « Che la narrazione contenuta in questo articolo
e nel seguente fosse tolta da Polibio il dice apertamente Ateneo
nel lib. x, c. 10, p. 459, dove con poche parole ripete ciò ch’ egli
avea più diffusamente esposto nel lib. v, c. I, p. Ig4. » Schweigh.
(6) Escguiti in Macedonia da Emilio l’aula. Sono questi som
mariamente descritti da T. Livio (nv , 32 ), le cui parole non
sarà grave al lettore se io qui volgarizzate riferisco, potendosi
da esse giudicare il grado di magnificenza che vi spiccò, in con
fronto di quella con cui Antioco produsse i suoi giuochi. u Pas
sando dalle cose serie fece egli in Anfipoli con grande apparec
chio i giuochi che avea molto prima preparati, mandando nelle
POLIBIO, T011- VIII. Il
s
4
142
repubbliche dell’Asia ed a’ re persone che li annunciassero , e
girando egli medesimo per gli stati della Grecia, con farne parte
agli uomini di maggior conto. Imperciocchè vi concorse ogni ge
nere d’ artisti, ch’ esercitavano l’ arte de' pubblici ginochi in co
pia da tutto l’ orbe della terra , e di atleti, e di nobili cavalli,
ed ambuscerie con vittime, ed ogni altra cosa che suolsi fare in
Grecia ne’ grandi giuochi per cagione degl’lddii e degli uomini.
Cosi avvenne che si ammirasse non solo la magnificenza, ma la
prudenza ancora nel dare gli spettacoli, pe’ quali'i Romani al
lora erano rozzi. Furono pure allestiti i banchetti alle ambasciate
colla medesima opulenza e cura. » Dalla qual descrizione scor
gesi che alla festa 11’ Emilio non mancò già la dovuta magnifi
cenza, sibbene la necessaria moderazione a quella d’Antioco, dove
tutto era strabocchevole sfarzo e lusso insultante. l giuocbi buf
fon esc'ni ed indecenti che Anicio celebrò a Roma nel circo, poi
ch’ ebbe trionfato di Genzio e degl’ lilirii, sono rammentati nel
lib. xxx , c. 15 , tratti egualmente da Ateneo. Mettendoli a pa
rallelo con quelli d‘ Emilio e d’ Antioco diremo che i primi con
vengonsi ad una nazione non ancor bene uscita dalla barbarie,
quale appunto a que’ tempi, siccome Livio stesso osserva nel luogo
qui sopra citato, erano i Romani; i secondi accomodati sono al
gusto d’ un popolo che ha tocco l’ apice della civiltà; gli ultimi
5’ all'anno alla mollezza ed alla raffinata lascivia d' un secolo che
ne’ suoi piaceri ha già varcati ilimiti della sobrietà, e tali erano
allora i Greci, segnatamente quelli dell’ Asia.
(7) In magnificenza e generosità. La lezione volgata f“?!
Au,yig 6npléî non può al certo stare , perché priva di senso,
ed io ho adottata la correzione dell’ Orsini nei 7? 6a,sgî. in
fatti due erano le parti di quelle feste, la magni/icrnza delle 0
pere, fel74àelf7fl, e la splendidezza de' doni , ed in amendue
superò Antioco il duce romano; chè maggiore di gran lunga era
stata la spesa del re di Siria nelle armature, ne’ vasellami, nelle
vetture, ne’ simulacri ed in tutte le altre cose che formavano la
pompa, e la generosità sua più grandemente spiccava nella pro
)
x43“’
fusione degli olii odorosi e nell’ adoperarsi peìsonalmente in su.
vigio de‘ banchettnnti. La emendazione psyaAaò'upluc (grandezza
de’ doni), Casnub. nelle note ad Ateneo (lib. v, c. 5., p. 116), e
quella proposta dal Beiske pi7:hoap7fu 7;: 60plllf (magnifi
cenza della donazione), sono affatto da rigettarsi. Peggio fece lo
Schweigh. omettendo al tutto siccome oziosa la parola 60ftg'î.
(8) Legali sacri. Circa la voce 9|ufliî che ho così voltata
Veggasi la nota |5Q al lib. xxvm.
(9) Presso Dafne. Mediocre borgo era questo luogo distante
soli quaranta stadii da Antiochia, capitale della Siria. Vi appar
teneva nn bosco grande e denso, irrigato da acque sorgenti, con
in mezzo un tempio sacro ad Apollo e Diana, ed un asilo. Colà
gli Antiochei e gli abitanti de’ paesi vicini avean per costume di
ragunarsi a celebrar feste (Strab., xvr, p. 750). - Osserva lo
Schweigh. che 'ur‘: Anîqu: significa ad anhnen, presso Dafne.
Ed infatti essendo il bosco di una estensione ragguardevole , lo
che non era il borgo, dovea quello trovarsi fuori di questo.
(no) Cavalli Niscì. Vero è, conforme osserva il Reiske, che
celebri eranoi cavalli Nisei, e non altrimenti i cavalieri di quella
nazione; ma qui volle significar il Nostro che costoro’erano uo
mini montati sopra cavalli Nisei , i quali, a detta di Strabone
(xx, p. 525-50), nascevano nella Media e uell’Armenia, e vi si tro
vavano in tanta copia , che ciaschedun anno se ne mandavano
ventimila al re di Persia. Nel testo del Dalechamp leggesi imri'u'
UN'IÎOI, cavalieri Pisani, lezione che il Casaub. disapprova ne’
commentarj, sostituendovi Nysaei. Non è pertanto affatto impro
babile che costoro fossero di quelli che corso avean a gara ne'
giuochi olimpici che celebravansi ogni quattro anni in Pisa città
dell’ Elide nel Peloponneso, ovveramente secondo alcuni in Olim
pia, città del distretto di Pisa nell’ Elide (V. Strab., vm, p. 555).
(I I) I cavalieri così detti compagni. Vedi la nota 147 al lib. v,
e la nota 115 al lib. XVI.
(12) I cavalli e gli uomini. Aveano questi la testa ed il petto
coperti e quasi muniti (innln, xn'lnstiu7u) di ferro. Siffatta
\
' .. lwf._«--.,.. , ...7 . . < .
,
?‘
144
armatura usavano singolarmente i cavalieri Parti, non per assal
tar il nemico, ma per combattere fuggendo con tutta sicurezza.
Se ne riscontra in Suida la esatta descrizione con queste parole:
L’ usbergo del cavaliere Parto è tale. La parte anteriore na
sconde il petto, le cosce, la estremità delle mani e le gambe,
la posteriore la schiena , il collo e la testa tutta. V’ ha delle
fibbie colle quali allacclano amendue le parti, e così fanno
comparir di ferro tutto il cavaliere. Né impedisce punto il
ferro il distendimento e la contrazione delle membra ; tanto
è accuratamente fatto secondo la natura delle membra. Arman
essi il cavallo ancora tutto diferro sino alle unghie. La pie
ghevolezza pertanto di quella copertura dipendeva dall’esser com
posta di lamine congegnate insieme a. guisa di squamme (V. Lips.,
De militia romana, p. 85).
(15) Quattrocento. Tengo col Reiske che sospetto doversi qui
leggere 7|7fmu'wa in luogo di 7iwapéxn'ia, non essendo pro
babile che in quella pompa v’ avesse quattro volte più carrozze
a sei cavalli che non a quattro.
(14) Pescia un carro. Male voltò il Dalechamp questo: Cur’
rus unus, bigaque una,elephantis copulalis. Il testo ha ‘mupév
7ay lippa sai o'urupis. Secondo il Moscopiq citato nelle note ad
Esichio, cdiz. dell’Alberti, equivale lippa. nel singolare a 729;:'2m1,
carro da quattro cavalli, e «negli, a detta dello stesso Esichio
e di Suida, è quanto x”... in 360 'imrm, vvfogw'a, carro da
due cavalli, 0 coppia aggiogata; sicchè la traduzione verbale
suonerebbe: una quadriga ed una biga d’ elefanti , siccome la
intesero il Beislse e lo Schweigb.
(15) Mense sacre. La scrittura volgata è Sinp/at, Iegazioni
sacre, e crede il Beiske che fossero queste mandate da trecento
città per onorare que' giuochi colla loro presenza; ma dal l. xxvm,
16 e dalla nota 132 allo stesso libro scorgesi che le ambascerie
sacre spedivansi a’ re ed alle repubbliche per invitarli agli spet
tacoli, nè abbiamo notizia alcuna che gl’invitati vi corrispondcs
sero con legazioni , sibbene è da supporsi ch’ essi medesimi in
I45?;Î
folla vi concorressero. Egli è perciò che ho preferito il Saule
del Casaub., difeso dallo Spanemio nell’ inno di Callimaco a
Diana, v. 134; voce che secondo Esichio significa le mense in
cui custodivansi i sacri suffumigj,e che nello stesso senso riscon
trasi presso Giul. Polluce, Diogene Laerzio, e Tzetze. Per tal modo
svanirebbe pure la indecer_na di collocare siffatte onorevoli am
basciate tra i bovi grassi ed i denti d’ elefante: indecenza già no
tata dallo Schweigh. , il quale tuttavia conservi: la lezione dei
lkfi. I
(i6) Da coache. Il testo ha lx. Z7uel'dv, che secondo Esicbio
sono grandi cappe , recipienti da bagno. E ragion vuole che
ampli fossero cotesti vasi, onde contenessero la quantità 11’ olio
necessaria per ungere numero cosi grande di comitati. La qual
cosa indica, se non m’ inganno, il nome greco, la cui etimolo
gia è iiAxas, peso, jbrza. Ho preferito la denominazione conca
a quella di qualsivoglia altro vaso, attenendomi al S II di questa
voce nel Vocabolario: Ogni vaso grande di larga boom ed a
pertura. - Anche i Romani pare che serbassero i loro unguenti
in vasi cosi appellati: Funde capacibus unguenta de concbis
leggesi in Orazio (I. n, Od. 7, v. 22), dove notisi il capacibu:
relativo alla grandezza del vaso. - La definizione che ne dà Pol
luce (x, |76), iyyti'n òyp3| 72 nel 2:;fiv, vaso di cose umide
e secche, non ne accenna la forma, nè l’ ampiezza.
(17) Di majorana. ’Afupinnu, Amaracinum.ll Mattioli in
Diosco'ride, lib. m, e. 40, ha provato che l’ amaracus de’ Greci
e de’ Latini è l'erba odorosa conosciuta tra noi pergil nome di
majorana, ed in Toscana chiamata anco_ra Persa. Sampsuchum
l’appella Dioscoride. e distingue tuttavia l’ unguento sampsuchino
dall’ amaracino ; ma con ragione avverte il Mattioli, lib. i, c. 5,7,
come dalla composizione diversa che d’ amendue questi 01] de
scrive 1’ autore greco apparisce essere stato l’amaracino più per
fetto. Quindi io suppongo che nella presente occasione sia stato
questo all’altro preferito. - Secondo Plinio (xxx , a) sono sam
psuchum ed amaracum la stessa erba.
, , .__'__| v
i ’---.1m-- -:.a.. W.‘ÙÙ‘»w - -
413
146 .
(18) E d’irin'e. Nel lib. v del testo Casauboniano d‘ Ateneo
e l’ ultimo olio irpulzl, cavato dalla radice d’ iride, cui nel lib. x
è sostituito zpnu‘n, di giglio, da x;iuv, nome greco di questo
fiore. Lo Scbvveigb. ponendo nel suo testo i;u‘n senza | in prin
cipio, il traduce liliaceum, con manifesto errore. Dioscoride (Ma
tbiol., lib. I, c. 43 e seg.), che insregna la preparazione di parec
cbi oli odorosi i più squisiti, arreca bensì quello d’ iride, ma non
altrimenti quello di giglio, il cui fiore è ben lungi dallo spirare
l’ olezzo che manda la radice d’ iride. Plinio (xm, x ) molto si
estende sulla descrizione di cotesti unguenti , e ne riferisce un
novero ben maggiore di quello che trovasi in Dioscoride.
(ig) Collocava alle mense. Con una parola, ivinàul, espri
me Polibio questo senso.l latini che non hanno 1’ equivalente di
ènuAi'mv non possono deserivere quest' atto se non se con una
circoscrizione. Quindi leggesi ne' traduttori: lom in Ieclulis ad
signat. lo ho sostituito mense a' letti per non rendermi oscuro.
(20) Si buttava. Così mi è sembrato di dover voltare il l'e
nuîarm'h che in latino si è renduto per adcumbebat. Quando,
volle dir il Nostro, Antioco sedeva semplicemente a mensa (con
forme a’ di nostri 5’ usa), quando si sdrajava su’ letticciuoli, ma
il facce con impeto , vi si lasciava cadere sopra , lo che non
esprime abbastanza l'adcumbebat.
(21) Con chi cantava o recitava. Si cantano versi e si reci
tano prose, ed amendue sono comprese nella voce ixpé;ula
che qui riscontrasi. Vero è che presso il Nostro questa prendesi
sempre nel senso di canto, ed una volta eziandio le diede egli
il significato di cantore (xw,’u) ; tuttavia non è improbabile che
qui valga tutte e due le maniere d’ esporre composizioni, non
essendovi aggiunta la particolarità del canto. In Senofonte(Sym
pos., n, a) è certo che lo stesso vocabolo valga 1’ una e l’altra
cosa. Gui,m7a, sono sue parole, mi fl’lpenipziil. i’;6wn, cose
piacevolissime a vedersi e ad udirsi.
(un) Efacava (e maschere co’buffoni. Kal òflupiu7a fu7ic
751 MAu7uuiv , verbalmente: e s’ infingeva con coloro che
'47 2‘?!
fanno ridere; dove l’ infingersi è quanto rappresentar una per
sona diversa dalla propria, lo che gli antichi strioni eseguivano
principalmente travisandosi con maschere.
(‘13) Allorquando tradi il re Filometore. Era Antioco en
trato col suo esercito in Egitto, apparentemente per difendere i
diritti di questo re giovinetto contro le pretensioni del fratello,
ma in sostanza per impadronirsi del suo reame (V. Polib. xxvu,
17; xxvm, i, e Livio xuv, tg; x1.v, u, m).
('24) Colle spoglie . . . de’ templi. Lo spogliamento del tem
pio di Gerusalemme, ricco di preziosissimi arredi e di tesori è
distesamente narrato da Giuseppe Flavio (De bell. Judnic. mi, 7).
Teutò egli pure di rapir le dovizie che racchiudeva il tempio di
Diana in Elimaide , ma ne fu dagli abitanti rispinto; sul qual
avvenimento ritorneremo al capitolo ti di questo libro, dove il
Nostro lo racconta. Osserva opportunamente il Visconti (Icono
graf. grec., tam. il, ping. (ti) , come questo re e cercavo di ri
parar agli enormi dispendj ch’ei faceva per sostenere il culto dei
Greci collo spogliamento e la distruzione de’ templi dedicati agli
Dei stranieri. a
(25) [giuochi poc’anzi celebmli. Se. come sostiene lo SchWeigh.
contro il Reiske, questi giuochi furono i medesimi che riferisce
Ateneo tratti dal libro xxx: di Polibio, potrebbe la presente am
basceria stare in continuazione del racconto antecedente. Ma in
tal caso basterebbe che fosse nel testo 7067.1 73| a'uyo'un , di
questi giuochi , ovveramente omettendo 7.67»: seguirebbe ade
guatamente a'tp7‘i 347011701, senza frapporvi lo stesso pronome,
conforme lo si legge nel testo, che io credo viziato. Ma: a con
fectis istis ludis tradussero il Casaub. e lo. Schweigh. troppo
brevemente. Stando letteralmente al greco, avrei potuto scrivere:
Dopo il compimento de’ giuochi, essendo questi stati poc’ anzi
celebrati; ma siffatta aggiunta è al certo strana e superflua. -
Del resto ove dubbio alcuno rimanesse di qua’ giuochi si tratti,
il toglierebbe, dice lo Schweigh., la serie ed il seguitamento degli
estratti de’ Vizi e delle virtù levati da Diod. Sic., t. u, ed. Ves
seling., p. 585.
148 .
(26) Tiberio Sempronio Gracco. Lo stesso che l’anno di R.
59| fu la seconda volta console con Juvcnzio Talna , padre
de’ fratelli Gracchi ch’ ebbero la conosciuta misera fine. Molte
cose operò egli in quell’ ambasceria; perciocchè procacciò a’ Ro
dii l’alleanza co' Romani, ridusse i Cummani all’ubbidenza, rin
novò l’ amicizia con Ariarate re della Cappadocia. Ma Antioco
ed Eumene seppero deluderlo usandogli eccessive cortesie (V. in
questo stesso libro i cc. 6, 7, 9 e 14).
('17) Altana impresa contro di lui mulinasse. ll Casaubono
seguito dallo Schweigb. voltò 7; apuypu7u.h maliri emn res
nova: (ch' ein mulinasse novità); ma ciò non m’appaga. 11,47
p;7miuf innip trovasi sovente presso il Nostro per uomo versato
ne’pubblici affari, atto a grandi imprese politiche e militari,
e qui ancora mi è sembrato ch’ entrar dovesse l’idea di qualche
astuto concepimento diretto contro Tiberio, laddove la traduzione
latina accenna a qualche novità che avesse in mira i 'Romani :
cosa che non è espressa nel testo.
(28) Pelle cose accadute in Alessandria. Vedi la ultima nota
al lib. xxvm.
(ag) Nell’ animo. Ti? apampiru, cioè a dire quanto alla pro
pensione, al sentimento (V. il Dizionario della Crusca al S 4 di
questa voce. f
(50) Ma al contrario. Nel Casaub. leggasi soltanto 7wmv'lin;
il resto vi aggiunse lo Schweigh., togliendolo da Diod. Sic. (I. c.,
alla nota '25): parole che si possono-soltintendere, senza che per
compiere il senso v’ abbia necessità di apporle. Tuttavia non volli
ometterle,perciocchè danno al periodo un non so che di roton
dità e di perfezione.
(5|) Gli ambasciadori di Prusia. Nell’cpitome del lib. xuv
di T. Livio indicata e questa ambascerla colle seguenti parole:
(t Gli ambasciadori del re Prusia lagnaronsi di Eumene. che gua
stava i suoi confini,e dissero ch' egli avea cospirato con Antioco
contro il popolo romano.» Ma secondo il Nostro, conforme lo
sto vedremo , la società di questo re con Antioco non era stata
-=.-H-w’-. ' -'
?
’ ' 14‘9"V3‘
denunziata dagli ambasciadori di Prnsia, sibbene da quelli-delle
repubbliche dell’ Asia.
(52) Castel/a. l traduttori latini hanno semplicemente loca;
ma io credo che zapl’a. stia qui in vece di onlipca, siccome il
troviam altrove presso Polibio (lv, 6| , 75). Ed infatti dall’ epi
tome succitata di Livio scorgiamo,ch’ Eumene avea recate danni
a’ confini del regno di Prusia, dove pell’ appunto ergonsi le for
tezze a difesa dell’ ingresso nel paese.
(35) E non si asteneqa punto cc. Vale a dire ch’ Eumene
senza riguardo s’ immischiava negli affari de’ Galazj, contrastando
loro la libertà che il senato aveva ad essi accordata, siccome vei
dremo qui appresso. Confrontisi ancora su questo particolare il
c. 17 del lib. xxx. _
(54) Della pratica che teneva. Kouowpayx'a. non è propria
mente società, siccome fu latinamente voltata; che società sup
pone un incominciamento d’ operazioni, le quali non erano per
anche state eseguite, sibbene v’ avea trattati di società tra amen-.
due i re, e ciò significa il vocabolo greco cui ho voluto avvici
narmi.
(35) Tiberio pertanto. Tutto questo periodo era stato dal Ca
saub. inserito nell’ambasceria susseguente (125), donde lo Scbweigh.
con ragione staccollo per metterlo qui; dappoichè è ben naturale
che il senato, dopo aver sentite le accuse de’ Greci contro Eu
mene ed Antioco, interrogasse gli ambasciadori da se mandati in
Asia per esaminare i procedimenti di quel re.
(56) Aveanla . . . svolto. Il Casaub. che avea sotto gli occhi
il cod. Bav., conforme accennammo nella seconda prefazione a
questo lavoro (t, i, p. 22-23), rifiutò la scrittura l2fléuv'la da
quello recata, ed accettò l’altra migliore di iàllifen7o suggerita
a lui probabilmente dal Cod. Urbinate. È pertanto lx7ipun,
tagliar fuori, escludere, ed in questo senso converrebbe spiegar
il testo cosi : Colla loro amichevol accoglienza esclusero gli am«
basciazlari da ogn’ indagine su’ loro a_/fari e sulle loro inten
zioni. Il qual senso lo stesso Casaub. immaginossi d’ esprimere
1 50
colle parole, eum sibi adjunrernnt (a se lo aggiunsero); lo che
certamente, quanto al fatto, se non quanto all’ animo, esser dovea
la conseguenza dell’ averli esclusi dall’ eseguir il loro divisamento.
All’ Ernesti piacque la lezione del Casaub., ma tradusse decepe
runi (ingannarono), ch’ è conseguenza dell’ escludere, ma più di
retta. - Secondo il Reiske il valore di ìz7ipnu sarebbe qui stac
care con bene_/icii alcuno dal partito con cui prima era con
giunto; ma in tal caso avrebbono gli ambasciadori tradita la causa
della patria , la qual cosa non è da supporsi. Senza che questo
verbo non trovasi in siffatto senso in nessun altro luogo ne presso
il Nostro, ne presso qualsivoglia altro autore. - Fefellerunt ha lo
Schweigh. nello stesso significato che gli attribuisce l’Ernesti ,
ma nelle note appiè di pagina propone iEi'lpwa da is7pifln
svolgere, che mi è sembrata la lezione più vera.
(57) Poseia chiamò il senato cc. Questo è uno da' molti luo
ghi ne’ quali il Casaub. s’ approfittò della correzione fatta dall’ Or
sini , ch‘ egli non nominò tampoco nella prefazione tra gli edi
tori ch’ egli avea consultati. "pernahwaipciro: avean i MS., ed il
8 mmentatore italiano ne fece nponanópm riferendolo a n57
x7u;'ln, senato, che a maggior chiarezza io ho creduto di ripetere.
(38) Si diportb. Qui pure si attenne il Casaub. alla emenda
zione dell’ Orsini che 1’ in; dc’ libri cangiò in i'm. Il Reiske di
fese la scrittura volgata, ma diede a nînu (stare) il senso di es
ser ascoltato con applauso, opposto a quello di aria-7|” (cadere),
non esser applaudito. lo ho ricevuto il significato in cui il prese
lo Scbweigb., che ho pur altrove accolto (xvn, 5; xvul, 16).
(39) Quelli che vengonojlagellati. Le molte sciagure e danni
che aveano sofferti i Bodii , e che l’ oratore annovera nel suo
discorso , li fanno adeguatamente paragonare a rei flagellati, i
quali in mezzo alle battiture che ricevono chieggon perdono, af
finchè loro sieno rimesse quelle che ancor hanno a toccare. Per
tal guis parnyo'puu non equivale a tali che sono per essere
flagellati, siccome Vorrebbe il Rciske, e bene tradusse lo Scbweigh.
qui flagellantur.
4‘?
"SfiîWnfiwwww: -
1-5: i-îg -
(40) Tre guerre. I Licii eransi due volte da’ Rodii liberati,
siccome osservasi dal lib. xxvr, e. 8, nella ferma opinione che i
Romani li avessero aggiudicati a’ Rodii, non come sudditi, ma come
alleati. Nè queste,guerre sono quelle in cuii Rodii alleati dei
Romani combatterono con Filippo, Antioco e Perseo,secondochè
Opina il Reiske, riferendo 511707: a’ Romani anziché a’ Rodii.
(41) Per dimostrargli. Il testo è qui indubitatamente corrotto.
Manca il Verbo che regger deve i sostantivi pi7i: xépi7u stai
ivnier, e ragionevolmente vi suppli il Reiske con ip9uvlfu7n.
Bene osserva lo Schweigb. non esservi senso nelle parole xzi
xept’fu'ltf iw7is che nel testo seguono l’ asterisco, e vi sostituì
mi ‘étpaipu’ipuu da'/ii. (e togliendole). Io ho adottate amendue
le correzioni. Il Casaub. sembra che co’ punti apposti indicar vo
lesse uua maggior lacuna che non supposero gli editori a lui suc
ceduti, sebbene la sua traduzione eguale a quella dello Schweigb.
nol manifesti. Circa l’affare vedi xxu, 7; xxm, 3; e xxx, 4, 5.
(4a) Comperala- Secondo i traduttori sarebbe radiatore (ri
cuperare), il valore del verbo ifzy«pifuv che qui usa Polibio;
lo che farebbe supporre che iRodii avessero un’ altra volta pos
seduta Catino, e poscia perduta; ma questa è opinione gratuita,
ed il Nostro adoperò già altrove (Il! , 42) lo stesso verbo per
comperare. - l Rodii aveano per ordine del senato ritirate le guar
nigioni da quelle città (xxx, 19).
(43) Da Antioco e da Seleuco. « Sono questi Antioco Ma
gno e Seleuco figlio di lui, padre di Demetrio. » Reis/re. Il me
rito più antico che i Rodii eransi acquistato verso Antioco con
sisteva nell’ avere prestata l’ opera loro per via (1’ ambasciate, af
finchè si differisse la guerra tra lui e Tolemeo Filopatore (v, 65),
donde nacque occasione ad Antioco di ritornar in campagna con
accresciute forze (v, 68, 7|). In appresso adoperaronsi efficace
mente nella pace che i Romani accordarono ad Antioco M. scon
fitto da questi per mare e per terra (xxx, 14; xxn, 5, 7). Seleuco
era già, vivente il padre, associato agli affari del governo e della
guerra (xvm, 54; XXI, 4, 6, 8).
"I'a- . .;b_f-u_rn- - -..
152
v (44) Delo. Era questa isola, a detta di Strabone (mv, p. 668),
un grande e ricco emporio che avea fatto nascer il proverbio:
Mercatante, approda (a Delo), esponi le tue merci, e tutto ven
derai. Quindi è ben da credersi che i Rodii , imponendo dazii
sulle mercatanzie che vi arrivavano, fossersi procacciati una piu
gue rendita. Dovettero essi (xxx, I8), cosi avendo loro coman
dato i Romani, restituirla agli Ateniesi insieme coll’ isola di Lenno.
- La preponderanza delle loro forze navali aveali resi padroni di
non poche‘utili stazioni di mare; ma in qual occasione avessero
acquistato Delo io nol trovo.- Del resto bassi a credere che da
Canna ancora, città di grande traffico, non meno che dalle altre
città marittime della Caria e della Licia, e dall’ isola di Lenno
traessero i Rodii ragguardevoli entrate, tassandovi la introduzione
e la estrazione delle merci; dappoich‘o per la cessione di questi
paesi essi percepivano appena la settima parte del dazio de’ porti
che in addietro incassavano. - Non poteano i Romani trovar
mezzo più sicuro di abbassare quella potente nazione, ond’ erano
stati offesi, che fiaccando il nerbo delle sue finanze.
(45) Trovavasi un milione di dramme. Tali yin; iàìup.r
n'ev . . . iupinsv'las, verbalmente: Imperciocchè il provento dei
porti . . . trovando, valendo ecc. Dove osserva il Beiske, che
le rendite de’ porti vendeansi ciascbedun anno (cioè affittavansi
per una certa somma), e che il prezzo dell’ affitto chiamavasi
73 iupmùr. Io ho creduto di conservar il senso primitivo del
verbo greco, che non disdice alla nostra favella, per esprimere
ciò che Polibio o l’ oratore rpdio qui volle significare. ‘
(46) Ha fèriti i luoghi più vitali. M... . . .;os. 75. xv
pian io'vran, che alla lettera suonerebbe: Ha gravemente toccati
i luoghi principali. Gl’ interpreti latini ne han fatto: In patis
sima [oca maxime incubuit. lo stimai d’esprimere la stessa cosa,
anzi di renderla\più evidente e più adattata allo spirito della fa»
vella italiana cangiando in ferita il grave toccamento, ed i luo
ghi principali in vitali. Avrei anche potuto scrivere, senz’allon
tanarmi dal senso dell’ originale: Ha pesato su’ luoghi, sulle parti
più sensibili.
l‘E‘ÎÉÎ-î-rî'taài-i: i)“ÎÎ’“ .’-", '...
I53/19:
(47) E ciò. Queste parole corrispondenti a nel 7457i1. non
andavan omesse, siccome lo furono nella traduzione latina , de
rivandone al discorso maggior energia. Sibbene non accadeva che
vi si aggiugnesse (benignitate et magnanimitate) caeteros populos
Ionge antecellitis: pensiero che nel testo non trovasi espresso.
(48) 0 Romani.’0 ia’udpsf, o uomini, leggesi nel Nostro, cui
l’ Orsini aggiunse 'Pa,uìzu (Romani). Ed infatti quell’iivdp; così
schietto suona male. Demostene aringando gli Ateniesi diceva
sempre: ; iirdplr "A9qnîaoc.
(49) La libertà, la eguaglianza. Dal lamentarsi che facean
iRodii di questa perdita apparisce che iRomani spogliati li eb
bero non solo di molte terre e della maggior parte delle loro
entrate, ma che di ciò non contenti volean abolire il loro go
verno, siccome avean fatto di quello di Perseo e di Genzio, con
siderandoli avvolti nella stessa congiura contro di loro.
(50) E gli accordiate pace. Questo e, per quanto a me pare,
il senso del verbo qui usato da Polibio. Amàóra-9m'i‘u miAlptu
significa sciogliere la guerra, fare la pace, pacharsi , e 644
Aiuto‘94: solo ancora vale lo stesso. Redire in gratiam cum ali
quo, (ritornar in grazia con alcuno, concedergli il perdono) di
cesi di due potenze, 1’ una delle quali è di gran lunga superiore
all’altra ch’ essa tratta come nemica, e che può di leggieri sog
giogare senza che gli sia opposta efficace resistenza, conform’era
il caso de’ Romani e de’ Rodii. Ma che 3mì.ów.9nu renda questo
senso è semplice opinione de’ grammatîci e lessicografi. Iuyy'î.
fu" i’xln, 8;35m; è propriamente accordar grazia. Il Nostro
si vale spesso di questa frase, e qui pure l’avremmo riscontrata.
(5|) Ha ora bisogno. Nel lib. xxx, 5 abbiam veduto che i
Rodii in addietro non vollero stipular alleanza co' Romani, co
mechè per cenquarant’ anni avessero seco loro associate le pro
prie armi, e ciò facevano , siccom’ è detto colà , per non_levar
a nessun polentato e signore la speranza de’ loro ajuli e della
loro società. Ma allora il fatto era ben diverso. 1 sospetti nati
presso iBomani contro di loro nella guerra di Perseo li aveano
154
ridotti alla necessità di stringersi a quelli con vincoli vie più saldi,
ond’ essere da essi protetti e salvare la loro repubblica; che ora
mai que’ sovrani dell’orhe non aveano mestieri delle loro arme
e de’ loro soldati.
(52) Tiberio Gmceo. Confronta i cc. 5 e 6 di questo libro.
(55) Conformi alle risposte. V. al principio del cap. ‘10 lib. xxx
la nota l55. Le risposte amano le ambasmrie di prima avute
dal senato, e le incombenze procedevano dain Acltei.
(54) E queste erano ecc. Fatto sta che costoro condannati
aveva e citati a Roma sotto specie di aver tenuto con Perseo ,
il traditore Callicrate ed i suoi partigiani, non già la nazione de
gli Achei. Il senato pertanto, conforme osserva lo Schweigh., in
fingevasi di creder essere stata quella condanna eseguita per de
creto pubblico degli Achei. Il Beiske ha stravolto il senso di
questo periodo, attribuendo a’ Romani ciò che convenivasi agli
Achei, e viceversa.
(55) Quegli uomini, ch’ erano stati mandati a Roma come se
fossero stati giudicati nelle dovute forme e trovati colpevoli.
(56) Di punire condegnamente ecc. Difficile a rendersi in
volgare mi è sembrato l’ avverbio pinmny'pu; ch’ è quanto, nel
modo che si odiano gli scellerati; ma lmttar i rei, zpifur91s
7.7: i;7iur, in siffatto modo, è cosa che non abbastanza si com
prende. I traduttori latini omisero il arup’wu'lm,e voltarono o,
a dir meglio, parafrasarono questo luogo cosi: Qui odium suum
erga improbos in scelerum auctoribus sin! palamfacturi (i quali
negli autori delle scelleratezze sono per fare palese il lor odio
contro gl’ improbi). Io ho creduto d’ esprimere pwairuu'pu: con
maggiore proprietà traducendolo eondegnamente.
(57) Da qualsivoglia parte sarebbonsi esposti a biasimo.
Ciò parmi che significbino le parole: Ari: 7B a-m'laxe’9si lit
Àîjtxio's’lt, non quidquid statuenent, prodebantur eorum animi,
siccome ha il Casaub., o eonsilia, secondochè scrisse lo Scbweigh.,
il quale pertanto nelle note corresse la propria traduzione sosti
tuendovi: Quidqgid stalucrent, in reprehensionem erantincur
155 fs<,"îf
turi. Io bo creduto che ciò non basti, ma che fosse d’uopo an«
cura di approssimarmi meglio al testo, rendendo iran'lazo'9n nel
modo che il feci.
(58) Sarebbe stata manifesta mina. Temeva il senato non
questo atto d’ ingiustizia provocasse l’ ira della moltitudine contro
Callicrate e quelli della sua Setta, e li facesse capitar male.
(59) Ad occhi chiusi. Stando alla lettura del Casaub. , «op.
plfim'lts, ne risulterebbe assurdo senso; cbè temevau i Romani,
non gli Achei, cioè il loro volgo, abbaccamlosi ubbidissero. Tut
tavia tradusse lo stesso e lo Scbweigh. il copiò,labia compone
rent (frenassero le labbra), che starebbe bene se eu,upuiuv7fl,
supposta dal Casaub. la vera scrittura, ciò significasse; ma il va
lore di questo verbo è stringere gli occhi, e non altrimenti le
labbra, come fa chi veder non vuole un oggetto donde gli deriva
dolore, e ciò era pell’ appunto il caso degli Achei, che a malin
cuore recarsi doveano ad accettare la cruda sentenza del senato,
che vietava il ritorno in patria a tanti uomini benemeriti e cari
a’ loro concittadini. Qui sogna il Beiske non so qual capo aperto
con occhi e labbri chiusi, che osservansi in coloro i quali, af
finché non commuowznsi troppo in veggendo l’ acerbilà delfatto
a cui contro la loro volontà si prestano, ammiccana cain oc
chi e le labbra si mordano , onde non se ne sprigioni la più
piccola voce, e nessun grido che indichi il loro dolore!!!
(60) Non credinm utile ecc. Cosi operando, usciva il senato
d'ogni imbarazzo, per lo che riteneva gl’ individui al suo partito
pericolosi e schivava la taccia d’ ingiusto, ponendosi in grado di
gindicarli, e ad untempo li allontanava dalla patria, dove poteau
ammutinnr i p0poli e compromettere la salvezza degli amici dei
Romani. - Nel testo del Casaub. leggesi così la ri5posta del se
fl3t01"0u tipi! fiz ivwaàu,ufiainplr n;z@ipuv, 'Év'lt 754: up:
7ipu; 3u'pur z. 7. A. (che nè a voi nè a’ vostri p0poli crediam
esser utile), con manifesta assurdità, non eSsendo voi ed i vostri
popoli cose diverse. La vera lezione è cavata dal cod. dell’ Or
sini che reca fip’îv (a noi) in luogo di òyi'v (a voi).
156
(61) Come da disperazione assalili. Il verbo i:ridpapu , da
ima'lpizin, qui usato da Polibio, riscontrasi ancora nel lib. 1x,
c. 10. Leggesi colà: "Ape lai 7n' i>.su u'w73: inn7pixei 73.
22 tiszf iraBaìtiv7uv,cbe noi volgarizzammo: Ed insieme lo
assale pietà di coloro che l’ han dapprincipio perduta (la roba),
dove ho voltato iiu7îv come se fosse scritto n’w7‘n. Ed in fatti
1’ accusativo 7‘wf à’:9pu’nw cb’ è qui retto da inid,cpu mi con
ferma nella mia opinione, ed il sospetto esternato dallo Soltweigh.
nelle note appiè di pagina, che nel passo del lib. I: testi: citato
Èv7€ sia miglior lezione, quasichè quel verbo reggesse il dativo,
è al tutto irragionevole.
(62) I Commani. La più probabil opinione circa questo fatto
è, secondo lo Schweigh., che una delle dieci prefetture della Cap
padocia, cosl denominata da Strabone , Tolemeo e Plinio, fosse
tolta da Tiberio (Semprooîo Gracco) nella sua ambasciata in A
sia a' Galati che ne aveano spogliati i Cappadoci, parte, per quanto
a me sembra, colle armi di questi, parte con qualche stratagemma,
che il legato romano avrà concertato co' medesimi abitanti di
quella prefettura.
(65) I Selgei. Non comprendo come l’ Orsini abbia potuto
prender l’ abbaglio di qualificare scritto male il 20.717; del suo
cod. , e di pretendere che VEA7u’ fosse il nome della città i cui
abitanti sono qui rammentati; mentrecbè da Stefano bizantino si
scorge che il gentilizio di qucsta piccola città della Licia suona
"Ehyur ed’Eìtyai'af, e non terminafaltrimenti in ‘tus, desinenza colla
quale secondo lo stesso geografo denotasi l’ abitante di 2É7t7n ,
grande e popolosa città della Pisidia, di cui altrove ancora parla
Polibio (v, 72, nota oro). Questo brano pertanto sta molto male
appiccato all’ambasceria che segue, per colpa verisimilmente del
l' iuetto compilatore.
(64) Respinsero le colpe. V. la nota 68 al lib. x, c. 14, dove
collo stesso verbo tradussi l’ ano7s7p/ppun; da Èsro7pt'fisu, che
colà pure riscontrasi. Qui il troviam voltato dal Casaub. e dallo
"dl
Scl:\Vcigh. crimiua diluernnl, con frase a dir vero elegantemente
latina, ma meno esprimcnle la forza del greco, al quale ci siamo
studiati di maggiormente avvicinarci.
(65) I sq:petli. I.‘ Orsini, falsamente citando Livio nell’ epi
toine del lib. xl.v|, asserisce cb' Eumene avea cospirato con An
tioco contra il popolo romano. Ma secondo questo storico ebhelo
Soltanto Prusia di ciò accusato.
(66) ano Sulpici0. Di'cognome Gallo, lo stesso del quale
trattasi nell’ estratto seguente. a Fu egli console l’ anno di R. 588. »
Schweigh. Il suo collega d’ambasciata non trovasi che fosse giam
mai console.
(67) Come per giudicare ecc. Altra falsa citazione fa qui l'Or
siui di Livio al lib. xnv, senza indizio di capitolo. Vuol egli che
lo storico romano abbia così voltate le parole di Polibio: Qui
' de finibus cognase:ereul, statuermlque (che prendessero cogni
zione de’ confini, e stabilissero). Queste parole. che non sareb
liouu traduzione di quelle del Nostro relative alla campagna con
troversa tra i Megalopolitani ed i Lacedemoni, al libro indicato
non esistono, e sarebbe stato anacronismo l’ avervele poste rife
rendole a Sulpicio Gallo; dappoichè quanto abbiamo dal succi
lato libro finisce nel consolato di C. Sulpicio, mentrecbè 1’ am
basceria di lui qui descritta avvenne due anni appresso nel 590
di B. . ' ‘
(68) Esaminare minulamcnte. Intorno al sostantivo aroìw
rpuypn-i'nn che veggiamo qui ridotto in verbo cousultisi la notam7 al lib. v. I I
(69) Non si riducesscro. M»’ 74: ìE àv7iv . . . yîny7m. Let
teralmente: affinché da loro non nascesse qualche ecc. Pretende
lo Scltweigh. che la ragione grammaticale richiedeva di porre in
vece del volgato yiu'lm il modo congiuntivo ed il tempo inde
finito. Quanto è al primo, sembrnmi che non manchi; ma il se
condo converrebbe solo se mAwrp.zy,uuicn7u si riferisse a lui
7:: li n'u7iv, laddove esso regge 724 na7às 7‘u Av7ie;;u 1.7. A.
(le faccende di Antioco ccc.). Che se relativo fosse ancora all’ul
roumo, Inm. VII I').
158
lima parte del periodo, preceder dovrebbe a ,41} la congiunzione
ami. Per esaminare gli nffizri ecc.,e che non fossero per na
scere ecc. Sebbene in tal caso converrebbe meglio d‘avere scritto :
x4l rnownonlas, ed invigilassero ecc.
(70) Caio Gallo. Valorosv era costui, avendo nel consolato
soggiogati i Liguri, tante altre volte inutilmente vinti (Liv.,
Epit. lib. un), e godea eziandio fama di specchiata pro
bità , per cui gli Spagnuoli, oppressi dall’ avarizia de' maestrnli
romani, eletto l’ aveano a patrono insieme con M. Catone, P.
Scipione ed Emilio Paolo, principali tra i senatori di quel tem
po_ (Liv. ram, 2). Aggiugnevasi a ciò la sapienza di lui, e so
vrattutto il suo addottrinamento nell’ astronomia che, essendo egli
tribuno militare sotto Emilio Paulo nella guerra macedonica, gli
fece predire all’esercito il giorno innanzi alla battaglia decisiva,
come ad un’ ora determinata della notte susseguente vi sarebb’ee
elisse della luna,la quale puntualmente avvenuta gli procacciò la
più alla stima presso isoldati romani (Liv., xuv,57). E tant’uo
mo mancava di accortezza ne’ politici maneggi non solo, ma e
ziandio nella sorveglianza necessaria a chi governa un esercito ac
campato; a tale che avendogli Emilio, dopo la disfatta e la presa
di Perseo, affidato il comando del campo , innanzi d’ accingersi
ad un viaggio di diporto per le principali città della Grecia, egli
cosi sbadatamente avea custodito il re prigione, che il supremo
duce al suo ritorno ebbe a rimproveramela aspramente (Liv. xzv,
'18). Altri saggi della sua imprudenza diede lo stesso nell’amba
sciate che qui aecennasi, ed in Asia contro il re Eumeue, e nella
Grecia d’ Europa, siccome riferisce Pausania (vn, n) ; che avendo
egli l’ incumbenza di giudicare tra i Lacedemoni e gli Argivi
(anzi Arcadi, quali erano iMegalopolitani nominati da Polibio in
questa disputa), trattolli con superbia e li derìse, lasciando final
mente la decisione all’ arbitrio dello scellerato Callicratc. E se
minò egli zizzania tra le città dell’ Acbea, per modo che parec
chie d’ esse staccarousidalla lega che le stringeva. - Della qual
mostruosa unione di ottimcc di pessime qualità la storia ci oll'rc
159
in uomini celebri parecchi 'csempli mmnorandi. Losi in Giulio
Cesare non sai se più ti convenga ammirare il bellico valore, la
clemenza, la dottrina,o biasimare la smisurato ambizione che lo
indusse a soggiogare la patria, la vita macchiato di libidini , lo
scialacqno delle private e pubbliche fortune, senza risparmiarla a
templi ed a città cbeaperte gli ebbero le porte (Sueton. Jul.,
Caes. 50-54). - Così pronunciò Nrpote d’Alcibiade, che non v'a
vea chi di lui fosse più eccellente ne’vizj e nelle virtù. - E nel
Magno Alessandro non fa minore il coraggio nelle battaglie, e
l’ astinenza e la generosità Verso de’ vinti, che la vanità spinta
nll' eccesso da spacciarsi per un Nume, e la iracondia funesta perfi
no agli' amici.
(7|) Seriulosi a scranna. 'Aarnu9in: è nel testo, che il
Reislte cangiar volle in wp»zc3:'nr,, verbo che meglio dell‘ul
tro si nddice a giudice cl1’ esercita il suo ministero. Non mi va
pertanto n’ Versi la Spiegazione ch’egli fa di l'zun9t’mt,, asse
rendo che iz‘. in tale composizione significhi arcano, n. rurro se.
dendo dieci giorni continui sino alla fine. Questa preposizione è
sovente pleonastica, e tal finta denota l’azione di levarsi da ogni
altra occupazione per attendere di proposito a quella cui la men
te è rivolta, come in nìn,9Ahruv , qf/isare, indizu-9u , ac
cogliere. '
(72) Di mente stravolto, cioè (li poco retto giudizio,nori be
ne presente ti se stesso, quasiforsennato; che tal è il senso di
wgptnqitb; Ti 3nuolp, non già vano ingenio, come fu latina
mente voltato. Erasi quest’ uomo stravagante fatto un trastullo di
quelle accuse, e stimava di fare spiccar il suo ingegno procac
ciando ad Eumene i maggiori travagli, senza recar nulla a fine.
Per quanto a Polibio, siccome a Greco, siffatto contegno riuscis
se doloroso e procedente da furore, non si conosce che i Roma
ni il biasimasscro, forse perché non dispiaceva loro che si aizzas
sero i partiti contrarii, e, da cotal uizzamcuto nascesse la occasio
ne di rovesciare tutto il sistema politico della Grecia d’ Europa e
d' Asia, come infatti non molto appresso avvcnne.
S\
.,;
160
(73) In Siria cc. V. la fine del cap. 4 di qttesto libro. e la
nota 24 a quel luogo relativa.
(75) Elimaide. Provincia della Media icui abitanti, gente bel
licosa, esercitavano, a detta di Strabone (xv, p. 732 ), il ladro
neecm.
(75) Tuba. Secondo Curzio, che solo tra gli antichi ne fa men
zione-(v, 34 ), città dell’estrema Paratacene confinante coll’ Eli
maide, e da lei, conforme riferisce Tolemeo (VI, 4 ) , separata per
via del monte Parcoatra, che Antioco per conseguente varcar do
vette nella sua ritirata.
(76) Caduto in jurore. La stessa cosa narra S. Gerolamo al
cap. xr di Daniele, citando il Nostro e Diodoro; al: come Giusep
PC Flavio (Antiq. Jud., xu, I5) nega egli che Antioco meritas
se la morte per l’attentato da lui commesso contro il tempio di.
Diana in Elimaide , per non avere recato ad effetto il sacri
legio, e che più verisimilmente perisse a cagione dello spoglio @
seguito nel tempio di Gerusalemme. Secondo 1’ anzizletto dottore
della Chiesa mori egli consunto da tristezza per lo smacco sof
ferto. Tuttavia rende Gioseffo (l. e. ) giustizia alla probità di Po
libio, e finisce dicendo, ch’ egli non disputerebbe con chi stimas
se la cagione riferita da lui più vera di quella miracolosa ch’e- ‘
gli adduce. - Non è pertanto da tacersi, come Polibio stesso, mol
to muto nell‘ asserire fatti sovrannaturali, non prestasse inticra fe
de alla causa di cotanto avvenimento, conforme lo dimostrano le
sue parole, a'; i'nu' o"; a della di alcuni. - Giustino (xxxu, i)
confonde in questo fatto Antioco Epifane con Antioco Magno suo
padre, il quale, secondo lui, per bisogno di denari o per avari
zia, sotto il pretesto della necessità di pagare grandi somme a’ Ro
mani che l’aveano vinto, andò allo spoglio del tempio di Giove
Didimeo (l), e fu dalla gente concorso ucciso con tutti i suoi sol
dati. E forte mi meraviglio come ls. _Casaub., lo stesso che pub
blicò Polibio , in commentando questo luogo pieno d’ errori (v.
l’ediz. patav. del Manfrè, 1732 ), si conteutò di cangiar Didimeo
in Elimeo, citando il Nostro. - Al dire d' Appiano (Syriac., 66)
era quel tempio sacro a Venere, ed Antioco Epif. lo spoglio
_ _ À '» w»-W'afiflî-;wî-rwm: ‘w»--
\ l“‘-’.l?
1 MS“ ‘
realmente, e morì consunto. La qual inesatta relazione appello a
quella che abbiamo da Polibio non merita al certo nessuna cre
denza:
' (77) Segni . . . . in disapprovazione. 'Eaiflpaia‘us che qui
ha il Nostro, può prendersi in buona e cattiva significazione, sic
come apparisce da varii luoghi del medesimo. Signa alque ostenta
del Valesio e dello Scbweigh., mi è sembrata una tautologia che
non esprime la mente dell’Autore, la qual io credo d’aver ren
duta con maggior esattezz.
(78) Demetrio figlio di Seleu'co. u Filopatore, nipote d’ An
tioco Magno, fratello d’ Antioco Epifane , colui che poscia oc
cupò il regno di Siria ed ebbe il cognome di En'b‘zp, Salvatore. n
Schweigh. Antioco Magno, facendo pace co’ Romani, avea man
dato suo figlio secondogenito Antioco , poscia Epifane, in ostag
gio a Roma, e Seleuco suo fratello, pervenuto al regno, avea a
questo sostituito il proprio unico figlio Demetrio, del quale qui ra
gionasi. e forse il fece richiesto dagli stessi Romani, che»voleauo
possedere del suo un più sicuro pegno pe' gravi tributi che gli eb»
bero\ imposti. ‘
(79) Più a lui che ai tiin «1’ Antioco. Epifane cb’ era testè
morto. A Demetrio certamente più che a costoro eompetevasi la
successione, siccome a colui ch’ era disceso da Seleuco, il quale
fu primogenito di Antioco Magno. .
(80) Trascorrendo. Le affettuose espressioni che qui Deme
trio indirizzava a Roma ed n’ senatori erano estranee al suo di»
ritto sul trono della Siria, ed in certo modo la parte del suo di
scorso, che oltrepassava quanto gli conveniva di esporre. Ciò sem
brami cb’ esprima propriamente il verbo srpoflpizln in questo
luogo, al qual senso aceostossi il Beiske in dicendo apacdpapìv7.;
esser quanto Ipsarlfo'rlu;, intptpofiiuu trattasi fuori nel dire. Lo
Schweigb. panni che non cogliesse nel segno interpretandolo nelle
note: imprimis urgere, saepe memorare (sovrattutto inculcare,
rammentar sovente), e nel testo ,’ copiando il Casaub. , subinde
repetiisset (spesso ripetesse); che non la ripetizione, ma la vee
162
menu: delle parole con quel verllo si accenna. Vedi la nota 78 al
lib. xxfll, dove l'ov7aizin è applicato a’ fatti, e la nota 55 al
lib. xxvm, dove rendetti lo stesso Verbo per andare grandemente
a'ver1i: frase che riferendosi ad un discorso esprime, come dissi
là, il molo del? oratore verso la moltitudine cui parla.
(8|) In età anr0r infantile, cioè di cinque anni. Impercioc
ch‘e Scleuco mori, per tradimento del suo tesoriere Eliodoro,nel
l’ anno sesto del mo regno , ed Antioco Epilane regnò dodici
anni. Sbagliò dunque il Visconti (Iconogr. grec., t. il, p. 425),
in asserendo, che Demetrio avea dieci anni, esbngliò altresi Ap
piano (I. e. ) facendo regnare Seleoeo dodici anni.
(82) Gneo Ottavio. Che Gneo e non Tiberio, siccome hanno
i codici MSS.,fosse il prenome di questo ambasciadore il confer'
mano i fain che pongono il suo consolato nell’anno 589 di R.,
e da Cicerone ancora (Philipp., xr, '2 ) il raccogliamo, il quale
parlando di questa ambasceria riferisce, ch’ ein vi fu ucciso, e che
il primo della famiglia Ottavia fu console. - il Casaub. si valse
nel suo testo della correzione dell’ Orsini, non altrimenti ch'egli
se ne giovò poco sopra nell’ accettare l’ x’:y.in, che noi tradu
ccmmo florida eld, in vece dell’ épzi‘" recato dal suo codice.
(85) Secondo il volere del senato. Ho ritenuta la lezione del
Casaub. ai: uiu'lai up»pti70, riferendolo n niyqu7n, senato. Ni:
mi muove la riflessione del Beîslre, npprovata dallo Schweiglr.,
che quel sostantivo trovasi troppo distante dal verbo per esser
ne retto, e che perciò abbiasi eleggere i; a'w7.l a'poqu'iy7o , che
Verrebbe: a riferirsi agli ambasciadori, senza che poi si dica cosa
significhi; perciocchè la traduzione della Schweigh. non è diver
sa da quella del Casaub.; E: volantnle senalus. In fatti non è
probabile che il senato mandato avesse gli ambasciadori in Siria,
senza dar loro istruzioni. Il senso pertanto di qupri'v è dire in
nanzi, indicare, per modo che p0teansi voltare anche così le pa
role di questo passo: Conforme avea il senato prima detto, in
dicato. E forse-scrisse Polibio: ai: èu7ai': (707: wpwfliv7m:
wpnpi7. ( in) 7;: ouynÀn'70u) siccome ad essi (agli ambascia
dori) fu indicato ( dal senato).
16É n;
(84) I maggiorenti, i capi che presiedono agli afari, 3| irpi
uu'7u, princlpes aulae secondo i traduttori latini. Lusingavansi
costoro d’ avere maggior influenza sotto un re fanciullo (di soli
nove anni secondo Appiano) ( Siriac. 46), comechè governato da’
Romani, ch’ essi avrebbero favoriti, per conseguirne in guiderdo
ne onori e ricchezze» Da un re vigoroso e dispotico nulla potea
no sperare.
(85) Bruciasse le navi coperte. Quando i Romani conchiu
aero la pace con Antioco Magno, ebbero egualmente cura di
bruciare le navi di questo re stanziate nel porto di Patara ( xxu,
26 in fine ), nella qual occasione Polibio usa come qui il verbo
dmrfiirm, che propriamente significa consumare colfuoco, an
der inlìeramenle. Appiano (I. c.) non distingue le coperte dalle
altre. Tuttavia erano le coperte di maggior importanza, percioc
ché servivano al trasporto delle truppe; quindi tanto interessava
2’Romani la loro distruzione.
(86) Tagliasse i gnrelti agli elefanti. Appiano (l. c.)narra,
che gli elefanti furono tutti ammazzati. l’orso fu data la morte a
quelle belve, poiché si ebbero loro recisi i garetti, onde non fug
gissero.
(87) Ed alle adunanze. Queste aveano nelle provincie conqui
state da’ Romani per iscopo l’ amministrazione della giustizia , e
tenevansi in qualche città opportunamente situata, perché vi con
corressero i deputati delle altre città, che insieme formavano le cosi
dette diocesi (da dufaflfl;, amministrazione), nelle quali divise
erano le stesse provincie. Continuarono siffatti congressi sotto gl' im
peradori, siccome veggiam da Plinio il vecchio che li chiama
conventus.
(88) Oltracciò. È ragionevole la opinione dello Scbwcigh. che
abbiasi a ritenere il cp’u dopo ‘1'8u ili recato del cod. Bav., e
forse anche da quello dell’ Orsini, ma tacitamente da questo can
cellato, non essendo necessario di porre dopo cotal preposizione
il pronome 7.67, per farla significare in aggiunta a ciò, sicco
me lo stesso Schweigh. dimostra, citando tre altri luoghi dove il
tfor solo ha questo senso.
164
. (89) I re d' Alessandria; cioè i fratelli Tolemei, a' quali ri
torna Polibio nel cap. |g di questo libro.
(go) Marco Giugno. 1 Forse M. Giugno Penna che fu con
sole l’anno di R. 587. n Schweigh. Ne’ fasti consolari ed in tutti
gli autori che a questi si ottennero il trovo nominato Penna:
( Panno ).
’ (9|) Ed il re Ariamle. Il testo non ha che fluo-Mai, ma già
il Casaub. vi aggiunse il nome che apparisce da quanto segue.
(92) Di per tè. Nelle traduzioni latine èstato omesso 6.'àv7iv
che io ho voluto conserva:e, non eredendolo superfluo. I Troc«
mi, popolo della Galazia, che secondo Livio (xuvm, 16) erasi
stabilito sulla costa dell’Ellesponto, colle sole sue forze non potea im
possessarsi della parte della Cappadocia, che con esso confinava;
quindi ebbe ricorso a’Bomani che nelle ultime guerr_e dell’ Asia
era stato a’ Calati favorevole(V. sopra c. 6), avvalorando le sue
richieste colle accuse che dava ad Ariarate. Dee pertanto la na
zione gallo-greca qui nominata essersi dopo il suo primo stabili
mento trasportata nell‘ interno. delle contrade che fiancheggian il
Ponto Eussino; altrimenti non avrebbe potuto aver i Cappadoci
per vicini.
(95) Ma essendo subito cc. Un enorme guasto presentano qui
i libri sino al Reiske, il quale con felice ardimento eavò un lo
devole senso dalla scrittura che non ne porgeva alcuno, ed io
l’ho seguito. L' Orsini riceve la lezione non punto intelligibile
gnJay»'rav7a 7h 35m”, ma cangia 851151 in Ava/paia, Doci
mio, città della,,Frigia rammentata da Strabone, Tolemeo e Stefa
no, che i Cappadoci avrebbon allora allorzata per difendersi cim
tro i Galati; ma non avevan essi allora dominio nella Frigia,
nl: quand' anche l‘ avessero avuto, i Trocmi limitrofi erano a que
sta provincia.
(94) Non che amorevolmente cc. Esitai non poco sul modo nel
quale io dovea render italiano il lui 7’ ZAAa che nel testo precede
al @i7luu9pu'mvf. Considerando finalmente che Ariarate, non con
tento di difendere la sua causa presso gli ambasciadori romani,
. ' ,' ’435
f. _3
t65 "
li aveva eziandio con abbondewle cortesia trattati, m'imnîaginai
che, per esprimere la differenza dal più al meno nella condotta
del re verso gli anzidetti, conveuisse di mettere non che innanzi
al più, ch’ è ‘qui l’amorevole conversare, non altrimenti che fu
fatto nel greco. Così leggesi in Senofonte (Cyrop., vn, 4, I ).
Atin'nur Bi, iivdpa. Ilipnv,xai l'iiìdtn. a'wa 29,011, 225 a'nrs'At|unv,
xa‘x mino ili, 'iuznpn riposa. 1llandaAdusio, uomo Persiano,
non che né senza senno, nè imperita di guerra, al tutto affa
bile. Trattavasi di rappattumare le popolazioni della Caria, ve
nute tra di loro alle mani; il perché era l’ail'abilitù del media
tore»la_ qualità più necessaria a tal effetto, nella quale realmente
Adusio primeggiava, non essendo ein pertanto spoglio delle al
tre virlù che, non riuscendo le pratiche di pace, avrebbon do
vuto render efficace la forza. Ma nel luogo testi: citato sta lai
7'3'Mur accanto al meno, e nella lingua italiana ancora può, se
condo le osservazioni del Cinonio (cap. 188, t-8), e all‘ermando
e negando accompagnar il più ed il meno. - Vero èclxe Polibio
adoperò nel senso di non che negativo sul 70 di: (xn, gin fine),
e nell’afl'ermatim piyd‘ 3'74 (mv, 5), ma ciò non impedism che
il modo di dire usato nel presente luogo abbia lo stesso signifi
cato che gli altri due, e vi si potrebbero aggiuguere l’ ha; sir, àuz
lini addotti dalla Crusca, comechè non piacciano al Lamberti
nelle illustrazioni al Cinonio. I traduttori latini ne fecero cac
terum (del resto), più badando alla lettera, secondo la quale suo
nerebbe: E quanto alle altre case, che non allo spirito espri
mente la diversa intensità di due atti ad un oggetto relativi, il
maggiore da’ quali atti o la loro moltiplicilà significàta è dalle
altre cose 7’ÉAAa che in cotesta frase si accennano. Senza che
il cacterum dapprincipio, siccome nel passo di Senofonte surrife«
rito, sarebbe all‘atto assurdo.
(95) La leggierezza di coloro che gli soprastavano. Ho rice
vuta la lezione proposta dal Beiske 'umua'7vfla vanità, leggierez
za, in vece del volgato 5murflq7u, _/izmigliarilà, dimestichezza ,
per le seguenti ragioni: In primo luogo 7:}: àuui.7q'lu 7;; "Poi
166
nella: a'v7îc è quanto; la firmigliafilù de'capi di quello (del
regno): proposizione lroncz, perciocchè non v'è espresso che la
famigliarità di costoro era con Ariaratc (fp‘u l'o7‘or). Pescia non è
vero, conforme sostiene lo Schweigh., che quanto leggasi nel cap.
15 di questo libro dimostri siffatta famigliarità. Aveva il re di
Cappadocia, secondochè colà narrasi, mandata una ambasceria a
Lisia amministratore della Siria, perle ossa della madre e della so
rella, le quali gli furono da lui concedule, nè a tal effetto cm
tl' uopo che fossero amici. Chi: se tali fossero stati , conveniva me
glio nella presente occasione di farli accompagnare da un amba
lciau che non seguire da un esercito.
(96) Ariarale gesto di questo nome, cognominato Filopotorc,
luccedetlc al padre Ariarale V, sovrannomato il Pio. ch’ ebbe un
lungo regno, e salito era sul trono l’ anno di B. 553(V. L. Iv,
c. a, e la nota 26 al lib. xxv ). Livio nell'epitome dellib. xt.w,
così tocca l’ argomento di questo estratto: Essendo Jriarale re
della Cappadocia morto, suo figlio Ariarnte assunse il regno,
c n'nnorù per ambasciadori I’ amicizia col papolo romano.
(97) Del padre. Questi, a dir vero, sposata avendo Antiochide
figlia d’Antioco Magno, fu dal suocero strascinato in un‘ allean
za contro i Romani, che minacciava di riuscirgli funesta; ma in ap
presso avenduoe]oro chiesto perdono per via di ripetute ambasciate,
gli fu accordata la pace mediante l’ esborso di seicento talenti
(un, al ).
(98) Le ossa della sorella e della madre. Per qual avveni
mento ‘queste donne regali morissero nella Siria, anziché presso
il marito ed il fratello, la storia a noi pervenuta non ne fa molto.
Forse le avea mandate Ariarate V testé defunto in Antiochia, cre
dendole colti più sicure che nel proprio regno durantcla guerra
co’Romani, e cessata questa non poté riprenderle, essendo già
morte. Liaia pare che governasse la Siria nella fanciullezza del re.
(gg) Dell' empielà commessa. Della uccisione di Gn. Otta
vio. V. il cap i9 di questo libro.
(non) Respirala ch' ebbero dalla calamità. sq[fisrla. l Rodii e
7 __v i? 7 V W ’Wn'.m »f&“‘MI€.L'ISIÎ-ÀÈQKSÎWΑuJ_ ,
167
rane stati spogliati da’ Romani delle possidenze che aveano nella
terra ferma dell‘ Asia loro vicina; e dell’ isola di Delo, per cui po.
tirano gran danno nelle loro entrate. Riconciliatisi pertanto co’
Romani, ed ottenuta la loro alleanza (V. sopra il cap. 7 ), prese
To animo e domandarono in sostituzione della importante stazio
ne di Catino, il porto di Calinda a quella vicino, e di rincontro
a Rodo situato. Circa la quale città recan notizie Erodoto (vm,
87), Plinio (v. 29 ), Tolemeo (v, 8) che la pone nella Licia,
e Stef. Bizant.
(IO!) Alla trenta cubili, corrispondenti a quindici delle no
stre braccia. Grande tu ne’ Rodii la smania di rizzare statue co
lossali, eziandio, siccome da questo luogo si vede, dopo la caduta
dell’immenso colosso di bronzo dedicato al Iole, alto, secondo
Plinio, settanta cubiti, per cui e per altri danni, sofferti dal tre
muoto che il rovescio, misero a contribuzione i più ricchi stati
della Grecia (v. 88 e 90).
(ma) Essendasi i Calindesi. Da questo avvenimento si co-'
nasce che Cauno era a que’ tempi la città principaleepiù potente
della Caria, che ad altre città ancora di quella provincia esten
deva il suo dominio. Que’di Calinda comprendendo, che a lui].
30 andare, anche cogli aiuti procacciatisi non avrebbon resistito
alle forze de’ Caunii, ebbero per ventura di darsi a’ Bodii loro vi
cini, e che meglio d' ogni altro stato di que’ paraggi poteano pro
teggerli. A
(t05) Poiché i Tolemei ec. Pacificatisi questi fratelliacconciaron
si a far guerra al loro comune nemico Antioco Epifane, che sotto
specie di favorir il maggiore, ma in realtà per impadronirsi del’
I’ Egitto, era entrato nel regno, donde i Romani, ad istanza de’
Tolomei, il fecero uscire (un, 8, n, xxx; n ). Nacque allora
la divisione della quale ragiona qui il Nostro.
(104) Cannlejo e Quinto. Il primo fu probabilmente L. Ca
nulejo Divite, che l' anno antecedente (590 di R.) era stato creato
pietore (Liv., un, 28 ). Quinto potrebbe darsi che fosse Quinto
Opimio, console nel medesimo anno in cui questi fatti avvennero
(Liv., epit. l. xavx: ).
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l'1 \
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168
(105) Come il minore (e. Polibio facendo l’ elogio di Tole
meo maggiore, dove narra la sua morte (u, va), ne fa asape
re che due volte donò al fratello minore, da luivinto in guerra,
e vita e regno, e la seconda volta gli allogò eziandio la propria .
figlia.
(noti) Cirene, tra l’ Egitto e la Sirti maggiore, Circnea giu
sta Strabone (x, p. 475 ). secondo Plinio ( V, 5 l e Tolemeo( w,
4) regione ci provincia Cirenaiea, chiamata ancora Pentapoli,
dalle cinque città, tutte ragguardevali, che conteneva, cioè Bere
nice, Arsinoe, T,olcmaide, Apollonia e Cirene capilale,un di po
tentissima ed emula di Cartagine. Nel deserto che la fiancheggia
a mezzodì, oggi denominato Barca. era la città d’Ammonc, ce
lebre per il tempio e 1’ oracolo di Giove Ammone. A’ nostri gior
ni appartiene quella regione allo stato di Tripoli,e nulla conser
va dell’ antico suo splendore. Greci colonizzati eran isuoi abita
tori, e la sua civiltà non la cedeva a quella de' Greci d' Asia e
d’ Europa.
(107) Efermò ipatli cc. Così Livio nell' epitome del lib. xnvn:
x: « Tra i fratelli Tolèmei che erano in discordia fermossi un
patto, che 1' uno regnarebbe in Egitto, l’altro in Cirene. 1) Per
assicurare la inviolabilità de' patti era costume tra i popoli an
tichi (e ne abbiamo esempli tra i Greci, tra gli Ebrei e tra iCartaginesi (m, in ), di giurare sopra le vittime toccandole(Po
lib., W, 17, nota 73). .
(108) E mutui giummenti. Nel testo leggesi con lunga ampli
ficazione: Kal Aaifiu loin' i’pnaus ampia 7’ì3n<pfi nati dal» a‘rpl
70d700, e prendesse i giuramenti del fratello adesso intorno a
ciò, il qual senso mi è sembrato di esprimer abbastanza con le
tre parole che qui cito. Del resto osserva con ragione lo Schweigh.
che non può tollerarsi la sconcordanzn dell’ infinito iii2erm (ac
cettare) cogli Ottalivi 7tu'fioz e ò‘u'q, e propone di mular il primo nel
l’ottutivo tilfm'lo,0tiveramcnte gli altri negl’infiuiti Mi,8ur 9 Menu.
lo propendo al secondo cangiamcnto, sebbene lo Schweigb. nelle
note preferisca il primo; dappoicbb l’ottntivo ha sempre seco
/ i
1,59’mqualche incertezza, che cader non può in un fatto preciso/coma U
il presente. Tuttavia panni che meglio converrebbe il discorso se
cosi si leggesse: Kui r0aya'w 7,uq9h'hvv,zai Aafiu7u 7.in gpx'aur
w. 7' ad. usi dido'v'las w. 7.; chi: per mi inodo nonfl‘iuscirch
be superfluo il secondo uni; potrebbonsi ancora scrivere Àdfioftllott
e didnpino in conformità di 7pq3irlan.
(mg) AI tutto ineguale. Le parole che recano i codici suo
‘nauo volgarizzate: La divisione fatta al tutto, cui èben chiaro
che qualche cosa debbasi aggiugnere per trarne un senso. la, Or
sini pose dopo pepw,uln (divisione) la particella negativa ai ,
che non basta al certo, seguendo 7|Aiu; . al tutto , affatto. Il
Casaub. adotta l’ aggiunta dell’ Orsini e traduce: divisionem non
piene peractam, enunciando una falsità, perciocchè la partizione
era in realtà perfettamente eseguita. Più si appese al vero lo
Schweigh., congetturando che qualche predicat0nmnehi a pspnrpi: I,
il quale, secondo il Reiske, sarebbe É7onv, assurdo, o is'Àoyar,
irragionevole, 0 _523ion, ingiusto, meglio mi pince iivnnr, ine
guale, che lo stesso SChWeigh. propone.
(no) Con astuto consiglio. Il,aypa7miis, con iscaltnszza
politica, da uomini versati ne’ pubblici affari, conforme in altri
luoghi del Nostro veggiam adoperato questo vocabolo ed i suoi
affini. Lo Scbweigh. con inopportuna circoscrizione il voltò: Cu
piens vere et ad suo: usus ndcomohzte (desiderando realmente
e con convenienza a’ suoi vantaggi). 16 credo che il Casaub., in
traducendolo calo consilio, meglio si approssimasse alla mente di
Polibio, ed a lui mi sono attenuto.
‘ (I I l) Facendo grazia ecc. Ho seguita la molto giudiziosa cor
rezione che lo Sehweigh. qui fece al testo, dopo che avea rice
vuta la traduzione del Casauh.,' donde risulta questo ‘senso: Di
porlamlosi con tanta destrezza\, che sembrano beneficare‘ chi
ha mancato, mcnlrechè per la costoro mancanza accrescnn il
proprio impero, sentenza, a dir vero, da non rigettarsi, ma che
esclude il zii'icv’yuai con desinenze passiva, quando'xupifiu
l 7 O
si trova sempre attivo, e regger come qui l'accusativo (7|): i6tu
èpxiiv). Lo Schweigh., di cib accortosi, bene propose di scrivere
zafi{a'luuu, e lo riferì ad àpnp7o’w'lnf.
(I l'1) Tmscurò il senato gli ambasciadori, cioè, non badò
alla loro dicerie e li rimandò senza risposta, che questo è il senso
di Ispiflf|,l’l, conforme ho già esposto nella nota [40 al lib. xxx,
dove riscontrasi lo stesso verbo.
(tt5) Spaventato a questo annunzio. Temeva egli non la
grave offesa recata al popolo romano coll’ uccisione del suo am
basciadore fosse cagione al reame dell’ultimo eccidio, e che la
Siria si riducesse a provincia, siccome testè lo erano state la Ma
cedonia e 1' llliria.
(114) E gli espose l’incertezza. Et cum ea delibera! (e seco
lui delibera) non panni la giusta versione di noi arpeesvilpspu
dunrapriir, che io mi sono ingegnato di rendere più esattamente
nell’ idioma nostro.
(“5) Non urtusse due volte ecc. La prima conferenza col
senato gli avea fatto conoscere che i Romani amavano meglio di
lasciar il governo della Siria al fanciullo Antioco: una seconda
non potea riuscirgli più felice, probabil essendo che il senato,
meditando di vendicare l’ orribil attentato commesso contro il suo
ambasciadore, si determinasse a non volere più re nella Siria. Ma
l’inesperto Demetrio nutrito aveva, innanzi di parlare con Po
libio , la speranza di procacciarsi la grazia de' Padri, che non
erano stati da lui offesi, e di conseguirne il pati‘io regno, qua
lora deciso avessero di conservarlo. '
(“6) Le presenti circostanze, cioè la confusione in cui al
lora si trovava il regno per il caso d’ Ottavio, e questa gli fu .
poco appresso confermata da Diodoro, cb’era testè giunto dalla
Siria (e. no).
(117) La consigliò. Voggendo costui che il senato riconosceva
per re Antioco fanciullo, e che per conseguenza Demetrio rinun
ziar doveva alla pretesa di salire sul trono col consenso de' l’a
dri, altro st'atngeuuua recò in mezzo affine di prucacciar all’ a
k “ r;5’
mico la libertà, della quale, come prima sarebbe in patria, giu
varsi potrebbe per isbalzar il cugino.
(i 18) Demetrio aveste ad essere statico per lui. Antioco Epi
|
fane, mandato dal padre qual figlio minore in ostaggio a Roma,
era quando mori Seleuco, per la fanciullezza di Demetrio, legit
timo successore del fratello. Ma morto 1’ Epifane , ritornò il di
ritto di regnare a Demetrio fattosi adulto , ed al figlio fanciullo
del re defunto convenivasi di andare statico in luogo di Deme
trio, siccome questi fanciulletto eravi andato in luogo dello zio.
Ma i Romani, volendo per il proprio vantaggio lasciare la corona
al re di tenera età, nè rimanere senz’ aver nelle mani un prin
cipe della casa regnante, non poteano licenziare Demetrio; quindi
falso era il ragionamento di Apollonia.
(“9) Di aiutar ilfanciullo ecc. lo non credo che corrim
4‘uìui'fluv qui significhi semplicemente conservare, siccome sti
marono gl' interpreti latini; che Qv7té77uv avrebbe ciò abbastanza
espresso. Nel libro vn , c. 2 , ha questo verbo senza dubbio il
senso che gli abbiamo qui dato. Trattasi coli: ancora d’un re gio‘
vine al quale i Romani, per ristabilirlo sul trono dc’ suoi mag
giori, prestarono 1’ opera loro.
(120) Mandala fuori la ultima voce. T‘o n.6uun, il canto
del cigno, che gli antichi credevano fosse la espressione della
sua tristezza per la morte che tra poco il dovea cogliere (Plat.,
Phaed., c. 55). Così Demetrio piangeva la disperata sua situazio
ne, poiché gli andò a vuoto il secondo tentativo.-Troviam que
sto proverbio ancora al lib. xxx, c. 4, dove leggasi la nota ‘16..
La scrittura vulgata ’:2miur egregiamente mutò lo Scllweigh. in
ifginu da ìfgrîuv, mandarfuori col canto, che ha pure Pla
tone al luogo citato, rifiutando l’ lEn’zmrai dell’ Orsini, che val
emissione di suono e non di canto, e troppo si allontana dal le
sto vmato.
(12|) Pell’ ammazzamento di Gneo. Qui hanno tutti i MSS.
e le edizioni dell' Orsini e del Casaub. Qo'fiu (paura) in vece di
@a'ru, in che cangiollo il Gronovio, seguito dallo Scbweigh. Il
\
I 7 2
Casaub. pertanto tradusse caedem (uccisione). Tuttavia potrebbe
lasciarsi 4h'fin che ha l'autorità de’ codici, ove gli si facesse pre
cedere èiri» 7d, e ne sarebbe il senso: Per il timore proceduto
dalla {uccisione 'di Gneo. Polibio usa di frequente cotesta frase
per indicare il timore che sovrasta ad alcuno da qualche minac
cia e pericolo (Vedi il, '15, 5|, 59; m, i6; 1:, 22; xxx, 17).
(me) Per comparire di sorpresa ecc. Il testo ha iau@avîvar
7.7: a;uiyparn, letteralmente: Comparire addosso agli njfari.
I traduttori latini cosi circoscrissero questa sentenza: al in ipso
magno reperite hominibus sese ostenderent (che nello stesso re
gno subitamcnte agli uomini si mostrassero). Ma le parole in ipso
regno sono senza bisogno introdotte, e hominibus non equivale
_a fpniyfusni, uè sese estendere a im@mifvm. lo ho voluto nel
volgarizzamento rendere la comparsa subitanea ed il turbamento
degli affari, in mezzo a’ quali essa avrebbe ad accadere.
(I25) Trarrebbono. Il verbo ps7applz7cu qui usato è più del
transferre in che latinamente fu Voltato. Val esso trasportare
gitlamlo, e panni che il trarre nostro, se nel raggiugne, molto
gli si accosta. Vorrei cosi averlo tradotto nel lib.xvu,c. 15; che
bene avrebbe suonato: Se . . . . Aristeno nurn (ilWece di
trasferiti) non avesse gli Achei dall’alleanza di Filippo a quella
de’ Romani. Nel cap. 6 del lib. xxx ho potuto meglio avvicinarmi
all’originale scrivendo: E gitlarono (yt7uppdwir'lar) i loro go
verni nell’allmnza con Perseo.
(194) Né oserebbe il senato ecc. Corrotlo è qui il testo, e
non può aceeltarsi ne la lezione che presenta 1’ Orsini, nè quella
che ha lo Schweigh., il quale se ne peuti nelle note, e ritornò a
quella dell’editore italiano. Eccole di confronto. Testo : ’01; 7°
Apen’o'lt! il: ,3n9q'atn, indi nunrzliuv. Orsini: iiudi consan
d'zllld'lli. Lo Schweigb. vacilla tra la scrittura del testo e quella
dell’ Orsini. A nessuno d’essi pertanto diedero impaccio que'fu
turi , che stanno male cosi aecozzati. Leggasi adunque per mio
consiglio: 06 7°A,un’ruv i"li fia49eiv, àv8‘i wuarwgimy. - Del
resto giustifico l'evento il ragionare di Diodoro; dappoiehè il Se
a
il proclamò re (xxxu, 4, 6).
(125) Se non che partissem. ÀItÀ-Qo’b7dî plurale essendo nel
testo , avea sospettato lo Scbweigh. , che la vera scrittura fosse
àflA9a’v'lu in singolare, riferendolo a Demetrio; ma nelle note
difese la prima scrittura, riflettendo che Demetrio non aveva al
trimenti a partirsi solo, sibbene con Diodoro ed altri compagni.
(126) Menillo. E qui e poco appresso in questo capitolo i
libri hanno Menililla, Mui9thss; ma di sopra al cap. 18 e
più sotto parecchie volte ai c. 9| e ‘22 riscontrasi ne’ MS. Me-'
nillo, MivaAAu; quindi giudico bene lo Schweigh. di accettare
il secondo di questi nomi, ed io l’ho seguito, quantunque sem
brimi che il primo abbia suono più greco. ll Casaub. scrisse in
tutti i citati luoghi M1;{9uAAu.N0o v’avea poi ragione di scri
vere Ìvltrt'1l'fl’or , Menippo , sicc0me piacque al Reiske , il quale
osserva che inuditi erano gli altri nomi tra i Greci; giudizio
temerario in tanta distanza di tempi. i
(127) Per venir a confronto e disputare. Euyna9w9dnu è
propriamente presentarsi per affrontare con armi o con ragioni
un avversario, e 3mequyt'ie9’m significa ragionare su’ proprii
diritti. trattare la propria causa. Quindi ho stimato di rendere
xufari*iimt mal didaiaàsya9tiizi srpi:s 7. rta'7. 117. colle_poche
parole che feci, anzi.hè circoscriverle largamente, siccome fecero
i traduttori latini colle seguenti: U! patrocinium caussae ipsius
agrret apud patres‘, et adversus minarem Plòlemaeum certamen
pro i110 susciperet(affinchè patrocinasse la sua causa presso i pa
dri, e contro Tolemeo minore assumesse per lui la contesa).
(128) Premura ed insistenza. Scorgo una certa gradazione in
questi due atti di chi si mette con ostinazione ad una impresa
nella qualeè necessaria l'assistenza di una persona importante. Al
primo vocabolo sembrami che corrisponda lo enu<lnl del testo.
che reca l’idea di attività e diligenza instancabile, il secondo cre
do rappresentato da Q|ÀI7IPI’G, che consiste negli ufficii e nelle
mutuo, 10m. HM. 13
‘74 .dimostrazioni d' onore, con cui si assedia, quasi che colla sua opera
ed influenza ci può esser giovcvole nella esecuzione del nostro
divisamento. Quam marimo potere: sludio de’ traduttori latini
non rende il complesso di queste fatiche.
(mg) Oggetti sacri. Narra Q. Curzio (w, 8) che. allorquando
Alessandro Magno si accingeva all’espugnazione di Tiro, erano
colà venuti ambasciadori cartaginesi per celebrarvi , secondo il
costume patrio, l' annuo sacrificio. Qui si rammenta una spedì.
zione sacra, ma che recava soltanto primizie, nè si fa molto d'am
basciaclori. Il perché è da credersi che Cartagine all’ età del No
stro non inviasse più siffatto periodico tributo con tanta pompa,
come far soleva ne’ tempi antichi di maggiore prosperità; altri
menti non sarebbesi potuta noleggiare la stessa nave per Deme
trio e per la sua comitiva. Circa gli onori che le colonie rende
vano alle loro Metropoli veggasi la nota 52 al lib. xn.
(150) Le vellovaglie. Tir impq'mz che cosi ho volgarizzato,
seguendo il Casaub. e lo Schweigh., sebbene per avviso de’gram
‘ matici significa i sacri/idi che sifanno nel corso del mese, o
una volta sola al mese nelle Neomenie, ha, se non ve errato,
un senso più esteso, e può eziandio applicarsi alle provvigioni
che di mese in mese si rinnovano , o si forniscono ancora pel
l’ uso di parecchi mesi, siccome per l’ appunto si pratica ne’ viaggi
di mare. Nel cap. 22 di questo libro verso la fine troviamo lo
stesso vocabolo nel senso che qui gli abbiam attribuito. 4
(15!) Colle proprie orecchie e co’proprii occhi. Ho V0lulu
colla maggior possibile precisione rendere i due verbi greci ai7a
..Wfi'i' (ascoltare con orecchie attente), e ma7ax7iuen (esaminare
cogli occhi), che gl’ interpreti latini contentaronsi di compren
dere nella frase poco felice omnes rumusqulos colligerel (racco
gliessene ttttti i piccioli rumori), quando nulla di rumorucci o di
bisbigli nel testo si trova, e mmusculos nucupari, non già col
lich hanno i buoni scrittori. V. Forcellini, Lexic., a questa voce.
(13‘1)Ed essendovi duefratelli. Cosi il Casaub. come lo
Schweigh. credettero che i due qui nominati fossero fratelli (l’A
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175 T
pollonio. Il primo scrisse: Qnod eliam duohus ejus_fratfibus . . .
cdmmunicaverant (la qualcosa comunicata ebbero eziandio a’ fra
telli di lui). L’ altro tradusse: Cui qunm duo essent fruire: (il
quale avendo due fratelli). Ma io ho rendute le precise parole del
testo, dalle quali cotesti tre fratelli non risultano. Ne lo stesso
nome d’Apollonio nel padre di que’ due fratelli e nel giovine al
levato con Demetrio provano che questi fosse figlio dci vecchio.
(153) In grande favore, ovveramenleforluna, ricchezza, p0
' tera, chè tutto ciò significa ivzmp/a; ma favore, trattandosi della
-btmevolenza di un sovrano , è il Complesso di tutti questi van
taggi. Plurimum gratin apud Sekucmn valuit panni che non dico
tanto.
. (134) Convilo. Ecco un banchetto imhandito tra amici con
tutta famigliarità, e senza certa accoglienza ospitale, che il Nostro
denomina ó-nriazl‘y, non altrimenti ch’ egliqualificò tale il lauto
banchetto dato da Antioco Epifane agli ambasciadori d' Alessan
dria; lo che sempre meglio dinioslra, come questo vocabolo non
ha il solo senso generale di rivetto, che taluno vorrebbe attri
buirgli. V. la nota 158 al lib. xxvut.
(155) Anagni. Polibio qui e due volte nel cap.an, secondo i
codici ele edizioni, scrive in plurale il nome di questa città (’Anu
7n'u, Amyn’m;) ragguardevole degli Ernici nel Lazio, a detta
di Strabone (v, p.a38), che la scrive in singolare, ’Am7_u'a. Si
tuata a levante di Roma e da lei distante circa cinquanta miglia,
era essa del tutto opposta ad Ostia presso la foce del Tevere, che
giace da quindici miglia distante dalla Capitale.
(136) Inclinan alla gozzovig/ia. Zu‘uvra7‘loii iv7u , e po
trebbe anche stare npznnnîi da cu.u7ro’nov , conforme hanno
i MS-, e che all‘Orsini piacque di mutare nella lezione che reca
il testo.- La qual viziosu inclinazione tanto crebbe in Demetrio,
poiché divenne re, che in un frammento del lib. xxxm citato da
Ateneo lib. x, e che a suo luogo produrremo, è detto di lui ch’ e
gli era gran bevitore e la maggior parte del giorno ubbriaco.
Donde avvenne ch' egli diede in ogni maniera d' eccessi e, ren
<
0
I 76 ' '
dolosi csoso a’auoi, ed avendo contro di se irritati e provocati
colle armi i re di Cappadocia, di Pergamo e d’ Egitto, fu vinto ed
ucciso dopo dodici anni di regno. V. Polib. in, 5; xxxm, 16;
Justin., xxxv.
(157) Yiglietlo. l MS. hanno m77duov, ch’ è UD pezzetto di
carta in forma di lettera, sulla quale con pochi detti si manifesta
ad alcuno la propria sentenza circa qualche oggetto,e tale deve
aver mandato Polibio a Demetrio, non già un xuaîmu, secondo
che lesse il Reiske, diminutivo di mmfi, favola, che non sareb
besi potuta sigillare, siccome veggiamo che fu fatto.
(158) In suil’ imbrunire del cielo. Il testo ha oveu7nî{.flofi
7»'6 9uîì, oscurand0si il Dio; dove lo Schweîgh. è in forse se
quel Dio interpretar debbasi il sole, siccome l’ appellarono Ero
doto, Eschilo ed Euripide, ovveramente il cielo, secondochè più
piace all’ Ernesti. lo inclino al significato posteriore; dappoichè
nell’annottare del primo non trovasi ne’ testi d’Appiano citati dallo
Schweigh. (Proem., c. 9‘, De bel. civ. Roman. , xv, 85) il Sui
accompagnato con eun»7i{uy, sibbene con fumi.” e uM'uv'lu,
i quali verbi che valgono discendere , andar solló , abbassarsi
ponno esser applicati al tramonlnre del sole; quando l’oscurarsi
non a questo astro, ma al cielo si riferisce nell’ atto del tramonto.
Poliziano nelle stanze (I, 5) cantò del mar di Ponente che nastro
cielo imbrana. .
(t39) Clu'fa ec. Suppone lo SchWeigh. che questa sia una
sentenza di Menaudro o di Euripide, nella qual è da osservarsi
la forza del dpîr da 6,02”, opera con vigore ed assiduità, che
mi duole di non aver saputo adeguatamente rendere nella nostra
favella.
(Ido) La notte egual periglio. Per esser chiaro mi fu d‘uo
po risolvere in due versi l’unico che qui cita Polibio dalle Pixe
nissae d’ Euripide verso 753, attenendomi ‘alla giusta spiegazione
che ne dà lo schweigh. Suona esso così nell’originale:"ln: Qîpu
r‘vfi, 702’; 6‘: 7«Ap5n a-Aiu: Egual cosa reca la notte , più a
‘chi ardiscc. - Questo verso pertanto e notato d’oscurità da tutti
|.
gl’ interpreti. Negli scolii antichi d’ Euripide raccolti dall’ Arcive
scovo Arsenio trovo, che ad i'nv si sottintende 'lptl‘e’tlru, impe
dimento recato nelle notturne imprese di guerra a chi assale ed
a chi è assalito, mentrecbè la vittoria rimane a chi più ardisce.
(l4l) Ardiscì ecc. Bella lezione a chi ha per le mani una
grande impresa, che il più delle volte riesce per la inspirazione
del coraggio e per la instancabilità nell’ operare, e, quand’ anche
non riesca , onora chi vi soccombe. È ignoto 1’ autore di questi
versi.
(142) Sii sobrio ecc. Sopra questa celebre sentenza di Epi
carmo veggansi le note 138 e 159 al lib. xvm.Nel tradurre que
sl\o luogo mi sono più strettamente tenuto al testo che non feci
la prima volta, anche per fare spiccare subito dapprincipio la rac
comandazione della sobrietà, di cui Demetrio avea tanto bisogno.
vAp9pn voltai articoli nel senso di giunture, cui corrisponde il
vOCabol0 greco, ma nella prima versione scrissi nervi, concios
siacbè giunture e nervi esprimono forza nel corpo rimane, quello
nel surreggerlo, questi nell’ impartirin il vigore necessario per
esercitare tutte le sue funzioni; onde nervo talvolta ha il valore
di forza. V. il Dizionario della Crusca a questa voce, 5 5.
(143) Monte Circeo, oggidi promontorio di Circellu. Di que
sto dice Strabone (v, p. ì23|) ch’ era ridotto ad isola dal mare
e dalle paludi, cioè Pontine, attraverso delle quali passava, esten
dendosi da Roma a Capua , la nobilissima via Appia fabbricate
da Appio Claudio il cieco nel censurato, l’anno di R. 442 (Liv.,
lx, 29). Convien credere che a’ tempidi Polibio coteste pludi
non fossero inaccessibili, prescindendo anche dalla strada che,vi
menava; ma quando scrisse l' anzidetto geografo sembra che fos
sero al tutto inondate, e fu in quell' età appunto che Augusto
trovossi nella necessità di farle asciugare, affine di provvedere alla
salubrità dell’aria di Roma.
(t54) Il cinghiale. Qui hanno i M5. Tu iiti (il figlio), vi
ziosissima scrittura che l’ Orsini cangiò in 73 np‘n, in addietro,
anlea Casaub.: superflua aggiunta, esclusa dall‘t niSu che pre’
,
’!
l
[i
178
cede. Il Reiske vi scorge, non so‘ come , le tracce di M7.“ 751
pi)... , cogli amici. Più ragionevolmente propose lo Schweigh.
_ di leggere 7‘" iii, osservando che icinghiali abbondano nelle pa
ludi. Fatto sta pertanto che queste fiere secondo Senofonte ( Dc
venat., p. 782, edit. Leunclav.) stannosi quasi sempre accovac
ciate ne’ luoghi selvosi, perciocchè più caldi sono nel_verno, più
freschi nella state. Visitan esse tuttavia le paludi ancora, segna«
tamente nella stagione calda per rinfrescarsi (Nouv. Diction. d'hist.
natur., t. xx, art. Sfinglicr). Quindi è molto probabile che i bo
schi del Circeo attorniati Balle paludi Pontine in buon dato ne
albergassero. Ma conveniva che il testo recasse 7‘u iiv iiypm (il
porco salvatico), come, per distinguerlo dal domestico, il nomi- .
na Senofonte (l. e.), e forse nasconde in‘n gli avanzi di iiypu.
(145) Nicanore. Questi dev’ essere stato il suo amico più ti
dato _. e forse colui che gli era stato compagno sino dal tempo
in cui fanciulletto dalla Siria andò in ostaggio. È da sorprendersi
che Polibio non ci faccia conoscere nessun particolare intorno a
quest’ uomo per Demetrio assai importante.
(“(6) Come gli erano venute nuove. Al verbo zperur'iaaivm
il Gronovio aggiunse 7. per cagione del di) che segue. Ma ri
flette bene lo Schwcigh. nelle note appiè di pagina che quel 7:
può omettersi , ove 31574 leggasi in luogo di 31‘a , conforme ne
abbiam un esempio nel lib. n, 53. Allora così dovrebhonsi recare
in volgare le parole del testo: Come gli era stato annunziato dal
re ch’ egli dovea ecc.
(147) I giovani più fidati tra quelli del suo seguito. I codici
recano erwmda7é'lous(i più mal fidati), il contrario di ciò che
avea ad essere; quindi lo Schweigh. sospetta che debbasi leggere
660 70:“ mfia'laî'luifi i due più fidati; ma questo ancora non
può accollarsi, e perché erano più di due coloro che s’ imbar
carono, e perchè poco montava a’ marinai quanti fossero. Vale
meglio, secondo me, la correzione dell' Orsini in iuman'z'law. E
non è vero quanto osserva il Beiske che iwnna: eùóennu non
--__sînfiififiìrîifii - '-Î
179 53
si dice, ma solo tino; ed n’imms; il perché egli lesse mars7i'lwr.
(|48) Il finleilo. Tolemeo minore ch’ era a Roma, siccome
vedernmo, per accusare suo fratello maggiore.
(149) Inlorno alla mezza notte. È Da notarsi 1’ accusativo
plurale piva; n’n.'iu con cui Polibio e qui ed in parecchi-altri
luoghi significa la mezza notte. ’13.: paia, vuz75: (nel mezzo delle
notti) trovasi in Senofonte (Cyrop., v, in, 59). Ulpi pian: nm'l‘af,
in singolare, che ha il cod. Bav., sembra quindi sbagliato, anche
per il genitivo dopo m": applicato al tempo.
(150) In sulfinire della terza vigilia, cioè tre ore innanzi
giorno, quattro essendo le notturne vigilie militari de’ Romani,
ciascheduna di tre ore, più o meno brevi secondo la lunghezza
delle notti
(151) Appena fattosi giorno. Vuole il Reiske che a 6,446.
l'xov7a; si sottintende 746 .9u'6 , che nel cap. antecedente è ag
giunto a euexoié{u7or; ma io non veggo siffatto bisogno, po.
tendo quel verbo stare anche solo in senso neutro, non altri
menti che l'illucere de’ Latini. Ubi illuz‘il, scrisse Livio, R0
manns praduclus in ariem (come si fece giorno, il Romano uscito
in ischicra).
(152) Corse su! Circeo. Avanti queste parole è nel testo simu
'lZ| iwi 'Î'u a’n/T'n 7a'arn , andandoin incontro verso lo stesso
luogo , proposito affatto superfluo che imbarazza il discorso , e
che sembra quasi ripetuto da quanto leggasi poco sopra: gli si
ferrero incontro alla volta dello stesso luogo. Parve esso già so
spetto al Beilte che cosi lo modificò. .Mî‘udfilybftilif iwr‘a 74'6
721 i: 7ais Amyn/au aiwm7ar'v'luv ’ewi 7‘av av7‘n 7dwar,fla
gel/alo da alcuno di càloro che al luogo concertato in Anagni
erausi lmvnli. lo ho creduto far meglio ornettcndolo affatto. -
Avea questo ragazzo prevenuti gli altri, ed era avanti di loro
giunto sul Circeo.
(153) Ed essendosi cenato. l commentatori sono alquanto
imbarazzati nel calcolo delle giornate che il senato assegna al
l' assenza ed al viaggio di Demetrio sin allo stretto di Sicilia.'Nega
\
4‘!“
180
lo Schweigh. che costui, partito essendo da Roma cinque giorni
innanzi, potesse nel sesto essere pervenuto‘ allo stretto ed averlo
già passato. Ma poco appresso leggesi cb’ egli aveva il vento fa
vorevole, col quale navigando sole cinque miglia all’ora potea
varcar uno spazio di ben seicento miglia, cioè il doppio almeno
di quella distanza; und’ è ben facile che nel quinto giorno ap
punto si trovasse già innoltrato nel mare Ionio al di là dello stret
to. Il perché io stimai giusta la lezione del cod. Bav. ix.'l‘as 7aii
no'p9pau (fuori dello stretto) e la ritenni. ’Eu7uiu che ha l’Or
sini c da lui il Casaub. ho per arbitrario non meno che assur
do, dappoichè quando deliberava il senato e calcolavasi duv’ es
ser potea Demetrio era non il sesto, sibbene il quinto giorno
dalla sua fuga, Il Beiske pertanto non andò lungi dal vero, sup
ponendo che Polibio scritto avesse: "Htli; wipsr 7a'i ara’p9pou ,
già di là dallo stretto; chè ìr‘i è dovuto all’ Orsini, nel cui
cod. non si trova , ed 'uri col genitivo lai wop9piiv non è ab.
bastanza greco.
(l5i) Onde prevedermo. A volgarizzare letteralmente il testo
conveniva scrivere: E perché supponevano ec. (iifu; p‘u ufl’a
Aupfiénv7u), il qual modo (1’ esprimersi significherebbe che il
supporre d’aver fatta molta strada navigando ed il prevedere di
non raggiungerlo fossero due cose al tutto diverse, quando la
seconda era piuttosto conseguenza della prima , lo che mi sono
ingegnato di rendere colla congiunzione onde. "Forse fu questa
negligenza di stile , del quale difetto il Nostro non può al tutto
scolparsi. .
(155) E quindi. Non panni che fosse da tentarsi l’ i'vSu in
che l' Orsini muti; l’ i';9u del suo codice, dallo Schweigb. can
giato in ii9u,ma conservato nelle edizioni alla sua anteriori. Do
veano gli ambasciadori, dice Polibio, esaminare prima gli affari
da’ Greci d’ Europa, e quindi i'|Ss-, passar in Asia, dove tre in
' cumbenze gli aspettavano, indicata ciascheduna dal rispettivo ver
ho in futuro (naprzóonrirjn, Efis‘laiesn, dreaxpnietu). Solo conve
' 181 l
niva a maggiore chiarezza aggiungervi un sai, siccome feci nel
volgarizzamento.
(156) Nominaron adunque Tiberio. Qui mi sono allontanato
dal testo , a ciò indotto dal ragionamento dello Scbweigh. , che
non posso a meno di qui addurre per intiero: a Nominaroit adun
que Tiberio. E perché Tiberio? E qual è la causa a cui si rife
risce quel 64‘n adunque 5‘ Non ne apparisce nessuna. Crediamo
che Polibio avesse aggiunta coteste causa, ma chml' epitomatore
la negligesse, o la oscurassero i copiatori; cioè che Tib. Gracco
fosse già prima stato eletto ambasciadore per visitare le contrade
di ciii trattasi (V. il cap. 5). E lo stesso verbo 7s7avimt nel
preterito perfetto sembra indicar abbastanza, che Polibio avea già
espressa la stessa sentenza; perciombè altrimenti doveva esservi
yiva9m ovveramente 7nir-9m. Ma lo stesso verbo wyniuu ci
fa sospettare che l’Autore in tal modo scritto avesse: At‘0 72| Ti
,Biptov ana7ln‘flinu70 wpw,5w7in due 7‘. xu7‘c 7i|r arpu7ipav ;d»
arprfitmv mir'iuv aiu'ln'ir7qv 757uimt.» Le quali parole ho fe
delmente trasportate nella mia versione. '
(157 Demetrio aspettando. Da Zonara (1x, 25) sappiamo,
che Demetrio non passò subito in Asia , ma che fermossi nella
Licia , donde spedì le prime lettere al senato. È dunque proba
bile cbe coli1 egli aspettnsse un messo con nuove della patria ,
dov’ egli avea già mandato innanzi Diodoro per informarsi dello
stato delle cose e per investigare 1' animo del popolo. ‘
(158) Catone cc. Nel lib. xxxu, c. 11 Polibio ritorna su que
sto argomento, ed attribuisce la causa di cotale lussuria a’ tesori
recati a Roma dopo l’estermiuio del regno Macedonico. Diede
essa motivo alle legge Fannia suntuaria promulgata l'anno di R.
595, essendo consoli M. Fannio Strabone e C. Valerio Messala,
secondochè Macrobio (Saturn., 111, 17) riferisce da Sereno Samo
rico ed A. Gellio (u, 24) , per la qual legge le spese ne’ giorni
festivi sono limitate 11 cento e venti essi, e negli altri giorni da
dieci a trenta. In ragione di due soldi veneti per asse, giusta la
stima che ne fa il Forcellini, sarebbe siffatta spesa al corto molto
M»1;"
|82
frugale, ove applicarla si dovesse alle singole famiglie , ed atte‘
sterehbe quanto fosse a que’ tempi in Roma la modicità de' mezzi
pecuniarj.
(159) L’ orcio di salame pan/ira. orcio un vaso di terra
cotta, nel quale vidi in Toscana tenersi l’ olio. Ho preferita que
sta denominazione a quella di qualsivoglia altro vaso che serve
all' uso di riporvi e conservarvi siffatti generi, per la materia di
cui quel recipiente e formato, e ch’ esprime il vocabolo ztpcipuol.
- Le cose salate (7épzu) del Ponto sono rammentate dal No
stro nel lib. H, C. 58, dov’egli parla de’ prodotti che quelle con
trarle forniscono agli stranieri.
(i60) Tolemeo minore. Vedi sopra il cap. 18 , dm" è detto
che il senato elesse ambasciadori T. Torquato e Gn. Merula per
accompagnare quel re in Grecia e consegnarin Cipro.
(16|) Facio. Piccola città della Tessaglia rammentata da Tu
cidide (lv, p. 505, ediz. Port.)Ì da Livio (xxxvr, 15) e da Stef
Bizaut: l.’ Orsini vorrebbe sostituirvi n’gp, parte interna del tem
pio , rendendo oscuro un passo che di per se è chiaro. Imper
ciotichè formando la Tessaglia parte del regno di Macedonia, non
è assurdo che Damasippo fosso dal Nostro qualificato macedone,
e Facio posto ne a Macedonia. Lo Schweigb. seguendo il Ca.
aaub. tradusse: Phaci (quod Macedoniae est oppidum).
(l62) Nella Perea de’ Rodii, cioè nel continente che questi
possedevano dirimpetto alla loro isola , ma che dopo la guerra
fu loro tolto da’ Romani, che dichiararono liberi i Licii ed i Carii.
(V. la nota 15 al lib. xvn; lib. xxx, e. 5, e xxxn, 7).
(t65) Egli era marciulo innanzi. l MS. hanno xpaayay:ir
7:: che l’ Orsini bene mutò in zporayayóv7u. singolare, riferen
dolo come si deve a Tolemeo , e così scrissero gli editori dopo
di lui. Mi mamviglio pertanto che lo Schweigh. abbia conservato
il plurale de’ codiéi. Meglio s’appose lo stesso a oangiare in a-pay.
il volgato rpauy; dappoichè camminando dalla Licia alla volta
della Panfilia, Tolemeo andava innanzi e si avvicinava a Cipro.
(164) Side. Città marittima della Paulilia , di ricontro alla
f * ‘ > 183
punta nord-ovest di Cipro, dove Tolemeo sbarcato sarebbe/dopo
un breve tragitto. ’
(l65) in. Borgo dell’ Egitto secondo Strabone (xvu, p. 799),
nllfl sua estremità occidentale verso la Cirenaica.Tolemeo (w,5)
lo pone trai luoghi marittimi che sono nella prefettura della Li
bia, dove si vede che Polibio ancora lo colloca. E forse era que
sta prefettura chiamata Libina, come danno i M5. e le edizioni;
nè dovea lo Scbweigb. di suo arbitrio farne Libia, senz' apporvi
la qualificazione di prefettura.
, (l66) Torquato. Qui ho cancellato, siccome fece lo Scliweiglp,
le parole tal 7‘or Tflu. bonariamenle interpretate dal Casaub.,
Torqualus interim et Tilut, quasichè oltre a Torquato vi fosse
un altro Tito; nè tenni, ad imitazione dello stesso commentato'
re, alcun conto della correzione del Beiske 7‘n uni Tfln, il quale
chiamasi da noi ancora Tito, comecbè frase di buon conio, quando
Con essa vuolsi indicare una persona che per due nomi si cono
sce, non essendo questo costume di Polibio. Elyxorol'flî i; la“:
2amu'vAn io lessi già in un sarcofago di sicomoro de’ tempi d’An
tonino Pio , tratto da una delle minori piramidi sepolcrali del
1’ Egitto.
(I67) Alcune cose prometteva ec.La versione che fa lo S‘chweigln
di questo luogo non mi sembrò abbastanza esalta, ed ho preferito
quella del Casaub. Il primo scrisse: manu rou.msnrs, una:
audire nolente, il secondo qunedam, che ripetuto esprime pro
prio il rlL p‘n . . . 72: (li, quando parlim potrebbe riferirsi alle
stesse cose, che Tolemeo parte avesse promesse , parte non vo
lute ascoltare; lo che sarebbe assurdo. Notisi ancora che [afg
xuiuv non equivale altrimenti a non ascoltare, sibbene ad ascol
tare con negligenza, poco badando a ciò che viene detto (V. la
nota 14| al lib. xxx.E così la intese il Casaub., voltandolo ne
gligenler andiente.
(x68) Nulla gli faceva sapere. Lo Schweigb. per conservare
il volgato 5mra@nimr9m propone di aggiugnere al ‘ua3‘n del testo
p;6îrn, per modo che avrebbe detto il Nostro: Perché nessuno
\
__
184
\\
alcuna cosa gli avea riferita. Ma in tal ipotesi conveniva scri
vere nell' attivo dmm@q’mt, oppure 3mra@qu'mn Meglio , per
quanto io stimo, ssrebbe di conservare il Semplice pqtl‘h col pas
sivo 5mm@qSimt. Il secondo futuro passivo 3mra@q’flr9fl, che
alla scrittura volgata si avvicina, qui certamente non conviene.
(169) Torquato s’ìnducesse a venire. Questi lusingavasi To
lemeo che gli riferirebbe le determinazioni del fratello. Non so
pertanto a che cosa pensasse il Casaub., quando così tradusse que
sto luogo : Tnnquam per hunc et Torquntum quod cupielmt esse
r_‘[ficlttrum (quasichè per mezzo di costui e di Torquato egli fosse
per conseguire ciò che desiderava). Ne punto 5’ accostò al vero
il Reiske affermando la necessità di dare qui al verbo 'sm7/ucfim
il senso di approssimnrsi al partito d’ alcuno. Riesce tuttavia
duro il xa.i 7&v flf‘i 7. T., non altrimenti che Se con Torquato
qualcbedun altro dovesse venire.
(170) Ma cun/ormatosi quegli cc. Per ben comprendere le
prime parole di questo periodo convien riflettere a quanto è con
tenuto nel seguente, dal quale scorgesi che Tolemeo maggiore avea
con abbondare di cortesia tratti dalla sua gli ambasciadori romani.
Quindi è da riferirsi 706700 a Merula , sopraggiunte dopo Tor
quato e gli altri ch’ erano seco, e l’ ho indicato con quegli a scanso
di equivoco che potrebbe far nascere il pronome usato dal No
stro. Non trovo pertanto necessario di aggiugner a 73m xpo'7|pu
un participio che denoti la venuta e la Spedizione de’ primi am
basciadori in Alessandria, siccome lo Scbwcigh. amerebbe che
si faccia. Anche nel volgarizzamento sarebbe bastato di colora di
prima.
(17|) Con ogni genere di compiacenza. Il Reiske seguito dallo
SchWeigb. corresse il volgato nap.zynapnar e ne fece #81 7210;
Il re certamente non avea bisogno di giugnere siccome gli am
basciadori, nè altro senso può darsi a quel verbo. Advcnerat enim
major fralrum, tradusse assurdamente il Casanb. Tacio del mal
suono che renderebbero que’ due part‘icipii loro vicini; il quale
si canserebbe, a dir vero, leggendo, Conforme propone lo stesso"
Rciskc, wapfiîrfiupinus. ‘
18g16?
(172) Le citlà. Le altre quattro che con Cirene l'orinavano
la Pentapoli, cioè Berenice, Arsinoe, Tolemaide, Apollonia. V.’
la nota |06 di questo libro.
(i75) Partecipando. Male tradussero il Casaub. e lo Schweigh.
unumxlmr, conscium fuisse (fosse consapevole). numvii'r da
xnÎros, comune, vale comunicare, prender parte a qualche cosa,
ed è più assai d’ esser conscio.
(l74) Tolemeo Simpetèsi. ll secondo di questi nomi èdi co
nio egizio , alla qual nazione veggiam tosto che costui apparte
neva (V. la nota 159 al lib. ‘v ). I commentatori, ciò non con
siderando, ne dissero e ne fecero di belle. L’ Orsini propose di
caogiarlo in wparn'rm , compotalorem (compagno nel bere). Il
Casaub. lasciò il nome intatto, e vi premise un asterisco, ma nella
versione pose soltanto Plolemaeum con cinque punti appresso.
Lo Schweigh. pretese di grecizzarlo, dubitaodo che finisse in g’rmv
e non altrimenti in "’741.
(175) Allorquando egli navigò a Roma. Vedi il cap. 18 in
tal principio e la nota 105 corrispondente.
(176) Il gmude Catnbntmo. Questa città marittima era , se
condo Strabonc (xvn, p. 798), l’ ultima dell’ Egitto. e dopo d’essa
cominciava la Cirenaica. Tolemeo la pone in distanza di due gradi
circa da Api. Suona cotesto nome discesa , calala, che deriva
forse dalle erte strette che varcare si_dovea per passare da un
paese all' altro. Strabone non le aggiugne il qualificativo di grande,
che parrebbe accennare ad una picciolu, ma che uno si trova ne’
geografi, fuorché in Tolemeo. ‘
(177) I Libii. S' intende sempre degli abitanti della prefettura
libica che comodamente possono chiamarsi Libini, conforme hanno
i M5. e le edizioni, tranne quella dello Schweîgh., il quale con
foude qui i Marmaridi co’ Libini, di cui Tolemeo fa due distinte
prefetture, dando agli ultimi per confine la Cirenaica, non già
11’ primi. Strabone (l. c.) dice che Marmaridi sono i barbari che
abitati intorno alla Cirenaica, ma non li chiama Libii.
(178) E‘di comparire da tergo a’ nemici. Felicissinm corre
186
zione fece qui lo Schweigh. al testo, che reca queste parole senza
senso: nel ea7molir 705 Li} roAtpr'otr le:@airsr9m. Il Ca
saub. tuttavia conservolle traducendo: Darenlque rurnm ti! ho
sles neo opinanles ex improviso invaderth (e s’ ingegnasse d’at
taccare i nemici, che non se lo aspettavano, improvvisamente). Al- ‘
l’ Orsini non piacque la scrittura volgato, ma egli non la cor
resse. Il Reislte suggerì an7arslîr 906 7. r. lt., ovveramente
zn7lr. 7o'nv 1raiî 7. ar. lr. , divisar un luogo donde compa
rir a’ nemici. Ma lo Schweigh. lesse xa7iz ru'lor7. r. lm@., frase
in varii altri luoghi usata dal Nostro per esprimere la posizione
presa al dorso del nctnlc0, e che bene opponesi al difronte (1473;
o'7ti}:_s) che tosto segue.
(17g) Avvimtdosi alla salita. La discesa dunque, donde Ca
tabatmo trasse il nome, conduceva da' confini Cirenaici in questa
città (V. sopra la nota [76).
(180) Del forte con quattro torri. Cosi tradussi Ti7prurupyr’a,
che non parmi essere stata Una città, alla quale andrebbe an
nessa la solita znàwy.lny (chiamata), sibbene un grande serba
toio fortificato cl’ acqua potabile, molto pt‘ezioso in una contra
da dove, a detta di Strabone (l.c.),difettavasi di questo così ne
cessario liquore. La Tt7pakup7ia, ovvero Ts7pamipyru (plurale
neutro) dell’anzidetto Geografo sembra diversa da quella'che ab
biamo per mano, non essendo situata sotto il monte duv' erano
le strette, sibbene dopo Phycus, tra cui e Calabatmo compari
scono diverse città. v
(18|) Avendolo pure raggiunlo. Hapu.rrhsfr che qui riscon
[rosi è propriamente navigar appresso, alfinuco, lo che non è
improbabile che facessero le navi di Mochiriuo nell'atto che Tu
lemeo, non lungi dalla costa. vareava il deserto. Ma chi era co
testo Moebirino in addietro non punto nominato? Sarebb' ein stato
mandato per mare da Tolemeo minore con parte delle sue forze,
onde scetnare all’ esercito i disagi della marcia per una contrada
deserta? A me sembra questa congettura la più probabile, ma ,
ore la si aduttnsse, non cunVcrrebbe n": il volgato lari Mszupi
vov , che indicherebbe luogo anziché persona, siccome la intese
il Casaub., nè 7&v flpl Moxuplv", secondocbè piacque al Reiske
. ed allo Schweigb., dappoichè in questa supposizione non si trat
terebbe, giusta l’uso della lingua greca, che di Mocbirino e del
suo seguito. lo propongo adunqua di scrivere vin , ovvero im‘a,
Mnxzp/Iy, con, o sotto Mochirino, oppure ,m'lls Muzlf/IOII, con
ll'locbirino.Potrebb’ eziandio darsi che s’ avesse a leggere 117;ràw
n'u7m, approdando, giugnendo per mare a lui; chi: «rapa-Mu
nîv7m in siffatto senso non può riceversi. lo tale perplessità io
ho volgarizzato questo luogo per modo che ne emergcsse un si“
gnificato coerente alla circostanza, in cui quel re allora trovavasi.
- Quanto è alla città supposta di Mochirino, che lo Scbweigb.
trova nella Cappadocia , citando Tolemeo , invano la si cerche
rebbe presso questo Geografo; sibbene pone ein in quel regno
una Telrapirgia molto dentro terra nella prefettura de’ Daucreti.
.(|82) Da ciò ch' ein ebbe fallo in Alessandria. Era costui
uno de’ più orribili mostri che occupato avessero un trono, e vi
corrispondeva la sua figura, il brutto celfo, la statura picciola,
il ventre smodatamente grosso, per il quale Fiscone (ventraccio)
fu sovrannomato. I suoi laidi costumi e le crudeltà da lui com
messe descritte sono da Diod. Sic. (Excerpt. de virt. et vit., edit.
Wesseling. (t. n,p. 597), e da Giustino (cap. 58, p- 559 e seg.).
La uocisione più atroce ond’egli si è bruttato è quella del pro
prio figlio, ch’ egli ebbe da Cleopatra sua moglie ed insieme so
rella (Vedi Valer. Massimo, lib. 1x, extr. cap. n, 5). Giovine bello
e d’ ottime speranze era questo infelice, e perciocchè Fiscone so
spettava averla moglie suscitato il popolo a rovesciare le sue sta
tue ed a distruggere le sue immagini, il fece alla sua presenza tru
cidare, e mandò il capo, le mani ed i piedi troncati dal corpo
e copertild’ un pannolino in una cesta per regalo alla misera mi:
dre nel suo giorno natalizio. .
'(185) Camuno. Nel lib.xxvm, |6 riscontriamo uno di questo
nome che sedeva a consiglio col re Tolemeo minore, allorquan
do Antioco Epifane occupato avea l’ Egitto, tranne la capitale.
r.t.'\
N.
188
(184) Tolemeo maggiore licenziò cc Al Reiske è dovuta la
vera lezione di questo luogo che storpî; r rea parte la viziosa
scrittura del testo, parte 1’ arbitrio dell’ Orsini, affine di adattare
alla sua supposizione, ciò che ne’ MS. rimaneva di sano. Ne ri
sultò a'sziAumv in vece del non ishagliato iniAw-s che recavau
i codici, ed in fpta,3|u7al copeuo'puu , gli ambasciadori che
via'gginvano, cioè Tib. Gracco, L. Lentulo e Servilio Glaucia ,
mandati, secondochè leggesi nel c. ‘25, in Siria.i quali si pretese
che passassero per Alessandria e licenziasscro Torquato e gli arn
basciadori che seco lui erano; quasichè avessero avuta l'autorità
di mandare a casa i loro colleghi. Ma fatto sta che aìxi7tws molto
bene 5’ accorda con 5 8'Pid'fitl7lfoà‘ fl7oìtlpxîn', ed amendue que
ste lezioni danno un senso ragionevole. Le edizioni a’nteriori al
Reiske si attennero all’ Orsini, e lo Schweigh. necettò la emer
dazione del commentatore alemanno.
FINE DELLE ANNOTAZIONI
ÀGLI AVANZI DEL LIBRO TRIGESIMO PRIMO.
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4537
DELLE STORIE
DI vommo DA MEGALOPOLI
ÙI’
AVAN Z1
DEL LIBRO TRENTESIMOSECONDO.
l. Venne intorno a que’ tempi da parte di Tolemeo 4- di R.
minore per ambasciadore (I) Comano , e dal maggiore
similmente (a) Menillo d’ Alabauda. I quali poiché en
trarono nel senato, ed ebbero fatte molte parole , e svil
laneggiatisi reciprocamente, sostenendo (3) Tito Torqua
to eGneo Merula colla loro testimonianza molto ardente
mentela causa del minore, piacque al senato di (5) far
uscire Menillo da Roma entro cinque giorni, di toglie
re l’alleanza con Tolemeo maggiore, e di mandare am
basciadori al minore per significargli ciò che avea decreta
to. Nominaron adunque Publio (6) Apustio e Caio Lem
tulo , i quali partitisi incontauente per Cirene annunzia
rou(7) a Tolemeo con ogni diligenza le prese risoluzio
ni. Questi rinfrancatosi, assoldò subito gente, ed era
con tutto l’animo rivolto all’ impresa di Cipro. Così era
no le cose in Italia. '
ror.mo, tam. ma. 14
Olimp.
cuv,tu
Amb. I I7
190
A. di R.
593
Amb. "8
Il. In Africa, (8) Masinissa veggendo la moltitudine
delle città fabbricate intorno alla (9) Sirte minore, e la
bellezza della contrada che chiamano EmPorii , e da
lungo tempo adocchiando con avidità i ricchi proventi
di que’luoghi, si aceinse a (lo) stuzzicarei Cartaginesi,
non molto prima de’ tempi testé mantovati. Dalla cam
pagna presto si fece signore , possedendo egli i siti a
perti: ché iCartaginesi erano sempre poco atti alla
guerra terrestre, ed allora al tutto effcminati per (I I) c‘a
gioue della lunga pace. Ma delle città non poté impadro
nirsi, perciocchè i Cartaginesi con ogni cura le custodi
vano. Avendo amendue rimesse al senato le loro con
tese, ed essendo a questo effetto venuti sovente amba
sciadori da entrambi; i Cartaginesi erano sempre al di
sotto presso i Romani, (12) non per giustizia, ma per
ché i giudici credevano che siffatta sentenza fosse ad essi
utile. Imperciocchè (13) avea non molto tempo addietro
lo stesso Masinissa, inseguendo con un esercito il ri
_ belle (14) Aftirato, chiesto a’ Cartaginesi il passaggio
Amb. I |9
pelle medesima campagna , ed i Cartaginesi glielo ne
garpno, (15) siccome per quella che a lui non appar
teneva. Tuttavia alla fine i Cart-aginesi a tale si ridussero
per le risposte de’ Romani , per cagione delle qui ri
ferite circostanze, che non solo perdettero le città e la
campagna, ma vi aggiunsero ancora cinquecento talen
ti, sotto titolo del frutto di que’ luoghi (16) dal tempo
che incominciò la contesa.
III. Per ciò che risguarda 1’ Asia, Prusia spedì a
Roma ambasciadori insieme co’ Galati , per recare la
10."
19|
gnanze contro Eumene; (17) e questi Vv‘icendevolmente
il fratello Attalo, per difendersi dalle accuse. Ariarata
spedito avendo a Roma una corona di diecimila mone
te d’ oro, mandò eziandio ambasciadori per significare
al senato l’accoglienza cb’ ebbe da lui (18) Tiberio, (19) e
cb’ ein era pronto a fare quanto gli comanderehbero i
Romani.
IV. Giunto che fa (no) Menocari in Antiochia pres
so Demetrio, ed esposto cb’ ein ebbe al re il colloquio
avuto con Tiberio nella Cappadocia; stimando il re es
ser al presente la cosa più necessaria il trarre al suo
partito, per quanto era in lui, le persone anzidette;
posta da canto ogni altra faccenda, mandò ad essi dap
prima in Panfilia, poscia nuovamente in Rodo, (al) as
sumendo di far ogni cosa pe’ Romani; ed alla perfi
ne (22) gli riuscì di farsi da loro chiamare re: ché Tibe
rio, il quale gli era (23) molto affezionato,grandemen
te contribuì a (24) farlo pervenire al possesso della po
testà suprema. Demetrio, conseguita l’occasione anzi
detta, mandò tosto ambasciadori a Roma per recarvi
una corona, e colui che colle sue mani ucciso avea
Ottavio, e con questi (25) il critico Isocrate.
V. (ali) Intorno a quel tempo vennero da Ariarate
gli ambasciadori , che portavano la corona di diecimi
la monete d’ oro, e dichiaravano la buona volontà del
re negl’ interessi da’ Romani, a testimoni della qua
le (2.7) citavano Tiberio ed i suoi compagni. Questi a
vendo ciò confermato, il senato accettò-la corona (28) con
1']
J. di l
593
Amb. no
A. 5di4lt.
9
Olim p.
cuv,w
Amb. la!
A. di R.
594
Jrnb. ma
I 2
gra9nde favore, ed in compenso gli mandò i regali che
presso i Romani sono riputati i maggiori, (ag) il basto.
ne e la seggiola d’ avorio. Cotesti oratori il senato li
cenziò incontanente avanti l’ inverno. Dopo di questi
venne Attalo, (30) quando i consoli erano già entratiinel magistrato , (31) accusandolo ed i Galati che avea
‘mandati Prusia , e molti altri giunti dall’Asia. Il sena
to , poiché ebbe tutti uditi, non solo assolvette Attalo
dalle accuse , ma licenziollo colmato di cortesia. lmper-I
ciocchè quanto era alienato dal re Eumene, e l’ odia
va , altrettanto (32) accarezzava Attalo e lo esaltava.
VI. Vennero eziandio dal re Demetrio ambasciadm
ri , (33) Menocari ed altri, recando a Roma una coro
na di diecimila monete d’ oro, ed insieme conducendo
seco colui che avea messe le mani addosso a Gneo Ot
tavio. Il senato era lungo tempo in forse' circa il modo
di trattare gli affari. Ciò non pertanto accettò gli am
basciadori e la corona, (34) ma gli uomini ch’ erano
stati condotti non ricevette: quantunque Demetrio spe
dito avesse non solo Leptine l’ uccisore di Gneo, ma
Isocrate ancora. Era costui grammatico, di coloro (35) che
danno pubbliche lezioni, ciarliere per natura , millan
tatore e (36) sazievole, ed a’ Greci stessi in odio , co
me quello che (37) Alceo ancora, quando seco lui (38) di
scendeva alparagone, (3g) argutamente motteggiava e
derideva. Venuto in Siria, (4o) disprezzava la gente ,
e no" contentavasi d’attendere a’proprj studii, ma pro
nunziava sentenze su’ pubblici affari , dicendo, che Gneo
avea sofferto la meritata pena, e doveansifar perire gli
'461
. 193."?
altri legati ancora, affinché non rimanesse nissuub che A. di R.
594annunziasse a’ Romani l’accaduto. Cosi cesserehbono
da’ loro superbi comandamenti , e dalla loro (41) sfre
nata prepotenza. Sil‘fatti discorsi spacciando cadde nel
I’ anzidetta disgrazia.
VII. Ciò che avvenne a’ summentovati è degno di
memoria. Leptine, poiché ebbe poste le mani addos
so a Gneo , girò tosto per (42) Laodicea, dicendo pub
hlicamente , (43) aver sè data (44) a Gneo la meritata
pena , e fatto ciò per inspirazione degli Dei. Ed aven
do Demetrio prese le redini del governo,fu a lui esor
tandolo, non paventassc la uccisione di Gneo, nèfaces
se qualche severa risoluzione contro i (45) Laodieei;
perocchè egli andrebbe a Roma, ed informerehbe il se
nato, come per volontà degli Dei ciò avesse fatto. Ed
alla fine, per cagione della'sua alacrità ed intrepidezza,
fu costui menate a Roma senza ceppi e. senza guardia.
(46) Ma Isocrate , come fu denunziato, usci al tutto di
spnno; ed essendoin state messe(4y) le beve intorno
al collo, ed attaccate le catene, di rado pigliava nutri
mento, ed intieramente negligeva la cura del corpo. Il
perché giunse a Roma spettacolo meraviglioso, guar
dando il quale era forza confessare, che nel corpo e
nell’ anima non v’ ha nulla di più formidabile dell’ no
mo , quando è una fiata inferocito. Imperciocchè l’aspet
to di lui era oltremodo terribile e fiero , come d’ uomo
che da più di un anno nonerasi levata la lordura , ne
(48) tagliate le ugne, nè i capelli; e la disposizione
dell’animo (50) che spirava dagli occhi e da’ movimenti
facea tal vista , che chi l’ osservava a qualunque bestia
194
41. di Il.
594
Bar. Val.
sarebbesi (5|) più francamente appressato, che non ad
esso. Ma Leptine perseverando nella mente di prima,
era pronto ad entrare nel senato, ed a tutti quelli che
con lui parlavano confessava il fatto, e sosteneva, che
nessun male gliene sarebbe per derivare da’ Romani.
La quale speranza non gli andò fallita. (52.) lmpercioc
che il senato, secondochè a me sembra, stimando, che
alla moltitudine parrebbe vendicatal’ uccisione,ove gli
autori di quella prendesse e punisse, non accettò co
storo ; (53) ma serbossi la causa‘intattav affinché aves
se la facoltà di giudicare le accuse, quando gli sarebbe
piaciuto. Il perché rispose a Demetrio, ch’ egli conse
guirebbe la benevolenza de’Romani, se sotldisl‘acesse al
senato (54) giusta la promessa di prima.
(55) Vennero eziandio ambasciadori dagli Achei Se
none e Telecle , per purgarsi delle accuse, e singolar
mente per impetrare grazia a Polibio ed a Stratio: che
gli altri quasi tutti e ragguardevoli (56) il tempo (57) avea
già consumati. Erano pertanto gli ambasciadori incari
cati di semplicemente supplicare, affinché non paresse
che si opponessero minimamente al senato. Ma poiché
entrarono e fecero i convenienti discorsi, non ottenne
ro nulla; anzi decise il senato di perseverare nel suo
divisamento.
Vlll. La (58) maggior e più bella prova dell’animo
di Lucio Emilio si rendette a tutti manifesta, poiché pas
sò di questa vita. lmperciocchè quale fu la opinione cir
ca (59) la condotta di lui mentre vivea , tale fu trovata
463
195)
depo la morte: le che ciaschednno dirà esser (60) mag-_ la!“ R.
giore indizio di virtù. Conciossiacbè avendo egli fra’
suoi contemporanei (61) recata di Spagna in Roma la
più grande quantità d’oro , ed essendo in Macedonia
divenuto arbitro de’ maggiori tesori, possedendo ampie
facoltà in amendue i paesi, (Sa) tanto poche sostanze
lasciò, (63) che non si poté pagar tutta la dote alla moglie
dalle suppellettili di casa , se di soprappiù non si ven
deano alcuni fondi ', di che abbiamo partitam.ente ra
gionato ne’ libri antecedenti. Laonde dirà taluno sva
nire la gloria degli uomini che presso i Greci ammi
ransiin siffatto particolare. Impereioccbè se degno è
d’ ammirazione l’ astenersi da’danari che offronsi ad al
cuno pell’ utilità di chi li porge, lo che dicesi esser ac
caduto all’ ateniese Aristide ed al tebano Epami
nonda; quanto è più da ammirarsi colui che fatto ar
bitro di un reame intiero, ed ottenuta avendo la facoltà
di usarne come a lui piace, non desidera nulla ? (65) Che
se quanto abbiam detto sembra esser a taluno incredibile,
dee questi recarsi alla mente, come lo scrittore sa bene,
che iBomani massimamente sono per prendere in mano
i presenti libri, perciocchè in essi contengousi il mag
gior numero e le più illustri delle loro gesta; le quali
possibil non è che ignorino, nè tampoco è verisimile
che perdonino (66) a chi falsamente le riferisce. Quin
di non vorrà alcuno esporsi ad esser convinto di mani
festa bugia e disprezzato. E ciò valga per tutta la no
stra storia, allora quando ci si parrà che diciamo qualche
cosa di straordinario intorno a’ Romani.
I.'}' IX. Siccome il progresso della narrazione e de’tem
{N
594
196J,id| 1:. pi (67) ne ha condotti a ragionar di questa casa, così
594 vogliamo (68) ciò che nel libro antecedente rimase in
promissione, supplire in grazia di chi ama d’instruir
si. Conciossiacbè io promettessi di narrare per qual ca
gione e come cotanto crebbe in Roma la gloria di Sci
pione, e risplendette più tosto che (69) non convenivasi 5
ed oltre a ciò in qual guisa l’ amicizia e famigliarità di
Polibio coll’ anzidetto tanto progredì , che non solo pel
l’ Italia e pella Grecia se ne estese la fama, ma a’ più
lontani ancora si rendette nota la loro (70) affezione ed
intrinsichezza. Che il principio adunque della loro con
giunzione nascesse dal prestito di certi libri e da’discorsi
che sopra (1’ essi fecero, abbiamo già manifestato. Ma
procedendo la famigliarità, ed essendo quelli che dalla
Grecia erano stati chiamati (71) distribuiti pelle città,
Fabio e Scipione, figli di Lucio Emilio, (72.) impetraro
no dal pretore che Polibio rimanesse in Roma. Fascia,
essendo la loro intrinsicbezza cresciuta di molto, accad
de la seguente avventura. Usciti un giorno tutti (73) in
sieme di casa Fabio, questi avviossi al foro , e Polibio
con Scipione torsero dall’altra parte. Essendosi innol
trati, Publio sommessamente e con modestia facendo
udir la voce , e divenendo rosso in faccia: Perché, dis
se, (74) essendo noi due fratelli, in discorrendo tu conti
nuamente tutte le domande e le risposte a Fabio rivol
gi, e me preterisci? Affè, che tu hai di me la stessa o
pinione che sento ma gli altri cittadini. lmperciocchè
io sembro a tutti cheto e pigro, conforme odo , e mol
to dilungarmi dalle massime e (75) dalla pratica de’ Ro
mani , giacché (76) non prendo a difender cause. Ma
46?
..,;._ . ..
197'
la casa da cui discende, dicono, non richieder un tal A. di R.
594capo , sibbene un affatto diverso: lo che sovra ogni co
sa m’ affligge.
X. Polibio, cui recava stupore'(yy) l’ingresso del di
scorso in bocca ad un giovinetto (78) che allora non a
vea più di diciotto anni: no, pein Dei, o Scipione,
ripigliò, non dir questo, né siffatta cose ti passino per
la mente. Imperciocchè nol faccio io già perchè (79) ti re
puti da nulla o ti negliga; ben lungi ne sono; ma perché
tuo fratello è maggiore, ue’colloquii da lui incomincio, ed
in lui finisco, nelle risposte e nelle consulte a lui m’ at
tengo, stimando che tu partecipi la sua opinione. Ed
ora mi compiaccio in sentendo da te , (80) che ti sem
bri esser più dolce di quello che convengasi a chi di
scende da cotal famiglia; perciocchè manifesto ne fia
che grande è l’ animo tuo. lo pertanto con piacere a
te mi darei, e ti presterei l’ aiuto mio per farti dir
ed operare cose degne de’ tuoi maggiori. Conciossiachè
(81) per ciò che spetta agl’insegnameuti, cui ora vi veggo
dirizzar ogni vostro studio, uè tu, né il fratello difetta
rete di chi volonteroso vi porgerà l’opera sua; giac
ché molti di siffatti uomini veggo al presente affluirdal
la Grecia. Ma per le cose che , siccome tu di’, ora t’af
fliggono , io credo che non potresti trovare coadiutore
e cooperatore più opportuno di noi. Mentrechè Poli
bio ciò diceva, egli prendendo la destra di lui fra le sue
mani e stringendola con molto affetto: Se io, disse,
vedessi quel giorno, in cui posponcndo ogni altra co
sa , a me l’animo rivolgessi , e convivessi meco , io da
quel tempo tosto mi stimerei più degno della mia casa
ti!
198
1. di R. e de’miei maggiori. Polibio parte rallegravasi in osser
594 vendo l’ impeto del giovinetto, e l’accoglienza eh’ egli
a lui faeea, parte era confuso considerando la poten
za della casa e l’ opulenza della famiglia. Del resto do
po questa (82) mutua dichiarazione il giovane non se
parossi da Polibio, ed a tutto preferì la sua conversa
zione. ,-Î
XI. Da questo tempo in poi sperimentandosi di con
tinuo reciprocamente negli stessi affari, giunsero ad a
marsi l’ un l’ altro con amore paterno e di consangui
nei. La prima inclinazione e gara dell’ onesto che in lo
ro destossi , fu il procacciarsi lode di continenza, e a
vanzar in cotal parte quelli ch’erano della loro età. La
qual corona tanto insigne e difficil a conseguirsi , (83) ot
’tenevasi allora in Roma agevolmente pelle male pro
pensioni della maggior parte degli uomini. Impercioc
cbè quali ad amare fanciulli, quali a praticar meretrici
(84) tutti si abbandonavauo , molti (85) a canti osceni
ed a gozzoviglie ed a siffatte lussurie, (86) avendo ben
presto dato di piglio nella guerra Persica alla leggicrez
za de’ Greci in cotesto particolare. E tal fu l’intempe
ranza in cui circa queste faccende cadde la gioventù ,
che molti comperaromi il mignone per un talento. Il
qual tenore di vita , (87) quasi che dissi, risplendeva a’
tempi ora mentovati, primieramente perché, disfatta
essendo il regno Macedonico, l’ arbitrio d’ogni cosa
sembrava non poter essere loro disputato; poscia per
ché grandemente cresciuta era la prosperità così nelle
private sostanze come nelle cose pubbliche, quando re
cate furono a Roma (88) le ricchezze della Macedonia.
467
19
Ma Scipione , trattosi all’ opposta ragione di vita, e pi?
gnando contro tutte le Iibidini, e rendendosi per ogni
modo consentanco ed unisono a sè medesimo, fece al
l’incirca (89) ne’ primi cinque anni universale la fama
della sue (90) compostezza e continenza. Indi applicossi
immantinente a superare gli altri in magnanimità e ca
stità nel maneggio de’ danari. Alla qual virtù egli ebbe
un (9!) bell’ ammaestramento nella convivenza col suo
(gz) padre carnale, comechè sortito già avesse dalla na
tura a ciò una grande inclinazione. Molto cooperòîan
eor (93) la fortuna a siffatto divisamento.
XII. Dapprima gli morì la madre del suo padre
d’ adozione , ch’ era sorella di suo padre carnale Lu
cio Emilio, e moglie di Scipione suo ave di adozione,
cognominato (96) il maggiore. Costei lasciata avendo una
grossa facoltà , ne fu egli l’ erede, e con essa era per
dare il primo saggio del suo animo. Soleva Emilia, (95) ché
questo era il nome dell’ anzidétta donna), (96) sfoggia
re con magnificenza nelle (97) pompe matronali , come
quella che in florida fortuna vissuta era con Scipione.
Imperciocchè, oltre all’ ornamento del corpo e del coc
chio, (98) la seguitavano canestri e tazze e le altre
cose tutte necessarie a’ sacrificii , quando d’ argento ,
quando d’oro, nelle più solenni pompe, ed a questi
teneva dietro la folla delle fantescbe e de’garzoni. Tut
to celeste apparecchio (99) donò Scipione subito do
po la sepoltura (1’ Emilia alla madre , la quale molto
tempo addietro (mo) erasi separata da Lucio Emilio,
e menava vita più ristretta di quello che si conveniva
alla nobiltàde’ suoi natali. Il perché essendo essa stata
là 4.
«
A. di R.
594
200
1. di R. prima lontana dalle solenni pompe, celebrandosi allora
594 per avventura un insigne e popolare sacrificio, quando
uscì coll’ apparato e colla suppellettile di Emilia , ed
inoltre co’mulattieri e colla biga e (101) col cocchio
pensile che a quella avean appartenuti; le malrone che
vedeano la faccenda, stupefatte erano della bontà e ma
gnanimità di Scipione , e tutte stendendo le mani gli
auguravau ogni maggior bene. Ciò dappertutto sembra
to sarebbe un atto onesto , ma in Roma eziandio am
mirabile; (ma) perciocchè nessuno vi dà volentieri al
l’ altro alcuna parte delle sue sostanze. Così incomin
ciò a divulgarsi la fama della sua (103) onestà , e creb
be grandemente, mercè dell’ esser le femmine ciarliere
e (104) sazievoli in tutte le cose a cui si gettano.
XIII. Poscia doveva egli alle figlie di Scipione mag
giore, sorelle (105) del padre'adotlivo, pagare la metà
della'dote. Imperciocchè il padre (106) pattuito avea
di dar a ciascheduna delle figlie (107) cinquanta talen
ti; e di questi la madre subito diede a’ mariti la metà,
dell’ altra metà morendo rimase debitrice. Onde Scipio
ne dovette pagar questo debito alle sorelle del padre.
Ma siccome giusta le leggi de’ Romani hannosi a sbor
sare i danari dovuti per dote alle donne in tre anni,
poiché secondo il loro costume sonosi prima dati gli ad
dobbi avanti il decimo mese , così ordinò tosto al ban
chiere, di fare ad amendue il pagamento de’ venticinque
talenti entro dieci mesi.Ed essendosi (108) Tiberio Grac
co e Scipione Nasica (ché questi erano i mariti delle
anzidette donne), come prima decorsi furono i dieci
mesi, recati dal banchiere , ed avendoin chiesto, se Sci
1"».
D3
‘J ’4
201
‘pione gli avesse qualche cosa ordinato circa i denari, A. di n,
e dicendo costui che sei prendessero, e (log) contan
do ad entrambiiventiciuque talenti: essi dissero eh’ee
gli errava, perciocchè al presente non tutta la somma,
ma la terza parte secondo la legge ricever doveano. E
replicando quegli che Scipione gli avea così ordinato;
non si fidando di lui andarono dal giovine, stimando
ch’ egli avesse sbagliato: (1 IO) nè a ciò s’indu'ssero sen
za ragione. Imperciocchè in Roma non che cinquanta
talenti avanti tre anni, non ne danno neppur uno innanzi
al giorno stabilito: tale e tanta è la diligenza che tutti
pongono nel danaro , ed il frutto che traggono dal tem
po. Recatisi pertanto da Scipione, ed interrogatolo
qual ordine avesse dato al banchiere; e dicendo egli,
di sborsar tutti i denari alle sorelle; gli risposero , m0
strandosi di lui solleciti, che andava errato; dappoichè
a tenor delle leggi permesso gli era di valersi de’dana
ri (1 I I) per buona pezza. Ma Scipione sosteneva di non
errare, e che cogli estranei ein esattamente osservava
le leggi, ma co’ parenti ed amici trattava, per quanto
era in lui, semplicemente e con generosità. Quindi gli
eccitava a prender tutto il danaro dal banchiere. Ti
berio e Nasica , ciò udito , zitti se ne andarono, atto
niti della magnanimità di Scipione , e condannando la,
propria (un) scrupolosità, quantunque a nessuno de’
Romani fossero inferiori.
XIV. Dopo due anni morto essendo il suo padre
carnale Lucio Emilio, e lasciando eredi della sua fa
coltà lui ed il fratello Fabio , fec’ egli un’ azione bella
e degna di memoria. Imperciocchè Lucio essendo sen
202
A. di R. za figliuoli, per avere gli uni trasferiti in altre case, e
594 gli altri cb’ educati aveva ([13) a successori della sua
famiglia essendo tutti morti, a questo lasciò le sue so
stanze. Scipione, veggendo che il fratello avea una for
tuna più scarsa della sua, rinunziò a tutta la facoltà ,
(114) stimata meglio di sessanta talenti , affinché per tal
modo l’avere suo eguale fosse a quello di Fabio. Divul«
gatosi questo fatto, vi aggiunse un altro saggio più co
spicuo del suo animo. Imperciocchè volendo il fratello
dare ne’funerali del padre spettacolo (1’ accoltellanti,
né potendone sopportar la spesa pella quantità de’da
nari (115) che in quello si consumavano, Scipione vi
contribuì la metà dalle proprie sostanze. Ed ascende
siffatta spesa tutta, chi voglia far la cosa con magnifi
cenza, a niente meno che (x 16) trenta talenti. (I 17) Spar
sa che fu la fama di questa cesa, morì la madre di
Scipione; ed egli fu tanto lungi dal riprendersi ciò che
in addietro le avea donato, (118) intorno alla qual co
sa noi abbiamo testé parlato , che questi effetti n0n me
no che tutto il resto della facoltà diede alle sorelle, seb
bene niente di quella loro appartenesse (Hg) secondo
le leggi. Il perché avendo le’sorelle di lui nelle pubbli
che pompe preso l’ornamento e tutto l’ apparato di E
milia , rinovossi la fama della sua magnificenza e della
benevolenza verso i suoi. Essendosi adunque Publio
Scipione sino dalla prima gioventù siffattarnente prepa- ‘
rato, giunse ad acquistarsi gloria di continenza e di pro
bità. E spendendo forse sessanta talenti (ché tanto die
de fuori del suo) ebb’ egli da tutti lode di (12.0) onesta
bontà, ciò procacciaudosi non tanto pelle quantità da’
. n 7203 “ii,
danari, che pell’ opportunità nel darli, e pel contegno A. di B.
nel conferire la grazia. Di continenza venne in grido 594
senza spender nulla, ma dilungando da sè molti e va
rii diletti, guadagnò inoltre la sanità e la buona com
plessione del corpo, la quale accompagnato avendolo
per tutta la vita molti piaceri ebelli compensi gli diede
(121) delle facili voluttà ond’ ein prima erasi astenuto.
XV. Resta la parte spettante alla fortezza , che in
ogni repubblica, ma singolarmente in Roma è la prin
cipale; e nella quale era mestieri di fare grandissimo e- '
sercizio. Ma a coteste sua impresa egregiamente coope
rò la fortuna. Imperciocchè siccome , (12.2.) i re di Mace
donia applicavansi con moltissima cura alla caccia , ed
iMacedoni (n.3) liberi lasciavano pella raccolta delle
fiere i luoghi più opportuni; così erano cotesti siti col
la medesima diligenza di prima custoditi, durante tutta
la guerra , ma per quattro anni punto non vi si caccia
va ,‘essendo il re da altri affari distratto ,laonde erano
pieni d’ogni maniera di selvaggine. Finita pertanto la
guerra , Lucio Emilio stimando che la caccia ed ottimo
esercizio e (124) sollazzo recherebbe alla gioventù, pre
sentò i cacciatori regii a Scipione, ed a lui diede tutta
la licenza della caccia. La quale avendo l’anzidetto ri
cevuta e credendosi quasi re, vi si occupò tutto il tem«
po che dopo l’ ultima battaglia rimase l’esercito in Ma
cedonia. Ed avendo egli in questo particolare amplissi
ma facoltà, (12.5) per modo che, essendo nel fiore del
l’ età , e per natura a ciò disposto , non altrimenti che
un giovip cane animoso con perseveranza traeva dietro
alla caccia. Il perché ritornato in Roma, ed aggiuntosi
204
1. di B. al suo il fervore di Polibio a questa‘partc, quanto gli
594 altri giovani ne’giudizii e nelle (n.6) salutazioni s’ affan
navano, trattenendosi nel foro, ed ingegnandosi di racco
mandare sé stessi con ciò alla moltitudine, tanto Sci
pione aggiratosi nelle cacce, e facendo sempre qual
che c0sa d’ illustre e degno di memoria,ne riportò più
bella gloria degli altri. Imperciocchè questi non conse
guivano lode, se non offendevano qualche cittadino; ciò
solendo portar seco la ragione de’ giudizii; ma ein sen
za far male a nessuno, conciliavasi presso tutto il po
polo fama di valore gareggiando in lui i fatti(x 27) colla pub
blica voce. Perciò in breve tempo tanto avanzò i suoi
eguali, quanto nessuno giammai rammentasi tra i Ro
mani, sebben egli (n.8) nell’ amor della gloria cammi
nasse per una via affatto contraria a’ costumi ed ain
statuti de’ Romani.
XVI. lo mi sono molto disteso nell’ esposizione del
tenor di vita che seguì Scipione (mg) dalla prima gio
vinezza , stimando che siffatto racconto dilettevole sarà
a’ vecchi ed utile a’ giovani; ma sovrattutto per procac
ciar fede a quanto (130) sarò per dire intorno a lui ne’
libri appresso, affinché i leggitori, cui poscia strani sem
breranno gli avvenimenti a lui occorsi, al merito di
tant’ uomo non detraggano le felici geste con consiglio
operate, ed alla fortuna le attribuiscano, ignorando le
cause, donde ciascun fatto procedette, da pochissimi
in fuori, che ascriversi debbono alla fortuna ed al caso.
Avendo noi sin qui scorse queste cose per digressione,
ritorniam al punto della nostra narrazione, donde ci e
ravamo dipartiti. ’
, 205 a i
XVlI. (13|) Dagli Ateniesiedagli Acheivennei‘o am- A. di R.
basciadori Tcarida e Stefano, pelle rappresaglie chiesteda’ Delii. Imperciocchè (13a) essendo stato a questi ri
sposto da’ Romani dopo ma ceduta l’isola agli Ate- Amb_’.,5
niesi, ch’ essi ne sgombrassero, e seco recassero le loro
sostanze; traspiantatisi in Acheale fattisi inscrivere cit
tadini , (133) vulcano eolà farsi render ragione dagli A
teniesi, (134) giusta il trattato che questi aveano cogli
Achei. Ma dicendo gli Ateniesi, che siffatto (135) rendi
mento di ragione non apparteneva a’ Delii, chiesero
questi dagli Achei che fossero loro concedute rappre
saglie contra gli Ateniesi. Sulla qual cosa mandata a
vendo allora un’ ambasceria, ebbero in risposta, che san
zionava il senato le disposizioni fatte dagli Achei secon
do le leggi intorno a" Delii.
XVIII. Poiché (136) gl’Issii (ed (137) i Daorsi) ebbe- A. di R.
ro sovente mandati ambasciadori a Roma, per significare, 5_96
come i Dalmati violavan il loro territorio, e le città aloro soggette, e queste erano (138) Epezio e Tragurio, Amb_’,,4
e_ facendo i Daorsi le stesse accuse; spedì il senato per
ambasciàdore (139)Cajo Fannio,affine d’esaminare gli
affari (140) dell’ llliria, e massimamente de’ Dalmati.
Questi ubbidiron a (141) Pleurato, fintantochè visse;
ma morto lui e succedutogli Genzio nel regno. ribella
ronsi da esso, fecero guerra a’ popoli confinanti , e sog
giogarono i vici1ii, de’ quali alcuni eziandio pagavan lo
ro tributo, ed era il tributo bestiame e frumento. Per
queste cagioni si partì Fannio.
15l’omino, 10m. ' r1n.
206
.l. di R.
596
me. 126
XIX. Ritornato Caio Fannio dall’llliria, (142) significò
che tanto eran lungi i Dalmati dal soddisfare a quelli che
asserivano esser da loro continuamente offesi, che non
volean neppur udire farne parola, dicendo, che non a
vean nulla di comune co’Romani. Oltracciò espose, co
me ad essi non erasi dato (143) alloggio nè provndimen
to delle cose necessarie, ma che i Dalmati avean lo
ro perfino tolti colla forza i cavalli che presi avean da
(144) un’ altra città , ed erano pur pronti a metter loro
le mani addosso , se cedendo alle circostanze non se ne
fossero andati in tutto silenzio. Le quali cose ascoltate
avendo il senato con attenzione, pigliò sdegno della ca
parbietà e del mal talento de’ Dalmati, ma sovrattutto
stimò esser quello il tempo opportuno di far guerra agli
anzidetti per molte cagioui. Imperciocchè la parte del
l’ llliria volta all’Adriatico non era punto stata da loro
visitata, (145) dacchè avean espulso Demetrio Fario.
Né volean essi in alcun modo che gl’ltaliani si (146)ef
feminassero per lunga pace, dappoichè correva allora
il duodecimo anno dalla guerra di Perseo, e dalle fazio
ni in Macedonia. Il perché deliberarono di romper la
guerra a’summentovati, cosi per rinnovare quasi nella
propria gente l’ impeto e la buona disposizione, come
per costringere gl’ Illirii, spaventandoli , ad ubbidir a’
loro comandamenti. (147) Queste pertanto furonole cau
se , per cui i Romani guerreggiarouo co’ Dalmati, men
trecl1è agli estranei mostravano come pell’ ingiuria fat
ta a’ loro ambasciadori decisa avessero la guerra.
XX. Il re (148) Ariaratc venne a Roma, (149) es
20
scudo ancora state. Allora poiché assunto ebbe il ma]
gistrato Sesto Giulio , fu ein a lui (15Q) nell’ arnese e
nell’aspetto che convenivasi (151) alla sua presente scia
gura. Erano pure da Demetrio venuti ambasciadori con
dotti da Milziade, acconciandosi ad _amendue i partiti;
percioecbè erano preparati a difendersi da Ariarate e ad
accusarlo ostilmente. Sped‘1 Oroferne ancor ambascia
dori, Timoteo e Diogene, che recavano (152) una co
roca a Roma, e rinnovar doveano l’amicizia e l’allean
za; ma singolarmente per stare a competenza con A
riarate, e difendersi da lui in alcune cose, in altre ac
cusarlo. (153) Ne’ privati abboccamenti pertanto Dioge
ne e Milziade la (154) sfoggiavano maggiormente, come
quelli che in molti venivan a paragone con un solo,
e vedevansi in florida sembianza contro uno ch’ era ab
battuto , ed eran eziandio assai superiori nella sposizio
ne delle cose 5 perciocchè francamente (155) tutto di
cevano ed a tutto rispondevano , Senza riguardo alla ve
rità; e ciò che dicevano , (156) non era soggetto a pro
va non avendovi chi si difendesse. Vincendo adunque
di leggieri la menzogna, (157) parve che il successo se
condasse la loro volontà.
Che Oroferne , avendo poco tempo regnatoin Cap'
padocia , e disprezzate le discipline patrie , introdusse
la lascivia (158) bacchica e delle arti teatrali, dice Po
libio nel libro trigesimo secondo.
' XXI. (159) Gli affari dell’Etolia erano in buono sta.
to, spento essendo fra di loro (160) l’ ammutinamcnto
2’!
I. di R.
5911
Ateneo
I. x,c. 11.
Estr- VaI.
(P?
208
A.di R. civile dopo la morte di Licisco. E passato di questa vi
596 la (161) Mnasippo da Coronea, fu migliore la situazio
ne della Beozia; ed egualmente quella dell’ Acarnania,
tolto di mezzo Creme. Imperciocchè succedette quasi una
purificazione della Grecia, levati che furono da’vivi co
testi uomini pestiferi: chè l’epirota Carope ancora morì
peravventura lo (162.) stesso anno in Brindisi. Ma gli affa
ri dell'Epiro erano nello stesso sconvolgimento e disor
dine che furono ne’ tempi addietro per la crudeltà e
scelleratezza di Carope , dacchè ebbe fine la guerra con
Perseo. Imperciocchè separati ch’ ebbe (163) Lucio A
nicio gli uomini più illustri, licenziando gli uni, e con
ducendo gli altri a Roma , per poco che fossero sospet
ti; (164) Car0pe avuta la facoltà di far ciò che volea,
commise ogni genere (l’ iniquità, parte da sè, parte per
mezzo degli amici, come colui ch’ era assai giovine, ed
a cui erano concorsi gli uomini più malvagi e leggieri,
affine d’ appropriarsi l’altrui bene. Aggiugnevagli,come
(165) presidio e peso alla fede (1’ operar secondo una
certa ragione , e coll’ approvazione de’ Romani, l’ ami
cizia ch’ egli (166)-c0n questi avea avuta , ed-inoltre
con Mirtone e suo figlio Nicanore; iqnali del resto es
sendo uomini dabbene e reputati da’Romani , e ne’ tem
pi addietro molto alieni da ogni ingiustizia, non so co
me allora si diedero a coadiuvar Carope ed a farsi so
cii delle sue scelleratezze. Ma poiché il medesimo chi
in piazza pubblicamente uccise, chi nelle proprie case ,
ehi assassinar fece nelle campagne, e pelle strade , e
(167) le sostanze de’ morti rapi , introdusse ancor un"al
tra macchina. Imperciocchè cacciò in bando i più opu
20’9’
lenti, non solo uomini, ma donne ancora. E questo A. di R.
terrore incutendo , gli uomini spogliava da sè, le'don
ne per mezzo di sua madre Filotide. Era costei del tut
to acconcia a (168) siffatta figura, e più che a femmi
na non s’ appartiene possente di cooperar ad alti di
violenza.
XXII. Poiché da tutti , per quanto era in loro, mun
se_roi danari, niente di meno trassero innanzi al popo
lo tuttii proscritti. La moltitudine nella città dl(169) Fe
nice, parte per paura , parte adescata dalla fazione di
Carope, condannò tutti coloro che furono denun
ziati come aventi l’ animo alieno da’ Romani, non al
1’ esilio, ma alla morte. Costoro adunque andaron tut
ti in bando, (170) allorquando Carope recossi in fretta
a Roma co’(171)danari in compagnia di Mirtohe , di
visando di far porre il suggello alla sita scelleratezza dal
senato. Nel qual tempo apparve un bellissimo esempio
delle massime de’ Romani, ed un dolcissimo spettaco
lo a’ Greci che colà soggiornavano , massimamente
a quelli che vi erano stati chiamati. Imperciocchè
Marco Emilio Lepido, ch’ era pontefice massinio e
(172.) principe del senato, e Lucio Emilio , colui che
vinse Perseo , ed avea la maggior autorità e potenza,
sentendo le cose operate da Carope in Epiro , nol la
sciarono entrar nelle loro case. La qual cosa essendosi
divulgate , tutti i Greci che in Roma trovavansi n’eran
oltremodo lieti, lodando a cielo l’ odio de’ Romaniver
so i malvagi. Entrato poscia Carope nel senato , que
3?
596
sto (173) non acconsenti alle sue richieste , nè volle dar ..
una espressa risposta; ma disse che incaricherebbe gli
(,N
2 IO
À. di R.
596
EstrJ’sl.
A. di R.
598
ambasciadori che avrebbe mandati, d‘esaminare quan
to era accaduto. Carope ritiratosi , tacque cotesta ri
sposta, ma ne scrisse una adattata (174) al suo pr0p0
nimento, annunziando che i Romani approvavano le
cose da lui fatte.
XXIII. (175) Il re Eumene avea il corpo imbecille,
(176) ma col vigore dell’ anima vi resisteva‘, come que
gli che nella maggior parte delle cose non era inferio
re a qualsivoglia re de’ suoi tempi, ma nelle più impor
tanti ed egregie più grande e più splendido. Costui pri
mieramente , (177) ricevuto avendo dal padre il regno
a poche e meschine cittadella ristretto, fece il suo go
verno pari alle maggiori signorie della sua età ;‘ non
giovandosi gran fatto della fortuna, né per caso, ma
per via della sua sagacità ed industria, e delle cose da
lui operate. In secondo luogo fu amantissimo di gloria,
e molte città greche beneficò, e molti uomini in parti
colare (178)impinguò che non alcun re de’ suoi tempi.
Per ultimo (17g) avendo tre fratelli e per anni e per a
bilità idonei agli affari; li conteune tutti in ubbidienza
e rassegnazione , e gli ebbe a sostegni della dignità reale.
La che ben di rado trovasi che sia accaduto.
Attalo, fratello d’Eumene , avuto il supremo pote
re , diede il primo saggio del suo animo e della sua in
dustria (180) restituendo Ariarate nel regno.
XXIV. (181) Intorno a quel tempo venuti essendo
ambasciadori dall’ Epiro , da parte di quelli che tene
2 211'
vano Fenice, e de’ fuorusciti , ed avendo recitati i loro A. di A
discorsi (18:1) in presenza 3 il senato rispose loro, che da- 5_98
v
rebbe su ciò incumbenza ain ambasciadori mandati nel- "ml"
s - - . . cr.v,4l lllma con Calo Marmo. Amb_ "7
_..
XXV. (183) Prusia poiché vinse Attalo, ed‘acco- Est,_y,,|_
stossi a Pergamo,apparecchiato un suntuoso sacrifizio
nvviossi al tempio d‘ Escnlapio,ed avendo immolati bo
vi, e conseguito un prospero augurio, se ne ritornò nel
campo; ma il giorno appresso condotto il suo esercito
al (184) Niceforio, guastò tutti i templi, ed i sacrarii
degli Dei, e spogliolli delle immagini ancora e delle sta
tue di pietra. Finalmente levò e portò secola statua (1’ E
sculapio lavorata egregiamente (185) da Filomaco, cui il
giorno antecedente immolò vittime ed offer'1 voti, pregan
dolo, conform’era ragionevole, d’essergli propizio ebene
volo (186) pertuttii versi. lo pertanto siffatto disp0sizioni
ho già in addietro (187) altrove, quando parlaidi Filippo,
chiamatefuribonde.lruperciocchè sacrificarealNumeeper
tal via propiziarlo. prostrandosi ed orando con fervore
innanzi alle (188) sacre mense ed agli altari, conforme
Prusia avea costume di fare, ginocchiòni e donnesca
mente, ed insieme (18g) guastar queste cose, e col loro
corrompimento insultar agl’ Iddiigcome non dirassi es
sere opere coteste d’animo rabbioso, e di mente affat
to perduta di senno? E ciò allora fece Prusia. Concios
siachè,non avendo egli (190) niente che degno fosse d’uo
mo valoroso eseguito nell’ assalto di Pergamo, condu
cesse l’esercito in (191) Elea, vilmente e con animo fem
minile trattando le cose umane edivine. Ed avendo ten
212
A. di R. tata Elea, e' fatti alcuni assalti, nè potendo conseguir
598 nulla, perciocchè Sosandro compagno di educazione del
re entratovi con gente respinti avea i suoi attacchi,
(192.) mosse per alla volta di Tiatira. Nel ritorno spo
gliò a viva forza il tempio di Diana in (193) Geracoma;
così pure quello (194) d’ Apollo Cinio presso (195) Te
mno, né spogliollo soltanto, ma lo guastò col fuoco.Ed
avendo queste cose praticate si ridusse a casa, poi
ch’ ebbe fatta guerra non solo agli uomini, ma agli Dei
ancora. Pali l’ esercito terrestre di Prusia nel ritorno .
fame e dissenteria, a tale, ch’ ei sembrava, che per co
teste cagioni incontanente (196) colpito lo avesse l’ira
di qualche Nume.
XXVI. Attalo sconfitto da Prusia elesse il fratello
Ateneo , e spedillo con (197) Publio Lentulo, per espor
re al senato l’accaduto : ché i Romani,venuto (198) An
dronico colla nuova della prima invasione de’ nemici,
non vi badarono, ma sospettavano che Attalo, volendo
attaccare Prusia, acconciasse pretesti, ed il prevenisse
con accuse. Ed avendo ad un tempo (199) Nicomede
e gli ambasciadori di Prusia venuti con Antifilo assicu
rato nessuna di queste cose esser vere ; tanto meno cre
deva il senato a quanto riferivasi circa Prusia. Dopo
qualche tempo essendosi la faccenda vie meglio chiarita,
vennero i padri in dubbio circa le nuove che giugne
vano, (2.00) e mandarono ambasciadori Lucio Apulejo
e Caio Petronio per esaminare com’ erano gli affari de’
re anzidetti. '
. FINE DEGLI AVANZI DEL LIBRO THIGESIMOSECONDO.
45’(
.Cl'l
SOMMARIO
AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOSECONDO.
AVVENIMENTI orzz’amvo D! Rosu. DXCIII.
Amuscuooaz de' Tolomei a Roma. -Decrelo del senato. -
P. Apuslio e C. Lenlulo ambasciadori (S I). - Lite di Ma
sinissa co’Carlnginesi circa gli emporiirlella Sirte minore. -
Sentenza ingiusta de’ Romani. - Afiernlo. - I Carlaginesi
perdono gliEmporii Il). - Prusia ed Eumene. - Ariarate
(S III). - Demetrio è salutato re da’ Romani. ‘- Tiberio Grac
co gli è favorevole. - [sacrale critico (S IV). -
AVVENIMENTI usu.’ A. n! R. DXCIV.
Ambascimlori d’Ariarale. - Jltalo viene a Roma V). -
Il senato accetta la corona mandata da Demetrio, ma non gli
uomini condotti. - [sacrale grammatica (8 VI). - Lettino fa
natico. - [sacrale fil di sèa Roma orrido spellacolo. - Let
tine non s’ inganna nella sua speranza. - Risposta del senato.
- Ambasceria dein Achei per chiedere la liberlà de’ bandi
ti (S VII). - .
Astinenza di Emilio l’aula (S VIII). - Gloria anticipata di
Scipione Emiliano. - Amicizia stretta con Polibio. - Discor
so di Scipione a Polibio (S IX). - Risposta di questo. - Re
plica di Scipione - di Polibio (S X). - Pregi del giovane Sci
pione. - Lussuria de’ giovani romani dopo la guerra di Per
a 14
seo. - Moderlin e con!inenz.a di Scipione. - Sua Iibernlilà ed
astinenza (S XI). - Morte di Emilia. - Pompe matronnli. -
Madre di Scipione. - Le matrona [odono Scipione (S XII). -
Generasilà di Scipione verso le zie. - Legge da’ Romani cir
ca la dote. - Tiberio Gi-ncco e Scipione Nasicn generi di Sci
pione nmggiore. - Ammirano la liberalità di Scipione mino
re (S XIII). - Morte di Lucio Emilio. - Liberalilà di Sci
pione verso il fratello Fabio. - Spesa del giuoco de’glmlia
lori. - Liberalilà verso le sorelle. - Conlinenm (li Scipione
causa della sua robuslez.zn (S XIV). - Esercizio di lui nel va
lore. - Polibio compagno di Scipione nella caccia (S XV). -
Molivi che indussero Polibio a questa digressione XVI).
AVVENIMENTI LINEA. DI. R. DXCV.
I Delii trasmigrnnonell‘flchea. - Chieggono rappresaglie
contro gli Aleniesi (S XVII.
AVVENIMENTI DELL’A. DI R. DXCVI.
Gl’ Issii ed i Daorsi lagnansi de’Dalmali. - C. Fannio
nmbasciadore. - I Dalmali (S XVIII).
AVVENIMENTI DELL’ A. DI. R. DXCVII.
Fannio è male ricevuto da’ Dalmali. - I Romani dichiara
no a‘ Dalmati la guerra XIX). - Arinmle. - Seslo Giulio
console. - measciodori di Demetrio. - Oro/èrne re della
Cappadocia. - V’inlrodnce una licenza baccl1icn (Sl XX). -
Mmjono l'elalo Licisco - il beozio Mnasippo - l’ acar
nane Creme - l’ epirola Carope. - Malvngità di Carope. -
Mirlone e Nicnnore socii di Carope. - La madre njulnlrice
della ma crudeltà (S XXI). - Fenice cillir dell’ Epiro. - Ca
rape va a Roma. - Vi è svergognnlo. - Falsa un decreto del ‘
senalo (S XXII). - Elogio del re Eumene. - Allalo rimelle
Arlarnle ( SXXIII)
AVVENIMENTI DELL’A. D! R. DXCVIII.
Ambascfadori da Fenice rlell’ Epiro. - C. Marcio console
(SXXIV. - Allalo vinlorla Prusia. - Prusia infuria conlroi
templi. - Elea. -- Tiah'ra. - Geracome. -- Apollo Cinio in
Temno (S XXV). - Ateneo, fratello di Allalo. Ambasciazlore
a Roma. - Ambasciadori romani in Asia (S XXVI).
ANNOTAZIONI
AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOSECONDO.
_<,nc>_
Gli avvenimenti narrati da Polibio nel presente libro erano
stati trattati da Livio ne’ libri un e xr.vu, conforme scorgesi
delle epitomi che ne rimangono. Il tempo ch’esso abbraccia è
dall’anno 595 di Roma sino al 598,acccnnato nel secondo degli
anzidetti compendj , dappoichè in esso fu \console C. Marcio Fi
gulo che vi si riscontra , nominato alla fine del cap.‘nt. Ciò si
accorda con quanto lo Schweigh. trovò notato nel margine del
cod. Urbinate e del Bav. all’ ambascerie mg, colla quale incomin
cia il lib. xxxm.
(i) Camuno. V. xxxr, 27.
(a) Menillo. Ricorda 1’ Orsini, come 1’ ambasciadore di To
lemeo è qui nominato Menillo, mentrechè negli altri luoghi has
Si, secondo il suo parere , a leggere Menilillo, quasichè in que
sto frammento egli non disapprovasse l’ altra lezione. Circa co
testo nome consultisi la nota 126 al libro antecedente.
(5) Tito Torquato e Gneo Merula. Nel testo non leggonsi
che i pronomi Tito e Gneo , ma dal principio de’ capitoli 26 e '27
del Iib.xxx1, rilevansi i loro cognomi, che io ho aggiunti seguen
do le Schweigh.
(4) Piacque alsenalo cc. Dal lib. xxx1, cc. 18 e'26, osservasi
che i Romani imposto aveano a’ due fratelli di fare tra loro la
pace, concedendo al maggiore 1’ Egitto, ed al minore Cipro ol
tre alla Circnea; ma che il maggiore ricusò di consegnare Cipro
all’altro, e lo cacciò eziandio da Cirene, mandando soccorsi a’
2,;j'24!
suoi abitanti ch’- eransi da lui ribellati. Quindi il senato, che
come arbitro giudicata avea questa controversia, a buon diritto
sostenevala causa del minore; comechè il maggiore amato da? ’
sudditi, e cui per prerogativa di successione spettava il possesso
di tutti i paesi lasciati dal padre, preponderasse nella bilancia
del'giusto. E notò già il ‘Nostro nel primo de’luoghi testé cita
ti, come i Romani in questa divisione gratificarono il minore T0f
lemeo , non per meriti ch’ egli avesse , sibbene per il loro pro
prio‘vantaggio, non volendo che al maggiore toccasse tanta par-‘
te del regno che renduto l’avrebbe di soverchio potente.
(5) Di far uscire. Nel greco la a'aro7pizzn, andarsene (che
'se ne andasse ) correndo, capressione zotica, anziché no, alla qualeI io sostituirei ain'lpiaruv ovveramente èa-orrpîqu nel senso di
. mandar via, discacciare.
(6) Apustio. Correzione dell' Orsini che trovato avea nel suo
cod. 'Anuiflnr (Astubio Il Casaub. ne profitti), siccome di
molte altre emenflazioni del commentatore italiano, cui non ren
dette il dovutov merito. Parecchi individui della famiglia Apostia
sono ramoientati nella storia di Livio.
(7) A Tolemeo. Era il minore, del quale qui trattasi, stato
vinto in battaglia da' Cirenei (anno, 26 alla fine); il perché non
è probabile ch’ egli ancora colà stanziasse, ma doveva esser rien
trato in Egitto arrestondosi a’ confini. Non è dunque da prendersi
in senso rigoroso l’in fl‘u Kupn’nn nella (provincia di) Ci
rene. '
(8) Masinìssa. E “Polibio e Appiano (Punic. 67) scrivono
Manmaìmpr (Massauasse ); ma io mi sono attenuto alla scrit
tura latina, che dovrebbe più avvicinarsi alla originale , come
quella che i Romani al certo meglio de’ Greci conoscevano.
(g) Sirti minore. Per ben comprendere la situazione di que
sta Sirti e degli Emporii egli è necessario consultarpparagonare
tra di loro le relazioni che ne danno i geografi e gli storici an
tichi. - Di volo toccheremo la etimologia della voce Sirti che
derivata da n':fiu , trarre , slra:cinare , significa i banchi che
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colò l'ormansi dall’ arena e da’ sassi che vi sono tratti dalle onde
sollevate da’ Venti, per cui la navigazione rendesi in que’ golfi som
mamente pericolosa. - La descrizione pertanto che ne porgeva
il Nostro dehh’ essere stata precisa, ma è disgraziatamente perduta,
tranne le poche tracce che ne abbiamo qui e nel lib. m , 25, e
di quanto ce ne ha conservato Plinio ( v, 5, L) circa la distan
za della Sirte minore da Cartagine e le sue dimensioni. Sallitstio
( bell. lugurt. 19, 78 ), Strabone (xvu, p. 855 )e Plinio (I. c.)
notano lo spazio tra le due Sirti , e vi collocano la città deno
minuta Lepti mggiore (che la minore era tra la Sirte piccola e
Cartagine); ma secondo Polibio in questo luogo , Livio (xxnv,
6'), ) e Tolemeo (IV, 3) catasto spazio appartiene alla Sirte mi
nore. La città poi di Lepti è, giusta Livio, unica su quella spiag
gia, e al dire di Tolemeo e di Strabone chiamavasi ancora Nea
pali, laddove Plinio ne fa due città. - Che diremo di Solino il
quale (Polyhist., c. 30) pone tra le due Sirti la regione Cirenese?
- Quanto è agli Emporii, dovean essi, standoa Livio, estender
si nell’ interno del paese tra le due Sirti intorno a Lepti. ch' e
ra il deposito sul mare de’ loro ricchi prodotti. « Emporia, so
no le sue parole, vocaut eam regionem: ora est minoris
Syrtis et agri uberi: una civitas ejus Leplis. Ma, al dire
di Polibio, molte erano le città coli: fabbricate, lo che indi
cherebbe ch’egli non accennasse alla costa tra le Sirti situata ,
dove queste scarseggiavano , e forse una sola ve n' era, sibbene
al seno medesimo di questa Sirte. ed in tale ipotesi converrebbe
assegnare agli Emporii una contrada a questo seno più vicina, la
quale altro non potrebb‘ essere che Bisacio , la Bizacitide di
Tolemeo, secondo Plinio (I. c.) di una esimia fertilità , a tale
che rendeva il cento per uno. I primi di questi Emporii proba
bil è che corrispondano al Fezzan d' oggidì, paese tributario del
la reggenza di Tunisi, e molto fertile di datteri, di grani e di
bestiami; ed i secondi alla parte occidentale della stessa reggen
za , egualmente assai feconda. Per avviso di Renell e di Larcher
(V. Pinkerton géorg. traduite par Walckenaer. T. VI, p. 346) sa
rebbe il Fezzan là dov’ erano gli antichi Garamauti, ma la terra
di costoro era, a detta di Strabone (xvu, p. 859 ) , arida.
alo/“3
(lo) Stuzzicnre. Questo verbo ho creduto corrispondere al
aerawupî{nn del testo, che i traduttori latini voltarono in pa
Iientiani tentare, e che propriamente è affender alcuno legger
mente con anima di provocarlo, e trarre dal suo risentimento
diritto di o/]iznderlo maggiormente. Questo è‘ ciò che allora Ma
sinissa praticava verso i Cartaginesi.
(in) Per cagione della lunga pace. Finì la seconda guerra
punica l’anno di Roma 555 sotto i consoli Gn. Cornelio Len
tulo e P. Elio Pelo dell’era Varroniana , cioè l’anno 549 del
l' era di Polibio (V. Liv. , nx , 44 ; Polib., xvr , 15, nota 135 ).
Correndo pertanto al tempo degli avvenimenti qui esposti l’a. di
R. 595 Varroniano , 589 Polibiano, ne segue che i Cartaginesi
vivean allora da quarant’ anni in pace.
(12) Non per giustizia cc. Era certamente cosa utile a’ Ro
mani il gratificarsi un emulo de’ Cartaginesi qual era Maainissa,
onde averlo alleato nel caso che si fosse riaccesa la guerra tra lo
ro e questo popolo, siccome infatti avvenne nella terza guerra pu
nica, dove trassero gran partito dall’ amicizia di questo re. E qui
noli5i con quanta franchezza Polibio censuri la condotta de’Ro
mani verso le nazioni straniere , le cui contese decidevano non
sulla norma del giusto, ma mirando afproprii vantaggi. Cosi ve
demmo nel libro antecedente (c. 12 ) come erano contrarii al- |
l'equa richiesta che Demetrio loro faceva di essere collocato sul
trono paterno, col divisamcnto di disporre a loro talento del
regno di Siria, signoreggiuto da un fanciullo. - La Storia di tutti
i tempi c’ insegna che presso i popoli conquistatori la politica va
di rado unita alla' morale , e che onesti riputati sono i partiti che
presentano la maggior utilità.
(15) Imperciocché avea ec. Qui è additata l’ origine della
contesa tra Masinissa ed i Cartaginesi, che proruppe poscia in a
perta guerra, lo che indica abbastanza la congiunzione ‘nnl, equi
valente a dappoichè, giacché. Non capisco pertanto come lo
Schwcigh. abbia potuto disapprovare l’ articolo fai; (zpa'nil)
siccome iUCOIDO(lO , sostituendovi ami, ancora; quasichèin tem_
pi da quelli remoti, per altro motivo que’due potentati fossero
220
tra loro venuti in discordia, la qual cosa non apparisee che fos
se accaduta.
(l4) Afliralo. Non piat:que catasto nome all‘ Orsini, che a
vrebbe potuto cangiare in Ajfire (Aphiris) come lo scrive Li
vio (xxxw, 62 ) , o in Arthiri: recato secondo lo Schweigh. dal
solo codice di Magonza. Impossibile sembrami a decidersi sif
fatta d’ altronde inutile quistione , trattandosi di un nome nu
mida.
US) Siccome per quella che a lui non apparteneva. Da Li
vio (I. c.) sappiamo che Scipione vincitore avea in questa stessa
campagna determinati i confini d’amendue; quindi è chiaro che
Masinissa inseguendo il duce ribelle passar dovea per il territorio
Cartaginese, ch'egli dapprincipio per tale conosceva, avendo do
mandato al governo di Cartagine il permesso di varcarlo. Ma fatto
sta che, conforme osserva lo stesso Livio, l’affare sarebbesi ben
presto spacciato coll’interveuto del solo Scipione, perla cognizione
ch' egli avea della cosa e per la sua autorità. Il senato pertanto,
a detta dello storico romano, lasciò l’ affare sospeso , dopo aver
mandata un’ ambasceria per esaminarlo, lo che non 5’ accorda con
quanto dice il Nostro che la lite fu terminata con danno {de’
Cartaginesi. Forse fu fatta l’ ultima decisione poiché venne da
Roma una seconda ambasciata che trovasi toccata nella epitome
del libro XLVII con queste parole : Missi a scuola qui inter Ma
sinissam et Carlhagìncnses de agro judicarent.
(16) Dal lampo ec- Secondo Livio (l. e.) i Cartaginesi percepi
vano dagli Emporii un talento al giorno ; quindi durava quella con
tesa, sino al di in cui la decisero i Romani, cinquecento giorni, o
dir vogliamo 16 mesi e 20 giorni. La scrittura vulgata 7îr ucp
mu73vx'lun , del frutto de’ tempi, difesa dallo Schwèigh.
mutò il Reislte in 75| zaiva o zar/m (de’ luoghi)e con m
gione , percioccbè il frutto non cavasi già da’ tempi ma da’luo
ghi. che il producono, e l’22 ti che segue indica abbastanza che
questo frutto dovea calcolarsi da una certa epoca.
(I?) Equesti vicendevolmente il fratello. Senza verun bisogno
ha qui lo Schweigh. fatto delle trasposizioni e delle alterazioni
dei vocaboli, donde risulta questo Volgm‘izzamento : E questi vi
cendevolmente nannò (ifawinuhur) il fratello Altalo , peì‘
(IÙ'èndersi dalle accuse. Ariarate authò (’e’m‘ml‘s )a Roma una
corana di diecimila monete d’ ora ed ambasciadori cc. Gli suo
navano male tanto vicini in un periodo due verbi 'sfesirr
6thu:,'isri|w41| ), che significano la\ stessa cosa; ma Polibio non
avea questi scrupoli, ad a me sembra che nell’ italiano ancora non
rechi fastidio questa maniera di ripetizione.
(i8) Tiberio. Circa l’ambasciata di Tiberio Gracco in Asia
vedi xxx1, a5.
(ig) E ch’egli era pronto ec. Quanto è a me avrei omesse
le parole xeSo'Aau wapazuÀia‘ntr7ns dica-aprir (e in somma
per eccitarlo a fargli sapere), che non ha 1’ edizione dell’ Orsi
ni; ma avrei ancora cancellate le altre iur‘rp al; in 6iuvra: che
seguono, sebbene dall’ Orsini conservfle. Ed infatti lo stesso Ca
saubono che ha forse introdotte le prime da qualche codice ch’ egli
aVea sott’ occhi, non le tradusse, e nol fece neppure lo Schweigh.
Sono esse al tutto assurde , giacché non è da sopporsi che A
riarate chiesto avesse al senato di manifestarin ciò di cui esso
senato da lui abbisognava, e , quand’ anche ciò fosse stato, non
ne derivava la conseguenza (du'7: ) ch’egli era disposto a fare i
loro comandamenti, i quali non erano certamente dettati da nes
sun bisogno che avessero i Romani. Così ho dato al 64571 il sem
plice senso di che (quod ), da Polibio Spesso attribuito a questa
congiunzione.
(no) Menocari. « Amico di Demetrio il quale, fuggito da Ro
ma, erasi appropriato il regno di Siria, e mandato l’ avea a Grac
co ed agli altri ambasciadori romani ch’erano in Asia per esplo
rare la volontà di questi. Nel cap. 6 il veggiamo nuovamente in
viato a Roma dallo stesso Demetrio. » Sch’weigh.
(ai) Assumendo. L’tralzv'puos che ha qui il Nostro e cui
precisamente corrisponde il verbo col quale l’abbiam espresso è
più che il promiltens de’ traduttori latini, ed equivale proprio
Pontino , tam. nu. 16 '
___._h-hu Ùm°_rzv_’fi'fl f « : f
»4w
222
a suscipìens, in se recipiens, ch’ è quanto pigliando l’incarico
con obbligare l’onore, la fede.
(un) Gli riuscì. Bene si oppose lo SchWeigh. a ristabilire
l’ i2upyén'la che qui reca il cod. dell’ Orsini, eche , questi inel
tamente mutò nel congiuntivo ifiupyénu'la, donde il Casaub.
a sproposito fatto avea ’tfiupyémfle in plurale.
(25) Molto nflèzionnto. Tiberio era stato capo dell’ambascia
ta che i Romani mandata aveano in Asia per far esaminare gli
affari di que' potentati, ed essere testimone oculare delle mene di
Demetrio. Ora essendosi egli convinto del mal governo della Si
ria sotto il re fanciullo e gl’ infedeli amministratori, e conosciu
ta l’ affezione del popolo verso Demetrio che se ne mostrava de
gno, il prese a proteggere, e fu cagione principale del suo perve
nimento al trono (xxxr, 25 verso la fine
(al) Afarlo pervenire al possesso. Hp‘or 7‘o aa.9nueSau
x.ul x7»’me9m . ._ u’w7fi‘, scrisse il Nostro, che letteralmente suone
rebbe: A conseguir ed acquistare a lui, senso che mi sono in
gegnato di esprimere con qualche proprietà di termini. Lunga e
' poco conveniente sembrami la parafrasi de’ traduttori latini: Plu
rimum illum adiuvit ad impetrandum quod cupiebat, et ad jus
regni ci conciliandum (molto lo aiutò ad impetrare ciò che bra
mava, ed a procacciarin il diritto del regno). 'A'xi‘, èveramente
potestà suprema qual’ io l’ ho renduta.
(15) Il critico Isocrate. Nel cap. 6 di questo libro, dove lo
troviamo chiamato grammatico, è spiegata la sua professione ed
esposto il delitto per cui fu mandato a Roma coll’uccisore di 0t
tavio. c Critici (dice a questo luogo il Reiske) appellavano gli
antichi gl’ interpreti di tutti gli autori de’ secoli r'emoti, singolar
mente di Omero ed imaestri di scuola. a Filolagi diconsi oggi
dì , in senso diverso da quello che loro attribuivano i Greci,
presso cui significava questo vocabolo amatore degli studii , delle
disputazioni scientifiche , cultore della filosofia e delle lettere.
(26) Intorno a quel tempo ec. Nel cap. 5 è accennata la spe
dizione chc di questi ambasciadori fece Ariarate, e ciò sembra
aa3ii aài/ '
che avvenisse nella primavera o nel principio della state dell’ a.
di R. 595, dappoichè tosto leggiamo ch’ essi licenziati furono nel
I’ autunno dello stesso anno.
(27) Citavano cc. La lezione volgata ’nripvrn'lo (mandavano)
affatto assurda era già sospetta al Casaub. che vi pose innanzi
un asterisco e tradusse cilabant. Il Gronovio ne fece giudiziosa
mente ixuiiw7a, ed ebbe a seguace il Beislte. Lo Schweigb. ri
conobbe il suo torto di non aver accolto nel testo siffatta emen
dazione. Potevasi forse sostituire con maggior proprietà ampiam
Aiuv'la,, ’trrn'oavla; ma non è da disapprovarsi la scelta di un
vocabolo che più si avvicina al viziato, siccome imuîn'la ad
iwipru'lo, comechè sia in cotal senso meno usitato.
(a8) Con grande favore. Mi7b piyéaa; znip17as; della dif
ferenza che da zaisz passa a zup7a; nella medesima frase ab
biamo ragionato nella nota 116 al lib. xxu. Qui al certo non
converrebbe zafi; che ha il cod. Bav., trattandosi di una grazia
che accordi) il senato ad Ariarate in accettando il dono manda
togli.
(ag) Il bastone. Male spiega lo Schweigb. nelle note Te; ne
a-imu sceplrum eburneum, regi: insigne Bax7np/u, paifidot' lo
interpreta Esicbio, pia-7.“ Suida; espressioni che valgono basto
ne, bacchetta, verga, non altrimenti lo scettro, distintivo in ma
no a’ regnanti, e come tale da’Romani non tenuto in gran con
to. L’ eburneo bastone pertanto impugnavasida’duci romani nel
le pompe trionfali, e sopra una seggiola ;‘ la stessa materia a.
dagiavansi i primi maestrati, che percil chiamavansi cnrules.
Quindi il senato con siffatti doni intendeva di conferire a' re cui
li mandava le più sublimi dignità, e di onorarli al maggior
segno.
(30) Quando i consoli ec. Cioè nel mese di Marzo, passato
l'inverno , adunque nell’ anno nuovo posteriore a quello in cui
erano stati ricevuti gli ambasciadori di Ariarate. La osservazione
dello Scbweigh. che le gesto dell’inverno sono sempre da Poli
bio narrate tra le cose dell' anno che segue è qui fuor di luogo.
224
Che se vera è, come sembra, la lezione volgata i'fl srp‘a 7.6 zu
143"; (quando non era ancor incominciato l’ inverno), non
v’ebbe in questa stagione ricevimento d’ambasciate. Ma se, confor
me senza motivo suppone lo Schweigh. nelle note appiè di pa
gina, bassi a legger in 705 zupfinr (nel corso dell’inverno)
convien credere che la legazione di Attalo tenesse subito dietro
a quella del re di Cappadocia, ed il Nostro non avrebbe lascia
to (1’ indicarlo , siccom’egli indicò il subitaueo licenziamento del
l’ altra.
(5|) Accusandolo. Trovasi già fatta menzione di questa accu
sa qui sopra al cap. 5.
(5a) Accarezzava. Bene cangiò l’ Orsini il c0rrotto iqbnla
xu'u7o( lavorava , affaticavasi con amore) in Ì@lÀa@parît7e (gli
dimostrò autorevolezza); ma lo SchWeigh. credette di far meglio
scrivendo i@iAuruii7°, recato dal cod. Bav., ch’è verbo già usato
da Polibio. E pertanto @iAoa-oni'a9m 74m rendersi alcuno «
mico, ed in tal senso manifestamente lo adoperò il Nostro nel
lib. in, 42, dov’ein riferisce come Annibale con ogni mezzo si
rendetle amici ( pinerusn'ipinr) coloro che abitavano intorno
al Rodano. I Romani al certo non avean bisogno di procacciarsi
l’ amicizia di Attalo da loro protetto, sibbene della propria ver
so di lui gli davano segni accarezzandolo. Quindi stimo che sia
da preferirsi la correzione dell‘ Orsini. .
(55) Menocari ed altri. v. sopra la nota '10 tratta dalla
Schweigh. Appiano (Syriac. 47), narra queste cose in compen
dio, e non rammenta lsocrate condotto a Roma con Leptine uc
cisore di Ottavio.
(54) Ma gli uomini. Dice Appiano (l. e. ) che i Romani non
accettarono 1’ uccisore, perciocchè assegnarne voleano il processo
a’ Sirii. Da quanto asserisce il Nostro nel cap. 7, appare che que
sta non fosse la intenzione del senato, il quale volea lasciarli nel
le \manl di Demetrio, per punirli a tempo più opportuno.
(55) Che danno pubbliche lezioni. Nel lib. xxxr, c. 5. riscon
trammo la voce ɻpaaifsa7ct , ed osservammo nella correspettivai
'.-g'a--‘-f. - --_-‘f
225
nota al che cosi esprimevano i Greci il recitare in prosa non
meno che il cantar versi. Ma 1’ inquina che qui leggesi è sem
pre relativa al recitar della prosa, anzi di quella esclusivamente
che tratta di qualche scienza che il lettore insegna. Quindi èefm
_7n'pnv è il luogo dove si eseguiscono coteste letture, ed a'nipui.
rasa-9m, ànfaé09m l’assistere che vi fanno gli uditori, conforme
bassi da Esichio.
(36) Saeievole. lo avrei potuto rendere il nu'laxopi: per
rincrescevole, fastidioso, ma la voce che ho preferita, di otti
mo conio italiano , è la precisa traduzione della greca.
(57) Alceo. u Sembra costui essere stato il filosofo epicureo
che insieme con altri della sua setta fu cacciato da Roma l’ anno
58 t, secondo che riferisce Ateneo ( xn, p. 547 ), ed Eliano ( Var.
Hist., xx, m ). n Reiske. Coloro che secondo il testo circondavan
Alceo (751 Z'ip‘l Tor A)tmeiu ) erano verisimilmente i suoi di
scepoli, che accompagnavan il maestro per fargli onore.
(58) Discendeva al paragone. Ziyxpunr è propriamente il.
cenfronto che si fa di due cose le quali si avvicinano, o di due
proposizioni, o sentenze che mettonsi a parallelo, onde conosce
re le loro similitudini e discrepanze. Ciò accade nelle disputazio
ni filosofiche, ed e a credersi che per tale motivo si cimentars
sera lsocrate ed Alceo. il Casaub. adunque che in 'roÎs' ovyxierrn
tradusse in commissionibus, cioè nelle discussioni, dispute , non si
appese male; ma la congettura del Reiske che wyuvpn'ernv, ne
gl’ incontri abbia scritto Polibio, quasichè Alceo, abbattutosi per
accidente in qualsivoglia luogo ad lsocrate, l’ avesse motteggiato
e deriso, diportandosi da buffone inurbano , anzichè da piacc
vole ragionatore, siffatta congettura non è punto da adottarsi. Ma
mi va a sangue la ipotesi dello Schweigh. neltlizionario polibia
no, che Alceo pubblicato avesse un opuscolo intitolato e'o'7upi
cm, confronti, nel quale levava i peizi del ridevole grammati
co; che una composizione tanto leggiera non meritava un titolo
cosl grave.
(59) Argutamente- Ea-uiefius, proprio destramenle, a pro
I
-" F \
L18I.
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lt‘ì3
226
patito, cioè con quella finissima arguzia ch’ era necessaria, arti".
che il gonzo non si accorgesse di essere burlato. Urbanitate di
c!orum che hanno i traduttori latini non esprime questo senso.
La ironia ch’è il biasimo sotto specie di lodee l’ assurdo in l'or
ma di verità, tanto felicemente usati da Socrate contro i sofisti,
e da Alceo ancora contro Socrate; la ironia , dissi, non panni
consistere nella sola urbanità de'dettî.
(40) Disprezzava la gente. « Reputandola troppo sempliCe e
grossolana per aspettarsene danno, sibbenestimando doverin riusci
re sicuro ed impu'nim tutto ciò che tra (1’ essa facesse o dicesse;
perciocch‘e pareagli esser quella tarda a segno che non si avvedreb
ho da’ discorsi suoi sediziosi ed inimici contro i Romani, e trop
p’ onesta e dabbene per riferire a questi i fatti ed i detti suoi in
giuriosi contro di loro. Ma in amendue le cose egli s’insannava.
Se v’ ha tra i mortali degli astuti, scellerati, falsatori ed improbi,
perfidi e spergiuri,i Siri al certo il furono più di ognialtra na
zione, ed in ciò si accorda la testimonianza di tutta l’ antichità. n
Reiske.
(4:) .Sfrennta prepotenza. Acconsento allo Schweigh. che in
vece di èmi'6au; sostituito dall‘ Orsini allo sbagliato inu'6»; del
suo MS. abbiasi a porre à,lrlqv , conforme già il fece nel lib. x,
26, al qual luogo consultisî la nostra nota 145. Qui sovrattutto
dove si tratta di abuso di dominio lo scioglimento da ogni fre
no bene adattasi all’ iwan'u, e meglio che nel passo testé cita
to, nel quale la svergognatezza fa degna compagnia alla licenza
da’ costumi. - Parrà a taluno inconveniente la qualificazione di
un sostantivo fatta dall‘avverbio che il precede, ma èquesta pro
prietà della lingua greca di cui molti esempli potrebbonsi citare,
ma per non istaccarci da questo medesimo vocabolo presentere
mo al leggitore in Diodoro (T. n , p. 586 cc. Wessel. ) ai èviò‘m
i‘yJam‘i (le voluttà sfrenato). È forse elittica coteste frase e vi si
sottintende wponrouwpén; ('lfwn'a), o'zwoÀawepiym (siderali)
licenza sraennsmenrs arrogalasi,volullà srnsmnmenrs godute,
o altri verbi simili.
2727,3«51
(Ala) Laorlicen. In questa città sappiamo da Appiano (’Syriac.
46) che Leptine ucciso avea’ Ottavio, mentrechè ungevasi nel gin
nasio. Lo stesso riferisce Cicerone (P/iilipp., ix, a).
(45) Jver se' data cc. Qui bassi a leggere arstanyuîvds, con
forme osserva lo Schweigh., dappoichè parla di sè Leptine, ch’e
ra la parte attiva , laddove nel cap. antecedente la parte passiva,
cioè Ottavio, è recata in mezzo da lsocrate, edovea quindi esser
significata per artxu9imt, che l’ Orsini male qui riprodusse ,
traendo in errore gli editori che vennero dopo di lui, non e
scluso il Casaubono. - flau'iv 7nu. 7h dt’nam dice il Reiske che
è quanto srpti: 7nn aceoglier alcuno condegnamenle a’suoi ma
riti; ma questa supposizione non è necessaria. Sta in cotal frase
1’ accusativo per il dativo, non altrimenti che in quelle di Seno
fonte (Cyrap. m, a, 15) Kaxis sipi'ir muîv7u e( ivi vi, I, 7)
xazit 7ein iraAt,uniuf urnai'ipn per sips'i': e 7aÎs rally/“g;
laddova nel medesimo (Cyrop., I, 4, ma ), trovasi l’accusativo del
la cosa col dativo della persona, 4>oyi|r 707; are).tpius I7rafil.
(M) A Gnea. Il cod Bav. non ha 721 ['miu, siccome ci
avverte lo Schvveigb., il quale amerebbc che fosse omesso. Non
bene al certo suona la ripetizione di questo nome nel medesimo
periodo, ma Polibio non badava troppo a queste delicatezze di
stile, e senza quell’ aggiunta tronca sarebbe riuscita la frase, che
non è delle meno eleganti.
(45) Laodìcei. Il gentilizio di Lodicea Amd/um non trovasi
in Stef. Bizant. dopo una lunga diceria ch’ ein fa supra questa
città; ma'è desse Aaadnufi, siccome .sz7n:bs è l’ abitante di
Mm7nna, Mantfnea, 'Amefeiifi quello di 'Asrnipsm, Apamea,
riferiti dallo stesso Geografo , e il loro nominativo plurale è
Ammins'ir, Mav7us'ir, Ana;uir , quindi il genitivo dello stesso
numero Azadnsian , conforme scrisse bene il Casaub. in lungo
del Aaodnnuiuv de’ MSS.
(46) Ma lsocrate. Leptine era un pazzo fanatico che diluita
buona fede aveva ucciso I’ambasciadore romano. All’opposito
in Isocrate era profonda malizia, che sfog:wasi con imprecazioni
228
e minacce, ma per viltà non sarebbe mai trascorsa ad un fatto
atroce. Perciò appunto veggiam il primo, pieno di fiducia in sè
stesso, presentarsi volonteroso dinanzi al supremo tribunale diun
popolo qual era il romano, ch' egli avea tanto gravemente offe
so, e l’ altro conscio della sua dappocaggine darsi all’ estrema
disperazione per le intprudenti parole da lui preferite.
(47) Le bove. Voce derivata dal latino bojae, e che appunto
perciò anche in italiano non trovasi che nel plurale. Significa
l’ anello che a’ rei di gravi delitti mettesi intorno al collo, com
posto di due pezzi aperti_in sul davanti e di dietro, congegnati
per modo che girano intorno ad un perno, dalla quale struttura
deriva forse la pluralità di questo nome. È precisamente il gre
co nàu‘e; che qui leggesi da nAeiu chiudere, che praticasi nella
sua parte anteriore.
(48) Tagliate ec. Questo verbo ho io aggiunto nella tradu
zione in grazia della proprietà di nostra favella che non avreb
be tollerata la frase levare (anpia-Sw), le 'ugne ed i ca
pelli.
(49) E la di.rposizione delll'animo. Ti: 7| za'iiz 7àv 6ninmv,
letteralmente le con appartenenti al pensiero , cioè a dire: i
pensieri ch’ ein volgea per la mente, gli atti ch’ ein macchi
nava, i progetti che nell’animo covava. Aninm è proprio ciò
che passa per la mente 342: 7.3 mi: , che contiene tutte le fa
coltà dell’anima e la volontà ancora mossa dain alletti, in che
veramente consiste la disposizione dell’animo. - Sembrava co
stui un animale , che stretto da ferri vie più arrabbia e mette
spavento a chi gli sta dappresso.
(50) Che spirava dagli occhi un Ex. 7;: 751 àaaé7ui sfiori
non mai xnn'o‘eur, dalla dichiarazione, manifestazione degli
occhi e del movimento. La qual dichiarazione è la favella muta
ma energica di queste parti che come spirito ne esala.
(5|) Più francamente. Avrebbe qui scritto il Nostro ira-90
;ii7ipv, di miglior grado, con minore riservatezza che non i7u
pa'7ipu, più prontamente, ch’ esprime la maggiore celerità, ma
. 229
non l’ animo più sicuro nell’ appressarsi ? Oltrecbè l’i'7upa': che
segue tosto diviene, lasciando la scrittura vulgata, una ripetizione
disaggradevole. - ’EvSipac nel Senso di animo ben disposto ad
alcuna cosa trovasi nel lib. m, e. 34 verso la fine, che noi vol
tammo di buon grado.
(52) Imperciocchè il senato ec. Il supplizio di costoro non
era creduto sufficiente per punire l’ atroce delitto della uccisio
ne di Ottavio. Sospettava il senato che avassero complici ne'
grandi stessi del regno, e ne volea venir in chiaro, serbando a'
prigioni la vita. A- tal uopo collocava esso tutta la sua fiducia
in Demetrio che (c. 4), avea promesso di far tutto pe’ Romani ,
e glielo ricordò nella presente occasione , siccome tosto leggesi.
(55) Ma serbassi la causa intatta, cioè non la trattò allora,
restituendo i colpevoli a Demetrio, che far dovea le opportune
investigazioni ed i necessarii confronti, onde porre il senato nel
la possibilità digiurlicare sopra quella faccenda secondo tutta la
sua estensione. - Le parole per.an 3:71 , innanzi alle quali il
Casaub. pose un asterisco, ma che omise nella traduzione, qui
non convengono, siccome nota lo Schweigh. Il Reiske inutil
mente si aiTaticò di dar loro un senso. Propos’ egli di spiegarle
in questo modo: Paco mancò che non li ricevesse neppur en
tro le mura della città.
(54) Giusta la promessa di prima. Ka7ì 7D‘II ii èpzî; ifiou
n'm. Il Reiske nota di sospetto l’ iEwe/m, emeritamente; Cltè
Demetrio non avea nella presente vertenza ottenuta nessuna fa
coltà dal senato. Quindi è giusta la sua sopposizione che inni
irzwn, promessa, o wr9:ixgr, palio, 0 flirrd’flr, principio stabili
ta (V. xx, 22) sia la vera lezione. Male tradusse il Casaub. co
piato dallo Scbweigh.: Si idonea ratione caveril. Se in ipsius
(senatus) polestale esse futurum , sicut esset olim (se 'egli in
I,
modo idoneo assicurasse che sarebbe in potere del senato, sicco-,
me lo era in addietro). Io ho seguito il Beiske anche nella ver
sione della l‘ormola ìmnln arsoii.
(55) Vennero eziandio ec. Trattavasi degl’inl'elici che accu
s:
33
230
sati da Callicrate erano stati mandati a Roma, e senza processo
distribuiti in‘ esilio per molte città d’Italia, dOVe il maggior nu
mero di loro peri di afflizione e di stento. - Non si comprende -
perché tra questi Stratio fosse condannato e Senone rimanesse in
patria , trovandosi pur amendue nel novero diquelli che consul
tarono ed esposero le loro opinioni sul partito che gli Acbei a
vevan a pigliare nella guerra tra Perseo ed i Romani (xxvm,
6). Se non che furono forse risparmiati coloro che consigliaro
no di temporeggiare e non dar a' nemici occasione d'accusa, alla
qual setta apparteneva Senone.
(56) Ragguardevali. Il testo ha puipqr rifious, degni di me
moria , di menzione. I traduttori latini scrissero etpraecipuos
quosque (e quanti v’ avea de’principali ) che è troppo.
(57) Avea già consumati. Il volgato xu7nm).aiuu è al cer
to un errore, notato bensì dallo Schweigh., ma da lui non ri
cevuto nel testo. Bene ha il cod. Bav. xe'iqm7lóeu.
(58) La maggior e più bella prova cc. Che Emilio Paullo
morisse l’ anno di Roma 594 , o in sulla fine dell’ anno antecedente,
chiaro dimostra il titolo degli Adelfi di Terenzio , dove leggasi
che questa comedia venne (la prima volta) recitata ne'giuochi
funebri di quel grand’ uomo sotto il consolato di L. Anicio e M.
Cornelio (Cetego ), che fu appunto in quell’ anno. Se ne avvide
lo Schweigb., ma il Reiske andò qui in ciampanelle.
(59) La condotta. Male, secondochè io credo, fu renduto in
abstinentiu il 7piifl’oi che qui usa il Nostro. Il senso primitivo
di questo vocabolo è modo , genere , al quale nel presente passo
si sottintende di condursi nella vita. E siffatta qualificazione ha
certamente un senso più largo che non quella dell’astinenza, seb
bene questa virtù sopra le altre in Emilio spiceasse.
(60) Il Maggiore indizio di virtù. In vita può l’ adulazione
far apparire virtuose qualità in un uomo potente e temuto, Ed
un astuto contegno coprirne i difetti, ma oltre la tomba ammu
tolisce l'adulazione de’ cattivi non meno che l’ invidia de’ buoni,
ed una critica spassionata squarcia il velo sotto al quale nascon
devausi i vizii de’ primi e le virtù degli altri. ' ‘
Lit?
33’186;
(6|) Recata di Spagna in Roma ec. Molto sarebbe da ma
ravigliarsi se Emilio non avesse trionfato degli Spagnuoli e de’
Macedoni, siccom’ egli, a detta di Livio (xx. , 28), fece, essen
do proconsole, de’ Liguri luganni, cb' erano assai meno potenti,
e donde, al dire dello stesso Livio, pochissimo oro e niente d'ar
gento portò in patria. Ma non ist‘a cosi la faccenda. Una lapida
trovata a Roma e riferita da Giusto l.ipsio (Jnimadver. in C. Vel
Ieii. Patere. Hist., p. 16, Opp. tom. v, ediz. Plantiu.) ha la se
guente iscrizione :
L . AEMILIVS . L - F . PAVLLVS
cos . u . CENSOR'. AVGVR
TRIVMPHAVIT . ma .
Dond’ e manifesto ch’ egli e delle vittorie riportate in lspagna co
me pretore con potestà consolare , siccome bassi da Plutarco ,e
del soggiogato regno di Macedonia menasse trionfi tanto più splen
didi, quanto in questi 1' effigie di maggior numero di città e
quantità più grande assai d’ oro e d’ argento poteva condurre in
mostra che non nel trionfo de’ Liguri. Quindi non doveano il
Sigonio ed il Manuzio tacciar di errore Vellejo Patercolo, il
quale (I, 19) scrisse , che avanti la guerra macedonica Emilio
trionfato‘ avea due volte , essendo pretore in lspagna e console
(in Liguria ), cui aggiunse il terzo nel secondo consolato , nel
quale (sono parole di Vellejo) maximum nobili:simumque re
gem in triumpho duxit. Ma la descrizione diquesti due maggio
ri trionfi è perduta cosi in Polibio come in Livio.
(62) Tanto poche sostanze lasciò. Tanii7or ùiriAuri 7‘u
i3i'u fii’n. Verbalmente: tanto lasciò propria sostanza, facoltà,
dov’è da uotarsi che 7oo'oii7of esprime e molto e poco, nel qual
ultimo significato riscontrasi ancora in Senofonte (Cyrop. VI, 5 ,
Sa ). Potea dunque il Vallesio tradurlo con maggior precisione
tam panca: in vece di ma faeullales. - Del resto Biu che si
\
gnifica tanto vita clic i mezzi per sostenerla e nell’ ultimo di
232
questi sensi più famigliare al Nostro nel plurale, sebbene quil’ab
bis posto nel singolare.
(65) Che non si poté pagare cc. T. Livio (Epit. lib. xnvx)
dice che dalla pubblica vendita delle sue sostanze (ex auctione
ejus) appena potè cavarsi tanto da poter pagare la dote alla mo'
glie. Ma da quanto qui narra il Nostro pare che la vendita del
le masserizie e di alcuni fondi bastasse a pagarla tutta. - Dispiat:=
ciono al Reiske i due infiniti attivi dómeSx:,e dmì.6em,e vor
rebb' egli che un sostantivo in questo caso li unisse ; quindi pro
pone d’ introdure 'iiav /3in, non poteva la sua facoltà pagare
ec., ovveramente 7sz arai'dac, non potevano [fiin cc. Non di.
sdirebbesi pertanto di mutare , senza siffatta aggiunta il cliente“:
attivo in 8m).u9îvm passivo, e 751 @2pnn accusat. in si Qipm
nominat. per modo che corrisponderebbe al latino non potuisse
solùi dos. Ma non credo che faccia d’ uopo‘cangiar nulla , dap
poichè lo Schweigh. in una dottissima nota al e. 4 del lib. l ha
con molti esempi dimostrato che Polibio sovente usa 1’ infinito
attivo in luogo del passivo e dell’ impersonale. Tuttavia siccome
colà, per avviso di lui sempre si sottintende un qualche accusa
tivo che compie il senso, cosi qui pure non sarebbe fuori di pro
posito se si sottintendesse uno degli accusativi indicati dal Reiske.
(64) All’ ateniese Aristide ed al [ebano Epaminonda. Il pri
mo, secondochè riferiscono Nepote e Plutarco , quantunque ma
neggiato avesse molto pubblico danaro, mori poverissimo. II per
chi: la sua astinenza potrebb’essere paragonata a quella di Emi
lio, il quale essendo arbitro, siccome vedemmo di sopra, de’ te
sori ingenti che raccolse in lspagna ed in Macedonia, di leggieri se
ne sarebbe potuto appropriare una parte, senza necessità di i‘en
derne conto; laddove ad Aristide, per le cui mani passavano le
rendite dello stato ateniese, delle quali egli era risponsabile, ciò
non poteva facilmente riuscire. - L’ eroe di Tebe qui rammen
tato narra Nepote che non acCettò il danaro offertoin dal re di
Persia col mezzo di un fanciullo da lui amato teneramente, e da
Plutarco sappiamo eh' egli rifiutò due mila monete d'oro esibi
333’ 631
tein da Giasone tiranno de’ TesSali , sebbene in grande ristret
tezze si trovasse.
(65) Che se quanto abbiamo detto cc. La frase qui usata dal
Nostro ha dello strano anziché no. Scriv’ egli 'Ei 3’àm'ng 7|
Aly.iplnv 3ifu ioninu 7ir‘ii se all’ incredibile il della sem
brerà assomigliare ad alcuni, dove all’ilmuov volgato il Gro
novio seguito dal Reislre e dallo Schweigh. sostituì èm’ng. Io
preferirei l’ altra lezione proposta dal Gronovio, e, lasciando in
tatto il volgato Zimrru, scriverei sia: per innirnu, ch’ è modo
di esprimere più naturale. Diodoro (Le. ), in copiando il Nostrp
quasi colle stesse sue parole, ha più schiettamente ancora: ’Ei 3|
a‘imo‘r‘or 704 Quln7m 'll: Mya"uun, se incredibile ad alcuno pa
re ciò ch’è della.
(66) A chi falsamente le riferisce. In questa mancanza non
' incorse certamente Polibio, nè qui, ne in nessuna parte della
sua storia. Ciò non pertanto poteva egli, mentrechè c0n tutta gin»
stizia e verità esaltava la mirabile a5tinenza di Emilio Paullo, es
ser meno ingiusto versoi suoi compatrioti, nè dire, sebbene con
mitigata espressione (dirà taluno), che appello alla gloria del
Romano in siffatto particolare svanita fosse e disciolla (un'in
MMiv9m ), quella de’ capitani greci da lui ricordati.
(67) Ne ha condotti. 'Epacrqzl7m, propriamente ci ha posti,
collocati. Non so a cosa pensasse lo Schweigh. passivo dichia
rando questo passato , e qui ed in altri luoghi del Nostro ‘( m ,
1|8 ; x, 20 , 24 ), dov’ è usato in senso attivo contro il costume
degli altri scrittori. Fatto sta che il passivo di cotesto participio
suona 'csz-uS‘ur , e qui leggerebbesi ’iQirniSin'lm nell’ipotesi
di quel commentatore.
(68) Ciò che nel libro antecedente ec. Perduta è la parte
del lib. xxx: in cui contenevasi questa promessa.
(69) Che non convenivasi. Il testo ha solo il anîîxt1, che
convenivasi, ma, parendo questa espressione quasi oltraggiosa al
merito di Scipione , il traduttore cosi la modificò: Quam cou
scntancum videri polerat, ed io ho creduto_ragionevolc di acco
starmi a questa modificazione.
234
(70) ijeu'one ed intrinsiclnua. "Arpen sai eupupt@opii;
il primo de’ quali vocaboli, trattandosi di amicizia, denota la
scelta che si fa per inclinazione, il secondo la famigliarità che
si stabilisce tra persone che stannosi 1’ un all’altro dattarno e
sono unite, conforme lo indica l’ etimologia d’ amendue.
(7|) Distribuiti pelle città , d' Etruria secondo Pausania
(vu , 10); quindi male tradusse il Vallesio per municipia ha.
liae. lo ho renduto il semplice ttpi 7lss wa'ìtus del testo.
(71) Impetrarono. Nè il volgato diinnu, da dimri’2r7tr r, sfug
gir, aberrare, nè driefluflfl, da 3mn-iwînv, spicciare, a[fret
tare che congetturò il Yalesio ed approvòlo Schweigh. qui con
vengono. Meglio la intese il Reiske che propose diirfafav,fe
cero si che ottennero , ed io 1’ ho adottato.
(75) Insieme. Sìmul fu tradotto il za'lir'l5v'l‘o del testo e che
interpretar dovrebbesi nella stessa tlirezione, a quella stessa
volta, che poscia abbandonarono, dirigendosi Fabio da una par
te , Scipione e Polibio dall'altra , lo che esprime l’ lari 9a'lipgr.
che segue, ch’è la scrittura vblgata, e cui si sottintende 1erpqî
banda, fianco) 0 Ìri Sai'lspu, nominat. plur. di Sulla," , con
forme piacque meglio al Gronovìo ed al Reiske. Certo è, che per
volgersi amendue da un lato doveano trovarsi insieme, ma se il
Nostro non avesse voluto indicar che la loro unione si sarebbe
contentato di scrivere iipa, ovveramente ipefi.
(74) Essendo noi due fratelli. Il testo ha qui certamente bi
sogno di correzione , e ben se ne avvide il Reiske, al quale non
andando a’ versi quel 7paiya,utv, ch’è una brutta foggia di mau
giare , cioè rosicchiare , volle che si sbandisse al tutto cotesta
idea materiale e si scrivesse e' ipu7ó,au , essendo noid. t’ in
terroghiama. Lo Schweigh., il quale taccia questa interpretazio
ne di freddezza, crede che la lezione volgata sia un modo pro
verbiale e che significhi n. d. fr. siamo insieme allevati (una
alimur fratres); ma questo senso sarebbe molto meglio reudulo
da vuv7;s@ipsSa. lo, a dir vero, mi sento più inclinato a rice
vere la emendazione del Reiske, dappoicbè è falso che i due figli di
‘ /,(5Αzat
L. Emilio, passati per adozione nelle famiglie Fabio e Scipio
ne, si allevassero insieme, essendo ciascheduno di loro stato al
loggiato in casa del nuovo padre, siccome qui appunto veggiamo
Scipione uscito dall’ abitazione di Fabio dove fu con Polibio a
visitarlo, e così è da intendersi che Fabio talvolta si recasse in
casa dell’altro fratello. Forse scrisse il Nostro semplicemente lÎfHI,
o con più regolarità duoî D;.M;I iiu7m è3iAqn:,come l’ho sup
posto nella traduzione.
(75) Della pratica. Secondo il Reiske =rpé€u significa qui
industria, attività, diligenza , assiduità. Inslituta tradusse lo
Schweigh. Io credo che corrisponda a uso ,consuetudine, e che
nella nostra favella gli si confaccia il vocabolo che ho scelto, per
aVVentura dal greco derivato.
(76) Non prendo a difimder cause. Tutti i Romani apparte
nenti a distinte famiglie che dedicavansi agli affari di stato inco
minciavano la loro carriera nel foro, onde dar saggio della loro
abilità, e procacciarsi ad un tempo clientele ed amici. Era‘per
tanto Scipione troppo giovane per siffatta occupazione, alla quale
sappiamo che Cicerone si diede in età appena di venzei anni. È da
notarsi la frase greca che qui riscontrasi , epi'flif Ài9vltl, parla
re , discutere giudizii , sentenze.
(77) L’ ingresso del discorso. Nella traduzione latina fu sorpas
sato il za7Jpxti, principio, introduzione,con cui Scipione faceasi
strada a chiedere l’ assistenza di Polibio ed a manifestargli il suo
desiderio , ch' egli a tal uopo seco lui vivesse.‘
(78) Che allora non avea più di diciotto anni. a Non do
po la morte di L. Emilio avea Scipione diciotto anni, siccome
pare che da questo luogo del Nostro cavasse Diod. Sic. , ma era
la sua età allora di venticinque anni. Parla pertanto qui Polibio
di una cosa avvenuta in addietro , non molto ddpo che Perseo
fu vinto da Emilio. » Schweigh.
(79) Ti reputi da unita. Ka7aynónur che qui riscontrasi
è, secondocbt‘: osserva lo Schweigh. nel dizionario polibiano, più
che zela@putiv. Ed infatti il primo di questi verbi esprime il
236
di5prczzare che si fa alcuno perchè lo si conosce di ciò merite
vole; l’ altro significa disprezzo per altensza d’ animo, orgo
glio , da Qppu'iv che sovente prendesi nel senso di altos spiri
tu: gerere, aver grande opini0ne di sé. In Polibio capir non
dovea il secondo di questi sentimenti; sibbene egli si protesta
che Scipione non meritava l’ altro. ‘10 mi sono ingegnato di pa
rafrasarc adeguatamente il verbo ch’è nel testo.
(80) Che ti sembri esser più dolce. Il 73 premesso al 1,46
'l|fn fece credere al Valesio che avanti quella particella fosse o
messa qualche parola, ch’ egli suppose iinuîo; , vcrgtigna. Al
lo Schweigh. parve doversi al 7), far precedere mi Aum'iv, op
pure mi fai vrpaw'lspos lima, per modo che il senso sarebbe:
Che sembri affliggerti per essere tu più delta. Ma cancellando
il 73 la piaga è sanata, e non e mestieri di alcuna aggiunta, Io
che io.bo eseguito, cangiando solo, secondo lo Schweigh., la de
sinenze or in 0;.
(81) Per ciò che spetta agl' insegnamenti. Innanzi la' con
quista della Grecia rozzi erano i Romani nelle scienze e nelle
arti che inciviliscono le nazioni. Ma come‘prima da quelle sog
giogate contrade afflui in Italia ogni maniera di (lotti, le famiglie
più c05picue di Roma affrettaronsi di far tesoro delle loro co
gnizioni; non altrimenti che in età molto posteriore l’impero
greco degli Ottomani distrutto diede occasione a grande numero
di quegli scienziati di migrare in Italia e di recarvi il loro sape
re, a sommo vantaggio della coli: rinata civiltà. - Polibio offe
rivasi a Scipione ed al fratello per l’ammaestrameuto nella scien
za politica ed in quella della guerra, nella quale già grandcggia
vano i Romani. Queste erano appunto le cose degne de’ maggiori
di Scipione, in cui egli rattristavasi di non avere per anche nul
la operato.
(8a) Mutua dichiarazione. 'Opuhoyfx. è quanto confessione
nella quale si dichiara il proprio apimo; quindi urQopcAoyiz non è
altrimenti stipulatio, contrattazione, stabilimento di patti, con
forme tradusse lo Schweigh., sibbene reciproca confessione.
"
217 "-«’t"
(85) Ottenevasi allora in Roma agevolmente. Anzi la corruzio
ne generale render dovea col mal esempio tanto esteso ben perico
losa la seduzione, e difficoltare al giovine più costumato per na
tura il tenersi ne’ limiti della virtù. - Se non che siccome, se
condo il proverbio , in terra di ciechi un losco è re, in siffat
ta contingenza poco merito bastava per conseguire lode. - Il Va
lesio tradusse l’iv5ipa'lar, cui l’ Ernesto e lo Schweigh. diedero
un senso metaforico , nel suo significato primitivo,facile a m
pirsi per insidia, come si fa nella caccia, 9ifq., d' ond’ è deri
vato quell’ aggettivo. Non errò ein pertanto si grossolanamente
come lo Schweigb. ebbe asserito. J
(84) Tutti si abbandonavano. Ho'v01uto in qualche modo
rendere nel nostro volgare l’ energico lfiszixuv'l. che ha qui il
Nostro da ixzi’m-9m , spandersi, trarsi fuori, e_[fundi.
(85) A canti osceni. Nella nota 21 al lib. xxxr ho già os
servato che Polibio piglia quasi sempre la voce èupuiy.a'ln
nel senso di canto, comecbè significar possa e versi e prosa, ne’
quali alcun componimento si canta o si recita. Qui al certo trat
tasi de’ canti che, modulati sopra temi osceni, escono dalle hoc
che di gente avvinazzata.
(86) Avendo ben presto dato di piglio ec. Sorprende, a dir
vero, la celerità somma con cui questo contagio morale si diffu
su tra la gioventù di Roma. Terribil esempio del potere depra
vatore eh1 esercitano su’ costumi i piaceri sensuali raffinati dal gu
sto ch’ è pur figlio della civiltà. Ma aveano i Romani a cotali
disordini il gran rimedio della censura e delle leggi suntuarie, e
bastaron allora la legge Faunia e le severe discipline inculcate
e messe in pratica da Catone per. ricondurre la temperanza in
quella patria d’ eroi. V. lib. xxx: , c. 24 , e colà la nota 158.
1\'è poco è da credersi che vi contribuisse la vita moderata e da
ogni lussuria aliena che menava Scipione.
(87) Quasichè dissi risplendeva. Io volli ritenere l’inÀal.u
duri , metafora invero alquanto ardita , ma rattemprata dall’inv
che la precede, anziché tradurre i fianchi vigiiit ac flaruit de’
rounto, tam. 7111. 17
218
traduttori latini, cui potevasi con maggiore proprietà sostituire quasi
eminuit, emicavit. Tutto ciò di cui si fa pompa, che si mettein
mostra , siccome quel licenzioso tenore di vita, in qualche modo
risplende.
(88)\Le ricchezze. Non meno i} zc'qyt'nt. che 73 zappyî'uv e
xc”,th significano le cose necessarie alla vita e le spese che
si fanno onde procacciarsele, ma qui prendesi questa espressione
in un senso più largo, non solo di cose necessarie, ma eziandio
di quelle che al viver agiato e magnifico appartengono.
(89) Ne’ primi cinque anni. M Il Quinquennio intendi ch’è
dall’ addossata toga virile all’anno ventesimo; perciocchè in que
sto spazio di tempo i giovani abbisognano della maggior custodia.
A Roma certamente dalla fama di quella età faceasi giudizio di
tutto il resto della vita , conforme insegna Cicerone nella orazio
ne per M. Celio e. 5, con queste parole: Nella qual età se al
cuno non erasi da sè difeso colla sua gravità e castigatezza
e colla disciplina domestica, in qualsivoglia modo fosse stato
da’ suoi custodito , non potea tuttavia fuggire la vera in_fizmia.
Ma chi que’ primi incaminciammti dell’ età prestava incorrotti
ed inviolati, della costui fama e pudicizia, quando già era per
venuta ain anni del vigore, ed uomo era tra uomini, nessuno
parlava. n Valesio. Da questi detti dell’ oratore romano scorge
si che , per mettere in salvo il buon nome di un giovine, suffi
ciente non era la rigorosa custodia in che lo tenevanoi genito
ri 0 altri di ciò incaricati, ma ch’ egli stesso dovea armarsi del
le virtù necessarie a conservare la purezza de’ suoi costumi, sic
come veggiamo che operò Scipione.
(go) Compostezza. Così mi, è sembrato doversi tradurre 'eu7e
fin, cui corrisponde la definizione che di quel vocabolo di: la
Crusca: Aggiustatezza o modestia d’ abito e di costumi. Cice
rone (De o_/]ic. - 40) la spiega con queste parole: In qua in
telligitur ordinis conservatio, e la vuole diversa dalla modestia,
qua in verbo , dic’ egli, modus inest , come chi l’appellasse li
mitazione ric’desiderii e delle azioni. Ma dagli Stoici, continua
9”9
lo stesso, si definisce modestia la scienza di quelle cose che fan
nosi o diconsi, e hanno ad essere collocate al loro luogo. Non ho
pertanto voluto usare qui semplicemente il vocabolo modestia ,
siccome fece lo ScbWeigh. , ma appigliato mi sono a voce tale
ch' esprime posizione ordinata e secondo leggi stabilite, qual'è
“in, donde formasi ìU7flE/l.
(9|) Ammnestramento. Il volgato indizi" con ragione fu
disapprovato dal Reiske, il quale propone di sostituirvi 3tdazi‘n,
istruzione , ovvero (zaAln) òa-o'Jnyyo , (bello) esempio. Al
l'Ernesti piacque di non cangiare nulla, spiegando indugi", a‘
juto, quasi rifugio, onde Scipione prender poteva ammonizioni.
predetti, esempli , consigli. Io ho preferito diduxiiv,consideran
do che la convivenza col padre dal qual era nato, cioè con L.
Emilio , porgerin potea efficace istruzione perla condotta da te
nersi, alla qual istruzione riducevasi lo stesso esempio. Il rifugio
poi presuppone necessità o pericolo, ne’ quali frangenti non tro
vavasi al certo di continuo il buon Scipione.
(ga) Padre carnale. Nel testo e utili pian, seconda natu
ra, intorno alla qual frase così nell’ idioma greca come nel No
stro veggasi la nota 108 al lib. xvm.
(95) La fortuna. Questa , siccome vedremo ne’ seguenti capi
toli, gli offeri parecchie splendide occasioni di dimostrare la gran
dezza del suo animo.
(95) Il _Mnggiore. Intorno a questa qualificazione di nome veggasi la nota II! al lib. ixvm.
(95) Che questo era il nome ec. Cotale spiegazione sembra
superflua, conservando presso i Romani le fanciulle che anda
vano a marito il nome gentile della famiglia donde traevaui na
tali, e la moglie di Scipione discendeva dalla famiglia Emilia, so
rella essendo, conforme qui dicesi, di L. Emilio. Senon che Po
libio scriveva pe’ Greci a'quali alieno era siffatto costume.
(96) Qfoggiare. Qui prendo questo verbo in un senso più lar
go dell’usato , riferendolo non solo a’ vestiti, ma agli altri oggetti
ancora che a quelle pompe appartengono. Mcyum;ufi 71‘" mg!
I
Q1.’à
220
rrarn i"zru scrisse Polibio: Aver magnifica condizione. Circa il
significato del vocabolo srlpl'rrafl; v. la nota 559 al lib. m, -
Hspmom‘; che leggasi poco appresso è suo sinonimo.
(97) Pompe matronali. Celebravaqsi in Roma queste feste che
appellavansi Matronalia il primo di marzo, sulle quali è da ve
dersi Ovidio, Fast. lib. m, vv. 229 e seg., dove esposti sono i mo
tivi e le varie commemorazioni per cui furono istituite, tra le
quali era la principale che in quel giorno le Romane rapito da’
Sabini si frapposero alle armi de’ mariti e de’ parenti, e colle lo
ro lagrime cessar li fecero dal pugnare. - Ma a Diana ancora
sacrificavano le vergini romane con pompa il di 13 d' agosto
( Oraz., lib. n, Ode u. Properz., lib. n, eleg. 15), ed a Venere le
donne il primo ed il 25 d’aprile (Ovid., Fast. xv. Plutarco, Quist.
rom. , num. 45.
(98) La seguitavano. Non comprendo comei traduttori latini
facessero praejèrebantur dal c'viEflxoìta't49tt éu7fi che significa ciò
in che l’abbiamo voltato. Il singolare nel quale è posto questo ver
bo è atticismo, e si riferisce agli oggetti che seguivano, conforme
ne fa fede'l’ ciu7fi che gli tiene dietro.
(99) Donò ec. u Circa questa liberalità di Scipione leggesi nel
Lelio di Cicerone (c. 3):' Che dirò io de’ suoi costumi dolcis
simi (facillimis ), della pietà verso la madre, della bontà ver
so i suoi? e Valesio.
(mo) Erasi separata. Questo mi è sembrato il valore di u
xàIptlo'sal che male si è renduto in latino per repudiata est, cui
corrisponde nel greco àarewipm7a. Differiva presso i Romani il
ripudio dal divorzio. Il primo facevasi per qualche cagione diso
norcvole, ab rem pudendam, al dire di Feste. L'altro era una
semplice separazione per cause di minor conto , od anche senza
causa , e facevasi talvolta dalla moglie, siccome fu il caso di quel
la Valeria di cui scrive Lelioa Cicerone (Famil. vm, ep. 7), che
fece divorzio dal marito senza causa lo stesso giorno ch‘ ein do
Vea Venire dalla provincia- ln amendue i casi pertanto si rima
ritavano, e cosi fece appunto la stessa Valeria che poscia si spo
’*_x<
3,4/1 Qh‘?
sò a D. Bruto. La separazione della quale qui fasci menzione
pare che fosse divorzio e non ripudio, ma non si conosce che
la moglie di Emilio da lui separata pigliasse altro marito.
(mi) Col cocchio pensile. Convien credere che l’ àm,’n; del
testo corrisponda a quel genere di vetture\a due ruote che i Ro-'
mani chiamavano pilenlum, nel quale, a detta di T. Livio ( v, a5 ),
perinesso fa alle Matrone di andare a’ sacrificii ed a’ giuochi in'
bencmerenza d' essersi a’ tempi di Camillo per un pubblico bi
sogno spogliale de' loro ornamenti d’oro. Il carpenlum, del quale'
venne loro concesso l’ uso nella stessa occasione (Liv., I. c.), era
una carrozza in cui giravano per la città ne’ giorni festivi e' di
lavoro, quindi diverso’dal pilentum. lo ho aggiunta al Coccbio
la qualificazione di pensile, perciocchè librnto era sopra le due
ruote per modo, che chi vi sedeva sembrava agitarsi sospeso in
aria (V. Forcellini alla voce pilentum ). '
(ma) Perci0cchè nessuno vi dà cc. Notisi la franchezza colla
quale. Polibio qui rinfaccia n’ Romani la tenace avarizia , donde
tutti li pronunciò macchiati; agli stessi Romani che , poco pri
ma (Cv 8.) ein disse, piglieranno al certo nelle mani-d suoi li
bri! dove descritte sono le loro geste.
(m5) Onestìu Male fu voltato in virtus il xaàexaVa.5fu del
testo , il cui valore abbiam altrove apprezzato. Virtus è, secon
do Varrone (De ling. (al. w), viri vis, a virililale, e nella une-
stà risplende bensì il sentimento di ciò ch’è buono e convenien
te, ma la forza dell’ animo trionfatrice delle passioni non pe l'or
ma l’essenza. Anche nella lingua del Lazio differiva molto pra
bitas da w'rlus nello stesso senso che abbiamo testé addotto (V.
Forcellini al vocab. virlus '
(104) Sazievoli. Non mi piace l’urAvînw con che Suida,‘ ci
tando questo luogo di Polibio, interpreta il »a7.znépw che qui
abbiamo dinanzi; aggetlivo col quale propriamente si esprime
ciò che reca sazietà,‘ fastidio, non già chi èinesplebile, non può
saziarsi. Peggio definisce Esichio ua7uxep‘gf; àpr‘n, turbolen
to, molesta. - Circa la poca favorevol opinione che il Nostro
\..'F
-«îl
222
avea del bel sesso in generale \veggasi il lib. n, c. 4, dov’egli
con un breve ma robusto tratto dipinge la furibonda tracotanza
della regina Tenta.
(|05) Del padre, adottiva. Dopo le parole greche a queste
corrispondenti trovandosi Acfia’v7os, che isolato non ha nessun
senso, lo Schweigh. vi premise un asterisco, in segno di lacuna,
che il Reislte aveva empiuta scrivendo 7t‘n nMpupim erq,;Aa
fiÉv7a èv'ln'y; piuttosto rupnAafio't7u èu'ln’ó che meglio convie’
ne al Senso ed al caso in cui è quel participio, e tradurrebbe
si: Avendo egli ricevuta l'eredità. Lo Schweigh. non accolse
nella versione siffatta aggiunta, ed in vero è dessa ardita non
meno che superflua , ed io pure ho creduto di ometterla affatto.
Forse era nel testo 7|Alv7n’rar7e; 7‘n fifor, riferitoa wa7p‘o; che
immediatamente precede (del padre adottivo ch’ era morto) nella
quale supposizione converrebbe cancellare l’ala/l‘41 che segue senza
nulla aostitnirvi. - Del resto era cotesto padre adottivo figlio di
Scipione Africano il Maggiore che morì nel 571 di B. (V. xxrv,
g, nota 74), cioè oltre vent’anni innanzi all’ avvenimento qui
narrato , e quindi avanti la nascita dell' Emiliano. Non era ein
conosciuto per geste gloriose, comechè guerreggiasse sotto il pa
dre. Sappiamo dal Nostro (xxr , |2 , n. 55) che fu fatto pri
gione nel principio della guerra d’ Antioco.
(106) Pattut'l0 avea cc. Quando presso iRomani la dote non
davasi subito, la si diceva , o si prometteva. Dicevasi con sem
plici parole , promettevasi per via di stipulazione e contratto, ed
in questo modo avea Scipione dotate le figlie. Ma mori egli frat
tanto, e secondo Plutarco non avea nè meritata nè fidanzata la
figlia , che da’ parenti fu poscia data a Tib. Gracco. L’ erede ,
padre adottivo dell’ Africano Minore , dovea secondo la legge ro
mana pagar la dote in tre anni, nè si comprende per qual cfl
gione la madre se ne assumesse il pagamento , che ollranciò fu
fatto irregolarmente , non essendo prescritto il pronlo sborso del
la metà. Emiliano altresi non pare che dovesse godere l’ agevo
lezza di pagare in rate la metà residua che da tanto tempo aveva
,43'2A1
ad esser consegnata alle zie. Se non che il contratto nuziale ed il
testamento dell’ Africano Maggiore, del quale non sono a noi per
venute le particolarità , avranno stabilita ogni cosa ed assogget
tato alla legge il pagamento dell’altra metà, a malgrado della
ritardata sua esecuzione.
(m7) Cinquanta talenti. Secondo Barthélémy (Voyage du
jeune Anachars. , t. vu) il talento d' Atene equivaleva a 5400
lire di Francia, quindi, cinquanta erano pari a 270,000 di quel
le lire. Questa valutazione fece Polibio in grazia de’ Greci che
leggere doveano la sua storia, prendendo, credo, per norma il ta
lento di Atene ch’era il più comune. In moneta romana ascen
deva cotesta somma ad un milione e dugento mila sesterzii, duodccb
cies seslerlium , H5. MCC, lo che si deduce da quanto riferisce
A. Gallio (v , a) del prezzo a cui Alessandro Magno compero
il suo Bncefalo, e che sommava tredici talenti, eguali a H5
CCCXII, trecento dodicimila sesterzii.
(noS) Tiberio Gracco. « Questi, allorquando L. Scipione
(l’Asiatico, fratello dell’ Africano Maggiore) conducevasi in car
cere, 5’ interposa a suo favore coll’ aiuto dell’ autorità tribunizia,
comechè inimico fosse degli Scipioni. Per il qual benefizio P. Sci
pione Africano , per richiesta del senato gli promise la propria
figlia, conforme narra Livio (xxxvm, 57). La impalmò egli per
tanto dopo la morte dell’Africano. » Valesio. - Che se Plutar
co (in Tib. Gracc.) asserisce esser quella fanciulla stata promes
sa dopo la morte del padre, cio contradice manifestamente a
quanto lasciarono scritto su questo particolare gli storici sommi
di Grecia e di Roma , nè accadeva che il Valesio per non dare
una mentita al filosofo di Cheronea si affaticasse di conciliare le
due opinioni diverse col recare in mezzo la strana supposizione
che, morto 1’ Africano, la figlia minore di lui fosse un’altra finta
e come definitivamente promessa allo stesso Graccn, circa il qua
le consultisi la nota 26 al lib. xxxt. - Scipione Nasica « detto
Coreulum, figlio di quel Nasica, che uomo ottimo fu giudicato
dal senato. Quest’ ottimo pertanto era consanguineo dell’Africano,
siccome insegna Livio (xxxvm, 58) figlio di Gn. Scipione, che
224
fu ucciso in lspagna insieme col fratello. 1» Valesio. Un figlio
del Nasica qui rammentato, giovine valoroso, militò sotto Emilio
Paullo nell' ultima guerra. macedonica, nella quale pugnò ancora
Scipione Emiliano essendo in età di diciassett'anni (Liv. xuv- ,
36, 44), un anno adunque innanzi alla famigliarità ch’egli avea.
cominciato a contrarre col Nostro (xxxn, 10 ).
(mg) E contando ad entrambi venticinque talenti. Il testo
retofirloslvir dmypnth'r inu.7ipp 731 imam xu.i wir7l 7GÀG’I7UI,
suona letteralmente: Efacendo la cancellatura ad entrambi da’
venticinque talenti, ch' equivale a quanto abbiam espresso nella
traduzione, ed è necessaria conseguenza dell'eseguito pagamento.
Volendo pertanto meglio approssimarei alla frase greca, potevamo,
senza offendere la proprietà della favella italiana, cosi voltare questo
passo: E dipennando ad entrambi la partita de' venticinque ta
lenti. ll Reislte in una nota eruditissima determina il valore di
3mypa't@uv in questo senso con esempi tolti da classici scrittori,
ed avverte che i latini lo esprimevano con rescribere opposto a
perscribere, che , conforme insegna il Valesio a questo luogo, si
gnificava presso i Romani registrare ne’ libri quel denaro ch’è
dovuto e non per anche pagato.
(1 lo) Né a ciò s’ indussero senza ragione. Ka‘t 7a'ò'l' iwuq;u
àvx. &Aiyus, secondo le parole : E ciò patiron non irragionevol
mente. L’Ernesti nel dizionario polibiano dà al vréexsu in que.
sta frase il senso di fare, e cita a questo proposito il verso 254
delle Nubi d’ Aristofane, dove xviert lluib 7307. sta per i'Àxu
strascina , si trae dietro. Giusta questa spiegazione il presente
passo andrebbe così tradotto: Né ciò fecero senza ragione. Se
non che sembra assurdo che far e patire, diametralmente tra di
loro opposti, abbian ad esprimersi colla stessa voce. Il perché
io credo che l’azione in siffatto modo di dire avvwga in conse
guenza di qualche passione od influsso, e qui li zii di Scipione
s" indussero ad interrogare lui stesso per cagione della diffidenza,
o dir vogliamo passione diffidente, conceputa verso del banchie
re. E nell’esempio ancora tratto. da Aristofane il pensiero che
513
23524’îstrascina 1’ umore nel nasluru'o produce in quest’ erba una su
.rCellivilà (cb’ è stato passivo) di riceverlo.
(tu) Per buona pezza. Non faceva d’ uopo che il Gronovio
tentasse la scrittura volgata, cangiando ’mi xfe'nI in i’74 zp. Pa
recchie volte trovasi nei Nostro 'u-i 56. , 7pti': i;,uipu, ’uri m
Aiu zpe'rov (xv, 65, 75; un, 15; I, n, lg).
(ma) Scrupolosità. Nel testo è molto evidente l’opposizione
della ptyaAe-tlzozix (magnanimità) di Scipione alla fuxpn7toyim
( soverchia occupazione nelle cose piccole) di Tiberio e di Na
sica. Non ci fu possibile di renderla nel nostro idioma, e la vo
ce da noi prescelta per denotare l’ ultimo di questi sentimenti ci
è sembrata la più espressiva. »
(Ii-5) A successori della sua famiglia. Auuîo’xow lai 705
yiuvs è al certo testo viziato; ma non era necessario che il
Valesio ponesse aiuleii innanzi a nati , donde risulterebbe la su
perflua indicazione che i successori di lui eran ancora quelli del
la 5l13 famiglia. Meglio si farebbe acancellare il uni seqz’ aggiun
ta , siccome io feci. Haeredesfamiliae sacrorum et nomini; sui,
che hanno i traduttori latini non è nel greco. A
(i |4) Stimato meglio di sessanta talenti. Male si comprende
come alla vedova di L. Emilio non si fosse potuta restituire la
dote di venticinque talenti (xvm, 18), sommando la facoltà la
sciata dal marito sessanta talenti. Ma conviene credere che cotesta
restituzione, confortix’è detto al luogo citato, non potesse ese
guirsi pienamente senza la vendita di alcuni effetti e possessioni,
perciocchè tra le sostanze di Emilio trovaronsi pochi contanti,
e ciò che ne ereditarono Scipione e Fabio consisteva perla mag
gior parte in beni fondi. Che se l' aggiunta di sessanta talenti al
la facoltà di Fabio rendeva eguale la sua facoltà a quella di Sci
pione , ne segue che quanto ereditò Scipione dal padre adottivo
ascendesse ad una somma maggiore , non potendosi supporre che
Fabio nulla del suo avesse redato.
(||5) Che in quello si consumavano. Nel testo è 751 che-
Àlelefcinn xnpaî'luv , de’ denari consumati: espressione oscu
226re che ho stimato di rendere più intelligibilclcol supporre smar
rite le parole i: aiu7aî; (pompaggmn )
(HG) Trenta talenti. La metà di questi avea data Scipione
al fratello dopo la cessione che gli fece di tutta la eredità di
sessanta talenti. Donde si conosce molto ragguardevole essere sta
ta la sostanza che a Scipione derivata era dal padre adottivo,
appetto a cui povera dovea reputarsi quella di Emilio che non
trasse profitto da’ tesori somministratigli dalla Spagna e dalla sog
giogata Macedonia, ma tutti recolli nell’ erario di Roma.
(ny) Sparsa che fu la fama. Essendo nel testo 0»';us arepi
àv7oî didauims, non sembrami, siceome parve al Reislse, che
abbia a premettersi al sostantivo uno degli aggettivi da lui pro
posti, lusya’qug, grande, Aapxfi; , splendida , 7.116715, tale,
dappoichè in altri luoghi ancora del Nostro lrovasi Q»',u.n senza
siffatta precedenza (VI, a 52 ). Sibbene è da approvarsi il 3‘: che
lo stesso commentatore vi pospone ed il 6m&3quirnî che
sostituì al volgato 3m3«;|uimr. - Altra correzione ancora io sti
mo qui necessaria. Male suona arlpi éa7aiî (intorno a lui) re
lativo a Scipione; chi: la fama si divulga propriamente intorno
ad un fatto, siccome qui divulgossi intorno alla nuova generosi
tà del giovine celebrato. Sentendo ciò i traduttori latini scrisse
ro: hujus 'rei fama , ma non si avvidero della sconcordanza di
siffatta traduzione col testo, che io propongo di mutare in m":
70'u7av, intorno a ciò , genitivo del neutro 7397..
(118) Intorno alla qual cosa. (V. sopra al cap. 8).
(Hg) Secondo le leggi. Sappiamo da Livio (Epit., lib. m)
che C. Voconio tribuno della plebe avea per insinuazione di Ca
tone censore emanata la legge che nessuno potesse costituir eredi
le donne , e Cicerone (in Verrem, I, 42) riferisce che secondo
questa legge non poteano ereditare nè vergini, nè donne dopo
il censo allora istituito; ma che vi erano soggette le sole classi
censite, donde i contribuenti, al dire‘di A. Gellio (vn, 13 ), chia
mavansi classici. Incominciava pertanto il censo secondo Ascon.
Pediau. (In Verrem., m, p. 40 , a , edit. Ald.) dalla facoltà di
,as’7'is;
centomila sesterzj, ccntum milia sesterlium. Ora siccome la fa
coltà lasciata da Emilio sommava sessanta talenti, ed il talento
(V. A. Gell., m, 17) equivaleva a ventiquattromila sesterzj, cosi
quella facoltà ascendeva a 1,440,000 sesterzj ; somma per cui es
so dovea essere collocato in una delle classi superiori del censo.
‘ (mo) Onesta bontà. KaAcnayasffl, che male, secondo me,
fu latinamente voltato in elegantia , vocabolo ch’ è più relativo
alla eonvenevolezza e decenza delle esterne maniere che non al
1’ intrinseco merito del carattere e delle azioni che ne derivano.
Ma qui spiccavauo amendue queste egregic qualità;la bontà del
l' animo, che a tempo opportuno e quando il bisogno maggior
mente lo richiede conferiva la grazia , ed insieme la delicatezza
nel porgerla senza che il graziato ne arrossisse.
(I'JI) Delle facili. erzlfpur, che sono alla mano, pronte,
e quindi dal più degli uomini godute e difficilmente lasciate. Epi
tcto di questo più espressivo non potea darsia cotesti piaceri in
gannevoli, che insidiano alla sanità del corpo ed alla vita, esof
focano nell’ animo ogni germe di generoso sentimento.
(122) I re. Bamàiaiv (assoluto), regii è la lezione-volgata,
alla quale il Reiske, non disapprovandola , amato avrebbe di so
stituire filfiunMuni'lur , che ebbero negnalo. lo mi sono a
tenuto alla scrittura di Diodoro , siccome alla più semplice ed e
salta.
(125) Liberi lasciavano. Non fu bene intesa dagli interpre
ti del Nostro la forza dell’nvnuo'7u 1, da uqupa, rilasciare, met
tere in libertà , ch’ è ben diverso da dicare (dedicare, destinare).
L’ Ernesti con qualche stiracchiatura dice : àn'ima è propriamen
te far libero e rilasciare, affinché possa destinarsi e consecrar
si ad alcuna cosa. n Ma i luoghi non si possono altrimenti man
dar liberi e svincolare come si farebbe di qualche oggetto mobi
le'; sibbene non 5’ impiegano in nessuna cosa, ed in tal senso
lasctansl in libertà per dare loro una particolare destinazione.
(124) Sellano. Questa voce ho creduto meglio di qualsivo
glia altra corrispondere a zl«v,gayuyfa , ch‘è propriamente ri
228
creazione dell' animo e quell’ onesto piacere che si prende di al
cuna occupazione dopo le fatiche imposte dal dovere. Voluptas
de’ traduttori latini è' termine troppo generale, e che il più delle
Volte si applica a’ piaceri de’sensi.
(125) Per modo che ce. Non mi parve d’ accettare la muta
zione di) Àic'ls in 171 proposta dallo Schweigh. , per cui verreb
besi a dire, come quello ch’ era nel fiore cc.; dappoichè adot
tando, siccome feci, la lezione volgata, non è necessario, confor
me crede l’ anzidello, di considerar il 3“. mai mspuyulpen:
(il perché venuto) a come secondo membro (apodosi) del pe
riodo, la qual seconda parte incomincia da xa5uiarep (uno
altrimenti), ed è retta dal verbo turi/30 (Mila-9m) 7m 'Éppqv
nel nostro Volgarizzamento traeva dietro. Così col 612 :al in
comincia un nuovo periodo.
(126) Salutazìoni. Era costume presso i Romani, che coloro
i quali a qualche dignità aspiravano , riscontrandosi in tale che
nelle ragunanze popolari votava per le nomine , il salutavano cor
tesemente e la mano gli stringevano, per averlo a se favorevole,
e ciò chiamavano prehensare; al qual uopo bazzicavano nel l'o
ro , o dir vogliamo nella piazza principale, ch’ era il luogo più
frequentato della città. I Greci esprimevano quest’ atto per zan
p'lwp‘n che qui leggiamo da zaipl, loro formoladi saluto cor
rispondente al vale de' latini.
(127) Colla pubblica vece. Nel testo è 1rf‘of Aóyn , propria
mente Vcrso il, col discorso , cioè della gente , del popolo. E
potrebbe darsi che Polibio scritto avesse unln A57n, sebbene
questo sostantivo trovisi solo presso altri scrittori ancora per vo
ce sparsa fra il volge (V. Xenoph. Cyrop. , w, 2, 10; v, 2,
_ 5o).
(l’28) Nell’ amor della gloria. Mi sorprende come lo Schwei
gh. ritenuto abbia nel testo lo spropositato iv Q|AOgIIL‘;C (nell’a
mor delle cose straniere) ch’ era nel manoscrith del Valesio, ma
da questo già sospettato doversi mangiare in piln6aii'g, amore
di gloria ), e così interpretato. Se non che cursus ad laudem
f
I
229 3
et gloriam nella versione latina non rende perfettamente il senso
del vocabolo greco. _
(mg) Della prima giovinezza. ’21: 7;; wpa’7ns f;szas non è
in adolescentia, conforme fu tradotta. lmperciocchè sebbene la
prendesi talvolta nel senso di in; dove, siccome qui, trattasi di
tempo, equival esso all’a , ab de’ latini,e più adeguatamente sa
rebbesi reso per a prima ab ineunte notate. Oltracciò è ai>.mia
semplicemente età , che va determinata con qualche aggettivo ,
siccome nel nostro caso con vpa'7», prima; dalla qual regola
pertanto bassi da eccettuare quando significa età militare nella
formale il »iMz/gz.
(150) Sarò per dire intorno a lui. E da dolersi, che pochis
simi brevi cenni di Polibio intorno alle geste di questo sommo
romano sono a noi pervenuti. Smarrito è eziandio quanto di lui
scrisse Livio , tranne quel poco che se ne conserva nelle epite
mi de’lib. xzvm a u, e r.vr a mx; tuttavia più da questi si rac
coglie clae non da’ frammenti del Nostro. La maggior contezsa
che abbiamo de' fatti che la vita dilui onorano, ne porge Appia
no alessandrino nelle cose punicbe c. LXXIV e seguenti.
(i5t) Degli Ateniesi. Ho seguita la cronologia congetturata
dallo Schweigh. per questa ambasciata, sebbene non panni che
v’ abbia dati probabili per adottarla; ma il feci non sapendo a
qual altra epoca appigliarmi. La cessione fatta agli Ateniesi del
le isole di Delo e di Lenno, che iRom_ani tolte aveano a’ Bodii,
per punirli del loro contegno ambiguo nella guerra di Perseo ,
avvenne l’anno' di Il. 588 (lib. un, e. 18 ), cioè sette an
ni innanzi a questo fatto: spazio di tempo che sembrami troppo
lungo tra 1' anzidetta cessione ed i reclami de’Delii.
(l32) Essendo stato a questi risposto da’ Romani. Convien‘
adunque credere che avanti la presente ambascerie un’altra ne
avessero mandatai Delii a Roma subito dopo la loro cessione per
raccomandare sè e le loro sostanze.
(135) Voletmo coli: cc. E’ si pare che gli Ateniesi, disub
bidienti a’ Romani, avessero messe le mani addosso alle facoltà
î3
\
230
de’ Delii emigrati, per cui questi chiamavansi in diritto di chie
der rappresaglie; ovveramente è da supporsi che alcuni tra gli
antichi cittadini di Delo andassero dain Ateniesi creditori di
somme che questi non voleano pagare.
(154) Giusta il trattato cc. Dovea questo contenere un arti
colo su’ crediti reciproci di quelle nazioni, i quali in caso d’ in
solvenza diritto avessero di farsi pagare coll’appropriazione median
te sequestro e confiscamento de’ crediti che per avventura avea
il debitore nel paeso seco legato per silfatta convenzione. Laonde
i Delii, divenuti cittadini achei, intendevano di partecipare a co
teste diritto che gli Ateniesi loro negarono, probabilmente perchè
quelli non aveano peranche la cittadinanza achea quando fu stret
to quel trattato. Ma i Romani non fecero buona agli Ateniesi que
sta ragione , e vollero compresi i.Delii nelle leggi con cui gli
Achei si governavano.
(155) Rendimento di ragione. Amandoa’z'a che ho cosi ren
duta,ha diversi sensi da me spiegati nella nota a al lib. xxxv, in ri
ferendo i principali luoghi del Nostro dove questa voce riscon
trasi. Resta che il presente ancora , del quale non fecicolà men
zione, io prenda ad esaminare. Qui si tratta manifestamente di
amministrazione di giustizia nelle pretese de’ Dclii contro gli A
teniesi; quindi cade l’ anzidetto vocabolo nel senso del quale ab
biamo un esempio nel lib. xx, c. 6 , dove consultisi la nota 22.
(156) Gl’ Issii, abitanti dell’ isola d’ Issa, oggidi Lissa, che
appartiene alla Dalmazia.fiporgente com’ ella è nel mare Adria
tico e pressoché nel suo centro situata,ha grande importanza per
la navigazione, e perciò fu ne' moderni tempi fortificata e ridot
ta a stazione navale. - U Orsini che trovò nel suo codice Nur
fl'nn male il cangiò in Aira‘fu1 (Lissiorum) da Lissa odierna
Alessio nell' Albania, città ultima dell’ llliria a’ confini della Ma
cedonia, che troppo era lungi dalla Dalmazia. - Strabone (vu,
p. 3x5 ) vanta Issa nobilissima tra le isole liburniche. Bibellatasi
da Teuta regina dell’ Illiria,erasi data a’ Romani (u , 8 , 4).
(i37) Daorsi. In vario modo trovasi scritto pressoi geografi
513
e storici il nome di questa nazione. Decisi recanoi MSS. diPo
libio, donde il Casaub. fece Danni. Daorisi sono essi chiamati
da Strabone (I. c. ), che li pone. intorno al fiume Nerone (Na
renta odierna) e da Plinio (111, {16 ); Tolemeo (11, 17) Daursii
li appella e li colloca nell’interno della Dalmazia. Daorisii di
Vellejo Patercolo (11, 115) è mera congettura dell’editore Beta
vo (Aut. Thysius, 1668) guasta essendo la lezione volgata.
Darsi li vuole Appiano (lilyric. a ); ma coloro che così deno
mina Stefano Biz. non mi paiono la stessa nazione, dappoichè a
detta sua nella Tracia li mette Ecateo , e pessima è la ragione
che adduce il suo commentatore Pinedo per farli credere tali,
cioè 1’ essere 1’ llliria e la Tracia paesi confinanti. Daorsei sono
essi presso Livio (xzv, '16)- L’ Olstenio (Notae et castigat. in Sleph.
Dict.) pretende che Daorisi li scriva Strabone , e stabilisce in
Daorsi la vera scrittura. La etimologia di questo nome è se
condo lo stesso Auop9à, una delle figlie assegnate «la Appiano
(I. c.) ed lllirio figlio di Polifemo, primo re di quella contrada.
[monde non è improbaliile che Daorsi scrivesse questo storico ,
tanto più se, siccome suppone l' Olstenio , Aaopcà (Daorsò)
abbiasi a leggere nel suo testo. - Aewcpa'lfir (de' Dassariti ), po
polo illirico da tutti i Geografi denominato , sembra che reces
se il cod. dell’ Orsini, posciachè cosi scriss’ egli nel suo testo. Nè
io sono lungi dal credere che questa sia la vera lezione, chè in
tal ipotesi non sarà quanto riscontrasi appresso delle accuse de’
Daorsi una vana ripetizione , per cui lo Schweigh. stimava do
versi cancellare la prima menzione di loro fatta.
(158) Epeu'0 e Trngurio. La prima era secondo Tolemeo (l. e.)
città marittima nel sito dov’ è oggidi Almissa ,ma Plinio (I. c.)
ne fa un’ isola. La seconda è, al dire dello stesso\ geografo, isola
con una città del medesimo nome , e corrisponde all‘ odierna isola
di Brezza. Slrabone non parla di Epezio.
- (159) Caio Fannio di cognome Slmbone. Con esatto calco
lo dimostra lo Scbweigh. che il presente estratto appartiene al
I' anno 596 di R. La guerra dichiarata a’ Dalmati dopo il ritor
2312i.”J 5’
232
no di Fanuio riportarsi dee senza dubbio all' annop seguente, a
questo avvenimento fu secondo il Nostro nel duodecimo anno do
po la ultima disfatta di Perseo l’anno di R. 586, quindi nel 597. Fu
questi console l’ anno di B. 595, secondochè bassi da’ fasti, e di
verso dal C. Fannio Strabone che sostenne questa dignità 1' an
no 632 , per quanto può congetturarsi dalla distanza de’ tempi.
(ufo) Dall’Illt'ria. Questo paese, conforme già osservammo
nella nota 5 al lib. n, estendevasi dall’ Arsia , confine dell’Istria
sino al Drilone, cenfine della Macedonia, e la Dalmazia ne facea
parte , finattantochè era soggetta a’ re illirici. Gente bellicosis
cima avean essi il loro domicilio dentro terra , ma fattisi libe
ri ruppero guerra a' vicini ed invasero la costa marittima e le
isole adiacenti, che dopo la caduta del regno illirico vennero
sotto la protezione de’ Romani (Vedi le ricerche sulla origine di
Trieste, cap. v , ne’ miei opuscoli di vario argomento. Venezia ,
1853 ). -
(I4l) Pleurato, figlio di Scerdilaide,o Scerdiledo (Scerdiloedus),
conforme il chiama Livio, e padre di Genzio. V. la nota 15 al
lib. n.
(142) Signifivò. Ho schivato il participio diaruoo'w'luv che
lascia il periodo sospeso. Il Casaub. si ottenne nella traduzione
alla irregolarità del testo; non così lo Schweigh., il quale accor
tosi di questa sconcordanza voltò I'fllî (lì 7o'u7u; Stampe“, come
> se ripetuto fosse dmeu’u'luv, ostendxlrselque praelerea.
(143) Alloggio-pravvedimento. Due vocaboli usa qui il No
stro , xu7aiÀvyd-wxpozl‘l, che non si sogliono applicare se non
se ain ambasciadori e pubblici dignitarj che viaggiano. Quanto
è al primo il troviamo nella traduzione biblica dei settanta (Erod.,
xv, 15) per onorevole, decarosa abitqu'one, quale suona l'ebrai
co testo. Presso Tucidide (i, p. 29, edit. Port.) leggesi xu7nAtlfm
per recarsi ad alloggiare, dove osserva lo Scoliaste che questo
verbo adattasi principalmente a chi viaggia in carrozza(ì»l a”;pz7n:),
siccome fanno appunto i gran personaggi, qual era Temistocle di
cui colà parlasi , c che condannato assente ricoverò da Admeto
, Ila53'éîlc
re dei Molossi. - L’ altro vocabolo riscontrasi ancoranel Nostro
(xxn, I) coll’ aggiunta di 7Év finlm, cioè de’ doni che si fanno
a cotali soggetti (V. al libro testé citato la nota 41, e lib. xxv, 6,
nota 55 Laonde coloro che aveano la incumbenza di fareeco
tale provvista dicevansi pamclzi, wépaxai, da aupixm,fornire,
porgere.
(144) Da un’ altra città , che non era sotto la giurisdizione
de’ Dalmati. Già è noto che miAt; non prendesi sempre per città
nel rigore del termine, ma sovente per una città col suo circon
dario che reggesi colle proprie leggi.
(145) Dacchè avean espulso Demetrio Farlo. Avvenne ciò
l’anno di Roma 555 , per opera del console L. Emilio Paullo,
padre del Macedonico, siccome scorgesi da quanto riferisce il No
stro nel lib. 111, c. 18 c seg.
(146) Si effeminassera. Ricevo la emendazione fatta dal Beiske
al volgato Èxihhv09m, che non significa già semplicemente cor
rompersi, languire, siccome vorrebbe lo Schweigh., sibbene pe
rire, distruggersi, lo che evidentemente è qui troppo. Meglio
adunque leggerassi a’twa.9»7ttirirSnu,llùll altrimentiche in'li5fluiv9m
dal» 751 n‘eÀ1i! ’upn’mv (ell'eminati per cagione della lunga pace)
scrisse già il Nostro nel cap. 2 di questo libro.
(147) Queste pertantofurono le cause. Due ne indica il No
stro, la umiliazione de’ Dalmati ed il desiderio di non lasciare il
languidire nell' ozio i propri soldati. l.’ ultima non palesarono alle
genti esterne, che sospettare non doveano avere il valore romano
bisogno d’essere spronato , oltreché avea desse il colore di pre
testo anzichè di legittima causa; 1’ altre bensì rendettero mani
festa, amando essi che tutti sapessero non lasciarsi da loro ini
vendicato le offese fatte a’p1‘oprj ambasciadori. Il perché io tengo
col Rciske che 7.7; 047); significhi agli altri popolifuorchè ai
‘ Dalmati, non già, siccome piacque allo Schweigh., a quelli che
sono fuori, cioè non intervengono al congresso , al volga non
partecipe del consiglio. Non può pertanto negarsi che corrotto
e il testo nel presente luogo, dove leggesi:7.i's 7: p»): ’uz7‘u 731
POL11:10, lom. VIII. 17‘
258
n-óAqun àm8unónr. Il Casaub. indicò con quattro punti dopo
l:7‘4t la mancanza di parecchie parole; lo Schweigl1. pose nello
stesso sito un solo asterisco, e sospettò quindi una lacuna mino
re, riempiendola secondo la spiegazione cl1' egli fa di 7.7: 'n'l‘u,
siccome la riempiè il Reike a tenore della sua. lo tengo che qui
non vi sia omissione alcuna, edipenno 7‘u In'7tl}eer, introdottosi
forse per la balordaggine o saccenteria di qualche copiata, e cosi
scrivo: 707; 71 pi" in7‘u àmióuvouv, ai: 3:2: 1:. 7. A., e per
tal modo la tradussi, siccome panni, con sufficiente chiarezza. -
Del resto avrebbe mai Polibio, in distinguendo le riferite cause,
1’ una occulta 1’ altra palese, indirettamente accusati d’ ingiustizia
i Romani in certe loro guerre imprese solo per mantenere la gio
Ventù nell’ esercizio delle armi?
(148) Ariamle. Questo re della Cappadocia , sesto di colal
nome, era_succeduto al padre sovrannomato il Pio l'anno di Ro
ma 591 (V. lib. un, e. 14, e colti la nota Nelle medaglie
ha egli il titolo di Filopatore (amico del padre) ed insieme quello
di Ensebe (il Pio). V. Visconti, Iconogr. grec., t. 1|, p. 295.
(149) Essendo ancora state. a Avanti la fine dell’ anno 596
era Ariarate venuto a Roma; ma siccome sugli affari appartenenti
a nazioni esterne, se non v’avea urgenza , non si riferiva al se
nato clte sotto i nuovi consoli, quando davasi pure udienza agli
ambasciadori, cosi aspettar dovette Ariarate sinchè i nuovi con
soli Sesto Giulio Cesare e L. Aurelio cntrassero in funzione. Al
qual tempo si riferisce il 757: Sì. » Schweigh. Infatti come sa
rebbono i nuovi consoli entrati nelle loro funzioni mentr’ era per
anche state, conforme intender si dovrebbe riferendo il 7671 al
tempo della venuta di quel re? Se non che ove si consideri che
i MS. davano 7574 6‘: 7a’v7m rapuànQ. 7. 1., è da sospettarsi
che il testo non sia sano , e che per renderlo tale non bastasse
l’ aver cancellato il ?e’v7uv , siccome fece l’ Orsini. Per la qual
cosa panni che Polibio scritto abbia: Tfls dl àvciia-u mxpllÀ., non
avendo 1»en arene assunto cc. , e ciò rende ragione de' privati
colloqui (u'l’ ì3im 'sv7niEns) cl1’ ebbe seco lui Ariarate, sicco
me tosto leggesi. '
, 259
(I50) Arnese. Questo_vocabolo si adatta secondo la Crusca ad
ogni maniera di masserizt'e, abili, fornirnenli, cc., e nel senso di
Vestiti appunto trasandati e dimessi, quali Ariarate addossnva ana
loghi alla sua sventura, è da prendersi il m;muxì del testo, in
torno alla qual voce usata per foggia di vestiti veggasi la nota
246, al lil). v.
(i5l) Alla sua presente, sciagura. Narra Giustino (xxxv, i)
che Demetrio Solare re di Siria , sdegnato contro Ariarate per
avere questi ripudiata sua sorella, accolse supplichevale Oroferne
fratello di lui, il quale ingiustamente era stato cacciato dal regno,
e stabili di rimettervclo colla forza. Secondo Appiano (Syriac.,che Oloferne chiama il fratello di Ariarate, Demetrio per mille
talenti l’ avea a questo sostituito, ed i Romani decretarono che
amendue, siccome fratelli, insieme regnassero; ma Polibio, al e. 25
di questo libro e nel lib. v, e. 5 , riferisce che Attalo secondo
rimise Ariarate sul trono, lo che egli non avrebbe fatto senza la
volontà de’ Romani, a' quali veggiamo che quell' infelice ebbe ri
corso.
(152) Recmmn una commi , cioè l’oro per fare una corona,
che i Romani chiamavan,aurum eoronarium, e che, conforme ab
biam altrove osservato, davasi dalle nazioni e da’ re al popolo
dominatore in attestato d' ossequio per procacciarsi la sua benc
valenza. '
(i55) Nei privati abboccamenti. Innanzi che data fosse in se
nato publiliea udienza ain ambasciadori, recavansi questi priva
lamento da’ consoli e da’ senatori che alla loro causa speravano
favorevoli, ond’ esporre loro minutamente le proprie ragioni , e
prepararli per tal guisa a dar loro il voto che desideravano.
(I5‘) La sfoggìavanomaggiormente. Miifu (pulce/m :tÀI-or,
letteralmente , maggior aspetto dietro sè traevano , cb’ è frase
energica, denotante la vista magnifica e pomposa che risultava
dallo splendore dei vestiti e dalla gaiezza del portamento; idee
che panni d’ aver adeguatamente espresse col verbo che ho scelto.
(155) Tull0 dicevano, contro Ariarate, ed a tutto risponde
\
260
vano in difesa delle accuse contro di loro portate. La lezione vo
gata della seconda sentenza è irpu srm7eiu, ad ogni maniera'di
cose, cioè di accuse, e non doveva tentarsi, siccome fece il Reiske,
proponendo di cangiarla in miv'l.z. '
(156) Non era soggetto a prova. Questo è il vero senso di
àleiu9unv, non già ea neo confutata manelmnt (quelle cose
non rimaneanconfutate Producevan costoro le accuse con ar
ditezza, perciocchè nessuno li costringeva a renderne ragione, a
provarle. Anche lo: i’xu 7‘ov énAegnpn'pevu è mal renduto
per quia aderat nemo, qui verilatem tueretur (perchè non v’a
vea nessuno che difendesse la verità ). La difesa (niwsAayi'a) è
relativa alla persona, non alla cosa.
(157) Parve che il successo cc. Che il contrario di ciò av
venisse veduto abbiamo di sopra alla nota 150.
(158) Bacchica. ’lnmiv ha il testo, che io credo sbagliato, e
doversi cangiare in l’fixztlt‘1' da ’laxzaî, Jacco uno de’ cogno
mi di Bacco.- Delle arti teatrali. Cosi tengo che abbiasi ad in
terpretare 7uxn7m1‘n, da 7ixrt'lm' arte/ice, ma singolarmente tea
trale, o, come diciam noi, attore , senso in cui riscontrasi nel
lib. xv1, 21. - Eliano presso il quale (Var. hist. , 11, 41) leggesi
il nome di quel principe con doppio f, 0_11p045ip|fi (Orroferne),
l’ annovera tra i più celebri bevitori, e Diod. Sic. (Ere. de vii.
et virt.) nota la sua avarizia e crudeltà.
(159) Gli affiri dell’Etolia. Per ben giudicare dell’ epoca
nella quale quietaronsi ivar_ii stati della Grecia qui nominati per
la morte degli uomini turbolenli e scellerati che tiraron loro ad
dosso tante sciagure, fingendosi partigiani di Roma, affine di sa
ziare la propria ambizione ed avarizia; è d’uopo considerare co
me, vivendo costoro ed essendo in credito presso illomani, pro
babil non è che gli avanzi de’ Greci allontanati dalla patria dopo
la disfatta di Perseo, pel quale accusati erano di aver parteggiato,
vi f055ero ristabiliti. Quindi essendo questo ritorno accaduto l’anno
di Roma 6o4, conforme scorgesi da quanto ne riferisce il Nostro
nel lib. xxxv, c. 6, non andremo, credo, errati se a quel rior
261
dinamento delle cose della Grecia assegneremo un tempo non
molto anteriore all’ anno testè indicato. Per tal guisa avrebbono
durato i disordini in quel paese dalla fine della guerra Macedo
nica sino al ripatriare degli esuli, cioè dal 586 sino al 604, nel
qual intervallo morirono i perturbatori di cui nel presente luogo
è fatta menzione. In tale supposizione converrebbe trasportare
questo estratto molto più sotto, alla fine de' frammenti del lib. xxxv.
Che se, come riflette lo Scbweigh., Diod. Sic., il quale segui esat
tamente le pedate di Polibio, tratta delle scelleratezze di Carope
innanzi all’espulsione di Ariarate, ciò non prova che Carope mo
risse avanti coteslo avwnimento.
(160) L’ ammutinamento civile. « Questa guerra intestiua tra ‘
gli Etoli rammenta Livio nel libro xav, c. 28, dov’ egli dice che
550 uomini principali dell’ Etolia uccisi furono da Licisco e Ti
sippo coll’ aiuto de’ soldati romani. n Valesio.
(161) Mnasippo. Di costui ch' era beozio,posciachè città della
Beozia era Coronea , e di Creme acarnane, siccome degli altri
tutti che, per essere fautori de’ Romani ne’ varii stati della Gre
cia furono ad essi mandati ambasciadori, parla il Nostro nel li
bro xxx, e. lo. Intorno alla più probabile scrittura del nome
Creme, che qui nel genitivo leggesi Cremata (Xfipa'la), consullisi
la nota 52 al lib. xxvm.
(162) Lo stesso anno in Brindisi. Ciò significherebbe che tutti
costoro morisscro in un anno; sebbene l' espressione che qui usa
il Nostro potrebb’ esser relativa a qualche altro avvenimento del
medesimo anno narrato avanti quello di cui ragionavasi del pre
sente estratto. - Brindisi essendo il porto nel quale imbarcavansi
a que’ tempi per fare il tragitto in Grecia, ci sembra che Carope
cólto fosse dalla morte nell’ atto ch’egli ritornava a Roma dopo
essersi ritirato in patria, siccome leggcsi alla fine del cap. 22. La
confusione poi nell’ Epiro sarà stata dopo il suo trapassare ancora
fomentata da’ molti iniqui compagni cl1’ egli avea. Veggasi ciò che
di costui scrisse Polibio nei libri xxx, e. 10, 14, e xxxr, c. 8.
(165) Lucio Anicio. A detta di Livio (x1.v, 54) e di Plutar
co (in Aemil., p. 271) e del Nostro ancora citato da Strabone
2621'.
(vn, p. 522) che gli altri posteriori copiarono, fu L. Emilio che
in un giorno saccheggiar fece dal suo esercito settanta città del
I’ Epiro cb’ erasi ribellato, trasse da ciasceduna dieci uomini dei
principali, e menù in iscbiavitù cencinquanta mila del popolo; ma
ad Anicio consegnate furono quelle persone di maggior conto ,
ch’egli non altrimenti condannò, siccome suona il volgato xa7a
lflid's, dappoichè non egli, sibbene il senato ne avea l’autorità,
e perciò li condusse a Roma. Nè vi andarono tutti , ma quelli
soltanto, secondo Livio, quorum cognilionem causae resero/ara! (l’e
same della cui causa egli avea riservato), e secondo il Nostro co
loro su’ quali cadeva il più piccolo sospetto. Separò adunque
l’auzidetto capitano gli uomini sospetti da quelli che nol erano,
e ciò ne induce a supporre che ,m7is 7Ètp 'lli dunqluu (dopo
aver separati) dettato qui abbia Polibio in luogo di ua7azpt'uu
(aver condannati), e che la lacuna segnata avanti 75: imóavivÉvdfav, sia da riempirsi con iAstpfinu, Étsripdnu I(avcr
liberati, rimandati) non già con ènAei'v, Sam'liicrm (aver uccisi,
fatti morire),siccome propose il Rcislte ed accettò lo Scl1weigh.,
della qual esecuzione non fanno molto, ne Livio, ne Plutarco
(Il. cc.). Per tal modo la sentenza espressa dal Nostro sarebbe:
Dopo aver Anicio falla la separazione, e quali tra gli uomini
illustri licenziati, quali su cui cadeva il benché minimo sospetto
condotti a Roma. - Sebbene cosi ancora questo luogo non e re- _
stiluito alla sua genuina lezione. Nè su7azpi'm; . nè 3m:pluu
stan bene cosi isolati senza l’ accusativo ch’ è soggetto dell'azio
ne, e questo non può essere se non se gli uomini illuslri da con
dannarsi o separarsi. Leggasi adunque per mio avviso: M. y. 7.
dimq/m: 'Anx. lain 'sm@m‘ovs lir3par, sul loin' ,u‘n insazip
-dmz, 7oils' di irayaylc9m in 7:)! Pu'pun.
(16ì) Campe avuta la facoltà cc. Tolti dalla patria tutti co
loro che parteggiato aveano contro i Romani, nessuno più a co
stui si opponeva, e poteva egli dar libero sfogo al suo mal talento
ed alla sua cupidigia, cui serviva di pretesto lo zelo per la causa
de’ conquistatori, siccome tosto vedremo.
263J
fi .
(165) Presidio. ’E4>uipfu ha il testo, che nel senso proprio
è gueruigione, presidio , e qui metaforicamente significa njulo,
suffragio. Io non ebbi riguardo di tra5portare cotesta figura nel
volgaritzamento, comechè Secondo la Crusca a' medici sali val
esso per ajnto, rimedio potente. Non vi corrisponde 1’ autorità,
in che fu latinamente Voltata , e male vi si applica 1’ aggettivo
marima, ch’ è molto più dell’Îuu (come) che modifica siffatto
presidio od autorità.
\ (166) Con questi. tipi; 7ein' w;aupzpinur, verso gli anzi
detti, cioè verso i Romani, le quali parole furono troppo am
pliate da' traduttori latini in cum plerisque primariis viris ro
manis (colla maggior parte degli uomini primarii di Roma). La
vicinanza del nome a cui la espressione greca si riferisce mi fece
preferire il pronome relativo che ho usato.
(167) E le sostanze de’ morti rapl. Polibio ha qui verbo tle
che con ragione dispiacque a’ commentatori. Infatti ii»nlpmra
Blu?» 70:” film; (riduceva in ischiavitù le sostanze) i: frase af
fatto impropria e da non tollerarsi. Il Reiske notò la incongruenza,
ma non propose nessuna emendazione. Lo Scbweigh. voleva 11
Blu; sostituire ù1’eue, figli, a’ quali si acconcerebbe la schiavitù;
ma siccome lo scopo principale di quello scelleralo era la rapina,
cosi sospetta lo stesso che Polibio, scritto abbia |Efl|8pasre6f
n.7. 7ci:s ara/34:, xu‘i ’an/m'le lai): ,Blous (fece schiaviifigli
ed appropriossi le sostanze), e ciò concilierebbe tutto. Ma io mi
contentai di rilevare la cosa di maggior momento.
‘ (163) A sifl'atta figura. Dpo'nuru che ha qui Polibio sta per
fisionomia (@w‘tegnuftt'n), cioè pel complesso de’ lineamenti che
formano il carattere del viso, e vuolsi esser indizio della natura
dell’ animo. Secondo il Beiske equivale cotal voce al carattere
morale della persona espresso negli atti, e cosi la intendiamo noi
pure. Il perchè leggiamo con lui inmi: e 6013,4qu in femmi
nile. Diod. Sic. scrive neutri questi aggettivi e con lui si accorda
lo Schweigh. che muta in unì il volgato nulli. Le quali lezioni
adottando così avrassi a volgarizzare il presente passo: Era que
264
sta jhccia (persona) ancor alla n cooperare. Ciò non pertanto
il latino dello Scbweigh. rende l’altro significato.
(169) Fenice. Città ragguardevole 'dell’ Epiro nella Caonia,
parte più settentrionale di quel paese. Di lei fece già menzione
Polibio nel lib. 11, c. 5. Quelle che da L. Emilio mandate furon
a sacco erano pressochè tutte de’ Molossi, secondochè Strabone
(vu., p. 522) riferisce dietro il Nostro.
(170) Allorquando Campo recossi a Roma. Non sarebbesi
costui arrischiato di ordinare l’esecuzione della condanna di morte
pronunciata dal popolo senza l’approvazione del senato, ed a tal
effetto balzo egli (ZPFIFÌI) colà con denari per corrompere i
suoi protettori ed ottenere, col mezzo di loro, la conferma della
sentenza testè mentovata. Il perché non è da maravigliarsi se co
loro ch’ erano già dannati all’ estremo supplizio fuggirono dalla
patria, siccome osserva lo Schweigh., il quale pretende che que
gl’ infelici non aspettarono per andarsene la partenza di Campo.
ma il fecero appena che furono denunziati, o quando sapevansi
prossimi ad esserlo. Da tale supposizione movendo mutò lo stesso
commentatore l’ii7s del testo in li 8;) (questi fuggirono, ed egli ec.);
ma io non cangiai nulla , considerando che non la sentenza del
popolo, di per se inconcludente, sibbene la partenza di Carope
per Roma, onde ottenere a quella l’assenso, esser dovca la grave
circostanza che determinò costoro alla fuga.
(171) (30' danari. Fa meraviglia come a que’ tempi, illustrati
delle virtù di un Emilio Paullo, tanta corruzione fosse già intro
dotta nell’ordine senatorio, che questo ribaldo sperar potesse di
conseguire coll’ oro da quel supremo maestrato la facoltà di tru
cidare i concittadini alle cui ricchezze agognava. E comecbè a
detta di Livio (nella prefazione) in nessuna repubblica tanto tardi
entrò avarizia e lussuria quanto nella romana; tuttavia fece il
primo di questi vizii cosi rapidi progressi dopo l'assoggettamento
di Cartagine e della Grecia d’Europa e (1’ Asia ,.clie non molti
anni appresso gli avvenimenti qui narrati, per quanto riferisce lo
stesso storico (Epit. , lib. 1.nv ), Jugurta sottrattosi clandestina
265
mente da Roma, dov’era stato chiamato per rendere conto dei
danari da lui sparsi nel senato , partendosi sclamò: 0 città vee
nale, e che presto perirebbe se trovasse un compratore!
(I72) Principe del senato. Secondo Dione Cassio era il pri
mo eletto tra i senatori, ed a detta di Plutarco (in Tib. Gracco)
colui che primo era scritto nel ruolo di questi. Il qual onore con
feriva bensì maggiore dignità a quella degli altri, ma non mag
gior potere. Secondo Livio (Epit., lib. xr.vm) fu M. Lepido sei
volte eletto da’ censori a questa carica temporaria e non a vita.
(i73) Non acconsenti. Il Gronovio cita parecchi luoghi di
Polibio ne’ quali n7nn7u7/S‘lr-9'flt è preso nel senso di accon
sentire, e questo senso appunto richiede il contesto delle cose qui
esposte. Carope era venuto a Roma per domandare al senato la
sua adesione alle stragi da lui stabilite nella città di Fenice, ed
il senato non gliela diede. Quindi è da rigettarsi il ruuuî3s'lo
del Valesio da ruyxé9w9m seder insieme, la qual lezione adot
tando egli tradusse àu cunmiSt'la lai: iiEtoupivots haudquaquam.
inter honoratos (altro significato di a_iml,unus da iiins, degno)
jussus est sedere. Il rwî91'la del Reiske' da cm'li9tr9m signi
fica pattui con assenso d’ ambe le parti , anzichè accordò con
volontà della più autorevole, e cuuaniu dello stesso da voy
zu9/evm vale cedette, rilasciò quanto avea pattuito; quindi nep
pure queste scritture sono da accettarsi.
(I74) Al suo proponimenlo di far eseguire 1‘ atroce giudizio
estorto al popolo di Fenice. Er animi sententia (secondo la sen
tenza, 1’ opinione dell’ animo suo) voltarono i traduttori latini le
parole arp‘s; 7»‘,1 lfluiv inniSu-n; ma non colsero, per quanto a
me pare, la mente dell’ autore. 'Yaro'Su-u nel senso che le ho qui
dato trovasi in più luoghi del Nostro (m, 94; v, 5; xxn, 6) e
di altri scrittori.
(175) Il re Eumene. Regnò questi, secondo Strabone (XIII ,
p. 624 ), quaranta nove anni. Che se egli salì sul trono 1’ anno
di Roma 557, quando mori suo padre Attalo I (Polib., xvm, 24;
Liv., xxxm, 21) sarebbe la morte di lui avvenuta l’ anno '606,
266 /
ben più tardi di quanto la troviamo qui indicata. Lo Sclrweiglx.,
attenendosi al calcolo del Simson, vuole che trenta sei anni ab
biasi a leggere nel luogo di Strabone testé citato, ma in tale caso
sarebb’ egli morto nel 595, non già nel 596, siccome da lui so
stiensi. È certo pertanto che Attalo Il , successore di lui, con
forme scorgesi dal piccolo brano alla fine di questo capitolo, op
pena prese le redini del governo restitui Ariarate nel regno di
Cappadocia, e ciò avvenne, giusta il Nostro (xxxrr, ‘20), quand’era
console Sesto Giulio Cesare, 1’ anno di Roma 597. Converrà don
que estender a quarent’ anni il regno di Eumene, quale additollo
il Petavio (Rationar. temp., t. u, p. 514).
(176) Ma col vigore dell' anima vi resisleva. Lo Schweigh.
nel dizionario polibiano con molti esempli tratti dal Nostro di
mostra chc Aaprpo'7qr, Aupwpin è da lui spesso usato per ala
critd , vigore ,forza , cosi nelle operazioni dell’ anima, come
ue’ movimenti della materia; e al presente luogo certamente non
si adatterebbe il senso più comune di splendore, chiarezza che
ha questo vocabolo. Maestrevole , a dir vero , è cotal tratto che
dipinge un corpo debole e malaticcio sorretto dagli sforzi effica
ci d’ uno spirito intrepido. _
(177) Ricevuto avendo ce. Pergamo era dapprincipio un ca
stello fortissimo situato sopra un alto monte, dove custodivasi
per Lisirnaco re di Tracia, uno de’ successori di Alessandro Ma
gno, il tesoro da questo lasciato. Pervenuto questo incarico a
certo Filetero , che da fanciullo per disgraziato accidente era
eunuco, e disfatto il regno di Lisimaco, colui se ne impossessò,
e morto lasciò la signoria ad Eumene figlio di suo fratello del
lo stesso nome, il quale la trasmise ad Attalo figlio d'Attalo fra
tello minore di Filetero,e questi primo assunse il titolo dire. Fu
egli socio del popolo romano nella guerra contro Filippo , ed
il figlio Eumeue nella guerra Antiochjca , pe’ quali meriti eh
be alla pace tutto il paese di qua dal Tauro, tranne la Licia e
la Caria , ed oltre a ciò la Chersonneso tracica , Lisimachia, ed
altri luoghi della Tracia (V. Polib. , xxrr, 7, 27; Strab., xul, p.
624). - Qui non dispiacciau al leggitore alcune riflessioni sull'e
267
logie che abbiamo dinanzi, il quale a tre capi , relativi atre ge
neri di virtù, si reduce. Nel primo si esaltano le virtù politiche
di Eumcue tendenti all’ accrescimento dello stato , e sono l'avve
dutezza usata nel profittare de’ favorevoli incontri e l’ attività con
cui insisteva nelle imprese. Nel secondo lodansi le sue virtù so
ciali, cioè il generoso animo di lui verso le nazioni non meno
che verso i particolari, onde acquisterai fama di sovrano bene«
fico , e meritarsi l’amor e la stima universale. ll terzo si aggira
sulle virtù domestiche di questo gran re , e principalmente sul
contegno suo modesto e sull’ energia del suo carattere , che ub
bidienti e rispettosi gli rendettero i fratelli al pari di lui atti al
maneggio de' pubblici all‘ari. .
(178) Impinguà. Il verbo lupa'loni'qn , letteralmente fece
corpo , che sovente trovasi presso il Nostro nel senso di arene
scer forza, ingrossare, arricchire, ho creduto che qui non ma
le renderebbesi per un verbo italiano esprimente la materialità
del greco, non rifiutandosi a ciò la indole della nostra favella.
(l'79) Avendo tre fratelli ec. Erano questi Atta/0 sovran
nomato FiladeVo , che dopo la morte di Eumeue amministrò
il regno nella fanciullezza di Attalo suo figlio , Filetero ed A
teneo (Strab., l. e. ). -}Nel testo manca assolutamente una pero
la qualificante ciò ch’ erano celesti fratelli per età e per opero
silà, zu7la Yin sihnuniv xal xu7ì wpé{n. il Valesio propose
èupéfu'lm, fiorenti , vigorosi, ed al medesimo testo riportato
da Suida lo aggiunse il Kustero, benché tra cancelli. Noi lo am
mettiamo senza difficoltà.
(l8o) Restituendo Ariarate nel regno. Da Slrabone (l. e.)
si conosce che Ariarate era fratello della moglie di Attalo , mie
nor fratello di Eumene. V. sopra le note 150 e 156.
(18|) Intorno a quel» tempo. Quest’ ambaseeria vorrebbe il
Valesio trasportare colà dov’ è riferita la comparsa di Campo
nel senato (xxxn , TI ), non riflettendo , siccome a quel luogo
giustnmente osserva lo Schweigh., che allora vivea h. Emin ,
morto nel 594 , quando 1' ambasciata qui riferita avvenne nel
598 , essendo console C. Marcio Figulo il quale; secondochè nar
\
,,
268 ' .
ra Livio (Epit., lib. xcvu), mandato fu a combattere i Dalma
li per le violenze da loro usate contro gl’ lllirii ( V. sopra cc.
18 , 19). Se non che C. Marcio non eseguì siffatta legazione nel
suo consolato; anzi, siccome C. Fannio, che fece in Dalmazia la
prima ambasciata nell’anno di Roma 597,‘ era stato console nel
595, e P. Lentulo console nel 59': riscontriamo ambasciadore
nel 598 (V. sotto il cap._xxvx e xxxur, l ); cosi è probabile che
più tardi del 598 vi andasse C. Marcio , destinandosi a cotesta
ufficio non già i consoli in funzione cui affidavasi il supremo co
mando nelle guerre , sibbene uomini consolari ,, cioè tali ch’ era
no stati rivestiti della prima dignità nella repubblica. Per tal guisa
potrebbe questo frammento appartenere ad un’epoca posteriore
alla stessa che le assegna lo Schweigh. , e forse a quella in cui
secondo noi (V. sopra nota 158 ) morto era Carope‘e agli al
tri uomini violenti che tiranneggiavano le loro patrie.
(182) In presenza , cioè a faccia a faccia , trovandosi amen
due simultaneamente davanti al senato , e parlando per modo
che si udivano reciprocamente. Quindi male la intese il Reiskc,
che za7è zpàa-uvru del testo definì: Dicendo essi medesimi per
sé, e non per mezzo di ambasciadori (i quali sarebbono stati
ambasciadori di ambasciadori). E neppure lo Schweigh. pdnetrò
nel vero senso di questa frase , riferendola non a colui che par
lava, ma al senato in faccia al quale parlava; 16 che î:ra super
fluo d’ indicare _, quando innanzi al senato appunto. recitavansi i
discorsi. _ V ,
(185) Prusia poiché vinse Alla/o ec. Di questa guerra par
lano Diod., I. c., Tom. n , p. 588 e Appiano Aless. nella guer
ra mitridatica c. 3. Erasi Attan ricoverato in Pergamo, dove il
re di Bitiuia lo assedio; ma questi spaventato dalle minacce de'
Romani ritirossi, e fu da loro condannato a consegnare ad Atta
lo venti navi coperte che diede subito , e cinquanta talenti che
pagò in rate. Che questo avvenimento sia da riferirsi all’anno
598 non ammette dubbio , dappoichè nel lib. xxxm , I _., dice il
Nostro che mandati furon ambasciadori in Asia dal senato per
269
comandar a Prusia di cessare la guerra con Attalo , quando era
pretore Aulo Postumia, il quale, osserva lo Schweigh., secondo
Cicerone (Accad., n, c. 45) ebbe cotal dignità nel consolato di
P. Scipione Nasica e M. Marcello , cioè per appunto 1’ anno 598.
(184) [Vice/brio. Avea già Filippo re di Macedonia, devastato
questo luogo nel 555 di Roma, quando mosse guerra al primo
Attalo, padre di questo e di Eumene (xvr , t Sembra pertan
to che nel secondo guasto fossero risparmiati gli alberi, i quali
forse dopo il primo taglio non erano _ricresciuti abbastanza rigo.
gliosi.
(185) Filomaco. Secondo Plinio (xxxrv , 8 , Ig) Piromaco
(Ryromachus) chiamasi questo scultore che insieme con altri ar
tefici rappresentò le battaglie di Attalo e di Eumene contro i
Galli (probabilmente in rilievo). Egualmente vizioso è il Phy
romachus proposto dal Valesio in luogo del volgato. - Non com
prendo pertanto come Plinio e dietro di lui il Valesio asserir po
tessero aver catasto scultore fiorito nell’ Olimp. CXX , quando
Eumene successe al padre 1’ anno di Roma 557 corrispondente al
I’ anno terzo dell' Olimp. -CXLV , ed Attan I_cbe regnò 44 an
ni (xvm , 24) salito era per conseguente sul soglio l’anno di
Roma 513, cioè 1’ anno terzo dell’ Olimp. CXXXIV. Convien a
dunque credere che Plinio abbia sbagliato, ovveramente che Pi
romaco il quale fece le battaglie di Attalo e d’ Eumene controi
Galli fosse diverso da quello che fiori nell’ Olimp. CXX , dap
poicbè nominati sono in luoghi tra di loro distanti, sebbene nel
lo stesso capitolo.
(l86) Per tutti i versi. I traduttori latini omisero le parole
del testo nella 731 fair7n 7po’mv , credendole forse superflue. Io
non le ho stimate tali, sembrandomi cb’ esse aggiungano ridi
colezza alle stravaganze di Prusia.
(r87) Altrove. V. lib. v, c. u, e xvr, r.
(188) Sacre meno. E da questo luogo e da un altro del No
stro (w, 35 ) è chiaro che coteste mense non hanno a confon
dersi cogli altari. Probabilmente servivan esse, secondochè sup
pone il Forcellini , (alla voce mensa) 'a riporvi sopra I vasi che
l
27O
usavansi pe'sacrificii. Forte mi meraviglio come il Valesio e lo
Schweigh. traducessero omnem aram alque LAPIDEM (Ogni al
tare e pietra
(i89) Guastar queste cose, cioè le mense e gli altari. Eademfa
na diripere (spogliare gli stessi templi) hanno itraduttori latini ;
ma ciò non scrisse Polibio , le cui parole ho con fedeltà espresse.
(190) Niente che degno fosse cc. A»6f‘u p‘u yltp à»6‘u es
sendo nel testo, il Valesio vi aggiunse in" , opera, che lo
Schweigh. amerebbe di omettere. lo ho creduto che riscontrandosi
poco prima ipya, meglio sarebbe iifwr, e lo introdussi nel vol
garizzamento, 0u'3‘tr isolato non conveniva.
(igl) Elea, città dell’ Eolide sul mare e arsenale del regno
di Pergamo, distante centoventi stadi ( 15 miglia) dalla capita
le (Strab. , xm , p. 6|5 ).
(191) Mosse, non già navibu: contemlit (salpò) conforme il Vs.
lesio male tradusse elmîpsy. Tardi se ne accorse lo Schweigh. che
copiò questa versione, ma vi rimediò nelle note. Era Tiatira, se
condo _Strabone (xut, p. 625), città della Lidia tra Pergamo e
Sardi (V. la nota 6 al lib. xvt), quindi mediterranea . uè vi si
poteva andare per mare; oltracbè fitta/pur è secondo Esichio
semplicemente àtléorn, indq;uiv, almzupl'iv, viaggiare, uscir
del paese, ritirarsi, e non racchiude 1’ idea di salpare, stac
carsi dal lido.
(igî) Geracoma. Questo luogo ancora era nella Lidia poco
distante da Tiatii‘a, ed apparteneva al regno di Pergamo. V. la
nota 8 al lib. xvr.
‘ (tgl) Apollo Cinio. « Fu così sovrannomato dall’ essere sta
to rapito da‘ cani, allorquando Latoua lo adagiò appena nato in
terra. Altri altre cause rammentano che vedi presso Suida in Ku
nino; , tolte da Socrate argivo e Cratere grammatico. Sotto que
sto nome fu adorato in Atene, e gli era dedicata la tribù de'
Cinidi , dalla quale faccvansi i sacerdoti di Apollo Ciuio, sic
come attcsta Esichio alla voce Iter/5m. n Valesio. '
(Igfi) Temno. Città colica secondo Strabone ( xm , p. 62| ),
4 271
situata verso i monti sopra Smirne , Cumu c Focea , sulle spon
de dell’ Ermo. Temnios la chiama Tacito nel secondo degli An
nali , e Cicerone Temnitas i suoi abitanti (pro L. Fianco, 13).
Dovea essa pure essere soggetta a Pergamo, dappoicbè Prusia vi
spogliò e distrusse quel famoso tempio. V. la carta dell’Asia mi
uore nel tomo in, al lib. v.
(I96) Colpito lo avesse cc. La vizioso scrittura E: 91517.:
(915271: è chi vede Dio, e qui starebbe a sproposito) occupò,
molto i commentatori. 'Bx 9roaipar7au (per missione degli Dei)
ne fece lo Schweigb. dietro il Tupio , citando Dionigi d’ Alicar
nasso che ha questo aggettivo, ed osservando che i». 9|urip
174» può dirsi non altrimenti che ti èm7naiw (per necessità)
ii ian'w (per libera volontà) ed altri simili. Il Reiske lesse
i: 9:51 7.6 (da qualcb’ uno degli Dei ) e con lui si accorda
1' Ernesti, ed a me ancora pare che questa lezione abbia a pre
ferirsi all’ altra, la quale costringe a dar a pîvn il significato
di punizione, pena che questo vocabolo non ha , esprimen
do esso ira, rabbia. Che se assurdo è il dire , esser a Prusia
avvenuta (niqu'liv9m) l’ ira mandala da un Dio, tale non è
l’ ira di un qualche Dio incontrala da Prusia , onde fu Pru
sia colpito.
(lg7) Con Publio Lenlulo. I codici recan Publio soltanto,
ma già 1’ Orsini vi apPose Lentulo, il quale finiva in quest’ an
no la sua legazione asiatica; quindi nel principio dell’ anno ap
presso 599 il Veggiamo a Roma insieme con Ateneo fratello d’ At
tale riferire la sciagura a questo accaduta.
(198) Aridronico. Nell’ambasciata che mandò Attalo per an
nunziare al senato la prima invasione di Prusia non trovasi in
Appiano nominato Andronico, né che il senato non vi badasse
(Milftl'ttl. 5 ). Ritornò Andronico dopo alcuni anni a Roma in
viato da Attalo per opporsi ain ambasciadori di Prusia circa la
multa che questi era stato condannato di pagar al re di Perga
mo,, e dalla quale supplicava ein il senato d’ esser assolto ( ivi,
c. 4).
27 2
(199) Nicome’de , figlio di Prusia che il padre , a detta di
Appiano (I. c.) mandato aveva a Roma, percbè colà vivesse
lontano dalla patria , dov’ era molto amato, mentrecb’egli odia
lo era dal popolo per la sua crudeltà. Per la qual cosa , osser
va lo Schweigh. , il troviamo qui nominato separatamente dagli
altri ambasciadori.
(200) E mandaron ambasciadori. Questi dovean solo verifi
care lo stato delle cose, lo che come ebbero eseguito, spediti fu
rono altri ambasciadori , nominati nel principio del seguente li
bro, per imporre a Prusia di non far guerra ad Attalo.
FINE DELLE ANNOTAZIONI
AGLI AVANZI DEL LIBRO TRIGBSIMOSBCONDO E DEL VOLUMI OTTAYO.
INDICE
DELLE COSE CONTENUTE IN QUESTO OTTAVO TOMO.
Anni del libro vigesimonono . . Pag.
Sommario dein avanzi del libro vigesimonono . . »
Annotazioni agli avanzi del libro vigesimonono . . »
Avanzi del libro trentesimo . . . . . . , . . »
Sommario degli avanzi del libro trentesimo ., . . n
Annotazioni agli avanzi del libro trentesimo . .4 . »
Avanzi del libro trentesimoprimo . . . . . . . 1»)
Sommario dein avanzi del libro trentesimoprimo . . n
Annotazioni agli avanzi del libro trentesimoprimo . n
Avanzi del libro trentesimosecondo . . . . . '. n
Sommario degli avanzi del libro trentesimosecondo . n'
Annotazioni agli avanzi del libro trentesimoseeondo. n
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INDICE DELLE TAVOLE.
Medaglie.
l. Genzio ultimo re dell’ Illiria. - Antioco IV Epya
' ne. - Ariarate VI Filopatore. - Demetrio I Sa
tere. . .. . . . . . . . Pag.
ll- Tolomeo VI Filometore. - Tolomeo VII Fiscone. -
Cleopatra sua seconda moglie . . . . . . »
Carte geografiche.
III. Isola di Creta . .' »
IV. Egitto, Marmarica , e Circnaìca . . . . . »
V. Caria, Licia, Pamfilt'a, ed isola di Rodi . . »
VI.IroladiCipro. . . . . . . . . . . . n
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‘ Fogli 17 'A. in 8.°a
centesimi |5 . . .
n 54 Va in 4.° a
centesimi |5. . .
N. a tav. di Medaglie,
e n. 6 Carte geogr.
i di varia grandezza
I L a ,
| coatula . . . . . .
Somma italiana
' in moneta
austriaca
PREZZO DEI.
in moneta italiana
PRESENTE TOMO
per li signori Associati
all'intiera edizione agli autori separati
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comn- con comu- con
ne colla velina ne colla '
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' NB. Le spese di Dazio e Porto sono a carico de’signori
Associati all’ estero.