2. PRINCIPI DI ECOLOGIA FLUVIALE Per poter analizzare la funzionalità fluviale bisogna prendere in considerazione un
ampio insieme di elementi. Lo studio può quindi diventare difficoltoso in quanto la
mancata (o errata) analisi di un solo elemento può pregiudicare l’intero lavoro.
La trattazione non può considerare il solo comparto acqua, ma deve tener conto
anche delle fasce di vegetazione perifluviali e di tutto il territorio circostante, per
fornire una visione globale del sistema.
Più nello specifico, l’analisi è condotta sul metabolismo degli organismi del fiume,
quindi sui processi di colonizzazione dei macrobentonici, sull’approvvigionamento
alimentare autoctono e alloctono, sulla ciclizzazione e ritenzione della sostanza
organica e ovviamente sulle relazioni trofiche tra gli organismi viventi.
Nella valutazione della funzionalità fluviale rientrano anche le componenti non
metaboliche tra cui quelle ecotonali, la diversità degli ambienti, la biodiversità, i
corridoi ecologici, i deflussi e il trasporto dei solidi.
2.1 River continuum concept
Un aspetto fondamentale è il “RIVER CONTINUUM CONCEPT”, il quale considera il
corso d’acqua come una successione di ecosistemi che si susseguono secondo
gradiente, interconnessi con gli ecosistemi esterni. In questo modo anche la
variazione dei vari parametri fluviali avviene secondo gradiente dalla sorgente alla
foce. Ogni tratto è influenzato da quello a monte e a sua volta influenzerà a valle
(relazione causa effetto). Tenendo sempre presente che c’è una stretta dipendenza
tra struttura/funzione delle comunità biologiche e condizioni geomorfologiche e
idrauliche del fiume, possiamo fare questa suddivisione:
- CRENON, corso d’acqua montano di 1°-3° ordine, eterotrofico in quanto il detrito
organico, qui costituito da foglie e rametti, entra direttamente dalla fascia perifluviale
esterna. C’è quindi abbondanza di organismi bentonici trituratori e collettori, mentre i
1
pascolatori sono poco presenti. La vegetazione riparia provoca anche una
sostanziale ombreggiatura che non permette l’attività fotosintetica. Inoltre l’acqua
scorre con velocità alta e non favorisce l’insediamento di vegetazione in alveo. Tutto
questo provoca un rapporto produttività/respirazione minore di 1 (FIG 2.1).
FIG 2.1: Relazione tra l’ordine del corso d’acqua e l’ampiezza dell’alveo. Si evidenzia lo stato della materia organica e la composizione della comunità lotica (manuale IFF, ANPA 2000).
- RHITHRON, corso d’acqua di 4°-6° ordine con metabolismo autotrofo, grazie alla
comparsa di organismi fotosintetici dopo l’allargamento dell’alveo e alla maggiore
quantità di luce che raggiunge la superficie del fiume. La comunità è in grado di
autosorreggersi anche se ci sono ancora apporti esterni. C’è così un sostanziale
aumento dei pascolatori a scapito dei trituratori, mentre i collettori abbondano
sempre in quanto sfruttano il particolato organico prodotto dai trituratori nei tratti più a
2
monte. Un rallentamento della velocità dell’acqua consente l’esistenza di un rapporto
produzione/respirazione maggiore di 1.
- POTAMON, corso d’acqua di ordine superiore al sesto dove, anche se
l’ombreggiatura diventa trascurabile, la fotosintesi è limitata a causa della torbidità
dell’acqua. Il metabolismo torna quindi ad essere eterotrofico. La comunità diventa
quasi esclusivamente composta da collettori i quali si nutrono di materia organica
fine proveniente per lo più dai tratti antecedenti. Il rapporto produzione/respirazione è
di nuovo minore di 1.
In un ecosistema con poca variabilità della struttura fisica nel tempo, la stabilità può
essere mantenuta anche senza una marcata diversità biologica. Invece nell’ambiente
fluviale, dove sono presenti marcate variazioni fisiche, specialmente nella portata, il
mantenimento della stabilità richiede un’elevata diversità biologica, e di conseguenza
ambientale.
Ovviamente ogni caso specifico presenta delle modificazioni, più o meno marcate,
dal river continuum concept, specialmente per quanto concerne la transizione delle
caratteristiche fisiche del fiume, dalla sorgente alla foce. Essa presenterà
accelerazioni e rallentamenti in relazione alla presenza di vari fattori quali:
- rami morti e zone umide permanentemente o saltuariamente in collegamento idrico
col fiume
- più livelli di base in corrispondenza per esempio di laghi o cascate
- immissione di affluenti con bacino vegetato o denudato
- cambiamenti di morfologia dell’alveo
- anomalie climatiche o geologiche
In conclusione, il river continuum concept è un ottimo schema interpretativo di
massima, che ovviamente deve essere applicato con i dati specifici del caso preso
in considerazione.
3
2.2 Equilibri energetici
Se consideriamo un sistema biologico chiuso, possiamo utilizzare il rapporto P/R
(produzione fotosintetica/respirazione), misurato in ossigeno (g m-2 d-1), come
descrittore della funzionalità.
L’ecosistema fluviale è invece aperto, e quindi tale descrittore presenta molteplici
imprecisioni, che aumentano con l’aumentare dell’apertura.
Dal river continuum concept si evidenzia che il fiume ha un gradiente longitudinale,
passa da condizioni eterotrofe ad autotrofe per tornare poi in eterotrofia, con un
rapporto P/R che varia da <1, >1 e di nuovo <1, senza poter mai raggiungere il
climax (=1).
Tuttavia può esserci l’eventualità di un sistema in equilibrio con P/R diverso da 1,
regolando le immissioni e le perdite di energia.
Nel diagramma di FIG 2.2 che mette in relazione la respirazione con la fotosintesi si
evidenzia una semiretta che indica l’equilibrio (maturità del sistema); l’area
sovrastante presenta condizioni eterotrofiche e quella sottostante autotrofe.
Spazio eterotrofo
Res
pira
zion
e
Spazio autotrofo
FIG 2.2: Diagramma bidimensionale fr(Ghetti,1997)
Per migliorare la descrizione del si
- I (import) e E (export): rappres
FPOM quello fine e DOM quello di
Fotosintesi
a produzione primaria e respirazione in un ecosistemastema bisogna introdurre le seguenti variabili:
entati da CPOM materiale organico grossolano,
sciolto
4
- D (detrito): l’energia di riserva presente nel sistema come particellato fine
immagazzinato e disponibile.
Con queste il modello diventa:
I + P = R + E + D
la variazione di un solo parametro comporta la ricerca di un nuovo equilibrio e quindi
la variazione di una o più delle altre componenti.
Nel grafico di FIG 2.3 si mettono in relazione P e R in un’ottica tridimensionale.
L’equilibrio è qui rappresentato non più da una retta bensì dal piano OBGD, il quale
divide lo spazio in una parte a destra in cui I + P > R + E (accumulatore) e una a
sinistra (esportatore) con I + P < R + E. Le capacità del sistema di accrescere o
decrescere dipendono dalle caratteristiche interne, e dagli equilibri che si creano,
variando la riserva interna di energia (D). Avremo così un equilibrio mobile
condizionato in larga misura dal bacino imbrifero.
Le variazioni degli equilibri, e quindi dell’energia a disposizione del sistema inducono
cambiamenti anche alla biocenosi e alla comunità macrobentonica che ovviamente
deve adeguarsi alle risorse presenti.
FIG 2.3: Diagramma tridimensionale del flusso di energia di un ecosistema aperto (manuale IFF, ANPA 2000).
5
Cambiamenti di equilibrio da apporti o esporti esterni sono influenzati dalla resilienza
del sistema, e quindi dalla capacità di assorbire le variazioni, reinstaurando nuovi
equilibri metastabili, attivando nuove dinamiche o modificando la composizione
strutturale del comparto biologico.
2.3 Spiralizzazione dei nutrienti
In un sistema chiuso, come ad esempio uno stagno, la mineralizzazione e il continuo
riciclo della materia avviene “in situ”, in quanto non c’è trasporto della corrente
d’acqua che trascina via la materia.
A B FIG 2.4: Ciclo della materia per il carbonio - A ciclo completo, B ciclo semplificato (manuale IFF, ANPA 2000)
Come si può vedere dalla FIG 2.4 parte A, un atomo di carbonio viene organicato
dopo fotosintesi da parte degli organismi vegetali acquatici, e poi successivamente ri-
mineralizzato in CO2 con la respirazione degli organismi, sia autotrofi che eterotrofi.
Nella parte B della FIG 2.4 questi processi vengono raggruppati e visualizzati tramite
un ciclo di diametro tanto maggiore tanto più lenta è l’attività biologica.
In un fiume la situazione è diversa: c’è sì la ciclizzazione dei nutrienti ma c’è anche la
componente di trasporto data dalla corrente, che produce un effetto a spira del ciclo.
La materia può essere trasportata più o meno lontano a seconda della velocità della
corrente stessa; una pozza, caratterizzata dalla diminuzione drastica di tale velocità,
6
provoca deposizione, fenomeno che può comunque essere causato anche da
strutture di ritenzione (quali massi, ciottoli, rami…) o dalla morfologia dell’alveo
(briglie artificiali, ecc). E’ un elemento molto importante per la micro e macrofauna:
una buona struttura di ritenzione, difatti, fa stazionare più a lungo la materia in una
zona, dando così più tempo agli organismi per assumerla e assimilarla. Anche in
questo caso il diametro della spira è tanto più stretto quanto più elevata è l’attività
biologica. Una maggiore distanza tra le spire indica meno strutture di ritenzione nel
fiume e quindi maggiore velocità di trasporto (FIG 2.5).
FIG 2.5: Spiralizzazione dei nutrienti, combinazioni possibili tra trasporto e attività biologica (manuale IFF, ANPA 2000).
La spiralizzazione delle sostanze nutritive, quali C, N e P, consiste in due fasi
principali:
- assunzione da parte dei biomi acquatici (uptake)
- metabolizzazione e trasporto lungo la catena trofica
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Volendo calcolare la lunghezza della spirale (s) tramite un modello (vedi FIG 2.6),
troviamo:
S = Sw + Sb = Fw / U + Fb / R
Con
Sw distanza percorsa da un atomo fin quando non viene assunto dal bioma (m)
Sb distanza compiuta da un atomo nel bioma prima di essere rilasciato nel
comparto acqua (m)
U uptake cioè prelievo e assimilazione (g m-2 s-1)
R rilascio (g m-2 s-1)
Fw flusso, capacità della corrente di veicolare un atomo nell’acqua (g m-1 s-1)
Fb flusso di trasporto nel bioma (g m-1 s-1)
Assunzione unitaria Hw (1/m) dall’acqua verso il bioma = U / Fw = 1 / Sw
Tasso di rilascio Hb (1/m) dal bioma verso il comparto acqua = R / Fb = 1 / Sb
FIG 2.6: Sintesi grafica del concetto di spiralizzazione. B=comparto bioma, W=comparto acqua (Ghetti,1997)
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Nel caso in cui ci si trovi in condizioni ideali di uniformità e stabilità avremo:
S = Ft / U
Con
Ft = Fw + Fb = flusso totale
Da cui si evince che maggiore è l’assunzione tanto più corta sarà la ciclizzazione a
spirale del nutriente.
L’ambiente da prendere in considerazione nello studio di un fiume è particolarmente
articolato e comprende vari livelli di risoluzione spaziale intrecciati (FIG 2.7):
microhabitat, sequenze vallive, buca, raschio, meandro, bacino, ecc.
Riveste un’importanza fondamentale a livello di microhabitat la varietà dei
macroinvertebrati, che sono lo specchio dell’eterogeneità del substrato e delle
condizioni ambientali.
Ogni organismo ha un proprio optimum e un proprio intervallo di tolleranza alle
condizioni ambientali; tanto maggiore sarà l’eterogeneità del substrato tanto
maggiore sarà il numero delle unità sistematiche ritrovate e che quindi possono
convivere.
Alla scala superiore la diversità ambientale è indicata dalla sinuosità del tracciato,
dall’alternanza di pozze-raschi, dalle barre di meandro, dagli ostacoli alla corrente,
dalla vegetazione sommersa e dalle formazioni arboree riparie.
Questa ultima analisi riveste particolare importanza per l’ittiofauna in quanto, per
esempio, le buche sono usate come aree di rifugio e i raschi come zone di
alimentazione. Ogni attività richiede una particolare combinazione di parametri
ambientali (compresi in determinati intervalli di tolleranza), condizioni che poi variano
da specie a specie, e all’interno della stessa specie differiscono nei singoli stadi di
sviluppo.
Particolarmente importanti per i pesci sono le aree rifugio: molti di essi passano la
maggior parte del loro tempo in queste zone, che occupano e difendono contro gli
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estranei. In queste aree riescono anche a superare i momenti più difficili, legati alle
fluttuazioni della portata.
Il popolamento ittico è quindi pesantemente influenzato più che dalla disponibilità di
cibo, dalla diversità ambientale e dalla presenza di queste aree rifugio.
FIG 2.7: Elementi morfologici di un alveo naturale (Keller et Brookes 1984, modificato)
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2.4 Macroinvertebrati
Il riconoscimento dei macroinvertebrati bentonici che si rinvengono nel fiume riveste
un ruolo molto importante nell’analisi della sua funzionalià ecologica. Tali organismi
sono, infatti, degli ottimi indicatori delle caratteristiche generali del corso d’acqua e
ne rispecchiano lo stato di salute complessivo.
In linea generale si ricercano i seguenti taxa: Insetti, Crostacei, Irudinei, Molluschi,
Oligocheti, Tricladi. Hanno tutti dimensioni superiori al millimetro e vivono tutta o
parte della loro vita sui substrati disponibili dei corsi d’acqua.
Ogni organismo ha bisogno di una serie di condizioni ambientali per poter vivere e
svolgere le funzioni del proprio ciclo vitale. L’identificazione degli organismi presenti
fornisce, quindi, informazioni riguardo la velocità di corrente, la profondità, le portate,
le caratteristiche del substrato, i nutrienti, gli inquinanti presenti, le temperature,
l’ossigenazione ecc.
Nel ciclo della materia organica i macroinvertebrati sono sia consumatori diretti che
frantumatori delle particelle grossolane, le quali, in questo modo, sono rese più
facilmente attaccabili dai batteri. Essi occupano tutti i livelli dei consumatori nella
struttura trofica. A loro volta gli invertebrati bentonici vengono predati da molte specie
di pesci.
Se un corso d’acqua è colonizzato da un’abbondante e diversificata comunità di
questi organismi, significa che tutte le possibili funzioni ecosistemiche sono
espletate, le risorse presenti vengono sfruttare al meglio e quindi si garantisce una
buona efficienza depurativa. Per “potere depurante”, infatti, si intende l’efficienza
metabolica caratteristica che può essere raggiunta in una data tipologia fluviale dal
complesso delle attività trofiche. Quindi in un corpo d’acqua con determinate
caratteristiche ci si aspetta una corrispondente composizione macrobentonica e se
questo non avviene vuol dire che ci sono dei fattori di disturbo da indagare, che
possono derivare dalle caratteristiche chimico-fisiche del comparto acqua ma anche
da alterazioni idrauliche e morfologiche quali, ad esempio, modifiche al substrato o
piene.
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Ovviamente dalla sorgente alla foce variano molti parametri fluviali (velocità,
ossigeno, temperatura ecc) e ciò comporta già cambiamenti nella composizione dei
popolamenti.
L’importanza di queste valutazioni è sottolineata dall’esistenza di un indice apposito,
l’I.B.E. (Indice Biotico Esteso), che viene sempre utilizzato per le caratterizzazioni
ecologiche dei fiumi.
2.5 Vegetazione
Facendo dei raggruppamenti funzionali, i popolamenti vegetali fluviali che possiamo
trovare sono:
- Phytoplancton
- Periphyton
- Macrofite acquatiche
- Formazioni erbacee pioniere di greto
- Canneti tra cui fragmiteti, tifeti, scirpeti, cariceti
- Formazioni riparie arbustive o erbacee
Tutte queste cenosi o popolamenti sono più o meno strettamente legati all’acqua e
spesso adatti esclusivamente all’ambiente di acqua corrente.
La componente vegetazionale negli ecosistemi fluviali è soggetta alla “water force”,
cioè al complesso di azioni e effetti fisici che l’acqua può causare nel tempo ai corpi
immersi.
A sua volta la water force è influenzata dalla morfologia del fiume, dalle
caratteristiche longitudinali e trasversali, dalle precipitazioni, dal substrato e dalla
morfologia del bacino imbrifero.
Tra i fattori che influenzano gli insediamenti di vegetazione ricordiamo :
- la velocità della corrente
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- la profondità
- le variazioni di portata
- la frequenza delle sommersioni e dei periodi di aridità
- la torbidità dell’acqua che influisce sulla fotosintesi
- la turbolenza, che se da una parte ossigena maggiormente l’acqua, dall’altra
aumenta la torbidità diminuendo la possibilità che avvenga la fotosintesi
- la litologia del substrato, la quale influenza il bacino imbrifero, il fondo del fiume e i
suoli circostanti. Si possono così ritrovare fondi con ciottoli grossolani o sabbie
finissime, rocce carbonatiche o silicee. La litologia condiziona anche il rilascio idrico
e il chimismo dell’acqua e quindi il ciclo dei nutrienti. Infine i suoli, a seconda delle
loro caratteristiche, potranno essere sfruttati per usi diversi che a loro volta
condizionano la vegetazione fluviale.
- la dimensione dell’alveo
- il regime idrologico e i conseguenti cicli di deposizione/erosione, in quanto variano
l’estensione delle aree disponibili per l’insediamento della vegetazione riparia e
l’insediarsi di cicli di rinnovamento delle comunità, determinando l’ampiezza della
fascia perifluviale
- il clima. Questo aspetto ha molta influenza sugli insediamenti fluviali, determinando
la temperatura dell’aria e dell’acqua, le precipitazioni, la forza meccanica dell’acqua,
la quantità di luce incidente. Di particolare importanza sono le fluttuazioni giornaliere
e periodiche di questi elementi, anche se queste sono meno marcate rispetto al
comparto aria dato che l’acqua, grazie al suo alto calore specifico, permette di
mantenere condizioni più costanti.
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- le interazioni con le altre componenti biotiche, soprattutto con i consumatori primari
- le concentrazioni di nutrienti
- le attività antropiche nel bacino o nelle vicinanze. L’uso del suolo (agricolo,
industriale, urbano…) altera lo stato trofico e i cicli degli elementi e quindi modifica in
maniera più o meno marcata lo stato chimico-fisico generale dell’ambiente. La
concentrazione degli eventuali inquinanti presenti influenza sia la componente
specifica che la struttura dei popolamenti. Se l’attività antropica è particolarmente
spinta e invasiva verso il corso d’acqua, può portare alla totale scomparsa della
fascia perifluviale o addirittura dell’intera biocenosi acquatica.
L’ecosistema fluviale riesce a mantenere una certa uniformità di insediamenti
vegetazionali grazie al flusso idrico che trasporta gli elementi riproduttivi delle specie
sia in senso longitudinale che trasversale.
Analizzeremo ora separatamente le due zone principali della vegetazione fluviale.
2.5.1 Ambiente Ripario
L’ecotono ripario è determinato dalla presenza di specie vegetali dette, per l’appunto,
riparie ed è la zona di interfaccia tra l’ambiente prettamente acquatico e il territorio
circostante. Esso è ancora fortemente influenzato dalle piene e dalla falda freatica
fluviale.
Tra gli adattamenti principali di questa vegetazione troviamo quelli che riguardano la
riproduzione:
- la rigenerazione vegetativa anche per radicamento di porzioni come rami, fusti o
radici
- la dispersione di semi e frammenti vegetativi per trasporto tramite acqua (idrocora)
- la produzione di semi durante il ritiro delle acque di piena al fine di permetterne la
germinazione su substrati solo umidi e non dilavati.
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Altro adattamento è quello della flessibilità dei fusti e radici, degli aerenchimi e radici
avventizie (Salix, Alnus e Populus).
Le formazioni vegetali degli ambienti ripari possono essere viste come una serie di
insediamenti uno di fianco all’altro con sviluppo parallelo al corso d’acqua (FIG 2.8).
Partendo dal limite dell’acqua dell’alveo di morbida possiamo evidenziare prima una
fascia di erbe pioniere di greto. Successivamente nell’alveo di piena troviamo le
formazioni riparie arbustive (salici arbustivi), ed ancora più esternamente formazioni
arboree riparie (ontani, salici arborei e pioppi).
FIG 2.8: Tipologie di vegetazione riparia in sezione trasversale con relativa legenda (manuale IFF, ANPA 2000).
Ovviamente ciò che è stato appena descritto è riscontrabile in un territorio privo di
una forte alterazione antropica e dove le caratteristiche morfologiche lo consentono.
Spesso quindi si possono trovare varianti di questo schema dovute a alterazioni
prevalentemente antropiche come la canalizzazione e i prelievi. Purtroppo negli ultimi
decenni tali interventi hanno avuto larga diffusione e hanno comportato in molti casi
la scomparsa della vegetazione igrofila trasformando l’ecosistema.
Dove l’impatto antropico ha distrutto le formazioni arboree l’unico insediamento che
si rinviene è quello di arbusti e erbe pioniere di greto, le quali si trovano in zone
15
frequentemente allagate e quindi poco utili allo sfruttamento umano. Spesso poi si
insediano specie esotiche e in particolare invasive che diminuiscono ulteriormente la
naturalità e la biodiversità dell’ecosistema.
Tra le funzioni di una formazione riparia ben sviluppata c’è quella di ridurre
significativamente l’incidenza dell’erosione (anche fino a 30 volte) oltre a modificare
sostanzialmente il trasporto dei sedimenti, attraverso l’intrappolamento fisico e la
regolazione del regime idraulico, riducendo la velocità della corrente e trattenendo il
sedimento , cosa che una copertura erbacea non riesce a fare compiutamente.
Non è da trascurare il fatto che le formazioni riparie apportano quantità significative
di sostanza organica all’interno dell’ecosistema fluviale (nelle zone temperate dai 50
ai 900 g di peso secco di lettiera al mq), svolgendo importanti funzioni di
accumulo/rimozione di sostanze nutritive, con efficienza tanto maggiore tanto più è
elevato il grado di maturità della struttura. Le formazioni arboree riparie infatti
garantiscono l’accumulo di nutrienti a breve termine in biomassa non legnosa e a
lungo termine in quella legnosa. La vegetazione perifluviale ha anche una funzione
“filtro” verso i nutrienti stessi. Difatti, può attenuare le punte di immissione nel
sistema di azoto e fosforo derivanti da pratiche quali, ad esempio, varie attività
agricole. Ha, quindi, un ruolo fondamentale nel processo di autodepurazione delle
acque, che si esplica anche tramite i batteri simbionti presenti nell’apparato radicale
di varie specie. Può infine essere considerata come una zona di serbatoio nel
momento in cui si abbia un bacino che presenti, invece, scarsi apporti trofici.
Dato che la temperatura dell’acqua è correlata a quella del suolo circostante, le
formazioni riparie esercitano un’influenza anche in quest’ambito. In più, esse
possono trattenere l’acqua dopo le piene, sfavorendo il rapido deflusso e
permettendo quindi la deposizione dei materiali fini oltre al mantenimento di alti stati
di umidità per lungo tempo.
Bisogna poi considerare che specialmente in ambienti fortemente antropizzati l’area
riparia rappresenta la zona più naturale e dove si concentra la maggior parte della
biodiversità.
E’ stato infine dimostrato che tali aree sono dei corridoi per le rotte migratorie degli
uccelli e rivestono ruoli importanti per specie vegetali e animali acquatici.
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2.5.2 Ambiente acquatico
Nell’ambito dell’ecosistema fluviale si considerano vegetali acquatici tutti quelli
insediati nell’alveo di morbida e non solo in quello sommerso (FIG 2.9).
FIG 2.9: Disposizione delle tipologie di piante acquatiche lungo una sezione trasversale (manuale IFF, ANPA 2000).
Partendo dal centro del corso d’acqua in un’ipotetica sezione trasversale troviamo in
ordine:
1 - specie sommerse radicate natanti (nella porzione centrale del corso d’acqua).
Sono completamente sommerse e ancorate al substrato per mezzo di radici o
rizoidi.
Es. Ceratophyllum sp., Chara sp.
2 - specie flottanti radicate (dove si trova minore profondità). Sono ancorati al
substrato per mezzo di radici e rizoidi ma sono presenti foglie e organi riproduttivi
fuori dall’acqua. Spesso queste specie presentano eterofillia (spinto dimorfismo tra le
foglie sommerse laciniate e quelle flottanti laminari).
Es Potamogeton sp., Nuphar sp., Ranunculus sp.
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3 - specie flottanti non radicate (nella porzione a bassa o nulla velocità). Galleggiano
nell’acqua senza alcun tipo di apparato radicale legato al substrato. Se sono presenti
delle radici sono libere.
Es Lemma sp. , Trapa sp.
4 - specie radicate emergenti (nei pressi delle rive). Trattasi di piante radicate che
emergono per gran parte della loro porzione vegetativa e presentano idrofilia minore
alle precedenti, tollerando così periodi di emersione. Colonizzano porzioni di alveo di
morbida soggette alle maggiori variazioni di livello d’acqua. Possono essere sia
canneti (fragmiteti, tifeti, scirpeti, cariceti) sia formazioni pioniere di greto (formazioni
erbacee spesso pioniere annue). Tali specie riescono a insediarsi in queste zone
difficili da colonizzare grazie alla buona resistenza all’inondazione, alla capacità di
crescere su substrati con pedogenesi scarsa o nulla e alla veloce propagazione.
In tutte queste specie spiccano gli aspetti autoecologici su quelli sinecologici, con
una scarsa o nulla coordinazione tra di loro. Prevalgono le specie a vasto areale
rispetto a quelle endemiche e localizzate. Tutto questo ha spinto molti autori a non
considerarle vere e proprie cenosi.
Tra le molte funzioni della vegetazione acquatica ritroviamo quelle di produttori
primari nel caso del periphyton, ma anche di costituenti dell’habitat. Difatti, a
differenza degli insediamenti vegetali perifluviali, si costituiscono diversi microhabitat
che a loro volta verranno colonizzati da faune specifiche. Inoltre, tramite i processi di
organicazione dei nutrienti, le specie vegetali acquatiche contribuiscono allo
svolgimento dei processi di autodepurazione delle acque.
I vegetali acquatici vengono usati come bioindicatori delle condizioni chimico-fisiche
e biologiche del corpo idrico. Se tali popolamenti sono infatti costituiti da specie
dipendenti dall’acqua, è evidente la correlazione tra le caratteristiche del
popolamento vegetale e le caratteristiche dell’acqua stessa, compreso il livello
d’inquinamento. Molti autori ritengono l’analisi della componente vegetazionale sia
più indicativa rispetto a quella del macrozoobenthos .
Un approfondimento è doveroso in merito al periphyton. La definizione comunemente
accettata lo considera come comunità complessa di microrganismi che vivono
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aderenti ai substrati immersi (sia inorganici che organici, vivi o morti) che comprende
alghe, batteri, funghi, protozoi, detrito organico e inorganico; inoltre si considerano
parte del periphyton anche gli organismi aderenti al sedimento, sia quelli che lo
penetrano o che si muovono all’interno del reticolo costituito dalle forme sessili.
Questi organismi hanno dimensioni che variano da pochi micron a diversi centimetri.
La parte preponderante in biomassa del periphyton è costituita dalla componente
autotrofa, che ne caratterizza la funzione ecologica. Infatti il suo ruolo principale è
quello di produttore primario in situ, parallelamente a quello di nutrimento e
microhabitat per la fauna invertebrata bentonica.
I fattori ambientali che influiscono sulla composizione e sulla struttura dei
popolamenti vegetali condizionano fortemente anche la componente perifitica,
variandone la composizione, la forma e le dimensioni delle colonie nonché il tasso
riproduttivo. Tra questi fattori quelli più significativi sono la concentrazione dei
nutrienti, la velocità della corrente, la capacità erosiva del corso d’acqua, la torbidità,
il tipo di substrato e l’ombreggiamento.
Gli stress ambientali inducono il periphyton a risposte legate alla struttura del
popolamento che inizia con la scomparsa delle specie più sensibili. Una situazione
molto comune è quella in cui dopo un elevato apporto di sostanza organica si
sviluppa un enorme crescita perifitica, sia in numero che come biomassa totale, che
forma tappeti continui (blanket weeds) costituiti per lo più da alghe macrofitiche
bentoniche. Numerose metodologie utilizzano le diatomee, o appunto alghe
macrofitiche, come indicatrici per biomonitorare gli apporti organici.
2.6 Il potere autodepurante
La sostanza organica che entra in un fiume, sia di origine antropica che naturale,
viene successivamente mineralizzata dal metabolismo di microrganismi, batteri e
funghi, e i prodotti vengono riciclati dai vegetali (microalghe e idrofite). Le varie
comunità microscopiche composte da funghi, batteri, microalghe, ciliati, amebe,
rotiferi, nematodi, tardigradi ecc, che nell’insieme danno forma alla sottile pellicola
biologica detta periphyton, rappresentano il primo sistema depurante dei corsi
d’acqua. Questo è la base di supporto per il secondo sistema depurante, quello
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costituito dai macroinvertebrati, che funge da acceleratore e regolatore del processo.
Grazie alla loro specializzazione permettono l’utilizzo ottimale di tutte le forme di
risorse alimentari disponibili e rendono la comunità in grado di rispondere
elasticamente alle variazioni del carico organico. L’efficienza di un sistema depurante
si ripercuote sull’efficienza dell’altro (FIG 2.10); difatti, per esempio, i trituratori
sminuzzano la sostanza organica grossolana potenziando così l’attacco dei batteri,
che a loro volta dopo aver attaccato le particelle le rendono più disponibili
all’assunzione da parte di altri macroinvertebrati.
FIG 2.10: Schema del risultato complessivo dei processi autodepuranti (manuale IFF, ANPA 2000).
Il terzo sistema depurante è costituito dai vertebrati, compresi quelli terrestri, che si
nutrono di macroinvertebrati acquatici: mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci.
Successivamente abbiamo l’influenza della fascia di vegetazione riparia (quarto
sistema) la quale, oltre a fornire nutrimento e habitat a organismi microscopici,
vertebrati e macroinvertebrati, funge sia da filtro biologico che meccanico.
Nel momento in cui l’acqua di dilavamento del bacino incontra la fascia perifluviale,
questa ne riduce innanzitutto la velocità, permettendo la sedimentazione delle
particelle sospese. Tale funzione contribuisce a diminuire la torbidità dell’acqua oltre
a impedire il riempimento degli interstizi tra un ciottolo e l’altro (microhabitat
20
fondamentale). Nondimeno diminuisce il fenomeno dell’eutrofizzazione dato che il
fosforo rimane legato alle particelle argillose sedimentate e l’azoto viene assorbito
dalle piante.
Nella fascia perifluviale, inoltre, possono presentarsi condizioni favorevoli alla
denitrificazione, processo che determina il passaggio dell’azoto dalla fase liquida a
quella gassosa.
Il processo di denitrificazione consiste nella riduzione dei composti nitrati in azoto
gassoso (N2) che poi viene rilasciato in atmosfera. E’ svolto da batteri anaerobi
facoltativi, i quali utilizzano i nitrati quando si trovano in condizioni di anossia totale o
parziale, cioè nel momento in cui il suolo viene sommerso o saturato
dall’innalzamento della falda. Perché questo processo possa avvenire è necessaria
anche la disponibilità di carbonio organico (foglie e acidi umici) oltre a determinate
temperature, umidità, struttura del suolo (maggiore è la frazione limosa maggiore
sarà l’efficienza) e pH. 2.7 IFF (Indice di Funzionalità Fluviale)
L’Indice di Funzionalità Fluviale deriva dall’RCE–I (Riparian Channel Environmental
Inventory) il quale fu ideato da R. C. Petersen dell'Università di Lund (Svezia) e
pubblicato in forma organica nel 1992, dopo anni di utilizzo. Esso presentava una
scheda costituita da 16 domande, con 4 risposte predefinite per ognuna di esse. Lo
scopo principale di tale metodo era la raccolta delle informazioni relative alle principali
caratteristiche ecologiche del corso d'acqua, al fine di redigere un inventario dello stato
degli alvei e delle fasce riparie dei fiumi svedesi. Però in questo contesto le valutazioni
ambientali finali rappresentavano più un “sottoprodotto” che un esplicito obiettivo
dell’indagine.
Successivamente (1990) la scheda è stata applicata in Trentino su 480 tratti dei
principali corsi d'acqua (Siligardi e Maiolini, 1990). Qui si è presentata l’esigenza di
apportare varie modifiche in modo che il metodo si potesse meglio adattare alle
caratteristiche morfo-ecologiche dei corsi d'acqua italiani, soprattutto di tipo alpino e
prealpino. Dopo molteplici modifiche si dimostrava sempre più che la metodologia
assumeva importanza, oltre che come semplice inventario delle caratteristiche dei
21
corsi d’acqua, come modello di qualità ambientale. Pertanto, è stato realizzato l’RCE-2, con una nuova scheda per la valutazione (Siligardi e Maiolini, 1993).
La veloce diffusione dell’RCE-2 nel territorio italiano dimostrò la crescente esigenza di
adottare nuovi metodi di valutazione dell’ecosistema, senza peraltro nulla togliere agli
indici specifici (microbiologici, biologici, chimici…) più consolidati.
La metodologia RCE-2 è stata infatti ampiamente applicata non solo in zone alpine,
ma anche in aree di pianura, appenniniche e del sud Italia. Il workshop “La qualità
ambientale dei corsi d’acqua: RCE-2 Riparian Channel and Environmental
Inventory”, tenutosi a Saluggia nel 1997, ha permesso di constatare come la scheda
RCE-2 fosse stata più volte modificata nelle sue parti, in modo da potersi adattare
alle varie esigenze che volta per volta si presentavano a chi la applicava, esigenze
dettate sia dalle diverse caratteristiche dei corsi d’acqua indagati che dai diversi
obiettivi del lavoro.
Le molteplici applicazioni e le conseguenti modifiche per adattare questo metodo ai
casi specifici fecero emergere il problema che il nome RCE-2 rappresentava sempre
più una serie di metodologie troppo eterogenee tra loro, non adeguatamente
calibrate per la grande variabilità delle tipologie dei corsi d’acqua. Serviva uno
strumento che potesse essere direttamente applicabile ai vari casi, senza modifiche,
in modo che i risultati potessero essere direttamente confrontati.
Così, l’A.N.P.A. (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) ha costituito nel
1998 un gruppo di lavoro comprendente esperti nel campo dell’ecologia fluviale che
ha apportato varie modifiche alle domande e alle risposte della scheda, al loro
significato e al loro peso. Le varie modifiche effettuate erano talmente importanti da
spingere il gruppo a cambiare il nome dell’indice. Fu così creato l’Indice di Funzionalità Fluviale (I.F.F.), la cui denominazione mette bene in evidenza il
principio fondamentale che regge ogni domanda.
2.7.1 Ambito d’applicazione L’Indice di Funzionalità Fluviale è strutturato per essere applicato a molteplici corsi
d’acqua corrente, siano essi di montagna o di pianura, in ambienti padani,
22
appenninici, alpini, insulari o mediterranei. E’ adeguato sia per torrenti che per fiumi
di qualsiasi ordine, ma anche per rogge, canali e fosse (unica caratteristica richiesta
è che abbiano acque fluenti).
Come ogni metodo presenta dei limiti. Esistono certi ambienti in cui l’indice è
sconsigliato, oppure in cui bisogna analizzare i dati in modo particolare. Un esempio
a tal proposito è l’ambiente di transizione o foce, in cui il cuneo salino e le maree
contribuiscono a creare una situazione molto diversa da quella dulciacquicola
corrente, e quindi non permette l’applicabilità dell’indice.
Sempre per inadeguatezza l’IFF non è utilizzabile nelle acque ferme, quindi si
escludono laghi, stagni, lagune e simili.
Un esempio di analisi particolare dei risultati è fornito dal caso in cui si consideri un
ambiente a quota più alta del limite altitudinale della vegetazione arborea. Qui l’indice
non descrive un ambiente di alta funzionalità, anche se l’acqua risulta possedere un
adeguato livello di trofia e la presenza antropica è totalmente trascurabile: questo
perché una situazione simile conferisce una fisiologica fragilità al sistema. E’ poi
compito dell’operatore fare le giuste considerazioni riguardo ai risultati e alle carte di
funzionalità.
Il periodo di rilevamento più idoneo per un’applicazione corretta è quello compreso
fra il regime idrologico di morbida e di magra e comunque in un periodo di attività
vegetativa. Questo porta a dover applicare l’indice in tempi diversi a differenza delle
condizioni di regime idrologico che sono presenti nelle varie regioni del territorio
italiano (montano-alpina, montano-appenninica, mediterraneo-costiera, arida del
mezzogiorno).
2.8 IBE (Indice Biotico Esteso) In Italia la prima applicazione dell’Indice Biotico Esteso si deve al progetto del CNR
chiamato “Promozione Della Qualità dell’Ambiente” (1976-1982), con cui tale indice
venne redatto per le province di Piacenza e Reggio Emilia sulla base del manuale “I
macroinvertebrati nella sorveglianza ecologica dei corsi d’acqua” (Ghetti, Bonazzi,
1981; Ghetti e al., 1982; Ghetti e al., 1984).
Nell’ambito del progetto venne inoltre coordinata l’attività dei tassonomi italiani per
produrre una serie organica di chiavi di classificazione dei vari gruppi di organismi
23
delle acque interne italiane, con particolare riguardo ai gruppi di macroinvertebrati
(Ruffo, 1975-1985).
Questo lavoro oggi fornisce una base conoscitiva essenziale nell’applicazione degli
indici di qualità ambientale basati sullo studio di macroinvertebrati.
Nel 1988 venne pubblicato un atlante per il riconoscimento nell’insieme dei gruppi di
macroinvertebrati (Sansoni, 1988), mentre nel 1994 venne stampato un volume per il
riconoscimento dei macroinvertebrati delle acque interne italiane, organizzato come
chiave delle chiavi specialistiche (Campaioli e al.,1994).
A tutto ciò il Centro Italiano Studi di Biologia Ambientale, supportata da varie
amministrazioni fra cui, in particolare, la provincia autonoma di Trento, associò un
lavoro di formazione degli operatori delle strutture territoriali attraverso 23 corsi
pratici di formazione.
Nel 1995 l’Istituto Ricerca sulle Acque, ente competente dal punto di vista
istituzionale per la redazione di metodi ufficiali per l’Italia, pubblicò in forma sintetica
l’attuale revisione del metodo.
Questa lunga esperienza di concepimento e messa a punto di tali sistemi ha pertanto
avuto modo di formare numerosi operatori in grado di introdurre l’I.B.E. tra le
metodiche ufficiali del monitoraggio ambientale e di raccogliere un’ampia gamma di
dati circa lo stato di qualità biologica dei corpi idrici italiani, allargando dunque
l’attenzione dalla qualità del campione di acqua alla qualità dell’ecosistema fluviale.
2.8.1 Comunità di macroinvertebrati I macroinvertebrati sono organismi di taglia superiore al millimetro, e pertanto
facilmente visibili e osservabili ad occhio nudo.
Ad essi appartengono diversi tipi di gruppi di animali che vivono almeno una parte
della loro vita sui substrati disponibili sviluppando strutture che li rendono in grado di
resistere alla forza della corrente. Tra essi si distinguono:
- Insetti (tipicamente stadi giovanili che fuoriescono dalle acque nel periodo detto di
sfarfallamento)
- Crostacei
24
- Molluschi
- Irudinei
- Tricladi
- Oligocheti
- Nemertini e Nematomorfi (gruppi più rari e difficili da osservare).
Esiste anche una classificazione su base funzionale, con cui i macroinvertebrati
vengono distinti in epibentonici, che vivono di norma sulla superficie del substrato o
entro i primissimi centimetri, e freaticoli, che vivono all’interno dei sedimenti.
Tale distinzione comunque non è netta in quanto organismi epibentonici sono in
grado di penetrare nel sedimento, dominio degli organismi freaticoli. Esistono
numerosi fattori che influenzano la struttura di una comunità di macroinvertebrati, tra
cui:
- SUBSTRATO: dipende dalla pendenza del corso d’acqua nonché, in ubicazione ed
estensione, dalle normali fluttuazioni di parametri idrologici come velocità della
corrente e portata.
Tipicamente a diminuzioni di quota corrisponde un substrato che diviene via via più
fine.
- PROFONDITA’ dell’acqua: influenza direttamente la possibilità di fotosintesi da
parte di organismi autotrofi nonché la temperatura e il chimismo delle acque, in
particolare per ciò che riguarda la presenza di ossigeno disciolto.
Ciò influenza dunque, seppure in maniera indiretta, la distribuzione degli organismi
macrobentonici.
- TURBOLENZA: unitamente alla velocità della corrente influenza sia direttamente
che indirettamente la distribuzione degli organismi, a causa delle caratteristiche
fisiologiche delle diverse specie (influenza diretta) e della suddivisione selettiva dei
sedimenti (influenza indiretta).
- PORTATA: periodi di magra o di piena possono causare variazioni piuttosto
consistenti nella struttura della comunità che, a seconda dell’entità dell’evento, può
impiegare tempi diversi per una completa ricolonizzazione.
25
- TEMPERATURA dell’acqua: influenza direttamente la distribuzione delle specie a
seconda della loro tolleranza a variazioni termiche.
Esistono inoltre interazioni di tipo indiretto: la temperatura è inversamente
proporzionale alla solubilità dell’ossigeno in acqua nonché alla viscosità dell’acqua
stessa e quindi, in ultima analisi, all’efficienza di sedimentazione.
- TORBIDITA’: dipende dalla presenza di solidi sospesi e influenza direttamente
l’attività fotosintetica.
- DUREZZA delle acque: si determina in base alle concentrazioni di calcio e
magnesio disciolte e riveste un ruolo importante nella selezione delle diverse
tipologie di comunità.
In particolare si osserva come in acque dure la fauna di invertebrati tenda ad essere
dominata da molluschi e crostacei, mentre acque più dolci presentano comunità
dominate da ninfe di insetti.
- OSSIGENO DISCIOLTO: è un importante fattore limitante per molti organismi
acquatici, poiché le specie possiedono diversi gradi di tolleranza ad esso e perché
lungo il corso del fiume possono succedersi zone a diverse concentrazioni di
ossigeno disciolto.
Di solito specie viventi in ambienti ad erosione prevalente sono più sensibili al deficit
di ossigeno disciolto che specie tipiche di substrati di deposito.
- CONCENTRAZIONE DI NUTRIENTI: influenza direttamente la produttività primaria
e se ne osserva un aumento da monte a valle.
- ALTRI FATTORI: presenza di sostanze organiche metabolizzabili, di sostanze
tossiche organiche (come erbicidi o insetticidi) o inorganiche (ad esempio metalli
pesanti), modificazioni fisiche dell’habitat, radioattività, presenza di organismi
patogeni, invasione di organismi alloctoni, inquinamento termico.
Tra i macroinvertebrati sono rappresentati praticamente tutti i livelli della catena
trofica ad eccezione dei produttori primari.
Si distinguono carnivori, che si nutrono di altri invertebrati vivi, erbivori, che si nutrono
di macrofite e microfite, e detritivori il cui nutrimento è rappresentato da detrito
organico di origine vegetale talvolta integrato da elementi inorganici seppur in minore
quantità.
26
Alcuni organismi detritivori sono in grado, in caso di necessità, di passare ad un
regime erbivoro o carnivoro. Alcuni macroinvertebrati si rinvengono nelle acque solo
in determinati periodi dell’anno, aumentando gradualmente di dimensione fino al
momento in cui fuoriescono dall’acqua per continuare il loro ciclo vitale, mentre altri
sono presenti in tutte le stagioni in quanto le larve più vecchie sono sostituite di
continuo da quelle più giovani man mano fuoriescono dalle acque.
Riguardo al ciclo vitale è possibile distinguere varie tipologie di comportamento (TAB
2.1). TAB 2.1: Cicli vitali di alcuni macroinvertebrati (Cummins,1974)
TEMPO DI
GENERAZIONE
DEFINIZIONE PERIODO
DI
CRESCITA
MANGIATORI DI
PARTICOLATO
FINE
MANGIATORI DI
PARTICOLATO
GROSSOLANO Generazioni multiple
per anno
Autunnale
(autunno-inverno)
Estivo (primavera-
estate)
Settembre-
marzo
Aprile-agosto
Baetidae
Leptophlebidae
Glossosomatidae
Hydropsychidae
Chironomidae
Orthocladiinae
Simuliidae
Hydropsychidae
Lepidostomatidae
Anno intero (senza
arresto)
Annuale Settembre-
agosto
Aprile-marzo
Gasteropoda
Bivalva
(Amphipoda)
Perlidae
Tanypodinae
(Amphipoda)
Anno intero (con
arresto)
Annuale-autunnale
(arresto estivo)
Annuale-
primaverile
(arresto invernale)
Settembre-
marzo
Aprile-agosto
Ephemerellidae
Orthocladiinae
Ephemerellidae
Chironomidae
Orthocladiidae
Brachycentridae
Tipulidae
Limnephilidae
Nemouridae
Limnephilidae
Più di un anno
(solitamente due)
Biannuale-
primaverile
Primavera-
estate
Decapoda
Cordulegasteridae
Gomphidae
27
Nel dettaglio specie aventi un solo ciclo annuale sono dette univoltine: si tratta per lo
più di specie appartenenti al genere dei plecotteri (ad es. Perlidae) o degli
efemerotteri (ad es. Ephemerellidae).
Altre specie, tra cui quelle appartenenti ai tricotteri, sono invece presenti per lunghi
periodi essendo caratterizzate da generazioni multiple per anno: questo vale anche
per alcuni efemerotteri caratterizzati da sensibilità relativamente bassa come la
famiglia di Baetidae (vedi oltre).
Tra le popolazioni con più di una generazione per anno si rinvengono inoltre parecchi
taxa scarsamente sensibili ad impatti antropici, tipici anzi di acque aventi elevato
tasso di contaminazione da sostanza organica tra cui Chironomidi e Simulidi.
Altre specie presentano invece cicli di durata superiore all’anno: tra questi si
ricordano sanguisughe (irudinei), insetti (qualche plecottero come Perla, qualche
efemerottero, ecc.) e molluschi (unionidi).
In torrenti caratteristici di zone temperate è possibile ricostruire la serie di eventi che
ricorrono annualmente. Stagione per stagione si osserva che:
- In AUTUNNO vi sono perdite di biomassa dovute allo sfarfallamento di molte specie
di insetti.
In generale, tuttavia, si tratta di un periodo di accrescimento in biomassa poiché si
osserva la schiusa di uova di varie specie, che cresceranno nei mesi seguenti,
nonché di accrescimento individuale di singoli individui nati durante i periodi
precedenti.
- In INVERNO la crescita di biomassa è dovuta all’accrescimento individuale dei
singoli individui.
Globalmente si osserva però una diminuzione di biomassa dovuta al rallentamento
del tasso di crescita di numerosi organismi e alla diminuzione della natalità.
Si osserva un aumento della mortalità dovuta a eventi rovinosi quali ondate di piena
o bassissime temperature, nonché a predazione che, essendo diretta a un numero
inferiore di individui per i fattori citati in precedenza, assume un peso relativo più
elevato.
28
- In PRIMAVERA si osserva una diminuzione di biomassa e densità dovuta a
fenomeni di sfarfallamento e compensata dalla schiusa di uova di specie che
crescono durante questo periodo e quello estivo.
In particolare l’aumento della densità e della biomassa si osserva a fine stagione ed
è dovuto essenzialmente alla schiusa di uova di specie estive.
- In ESTATE l’aumento di biomassa è dovuto principalmente all’accrescimento
individuale, anche se esistono specie di crostacei come i Gammaridi la cui schiusa
avviene durante questo periodo.
A tarda estate si osserva una tendenza a diminuzioni di biomassa per lo
sfarfallamento di numerose specie.
2.8.2 Adattamenti degli organismi alla corrente Il peculiare habitat in cui risiedono ha richiesto, per i macroinvertebrati, lo sviluppo di
strutture di sostegno e di adattamenti comportamentali per opporsi alla velocità della
corrente ed essere in grado di colonizzare ogni zona lungo il profilo longitudinale e la
sezione trasversale del fiume.
Tali adattamenti possono essere morfologici o comportamentali. Tra gli adattamenti
morfologici hanno estrema importanza:
- Corpi appiattiti
- Forme affusolate che conferiscono idrodinamicità
- Poche strutture sporgenti
- Ventose, uncini, unghie rinforzate, cuscinetti adesivi.
- Secrezioni appiccicose
- Zavorre
Adattamenti comportamentali sono invece:
- Ricerca di ambienti protetti, sotto pietre, vegetazione, limo, oppure in zone a
corrente meno impetuosa.
- Migrazioni controcorrente
- Drift (deriva a valle), utile alla colonizzazione di nuovi ambienti.
- Risalita del corso d’acqua per la deposizione di uova
29
- Uso della corrente come fonte di alimentazione, difesa e allontanamento degli
escreti.
In particolare il processo di drift è un fenomeno da considerare con attenzione, in
quanto regolatore di eventuali situazioni di surplus in cui la presenza di un eccessivo
numero di organismi, e pertanto elevata competizione interspecifica o predazione,
ecc. è in grado di spingere un certo numero di organismi (drift costante) alla ricerca
di nuovi ambienti da colonizzare più a valle.
Questo rifornimento continuo è in grado di compensare eventuali perdite dovute a
stress di varia natura.
Si distinguono inoltre altri due tipi di drift, comportamentale e catastrofico, dovuti
rispettivamente alla fase di sfarfallamento di alcune specie di insetti, che richiede
l’abbandono dei substrati, e a eventi rovinosi quali le piene.
Tale fenomeno è dunque da considerare con attenzione durante le attività di
monitoraggio; la presenza di organismi driftati da eventi catastrofici può indurre errori
di valutazione non indifferenti, soprattutto nel caso si tratti di organismi ad elevate
esigenze ecologiche.
Tali tipologie hanno comunque un’entità numerica inferiore rispetto al fenomeno di
drift costante.
Fenomeno opposto al drift è quello di reotassi positiva, osservabile in alcune
popolazioni come i Gammaridi, consistente in una risalita contro corrente, in grado di
compensare gli effetti del drift, fin dove la velocità di corrente non risulti troppo
elevata per opporvi resistenza.
La macrofauna cambia in struttura e funzionalità lungo il corso del fiume a causa di
una variazione progressiva di più fattori, citati in precedenza.
Lo studio della comunità macrobentonica risulta dunque influenzato da questa sua
variabilità intrinseca, oltre che a fattori di modifica e alterazione della qualità
dell’ambiente fluviale dovuti ad attività antropiche.
30
2.8.3 Effetti delle attività antropiche sulle comunità di invertebrati macrobentonici Come accennato in precedenza la struttura della biocenosi bentonica varia
notevolmente, in condizioni naturali, lungo il corso del fiume.
L’analisi di essa è inoltre complicata dalle modifiche indotte da attività antropiche
sull’ecosistema fluviale, a livello di modifiche nella qualità chimico-fisica delle acque
e dei sedimenti, nonché su morfologia degli alvei e regimi idrologici in seguito a
captazioni o restituzioni di acqua più o meno marcate.
Di seguito verranno analizzati i principali fattori di stress rivolti alle comunità
macrobentoniche.
- DIGHE E SBARRAMENTI: causano interruzioni nella continuità dell’ecosistema
fluviale, aumentando i tempi di ricambio delle acque e provocando un passaggio da
ambienti di tipo lotico ad altri di tipo lentico, talvolta aventi più similitudini con corpi
lacustri che non con corpi fluviali.
La diminuzione della velocità di corrente causa sedimentazione di vari materiali
trasportati da essa tra cui nutrienti e materia organica più o meno fine, provocando
pertanto effetti sugli ecosistemi presenti a valle dell’opera a causa dell’impoverimento
delle acque.
Si possono osservare inoltre variazioni del sedimento stesso oltre che del chimismo,
della termica e dell’altezza del pelo libero dell’acqua.
- REGIMAZIONI: sono tutti gli intervanti miranti a regolarizzare il deflusso idrico
modulando le condizioni di magra o di piena.
Ciò causa accumuli di sedimenti lateralmente all’alveo bagnato senza che le piene
riescano ad asportarli.
- APPORTI DI ACQUE METEORICHE: possono avere effetti positivi in quanto le
acque apportate sono in grado di diluire quelle superficiali migliorandone la qualità.
Tuttavia alcuni tipi di precipitazioni sono in grado di indurre peggioramento della
qualità stessa: è il caso di piogge acide o di eventi piovosi molto intensi e di breve
durata.
31
Questi ultimi in particolare causano turbolenti ed abbondanti afflussi di acqua nei
condotti fognari, provocando un mescolamento del fondo delle condutture dove nel
corso del tempo numerosi inquinanti sono sedimentati.
Tali sostanze vengono pertanto rimesse in circolo e, se l’evento piovoso è
sufficientemente intenso da causare l’attivazione degli scolmatori di piena, una parte
di queste acque, aventi elevato carico inquinante, vengono immesse direttamente nel
corpo idrico senza depurazione.
- SCARICHI URBANI E INDUSTRIALI: causano apporti di acque aventi peggiore
qualità rispetto a quelle fluviali.
Trasferimenti continui causano l’instaurarsi di comunità macrobentoniche costituite
da organismi tolleranti mentre trasferimenti di tipo discontinuo, che avvengono ad
intermittenza, creano rispetto ai precedenti delle variazioni di qualità troppo brusche
per il macrobenthos che, non potendo stabilizzarsi, può tendere a scomparire del
tutto in prossimità dello scarico.
Impatti di questo tipo agiscono, modificandoli, sui fattori chimici, fisici e biologici.
Tra di essi si ricordano:
- Inquinamento termico: l’immissione di acque calde è in grado di modificare i regimi
termici del corpo idrico e con essi la biocenosi acquatica.
Aumenti di temperatura corrispondono ad aumenti nelle velocità di demolizione di
sostanze organiche; pertanto se un fiume risulta contaminato da inquinamento
organico essi determinano una forte richiesta di ossigeno che, a livello locale, in tratti
con acque profonde e velocità di corrente ridotte, può anche generare situazioni di
anossia.
Acque calde, inoltre, sono caratterizzate da minori concentrazioni di ossigeno
disciolto a causa del rapporto di proporzionalità inversa intercorrente tra solubilità di
O2 e temperatura dell’acqua.
Si possono osservare anche effetti diretti sui cicli vitali dei macroinvertebrati;
innalzamenti artificiali della temperatura, soprattutto in periodi freddi come quelli
invernali, possono causare un’accelerazione nel tasso di crescita delle larve, avendo
come conseguenza uno sfarfallamento prematuro di esse in periodi non ancora
idonei per la riproduzione.
32
- Inquinamento da sostanze tossiche: è subito passivamente dagli organismi che si
riducono in numero e densità di specie per ricomparire man mano le concentrazioni
di tossico ritornano tollerabili attraverso meccanismi di diluizione, sedimentazione o
reazioni chimiche.
- Aumenti di salinità: danneggiano gli organismi, abituati a vivere in ambienti ad
acqua dolce, perché causano aumenti di pressione osmotica.
- Aumento della concentrazione di solidi sospesi: non si conoscono ancora gli effetti
di quest’ultimo fattore anche se dagli studi più recenti sembra essere più importante
la natura dei solidi che non la loro quantità.
- Inquinamento da sostanze organiche: è di gran lunga il fenomeno più studiato.
Ad un incremento di sostanza organica nel sistema corrisponde un aumento delle
popolazioni di decompositori in esso presenti.
Ciò causa un immediato aumento di BOD e di conseguenza una diminuzione delle
concentrazioni di O2 disciolto presenti, che si riflette in un’alterazione della comunità
di macroinvertebrati in cui si osserva, a seconda dell’entità del deficit di O2, una
progressiva comparsa di specie tipiche di ambienti alterati.
In TAB 2.2 sono indicati gli effetti di un inquinamento organico sulle comunità
caratteristiche di fondi duri e molli.
TAB 2.2 Effetti di un inquinamento organico su comunità di macroinvertebrati
caratteristici di substrati a fondo duro e molle.
TIPO DI
COMUNITA’
EFFETTI PRINCIPALI RISCONTRABILI
Caratteristica di
substrati duri
- Progressivo calo di densità ed eliminazione di specie non
tolleranti,in ordine decrescente di sensibilità
- Incremento di specie meno sensibili,che beneficiano della
riduzione della competizione alimentare.
All’aumento del grado di inquinamento organico anche tali specie
possono via via scomparire a seconda della loro sensibilità
- Invasione dell’habitat da parte di comunità che in condizioni
naturali non sarebbero rinvenibili in esso.
Tipicamente si tratta di comunità caratteristiche di fondi molli.
33
Caratteristica di
substrati molli
- Progressivo calo di densità ed eliminazione di specie non
tolleranti, in ordine decrescente di sensibilità
- Incremento di specie meno sensibili, che beneficiano della
riduzione della competizione alimentare e possono scomparire
all’aumento del grado di contaminazione a seconda del grado di
sensibilità
- Apporto di sostanze chimiche riducenti: causa anch’esso un decremento delle
concentrazioni di ossigeno disciolto.
Fra tali sostanze si ricordano ad esempio forme ammoniacali, solfiti e sali ferrosi.
- Sostanze in grado di modificare il pH: gli organismi acquatici sono adattati a vivere
in range di pH variabili fra 6 e 9.
Si ipotizza che un aumento, o diminuzione, di pH al di fuori di questo range abbia un
effetto tossico diretto sugli organismi, mentre è certo che diminuzioni di pH causino
un aumento della solubilità di numerosi metalli pesanti che, in questo modo, sono
resi biodisponibili per la comunità fluviale su cui possono così esplicare il loro effetto
tossico se presenti a concentrazioni adeguate.
Fenomeni di questo genere causano una diminuzione generalizzata nelle densità di
tutti i gruppi facenti parte della comunità.
- Pesticidi: hanno un’azione diretta sugli organismi per cui sono specifici.
- Materiali fibrosi provenienti da cartiere o da industrie tessili possono ricoprire i
fondali inducendo effetti paragonabili a variazioni di substrato, con comunità che
poco a poco assumono caratteristiche simili a quelle tipiche di habitat a fondali molli.
Le fonti di alterazione trattate sono molto spesso presenti in modo combinato e
possono pertanto causare danni di diverso tipo alla comunità macrobentonica.
In linea generale si osserva come alterazioni spinte generino comunità di
macroinvertebrati composte in prevalenza da organismi giovani, caratterizzate da
grandi squilibri rispetto a quanto atteso in situazioni naturali.
In FIG 2.11 sono rappresentate le variazioni di alcuni parametri chimici, fisici e
biologici in seguito ad uno scarico di sostanza organica in un corpo idrico, situazione
caratteristica di scarichi di fognature urbane.
34
FIG 2.11: Andamento di alcuni parametri chimici, fisici e biologici in seguito ad uno scarico organico (Hynes, 1960).
Sulle ordinate sono indicate le concentrazioni, o le densità, di fattori chimico-fisici o di
organismi mentre le ascisse indicano la distanza dall’immissione dello scarico (in
alternativa su tale asse si potrebbero porre i tempi trascorsi dall’immissione con
risultati analoghi).
35
Dai primi due grafici si nota come uno scarico organico, che avviene nel punto
indicato dalla freccia, apporti di norma elevati carichi di azoto in forma ammoniacale
(NH4+), fosfati (PO4
2-) e vari tipi di sostanze solide in forma disciolta o sospesa.
Come discusso in precedenza, l’immissione di materia organica causa un aumento
nella Domanda Biologica di Ossigeno, richiesto per processi di ossidazione e
mineralizzazione, che si riflette in un calo delle concentrazioni di O2 disciolto secondo
la tipica curva a sacco.
A sua volta l’ossigeno diminuisce anche per i processi ossidativi che portano alla
degradazione dell’ammoniaca (che diminuisce) con la conseguente formazione di
nitrati (NO3).
Sostanze contenenti fosforo, in forma di PO42-, vengono introdotte insieme allo
scarico e aumentano in concentrazione in seguito alla degradazione di molecole
organiche, anch’esse introdotte grazie all’immissione di acque fognarie, come ATP,
fosfolipidi, ecc.
Sostanze solide vengono immesse direttamente dallo scarico e diminuiscono in
quantità man mano che ci si allontana da esso a causa di processi di diversa natura.
Uno scarico organico introduce nell’ambiente fluviale organismi appartenenti alla
microfauna (terzo grafico), che si sviluppano internamente ai condotti fognari dove
trovano nutrimento e condizioni idonee alla loro sussistenza.
Si osservano perciò aumenti di densità di batteri e funghi, che tendono a diminuire
man mano si ripristinano le condizioni precedenti all’ingresso dello scarico.
Il quarto grafico illustra le variazioni indotte nella fauna di macroinvertebrati da una
contaminazione di questo tipo.
Il deficit di O2 osservabile in prossimità dello scarico causa la scomparsa degli
organismi più sensibili, tipici di acque pulite e ben areate, che vengono sostituiti da
organismi aventi esigenze ecologiche diverse ed adattati a sopravvivere in ambienti
a minori concentrazioni di ossigeno e maggiori carichi organici.
Un aumento dell’abbondanza relativa di organismi quali Tubificidi e Chironomidi
indica un peggioramento qualitativo delle acque.
Man mano ci si allontana dal punto di immissione dello scarico è possibile osservare
un ripristino graduale delle condizioni antecedenti ad esso; ciò si traduce, sulla fauna
36
di macroinvertebrati, in una riduzione nelle densità di Tubificidi e Chironomidi e da un
aumento graduale nelle densità di organismi tipici di acque pulite.
La comparsa di Asellus, un crostaceo filtratore tipico di acque pulite, in particolare
indica acque in fase di recupero qualitativo.
.
Dalle considerazioni precedenti si comprende come lo studio della comunità
macrobentonica risulti un utile strumento nella definizione dello stato ecologico del
fiume essendo correlabile ai parametri chimico-fisici che ne influenzano la qualità.
2.8.4 Struttura e caratteristiche dell’I.B.E. Derivante dal “Trent biotic Index” (Woodiwiss, 1964) modificato in Extended Biotic
Index (Woodiwiss, 1978) e adattato per un’applicazione standardizzata ai corsi
d’acqua italiani (Ghetti, Bonazzi, 1981; Ghetti, 1986; 1995), l’Indice Biotico Esteso è
oggi uno strumento la cui applicazione è richiesta dalle normative vigenti.
Fig. 2.12: Campionamento IBE a Grassobbio
Questo indice si propone di studiare la struttura e la funzionalità delle comunità di
macroinvertebrati rinvenibili nelle varie biotipologie caratteristiche di ambienti fluviali,
definendo, a livello di genere o famiglia, le Unità Sistematiche che ne fanno parte.
In tabella 2.3 sono definiti i limiti obbligati per la determinazione delle Unità
Sistematiche facenti parte della comunità.
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GRUPPI FAUNISTICI LIVELLI DI DETERMINAZIONE TASSONOMICA
PER DEFINIRE LE UNITA’ SISTEMATICHE
Plecotteri
Efemerotteri
Tricotteri
Coleotteri
Odonati
Ditteri
Eterotteri
Crostacei
Gasteropodi
Bivalvi
Tricladi
Irudinei
Oligocheti
Genere
Genere
Famiglia
Famiglia
Genere
Famiglia
Famiglia
Famiglia
Famiglia
Famiglia
Genere
Genere
Famiglia
TAB 2.3 Limiti obbligati per la definizione delle Unità Sistematiche (P. F. Ghetti, 1997)
Nel calcolo dell’indice si considerano inoltre altri taxa quali
Sialidae (Megalotteri)
Osmylidae (Planipenni)
Prostoma (Nemertini)
Gordiidae (Nematomorfi)
L’indice è in grado di segnalare una condizione di qualità ecologica dell’alveo
bagnato e, seppure in maniera indiretta, condizioni di qualità chimica, fisica e
idraulica delle acque e dei sedimenti.
Queste tipologie di analisi, condotte in maniera integrata, riescono nella definizione
della qualità delle acque in funzione degli usi a cui essa è destinata per le attività
umane.
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L’Indice Biotico Esteso assume invece importanza preponderante in rapporto alla
protezione della vita in ambienti acquatici (D.L. 130/92; Proposta di Direttiva della
Commissione delle Comunità Europee relativa alla qualità ecologica delle acque,
8/7/94).
2.8.5 Principi ispiratori nell’uso dell’indice Come precedentemente esposto, la struttura della comunità macrobentonica, in
condizioni naturali, è soggetta a variazioni dipendenti dall’alternanza di microhabitat
che si susseguono in un fiume al variarne delle caratteristiche.
Tale struttura è tuttavia influenzata anche da opere antropiche quali la presenza di
scarichi, modifiche fisiche dell’alveo e interventi di captazione più o meno spinta delle
acque.
Ne consegue che a condizioni vicine a quelle naturali corrispondano comunità
macrobentoniche aventi struttura prossima a quella attesa in tali condizioni di
naturalità: su questo si basa la determinazione dell’Indice Biotico Esteso.
L’indice è applicabile in ambienti lotici in cui sia possibile effettuare campionamenti
sufficientemente rappresentativi dei microhabitat costituenti una data sezione
trasversale.
Un campionamento per essere rappresentativo richiede inoltre corrette procedure di
separazione degli organismi dal substrato a cui sono adesi nonché una sufficiente
capacità di classificazione dei vari taxa e una adeguata capacità critica nella
formulazione di una diagnosi sullo stato ecologico del corpo idrico considerato.
Tali campionamenti non dovrebbero essere eseguiti nei tratti immediatamente a valle
di uno scarico, per lasciare alla comunità il tempo di riassestarsi man mano le acque
inquinate vengono diluite dal corpo recettore.
Inoltre, successivamente a eventi rovinosi, quali periodi di secca o piene, bisognerà
tenere conto dei naturali tempi di resilienza della comunità macrobentonica prima di
trarre conclusioni affrettate circa lo stato ecologico del fiume; i tempi medi di
reinsediamento delle comunità si aggirano in circa 20-30 giorni nel caso di
un’asciutta e in 7-10 giorni circa nel caso di una piena.
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2.8.6. Modalità d’uso dell’indice I valori di I.B.E. vengono determinati dall’utilizzo di una tabella a due entrate (TAB
2.4) in cui vengono considerate due tipologie di fattori: sensibilità e biodiversità.
- SENSIBILITA’: è valutata sulle righe della tabella in cui sono posti, in ordine
decrescente di sensibilità all’inquinamento, i taxa considerati.
- BIODIVERSITA’: è valutata sulle colonne della tabella e considera il numero
complessivo di Unità Sistematiche (U.S.) rinvenute durante un campionamento.
Tale parametro serve per introdurre nell’elaborazione dell’indice una valutazione
effettiva della struttura della comunità macrobentonica; la presenza esclusiva di
specie aventi ampie esigenze ecologiche di per se non significa infatti che un habitat
abbia qualità ecologica elevata.
Fig. 2.13: Analisi preliminare sul campo delle comunità bentoniche rinvenute in un campionamento IBE a Pedrengo
Tale qualità sarà elevata se nell’ecosistema convivono specie aventi caratteristiche
ed esigenze diverse; in questo modo si osserva infatti un aumento della complessità
ecologica dell’ecosistema, fattore positivo per il corretto funzionamento e per il
mantenimento dello stesso.
La tabella si legge sulla base di una scheda di analisi della comunità macrobentonica
(FIG 2.14)
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