Download - Articolo focus su Biotecnologie
La nostra classe IV A studia presso l’Istituto d’Istruzione Statale Superiore “A. Pacinotti” di
Taranto e appartiene all’indirizzo Chimica dei materiali articolazione Biotecnologie
ambientali. La nostra ricerca è nata e si è sviluppata in seguito alla lettura in classe di un
articolo del numero 257 di Focus del marzo 2014. Ci siamo divisi in gruppi di lavoro e
abbiamo cercato di approfondire il significato e le applicazioni delle biotecnologie. Sono stati
realizzati dei disegni e delle fotografie per arricchire il testo. L’articolo è visibile sul sito web
del nostro dipartimento di chimica curato interamente da noi
http://www.dipartimentochimicapacinottitaranto.blogspot.it/ . (Guardavaccaro Andrea, La
Morte Giovanni, Ligonzo Mattia, Pavone Giuseppe, Rosati Carlo, Sommaiola Simone, Spada
Fabio, Tortorici Samuele, Vitale Michele, Zarri Alessandra, Benegiano Diego).
Ma è nato prima l’uovo o la gallina?L'illogicità del paradosso si basa sulla constatazione che le galline depongono le uova: quindi l'uovo
non può esistere senza la gallina che l'ha deposto. Dalle stesse uova nascono altre galline, non
possono perciò esistere senza presupporre l'uovo. Si giunge, quindi, all'impossibilità di stabilire chi
possa aver avuto origine per primo tra l'uovo e la gallina, poiché nessuno dei due può esistere in
assenza dell'altro. Il paradosso rimane ancora valido per alcune delle questioni più interessanti
della biologia moderna.
DALLA “ZUPPA PRIMORDIALE” ALLE BIOTECNOLOGIE: COME STA CAMBIANDO LA
BIOLOGIA NELL’EPOCA MODERNA!
COM’ È NATA LA VITA?
“ …L'evoluzione è fortemente basata sulla cooperazione, l’interazione e la reciproca
dipendenza tra gli organismi.” Il riferimento è alla teoria endosimbiontica, la quale afferma che la
simbiosi è molto più di una semplice cooperazione tra organismi viventi, infatti questa implica una
relazione di mutuo vantaggio. Arriva fino allo scambio ed al trasferimento genetico tra gli
organismi simbionti, che da quel momento per poter sopravvivere necessitano della presenza
reciproca. Tutto ciò sembra sia stato il meccanismo fondamentale della evoluzione recente. Secondo
Lynn Margulis la teoria evoluzionistica di Darwin andrebbe aggiornata in una direzione
cooperativista correggendo l’attuale impostazione competitiva-esclusiva. Da tempo, infatti, gli
scienziati si interrogano sulle origini della nascita e dell’evoluzione della vita sulla terra.
Per spiegare l'origine della vita bisogna partire dal presupposto che le prime forme viventi si
originarono da materiale non vivente.
L'interrogativo su come si originò la vita sulla Terra si pose in seguito alla teoria della evoluzione
per selezione naturale, elaborata in modo indipendente da A.R. Wallace e da C.R. Darwin nel 1858;
tale teoria suggeriva che tutte le forme di vita sono legate da relazioni comuni, attraverso ramificati
alberi filogenetici che portano tutti ad un unico progenitore, "semplice" dal punto di vista biologico.
Il problema era capire come si era originata questa semplice forma primordiale, quasi certamente
molto simile alle attuali cellule procariote, contenente l'informazione genetica, conservata negli
acidi nucleici, oltre a proteine e altre biomolecole indispensabili alla propria sopravvivenza e
riproduzione. Il processo evolutivo che ha portato alla formazione di un sistema complesso e
organizzato (ovvero il primo essere vivente) a partire dal mondo prebiotico è durato centinaia di
milioni d'anni, ed è avvenuto attraverso tappe successive di eventi che, dopo un numero elevato di
tentativi e grazie all'intervento della selezione naturale, hanno portato a sistemi progressivamente
più complessi. La prima tappa fondamentale è stata la produzione di molecole organiche, come
amminoacidi e nucleotidi, che costituiscono "i mattoni della vita".(1)
Il mistero della vita
L'origine della vita sulla Terra è ancora un dogma della scienza; non perché si sappia troppo
poco, ma per il fatto che non si riesca a decidere quale sia stato l’evento più importante che abbia
portato alla comparsa di composti organici, la loro autoreplicazione e infine l'integrazione in una
cellula biologica del materiale genetico. È questo il pensiero sulle teorie dell'origine della vita
proposta da Jimmy Gollihar dell'Università del Texas a Austin e colleghi dell'Albert Einstein
College of Medicine a New York, in un articolo di commento pubblicato su “Science” (7) .
Gli esperimenti di S. Miller ed altri hanno dimostrato che quest'evento era realizzabile nelle
condizioni chimico-fisiche della Terra primordiale che presentava un'atmosfera riducente. Inoltre,
l’aver ritrovato molecole organiche nello spazio ha dimostrato che queste reazioni sono avvenute
anche in altri luoghi dell’universo, tanto che alcuni scienziati ritengono che le prime biomolecole
siano state trasportate sulla Terra per mezzo di meteoriti. La questione più difficile è spiegare
come, da questi composti organici, concentrati in un brodo primordiale, abbiano potuto formarsi
delle pre-cellule dotate di requisiti minimi, essenziali per poter essere considerate viventi, cioè la
capacità di utilizzare materiali presenti nell'ambiente per mantenere la propria struttura, il proprio
equilibrio, e la loro capacità di riprodursi. Molti scienziati hanno cercato di chiarire, attraverso
ipotesi ed esperimenti, le tappe fondamentali che hanno condotto alla vita, tra cui l'origine dei primi
polimeri biologici e, tra questi, di una molecola capace di produrre copie di se stessa, il
"replicatore", dal quale derivano i nostri geni, e la formazione delle prime membrane biologiche,
nei quali si sono evoluti i primi sistemi di reazioni e le prime vie metaboliche catalizzate da enzimi.
Nonostante ciò, la ricostruzione della storia evolutiva della vita presenta ancora molti dubbi dovuti
al fatto che le condizioni della terra primordiale sono difficilmente riproducibili poiché le prime
forme di vita si formarono in una soluzione di molecole organiche, sali minerali e componenti
colloidali disciolti in acqua(1). Che aspetto avevano le prime cellule, prima della comparsa di forme
di vita organizzata? E come riuscivano a mantenersi tali senza essere distrutte dall'ambiente
circostante? Queste sono le domande principali a cui da tempo i ricercatori di tutto il mondo
cercano di trovare una risposta. Negli ultimi anni,lo sviluppo del settore microbiologico ha
permesso la scoperta di un meccanismo che avrebbe permesso alle prime protocellule di
sopravvivere.
L’origine della vita sulla Terra è legata probabilmente al processo con cui si replica spontaneamente
l’Rna (acido ribonucleico) all’interno di vescicole, composte da particolari molecole contenenti
acidi grassi. In generale, il Dna detta le informazioni genetiche all’Rna, un acido nucleico molto
simile al Dna, che poi viene tradotto in proteine. La ramificazione dell’Rna in una struttura
allungata (polimerizzazione), però, richiede alti livelli di alcuni componenti molecolari – cioè gli
ioni di magnesio - che sono in grado di rompere le membrane grasse e hanno impedito fino a oggi ai
ricercatori di riprodurre un modello di protocellula.(6)
Protocellula sintetica:un passo avanti …
Un gruppo di ricerca statunitense guidato da Jack Szostak, premio Nobel per la medicina nel
2009, è riuscito a riprodurre in laboratorio la replicazione dell'RNA per via non enzimatica
all'interno di vescicole di acidi grassi, un risultato che rappresenta un importante passo avanti verso
la realizzazione di una protocellula sintetica, cioè del primo esempio di cellule procariote a partire
dal cosiddetto brodo primordiale. Tuttavia la replicazione dell'RNA richiede la presenza dello ione
magnesio Mg2+, che però ad alte concentrazioni rompe le membrane di acidi grassi. Sono perciò
stati testati diversi agenti chelanti, piccole molecole in grado di legarsi agli ioni metallici, come il
Mg2+, e di inibirne così l'azione distruttiva. In presenza di Mg2+ e del chelante citrato, è stata
rilevata la reazione di crescita del filamento.(8)
La teoria endosimbiontica
Lynn Margulis nel 1967 fu postulò e diffuse per la prima volta la teoria endosimbiontica. Nel suo
lavoro viene spiegato come le cellule eucariotiche si siano originate come comunità interagenti tra
loro. Secondo questa teoria, gli endosimbionti cedono parte delle loro informazioni genetiche
all'ospite che dedica parte del proprio materiale genetico per codificare proteine dedicate al
simbionte permanente che inoltre perde parte delle informazioni non necessarie alla sua condizione
di organismo stabilmente ospitato, a differenza dei simbionti che mantengono il proprio codice
integro. Il processo attraverso il quale alcune informazioni genetiche siano passate dal simbionte
all'ospite pare che sia la codifica delle proteine per la replicazione, trascrizione, divisione cellulare,
trasporto,e regolazione. Un organismo di questo tipo acquisisce un vantaggio evoluzionistico che
consistente nel fatto di espandere enormemente il numero di ambienti nei quali può sopravvivere.
L'ipotesi è che alcuni organismi biologici furono ingeriti da altri come,ad esempio, nel mondo
prebiotico, un batterio aerobio (che richiede ossigeno) fu ingerito da un batterio anaerobio
( avvelenato da ossigeno) acquisendo un vantaggio reciproco;continuando la loro relazione
simbiotica riuscirono a superare evoluzionisticamente gli altri organismi in quell'ambiente,
sviluppando un interazione che nelle generazioni è divenuta fondamentale; nel tempo il batterio
interno ha perso o spostato materiale genetico nel nucleo dell'ospitante, per la codifica di tutto ciò
che non era più necessario. Per quanto riguarda ad esempio, l'evoluzione che porta alle primigenie
Alghe, si ipotizza che alcuni eubacteria semoventi (come i Proteobacteria) si siano uniti ad
archaeobacteria zolfo-riducenti (come i Crenarchaeota) formando gli archaeprotista
(amitochondriati mastigotes); in una seconda unione con eubacteria ossigeno-rigeneranti si
produssero gli antenati degli eucarioti eterotrofi. Acquisendo infine cyanobacteria divengono Alghe
con la terza endosimbiosi(5) . In breve piu cellule procariote si sono inglobate tra loro,dando origine
ad un semplice aggregato precellulare che ha le seguenti caratteristiche: una compartimentazione
che divida l'ambiente interno da quello esterno, alcune semplici reazioni metaboliche, e un qualcosa
che sia depositario delle informazioni dell'organismo, una sorta di "protoDNA".(2)
L’esperimento di Miller-Urey
L'esperimento di Miller-Urey rappresenta la prima dimostrazione che, nelle giuste condizioni
ambientali, le molecole organiche si possono
formare spontaneamente a partire da sostanze
inorganiche più semplici(3). Nel 1952 il
professore americano Harold Clayton Urey,
premio Nobel per la chimica nel 1934,
incaricò un giovane ricercatore, Stanley
Lloyd Miller, di eseguire un esperimento.
All’interno di una boccia di vetro, Miller mise
dell’acqua mantenuta ad alta temperatura e in
un’altra boccia una miscela di idrogeno (H2),
ammoniaca (NH3) e metano (CH4), cioè tutti
quei gas che insieme al vapore acqueo (H2O) si
pensava potessero costituire l’atmosfera primordiale.
L’acqua calda, che avrebbe dovuto rappresentare
secondo gli scienziati l’oceano primitivo, creava
vapore che passando attraverso un tubo arrivava al
recipiente che conteneva la miscela di gas. All’interno di quest’ultimo contenitore venivano
generate scariche elettriche a 60.000 volt che dovevano riprodurre fenomeni temporaleschi
probabilmente frequenti e intensi all’epoca dell’origine della Terra. L’esperimento durò una
settimana, alla fine della quale si osservò con grosso stupore che nel recipiente dell’acqua si trovava
un liquido rosso-arancio che conteneva molti composti, ma in particolare alcuni aminoacidi, cioè i
precursori delle proteine che sono i componenti principali di ogni essere vivente. L’esperimento di
Miller dimostrò che da composti semplici, che si pensava fossero presenti nell’atmosfera
primordiale, si potevano formare molecole complesse, quelle appunto che si trovano nei composti
organici di tutti gli organismi viventi. Si ipotizzò quindi che in un’atmosfera primitiva caratterizzata
da continui fenomeni temporaleschi, calore e radiazioni ultraviolette, attraverso semplici processi
chimici di sintesi, si sarebbero potuti formare i precursori biologici degli esseri viventi. In seguito le
piogge avrebbero trasportato questi composti organici fino al mare, dove, successivamente
avrebbero potuto trasformarsi e accrescersi (4). L'esperimento di Miller e Urey ha ispirato altri
interessanti tentativi di riproduzione abiotica di molecole organiche di interesse biologico. Nel
1961, Joan Oró realizzò un altro fondamentale esperimento: una sintesi della base nucleotidica
adenina a partire da acido cianidrico e ammoniaca acquosa. I due studiosi,tuttavia, non avevano
utilizzato condizioni sperimentali che riproducevano esattamente l'atmosfera primordiale, ma
furono sufficienti comunque a rendere concreta la possibilità che la vita si sia sviluppata proprio
partendo dagli elementi già presenti nel pianeta. La sintesi di amminoacidi in laboratorio conduce
alla formazione di un numero uguale di enantiomeri levogiri e destrogiri. Questo tipo di
distribuzione racemica non è caratteristico delle forme di vita così come le conosciamo oggi. Infatti,
tutte le attuali forme di vita dipendono solamente da amminoacidi levogiri. In definitiva, spiegano
diversi scienziati, il merito dell'esperimento di Miller è stato quello di aver individuato un percorso
plausibile per l'origine della vita sulla Terra, le cui singole fasi attendono di essere chiarite con le
moderne tecniche sperimentali.(3)
BIBLIOGRAFIA:
1 http://it.wikipedia.org/wiki/Origine_della_vita
2 http://www.parodos.it/storia/argomenti/loriginedellavita.htm
3 http://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_di_Miller-Urey#Risultati
4http://www.eniscuola.net/it/la-vita/contenuti/origine-della-vita/left/nascita-della-vita/lesperimento-
di-miller/
5 http://it.wikipedia.org/wiki/Endosimbiosi
6 http://www.galileonet.it/master/529855b4a5717a1f140000df
7 http://www.lescienze.it/news/2014/01/17/news/origine_vita_teorie_plausibili-1967140/
8 http://www.lescienze.it/news/2013/11/29/news/sintesi_protocellula_replicazine_rna-1909413/
I nuovi operai del ventunesimo secolo: i batteri
Una volta scoperti quasi tutti i meccanismi che fanno funzionare la cellula eucariote e procariote
l’uomo ha pensato bene di utilizzare queste cellule come fabbriche e operai e così sono nate le
biotecnologie.
DEFINIZIONE di BIOTECNOLOGIE
La biotecnologia è l'utilizzo di organismi viventi per ottenere un bene o utile. Così, la biotecnologia ha una
lunga storia, che risale alla fabbricazione di tanti alimenti quali: vino, pane, formaggio e yogurt. La scoperta
fu che il succo d'uva fermentato diventava vino, mentre il latte o il formaggio potevano diventare yogurt.
Ad esempio, è possibile trasferire un gene, da un batterio a una pianta, tale è l'esempio del mais Bt in questo
caso i bacilli del terreno hanno prodotto una proteina che uccideva le larve di un insetto che normalmente
distruggevano le colture di mais. Trasferendo il rispettivo gene, si rendeva questa proteina di mais resistente
all’attacco degli insetti. Tuttavia, il termine biotecnologia è diventato molto familiare dopo lo sviluppo
dell'ingegneria genetica a partire dagli anni '70. La biotecnologia "moderna" sfrutta organismi geneticamente
modificati (OGM) per lavorare in modo più efficiente rispetto a prima, o per operare in modo completamente
diverso.
La prima apparizione della biotecnologiaI più antichi esempi di ciò che oggi chiamiamo biotecnologie ,sono la fabbricazione della birra , del
vino e di altre bevande alcoliche. Molte culture nel lontano passato hanno scoperto che le sostanze
contenenti glucosio, talvolta vengono convertite in alcool. A questo fenomeno, in seguito, si unì la
categoria di fermentazione causato da microrganismi, come studiò il chimico francese Louis
Pasteur. La ricerca di Pasteur non solo ha rivoluzionato la tecnologia della produzione di birra e
vino per esempio, studiando la rimozione di microrganismi che potrebbero contaminare la
fermentazione , ma ha dimostrato che altre sostanze chimiche potrebbe essere prodotte per lo più da
microbi. Uno di questi era il Propanone (Acetone) , una soluzione utilizzata per costruire un
esplosivo (nitroglicerina) . Durante la Prima Guerra Mondiale, il chimico (e successivamente
Presidente di Israele) Chaim Weizmann ha dimostrato che l'acetone potrebbe essere prodotto dal
batterio Clostridium acetobutylicum .
Biotecnologie e microrganismiOggi, molte altre sostanze sono prodotte mediante fermentazione, in assenza di aria (anaerobiosi)
come la produzione di alcol etanolo , comunemente alcol dai lieviti. Prodotti di fermentazioni
includono l’acido ossalico, utilizzato nella stampa e tintura, l’acido propanoico che trova
applicazione diretta nella produzione di materie plastiche, come antigelo e acidificante in alimenti. I
microbi creano anche diversi enzimi che agiscono come catalizzatori, promuovendo in tal modo i
cambiamenti chimici, in condizioni molto più lievi di pressione e temperatura che normalmente
sarebbero necessari . Le applicazioni vanno dalla rimozione di macchie (da enzimi utilizzati nei
detersivi , che attaccano i grassi e proteine), fino alla conversione di mais, sciroppo di amido ad
fruttosio usato per dolcificare le bibite , biscotti e torte. Un altro evento importante nello sviluppo
delle biotecnologie è stato la produzione di penicillina dal fungo Penicillium, in origine in scala
molto piccola, da Howard Florey ed i suoi colleghi di Oxford durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il processo fu rapidamente accelerato, per preparare una vasta gamma di antibiotici ( come la
streptomicina per il trattamento della tubercolosi). Oggi le biotecnologie affrontano una sfida
importante nello sviluppo di nuovi antibiotici per sostituire i vecchi, perchè i batteri patogeni sono
diventati resistenti. Una ricerca è in corso, con l'aiuto dell'ingegneria genetica, sulla sintesi di
antibiotici " spore" di microbi. Le molecole di questi antibiotici differiscono da quelli prodotti
naturalmente. I biotecnologi guidano i batteri alla fabbricazione di altre sostanze che l’organismo
non può produrre normalmente. Ad esempio, l'insulina umana usata nel trattamento del diabete,
viene preparata da batteri in cui gli scienziati hanno incorporato un codice genetico (DNA) con
l'aiuto dell'ingegneria genetica. A differenza dei tipi di insulina che si ottiene da suini e bovini,
l'insulina prodotta da questi microrganismi, è identica alla insulina che produce il pancreas umano.
Altri medicinali derivati da organismi geneticamente modificati includono gli interferoni, sostanze
prodotte da cellule di organismi (come interferone alfa , che è prodotto dai globuli bianchi del
sangue ) ed è responsabile per la produzione di proteine che resistono alcune malattie , quali
l'epatite B e alcuni tumori. Prodotta con metodi simili, è la eritropoietina sostanza somministrata a
pazienti affetti da disfunzione renale.
Gli obiettivi ambientali nel settore della biotecnologia in generale, sono il riciclaggio dei rifiuti e il
controllo dell'inquinamento ambientale. Oggigiorno in seguito ai crescenti problemi che riguardano
l’ambiente il settore della biotecnologia ambientale sta acquisendo sempre più importanza.
Uno sguardo approfondito nelle biotecnologie:
In generale, il termine “biotecnologia” si
riferisce all’integrazione delle scienze naturali,
di organismi, cellule, loro parti o analoghi
molecolari, nei processi industriali per la
produzione di beni e servizi (definizione della
European Federation of Biotechnology, EFB).
Le biotecnologie includono tecniche molto
antiche come le fermentazioni e l’utilizzo di microorganismi a scopi produttivi (pane, formaggio,
vino, birra); attualmente le biotecnologie sono associate a tecniche di analisi e manipolazione
genetica per ottenere proprietà desiderate negli organismi. Le biotecnologie includono tra le aree e
tecniche principali DNA/RNA (genomica, farmaco genomica, sonde geniche, ingegneria genetica,
sequenziamento/sintesi/amplificazione del DNA/RNA, profilazione dell’espressione genica),
proteine e altre molecole, colture cellulari e dei tessuti, bioprocessi, bio-informatica (costruzione di
database su genomi sequenze di proteine, modelli di processi biologici complessi), nano
biotecnologie (applicazione degli strumenti e dei processi delle nanotecnologie per la costruzione di
apparecchiature per lo studio dei biosistemi e applicazioni nelle metodologie di somministrazione
dei farmaci). E’ importante sottolineare che le biotecnologie sono un insieme di tecniche di ricerca e
di produzione, e come tali vengono utilizzate congiuntamente ad altre tecniche nella ricerca. Inoltre,
è importante distinguere tra la ricerca biotecnologica (volta cioè a produrre nuove conoscenze ed
avanzamenti scientifici e tecnologici in questo campo) e l’uso delle biotecnologie nella ricerca, che
spesso è destinata ad altri fini. Le biotecnologie moderne – in contrapposizione alle tecniche
biotecnologiche tradizionali usate fin dagli albori della storia dell’umanità come le fermentazioni –
consistono in processi di natura interdisciplinare capaci di generare applicazioni industriali delle
nuove conoscenze biologiche, facendo uso di sistemi produttivi viventi, in settori alquanto diversi.
Allo sviluppo delle biotecnologie hanno concorso discipline scientifiche diverse come la genetica,
la microbiologia, la biochimica, la biologia cellulare e la biologia molecolare.
La nascita della “industria delle biotecnologie” viene fatta risalire usualmente alla seconda metà
degli anni Settanta, subito dopo le scoperte scientifiche che segnano la data di nascita
dell’ingegneria genetica sviluppata nel 1973 da Cohen. Esse forniscono la possibilità di modificare
il DNA di un organismo attribuendogli proprietà desiderate e di propagare tali modificazioni alle
generazioni successive.
Oggi, si distingue convenzionalmente tra le biotecnologie:
-rosse: cura e salute, includono lo sviluppo di prodotti
diagnostici e terapeutici;
-bianche: industria e ambiente, che includono la
produzione
industriale di
vitamine,
amminoacidi, enzimi
finalizzati allo smaltimento dei rifiuti, alla depurazione delle
acque, alla identificazione di sostanze tossiche nel terreno,
nell’aria e nelle acque; creazione di batteri mangia petrolio.
- verdi: agricoltura, veterinaria e zootecnia;
- bioinformatica: cioè lo sviluppo e l’applicazione dei metodi
e modelli informatici per la risoluzione dei problemi
biologici a livello molecolare.
Per quanto riguarda la farmaceutica, inizialmente le
biotecnologie vennero percepite ed utilizzate come un
metodo per produrre proteine al alto peso molecolare, che
erano molto difficili e costose da produrre su larga scala
con le tecnologie di processo
tradizionali (fermentazioni) – in quantità
sufficientemente grandi da permettere il loro
sviluppo ed utilizzo come agenti terapeutici. E’
questo il caso, ad esempio dell’ormone della crescita
e dell’insulina umana. Una seconda traiettoria è la
biologia molecolare, una comprensione
scientifica molto più approfondita dei meccanismi
che a livello molecolare inducono o possono
bloccare o invertire l’insorgere di patologie. Durante gli anni Novanta, si è sviluppato un ulteriore
insieme di tecnologie di ricerca “generica” (reazione a catena della polimerasi, modellazione della
struttura delle proteine, genomica) che consentono ai ricercatori di esaminare le proprietà di
migliaia di composti chimici potenzialmente promettenti per qualsiasi obiettivo biologico o
malattia. La cosiddetta “industrializzazione della R&D” (Research and Development) ha dato luogo
a strategia e correlati modelli di business basati sull’ipotesi che l’ormai enorme ammontare di dati
biologici disponibili potesse essere la base per identificare con precisione le cause delle malattie, la
qualità e la quantità dei farmaci candidati.
Negli ultimi anni, i progressi nella capacità di isolare, manipolare, amplificare e caratterizzare le
sequenze di geni hanno consentito di mappare il genoma umano. Ciò apre la possibilità in linea di
principio di comprendere le funzioni di un gene, o più precisamente di gruppi di geni; si sono così
sviluppate aree di ricerca e di potenziale applicazione industriale come:
-la genomica strutturale, la comparazione della struttura delle sequenze di DNA di individui diversi
e determinazione della struttura tridimensionale delle proteine di un dato organismo, tramite
cristallografia a raggi X;
-la genomica funzionale, diretta a scoprire le funzione dei geni;
-la proteomica, che si occupa dell’insieme di tutte le proteine di un organismo, con l’obiettivo di
determinare la sequenza, la funzione, la struttura tridimensionale e le interazioni;
-la trascrittomica, si occupa dell’espressione dei geni negli RNA messaggeri di un intero organismo
o di un particolare organo, tessuto o cellula;
-la metabolomica, una branca della biochimica che si occupa del metabolismo, individuando la
quantità di diversi metaboliti, nonchè l’attività degli enzimi.
Uno sviluppo ancora più recente riguarda la biologia sistemica, che studia le interazioni tra le
molecole di un intero organismo, considerandolo nella sua totalità.
Le nano-biotecnologie hanno ricoperto, negli ultimi anni, un ruolo sempre più importante in campo
medico e biologico, consentendo di realizzare la sintesi di nano particelle, di studiarne le proprietà
chimico fisiche e di coniugare tali particelle a molecole vettore farmacologicamente attive in modo
da dirigerne l’azione verso organi target specifici. Esse trovano un vasto campo di applicazione
nello studio dell’espressione genica (in particolare i microarray a DNA, noti anche come DNA chip
o chip genici, che consentono di analizzare contemporaneamente l’attività di decine di migliaia di
geni) in generale nella diagnosi e terapia di un gran numero di patologie, nella realizzazione di
mezzi per il rilascio controllato di farmaci e nel campo dei biomateriali applicati alla medicina
rigenerativa.
Produrre e metabolizzare combustibili: applicazioni delle
biotecnologie…
I BIOCARBURANTI
I biocarburanti sono carburanti ottenuti da materie prime di origine agricola. Fra i principali
troviamo l’alcol etilico ottenuto tramite fermentazione (bioetanolo) e il biodiesel: essi molto
probabilmente in futuro potranno essere la valida alternativa a benzina e gasolio. Inoltre durante la
combustione, il biocarburante produce molti meno inquinanti rispetto al petrolio poiché proviene da
materie prime rinnovabili.
Biocombustibili da microalghe
Con il termine “microalghe” ci si riferisce a tutti gli organismi procariotici ed eucariotici che
svolgono la fotosintesi ossigenica.
Le microalghe colonizzano ambienti ed ecosistemi come quelli acquatici e terrestri o anche
ambienti estremi come i deserti o i ghiacciai. Al giorno d’oggi si stima che esistano oltre 50000
specie di microalghe, di cui solo un limitato numero è stato identificato e studiato. Questa ricerca
sulle microalghe ha portato alla realizzazione di “collezioni algali” che comprendono varie specie
presenti in diversi Paesi; quella della Coimbra University in Portogallo è la collezione di microalghe
d’acqua dolce più ampie del mondo. Riguardo al settore energetico, le microalghe hanno attirato
grande attenzione come utile risorsa di acidi grassi da destinare alla produzione di biodiesel.
Il biodiesel è una mistura di alchil-esteri degli acidi grassi, ottenuta dalla transesterificazione degli
oli vegetali o animali.
La transesterificazione è una reazione reversibile multistep dove i trigliceridi, derivati dagli oli
vegetali, sono convertiti in: di-gliceridi, mono-gliceridi, esteri e glicerolo in presenza di un alcool
(metanolo) e di un catalizzatore alcalino come NaOH o KOH.
Le microalghe contengono lipidi, carboidrati e proteine e possono essere impiegate come materie
prime per la produzione di altri coprodotti da destinare ai mercati farmaceutici, nutraceutici e
mercati additivi per i mangimi animali e della generazione elettrica.
Le microalghe vengono dunque oggi considerate con interesse come nuova materia prima per la
produzione di biocarburanti. I vantaggi di utilizzare queste nuove fonti sono diversi: il primo
vantaggio fondamentale è che a differenza delle piante, le diverse specie di microalghe offrono
un’elevata varietà di ambienti per la loro coltivazione; inoltre necessitano di un minore bisogno
idrico e possiedono un’alta resa di olio.
Altri vantaggi risiedono nel fatto che la coltivazione di microalghe non richiede l’utilizzo di erbicidi
o pesticidi e che il biocarburante prodotto non contiene solfuri e quindi sia meno tossico ed
altamente biodegradabile.
Biocombustibili dal caffè
Il caffè è un prodotto vegetale, ma una volta che i chicchi vengono macinati finiscono per essere
gettati via. Narasimharao Kondamudi, Susanta Mohapatra e Manoranjan Misra dell'Università del
Nevada hanno scoperto che i chicchi di caffè possono produrre, in peso, il 10-15% di biodiesel.
Inoltre dopo che il diesel è stato estratto, i fondi di caffè possono ancora essere utilizzati per il
compost.
Il lavoro di questi ricercatori iniziò due anni fa quando il dottor Misra lasciò una tazza piena di caffè
per una notte all’aria aperta. Il mattino seguente si accorse che il caffè era coperto da un velo d'olio.
Dal momento che stava studiando i biocarburanti, il dottor Misra chiamò i suoi colleghi a guardare
il potenziale del caffè.
Infatti gli oli non modificati dalle piante, come l'olio di arachidi, hanno un alta viscosità e richiedono
modifiche del motore. Il diesel-estrazione per fondi di caffè invece è simile a quello utilizzato per gli
altri oli vegetali. Si impiega un processo chiamato transesterificazione. Gli scienziati partono dall’
essiccazione dei fondi di caffè durante la notte per poi versarli in alcuni solventi chimici, come
l'esano, etere e diclorometano, per sciogliere gli oli.
Questi oli vengono filtrati e i solventi separati (per essere riutilizzati con il prossimo gruppo di fondi
di caffè). L'olio residuo viene trattato con delle sostanze per rimuovere gli acidi grassi liberi. La
transesterificazione avviene prima riscaldando a circa 100 gradi Celsius il biodiesel grezzo per
rimuovere l'acqua, poi viene trattato con metanolo e un catalizzatore (NaOH).
Viene tutto fatto raffreddare a temperatura ambiente e lasciato riposare cosi da far galleggiare il
biodiesel, facendo formare uno strato di glicerina in basso. Questi strati verranno infine separati e il
biodiesel restante pulito per eliminare eventuali residui.
Il Biodiesel dal caffè al dipartimento di Chimica
Biotecnologie dell’Istituto tecnico “A.Pacinotti” di
Taranto.
Nel 1938 il chimico organico italiano Roberto Intonti (1904-1968), bravissimo e sconosciuto
scienziato che lavorava presso l’Istituto Superiore di Sanità
che allora si chiamava Istituto di Sanità Pubblica) in una
nota pubblicata dagli annali dell’ Istituto nel Gennaio 1938
dal titolo ‘Utilizzazione di
fondi di caffè’ ci offre un
saggio mirabile di scienza
applicata al bene comune.
Proprio partendo
dall’esperienza del chimico Intonti noi alunni del dipartimento di
chimica del Pacinotti Taranto abbiamo, sotto la guida del Prof. Venturi
Giuseppe e della Prof.ssa Galeandro Stefania, cercato di ricreare
l’estrazione delle sostanze grasse dai fondi del caffè e come nostra idea
applicativa abbiamo effettuato la loro conversione in biodiesel.
Il nostro lavoro: si pesano 20 g di fondi di caffè recuperati, e precedentemente fatti essiccare
all’aria. Quindi si trasferiscono nel ditale di carta e il tutto s’ introduce nell’estrattore Soxhlet.
Nel pallone dell’apparecchiatura si versano 100 ml di trielina commerciale, si monta il tutto
compreso il refrigerante a ricadere e si scalda con il termomantello. A questo punto si lascia
sifonare il solvente per almeno sei volte, o comunque fino a quando il colore della trielina, che per
le prime estrazioni ha assunto un aspetto giallo molto scuro, non torna ad essere più chiaro.
Terminata l’estrazione il pallone contenente il solvente e le sostanze estratte viene direttamente
corredato dell’apparecchiatura per un distillazione semplice. Questa operazione serve ad allontanare
il solvente sottoforma di distillato, lasciando così nel pallone le sostanze oleose isolate. L’eventuale
tracce di trielina possono essere ulteriormente allontanate lasciando per un po’ di tempo il tutto
all’aria. La sostanza ottenuta che è di colore giallo molto intenso e presenta un odore non
sgradevole, viene pesata per calcolarne la resa percentuale.
I semi di caffè contengono in media il 14 % di sostanze grasse costituite essenzialmente da gliceridi
di acidi grassi, la cui composizione percentuale è la seguente:
- acido carnaubico 14.3 %
- acido oleico 20.2%
- acido palmitico 23.6 %
- acido linoleico 37.6 %
La tecnica usata ha un duplice vantaggio,essendo una estrazione continua permette di usare quantità
di solvente estrattore minori rispetto ad altre
estrazioni. Inoltre l’apparecchiatura Sohxlet,
funzionando appunto in maniera continua, ha
bisogno di relativa manutenzione e controllo,
lasciando più libero l’operatore di dedicarsi
alla preparazione del materiale per le fasi
successive.
La scelta della trielina come solvente è
dovuta alla sua facile reperibilità, infatti è stato usato il prodotto commerciale e al conseguente
basso costo.
Inoltre essa ha il vantaggio di non essere infiammabile e permette l’utilizzo di fondi di caffè non
completamente disidratati. Ciò permette di evitare di portare questi ultimi in stufa (105°C ÷ 110°C),
con il duplice vantaggio di abbassare i costi ed evitare una resinificazione delle sostanze grasse.
Al termine dell’estrazione il solvente è stato recuperato con una distillazione semplice allo scopo di
riutilizzarlo. Si è notato però che la trielina, il cui punto di ebollizione è di 86°÷88°C, si è separata
come distillato ad una temperatura di poco superiore ai 60 °C, probabilmente perché non si tratta di
un reagente puro per analisi.
Per quanto riguarda il residuo relativo ai fondi di caffè, questo può essere utilizzato come
combustibile solido in quanto ricco di sostanze volatili.
La sostanza grassa ottenuta invece può essere destinata alla produzione di
saponi o in alternativa a quella di biodiesel, considerando la buona resa
percentuale ottenuta, ovviamente partendo da quantità di fondi di caffè
superiori.
Un ciclo di lavorazione di questo tipo permette il riutilizzo di sostanze di
rifiuto di facile reperibilità e di nessun valore commerciale, per la
produzione di sostanze grasse utilizzabili e secondariamente di un
combustibile solido di recupero.
Inoltre la scelta dell’opportuno solvente, anch’esso di facile reperibilità, può ulteriormente
abbattere i costi di produzione, considerando anche il facile recupero di questo alla fine del processo
e il relativo consumo.
Successivamente abbiamo pesato 100 g di sostanza oleosa, estratta dai
fondi del caffè, direttamente nella beuta con collo smerigliato e si
aggiungono 10 ml di metanolo. Si pone il tutto sulla piastra
riscaldante, si introduce nella beuta il magnetino e si monta sulla
stessa il raccordo ad “U”. Su quest’ultimo, da un lato viene montato il
refrigerante a ricadere nel quale si fa circolare l’acqua di
raffreddamento, l’altro lato viene chiuso dal tappo con il doppio foro,
dove vengono introdotti il termometro e la siringa. Si scalda il tutto
fino a 70° C, avendo cura che il bulbo del termometro peschi bene
nella soluzione, ma che non venga danneggiato dalla rotazione
dell’ancoretta magnetica. Nel frattempo si sciolgono a temperatura
ambiente, in un becher da 150cc, 0,8 g di idrossido di sodio in 10 ml di
metanolo. Quest’ultima soluzione viene aggiunta, tramite la siringa,
alla soluzione precedente continuando a scaldare e agitare per almeno
altri 10 minuti. L’aggiunta del metossido di sodio, porta ad un aumento
della viscosità della soluzione, nonché ad un intorbidamento della
stessa, ma dopo qualche minuto si noterà che quest’ultima risulterà più
scura e più limpida. A questo punto si spegne la piastra, si estrae il termometro e nel foro di questo
si introduce una bacchetta di vetro che servirà a saggiare il pH. Quest’ultimo dovrebbe essere neutro
o leggermente acido, pertanto con una soluzione di acido cloridrico al 5%, introdotta con una
pipetta Pasteur nel secondo foro del tappo, si potrà eventualmente abbassarne il valore. Dopo aver
lasciato raffreddare il tutto, si versa la miscela in un imbuto separatore, e si lascia stratificare per
diverse ore (maggiore è il tempo di separazione maggiori saranno le rese). Lo strato superiore è
costituito dal Biodiesel, mentre lo strato inferiore è costituito da il metanolo in eccesso e la glicerina
ottenuta come sottoprodotto di reazione. Si procede quindi alla spillatura e il metanolo e la glicerina
si recuperano con una distillazione semplice, mentre il Biodiesel ottenuto, dopo essere stato pesato,
viene sottoposto ad alcune analisi quali la misura della densità e la misura dell’acidità.
Il Biodiesel è un biocombustibile, cioè un combustibile ottenuto
da fonti rinnovabili come gli oli vegetali o i grassi animali. Esso
possiede proprietà di combustione e viscosità simili al diesel
ricavato dal petrolio. Invece, dal punto di vista ambientale esso
presenta alcuni vantaggi rispetto ai combustibili comuni
(gasolio), infatti le emissioni di ossido di carbonio sono
dimezzate, e quelle di biossido di carbonio sono addirittura
ridotte ad un terzo. Inoltre sono completamente assenti le
emissioni di biossido di zolfo e ancora ridotte le emissioni di
idrocarburi aromatici e polveri sottili.
Dal punto di vista chimico il Biodiesel è una miscela di esteri metilici ottenuta da una
transesterificazione dei trigliceridi contenuti negli olii. La transesterificazione è l’idrolisi di
un’estere ad opera di un alcool, nella fattispecie l’alcool è il metanolo, che perdendo un idrogenione
si comporta da acido. Trattandosi di una reazione di equilibrio, per spostare quest’ultimo a destra, è
necessario utilizzare un eccesso di alcool, che verrà successivamente recuperato per distillazione
semplice. Questo tipo di transesterificazione è catalizzata da un ambiente basico, infatti ad agire
sarà lo ione alcolato ottenuto dal metossido di sodio. Quest’ultimo, essendo caustico, altamente
infiammabile e reagendo violentemente con l’acqua, va preparato con la dovuta cautela.
Se l’olio usato presenta dei residui solidi, è consigliabile una filtrazione preventiva o in alternativa
una decantazione, con conseguente prelievo della sostanza sovrastante.
A conclusione della reazione si è
ottenuta una quantità di biodiesel
pari a 80 ml e una quantità di
residuo (metanolo + glicerina) pari
a 28 ml.
Questo tipo di processo presenta
molteplici vantaggi, l’utilizzo di
materiali destinati al rifiuto, quindi
a costo zero; la produzione di carburante biologico a beneficio dell’ambiente e di un sottoprodotto
riutilizzabile come la glicerina che può anche essere destinata alla produzione di saponi.
Si sottolinea, inoltre, in alternativa alla sostanza oleosa estratta dai fondi del caffè si possono usare
oli vegetali esausti usati nella frittura di alimenti e recuperati da case o attività ristorative; poiché
l’olio usato costituisce un rifiuto speciale, per il cui smaltimento sono previste procedure specifiche,
la sua possibile conversione in biocombustibile porta ulteriori vantaggi economici ed ecologici.
BIOCOMBUSTIBILI DA BATTERI
Qualsiasi batterio, opportunamente riprogrammato, può diventare una raffineria vivente, capace di
fare in modo veloce tantissime reazioni chimiche, che le fabbriche costruite dall’uomo imitano in
maniera molto meno efficiente. E’ questa la promessa dei nuovi biologi sintetici: essi vogliono
rendere i biocombustibili competitivi e soprattutto meno inquinanti rispetto ai carburanti ottenuti dal
petrolio. In Italia l’unico stabilimento operativo di produzione di biocombustibili da batteri è
presente nel Vercellese, a Crescentino. Con un impianto di tecnologie da circa 250 milioni di euro,
lì i ricercatori studiano e producono biocarburante partendo dalla canne dei fossi. I ricercatori del
Georgia Institute of Technology e il BioEnergy Joint Institute hanno progettato un batterio per
sintetizzare il pinene, un idrocarburo prodotto da alberi che potrebbe sostituire i combustibili ad alta
energia, come JP-10, in missili e altre applicazioni aerospaziali. Con i miglioramenti in termini di
efficienza dei processi, il biocarburante potrebbe integrare forniture limitate di base di petrolio JP-
10, e potrebbe anche facilitare lo sviluppo di una nuova generazione di motori più potenti.
Potrebbe anche essere possibile produrre il pinene ad un costo inferiore a quello delle fonti base di
petrolio. Se ciò potrà essere fatto e se soprattutto il conseguente bio-carburante funzionerà bene in
queste applicazioni si aprirebbero le porte a dei motori più “leggeri” e più potenti alimentati da
maggiori forniture di combustibili ad alta energia. Gli studi sul pinene, hanno già dimostrato che
questa molecola ha una densità energetica simile a quella del JP-10.
BATTERI “MANGIA-PETROLIO” nelle tecniche di bonifica ambientale
Le più interessanti applicazioni biotecnologiche riguardano il Biorisanamento ovvero l'uso di
organismi viventi per operazioni di bonifica ambientale specialmente in caso di disastri ambientali
causati dallo sversamento accidentale in mare di petrolio.
Il petrolio è un prodotto naturale che deriva dalla trasformazione, in condizioni di elevata
temperatura e pressione, di biomasse di origine soprattutto vegetali. Il larghissimo utilizzo del
petrolio, può avere delle importanti ripercussioni sulla qualità dell'ambiente poiché il petrolio (o i
suoi derivati) possono accidentalmente contaminare suoli e acque con conseguenze che, in alcuni,
casi possono rivelarsi drammatiche per la flora e per la fauna e, direttamente o indirettamente,
anche per la salute umana. Il petrolio è costituito da una complessa miscela di composti organici,
composta in maggior parte da idrocarburi e, in minor misura, da acidi naftenici, fenoli e composti
eterociclici contenenti azoto o zolfo. I componenti del petrolio la cui degradazione è stata
maggiormente studiata sono gli idrocarburi, sia perché questi composti rappresentano la frazione
maggiore sia perché vengono ampiamente utilizzati come carburanti o come materia prima per le
sintesi delle varie classi di composti chimici. Gli idrocarburi sono molecole composte
principalmente da carbonio e idrogeno e vengono classificati in idrocarburi aromatici, caratterizzati
dalla presenza di uno o più anelli benzenici, e idrocarburi alifatici. Gli idrocarburi alifatici possono
essere saturi (alcani) o insaturi (alcheni e alchini), costituiti da catene lineari o ramificate di varia
lunghezza o cicliche. La mancanza di gruppi funzionali li rende fortemente apolari, pertanto poco
solubili in acqua, e scarsamente reattivi a temperatura ambiente, inoltre, gli idrocarburi a basso peso
molecolare sono gassosi e tendono a sfuggire in atmosfera, mentre quelli a peso molecolare
maggiore si presentano allo stato liquido o solido e spesso in ambiente acquoso formano una fase
separata. Nonostante queste caratteristiche rendono gli idrocarburi piuttosto recalcitranti alla
biodegradazione, in tempi relativamente recenti, sono stati isolati particolari ceppi batterici e
comunità microbiche in grado di utilizzare come unica fonte di carbonio e di energia idrocarburi
alifatici e aromatici, convertendoli in intermedi del loro metabolismo centrale. I microorganismi
individuati, il cui numero è in continuo aumento, hanno da subito suscitato grande interesse nella
comunità scientifica per le possibili applicazioni in diversi ambiti delle biotecnologie, quali il
biorisanamento ambientale e le bioconversioni.
Come riportato sulla rivista Applied and Environmental Biology, un team dell’ Helmholtz Centre
for Environmental Research (Ufz) ha approfondito le capacità di due tipologie di batteri, in grado di
convertire gli idrocarburi in acidi grassi che in seguito integrano nella propria membrana cellulare.
Questi batteri sono molto comuni nei mari di tutto il mondo, anche se presenti in quantità esigue.
Quando vengono a contatto con il petrolio grezzo, tuttavia, la loro popolazione aumenta
esponenzialmente, e si verifica una fioritura molto simile a quella che siamo abituati a osservare
nelle alghe. Nonostante la loro importanza ecologica, tuttavia, finora si conosceva ben poco di
quanto avviene a livello cellulare; i ricercatori hanno dunque analizzato le due specie di riferimento
sia dal punto di vista fisiologico che da quello genetico.
Cosa ne è emerso? Il team ha scoperto che non solo a livello della superficie cellulare dei batteri gli
idrocarburi alifatici vengono assimilati e integrati nella membrana cellulare, ma che durante il
processo si verifica una regolazione genica in risposta allo stress ambientale causato dal petrolio.
L’Alcanivorax ha mostrato la massima efficacia sulle catene idrocarburiche tra i 12 e i 19 atomi di
carbonio, l’Oleispira ha dato il meglio a basse temperature, intorno ai 5°C, prospettandosi ottimale
per l’utilizzo nei mari più freddi o a grandi profondità (un esempio calzante è proprio il fondale del
Golfo del Messico).
Seppur la maggior parte degli enzimi chiave per la conversione degli idrocarburi perda in
funzionalità a temperature rigide, rimane tuttavia efficiente abbastanza da accelerare la crescita
della popolazione. Come commentano i ricercatori su Nature Communications, questo rende il
batterio molto competitivo negli ambienti freddi, e in futuro Oleispira potrebbe aiutare moltissimo
nelle strategie di mitigazione dei versamenti petroliferi nei mari polari. Fermo restando che la
prevenzione sarebbe una politica molto meno dispendiosa, spiega J. Heipieper dell’Ufz, questi
batteri potrebbero in futuro essere liofilizzati in modo da poterli facilmente diffondere tramite spray
sulle perdite di petrolio.
Un caso tutto particolare riveste in termini di risanamento ambientale la scoperta dell’Acinetobacter
venetianus VE-C3.
Research in Microbiology, una rivista dell’Institut Pasteur, ha pubblicato la ricerca The genome
sequence of the hydrocarbon degrading Acinetobacter venetianus VE-C3, nella quale un team
internazionale di ricercatori, coordinato da Renato Fani, associato di Genetica presso l’Università di
Firenze, in collaborazione con l’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle
ricerche (Itb-Cnr) di Milano, illustra il sequenziamento completo del genoma del batterio
Acinetobacter venetianus VE-C3.
I batteri, per la loro capacità di degradare gli idrocarburi, possono essere sfruttati per il
biorisanamento di ambienti inquinati da petrolio e Marco Fondi, ricercatore dell’Università di
Firenze, sottolinea che «Lo studio del genoma di Acinetobacter venetianus VE-C3 fornisce
importanti informazioni sui meccanismi messi in atto dai batteri per adattarsi al particolare
ambiente biologico in cui vivono; permette di comprendere i meccanismi alla base del metabolismo
degli alcani e dell’adesione dei batteri alle gocce di idrocarburi (come il diesel) e di resistenza ai
metalli pesanti». I ricercatori Italiani, britannici, uruguayani, belgi ed olandesi spiegano che,
«Isolato nella laguna di Venezia nel 1996, l’Acinetobacter venetianus VE-C3 è un batterio marino
che vive nelle acque inquinate e ha sviluppato la capacità di metabolizzare composti come gli
idrocarburi rendendoli meno dannosi per l’ambiente; tale processo, quando sfruttato dall’uomo
viene chiamato “biorisanamento”». Ermanno Rizzi, ricercatore dell’Itb-Cnr di Milano, aggiunge:
«Il sequenziamento del genoma batterico è stato possibile grazie all’utilizzo di nuove tecnologie, in
grado di produrre un elevata quantità di sequenze, che consentono di decodificare un intero genoma
batterico senza informazioni genetiche a priori. Grazie ai dati genetici e genomici ottenuti, è stato
possibile ampliare le conoscenze dell’intero genere batterico Acinetobacter, rilevandone l’estrema
diversità, rispetto ad altri batteri che pur appartenendo allo stesso genere, sono patogeni aggressivi
per l’uomo».
Il futuro delle biotecnologie: Batteri sintetici e DNA
sintetico.
Attualmente ci sono molti progetti di ricerca che stanno studiando tecniche per la creazione di
batteri sintetici a partire da molecole intelligenti: le SMART proteins.
Smart Protein:
SMART è l’acronimo di Simple Modular Architecture Research Tool ed è praticamente una banca dati biologica che permette entrando in essa di visionare un gran numero di domini proteici e di comprendere le loro specifiche caratteristiche. Il database contiene 1.009 modelli di dominio, ed è situato a Heidelberg, nel laboratorio europeo di biologia molecolare. (3)
BioBricks: i nuovi “lego” del ventunesimo secolo (frammenti genetici)
iGem ha creato una biblioteca genetica open-source nella quale sono presenti numerose informazioni su determinati frammenti di DNA. Infatti i BioBricks non sono altro che frammenti genetici che vengono catalogati e dei quali è possibile leggere le caratteristiche, attualmente il database conta più di 5.000 BioBricks. La funzione di questa banca dati online è molto semplice, viene scelto il frammento del DNA desiderato, dopo averne visto le relative specifiche ed in seguito lo si richiede, così facendo verrà fornito al richiedente una copia della porzione genetica richiesta, conservata in appositi congelatori da una squadra specializzata in questo campo. Di recente inoltre si stanno avviando gli studi per costruire una biblioteca genetica capace anche di immagazzinare un catalogo di frammenti di DNA più complessi, che prenderebbero il nome di Custom-Built, ma questo rimane ancora solo un pensiero, in quanto non è ancora stato creato nulla di questo genere. (1)
iGem promuove continuamente la sua libreria digitale, inducendo ogni anno una competizione che vede i partecipanti (studenti universitari o ricercatori) andare alla ricerca di nuovi frammenti di DNA molto semplici da poter aggiungere all’interno della banca dati online. Lo scopo principale del progetto BioBricks è quello di fornire una approccio più semplice alle bio-nanotecnologie, sperando che in futuro si possa raggiungere la creazione di organismi sintetici viventi utili per i più vari motivi a partire da una piccola sequenza di DNA. (2)
(1) http://christinescottcheng.wordpress.com/2010/02/14/synthetic-biology-and-the-biobricks-revolution/
(2) http://it.wikipedia.org/wiki/BioBrick(3) http://en.wikipedia.org/wiki/Simple_Modular_Architecture_Research_Tool
L’ultima scoperta: le nuove basi azotate : X e Y
Ultima scoperta delle biotecnologie e’ stata l’aver ottenuto il primo organismo vivente con DNA artificiale, in grado anche di replicarsi. Questo genoma è semisintetico grazie all’aggiunta di due nuove basi azotate. Il DNA umano come tutti quelli presenti in natura è formato da un susseguirsi di coppie di basi azotate rappresentate da: A-T, C-G (Adenina-Tinina, Citosina-Guanina), a queste si sono aggiunte X e Y. Questa coppia è stata inserita nel DNA dell’E. Coli, questo è stato possibile grazie ad una microalga che ha trasferito dal terreno di coltura all’interno della cellula batterica le nuove basi azotate, che si sono inserite nel DNA e duplicate con esso. Non è la prima volta che viene ottenuto un DNA sintetico in vitro, fu fatto già nel 2010 ma con coppie di basi azotate già presenti in natura anche se sintetiche.In questo caso invece si è ottenuto un nuovo traguardo ovvero la creazione di un DNA con basi azotate completamente nuove non presenti in natura.Questo ha portato molte difficoltà perché bisognava tener conto di varie condizioni, affinché delle basi azotate artificiali possano introdursi senza problemi in un DNA naturale, fra le quali, che il
DNA debba essere stabile all’ingresso delle nuove basi azotate, che esse possano essere riconoscibili dall’RNA polimerasi e che non fossero eliminate con i naturali meccanismi di sicurezza delle cellule. In questo caso si è ottenuto un microrganismo capace anche di replicarsi e di trasmettere il suo codice genetico alla propria progenie.Lo scienziato che ha seguito il team di ricerca Floyd E. Romesberg ha detto: “Quello che abbiamo fatto si chiama biologia a “DNA espanso”; avrà molte applicazioni: da nuovi farmaci a nuovi tipi di nanotecnologie”.