Azienda e impresa
I termini impresa e azienda sono spesso utilizzati come sinonimi nel
linguaggio comune. Tuttavia, in ambito giuridico hanno un diverso significato.
Tra l'azienda e l'impresa sussiste un rapporto strumentale. In altri termini,
l'azienda è la mezzo strumentale tramite il quale l'imprenditore realizza gli
scopi di una impresa.
Esempio: l'impresa può consistere nella produzione di un edificio. Nel caso
dell'impresa si specifica l'obiettivo, non chi dovrà realizzarlo, né come dovrà essere
realizzato. L'azienda è, invece, lo strumento attraverso il quale si organizzano i fattori
della produzione e il lavoro per la costruzione dell'edificio. L'azienda si presenta sotto
una forma giuridica ed è identificata ai fini della legge.
L'impresa è un'attività professionale
organizzata per produrre o scambiare
beni/servizi.
L'azienda è un complesso di beni
organizzati dall'imprenditore per
l'esercizio di un'attività d'impresa.
Il concetto economico di imprenditore
Il concetto di imprenditore è, prima che un concetto del diritto, un concetto
dell’economia: è stato elaborato, in epoca moderna, per identificare uno dei
soggetti del sistema economico, ossia della organizzazione sociale, della
produzione e della distribuzione della ricchezza.
L’imprenditore affianca molteplici altre figure: i capitalisti, i quali offrono il
proprio capitale per ricevere, come corrispettivo, quella remunerazione fissa
che si chiama “interesse”; i lavoratori, i quali offrono, anch’essi in cambio di
una remunerazione fissa (“salario”), le proprie energie di lavoro; i
consumatori, ossia coloro che domandano, per soddisfare i propri bisogni,
determinati beni o servizi.
L’imprenditore è l’ “attivatore” del sistema economico, altrimenti inerte:
svolge una funzione intermediatrice fra quanti offrono capitale o domandano
lavoro e quanti richiedono beni o servizi. Egli “trasforma” o “combina” i
fattori della produzione, ossia il capitale e il lavoro, in un prodotto idoneo a
soddisfare i bisogni dei consumatori e, perciò, si presenta come colui che
svolge una funzione creativa di ricchezza. (F. Galgano)
Il concetto economico di imprenditore
Altrettanto essenziale, per identificare la figura l’imprenditore, è il concetto di
rischio economico: l’imprenditore si obbliga a corrispondere un compenso
fisso ai capitalisti e ai lavoratori; su di lui incombe, per ciò, il rischio di non
coprire, con il ricavo dei beni o dei servizi prodotti, il costo dei fattori
produttivi impiegati.
Questo rischio trova la propria remunerazione nel profitto, che è la differenza
attiva tra ricavi e costi; ma giustifica, oltre che il profitto, anche il potere di
dirigere la produzione: l’imprenditore è il capo dell’impresa e ne decide la
politica economica.
Egli si presenta quale detentore del potere economico, ossia del potere di
decidere “che cosa” produrre , “come”, “dove” e “quanto” produrre: la sua
prerogativa è ciò che si definisce il “controllo” della ricchezza.
Il concetto giuridico di imprenditore
Il concetto di imprenditore è introdotto nel sistema del diritto privato dall’art.
2082, c.c.: “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività
economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi”.
In questa proposizione è racchiusa una delle più importanti differenze che la
figura dell’imprenditore presenta al confronto dell’antica figura del
commerciante. Questi era l’uomo d’affari: era colui che compiva, per
professione abituale, operazioni speculative; l’imprenditore del vigente codice
civile si presenta, all’opposto, come il produttore: è colui che,
professionalmente, produce beni o servizi o si interpone nello scambio dei
beni, ossia svolge un’attività creativa di ricchezza.
Anche queste ultime sono attività produttive in quanto creative di nuova
ricchezza: esse attengono alla distribuzione dei beni al mercato del consumo; e
sono considerate come creative di nuova ricchezza perché accrescono, con la
distribuzione ai consumatori, l’utilità di beni preesistenti.
Imprenditore e professionista intellettuale
Lo svolgimento professionale di un’attività definibile come produttiva di
ricchezza è condizione necessaria per l’assunzione della qualità di
imprenditore, ma non ne è condizione sufficiente: esistono attività che pure
consistono nella produzione di beni o di servizi e che, quantunque esercitate
professionalmente, non danno luogo ad un’impresa.
Tali sono, come si desume dall’art. 2238, c.c., comma 1°, le attività dei
professionisti intellettuali e degli artisti: ad esse si applicano le norme del titolo
II, ossia quelle regolatrici dell’impresa, solo “se l’esercizio della professione
costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa”; esse di
per se stesse non attribuiscono la qualità di imprenditore.
Non ogni complesso di beni unitariamente organizzati è, giuridicamente,
un’azienda: occorre, a norma dell’art. 2555, c.c., che si tratti di beni
organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Le norme
sull’azienda non si applicano perciò ai beni organizzati dal professionista
intellettuale per l’esercizio della sua professione.
ESEMPIO
L’attività professionale non è legislativamente qualificata come attività
d’impresa: IL CASO DEL FARMACISTA
L’art. 2238, comma 1, c.c., attribuisce al professionista intellettuale la qualità
di imprenditore e lo sottopone al relativo statuto se l’esercizio della
professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa.
L’esercizio di una farmacia attribuisce la qualità di imprenditore commerciale
all’esercente quando non si limiti all’esplicazione dell’attività sanitaria, ma
rivenda al pubblico le specialità farmaceutiche già preparate dalle case
produttrici o altre merci acquistate per la rivendita. È di conseguenza logico
che la farmacia sia legislativamente considerata un’azienda e che venga
tutelata, nel caso di trasferimento di quest’azienda, l’aspettativa dell’alienante
al “valore di avviamento”.
Il contratto tra farmacista e cliente è un comune contratto di vendita, che non
colloca il farmacista in una posizione diversa da quella di qualsiasi
commerciante. (si è in presenza di un’attività intermediaria nella circolazione dei beni rispetto alla quale la
professione intellettuale costituisce nel senso dell’art. 2238, c. 1, semplice “elemento”).
La professionalità dell’imprenditore
Il concetto di professionalità ha, in rapporto all’imprenditore, un significato
più limitato di quello che il medesimo concetto assume nel linguaggio
corrente: esso non designa uno stato personale o una condizione sociale, ma
solo la stabilità o non occasionalità dell’attività esercitata.
Non deve trattarsi di un’attività ininterrotta: anche l’attività stagionale dà
luogo ad un’impresa in senso tecnico. Ciò che conta è l’abitualità, il costante
ripetersi dell’attività economica, anche se ad intervelli imposti dalla sua
intrinseca natura ciclica o stagionale.
È indubbio che non occorre, perché possa dirsi che l’attività economica è
“professionalmente” esercitata, che si tratti dell’unica attività svolta dal
soggetto o della sua attività principale.
La nozione di impresa presenta, nel diritto vigente, la “caratteristica di essere
una nozione di diritto comune riferibile tanto al diritto civile come a quello
amministrativo”. Essa è nozione che non muta il proprio contenuto – né muta
la propria disciplina – a seconda che l’imprenditore sia un privato oppure un
ente pubblico.
Lo scopo di lucro
È convinzione diffusa che l’estremo della “professionalità” non si esaurisca
nella sistematicità, o non occasionalità, dell’attività economica esercitata: a
questa si suole richiedere un ulteriore carattere, indispensabile per la
qualificazione dell’attività economica come attività di impresa e per
l’assoggettamento di chi la esercita alla disciplina giuridica dell’imprenditore.
Questa ulteriore connotazione del concetto d’imprenditore, racchiusa nella
sintetica nozione legislativa di “professionalità”, viene tradizionalmente
indicata nello scopo di lucro: è imprenditore soltanto colui che interviene
nell’attività produttiva o si interpone nella circolazione dei beni allo scopo di
ricavarne un lucro o profitto personale. La nozione tecnico-giuridica di
imprenditore viene fatta coincidere, sotto questo aspetto, con la sua nozione
economica: gli economisti sono concordi nel ravvisare i caratteri dell’impresa
solo là dove l’attività produttiva è preordinata al conseguimento del profitto e,
anzi, alla cosiddetta “massimizzazione del profitto”.
L’IMPRESA MUTUALISTICA: i soci delle cooperative non mirano, con l’esercizio
dell’impresa, a realizzare un lucro, ma ad un risparmio di spesa.
L’IMPRESA PUBBLICA: tali enti non si propongono con la loro azione, intenti speculativi,
bensì finalità molteplici di interesse sociale.
L’attività economica
Il concetto di attività economica è l’elemento base della definizione legislativa
dell’imprenditore, quello al quale si rapportano gli ulteriori elementi della
professionalità, dell’organizzazione, del fine della produzione o dello scambio.
È opinione accolta che il concetto di attività economica, non aggiunga
alcunché alla nozione di imprenditore, già completamente identificata dagli
altri elementi forniti dall’art. 2082. Si ritiene che attività economica altro non
significhi se non attività produttiva, nel senso più lato dell’espressione, ossia
nel senso di attività creativa di ricchezza. La locuzione potrebbe apparire del
tutto inutile, dal momento che l’art. 2082, dopo aver definito l’attività
dell’imprenditore come “attività economica”, aggiunge che questa è
“organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”: esso
esprime in modo esteso quel medesimo concetto, dell’attività dell’imprenditore
come attività produttiva, che gli interpreti ritengono espresso, in forma
sintetica dalla locuzione “attività economica”. Di qui il giudizio
dell’espressione in esame come “enfatica e pleonastica”.
I criteri di economicità
In che cosa consista l’economicità dell’attività produttiva è reso palese dalla
disciplina degli enti pubblici economici. La qualificazione dell’ente pubblico
come imprenditore si effettua, secondo quella disciplina, in ragione delle
intrinseche modalità secondo le quali si svolge la sua azione: “lo svolgimento
professionale di attività economica importa” – è stato rilevato – “che chi la
compie ritragga, almeno tendenzialmente, dalla cessione dei beni e dei servizi
prodotti quanto occorre per compensare i fattori produttivi impiegati”. Non
l’astratta idoneità dell’attività economica esercitata a procurare un lucro – a
provocare entrate superiori ai costi di produzione – è stata giudicata
coessenziale al concetto di impresa; ma l’astratta idoneità di essa a coprire i
costi di produzione.
Produrre con criteri di economicità significa produrre in condizioni di pareggio
di bilancio: l’attività produttiva deve alimentarsi con i suoi stessi ricavi e non
comportare erogazione a fondo perduto della dotazione patrimoniale dell’ente
e dei contributi che l’ente riceve dallo stato. Il capitale investito nell’attività
produttiva deve riprodursi al termine del ciclo produttivo.
L’obiettiva economicità
Obiettiva economicità è quella connotazione del concetto di impresa che
nell’art. 2082 prende il nome di professionalità; è il criterio al quale dovrà farsi
ricorso per decidere quando un privato assuma la qualità di imprenditore
in senso tecnico-giuridico e sia assoggettabile a tutte le conseguenze che
l’ordinamento giuridico ricollega all’assunzione di tale qualità. Non è
necessario accertare che dall’attività produttiva il soggetto si proponga di
ricavare un profitto: basta che l’attività produttiva di beni o di servizi si
presenti come di per sé idonea a rimborsare, mediante il corrispettivo dei beni,
o dei servizi prodotti, i fattori della produzione impiegati.
Ciò che conta è che il prezzo dei beni non risulti determinato in misura da fare
apparire a priori esclusa la possibilità di coprire i costi; in misura da fondare il
convincimento che l’esercizio dell’attività produttiva implichi l’erogazione, a
fondo perduto, del patrimonio di chi la esercita e debba essere costantemente
alimentato da altre fonti di reddito.
L’impresa per conto proprio
La destinazione per il mercato è indispensabile perché l’attività produttiva
assuma il carattere delle attività di impresa. Se manca la vendita o la
prestazione a terzi dei beni o dei servizi prodotti, non è possibile riconoscere
nell’attività produttiva un’attività economica professionalmente esercitata, che
remunera con i ricavi il costo dei fattori produttivi impiegati.
Può accadere che i soggetti che intraprendono la produzione per conto proprio
diano vita ad un’autonoma organizzazione, separata dalla gestione del loro
restante patrimonio e che la produzione sia attuata da questa autonoma
organizzazione con modalità corrispondenti al modo di produzione tipico della
produzione per il mercato.
È il caso delle cooperative, le quali esercitano sempre, per valutazione
legislativa (art. 2511, c.c.) un’attività d’impresa, anche se producono per i soli
soci. Qui i soci sono produttori come gruppo organizzato e sono utenti
dell’impresa come singoli, corrispondendo un prezzo che consente alla società
di coprire i costi. C’è fra il gruppo e i singoli un rapporto di scambio che
consente all’attività produttiva di assumere l’oggettivo carattere della
economicità.
L’organizzazione
Altro requisito dell’attività d’impresa è quello dell’organizzazione. Tale
requisito traccia il confine tra le attività produttive che, essendo attività
organizzate, assumono il carattere dell’impresa e quelle attività che,
quantunque produttive di beni e servizi, non sono tuttavia imprese per la
mancanza appunto di un’organizzazione.
Si utilizza in sede giuridica la nozione economica di imprenditore, come colui
che si interpone fra quanti hanno lavoro o capitale da offrire e quanti
domandano determinati beni e servizi. In questa intermediazione viene
individuato, anche in sede giuridica, il carattere saliente della figura
dell’imprenditore, il quale non è tale per il solo fatto di svolgere, sia pur
professionalmente, un’attività produttiva di beni e servizi: imprenditore è, più
specificatamente, colui che specula sulla differenza fra il costo del lavoro
(salari) e del capitale (interessi) e i ricavi dei beni o dei servizi prodotti.
Di qui quel lavoro di organizzazione e di creazione per determinare
conformemente ad adeguate previsioni le modalità di attuazione della
produzione e della distribuzione dei beni, che costituisce l’apporto tipico
dell’imprenditore e che riceve quella speciale remunerazione detta profitto.
L’organizzazione
Le organizzazioni presentano ampie variazioni ed elevati livelli di complessità:
STRUTTURA SOCIALE
TECNOLOGIA SCOPI
PARTECIPANTI
L’organizzazione razionale
Il comportamento delle organizzazioni è un insieme di azioni attuate da agenti
che si muovo in modo coordinato verso uno scopo. Il linguaggio utilizzato
include termini come informazione, efficienza, ottimizzazione, attuazione e
progetto. Ma anche un altro insieme di termini, in qualche modo diverso,
ricorre all’interno di questa prospettiva; esso indica i limiti cognitivi del
processo individuale di decisione e gli effetti del contesto organizzativo in cui
sono prese le decisioni razionali. Questi termini vincoli, autorità, regole,
direttive, giurisdizione, programmi di esecuzione, coordinamento implicano
che la razionalità del comportamento all’interno delle organizzazioni si realizzi
entro limiti chiaramente specificati.
Non è un caso che gli aspetti fondamentali dell’organizzazione sottolineati dai
teorici del sistema razionale siano proprio le caratteristiche che distinguono le
organizzazioni da altri tipi di collettività. I teorici del sistema razionale
sottolineano la specificità del fine e la formalizzazione perché ognuno di
questi elementi dà un importante contributo alla razionalità dell’azione
organizzativa.
L’organizzazione razionale Ogni tipo particolare di organizzazione presenta una combinazione particolare
di esigenze e di risorse economiche, tecniche e sociali:
la base tecnologica su cui poggia l’organizzazione deve essere disponibile;
la manodopera deve essere addestrata e mobile;
il capitale deve essere messo a disposizione da individui che intendono
rischiarlo;
una forma organizzativa appropriata deve essere studiata.
Le norme culturali presenti nella società devono sostenere l’impresa: gli
obiettivi ed i mezzi impiegati per raggiungerli devono essere considerati
legittimi. Non è possibile soddisfare ogni possibile combinazione di queste
esigenze (art. 41 e 42, Cost.). Le condizioni appropriate si determinano in certi
periodi creando nuove possibilità per le organizzazioni che non potrebbero
esistere in circostanze diverse.
Di tutte le risorse necessarie ad un’organizzazione, la più importante consiste
nei contributi dei suoi componenti umani. Non solo questi contributi sono essi
stessi di infinita varietà; essi sono anche i mezzi con cui tutti gli altri contributi
vengono acquisiti.
Il requisito dell’organizzazione
Persiste il convincimento che un’organizzazione debba essere presente
nell’attività dell’imprenditore: se non un’organizzazione di elementi personali,
ossia un’organizzazione di lavoro, quanto meno un’organizzazione di elementi
reali, ossia un’azienda, nel senso dell’art. 2555, c.c., quale complesso dei beni
organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Con la conseguenza
che viene negata la qualità di imprenditore a chi, pur svolgendo
professionalmente un’attività produttiva, sia tuttavia sprovvisto di una tale
organizzazione.
La presenza di un’azienda può dirsi essenziale alla figura dell’imprenditore.
Tra azienda e impresa c’è, dunque, un rapporto da mezzo a fine.
L’azienda: art. 2555, c.c.
Il C.C. definisce l’azienda come “un complesso di beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. La nozione giuridica si basa su
due teorie, elaborate dalla dottrina e riguardanti il concetto di bene:
• la teoria unitaria: afferma che l’azienda si differenzia dalla somma dei beni
che la compongono, equiparandola all’universalità dei beni mobili. L’’azienda
costituirebbe un bene unitario, distinto dai singoli beni che la compongono e
su cui l’’imprenditore, il titolare dell’azienda, vanterebbe un diritto,
normalmente qualificato come proprietà, distinto dai diritti che lo stesso vanta
sui singoli beni dell’’azienda.
• la teoria atomistica: afferma che l’azienda esiste grazie ai singoli beni che la
compongono. L�’azienda non sarebbe riducibile ad unità, ma sarebbe
descrivibile e definibile esclusivamente come complesso di beni, il titolare
dell’’azienda dunque non vanterebbe nient’’altro se non i singoli diritti sui
singoli beni dell’’azienda.
L’azienda: art. 2555, c.c.
L’art. 2555 c.c. evidenzia come elemento che qualifica l’azienda la
destinazione dei beni all’esercizio dell’impresa; la nozione di bene include non
solo i beni mobili, immobili e immateriali, ma anche più in generale i contratti
che l’imprenditore ha stipulato per l’esercizio dell’impresa e le situazioni
giuridiche che ne derivano (crediti /debiti).
Inoltre secondo il nostro codice civile è bene ricordare che l’azienda non si
configura se non esiste l’impresa.
Non è incluso l’avviamento, ossia il valore aggiunto dell’azienda rispetto ai
singoli beni aziendali che consiste nella capacità di attrarre clientela e generare
reddito, in base all’organizzazione di fattori produttivi (c.d. avviamento
oggettivo) e all’efficienza dell’imprenditore nella gestione dell’impresa (c.d.
avviamento soggettivo).
L’azienda
Il concetto di azienda attiene a ciò che l’economia definisce come gli
strumenti, o i fattori, della produzione.
L’imprenditore non è necessariamente proprietario degli strumenti di
produzione: l’imprenditore è colui che utilizza, a proprio rischio, gli strumenti
di produzione, propri o altrui, del processo produttivo.
Questa dissociazione tra titolarità dell’impresa e proprietà degli strumenti di
produzione si riflette nella nozione giuridica di azienda: secondo l’art. 2555,
c.c., l’azienda è formata non dai beni dell’imprenditore, ma dai beni
organizzati dall’imprenditore.
Non è richiesto che i beni appartengano all’imprenditore, è sufficiente che
egli disponga, su ogni singolo bene, di un titolo giuridico che gli permetta
di utilizzarlo, in combinazione con gli altri beni aziendali, per l’esercizio
dell’impresa.
I segni distintivi
La ditta, l’insegna e il marchio formano la categoria dei cosiddetti segni
distintivi:
- la ditta contraddistingue l’imprenditore;
- l’insegna contraddistingue l’azienda;
- il marchio contraddistingue i prodotti che l’imprenditore pone in commercio.
I segni distintivi assumo la propria funzione nel rapporto fra l’imprenditore e i
consumatori, garantiscono a ciascun imprenditore la possibilità di godere del
proprio successo imprenditoriale.