Commissioni riunite Bilancio della Camera dei Deputati
e del Senato della Repubblica
“Attività conoscitiva preliminare all’esame del
Documento di Economia e Finanza 2014”
Audizione del Direttore Generale di Confindustria
Marcella Panucci
14 Aprile 2014
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1. Il quadro macroeconomico e le stime del DEF
Il Documento di Economia e Finanza (DEF) per il 2014 e, in particolare, le principali sezioni in cui
esso si articola, il Programma di Stabilità (PS) e il Programma Nazionale di Riforma (PNR), traccia in
modo organico le iniziative che il Governo intende portare avanti e il quadro economico che ne
deriverà.
Per meglio comprenderne la portata occorre inquadrarlo nel grave contesto del Paese.
I danni che la recessione ha inferto al settore industriale sono devastanti. Il livello di produzione è
ancora inferiore di quasi il 24% e in alcuni settori di oltre un terzo rispetto ai picchi pre-crisi.
Particolarmente colpito è il comparto delle costruzioni dove il gap è tuttora del 40%. Dal 2007 circa
91mila imprese manifatturiere hanno cessato l’attività, al netto di quelle che nel frattempo sono
state avviate.
Il bilancio per l’intero Paese, per quanto noto, non è meno drammatico. Tra il 2007 e il 2013 il PIL
italiano è sceso di oltre il 9% ed è tornato ai livelli del 2000. Il reddito per abitante è crollato del
10,9% ed è ora vicino ai valori del 1996.
La tenuta del tessuto sociale è messa a dura prova dalle ricadute occupazionali. Le persone
occupate sono diminuite di oltre 1,2 milioni, concentrate nelle fasce di età più giovani: -1,8 milioni
tra i 15-44enni. I disoccupati sono raddoppiati e superano i 3,3 milioni, cui vanno sommate le
persone in Cassa integrazione. La popolazione povera e deprivata supera i 5,3 milioni.
Nel corso del 2013 si è andata delineando un’inversione di tendenza, annunciata dal recupero di
fiducia, ordini e fatturato industriali. Tuttavia, il PIL ha segnato solo un modestissimo incremento
nel quarto trimestre dell’anno passato e, sebbene le stime per il primo trimestre 2014
suggeriscano un progresso migliore, il recupero rimane debole, fragile e disomogeneo tra settori e
aree.
La situazione del mercato del lavoro italiano è allarmante: il tasso di disoccupazione a febbraio è
salito al 13% (12,9% in gennaio; +1,1 punti percentuali su febbraio 2013). Tra i giovani (15-24 anni)
l’incidenza dei disoccupati sulla forza lavoro è del 42,3%.
Le stime del Centro Studi Confindustria sulla produzione industriale italiana in marzo confermano
il proseguimento di un graduale e debole aumento dell’attività.
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Segnali di miglioramento continuano a venire dai dati sulla fiducia ed è particolarmente
significativo che si stiano estendendo ai consumatori e al settore dei servizi, quest’ultimo
maggiormente legato alla domanda interna.
D’altra parte non viene meno una delle principali cause della crisi: la contrazione del credito. La
caduta dei prestiti alle imprese è continuata anche in febbraio: -0,4% su gennaio, un ritmo analogo
a quello medio dei mesi precedenti, con un -10,8% cumulato dal settembre 2011, pari a -99
miliardi. La quota di imprese razionate resta molto alta (14,7% a marzo; 6,9% prima dell’estate
2011) e quella di aziende con liquidità insufficiente è rimasta ferma nel 1° trimestre al 19,5%.
Il rendimento del BTP decennale è sceso al minimo storico: 3,3% in aprile (da 4,4% a luglio 2013).
Lo spread sul Bund tedesco cala, ma resta ampio (+1,7 punti, da +2,8). Ciò non sta aiutando il
credito: resta elevato il ricarico sull’Euribor pagato per i prestiti dalle imprese italiane (+4,1 punti a
febbraio per le PMI; +1,3 nel 2007) e rimane enorme il divario tra i tassi pagati dalle imprese in
Italia e Germania (+2,3 punti a febbraio, +0,5 nel 2007).
La dinamica inflattiva è pericolosamente bassa e, assieme alla perdurante debolezza della ripresa
economica, richiede rapidi interventi, soprattutto con nuove misure quantitative, da parte della
BCE.
Per il futuro non possiamo attenderci un ritorno dell’Italia a tassi sostenuti di crescita senza prima
sciogliere i nodi strutturali che soffocano l’economia da molti anni. Sono queste strozzature che
l’hanno via via rallentata, a cominciare dalla seconda metà degli anni 60. I loro effetti sono stati
compensati con l’accumulo di debito pubblico e un’elevata inflazione aggiustata da periodiche
svalutazioni.
Dal 1997, cioè da quando di fatto è nato il contesto valutario e finanziario della moneta unica
europea, queste valvole di sfogo sono state chiuse e il tasso di crescita dell’economia italiana è
risultato mediamente di quasi un punto percentuale inferiore a quello dell’insieme degli altri Paesi
dell’area euro, con un divario cumulato di 9,8 punti percentuali. Le mancate riforme hanno reso
l’Italia meno capace e pronta nel rispondere alla globalizzazione e alle nuove tecnologie.
Nel primo decennio del Duemila l’Italia è risultata il Paese dell’area euro che è cresciuto al ritmo
più lento, circa un terzo della media, meno della metà della Germania, quasi un terzo rispetto alla
Francia.
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Ciò è conseguenza dell’arretramento competitivo accumulato negli ultimi vent’anni, sottolineato
dall’aumento del costo del lavoro nettamente superiore all’incremento della produttività. Ed è
anche il risultato delle rigidità strutturali e dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione, che
hanno imbrigliato le potenzialità di sviluppo dell’Italia. Come detto, le origini sono lontane e hanno
trovato palese e ulteriore manifestazione nell’arretramento competitivo.
Questo Governo, come vedremo, ha pienamente compreso l’importanza delle riforme, individuato
gli ambiti su cui intervenire e punta con decisione all’azione.
Infatti, nel quadro macroeconomico presentato nel DEF gli effetti delle riforme innalzano le
previsioni di crescita allo 0,8% quest’anno (da 0,5% senza riforme), all’1,3% nel 2015 (da 1,0%),
1,6% nel 2016 (da 1,2%), 1,8% nel 2017 (da 1,3%) e 1,9% nel 2018 (da 1,2%).
Come si nota, da un lato le stime di base, cioè in assenza degli effetti delle riforme, sono più
prudenti che in passato e, dall’altro, le stesse stime degli effetti delle riforme sono ispirate alla
cautela (ammontano a 2,2 punti percentuali di PIL in cinque anni, non considerando gli effetti
dell’accelerazione dei pagamenti della PA). Tali effetti sul tasso di crescita sono comunque
significativi e in aumento nel tempo (fino a 0,7 punti percentuali nel 2018, da 0,3 nel 2014) e ciò a
sottolineare ancora una volta l’importanza delle riforme per rilanciare l’economia italiana.
Il segno dell’effetto sulla crescita associato a ciascun intervento programmato è quello atteso:
positivo quello derivante dalla riduzione di IRPEF e IRAP, dall’aumento della flessibilità nel mercato
del lavoro, dalle liberalizzazioni e dal completamento del pagamento dei debiti della PA (anche se
le ricadute di quest’ultimo non vengono conteggiate); negativo quello da maggiore tassazione
delle rendite finanziarie e da spending review.
Nel quadro macroeconomico del DEF, così come anche nello scenario disegnato a dicembre dal
Centro Studi Confindustria, il traino alla crescita viene da esportazioni (con incrementi superiori al
4% annuo) e investimenti in macchinari e attrezzature (con un’accelerazione dal 4,2% del 2014 al
4,9% del 2018). I consumi avranno una dinamica più lenta (ancora inferiore all’1% nel 2015) e la
disoccupazione rimane molto elevata (all’11,0% nel 2018). Tutto questo conferma la necessità di
un’azione più incisiva.
La dinamica del costo del lavoro, nonostante l’annunciato taglio del cuneo, resta tale da non
consentire una riduzione del CLUP (Costo del Lavoro per Unità di Prodotto), sebbene la
produttività salga di quasi l’1% annuo.
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Il controllo dei conti pubblici passa per il ritorno alla crescita economica e una dinamica dei prezzi
più elevata dell’attuale. L’incremento del PIL nominale è atteso all’1,7% quest’anno, al 2,5% nel
2015 e superiore al 3% negli anni a seguire.
Il rientro del deficit pubblico viene fatto leggermente slittare in avanti: 1,8% del PIL nel 2015,
contro l’1,6% indicato nella Nota di aggiornamento al DEF presentata nel settembre scorso. Il saldo
strutturale raggiunge il pieno pareggio nel 2016 (sostanzialmente è nullo già nel 2015: -0,1% di
PIL). Il saldo primario salirebbe al 5% del PIL nel 2018.
La discesa del rapporto debito/PIL avviene in linea con i vincoli europei: da 134,9% nel 2014 a
120,5% nel 2018. Il Governo prevede un’accelerazione delle privatizzazioni: da un contributo
annuo dello 0,5% del PIL previsto nella Nota di aggiornamento di settembre scorso si passerebbe
allo 0,7% del PIL annuo dal 2014 al 2017. Si tratta di un obiettivo necessario e auspicabile ma che
appare ambizioso alla luce delle privatizzazioni sinora realizzate che, nel 2012, sono state pari a 7,9
miliardi ma nel 2013 solo a 1,8 miliardi.
2. Le riforme strutturali e l’Europa
Dal PNR emerge la strategia di politica economica: imprimere una svolta al processo di riforma per
sostenere crescita e occupazione.
Si tratta di una scelta che apprezziamo e sosteniamo. A gennaio dello scorso anno, in piena
campagna elettorale, Confindustria ha presentato a tutte le forze politiche il Progetto per l’Italia,
che contiene le proposte per rilanciare la crescita e il benessere del Paese. Nel documento è
sottolineato come, per tornare a crescere a tassi superiori al 2%, serva una netta discontinuità con
le logiche del passato per affrontare i problemi strutturali che bloccano l’economia italiana da ben
oltre un ventennio. Il Progetto per l’Italia, i cui contenuti appaiono oggi più attuali di allora, si
compone di una terapia d’urto, una vera e propria manovra economica pro crescita in grado di
innalzare rapidamente il tasso di sviluppo dell’economia, e di un pacchetto di riforme per liberare
le forze del sistema economico sociale e consolidare così gli effetti della terapia d’urto.
È interessante notare come nel DEF si utilizzi la stessa terminologia, parlando appunto di terapia
d’urto. La portata degli interventi è però più contenuta. Questo denota la piena consapevolezza
nell’Esecutivo della necessità di agire in modo rapido e in misura consistente per rompere la
spirale della scarsa fiducia, restrizione del credito, debolezza della domanda interna, perdita di
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competitività che imbrigliano le potenzialità di crescita. Tuttavia, le risorse messe in campo non
appaiono sempre sufficienti per tradurre le intenzioni in realtà. Come vedremo in seguito, gli
investimenti pubblici, per esempio, vengono ulteriormente penalizzati.
Nel DEF è una novità politicamente rilevante il cronoprogramma che impegna il Governo e il
Parlamento, con scadenze ravvicinate, ad attuare gli interventi programmati. Si tratta di una
positiva prova di trasparenza che indica un impegno concreto sugli annunci e in netta
controtendenza rispetto al passato. La determinazione riformatrice si misurerà sul rispetto dei
tempi indicati, oltre che sui contenuti delle riforme e sulla loro effettiva attuazione. Va notato,
tuttavia, che alcuni dei tempi indicati appaiono dettati più dall’ottimismo della volontà che da una
realistica valutazione di fattibilità.
Il Governo punta a sfruttare i margini di flessibilità concessi dalle norme europee a quei Paesi che
presentino un ambizioso piano di riforme strutturali in grado di incidere in maniera duratura sul
potenziale di crescita.
Flessibilità che non è fine a se stessa, ma serve ad anticipare gli effetti positivi delle riforme stesse
e a orientare i comportamenti di imprese e lavoratori in direzione della crescita e
dell’occupazione.
Tale indirizzo era stato auspicato da tempo da Confindustria ed è perseguito nel DEF, che indica
risposte puntuali alle Raccomandazioni Paese rivolte, nel luglio 2013, dal Consiglio europeo
all’Italia e ai rilievi sugli squilibri macroeconomici mossi a Marzo scorso dalla Commissione
europea. Questo consente di negoziare con la Commissione ulteriori margini di flessibilità sui conti
pubblici da utilizzare a sostegno della crescita.
In tale ambito è coerente il leggero posticipo, dal 2015 al 2016, del pieno raggiungimento
dell’obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali indicato dal Governo e reso possibile dal
braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita in virtù dell’accelerazione impressa dal Governo
al processo di riforma. Va detto che si tratta di uno spostamento minimo, giacché già nel 2015 il
pareggio è sostanzialmente raggiunto (-0,1% del PIL il saldo strutturale).
Sfruttando l’occasione offerta dal Semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione
europea, occorre insistere per ottenere una progressiva esclusione della spesa per investimenti
dai vincoli del Patto di Stabilità e Crescita.
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Sempre nella prospettiva della Presidenza italiana, Confindustria condivide e sostiene fortemente
l’impegno del Governo a favore dell’Industrial Compact, la strategia europea rivolta a mettere al
centro della politica economica dell’Unione il rilancio del manifatturiero come motore della
crescita e quindi come strumento per uscire definitivamente dalla crisi.
Alle importanti enunciazioni di principio deve ora seguire una calendarizzazione di scadenze e
impegni concreti, che ci auguriamo possa realizzarsi proprio durante il Semestre italiano, in modo
da spostare ulteriormente l’asse portante della futura politica europea verso la crescita e
l’occupazione.
Nel merito, sull’assetto istituzionale e il funzionamento della macchina amministrativa è da
apprezzare e sostenere il nesso individuato nel DEF tra legge elettorale, riforme costituzionali e
ristrutturazione della macchina amministrativa, al fine di garantire al Paese governabilità,
efficienza nelle decisioni e nell’allocazione delle funzioni amministrative. E, soprattutto, è
importante che il Governo abbia già avviato un chiaro percorso con la presentazione alle Camere
di un DDL costituzionale. Le linee di intervento di tale provvedimento riprendono buona parte
delle indicazioni di Confindustria.
Quanto al mercato del lavoro, le indicazioni del DEF sono in linea di massima condivisibili poiché
ispirate a obiettivi di razionalizzazione, semplificazione e recupero di efficienza. Positiva anche
l’attenzione posta sugli aspetti di coordinamento dei vari soggetti istituzionali e amministrativi
coinvolti. Riguardo alle semplificazioni mancano, però, riferimenti in materia di sicurezza sul
lavoro.
Infine, un giudizio positivo merita la scelta del Governo di finanziare gran parte degli interventi con
i tagli di spesa derivanti dall’attività di spending review facendo proprio il piano messo a punto dal
Commissario Cottarelli. In relazione ai tempi stretti in cui il Commissario ha operato, i risultati
annunciati sembrano importanti e, anche se non sono chiare le modalità con cui si intende
ottenerli, è cruciale garantire l’ammontare dei tagli indicati.
In questo senso, risulterà determinante il sostegno che il Parlamento vorrà assicurare al processo
di spending review. Soprattutto, è bene aver presente che la revisione della spesa non può ridursi
a una mera operazione contabile di taglio dei costi, ma richiede una reingegnerizzazione delle
modalità di erogazione dei servizi della PA e, proprio per questo, può rappresentare la migliore
spinta a un vero recupero di efficienza delle nostre amministrazioni.
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In particolare, preoccupa che il tema della sostenibilità del sistema sanitario, che per Confindustria
è un asset e non solo un costo, non sia stato minimamente affrontato. È in questa chiave che
andrebbe assolutamente trattata la questione della spesa sanitaria nazionale.
3. Le misure di politica economica
Il PNR contiene un ampio ventaglio di misure per il rilancio dell’economia, con relative coperture
derivanti in gran parte da tagli di spesa, ma anche da alcuni aumenti della pressione fiscale.
La più rilevante di queste è il taglio del cuneo fiscale, un intervento che le imprese chiedono da
tempo e che considerano essenziale per ridurre il divario di competitività con i principali partner
europei. La differenza tra il costo del lavoro sostenuto dalle imprese e la retribuzione netta
percepita dai lavoratori, nel 2013, in Italia era pari al 53,1% del costo del lavoro (includendo anche
i contributi INAIL, il TFR e l’IRAP). Un livello di tasse e contributi sul lavoro insostenibile, che riduce
il reddito disponibile delle famiglie e penalizza la competitività delle imprese italiane.
Il Governo mette in campo risorse tali da ridurre a regime di 2,4 punti il cuneo fiscale e
contributivo, che rimarrà comunque il più elevato tra i paesi OCSE dopo quello del Belgio (55,8%) e
di 1,4 punti più elevato di quello della Germania. Tuttavia, Confindustria non condivide la scelta
dell’Esecutivo di concentrare la maggior parte delle risorse sulla riduzione dell’IRPEF per i
lavoratori dipendenti a basso reddito e di destinare solo una parte limitata di risorse, peraltro
finanziata da un aumento della tassazione di cui diremo tra breve, alla riduzione dell’IRAP.
Più volte Confindustria ha ribadito che il taglio del cuneo dal lato del costo del lavoro sostenuto
dalle imprese avrebbe restituito linfa competitiva al Paese, con maggiori benefici per il rilancio
economico rispetto a quelli che deriverebbero da un maggior reddito disponibile delle famiglie,
data la risalita in corso della propensione al risparmio.
Perciò Confindustria auspica un’accelerazione verso una ben più significativa riduzione dell’IRAP,
concentrandola sui settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale, attraverso
l’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile. Questo perché risorse scarse disperse su
tutto il settore privato finirebbero per non avere alcun effetto significativo.
Preoccupa, inoltre, la scelta di coprire la riduzione dell’IRAP con l’aumento dell’aliquota
dell’imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie lasciando invariata la tassazione sui titoli di Stato:
si crea così uno squilibrio che favorisce il finanziamento dello Stato a spese del finanziamento del
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sistema produttivo. Un intervento che appare in contrasto con l’obiettivo dichiarato dallo stesso
DEF che si propone di ampliare i canali di finanziamento alle imprese alternativi a quello bancario.
È positiva l’intenzione di destinare ulteriori 13 miliardi al pagamento dei debiti della PA così come
risolutivo può essere il meccanismo che il Governo vuole predisporre per lo smaltimento integrale
dei debiti residui. Ma è importante che si proceda quanto prima alla chiara e definitiva
determinazione del vero ammontare dei debiti della PA e che l’intervento sia realizzato anche
prima di ottobre (scadenza indicata nel cronoprogramma). È inoltre essenziale che le risorse
destinate al pagamento dei debiti residui in conto capitale, al momento non precisate, siano
adeguate a risolvere il problema; che sia assicurata, anche attraverso un rafforzamento
dell'impianto sanzionatorio, piena funzionalità al meccanismo di certificazione; che, per il futuro,
le PA siano in grado di rispettare i termini di pagamento per evitare nuovi accumuli di debiti. Di
certo, come il Governo sottolinea, la fatturazione elettronica potrà essere determinante, purché il
processo elettronico non si fermi alla sola fase di ricezione delle fatture ma riguardi l’intero ciclo di
pagamento di quelle inviate dalle imprese alle Pubbliche Amministrazioni.
Inoltre, sempre per assicurare liquidità alle imprese, il Governo punta sul Fondo di Garanzia per le
PMI, potenziato di recente, e il DEF indica l’intenzione di sostenere il ricorso delle imprese a
strumenti finanziari alternativi al credito bancario (minibond), di supportare la creazione dei fondi
di debito, di promuovere una maggiore partecipazione degli investitori istituzionali al
finanziamento dell’economia reale, di favorire la patrimonializzazione delle imprese (anche
rafforzando e rifinanziando l’ACE) e la loro quotazione sui mercati di borsa attraverso incentivi e
semplificazioni. Per questo, è utile sottolinearlo nuovamente, appare del tutto improprio
l’innalzamento dell’imposta sostitutiva al 26% sulle rendite finanziarie derivanti da investimenti
diversi dai titoli pubblici (inclusi quelli emessi da altri paesi europei).
Per quanto riguarda la ricerca, si fa solo un riferimento generico all’importanza di sostenere gli
investimenti in R&I, potenziando il credito d’imposta. È invece di estrema importanza che quello
attuale sia reso efficace. Nel DEF si prevedono finanziamenti per l’innovazione tecnologica nel
settore agroalimentare anche in prospettiva di Expo 2015 e nel settore del turismo, ma la leva
dell’innovazione non è affrontata con misure incisive quali il procurement innovativo e pre-
commerciale.
Una specifica sezione del DEF è dedicata alle misure attuative dell’Agenda Digitale per valorizzare
le azioni a supporto del processo di digitalizzazione del Paese nei vari settori (sanità, istruzione,
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giustizia digitale, export e Made in Italy, semplificazione amministrativa, cultura e turismo). Le
azioni programmate sono coerenti con le proposte di Confindustria e rappresentano, se realizzate,
un passo importante verso l’attuazione dell’Agenda Digitale Italiana che, come indicato dal DEF,
può determinare significativi risparmi di spesa pubblica (2,5 miliardi di euro nel 2016).
In materia di capitale umano molte delle indicazioni programmatiche sono condivisibili e
raccolgono proposte e stimoli da tempo avanzati da Confindustria (valutazione dei sistemi
educativi, merito, apertura internazionale, potenziamento dell’istruzione tecnica, apprendistato,
tirocini). Sono importanti il rafforzamento di Erasmus e la proposta sui dottorati industriali. È però
essenziale dare maggiore risalto al tema dell’autonomia.
Le azioni che vengono delineate per un migliore utilizzo dei fondi strutturali sono coerenti con le
proposte di Confindustria: completamento dell’accelerazione della spesa dei fondi 2007-2013 (se
necessario con ulteriori riprogrammazioni); riforma del Patto di Stabilità interno, con scorporo
della spesa cofinanziata; avvio dell’Agenzia per la Coesione; avvio rapido della programmazione
operativa 2014-2020; concentrazione delle risorse.
Il DEF, tuttavia, non indica gli strumenti che il Governo intende adottare per raggiungere gli
obiettivi programmati che, soprattutto nel Mezzogiorno, dipendono in misura rilevante proprio da
un utilizzo efficace di tali risorse: la definizione della strumentazione viene rinviata al momento
della predisposizione e dell’attuazione della programmazione operativa da parte delle
amministrazioni centrali e regionali; solo un accenno viene fatto al Fondo per lo Sviluppo e la
Coesione, confermando l’incertezza sulla effettiva disponibilità delle risorse emersa durante
l’esame della legge di stabilità 2014.
Luci e ombre anche sulle misure in materia fiscale: certamente è positivo l’impegno del Governo a
semplificare le procedure fiscali e a dare attuazione in tempi brevi alla delega, ma va valutato sulla
base del rispetto dei tempi e sull’individuazione dei temi da attuare prioritariamente (dalla
revisione delle sanzioni, alla certezza del diritto, alla semplificazione ). Più ambigua la formula con
cui si intende unificare e semplificare la disciplina dell’obbligazione solidale nella filiera degli
appalti. Confindustria non condivide, invece, la valutazione sull’introduzione dell’imposta unica
comunale che, contrariamente a quanto affermato nel DEF, ha ulteriormente aumentato il livello,
la complessità e l’incertezza del prelievo sugli immobili d’impresa.
Al riguardo sono negative le modifiche approvate la scorsa settimana al cosiddetto “Decreto Salva
Roma ter” perché obbligano le imprese a pagare la Tari anche sui rifiuti che esse smaltiscono già a
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proprie spese e non attraverso il servizio comunale e perché aumentano la discrezionalità dei
Comuni nella definizione del tributo. Modifiche che si aggiungono al recente aumento della Tasi e
che rendono insostenibile il livello e la complessità operativa della tassazione degli immobili
d’impresa che, ricordo, sono veri e propri fattori della produzione, cioè ricchezza dinamica
soggetta al rischio d’impresa, e non rendite. Va ricordato che in questi anni gli immobili di impresa
sono stati penalizzati da un aumento straordinario della tassazione.
Sono, invece, positive le misure volte ad aumentare il numero delle imprese esportatrici attraverso
il potenziamento dei servizi finanziari per l’internazionalizzazione, il maggior coordinamento tra
ICE e rete estera delle Ambasciate, il sostegno alle iniziative di e-commerce e alle reti d’impresa, il
rafforzamento dello Sportello Unico Doganale e l’accelerazione dei controlli ai punti di accesso
delle merci.
Per quanto riguarda il sostegno al ruolo centrale dell’industria, viene ripreso il riferimento
all’obiettivo europeo di portarne il peso al 20% del PIL, ma non c’è l’indicazione delle misure
specifiche che il Governo intende adottare per realizzare tale obiettivo. Il DEF, in larga misura,
contiene solo la riproposizione di provvedimenti già operativi come il Fondo di garanzia per le PMI
e la nuova Legge Sabatini. Va valutata favorevolmente l’intenzione di rifinanziare l’agevolazione
fiscale a favore delle reti d’impresa per far fronte alla forte crescita dei contratti così come
l’innalzamento degli utili accantonabili e la soluzione del problema del “deposito del bilancio” per
le reti meramente contrattuali.
È opportuna la programmata riduzione del costo dell’energia per le PMI, ma non sono forniti
dettagli sul modo in cui si intende ottenerla. Sarà importante eliminare le sacche di inefficienza di
costo per evitare di aumentare il costo per i settori Energy intensive che è semplicemente allineato
ai prezzi europei. Per quanto riguarda l’efficienza energetica non si riscontra nel DEF alcun
riferimento alle misure per sostenere le detrazioni ex 65% e agli obiettivi stabiliti dal Governo con
il recepimento della Direttiva 2012/27/UE. Sulle emissioni è importante che il Governo destini i
fondi raccolti con le aste ETS (600 milioni) a investimenti nelle tecnologie green economy.
Sono condivisibili, inoltre, gli obiettivi riguardanti la difesa del suolo, da realizzare attraverso le
bonifiche dei SIN e gli interventi contro il dissesto idrogeologico (per questi ultimi si prevede un
ulteriore stanziamento di 1,5 miliardi rispetto ai fondi disposti con l’ultima Legge di stabilità).
Infine, è molto preoccupante il ridimensionamento delle risorse destinate agli investimenti
pubblici, in termini nominali e in rapporto al PIL, a fronte degli annunci di voler destinare nuove
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risorse alle infrastrutture pari allo 0,3% del PIL (tra 4,8 e 5,2 miliardi nel periodo 2014-2018). Nel
DEF la sostanza della programmazione resta quella già in essere.