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DDaanniieellaa TToonnddiinnii
Facoltà di Bioscienze e tecnologie
agro-alimentari e ambientali
C.L. in Biotecnologie
Università degli Studi di Teramo
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INDICE
1. La mano: elemento indispensabile.
1.1 La mano: il primo strumento di calcolo.
2. Dalle mani all’abaco: i popoli asiatici.
2.1 L’abaco cinese.
2.2 Altre invenzioni nella matematica.
2.3 L’India ed il calcolo.
2.4 La scrittura numerica in India.
2.5 La matematica evoluta in India.
3. L’evoluzione del calcolo presso i Maya: il calendario.
3.1 Lo Tzolkin: il calendario religioso.
3.2 L’ Haab: il calendario civile e solare.
3.3 Il Conto Lungo: il calendario solare.
3.4 Il calendario di Venere: il calendario astronomico.
3.5 I componenti.
3.6 Il sistema numerico.
4. Il calcolo Inca: yupana e khipu.
5. La matematica egiziana.
5.1 Il papiro di Rhind.
6. La matematica mesopotamica.
6.1 Nuovi supporti per il calcolo: l’introduzione della scrittura
presso Sumeri e Babilonesi.
6.2 I Babilonesi e la notazione posizionale.
6.3 L’individuazione dello zero.
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7. L’evoluzione del calcolo nelle civiltà classiche.
7.1 L’età eroica della matematica.
7.2 Il sistema numerico greco.
7.3 Il planetario di Andikithira.
7.4 Il sistema numerico romano.
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1. La mano: elemento indispensabile.
La mano ha costituito, e costituisce tutt’oggi, lo strumento più semplice e naturale
d’aiuto all’uomo per svariati compiti, materiali e non: con la mano, infatti, egli è in
grado di vestirsi, mangiare, bere, eseguire sforzi fisici, salutare, minacciare, parlare
attraverso un linguaggio gestuale. Non sorprende dunque che l’uomo, anche per
contare e far di conto, prima ancora di costruire altri strumenti, abbia sfruttato le
straordinarie possibilità delle sue mani. “Certo, – dice Georges Ifrah, insigne esperto
di numerologia – per l’alto numero delle sue parti ossee e delle articolazioni
corrispondenti, per la disposizione asimmetrica delle dita e la loro relativa
autonomia, infine, per il dialogo permanente che essa intrattiene con il cervello, la
mano dell’uomo costituisce la più straordinaria concentrazione naturale di risorse in
questo campo”.
1.1 La mano: il primo strumento di calcolo
Le possibilità offerte dalle mani per contare sono svariate e furono utilizzate dai
popoli antichi, dall’Estremo Oriente fino al Mediterraneo.
I nostri più antichi antenati in un primo tempo contavano soltanto fino a due,
indicando con il termine molti un qualsiasi insieme superiore. Ancora oggi diversi
popoli primitivi continuano a contare gli oggetti disponendoli in gruppi di due.
Tuttavia la consapevolezza del numero ha generato, ben presto, il bisogno di
esprimere tale proprietà in modo più preciso e consapevole: dapprima, infatti, si
utilizzò soltanto un linguaggio basato su segni convenzionali, sfruttando le dita di una
mano per indicare facilmente un insieme di due, tre, quattro o cinque oggetti. Il
numero “uno”, invece, in un primo momento non fu riconosciuto come vero numero.
La maniera più banale è quella di rappresentare con le dita i numeri interi a
cominciare dall’unità, come si fa con i bambini per insegnare loro a contare. Non
dimentichiamoci, poi, che il termine anglosassone digit, ormai entrato nell’uso
universale per indicare il concetto di cifra, deriva dal latino digitus, ovvero dito.
Un metodo, molto diffuso nell’Antico Impero dell’Egitto faraonico e nell’Impero
Romano, era basato su ben definite gestualità delle mani, simili al linguaggio dei
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sordomuti, che permetteva di contare fino a 99 su una mano e fino a 9.999 su
entrambe le mani.
Mano sinistra: unità e decine, cioè da 1 a 99.
Mano destra: usata in maniera simmetrica per registrare
le centinaia e le migliaia, in modo che la posizione che
indicava un numero, ad esempio 35, nella destra
indicava altrettante centinaia, quindi 3500.
Gli scavi archeologici hanno portato alla luce molti
gettoni romani di osso o avorio che portano una doppia
rappresentazione dei numeri: su una faccia la
rappresentazione tramite le mani e sull’altra il numerale
romano.
Un’altra tecnica, tutt’oggi diffusa in India e nella Cina
meridionale, consisteva nel contare per mezzo delle 14
falangi o delle 15 giunture delle dita di ciascuna mano. Il
“grassello” del pollice contava come giuntura.
I Cinesi estesero notevolmente le possibilità di rappresentazione dei numeri tramite le
mani, considerando ciascuna giuntura delle dita suddivisa in tre parti: sinistra, centro
e destra. Introdussero, poi, a livello soltanto strumentale, il principio posizionale nella
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numerazione. Ogni dito, infatti, rappresentava un ordine di unità. Nel sistema
decimale, cominciando dalla mano destra, il mignolo stava per le unità semplici,
l’anulare per le decine, il medio per le centinaia, ecc., proseguendo la numerazione,
con lo stesso criterio, nella mano sinistra. Le parti sinistra, centrale e destra delle tre
articolazioni delle dita rappresentavano le unità semplici, per un totale di nove, come
vuole il sistema di numerazione decimale. In conclusione, con una mano si arrivava a
rappresentare fino al numero 99.999 e con entrambe le mani si poteva arrivare fino al
numero 9.999.999.999.
Con tale sistema, oltre che contare, si era in grado di eseguire tutte le operazioni
aritmetiche fino allora conosciute.
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2. Dalle mani all’abaco: i popoli asiatici.
Fin dai tempi antichi in Cina erano in uso due tipi di notazione numerica.
Il primo era formato da simboli distinti per ciascuna delle cifre da 1 a 10 e da ulteriori
simboli per le potenze di dieci: moltiplicando, infatti, le cifre in posizione dispari per
le potenze di dieci si otteneva un sistema completo (es: la cifra 576 veniva
rappresentata per mezzo dei simboli come 5 per cento, 70 per 10 e 6).
Il secondo sistema, conosciuto come notazione a bastoncini, consisteva, invece, in
simboli simili a bastoncini rappresentanti le cifre da 1 a 10 ed i multipli di 10.
2.1 L’abaco cinese
L’etimologia della parola abaco deriva da un termine semitico abq (polvere) e si
riferisce ad una tavoletta ricoperta di sabbia dove venivano effettuati i calcoli, anche
se tuttora enormi sono i dubbi sull’attribuzione della paternità di tale strumento ad un
popolo. L’abaco cinese, introdotto per la prima volta, con il nome di suan phan,
intorno al XVI sec., a differenza dello strumento arabo, era caratterizzato da cinque
palline inferiori e due superiori, disposte su ogni filo di ferro e divise da un’asticella;
ogni pallina superiore, quindi, corrispondeva a cinque di quelle inferiori.
2.2 Altre invenzioni nella matematica
I matematici cinesi giunsero a risultati sorprendenti per i loro tempi. Essi infatti
cercarono di calcolare con esattezza il valore di , conoscevano l’uso della frazioni,
nonché il cosiddetto triangolo di Pascal. Concepivano, inoltre, i numeri negativi,
cosa impensabile presso la maggior parte delle civiltà di quell’epoca.
2.3 L’India ed il calcolo
La prima testimonianza delle conoscenze matematiche presso il popolo indiano
risalgono al 476 c.ca, anno in cui nacque l’autore del Sulvasutras, un compendio
delle regole matematiche conosciute in quel periodo. Il titolo del testo, tradotto
Regole della corda, si riferisce all’uso originario di corde per effettuare le
misurazioni di terreni.
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2.4 La scrittura numerica in India
Gli scavi presso la località di Moheo Doro portarono alla luce le tracce di un
semplice sistema di scrittura numerico formato da trattini verticali disposti in gruppo.
Agli inizi del III sec., poi, entrò in uso un tipo di scrittura più evoluto, la scrittura
Karosthi, che comprendeva dei simboli rappresentanti, a loro volta, le cifre 4, 10, 20,
100; un’ulteriore evoluzione portò, poi, ai caratteri Brahmi simili alla notazione
alfabetica ionica.
Per giungere al tipo di scrittura attuale furono necessarie due invenzioni
fondamentali: l’introduzione del concetto di posizione della cifra che permetteva di
ridurre a soli nove simboli le cifre numeriche e lo zero per indicare un valore nullo.
2.5 La matematica evoluta in India
Anche in India, come in Cina, furono utilizzati procedimenti ben precisi per calcoli
aritmetici complessi. Ad esempio l’addizione e la moltiplicazione venivano effettuati
per mezzo dell’iscrizione in alcune caselle, molto simile a quello da noi oggi
conosciuto; si era giunti, inoltre, a concepire il problema della divisione di una cifra
per zero che aveva, come risultato, una quantità infinita.
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3. L’evoluzione del calcolo presso i Maya: il calendario.
Il 13 agosto 3114 a.C., che secondo alcuni rappresentò il giorno della creazione,
segnò l’inizio del calendario Maya. Dallo studio di tale calendario si apprende,
inoltre, come i Maya abbiano perfezionato una sofisticata tecnica di misurazione del
tempo, distinguendo ben quattro calendari: lo Tzolkin, l’Haab, il Conto Lungo ed il
Calendario di Venere.
3.1 Lo Tzolkin: il calendario religioso.
Lo Tzolkin, piuttosto complesso, dimostra le capacità matematiche dei Maya. Ogni
giorno, infatti, era caratterizzato da un numero, in una sequenza di tredici (numero
sacro Maya), e da un nome, in una sequenza di venti nomi di dèi. Per riuscire a
tornare al punto di partenza, quindi, dovevano trascorrere ben 260 giorni, proprio la
durata dell’anno religioso. Questo calendario è tuttora in uso presso alcune tribù delle
alte terre guatelmateche.
Girando le ruote, quella con i numeri in senso antiorario e quella con le lettere in
senso orario, e facendo poi corrispondere, in sequenza, ad ogni numero una lettera, si
ottenevano, nei punti indicati dalla freccia, le denominazioni dei vari giorni secondo
il calendario Maya Tzolkin: le venti lettere indicavano i nomi degli dèi ed i numeri i
giorni in base tredici.
3.2 L’ Haab: il calendario civile e solare.
L’Haab era formato da 365 giorni: l’anno era suddiviso in diciotto mesi di venti
giorni ciascuno, numerati da 0 a 19, ed aveva termine con cinque giorni infausti, gli
uayet, in cui si credeva che i morti si risvegliassero dal sonno eterno per vendicarsi
dei torti subiti. Ogni mese era inoltre rappresentato da un proprio glifo.
Poiché i due calendari venivano adoperati insieme, era una pratica usuale per la
civiltà Maya che lo stesso giorno venisse indicato con due date differenti; per tornare
alla data di partenza dovevano trascorrere ben 52 anni civili: tale periodo era
chiamato Il Giro del Calendario.
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3.3 Il Conto Lungo: il calendario solare.
In epoca classica i Maya aggiunsero allo Tzolkin e all'Haab un terzo calendario,
chiamato il Conto Lungo, che presentava caratteristiche simili al calendario
attualmente usato dai nostri astronomi. Iniziava dal 13 agosto 3114 a.C., e, costruito
secondo un originale sistema a due ruote dentellate, rappresentava l'integrazione degli
altri due calendari.
3.4 Il calendario di Venere: il calendario astronomico.
Uno dei più antichi calendari dei Maya è il Calendario di Venere, importante
compendio di calcoli astronomici. Pur risalendo a circa 3000 anni fa stupisce tutt'oggi
per la precisione con cui prevede l'eclissi. Questo calendario è inciso su una grande
pietra, un tempo affissa alla Porta del Sole, al centro del Tiahuanaco, città andina
presso il lago Titicaca a 4000 metri d'altitudine. Si tratta, sostanzialmente, del
calendario Haab, a cui sono stati aggiunti alcuni caratteri dello Tzolkin, oltre che
scoperte astronomiche fatte da tale popolo (soprattutto quelle su Venere).
3.5 I componenti.
I kin.
L'anno dei Maya aveva un'unità base denominata Kin, parola che significa giorno,
sole, ecc. Il calendario Tzolkin ha un ciclo di 20 nomi di giorni combinato con un
ciclo di 13 numeri di giorni. Ciascuno di questi 20 nomi veniva rappresentato da un
glifo, caratterizzato, a sua volta, da un nome ben preciso: Imix, Ik, Akbal, Kan,
Chicchan, Cimi, Manik, Lamat, Muluc, Oc, Chuen, Eb, Ben, Ix, Men, Cib, Caban,
Etznab, Cauac e Ahau.
Gli Uinal.
Erano così denominati i 19 mesi Maya, ciascuno con un nome ed un glifo. Di tali
mesi, i primi diciotto avevano venti giorni e l'ultimo, denominato Uayeb, aveva solo
5 giorni. All’interno di ogni mese i giorni erano numerati da 0 a 19, fatta eccezione di
Uayeb i cui giorni erano numerati da 0 a 4.
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I numeri.
Per scrivere le date i Maya utilizzavano sia il glifo, corrispondente al differente
periodo di tempo, sia il numero di ciascuno di loro, sviluppando, così, un sistema
matematico unico che utilizzava semplicemente punti e barre ogni cinque unità. I
numeri, inoltre, potavano essere scritti sia verticalmente che orizzontalmente. Infine,
scoprirono ed usarono lo zero come un sistema vigesimale di puntuazione similare al
sistema decimale oggi utilizzato.
3.6 Il sistema numerico.
Visto che il sistema numerico Maya era basato su 20 unità, quando bisognava
scrivere un numero superiore a 19, occorreva utilizzare un sistema che si sviluppasse
verso l'alto. Così, per scrivere 20 si doveva ad esempio disporre uno zero nella
posizione inferiore con un puntino in cima ad esso, puntino che, collocato in tale
posizione, indicava un'unità del secondo ordine che valeva 20.
Quindi, mentre per i calcoli matematici normali l’unità valeva 400, per quelli
calendaristici la terza unità diventava 360 anziché 400 ed il resto delle posizioni si
sviluppava moltiplicando per 20 quelle precedenti.
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4. Il calcolo Inca: yupana e khipu.
Gli Inca inventarono un potente sistema di calcolo che può ancora essere usato per
effettuare calcoli complessi senza il minimo errore, secondo l’ingegnere italiano
Nicolino De Pasquale, che sostiene di aver svelato la matematica di questa antica
popolazione ancora misteriosa.
Stanziati sulle alture andine attorno al 1200, gli Inca regnavano sul più grande impero
della Terra quando il loro ultimo imperatore, Atahualpa, fu giustiziato dai
conquistadores spagnoli nel 1533.
A lungo considerata la maggiore civiltà dell’Età del Bronzo senza un linguaggio
scritto, lasciarono misteriosi oggetti, che, secondo le ultime ricerche, sarebbero stati
usati per catalogare unità di informazioni.
Studi recenti stanno esaminando le ipotesi che elaborati lacci annodati, conosciuti
come khipu, potessero contenere un linguaggio scritto nascosto, ottenuto seguendo un
codice binario a sette cifre. Nessuno, comunque, è stato fino ad ora in grado di
spiegare il significato di queste tavolette geometriche conosciute come yupana.
Differenti in dimensione e forma, gli yupana sono stati spesso interpretati, non solo
come un modello stilizzato di rappresentazione simbolica, ma anche come tavola di
calcolo. Il modo in cui questo speciale abaco dovesse funzionare, però, resta tuttora
un mistero!
Lo studio dell’ingegnere De Pasquale parte dall’analisi di un disegno del XVI secolo,
contenuto in un libro di enigmi matematici e ritrovato in una lettera inviata dal
peruviano Felipe Guaman Poma de Ayala al Re di Spagna: si trattava di un semplice
gruppo di celle disposte su cinque righe e cinque colonne; il disegno, inoltre,
mostrava un circolo nella cella destra sulla fila di fondo, due circoli nella cella
successiva, tre circoli nell’altra e cinque circoli nell’ultima cella della fila; la stessa
disposizione si ripeteva nelle file superiori.
Secondo De Pasquale, i circoli nelle celle rappresentavano proprio i primi numeri
della serie di Fibonacci, in cui ogni numero è la somma dei due precedenti: 1,2,3,5.
L’abaco Inca, dunque, lavorerebbe su un sistema di numerazione a base 40.
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Dopo aver verificato tale teoria su 16 yupana dei vari musei del mondo, gli studiosi
hanno confermato che il sistema di De Pasquale funzionava per ciascuno di essi.
Il sistema di calcolo degli Inca, inoltre, non prendeva in considerazione il numero
zero ed i numeri, non avendo una rappresentazione grafica vera e propria, venivano
trascritti disegnando lo yupana ed i vari semi posizionati su di esso.
Nella maggior parte dei casi gli Inca svolgevano i loro calcoli semplicemente
tracciando file e colonne sul pavimento. Tale sistema di conteggio, del tutto inusuale,
è stato descritto dal sacerdote spagnolo Josè de Acosta, vissuto tra gli Inca dal 1571
al 1586, nel suo libro Historia Natural Moral de las Indias: “Vederli usare un altro
tipo di calcolatore, con chicchi di grano, è una gioia perfetta… Pongono un granello
qui, tre in qualche altro posto e otto non so dove. Muovono un chicco qui e là ed il
fatto è che sono in grado di completare il loro computo senza compiere il minimo
errore”.
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5. La matematica egiziana.
La decifrazione della scrittura geroglifica egiziana si rivelò abbastanza semplice
poiché fondata sul sistema decimale, additivo e non posizionale.
Attraverso la ripetizione dei simboli, gli egiziani riuscivano a scrivere su papiro o su
pietra numeri superiori al milione: le cifre più piccole venivano collocate talvolta a
sinistra ed altre volte verticalmente; i simboli stessi potevano, inoltre, essere orientati
in senso contrario.
Le iscrizioni geroglifiche egiziane presentavano una notazione speciale per le frazioni
aventi come numeratore l'unità: il reciproco di un qualsiasi intero, infatti, veniva
indicato collocando, al di sopra del segno indicante il numero, un ovale allungato.
Nella notazione ieratica (sacra), l'ovale allungato veniva sostituito da un puntino.
Così, nel primo caso, la frazione “1/8” appariva , mentre nel Papiro di Rhind era
scritto nella forma .
Le frazioni venivano comunemente usate al tempo di Ahmes, ma il concetto generale
di frazione sembra sia rimasto un enigma per gli egiziani. Era molto usata la frazione
“2/3” rappresentata da uno speciale segno ieratico . Talvolta erano usati segni
speciali per rappresentare frazioni della forma n/(n+1), ossia per i complementari
delle frazioni con numeratore unitario. Gli Egiziani conoscevano e sfruttavano il fatto
che due terzi della frazione 1/p fosse la somma delle due frazioni 1/2p e 1/6p, ma le
ragioni per cui preferissero una particolare forma di decomposizione ad un'altra tra le
innumerevoli possibili non sono affatto chiare: forse la scelta, nella maggior parte dei
casi, era dettata dalla preferenza di tale popolo per frazioni derivate dalle frazioni 1/2,
1/3 e 2/3 mediante dimezzamenti successivi.
Le informazioni matematiche che si possono ottenere dalle pietre tombali o dai
calendari sono limitate, così come il quadro dei contributi egiziani che ne possiamo
trarre sarebbe oltremodo frammentario se dovessimo dipendere solo da documenti di
carattere cerimoniale o astrologico.
Per fortuna, però, esistono altre preziose fonti di informazione come il Papiro di
Rhind.
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5.1 Il papiro di Rhind.
Largo circa 30 cm. e lungo 5,46 m., è stato acquistato nel 1858 in una località
balneare sul Nilo da un antiquario scozzese, Henry Rhind. Deve perciò il nome al suo
scopritore: meno frequentemente è indicato come il Papiro di Ahmes, in onore dello
scriba che lo aveva trascritto attorno al 1660 a.C. Il contenuto di questo papiro non è
scritto nei caratteri geroglifici sopra descritti, ma in una scrittura più agile, nota come
scrittura ieratica (sacra). La numerazione rimane decimale, ma il principio additivo
della numerazione geroglifica fu sostituito con l'introduzione di simboli speciali che
rappresentavano i numeri da 1 a 9 ed i multipli delle potenze di 10. Così, il numero
quattro non fu più rappresentato con quattro trattini verticali, ma da una lineetta
orizzontale; il numero sette non fu scritto più con sette trattini, ma come un’unica
cifra simile ad una falce.
A differenza dei Greci, i quali pensavano alla matematica come ad una scienza
astratta, gli Egiziani erano solo interessati alla matematica pratica: questi ultimi,
infatti, non pensavano ai numeri come grandezze astratte, ma ad uno specifico gruppo
di otto oggetti, qualora si trattasse del numero otto.
Per superare le mancanze del proprio sistema, inoltre, gli Egiziani escogitarono astuti
modi in virtù del fatto che i loro numeri non erano adatti per la moltiplicazione.
Il papiro, infatti, consiglia di effettuare la moltiplicazione nel seguente modo.
Supponiamo di dover moltiplicare 41 per 59:
prendiamo 59 e sommiamolo a sé stesso (59+59 = 118);
poi dividiamolo per se stesso e continuiamo;
41 59
1 59
2 118
4 236
8 472
16 944
32 1888
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poiché risulta 64 (= 32+32) > 41 non c'é più bisogno di proseguire dopo 32;
ora bisogna effettuare delle sottrazioni:
4132 = 9 ( 41 = 32+9), 98 = 1 ( 9 = 8+1), 11 = 0 ( 1 = 1)
per verificare che è 41 = 32+8+1;
ora occorre guardare i numeri nella colonna di destra corrispondenti a 32, 8, 1 e
sommarli.
41 59
1 59
2 118
4 236
8 472
16 944
32 1888
2419
Osserviamo, in primo luogo che la moltiplicazione, effettuata all’interno
dell’addizione, é stata realizzata sfruttando semplicemente l'addizione.
Capovolgendo ora i fattori otteniamo:
59 41
1 41
2 82
4 164
8 328
16 656
32 1312
2419
16
6. La matematica mesopotamica.
Sulla matematica mesopotamica disponiamo una documentazione molto più vasta
rispetto a quella egiziana, grazie ai diversi materiali usati per la registrazione di leggi,
tasse, leggende, lettere ed altri documenti: non più fragili papiri, ma solide tavolette
di argilla cotte al sole o nei forni. Ciò nonostante, fu la scrittura geroglifica egiziana,
e non quella cuneiforme Babilonese, ad essere decifrata dagli studiosi contemporanei.
Bisogna quindi aspettare la metà del XX secolo per riconoscere qualche progresso
nella lettura della scrittura babilonese, soprattutto nel campo della matematica.
Migliaia di tavolette di creta trovate ad Uruk e risalenti a circa 5000 anni fa
testimoniano la forma più antica di scrittura usata in Mesopotamia. A tale data la
scrittura ideografica aveva raggiunto lo stadio di forme stilizzate convenzionali per
indicare le cose: le onde, ad esempio, servivano ad indicare l'acqua. Gradualmente il
numero dei segni andò riducendosi, cosicché dei circa 2000 segni numerici,
originariamente usati, ne erano rimasti, al tempo della conquista accadica, solo un
terzo. Disegni primitivi cedettero il posto a combinazioni di segni cuneiformi. In un
primo tempo gli scriba seguivano un tipo di scrittura verticale dall'alto in basso su
colonne disposte da destra a sinistra; più tardi, per comodità, si girò la tavoletta in
senso antiorario di 90° e la scrittura risultò così procedere da sinistra a destra su righe
orizzontali dall'alto in basso. Dapprima fu utilizzato uno stilo a forma di prisma
triangolare, sostituito più tardi da un altro costituito da due cilindri di raggio
differente. Agli inizi della civiltà sumerica, con l'estremo dello stilo più piccolo si
tracciava un segno verticale per rappresentare 10 unità ed un segno obliquo per
indicare l'unità; un segno obliquo fatto con lo stilo più grande rappresentava 60 unità
ed un segno verticale 3600 unità. Per indicare, invece, numeri intermedi si ricorreva
alla combinazione di tali segni: ad esempio, il numero 5112 era espresso da tale
simbolo . Migliaia di tavolette, risalenti al periodo della dinastia degli
Hammurabi (1800-1600 a.C. circa), illustrano un sistema di numerazione ormai
strutturato. Il sistema decimale era stato sostituito, in Mesopotamia, da una notazione
che aveva come fondamento la base sessanta.
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6.1 Nuovi supporti per il calcolo: l’introduzione della scrittura presso i
Sumeri ed i Babilonesi.
La scrittura costituisce uno dei primi ausili sfruttati per eseguire calcoli di importanza
fondamentale. Annoverare la scrittura tra gli strumenti di calcolo può sembrare una
cosa strana, data l'enorme versatilità di questo strumento: la scrittura, infatti, non solo
costituisce uno strumento universale per pensare, registrare e trasmettere
informazioni di qualunque natura, ma si è rivelata essenziale anche nell'ambito del
calcolo. Nei secoli sono stati utilizzati svariati tipi di supporti: dalle tavolette di
argilla a quelle di cera, dal papiro alla pergamena, dalla lavagna alla carta.
I Sumeri conoscono in particolare la scrittura sessagesimale ed eseguono calcoli
matematici attraverso tavolette su cui annotano tabelle di operazioni già compilate;
inoltre, con due soli segni, precisamente l’“1” ed il “10”, rappresentati
rispettivamente con T e <, riescono a costruire tutti i numeri.
6.2 I Babilonesi e la notazione posizionale.
La numerazione cuneiforme babilonese seguiva lo stesso procedimento della
numerazione egiziana, basato sulla ripetizione dei simboli indicanti le unità e le
decine: ciò era sufficiente per esprimere numeri interi piccoli. Le difficoltà iniziavano
a sorgere, quindi, a causa delle eccessive ripetizioni, quando si volevano
rappresentare numeri più grandi. Tali problemi furono risolti dai Babilonesi con
l'invenzione della notazione posizionale: i simboli potevano avere valore doppio,
triplo, quadruplo, e così via, solo attribuendo ad essi valori che dipendevano dalla
loro posizione relativa nella rappresentazione di un numero. Un’appropriata
spaziatura tra gruppi di cunei poteva distinguere posizioni che, lette da destra verso
sinistra, corrispondevano a potenze crescenti della base: ciascun gruppo aveva allora
un valore locale che dipendeva esclusivamente dalla propria posizione. Quando si
scriveva, ad esempio, , separando chiaramente i tre gruppi formati ciascuno
da due cunei, si voleva indicare, con il primo gruppo a destra due unità, con il gruppo
successivo il doppio della loro base e con il gruppo a sinistra il doppio del quadrato
della loro base, precisamente l’espressione 2(60)2 + 2(60) + 2.
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Nonostante tutto, però, i Babilonesi dell'antichità non giunsero mai ad un sistema le
cui cifre avessero un valore posizionale assoluto, cioè la posizione era solo relativa: il
simbolo poteva rappresentare 2(60) + 2, oppure 2(60)2 + 2(60), o 2(60)
3 +
2(60)2 e così via. Il segreto della netta superiorità della matematica Babilonese
rispetto a quella degli Egiziani consisteva nel fatto che i primi ebbero l'idea di
estendere il principio posizionale anche alle frazioni oltre che ai numeri interi. La
notazione , quindi, veniva usata per indicare, non solo 2(60) + 2, ma anche
2 + 2(60) o 2(60) + 2(60) o per altre espressioni frazionarie composte da due basi
frazionarie successive: i Babilonesi, cioè, disponevano di un sistema di notazione che
comportava una capacità di calcolo pari a quella della moderna notazione frazionaria
decimale.
6.3 L’individuazione dello zero.
Sembra che in un primo tempo i Babilonesi non disponessero di un metodo chiaro per
indicare una posizione vuota: non possedevano, infatti, nessun simbolo che
individuasse lo zero, anche se talvolta lasciavano uno spazio vuoto. Tuttavia, ai tempi
della conquista di Alessandro il Grande utilizzavano un segno speciale, consistente in
due piccoli cunei disposti obliquamente , notazione questa tutt’oggi adoperata
nelle sottrazioni, quando la prima cifra del risultato è pari a zero.
Il simbolo usato dai babilonesi per indicare lo zero, però, non pose affatto fine a tutte
le ambiguità, poiché sembrava quasi che tale segno venisse sfruttato solo per indicare
posizioni vuote intermedie.
Successivamente al sistema numerico babilonese furono inventate anche le cifre
Maya ed Indù, tra le quali comparve, per la prima volta, un simbolo per lo zero, che
fungeva sia da “segnaposto” che da numero vero e proprio: è all’astronomo
babilonese Naburian, però, che va attribuita l’invenzione dello zero; tuttavia esso
verrà utilizzato sistematicamente solo un millennio dopo per merito del matematico
Aryabhata; nel periodo che intercorre tra i due studiosi, invece, lo zero non fu
utilizzato nei calcoli in quanto ad esso non era riconosciuta la dignità di numero.
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7. L’evoluzione del calcolo nelle civiltà classiche.
Lo sviluppo della matematica presso gli antichi Greci fu determinato prevalentemente
dall’apertura dei rapporti con l’Egitto e la Babilonia: la matematica, infatti, assunse
da subito una fisionomia originale.
Rispetto alle forme letterarie, però, tale disciplina risultò molto arretrata fino a
quando, nel VI sec a.C., non comparvero sulla scena Talete e Pitagora.
Dal 600 a.C., poi, la matematica ha ottenuto un nuovo impulso in seguito agli
insediamenti sul Mar Nero e sul Mediterraneo.
L’aritmetica era percepita per lo più come disciplina intellettuale oltre che tecnica
soprattutto dalla scuola Pitagorica che la considerò come una branca della filosofia di
cui però si servì per unificare tutti gli aspetti del mondo circostante.
7.1 L’età eroica della matematica.
Si definisce così quel periodo storico (seconda metà V secolo) in cui gli uomini, che
sostanzialmente erano privi di mezzi, affrontarono tematiche di importanza
fondamentale. Il V secolo, pertanto, rappresentò un periodo caratterizzato da un
audace spirito di libera indagine in cui l’attività matematica non era concentrata più
solo nel mondo greco ma iniziava a fiorire anche nelle regioni affacciate sul
Mediterraneo, nonostante la città di Atene non cessò mai di attrarre scienziati e
studiosi da tutto il mondo Greco, dando così vita ad una sintesi di mentalità diverse.
7.2 Il sistema di numerazione greco.
In Grecia si affermò un sistema di numerazione basato su 27 segni, 24 dei quali presi
in prestito dall’alfabeto Greco corrente e tre dal primo alfabeto, attraverso i quali si
indicavano i primi dieci numeri, gli otto multipli di dieci fino a 90, il 100 e gli otto
multipli fino a 900. Le migliaia erano indicate con una piccola barra, /, posta a
sinistra della lettera corrispondente al numero.
7.3 Il planetario di Andikithira.
Il più antico calcolatore ad ingranaggi, noto con il col nome di macchina di
Andikithira e risalente all’87 a.C., era caratterizzato da un complesso planetario,
mosso da vari ingranaggi a ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole,
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le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi ed
i giorni della settimana.
7.4 Il sistema numerico romano.
La numerazione romana riprese le lettere per indicare i numeri, mentre le modalità di
rappresentazione cambiarono a seconda del periodo storico: inizialmente, infatti, i
numeri venivano rappresentati per terra o sulla sabbia; successivamente, invece, si
passò alla rappresentazione su tavolette ricoperte di sabbia e, più tardi, la sabbia fu
sostituita dalla cera e le lettere venivano incise con un ferro appuntito chiamato stilo.
Di seguito sono riportate le regole di calcolo da seguire:
le stesse lettere potevano essere ripetute fino a tre volte;
una cifra posta alla destra di una più grande doveva essere sommata;
una cifra posta alla sinistra di una più grande doveva essere sottratta;
un trattino orizzontale, segnato sopra una o più lettere, rendeva il loro valore
mille volte più grande;
due trattini orizzontali rendevano il valore delle lettere un milione di volte più
grande.
Inoltre, per eseguire i vari calcoli i Romani utilizzavano dei sassolini, i cosiddetti
calculi, che venivano infilati nelle scanalature di un abaco.