- Mangia ca si patutu
- O laviti
- Non trasiri ca è vagnatu
- Si sempri fora
- Si sempri a casa
- Macari i pulici ianu a tussi
- Canciti i mutanni ca su succeri quacche cosa e ti pottunu o spitali
facemu mala cumpassa
Per pregiarsi del titolo di siciliano doc bisogna essere stati educati a pasta
alla norma e ammonimenti materni. Ammonimenti che, essendo stati
coniati e sperimenti da un vero e proprio esercito di madri, nonne,
trisavole, costituiscono ormai parte integrante della tradizione sicula,
nonché distillato di profonda saggezza.
In queste pagine ho provato a fare un exurscus sui detti più diffusi, quelli
per intenderci che, in seguito ad attenta e meditata applicazione, hanno
condizionato matrimoni, studi, attività lavorative, relazioni, esistenze
intere.
A prima vista alcuni di loro potrebbero apparire contradditori e non
pertinenti – vedi ad esempio, si sempri fora o si sempri a casa – ma nel
considerarli non bisogna mai perdere di vista la contestualizzazione,
ovvero il frangente nel quale vengono pronunciati, cosa nella quale le
madri mostrano abilità eccezionali.
Il risultato è che i destinatari si trasformano in individui disorientati,
confusi, costantemente bisognosi di supporto e guida, insomma per dirla
con un solo, esaustivo termine, in dei veri pacchiotti. Che la madre sia
dunque una persona manipolatrice, smaniosa di esercizio di potere,
subdola e prepotente? Si chiederà qualcuno.
Da un certo punto di vista, se si dimenticasse l'obiettivo, la risposta
potrebbe essere affermativa, ma sarebbe ingiusto liquidare la faccenda
in maniera così semplicistica. Si trascurerebbe il vero, nobile intento della
mater: proteggere la prole e mantenere sulla retta via il marito.
Del resto Macchiavelli non diceva che il fine giustifica i mezzi?
Mangia ca si patutu
( Mangia che hai l’aria sofferente)
Mangia ca si patutu schiude l’orizzonte sulla natura del
particolarissimo rapporto che lega la madre ai figli.
Analizziamo nel dettaglio la locuzione, forse una delle più antiche che
una madre abbia mai pronunciato. D’altronde come potrebbe essere
diversamente? Proprio lei, dopo aver messo al mondo il tanto desiato
frugoletto, provvede personalmente al suo nutrimento allattandolo.
L’allattamento può essere al seno o artificiale. In tempi remoti, non
essendoci l’opzione, dato che il latte artificiale non esisteva, ad eccezione
di Romolo e Remo che per defezione coatta e involontaria di Rea Silvia
vennero nutriti da una lupa, nessun altro poppante fu privato della gioia
suprema di ciucciare dal capezzolo materno.
Ad ogni buon conto, resta da precisare che pure Rea Silvia sarebbe
stata felice di attaccarsi Remo da una parte, Romolo dall’altra, se quel
grande stronzo dello zio Amulio gliene avesse dato facoltà.
L’allattamento artificiale subentrò negli anni settanta, quando le
madri, sollecitate adeguatamente dalle industrie produttrici che
assicuravano l’assoluta bontà del loro latte in polvere, dalle suocere che
diffidavano delle loro capacità di nutrici e, non ultimo, dal desiderio di
emanciparsi, decisero di affidarsi al biberon, meglio conosciuto come
sucalora.
C’era anche un’altra ragione che le spinse verso quella direzione: il
timore che il seno si allaccarasse, vale a dire si svuotasse, perdesse di
tono ed elasticità, privandole del sex appeal.
Successivamente, grazie alla diffusa tendenza di rifarsi le minne,1 le
madri virarono daccapo verso l’allattamento al seno con il duplice
vantaggio di ottenere figli normopeso e con quoziente intellettivo più 1
� Minne - mammelle
elevato – così almeno affermano gli studi epidemiologici -, nonché la
misura di reggiseno desiderata.
Con i soldi risparmiati dall’acquisto di latte in polvere, le madri, infatti,
riuscirono e riescono tutt’ora a mettere da parte un discreto gruzzoletto
del quale, a svezzamento avvenuto, possono disporre per l’inserimento
delle protesi mammarie.
Molte hanno così potuto coronare il sogno di passare da una prima
misura alla quinta, e pazienza se le proporzioni con il resto del corpo non
sono rispettate, né le suocere accontentate, in ogni caso hanno ottenuto
la visibilità.
Ma torniamo al nostro mangia. Mangia s’identifica con il
soddisfacimento del più essenziale dei bisogni primari. Non può esserci
vita senza nutrimento. Non può esserci nutrimento senza madre.
Ecco quindi che l’azione stessa del cibarsi si configura e sovrappone
all’immagine materna, dando luogo alle equazioni :
mamma= cibo; cibo= mamma.
Ed ecco pure che, volendo citare l’esperienza di molte madri, nonché
quella personale, tante volte si assiste al miracolo di sentirsi rivolgere la
parola dai figli nei seguenti modi:
mamma ho fame;
mamma cosa si mangia;
mamma nutrimi;
madre cibami.
O, in alternativa, si può ricevere un messaggio su whatsapp con scritte
che replicano i contenuti delle frasi sopra elencate, accompagnate da
faccine gialle, incazzate e voraci.
A tutto questo, verso le dodici, ora in cui comincia a d avvertirsi un
certo languorino, si aggiunge immancabilmente la telefonata del
consorte che, a corto di fantasia, sia per quanto riguarda la culinaria che
per quanto concerne l’eros, chiede: cosa si mangia oggi?
Inconsapevolmente viene così riprodotto lo stesso comportamento
che costui teneva quando ancora era nella condizione privilegiata di figlio
e non di marito, operando un’evidente trasposizione della figura materna
con quella della moglie.
Particolare, quest’ultimo che spiegherebbe i continui lapsus ai quali
vanno incontro gli uomini sposati o conviventi, chiamando mamma la
compagna, e che andrebbero scandagliati alla luce delle modificazioni
irreversibili che il famigerato monito” mangia ca si patutu”, produce nei
cervelli maschili.
Ma torniamo alla nostra analisi.
La particella ca, traducibile con “che sei”, sottende una condizione
visibile non soltanto agli occhi della madre, ma all’universo intero. La
genitrice non dice, infatti, ca ti viru2, locuzione che ammetterebbe una
parzialità e soggettività della sua visione, bensì il lapidario e secco ca. Un
ca che dunque certifica la rispondenza a verità sacrosanta.
Difatti non serve a nulla tentare di dissuadere la madre dicendole che
il peso registrato sulla bilancia è sempre lo stesso, o addirittura
incrementato. Se lei ha detto ca, non esistono repliche.
Analizziamo, infine, l’aggettivo qualificativo finale, quello, per
intenderci che dona peso e consistenza all’affermazione nella sua
totalità.
Patutu trae la sua etimologia dal greco pathos, termine che indica
sofferenza, dramma, travaglio interiore.
Scusate, ma cosa c’entra con mangia? Potrebbe domandarsi qualcuno.
C’entra, c’entra eccome.
Nell’accezione materna, patutu, assume valenza ambivalente se non
promiscua, sposando in pieno sia il concetto di dimagramento che quello
di sofferenza.
2
� Ca ti viru – che ti vedo
Le madri più accorte e allenate sanno affidarsi alla sua vaghezza,
offrendo in tal modo al figlio spunti di riflessione profonda.
L’invito, esortazione, imperativo che dir si voglia, viene in genere
pronunciato a beneficio esclusivo del figlio maschio.
La figlia siciliana, infatti, figlia di degna madre, ha già inscritto nel suo
codice genetico le informazioni sui comportamenti da adottare con la
prole futura e difficilmente cede alla lusinga di quel mangia o allo
spauracchio ca si patuta, se ha deciso di mettersi a dieta.
Inoltre, se ha la fortuna di avere degli incontri ravvicinati del 3° tipo –
stiamo parlando di sesso e non di E.T. – sa bene che la donna ha la parte
più riposante nell’incombenza, mentre all’uomo tocca quella più faticosa,
con maggiore dispendio di energie e perdita di peso e quindi, non ha
motivo né di allarmarsi, né di preoccuparsi.
Ben altro effetto ha, invece, la locuzione incriminata sul figlio.
Se si tratta di un ragazzo in età adolescenziale penserà
immediatamente all’inconsistenza dei suoi muscoli. Rimpiangerà
amaramente di aver dissipato tutti i soldi della paghetta, quelli regalati
dai nonni, zii e patrozzi3 per i compleanni, Natale, Pasqua, per pagare il
personal trainer che gli ha promesso un corpo scultoreo. Se la prenderà
mentalmente con Gessica, ovvero la strafiga pazzesca dai capelli rossi
della III L che non lo calcola neppure di striscio e sulla quale sperava di far
colpo.
Nei casi in cui il giovane faccia parte di una famiglia di cattolici
osservanti, anche se lui si professa ateo, il ragazzo verrà attraversato dal
timore di avere soggiornato troppo a lungo e di frequente nel bagno di
casa, dedicandosi a pratiche onanistiche.
Si pentirà di aver sprecato i risparmi, racimolati faticosamente
trafugandoli dai portafogli materni e paterni, per consegnarli al solito
3
� Patrozzi – padrini. Sarà utile in questo contesto specificare che per padrini, in Sicilia,
s’intendono anche le persone che tengono a battesimo o cresima i figliocci e non soltanto colui che si trova a capo di una cosca mafiosa e detiene potere di vita o di morte.
personal trainer che gli ha promesso muscoli da sballo, in grado di
stecchire Gessica, sempre la rossa strepitosa della IIIL.
A cosa gli è servito spendere uno sproposito, se poi viene punito dal
Cielo con l’assottigliamento dei muscoli? Si chiederà, dimenticando che
l’effetto collaterale prescritto è la cecità.
Diverso il significato assunto da mangia ca si patutu nel caso venga
rivolto a un figlio adulto. Tale caso prevede due variabili:
variabile A: il figlio è celibe e vive con i genitori;
variabile B: miracolo! Il figlio è sposato
La prima variabile è senz’altro la più diffusa, al giorno d’oggi circa
l’80% degli uomini in età di poter contrarre matrimonio, vive ancora nella
casa natia.
È polemica recente quella che ha infiammato gli animi delle donne
italiane, con particolare riguardo alle siciliane, che si sono viste accusare
di aver reso i figli mammulini ostinati, o bamboccioni che dir si voglia.
Per capire meglio il dilagare del fenomeno, bisogna considerarne le
cause. Per comodità elencheremo le principali, ovvero disoccupazione,
aumento dell’aspettativa di vita, paura dell’aereo e della nave,
parmigiana della mamma.
La disoccupazione è sicuramente la causa più grave e di più complessa
risoluzione.
Non vengono più banditi concorsi pubblici, le industrie chiudono i
battenti e si trasferiscono nei paesi dell’est, i cantieri sono stati
smantellati. A questo panorama di desolazione si aggiunge il blocco
dell’economia che impedisce al denaro di circolare e fluire dalle tasche
dei raccomandati, a quelle dei raccomandanti, così com’era in voga negli
anni del boom economico.
Se poi il figlio teme aereo e nave il gioco è fatto: che speranze può
avere di mettere a frutto i lunghi anni di studio – lunghi nel senso che gli
ci sono voluti sedici/diciassette anni per laurearsi – e trovare
un’occupazione?
Altra causa di non trascurabile importanza è l’aspettativa di vita
media. Grazie ai progressi compiuti dalla medicina, oggi si può aspirare di
vivere più a lungo, anche se in condizioni di salute peggiori. Gli uomini
possono raggiungere il traguardo degli ottantadue anni, mentre le donne
di ottantasei.
Ne consegue che il figlio può procrastinare saggiamente il giorno in cui
convolare a nozze. Al tempo stesso, essendosi allungata l'aspettativa di
vita non solo per lui, ma anche per la madre, potrà godere per più tempo
dei servigi offerti gratis dalla casa d’origine: pulizia di stanza e biancheria,
rifornimento del portafoglio, prestito di auto, parmigiana. – ecco che
entra in gioco la parmigiana. - Ma anche pasta o funnu, capunata, stoccu4
e baccalà.
Conoscete qualcuno che sia così scemo da rinunciarci?
Altro che bamboccioni! Ci troviamo di fronte a esemplari di rara
intelligenza e tornacontismo. Uomini – uomini?! – che possono
permettersi il lusso di restare dei Peter Pan, fino a cinquantanni e oltre.
In genere questi soggetti presentano mani fini e curatissime, sfoggiano
camicie lindissime, pantaloni dalla piega inappuntabile. Fuori casa
tengono un atteggiamento da viveur, ridono scherzano, ballano,
bazzicano i locali più alla moda e meglio frequentati, attingendo alle
4
� Pasta o funnu, caponata, stoccu – pasta al forno, caponata, stocco.
Per pasta al forno non s’intende un primo piatto consumato nei fondali marini, pratica di alquanto difficile realizzazione, bensì una pietanza in genere condita al ragù e opportunamente cosparsa di ricotta salata e melanzane fritte, secondo la vera tradizione della cucina catanese, che viene fatta cuocere al forno, a temperatura moderata per almeno mezz’ora. La caponata è un tipico piatto siciliano i cui ingredienti principali sono costituiti da peperoni, melanzane, cipolla, sedano e olive bianche. La caratteristica di tale pietanza è che ogni ingrediente viene fritto separatamente, in modo da rispettarne i differenti tempi di cottura. Infine per conferire sapore e amalgamare i diversi gusti si cosparge con l’agrodolce che si ottiene sciogliendo lo zucchero nell’aceto rosso.
risorse pensionistiche dei genitori, mentre entro le mura domestiche
badano a mantenere un contegno contrito. Sospirano spesso, stanno
raccolti in meditazione trascendentale, si lasciano sfuggire dei lamenti,
rappresentando degnamente una tipologia molto diffusa nel meridione
che viene definita “spassu di fora, triulu di casa”5. Espressione tipica,
pronunciata indifferentemente dai siciliani volta a indicare un individuo
dalla personalità complessa, un bipolare probabilmente, che riesce a
passare nel giro di pochi istanti dalla tristezza alla gioia più sfrenata e
viceversa.
Tuttavia può succedere che, durante le frequentazioni di locali
notturni e ritrovi vari, il figlio adulto incappi nella famosa Gessica di IIIL.
Ovviamente costei non frequenta più il liceo, nel frattempo si è sposata e
ha divorziato, per poi risposarsi e divorziare daccapo.
Insomma, nel momento in cui Gessica incontra il nostro uomo, è libera
come l’aria e alla ricerca frenetica di qualcuno che si accolli lei e i suoi
quattro figli - due dal primo matrimonio, altri due dal secondo. –
Con opportune tinture, conserva la meravigliosa chioma rossa ed è
ancora più carrozzata di come il figlio la ricordava – miracoli della
chirurgia plastica e degli alimenti dei mariti. –
La scintilla scocca inevitabile. Gessica osserva le mani fini ed eleganti
del figlio, i suoi pantaloni e camicia Versace, le scarpe all’ultima moda e
desume di trovarsi al cospetto di un professionista, un medico o
avvocato dalle parcelle caustiche, che potrà garantirle un tenore di vita
adeguato.
Con saggezza la donna sorvola sul parrucchino che lui ostenta con
ingenua baldanza e si avvicina.
- Ma noi ci conosciamo! – esclama, lasciando scorrere gli occhi languidi
sulle chiavi dell’auto che tintinnano dalle mani del figlio. Il vederle
attaccate al marchio Mercedes, la convince definitivamente di aver
trovato il terzo uomo della sua vita.
5
� Spassu di fora triulu di casa – letteralmente “spasso di fuori, piagnisteo di casa”
In realtà Gessica non ricorda affatto il suo volto, non ha mai saputo
della sua esistenza, né dei suoi ritiri prolungati nei bagni scolastici e di
casa, e neppure degli allenamenti caparbi a cui lui si è sottoposto per
piacerle, ma la frase raggiunge lo stesso il suo scopo.
L’uomo si sente catapultare in un passato remoto, fluttuare ai limiti
del sogno.
È mai possibile, si chiede, che Gessica si stia rivolgendo a lui e che
l’abbia riconosciuto?
Superato il primo momento di allocchimento6 il figlio, dismessa
l’espressione da ammuccalapuni7, passa a rievocare i bei tempi andati,
mentre Gessica reprime gli sbadigli, aspettando pazientemente che lui le
chieda di riaccompagnarla a casa.
Succederà nel chiuso dell’abitacolo della mercedes benz – dimenticavo
di precisare che è stata acquistata con un leasing pluridecennale che non
si estinguerà mai – l’esplosione.
Vale a dire il primo bacio, le toccatine e quant’altro prevede il
repertorio dell’ approccio iniziale tra un uomo e una donna dai tempi di
Adamo ed Eva.
I due diventeranno inseparabili e, facendo attenzione a non rivelare
troppi dettagli sulla loro vita trascorsa – i quattro figli di lei, il parrucchino
di lui – cominceranno ad accarezzare l’idea di una convivenza/
matrimonio.
A propendere per l’ultima soluzione è soprattutto Gessica, femmina
accorta e previdente che ha già sperimentato i vantaggi derivanti dal
matrimonio e successivo divorzio, mentre il figlio lascerebbe le cose
come stanno.
Tuttavia l’ama, l’ha sempre amata, come ignorare le sue richieste? 6
� Allocchimento - intontimento 7
� Ammuccalapuni – letteralmente “mangiatore di grosse api”. In senso metaforico,
ingenuo, credulone
È a questo punto che entra in gioco la madre. La madre, in effetti, ha
già notato i cambiamenti del figlio. Non lo vede più assorto nei suoi
pensieri, né lo sente sospirare e lamentare. Inoltre, dettaglio inquietante,
ha riscontrato la presenza di capelli dal colore rosso sulle sue giacche,
nonché tracce di rossetto indelebile sui colletti delle camicie.
C’è una donna nella sua vita, non ha dubbi, e il fatto che costei ricorra
a una tintura così sfrontata la porta alla conclusione che si tratti di una
bottana8. Epiteto che nell’accezione della madre sicula indica non la
poveretta costretta a mercificare il proprio corpo per sopravvivere, bensì
una donna scaltra, manipolatrice, in grado di piegare la volontà di un
uomo, farsi sposare e mantenere ad vitam.
Malgrado il figlio non le abbia ancora fatto alcun accenno al
presumibile e futuro matrimonio, la madre si allerta e passa al
contrattacco:
punto primo: intensifica premure e attenzioni nei confronti del figlio;
punto secondo: acquista un bastone, puntualizzando però al figlio che
preferisce di gran lunga il suo sostegno piuttosto che quello legnoso del
bastone menzionato;
punto terzo: non perde occasione per rispolverare antichi aneddoti,
atti a dimostrare che le donne dai capelli rossi sono notoriamente delle
malefemmine9;
punto quarto: incrementa la preparazione di parmigiana.
Proprio quest’ultimo punto sarà fatale nell’evoluzione della relazione
tra Gessica e il figlio.
8
� Bottana – puttana, prostituta 9
� Malefemmine – donne cattive, pericolose
La madre, osservando disfatta i tentennamenti del figlio davanti alla
porzione pantagruelica di parmigiana che lei gli ha servito – l’uomo teme
di metter su pancia, Gessica l’ha ammonito dal farlo, informandolo che
predilige i tipi asciutti e atletici –, pronuncerà la fatidica frase: mangia ca
si patutu.
Non si limiterà a una sola volta, ma lo ripeterà dieci, cento, mille -
come i famosi baci di Catullo – tanto che alla fine il figlio di persuaderà di
essere prossimo alla consunzione e provvederà a porvi rimedio facendo
bis e ter a ogni pranzo e cena.
Risultato? Metterà su pancia e abbandonato da Gessica che, nel
frattempo, è stata contattata e percossa a colpi di bastone dalla madre –
ecco a cosa serviva! – riprenderà il consueto tran tran, alternando sospiri
e lamenti a scorribande notturne a bordo del suo mercedes.
Diverso è il caso del figlio sposato. Il danno è tratto! Pardon volevo
dire “il dado è tratto”o “ alea iacta est”, come disse pure Giulio Cesare a
conferma della sua decisione irrevocabile quando, la notte del 10
gennaio, del 49 a.C. , varcò il fiume Rubicone, alla testa di un esercito.
Nel caso specifico il figlio, poco più che quarantenne, ha messo incinta
la figlia diciottenne della vicina di casa e l’ha dovuta sposare in tutta
fretta.
La madre ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, sborsare la sua
quota per organizzare lo sposalizio, sopportare la disparità di ceto sociale
tra la sua famiglia, rispettabilissima di scappari10, e quella di fetenti
pisciari11 della ragazza.
10
� Scappari – ciabattini 11
� Pisciari – pescivendoli
Si è dovuta sobbarcare l’ingiustizia di corrispondere metà cifra per il
rinfresco, malgrado i suoi invitati fossero 166, contro i 167 dell’altra
famiglia, nonché l’iniquità di vedere avanzare la nuora lungo la navata
della chiesa, avviluppata in un abito bianco candido che ne sottolineava
l’illibatezza, nonostante ostentasse un avanzato stato gravidico.
Per finire, la madre, si è vista scodellare una nipote di 2400 gr, anziché
un maschio così come notoriamente fanno le donne per bene in Sicilia,
quando decidono di mettere al mondo il primo figlio. Perché su questo
non dubbi: è stata lei, la nuora tappinara12, figlia di gran tappinara, a
infinocchiare il figlio e farsi mettere incinta.
Le controffensive vengono già programmate nella fase di puerperio.
Approfittando del fatto che la nuora è in ospedale e non può, quindi
dari vessu13 al marito, si offre di pensarci lei, invitandolo a casa.
Il figlio troverà la tavola imbandita con ogni ben di Dio, caponata,
coniglio in agrodolce, sasizza14 di Piedimonte Etneo, la celeberrima
parmigiana e per dessert cannolicchi di ricotta, di cui persino le cialde
sono state preparate con le manuzze15 sante della mamma.
12
� Tappinara – donna dai facili costumi. Difficile risalire all’etimologia del termine. Tappinara deriva probabilmente da tappina, ovvero ciabatta e quindi potrebbe indicare le meretrici che esercitano il loro mestiere a casa, comodamente, in pantofole. Secondo un’altra ipotesi, invece, tappinara potrebbe indicare una donna dai costumi non troppo morigerati, una mascalzoncella ma non una prostituta che, smaniosa di conoscenza e di esplorazione, gironzola per le strade in ciabatte. 13
� Dari vessu – occuparsi di… badare, servire. 14
� Sasizza – salsiccia 15
� Manuzze – manine
Il poverino che, da quando si è sposato, si è nutrito quasi
esclusivamente di minestroni surgelati e cibi precotti, impazzirà di gioia
nel riesumare gli antichi e prelibati sapori, e una furtiva lacrimuccia
scenderà a rigargli la gota, suggellando tangibilmente tanta commozione.
Fenomeno assimilabile alle famose lacrime di coccodrillo, riscontrabile
nell’alligatore, dopo un lauto pasto.
La madre, nel frattempo, mussierà, vale a dire storcerà la bocca in
segno di riprovazione, nell’apprendere che la nuora ha deciso di allattare
al seno la neonata, manifestando una certa reticenza nel credere che la
tappinara possa produrre latte di qualità.
Chiaramente, nel corso di tutto il pranzo, i mangia ca si patutu, si
sprecheranno tanto che il giovane,- ex giovane, per la precisione - alla
fine si persuaderà di essere pronto a far da testimonial per campagne
contro la fame.
Ma il colpo di genio materno sarà senz’altro la consegna di un involto
al figlio. Dentro ci sarà caponata, coniglio, sasizza ecc, insomma tutto
quello che ha già servito a tavola, con la differenza che gli alimenti,
stavolta, sono stati abbondantemente cosparsi con pipispezzi16 e
peperoncino.
- Chisti pi to mugghieri17 – dirà la madre – a tappi… a carusa a mangiari
bona su ci voli dari u latti a picciridda18.
Il figlio si commuoverà e piangerà daccapo, poi recherà i doni alla
sposa con un orgoglio difficilmente esprimibile. Ignaro delle
16
� Pipispezzi – pepe nero 17
� Chisti pi to mugghieri – questo è per tua moglie 18
� A tapp… A carusa a mangiari bona su ci voli dari u latti a picciridda – a tapp… la
ragazza deve mangiare bene se vuole allattare la bambina.
controffensive materne, inviterà la neomamma a mangiare, e lei lo
accontenterà, divenendo preda di un forsennato accesso di tosse al
secondo boccone.
È proprio questo il frangente in cui l’ingerenza della suocera del figlio
si farà operativa. Annuserà il cibo: - pipispezzi e pepencino , u fici apposta
to matri 19– decreterà, rivolta al genero – l’avia dittu ca non vuleva ca me
figghia ci dava u latti a picciridda!20- esclamerà, mescolando al nativo
dialetto ragusano quello locale.
Le fasi successive all’affermazioni saranno seguite da vuciati e
maliparoli21.
La tappinara giovane opporrà fermo rifiuto di chiamare la figlioletta
Crocifissa, come la suocera, facendo notare, tra l’altro, l’impossibilità di
ricorrere a un diminutivo – comu l’avissumu a chiamare, Fissa?22 - ,
La tappinara anziana avanzerà una seria di rimostranze atte a
dimostrare l’incontestabile e assoluta contrarietà della madre al
matrimonio tra i due fin dal primo momento. La neonata, a digiuno,
piangerà disperatamente.
19
� Pipispezzi e peperoncino… u fici apposta to matri – pepe e peperoncino. L’’ha fatto
apposta tua madre. 20
� L’avia dittu ca non vuleva ca a figghia me ci dava u latti a picciridda – l’avevo detto
che non voleva che mia figlia allattasse la piccola. 21
� Vuciati e maliparoli – urla e insulti 22
� Comu l’avissumu chiamare, Fissa?- Come dovremmo chiamarla, Fissa?
Il figlio, indignato, uscirà dalla stanza dichiarando di non voler vedere
mai più moglie, suocera e figlia. Che poi, a guardarla bene, sta figlia, non
è precisa sputata al garzone che consegna i surgelati il venerdì?
Con quest’ultima infamia uscirà definitivamente dalla stanza e dalla
vita di tutte e tre. Lo farà con animo sereno, senza preoccuparsi delle
ripercussioni che il suo gesto potrebbe avere - tanto è disoccupato e
quindi non dovrà versare il becco di un quattrino -.
Dove andrà il figlio? ma da sua madre, naturalmente!
È già ora di cena quando, pallido e fremente, si presenta alla porta di
casa. La tv accesa gracchia sulle ultime malefatte del governo, il padre
sonnecchia beato sulla sua poltrona, nell’aria il profumo indimenticabile
del cudduruni23 ripeno di roccoli24 e sasizza.
La madre glielo servirà sul piatto del servizio buono, badando a
rimanere nei pressi del figlio per rimpiazzi frequenti.
- Mangia figghiu beddu, ca si patutu - gli dirà, felice di aver riportato
l’armonia nella vita di lui e nella propria.
23
� Cudduruni – tipo di pizza imbottita, caratteristica di alcuni centri della Sicilia 24
� Rocculi - broccoli
O laviti
(Vai a lavarti)
Frase tipica pronunciata dalla madre siciliana quando sente che il
proprio figlio/a puzza come una capra.
La puzza può essere avvertita per casuale accostamento della genitrice
alla sorgente emittente, oppure essere ricercata con appositi
annusamenti di abiti e indumenti filiali.
Per distinguere comodamente le due evenienze, le designeremo con le
prime lettere dell’alfabeto:
caso A: il soggetto non si lava da settimane/ mesi e quindi i suoi effluvi
sono effettivamente imputabili a un reale accumulo di sporcizia, meglio
conosciuto come rasciu o lurdia25;
caso B: il soggetto si lava ma la madre ha stabilito che non è vero.
Nel caso A sono altresì ravvisabili due varianti:
il soggetto maleodorante ha avuto un incontro ravvicinato con una
puzzola;
il soggetto maleodorante è stato scambiato per un sacco di rifiuti
organici e cacciato per sbaglio nel camioncino per la raccolta da un
operatore ecologico volenteroso.
Esaminiamole entrambe.
25
� Rasciu o lurdia -Sporcizia, lordume
Considerato che l’indole del catanese doc è decisamente refrattaria a
salutari passeggiate nei boschi, durante le quali potrebbe avvenire
l’incontro con l’animaletto incriminato – parliamo sempre della puzzola -
e propende, piuttosto, per lunghe ore di riposo sul divano di casa,
possiamo sicuramente concludere che la prima variabile non può mai
verificarsi.
Una volta esclusa, possiamo analizzare senz’altro la seconda.
Premesso che gli operatori ecologici del territorio catanese sono tutto
tranne che volenterosi e che anzi, una qualità simile viene considerata
deprecabile, permane il fatto che la raccolta differenziata si è rivelata
questione di difficile risoluzione.
Da quando sono stati consegnati porta a porta gli appositi contenitori
e comunicati i giorni in cui sarebbero stati ritirati, niente è andato per il
verso giusto.
Molte massaie si sono rifiutate di mettere sul marciapiede i contenitori
sul suolo pubblico e hanno continuato a raccogliere i rifiuti nelle buste di
plastica del supermercato, obbligando poi i mariti a buttarli nottetempo
nei cassonetti per l’indifferenziata.26
26
� La seguente nota vuole essere esplicativa del disagio vissuto da uno di questi mariti del
quale si riporta la lettera scritta al sindaco di Catania, responsabile di aver deliberato la rimozione dei cassonetti. Per ovvi motivi di rispetto della privacy il nome e cognome dello scrivente sono indicati con le sole iniziali, così come pure la via dove abita e il teatro citato. Gentile signor sindaco di Catania, sono il dott. G.B., abitante in via C. al numero civico xx. La mia non vuole essere una lettera di rimostranze, bensì di sollecitazione nei confronti della S.V.I nell'intraprendere misure consone a far cessare il disagio mio e di tanti altri esemplari cittadini. Da quando, infatti, sono stati rimossi i cassonetti nella stradina limitrofa a quella dove abito, la mia esistenza si è trasformata in un inferno. La mia signora, determinata a non far permanere in cucina i rifiuti prodotti durante il giorno, esige che io vada a gettarli ogni sera. Per motivi di comodità, avevo individuato i cassonetti di piazza B. distanti pochi metri dalla mia abitazione ma, dopo essere stato preso di mira da due delinquenti che, dietro minaccia di coltello, mi hanno obbligato a consegnare portafoglio, orologio, cellulare e gli stessi sacchetti dell'immondizia, ho dovuto cambiare zona. Individuati dei cassonetti in via G, accanto al teatro xxx, ho preso tranquillamente a depositare i rifiuti senza più subire minacce e furti, sennonché la scorsa sera, ho assistito a una scena alquanto incresciosa. Una graziosa signora, mentre si recava alla prima che si teneva nel teatro vicino al quale sono situati i cassonetti usati da me e da tutti i mariti del circondario, così come pure dai fuori zona, si è sentita male a causa delle esalazioni pestilenziali dei rifiuti. Ora, con tutto il rispetto, le chiedo signor sindaco: le sembra giusto? Non sarebbe auspicabile che tutto torni come prima, a quando i cassonetti erano tanti e situati strategicamente in zone distanti da teatri e abitazioni di cittadini esemplari come me che pagano le tasse e anelano solo al benessere collettivo? Rispettosamente
Altri ancora hanno preso fiaschi per fischi, vale a dire organico per
inorganico, cartone per vetro e vetro per plastica e, più confusi che
persuasi hanno continuato a buttare via tutto, ovunque e
indiscriminatamente, a qualunque ora del giorno e della notte, previe
accurate indagini, atte ad eludere la vigilanza di controllori che potessero
multarli.
Ovviamente in questo elenco vanno annoverati i nostalgici. Chi sono?
Per nostalgici s’intendono coloro i quali non rassegnandosi alla
rimozione dei cassonetti a loro tanto cari, hanno proseguito a depositari
l'immondizia negli stessi punti dove prima erano situati. Risultato?
Grazie al contributo significativo della categoria dei “confusi”, di cui si è
appena parlato, a Catania non c'è strada che non assomigli a una
discarica a cielo aperto.
Per fortuna esistono però i coscienziosi e civili, vere mosche bianche,
degni di essere mostrati al museo delle rarità che, pur avendo studiato
diligentemente ed essendo riusciti a discernere giorni di raccolta e colore
dei contenitori, non hanno finora visto ripagato il loro impegno.
Infatti, poiché Catania non è Ginevra, i ladri hanno pensato bene di
appropriarsi dei predetti contenitori – per farne poi che cosa non si sa –
lasciandone i legittimi proprietari sprovvisti e mettendoli nella condizione
di non poter più separare adeguatamente i rifiuti.
C’è comunque da precisare che anche chi non ha subito furti di
contenitori nel 99% dei casi è costretto a riprendere puntualmente
l’immondizia in casa dato che nessuno si presenta a ritirarla, lasciandola
marcire nei punti di raccolta.
Dall’illustrazione di un tale quadro risulta alquanto improbabile che la
spazzatura a Catania possa essere smaltita correttamente, figuriamoci un
essere umano! Non esiste proprio che un uomo, per quanto puzzolente,
possa essere raccattato per sbaglio e allontanato insieme all’organico per
poi essere liberato e riportato a casa.
Dottore G. B.
Non rimane, dunque, che sconfessare anche questa seconda variante
e concludere che la puzza è determinata dal debito utilizzo di acqua e
sapone.
L’invito materno a ripulirsi è, quindi, non solo pertinente ma anche
necessario.
Passiamo adesso al caso A: annusamento degli indumenti filiali.
In genere tale azione è accidentale, ed è spesso preceduta dalle
lamentele del figlio/a che, dopo aver disseminato il vestiario nei punti più
disparati, non ha più nulla da mettere e vorrebbe un congruo
rifornimento di biancheria pulita dalla genitrice. La madre, allora,
provvede alla raccolta di pantaloni, magliette, calzini, mutande.
Nel corso di tale operazione l’ottima donna, comportandosi come un
cane da tartufo addestrato, fa sfoggio di una serie di esclamazioni del
tipo “quantu si ‘ncrasciato/a”27 o “non m’aiutare ca ti spaddi”28– che
darebbero adito a un ulteriore approfondimento in questo contesto,
mentre il figlio rimane stravaccato sul divano a giocare con la play station
e la figlia si lacca coscienziosamente le unghia dei piedi.
Merita senz’altro qualche riga supplementare, la collocazione
fantasiosa degli indumenti da parte dei figli. La maggior parte li accatasta
in torri traballanti sulla sedia davanti alla scrivania sulla quale dovrebbe
stare a sgobbare e studiare. Ma c’è pure chi li lascia penzolare dagli
schienali di altre sedie, chi li abbandona sulle mensole di cucine o ripiani
di librerie, chi li occulta sotto il letto, adeguatamente mescolati a
batuffoli di polvere secolari. L’occultamento riguarda generalmente i
calzini, cosa che spiega l’imbarazzante questione della perdita cronica a
27
� quantu si ‘ncrasciato – quanto sei sporco/a 28
� Non m’aiutari ca ti spaddi – non aiutarmi che ti consumi.
cui sono soggetti, risultando poi spaiati e causando seri problemi alla
madre che deve reintegrarli di continuo con inutili sprechi di finanze.
Ma tornando alla collocazione c’è anche chi, tra i figli, con vero estro
creativo, ama lanciare gli indumenti per aria, lasciando al fato libertà di
decidere.
A tal proposito sarebbe utile raccontare un aneddoto che causò a uno
di questi fantasisti tanti e tali di quegli effetti collaterali da sconvolgergli
per sempre vita e abitudini.
Il soggetto in questione si chiama Guglielmo Santonocito e, allo stato
attuale, è l’uomo più ordinato e metodico che esista al mondo. Non era
così durante l’adolescenza, periodo nel quale il caos era l’unica
condizione che gli si confacesse. Per tale motivo non si limitava ad
abbandonare i suoi abiti dove capitava, ma li lanciava per aria
accompagnando il gesto da urla tarzaniane.
Nunziatina, la madre, li raccoglieva, li lavava, li stirava, li riponeva nei
cassetti, infaticabile, ma nel giro di mezza giornata si tornava al punto di
partenza: pantaloni e magliette ovunque. La bomba esplose il giorno in
cui il ragazzo s’ innamorò perdutamente di una certa Deborah – nome
che in catanese va pronunciato Deborac, per far sentire l’acca finale
come la ragazza stessa teneva a precisare.-
Pessu pi tutti i roti29 e vagheggiando un incontro amoroso con l’amata,
Guglielmo non faceva che lavarsi, cambiarsi e lanciare vestiti
dappertutto. Senza neppure il conforto di potergli dire o laviti,
Nunziatina piegava e ripiegava, meditando di riesumare il vecchio
cucchiaio di legno che tante soddisfazioni le aveva dato durante la
fanciullezza del figlio.
29
� Pessu pi tutti i roti – letteralmente “perso per tutte le ruote”. La locuzione viene in
genere usata per indicare il coinvolgimento assoluto di un soggetto in un rapporto amoroso, non importa se corrisposto o meno. Ma può altresì essere impiegato per designare qualcuno che sia uscito fuori dalle righe e non abbia requisiti canonici di normalità. Volendola applicare al caso specifico, serve a far comprendere l’innamoramento folle di Guglielmo per Deborac.
Ma Guglielmo era ormai un ragazzone di un metro e ottanta per
ottanta di peso, non le avrebbe permesso neppure di trarlo fuori dal
cassetto, dove giaceva insieme ai ricordi più teneri dei suoi primi anni di
vita.
Approfittando di un’uscita serale dei genitori, Guglielmo si organizzò
per incontrare la fascinosa Deborac. L’incontro doveva avvenire alle nove
in punto davanti al cavallo di piazza Galatea, famoso ai catanesi per gli
attributi intimi in bella mostra. Un dettaglio questo che, anni or sono,
indusse un devoto di Sant’Aituzza30 a ricoprire le vergogne del cavallo
con delle mutande, affinché lo sguardo purissimo della Patrona, durante
il suo giro cittadino, non si soffermasse su quelle oscenità. Ma c’è pure
chi afferma che l’autore di tale gesto sia stato l’ennesimo uomo mollato
dalla fidanzata perché sconfitto dall'umiliante paragone con il
quadrupede. Ad ogni modo la giunta comunale deliberò che la scultura,
con annessi e connessi, venisse posta nella sua locazione attuale, molto
più consona ai fermenti erotici che intorno vi gravitano. A partire dalle
sei del pomeriggio la zona, infatti, è frequentata da certe signorine che,
dietro compenso adeguato, sanno come gratificare i loro clienti.
Guglielmo scelse quella location nella speranza che gli fosse di buon
auspicio.
Per l’occasione si strigliò a dovere e preparò della biancheria pulita.
Prima di indossarla, però, pensò bene di spruzzare il deodorante non solo
sotto le ascelle ma pure sulle parti intime. Il bruciore intenso provocato
dall'incauta iniziativa rese i consueti lanci degli indumenti ancora più
spericolati facendo finire la sua maglietta rossa sul lampadario. Quando
Nunziatina e consorte rincasarono trovarono una nebbiolina fumosa che
aleggiava in corridoio. La madre non ebbe dubbi su quanto doveva essere
avvenuto: approfittando della loro assenza, Guglielmo doveva aver
portato qualcuno in casa. Il fumo e la puzza di bruciato erano
testimonianza inconfutabile del Male. D’altra parte, si sa, l’inferno non è
come un girarrosto? 30
� Sant’Aituzza – Sant’Agata, Patrona amatissima di Catania che, secondo i calendari,
viene festeggiata il 5 febbraio. In realtà la Santa viene portata in trionfo dai devoti per tre giorni consecutivi a partire dal 3 dello stesso mese.
Portò il figlio da un esorcista, lo costrinse a bere pozioni
medicamentose rinfrescanti perché il fuoco che lo divorava si spegnesse,
lo fece devoto di Sant’Agata e Santa Rita.
A nulla valsero le proteste del ragazzo che in realtà aveva solo
mangiato un cheeseburger al Mcdonald con Deborac, Nunziatina,
fervente cattolica, rimase convinta che mentisse e continuò a farlo
aspergere di acqua benedetta per molti anni dopo, anche quando
Guglielmo si sposò.
L’episodio impartì al giovane una dura lezione: da quel giorno divenne
l’uomo più ordinato di Catania e Sicilia orientale. Perfezionò l'arte della
ripiegatura e stiratura della biancheria, ebbe dei cassetti impeccabili.
Continuò pure dopo il matrimonio, l'ordine era ormai entrato nel suo
DNA, vietando alla moglie di occuparsi di tali incombenze. La prescelta
non fu poi Deborac, ma Gessica, nome che naturalmente a Catania va
scritto e pronunciato con la G.
Purtroppo il matrimonio ebbe vita breve: La giovane, infatti, che già
aveva delle remore ad andare a letto con uno che sembrava
un’acquasantiera, ritenendo i divieti di Guglielmo umilianti preferì
accompagnarsi a un altro uomo. Uno che pretendeva la cena pronta alle
otto in punto e la camicia stirata fresca ogni mattina. Un vero uomo,
insomma.
Ma ora basta divagare e torniamo al punto nodale della questione, al
famigerato o laviti, annoverato fra le frasi ricorrenti delle madri siciliane.
Consideriamo l’O iniziale: è forse un modo di rinforzare la
sollecitazione o deve essere ritenuto abbreviativo di “orsù”, celeberrima
interiezione con la quale ci si rivolge alla Madonna affinché interceda in
nostro favore? E, nel caso che quest’ultima interpretazione sia quella
giusta, dobbiamo attribuire a o laviti significato di preghiera o di
comando?
Non riuscendo a risalire all’etimologia di quell’O, dovremo
accontentarci di ragionare sulla frase nella sua interezza e prendere in
esame tre ipotesi:
prima: la madre, al risveglio, ha accusato un mali di carina31
insopportabile e vuole sottrarsi agli esercizi da contorsionista che
comporta la raccolta di vestiario;
seconda: la madre vuole sradicare il figlio dal divano.
Terza: la madre cerca scasciuni 32per sfogarsi e lastimiare33.
Come è evidente tutte e tre le ipotesi, convergono in un’unica
direzione: tutelare l’ordine e preservare la salute fisica e psichica
personale e del figlio.
La madre ha uno spiccato amore per l’ordine e la giustizia e non
sopporta che, mentre lei fatica e suda, gli altri possano oziare. E per
evitarlo è maestra nel sollecitare le corde giuste. Sono veramente pochi,
infatti, i figli che dopo l’esortazione materna o laviti, rimangono
impassibili sul divano e non si affrettino ad annusarsi le ascelle.
Grazie al lavoro infaticabile degli ormoni adolescenziali – responsabili
tra l’altro di acne e dei classici capelli untuosi - rileveranno un odorino
non proprio gradevole, per cui caduti in pieno nel tranello,
risponderanno alla madre con la domanda: perché, puzzo?
Attenzione, questo è proprio quello che lei si aspetta! Mettendosi di
fronte al figlio/a che nel frattempo sarà passato da uno stato di letargia a
uno di semiveglia, darà la stura a tutti i suoi rimproveri e rivendicazioni.
- Scettu ca feti peggiu di ‘ntunnacchiu 34- confermerà – e si macari
casinista, scansafatiche e munzignaru35 - Sull’ultimo aggettivo
qualificativo il ragazzo/a s’incepperà.
31
� Mali di carina – mal di schiena
32
� Scasciuni – scuse, motivi
33
� lastimiari – lamentarsi
34
- Bugiardo?- ripeterà esibendosi in una delle sue migliori espressioni
da allupacchiato36.
-Scettu, si munzignaru37 - confermerà daccapo la madre - pricisu
comu a to patri 38.
- Scusa, ma non capisco, - dirà il figlio – cosa c’entra mio padre con il
fatto che io sia bugiardo?
- Ciccamu di essiri chiari: quannu c’è quaccosa ca non va to patri
c’entra sempri E comuncu ni vulemu capiri? Non pozzu fari iù tutti cosi! Iù
sugnu stanca, stai ascutannu oppuri no?39
Ovviamente nessuno le risponderà: il figlio/a rimarrà a bocca aperta, il
labbro inferiore penzoloni, lo sguardo vacuo, perso nel vuoto, mentre il
padre continuerà a dormire dietro il giornale. Nel caso ci fosse un
secondogenito/a, penserà bene di defilarsi alla chetichella.
- E de sauti mottali ca fazzu pi fari quatrari i cunti ni vulemu parrari?40-
domanderà la madre imperterrita.
� Scettu ca feti peggio di ‘ntannacchiu- certo che puzzi peggio di un tonno. 35
� E si macari casinista, scansafatichi e munzignaru- e sei pure casinista, scansafatiche
e bugiardo 36
� Allupacchiatu -intontito 37
� Scettu si munzignaru – certo sei bugiardo.
38
� Pricisu comu a to patri- identico a tuo padre.Letteralmente ciò corrisponde alla
traduzione del recriminare materno ma non chiarisce di fatto perché il marito debba essere tirato in ballo e quale logica segue la madre affinché questo si verifichi. 39
� Ciccamu di essiri chiari: quannu c’è quaccosa ca non va to patri c’entra sempri. E
comuncu ni vulemu capiri? Non pozzu fari iù tutti i cosi. Iù sugnu stanca, mi stai ascutannu oppuri no?- Cerchiamo di essere chiari: quando c’è qualcosa che non va tuo padre c’entra sempre. E comunque vogliamo capirci? Non posso fare tutto io, sono stanca, mi stai ascoltando oppure no?
40
� E de sauti mottali ca fazzu pi fari quatrari i cunti ni vulemu parrari ? – E dei salti
mortali che mi tocca fare per far quadrare i conti ne vogliamo parlare?
Il silenzio continuerà a imperare sovrano.
Allora lei passerà a elencare tutte le sue fatiche, dalla ricarica dei
cellulari, all'avvio della lavatrice, dai colloqui con i professori, alle
telefonate alla suocera per informarsi della sua – purtroppo ferrea –
salute.
Sarà a quel punto che il figlio sentirà daccapo guizzare nel suo sangue
quel necessario fremito di vita che gli consentirà di percorrere il tragitto
dal divano al bagno.
- Occhei, ho capito, vado a lavarmi.
- Stricati boni asciddi e peri, mi raccumannu! 41- dirà lei quasi delusa di
averla avuta vinta così presto, ma risoluta ad avere l’ultima parola.
Mentre dalla cucina sentirà lo scroscio dell’acqua della doccia benedirà
le stirpi generazionali di donne, madri, nonne, bisnonne che hanno
concepito la magica frase, in grado di restituirle potere illimitato.
Ah su non ci fussi iù42, penserà, lasciandosi andare soddisfatta sul
divano ancora tiepido del calore del figlio, godendosi in santa pace
l’ultima puntata di” Beautifu
Non trasiri ca è vagnatu
(Non entrare, è bagnato)
41
� Stricati boni asciddi e peri, mi raccumannu!- strofina bene le ascelle e i piedi, mi
raccomando! 42
� Ah su non ci fussi iù !- Ah se non ci fossi io!
Inutile specificare che l’esclamazione è una fra le più frequenti della madre.
Diversamente dagli altri esseri appartenenti al genere umano, la
madre siciliana è un individuo polimorfo. Si potrebbe classificare tra gli
ibridi, a metà tra un puppu43 e una donna.
Ora, mentre nel polpo44, così come specifica il nome stesso derivante
dal greco πώλυπους - letteralmente dai molti piedi -, è riscontrabile
visivamente la presenza di svariati tentacoli, nella madre siciliana la
moltiplicazione degli arti non è apprezzabile a occhio nudo.
Questo significa che a vederla apparirebbe come un qualunque altro
essere umano, con due gambe e braccia, mentre nella pratica si
comporta come se avesse svariate appendici.
Non si spiega altrimenti come farebbe a cucinare, lavare, stirare,
puntare l’indice contro marito e figli in segno di monito,
contemporaneamente e avvalendosi del dono prodigioso dell’ubiquità. E
neppure come, pur trovandosi a parecchi metri di distanza riesca a
sentire quanto la figlia stia bisbigliando al cellulare all'amica del cuore.
Ma non è finita qui. La madre riesce a captare in anteprima le notizie
più golose su parenti e vicini di casa, confessioni e diagnosi del medico di
famiglia incluse. È forse dotata di superpoteri o dobbiamo pensare che vi
riesca grazie alle sue appendici invisibili dei quali si accennava?
I quesiti non sono di facile risoluzione e poi si sa, le strade del Signore
sono imperscrutabili, tutto quello che sappiamo è che il Creatore doveva
avere in mente delle cose specialissime quando decise di plasmare la
madre sicula.
43
� Puppu – polpo 44
� Polpo - Il termine ha origine dal latino pōlypus, da una forma greca dorica πώλυπους
(pṓlypous) o πωλύπους (pōlýpous), in attico πολύπους (polýpous), probabilmente da πολύς (polýs), "molto", e πούς, (póus), "piede", quindi "dai molti piedi".
Dopo questo preambolo indispensabile alla comprensione di non
trasiri ca è vagnatu, passiamo concretamente alla sua disamina.
Il divieto diviene imperativo quando la madre ha lavato il pavimento.
Lungi dal preoccuparsi che i figli possano scivolare sulla superficie resa
sdrucciolevole dall'acqua, accadimento che, secondo credenza materna
si verifica fuori dalle pareti domestiche e che verrà affrontato
separatamente nel capitolo “Cangiti i mutanni ca su succeri quaccosa e ti
pottunu o spitali facemu mala cumpassa”,45 viene imposto al fine di
evitare che il pavimento possa essere sporcato o segnato da impronte. Si
parla dei cosidetti pirati o piratuni , tanto invisi al genere materno e che
testimoniano in modo inoppugnabile la poca attenzione chefigli e marito
prestano nei confronti del suo lavoro.
La madre vive in simbiosi con gli attrezzi deputati all’igiene e pulizia
della casa. Scope, rastrelli, pezze per spolverare, spazzole, una volta
rappresentavano gli unici mezzi di cui poteva disporre per provvedere ai
mestieri o faccende domestiche.
Grazie all’evoluzione di una tecnologia sempre più sofisticata, oggi può
invece contare su lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, forno a microonde,
robot aspirapolvere o folletto, spremiagrumi, impastatrici, grattugie
elettriche, omogeneizzatori, frullatori ecc.
Desiderosa di restare al passo con i tempi e di mostrare l'assortimento
degli elettrodomestici alle amiche/comari, la madre ne fa collezione,
obbligando il marito al doppio lavoro in nero per sostenere le spese.
Di natura diffidente la madre, però, deve faticare parecchio prima di
accettare l’idea che un elettrodomestico possa sostituirla e di fatto, pur
possedendoli tutti, si limita a un loro uso parziale.
45
� Cangiti i mutanni ca su succeri quaccosa e ti pottunu o spitali facemu mala
compassa - cambiati le mutande che se succede qualcosa e ti portano in ospedale facciamo pessima figura.
Sebbene si sia ormai lontani dal giorno in cui la bisnonna, nel vedere
per la prima volta una lavatrice, esclamasse il proverbiale “macari ppe
cajodde ci pinsanu”!46 la madre continua a lavare a mano mutande e
calzini, riservando l’uso dell’elettrodomestico a lenzuola, asciugamani e
tovaglie. Questo perché è convinta che nell’oscurità dell’oblò gli
indumenti piccoli finiscano maciullati o dispersi. Credenza, a onor del
vero, dalla quale non possiamo del tutto dissociarsi specie per quanto
riguarda i calzini.
Un accenno a parte merita la bisnonna, autrice della famosa locuzione.
All’epoca la quasi centenaria donna, apprese le funzioni della lavatrice e
incredula che avessero provveduto a brevettare un marchingegno tale,
pensò bene di sedersi proprio davanti all’oblò. Lo scopo era quello di
sorvegliare le lavandaie lillipuziane – leggi lavannari nichi nichi47 – che
soggiornavano all’interno, affinché svolgessero bene il loro compito.
Nonostante provassero a convincerla che in realtà all’interno dell’oblò,
non esistesse alcuna lavannara nica nica, la nonna continuò a crederlo
fervidamente, cosa che spiega perché, ogni tanto, insieme alla biancheria
pulita venisse rinvenuto qualche alimento spappolato. La responsabile
era proprio lei, la bisnonna, che infilava pezzi di pane raffermo, bucce di
patate e pomodori, in modo da nutrire le lavoranti nascoste. Come
avrebbero potuto assolvere al loro compito se si fossero debilitate?
La madre, ovviamente, si è affrancata da tali inverosimili credenze
tuttavia, continuando a dubitare dell’effettiva utilità di tanti
elettrodomestici, li destina ad altre funzioni. Il forno a microonde per
46
� Macari pe cajodde ci pinsanu! – persino per le donne sporche ci hanno pensato!
La locuzione, efficacissima in dialetto, risulta, in effetti, di difficile traduzione nella lingua italiana. Il senso è comunque assimilabile al concetto che perfino le donne poco inclini alla pulizia e igiene sono state beneficiate di opportuni rimedi per sopperire alle loro defaillances. 47
� Lavannari nichi nichi – lavandaie piccolissime
esempio, è deputato a contenere le bollette da pagare e i referti delle
analisi al sangue; nella lavastoviglie conserva il servizio buono, quello da
tirare fuori nel caso il marito inviti a pranzo la cognata; l’asciugatrice ha
funzione coreografica, il frullatore è stato trasformato in vaso per i fiori,
così come l’omogeneizzatore e l’impastatrice vengono tenuti da parte
prudentemente per gli anni futuri, quando non avrà più denti per
masticare e le verrà meno la forza per impastare.
Il Bimby48 è una vera chicca, ha goduto di uno sconto iperbolico
nell’acquistarlo, dopo aver tenuto una dozzina di dimostrazioni nella sua
cucina, costate uno sproposito per la quantità di beveraggi e conforti vari
offerti gentilmente alle partecipanti.
Con il Bimby la mamma ci litiga. Sissignore, proprio così, ci litiga
furiosamente. Non è mai d’accordo sulla quantità degli ingredienti
indicati nell’annesso ricettario, non approva i tempi di cottura e contesta
apertamente il modo di riminari49 dell’elettrodomestico.
Il vantaggio di tali dispute all’ultimo sangue è che il Bimby non può
controbattere e quindi, con grande soddisfazione materna, se ne resta
inattivo e luccicante come nuovo nella postazione più in vista della
cucina.
La mamma, invece, utilizza con sommo piacere la grattugia elettrica - o
rattalora - , lo spremiagrumi elettrico – o, coniando un neologismo come
è stato per petaloso, mungilumia-.
Ma quello che più di ogni altra cosa la riempie di gioia è il folletto.
48
� Bimby – robot da cucina che permette di preparare e cucinare tantissimi piatti in
pochissimo tempo.
49
� Riminari - rimestare
Non le sembra vero che mentre lei è impegnata a spolverare, lavare
stirare o qualunque altra incombenza, l’attrezzo provveda a spazzare e
aspirare la polvere dal pavimento in maniera autonoma.
La madre va incontro a veri e propri accessi di visibilio quando scopre il
folletto infilarsi sotto u cantaranu50 o gettarsi da uno scalino per
raggiungere il livello sottostante e anche se non lo dice anche lei, come
fu per la bisnonna, è convinta che all’interno del folletto abitino delle
femmine lillipuziane aspiratrici.
Malgrado i tanti elettrodomestici immessi nel mercato, ce n’è però
uno che non è stato ancora brevettato: il lavapavimenti.
In realtà esiste una sorta di bidone aspiraliquidi, ma il suo uso è
subordinato a un eventuale allagamento e, circoscritto pertanto, al corpo
dei vigili del fuoco - in questo caso dell’acqua.
Per tale ragione la madre ha desistito dall’acquistarlo e continua a
provvedere personalmente alla pulizia dei pavimenti. Condizione questa,
che le offre il non trascurabile vantaggio di controllare non solo sortite e
rientri di tutti i componenti del nucleo familiare, ma sopratttutto di
vigilare sull'operato della figlia. Nel caso specifico è proprio quest’ultima
la principale destinataria del divieto, nonché colei sulla quale la madre
riversa le sue lamentele per il fatto di non essere aiutata. Precedute
dall'altrettanto famoso detto non fai mai nenti51, non c'è mai volta che la
poveretta possa mettere piede fuori da casa senza subire rimproveri e
rimbrotti. La vera madre siciliana, infatti, in barba alle lotte femministe
che negli anni settanta fecero traboccare di cortei le strade di mezza
Italia, coerentemente a quanto conviene a una discendente diretta del
gattopardesco principe Fabrizio52, reputa che la parità sia un miraggio e
50
� Cantaranu – cassettone antico 51
� Non fai mai nenti – non fai mai niente 52 Don Fabrizio Corbera, principe di Salina, protagonista del “ Gattopardo”, capolavoro di Giuseppe
Tomasi di Lampedusa
�
che tutto debba rimanere esattamente com’era se non si vuole finire
detronizzate. Non è un caso che l’aggettivo qualificativo “detronizzate”
venga espresso al femminile, la madre, infatti, ritiene di essere la regina
indiscussa della casa. Come darle torto?
Chi decide cosa si deve mangiare a pranzo e a cena, chi accoppia la
cravatta ai calzini del marito o stabilisce quale regalo di matrimonio fare
alla figlia della cognata? – la madre non dirà mai nipote, è convinta
fermamente che u sangu è sangu53 .Chi, ancora, stabilirà che è arrivato il
momento di cambiare il salotto o sostituire il materasso? Ma lei, è
chiaro, la madre! E allora, onestamente, ha ragione o no di credere che
sia lei la regina della casa?
Per conservare e tramandare il potere di generazione in generazione,
la madre sa che non è stato sufficiente trasmettere alla figlia il proprio
corredo cromosomico, completo di informazioni sul comportamento da
tenere con la prole ma deve, soprattutto, darle l’esempio.
Mostrarle, in pratica, come si fa a detenere potere, tenendo tutti sotto
scopa.
Questo è uno dei motivi per i quali, in una casa retta da madre sicula,
non è mai prevedibile sapere quando verrà fatta la pulizia dei pavimenti.
Sarebbe logico credere che la mattina sia il momento migliore, quando
figli e marito sono a scuola e al lavoro, rispettivamente a oziare i primi, a
fantasticare il secondo, ma in tal modo la madre verrebbe privata di uno
degli elementi irrinunciabile del suo potere: il controllo. Non solo, le
sottrarrebbe altresì, la possibilità di lamentarsi per la grande fatica e
sofferenza a cui deve sottostare.
- Ma picchì non ti fai aiutari di quaccunu?54 - è la frase tipica,
pronunciata dall’incauto marito in tali frangenti.
53
� U sangu è sangu – il sangue è sangue 54
C’è da precisare che a indurlo è non tanto la compassione nei riguardi
della moglie, bensì il fatto che il suo lastimiare gli impedisca di seguire in
santa pace la partita.
Scusate, qualcuno obietterà adesso, ma fra tanti elettrodomestici
com’è che a nessuno è venuto in mente di acquistare una cuffia per il
padre?
C’è bisogno di risposta? La madre ha deliberato che nel capitolo spese
questa voce non c’è, né sarà mai prevista. Sennò come farebbe ad
appizzarici i junnati55 e partite al marito?
Fatto questo inciso, torniamo alla risposta della madre.
- Picchi, dumanni? Ma picchì fimmini puliti nun ci n’è! Nuddu sapi fari i
cosi boni comu a mia. U sai chistu, o no?56
- Scettu, scettu57 – assentirà il marito, desideroso di tornare alla sua
partita, per quanto l’acustica non lo accompagni.
Il resto della famiglia, opportunamente provvisto di auricolari, rimarrà
in silenzio.
Esaurita, dunque, la possibilità di lastimiare, la madre ricorrerà all’altra
risorsa: il controllo.
Ha notato che la figlia Carmelina – Melanie per gli amici - si è appena
chiusa in bagno. Dalle risatine e frasi smozzicate che le arrivano da dietro
la porta - arrivano, attenzione, la madre non origlia -, desume che la
� Ma picchì non ti fai aiutari di quaccunu?- ma perché non ti lasci aiutare da qualcuno? 55
� Appizzarici i junnati – rovinargli le giornate 56
� Picchì dumanni? Ma picchì fimmini puliti non ci n’è. Nuddu sapi fari i cosi boni
comu a mia! U sai chistu o no?- Perché, chiedi? Ma perché donne pulite non ce ne sono! Nessuno sa fare le cose bene come me. Lo sai questo o no? 57
� Scettu scettu – certo certo. Espressione tipica dei catanesi e che viene pronunciata a
furor di popolo durante la processione di Sant’Agata, in risposta alla domanda: Semu tutti devoti tutti?
ragazza si appresti a uscire con la nuova fiamma. Fiamma che non le
sconfinfera per niente: ha spiato dalla finestra ieri, quando lo ha sentito
citofonare e lo ha visto. È siccu siccu comu ‘n manicu di scupa, iavi i razzi
tutti arriccamati, i capiddi logni finu o culu ed è chinu di puttusa supra
aricchi, nasu e ucca.58 – piercings e tatuaggi secondo il dizionario anglo
italiano. Su chissu u mettunu a moddu, ha pensato, cala o funnu comu na
vacca sfunnata59.
La madre, dunque, ha un duplice obiettivo da raggiungere nei
confronti della figlia. Anzi per l’esattezza triplice:
addestrarla al suo futuro glorioso di regina della casa; troncare il legame con il ragazzo sputtusatu; scoprire come la ragazza vuole vestirsi. Qual è l’arma da usare per il raggiungimento dei predetti obiettivi? Ma
lavare la camera della figlia, ovviamente!
Senza dire né bi, né bo, la mamma si infila nella stanza. Mentre il suo
adorato folletto spazza in vece sua, lei provvede alla raccolta di pile di
vestiti, pile di cd, pile di riviste, pile di cosmetici e si affretta senz’altro a
passare il mocio ultimo modello, autostrizzante.
La figlia, finita la telefonata, presi gli accordi con il ragazzo, fatta la
doccia, si affaccia dalla porta del bagno, con l’evidente intenzione di
sgusciare nella sua stanza.
- Non trasiri ca è vagnatu – la blocca di guardia la madre, dopo aver
posto opportuni sbarramenti davanti alla camera della figlia.
– Ma mamma, come faccio? Sotto c’è Maurizio che mi aspetta! –
protesta Carmelina/Melanie.
58
� È siccu siccu comu ‘n manicu di scupa, iavi i razzi tutti arriccamati, i capiddi logni
finu o culu ed è chinu di puttusa supra aricchi, nasu e ucca. È magro come un manico di scopa, ha le
braccia interamente ricamate ed è pieno di buchi sulle orecchie, naso e bocca
59
� Su chissu u mettunu a moddu,cala o funnu comu na vacca sfunnata. Se questo lo
mettono in acqua, va a fondo come una barca sfondata
- E tu fallu aspittari60 – ribatte serafica l’altra.
- Mi faresti almeno il favore di passarmi gli shorts neri, la casacca e gli
anfibi?
- Tu poi scuddari61 - è la risposta lapidaria.
- Ma cosa dici, perché?
- Picchì? – si stranizza62 la madre – e mi spii macari! Ama fari ririri i
polli?63
- Vabbé, ho capito, avverto Maurizio che ritardo cinque minuti.
- Avverti, avverti - le fa eco, subdola, la genitrice.
Subdola perché sa perfettamente che ci vorranno ben più di cinque
minuti prima che il pavimento si asciughi visto che, dopo averlo
letteralmente allagato, ha pure provveduto a sbarrare la finestra,
assicurandosi che non penetrasse il minimo spiffero d’aria.
Ha voglia di aspettare lo sputtusato64! ci vorranno due, tre ore prima
che Carmelina riesca ad avere accesso nella sua camera. Il tipo si sentirà
così buggerato dalla ragazza e, offeso, se ne andrà.
60
� E tu fallu aspittari – e tu fallo aspettare. 61
� Tu poi scuddari- puoi dimenticartelo. 62
� Si stranizza- si meraviglia 63
� E mi spii macari! Ama fari ririri i polli? – e chiedi pure? Dobbiamo far ridere i polli?
L’espressione vuole indicare il rischio di cadere nel ridicolo, mostrandosi in pubblico abbigliato in un certo modo.
64
� Sputtusato – bucato, traforato
In tal modo la madre avrà raggiunto il secondo dei suoi obiettivi,
interrompere la liaison alla quale, di conseguenza, si aggiungerà anche il
terzo: gli abiti che la ragazza avrebbe voluto indossare.
Per il primo obiettivo - l’addestramento generazionale femminile - alla
madre occorreranno tanti altri lavaggi di pavimento e altrettanti
sabotaggi. Ma lei è paziente e sa che alla fine la spunterà.
Concluso quindi il round con la figlia, la madre si allerterà. Con la coda
dell’occhio ha avvistato strani movimenti del marito. L’uomo si agita,
nomina Sant’Agata e gli altri santi del paradiso. In breve ecco spiegato:
L’Italia ha fatto autogol e mancano tre minuti alla fine della partita.
- Ah su c’era iù o postu di Buffon!65 – si scalmana, dimenticando che ha superato abbondatemente il quintale e che ha i jammi a cucciddatu66 Tic tac, il tempo scorre inesorabile, i giocatori italiani si comportano sul campo comu67 a tanti scecchi motti68, mentre quelli della squadra avversaria fanno melina – o melanie? -, increduli che la vittoria gli sia stata consegnata su un piatto d’argento. La madre sa, con un’approssimazione che rasenta il 101% , quale sarà la fase successiva alla quale passerà il coniuge: affogare il dispiacere nell’alcol. Ci si riferisce, sia chiaro, al bicchiere di birra analcolica che l’uomo vorrebbe condividere al bar con gli amici. Quasi simultaneamente alla dichiarazione di sconfitta da parte del cronista sportivo, l’uomo, infatti, annuncia l’intenzione di voler scendere al bar mezz'ora. Giusto il tempo di bere il bicchiere di birra e lasciarsi andare a commenti del tipo:
65
� Ah su c’era iù o postu di Buffon – ah se ci fossi stato io al posto di Buffon. 66
� Jammi a cucciddatu – gambe a coccellato. Si tratta di una particolare conformazione
arcuata degli arti inferiori, in termine medico indicata come varismo.
67
� Comu- come 68
Scecchi motti – letteralmente asini morti. In senso metaforico indica individui inetti.
l’abbitru era vinnutu e cunnutu, chi malasotti, e su Conti cuntinua accussì megghiu ca s’aricogghi i barattelli69.
Può la moglie lasciarlo al suo destino senza intervenire?
Con la figlia al sicuro, ben serrata in bagno, ha mandato in
avanscoperta il fido folletto nel salone. Gli ha fatto spazzare tutto il
pavimento, mentre lei cambiava l’acqua al contenitore del mocio ed è
passata ai fatti, vale a dire a lavare.
Quando il marito, sofferente per la sconfitta, le comunicherà di volere
assentarsi lei pronta ribatterà: - Nonsi, non nesciri ca è vagnatu.70
Come si evince la modifica apportata al verbo - nesciri al posto di non
trasiri - non sconvolge di fatto il risultato.
Il marito, infatti, ripiegherà desolato sulla poltrona, singhiozzando
silenziosamente per le sorti sventurate dell’Italia.
E il figlio? Per il figlio la madre non ha bisogno di darsi pena. Come si è
già visto, infatti, costui soggiorna stabilmente sul divano di casa, da dove
non lo smuovono neppure le cannonate.
Sono le nove di sera quando la madre contempla compiaciuta la
famiglia al completo, radunata sotto lo stesso tetto. – la figlia ancora in
bagno, il marito sulla poltrona, il figlio dove sapete.
Chi paci, pensa, sulu iù e l’autri fimmini comu a mia sapemu comu
teniri assemi a famigghia!71
69 L’abbitru era vinnutu e cunnutu, chi malasotti, e su Conti cuntinua accussì megghiu ca s’aricogghi i
barattelli.- l’arbitro era venduto e cornuto, che malasorte, e se Conti continua di questo passo è meglio che si ritiri.
�
70
� Nonsi, non nesciri ca è vagnatu.- Non uscire che è bagnato
Si sempri fora
( Sei sempre fuori)
È il 2 luglio del 2016, quando, in via Plebiscito si sentono risuonare
delle altissime grida.
Il dottor Peter Otto, rinomato oculista tedesco, trasferitesi da poco
nella città metropolitana etnea, – metropolitana in riferimento al fatto
che esiste la metropolitana, cambia poi qualcosa se copre un tragitto di
297 metri? – si allerta.
Lontano dall’influenza della cancelliera Merkel che ammonisce dal
fornire aiuti a chicchessia, e spinto dal celebre ed encomiabile senso
civico alemanno, nonché dall’ignoranza sugli usi e costumi del luogo nel
quale ha deciso di dimorare, l’incauto oculista chiama i carabinieri.
Non sapendo che nella città da lui prescelta e, in Sicilia in generale, il
motto che regola l’esistenza è “ fatti i fatti to ca campi centanni”72, il
medico, con grande stupore dell’appuntato che riceve la telefonata,
fornisce le sue generalità complete, la via, il numero civico e l’interno dal
quale provengono le urla laceranti.
I dati corrispondono all’abitazione occupata dalla famiglia Pappalardo
e le grida sono emesse verosimilmente dalla signora Nunziatina: la
madre.
71
� Chi paci, pensa, sulu iù e l’autri comu a mia sapemu comu teniri assemi a
famigghia!- che pace, pensa, solo io e le altre come me sanno come tenere insieme la famglia!
72
� Fatti i fatti to ca campi centanni - fatti gli affari tuoi che campi cent’anni.
Il dottor Peter Otto riferisce, inoltre, all’appuntato la frase ricorrente
che sente pronunciare dalla signora, zi zempri fora73, frammista alle urla.
Non avendo studiato la lingua tedesca e riuscendo a decifrare solo
fora, il carabiniere assicura che arriverà una volante nel più breve tempo
possibile.
Nel corso delle tre ore e tre quarti che seguono l’intervento richiesto,
le urla si fanno, se possibile, ancora più laceranti, inducendo l’ormai noto
oculista a telefonare altresì al collega otorinolaringoiatra affinché,
l’indomani, lo sottoponga a visita e verifichi se ha riportato danni ai
timpani.
Finalmente, quando l’oculista medita seriamente di ritornare daccapo
nel suo paese di origine, la volante appare in via Plebiscito a sirene
spiegate, arrestandosi con uno stridio di gomme davanti al numero civico
167.
Ne discendono quattro carabinieri i quali, dopo lunghe e controverse
consultazioni, riescono a capire che il numero 168 si trova al lato opposto
della strada. A quel puno salgono senza indugio le scale che conducono al
terzo piano.
Giunti a destinazione, lo spettacolo che si presenta ai loro occhi è a dir
poco raccapricciante: la signora Nunziatina, mocio in mano, grida
forsennatamente all’indirizzo del marito si sempri fora, minacciando di
percuoterlo.
Il responsabile di tanta indignazione, nonché capofamiglia –
capofamiglia?!- in effetti è fuori sul balcone, postazione dalla quale,
tossendo convulsamente, tenta di parlare e calmare la sua signora.
I quattro carabinieri impietriscono, a terra è bagnato, e conoscendo
perfettamente le conseguenze che il loro ingresso sconsiderato
comporterebbe, – anche loro sono figli di madri sicule – fissano con aria
smarrita la signora, chiedendo tacitamente lumi sul comportamento più
consono da adottare.
73
� Zi zempri fora - sei sempre fuori.
- Altolà, di ca non si passa!74 – ammonisce perentoria Nunziatina,
dando sfoggio di ulteriori qualità canore, degne di competere con la
divina Callas.
I quattro carabinieri indietreggiano all’unisono e si scappellano,
soggiogati da tanto piglio autoritario, poi Marco Antonio Rapicavoli,
l’unico fra i tre che ha avuto una madre veneta e quindi presenta una
significativa defaillance sulla conoscenza di quelle sicule, decide di
azzardare un “ cosa succede?”.
- Chi succeri? – si meraviglia donna Nunziatina – una non po’ aviri na
riscussioni pacifica cu so maritu, ca subitu arrivanu li sbirri. Nujatri semu
genti onesta e rispettata. Ama ammazzatu quaccunu? 75– continua rivolta
al marito, chiamandolo in causa per conferma.
Il marito, sempre bloccato in balcone, tra un accesso di tosse e l’altro,
si affretta a scuotere la testa in segno di diniego.
- No! – riprende Nunziatina, rivolta, stavolta, ai carabinieri.
- Amu arubbatu?76 – l’interrogativo è daccapo indirizzato al
capofamiglia.
- Ni…- fa quello incerto
- Ata ‘ntisu? Ni,77 - ripete Nunziatina che, presa dal fervore, non ha
afferrato la particella di incerto significato e pretende soddisfazione dalle
forze dell’ordine.
74
� Altolà, di ca non si passa! - altolà, di qui non si passa! 75
� Una non po’ aviri na riscussioni pacifica cu so maritu, ca subitu arrivanu li sbirri.
Nujatri semu genti onesta e rispettata. Ama ammazzatu quaccunu?- non si può avere una discussione pacifica con il proprio marito che arrivano subito i carabinieri. Noi altri siamo gente onesta e rispetta. Abbiamo ucciso qualcuno? 76
� Amu arubbatu?- abbiamo rubato? 77
Sempre Marco Antonio Rapicavoli e, sempre a causa della madre
veneta però, non solo lo nota, ma pensa bene di farlo notare pure agli
altri.
- Vostro marito ha detto “ni”, ci spiega cosa significa?
Totuccio Pappalardo impallidisce: quel ni è l’ultima cosa che avrebbe
voluto dire, ma è troppo stremato dall’estenuante invettiva della moglie
ormai, per controllare pensieri e monosillabi.
Inoltre si sta chiedendo, confondendosi ancora di più, se
effettivamente sia da configurare nel reato di furto, il fatto di avere la
bilancia truccata.
Totuccio, infatti, gestisce il girarrosto “Inferno dei polli” sito al numero
167 di via Plebiscito.
_ Infernu ‘n cavolo!78- ha pensato spesso l’esercente – i polli non sannu
comu si sta a me casa!79
Comunque, a prescindere dalla considerazione e dalla sua legittimità,
dietro opportuno suggerimento di Nunziatina, Totuccio ha fatto ritoccare
in avanti l’ago della bilancia pesa polli.
In questo modo ottocento grammi vengono rilevati come un chilo
tondo tondo, permettendo introiti più sostanziosi al girarrosto.
Ma è proprio sicuro che una cosa simile sia da considerare alla stessa
stregua di un furto? Per furto non s’intende il fatto che uno sconosciuto
� - Ata ‘ntisu? Ni- avete sentito? Ni 78
� Infernu ‘n cavolo! – inferno un cavolo! 79
� I polli non sannu comu si sta a me casa! – i polli non sanno come si sta a casa mia.
salga nello stesso filobus dove sei salito anche tu e, mutu mutu ti sfila u
pottafogghiu da sacchetta?80
Le elucubrazioni mentali di Totuccio vengono interrotte da un acuto
coniugale.
- Ma quali ni e ni! Sa facissi dari na cuntrullata a’ntisa. Me maritu rissi
sì. Non è veru Totucciu?81
Rincuorato dal reintegro del suffisso ucciu – fino a pochi istanti prima è
stato declassato crudelmente a Totò -, il pollivendolo si affretta a
confermare.
- Sì, scettu scettu.
- Vistu ca rissi sì?82 - dice Nunziatina.
Il quartetto si fa titubante, comincia a illazionare su una certa
telefonata pervenuta al comando da ignoti. Balbetta zi e zempre,
riferendone il contenuto e poi pensa bene di accomiatarsi, dopo ossequi
e rispettosi saluti alla signora.
La porta di casa Pappalardo si chiude sui quattro che scendono le scale
in punta di piedi, lasciandoci, purtroppo, ignari dei fatti che hanno fatto
divampare le ire di Nunziatina Pappalardo.
Ora, siccome non amiamo lasciare le cose a metà e il nostro obiettivo
primario è quello di sviscerare il significato delle frasi pronunciate dalla
mamma sicula, vediamo di metterci all’opera e svelare il mistero.
Si sempri fora esprime incontestabilmente l’immanenza di uno stato.
80
Mutu mutu ti sfila u pottafogghiu da sacchetta?- zitto zitto ti sfila il portafoglio dalla tasca?
81
Ma quali ni e ni! Sa facissi dari na cuntrullata a’ntisa. Me maritu rissi sì. Non è veru
Totucciu? –
Ma quale ni e ni! Si faccia controllare l’udito. Mio marito ha detto sì, non è vero Totuccio?
82
Vistu ca rissi sì?
visto che ha detto sì?
La madre, infatti, non dice “ stai niscennu?” , traducibile con “ stai per
uscire?” perifrastica che esprimerebbe l'imminenza di un'azione, bensì il
caterorico, inappellabile si sempri fora.
Solitamente la frase è destinata ai figli, con una propensione maggiore
per la figlia.
Giunti a questo punto della lettura, infatti, risulta ormai assodato che il
figlio in fatto di uscite ha velleità modeste, se non mediocri, e predilige
di gran lunga il riposo e le pennichelle.
La figlia, al contrario, ama fare shopping, recarsi in libreria, incontrare
le amiche e il fidanzato. E proprio questo è il punto in cui casca l’asino.
La madre, infatti, non riterrà mai nessuno all’altezza della sua
principessa e brigherà alquanto per far naufragare ogni sua liaison.
Dalla rappresentazione di un tale quadro, parrebbe che la nostra
madre faccia delle distinzioni tra i figli appartenenti a sesso diverso –
cosiddette patticolarità - e, a onor del vero le fa, eccome.
Questo non significa che ami di più la ragazza, quanto che la madre sa
di potersi tenere il figlio in casa vita natural durante o, al massimo, di
vederlo maritato dietro sua precisa designazione della papabile.
Ma con la figlia bisogna che ci vada cauta: femmina come lei è,
conosce ogni trucchetto.
Quando la madre si accorge che costei è diventata troppo
“fringuellina”, entra in allarme: quando mai l’ha sentita cantare di prima
mattina al risveglio o, evenienza ancora più stupefacente, l’ha sentita
salutarla con un gaio “ciao mammuzza”?
Se a tutto questo si aggiungono le telefonate e le richieste di un’ora di
permesso per una passeggiata con le amiche, - se, amiche, pensa la
mamma, u sacciu iù cu cu voi iri 83- il gioco è fatto: la figlia ha un ragazzo.
Ecco che subito, oltre a si sempri fora, vengono tirate in ballo una
vasta gamma delle sue frasi più celebri, le principali delle quali sono “
non fai mai nenti o mettiti i tappini”84 che mirano a suscitarle rimorso
figlia e farle trascorrere quanto più tempo possibile in casa.
Certo, al momento non capiamo cosa c’entrino le tappine ma
continuando nella lettura forse lo comprenderemo.
La ragazza, infatti, attanagliata dal senso di colpa, spolvererà, laverà i
piatti e farà quant’altro la madre le chiederà, senza risparmio di energie.
Se poi dovrà cercare anche le tappine che la genitrice subdola ha
opportunamente nascosto, il tempo che le resterà per uscire sarà
praticamente zero.
La madre, in tal modo, potrà respirare di sollievo.
Quanto appena descritto non spiega comunque il mistero legato a
quel “ si sempri fora” urlato ai quattro venti dalla signora Nunziatina al
marito, la sera del 2 luglio.
Perché il marito? Ci chiediamo. La madre, tranne casi eccezionali, non
spreca la sua sapienza per lui.
Cosa s’intende per caso eccezionale, chiedete? C’è bisogno di
rispondere?, ma il tradimento, è ovvio. O meglio, il sospetto di
tradimento.
83
� U sacciu iù cu cu voi iri - lo so io con chi vuoi andare 84
� Non fai mai nenti o mettiti i tappini - non fai mai nulla o mettiti le pantofole
Nel caso specifico le azioni compiute dalla nostra mater, saranno in
ordine cronologico:
assoldamento di investigatore;
coazione del consorte alla confessione;
richiesta di alimenti in mancanza di richiesta di divorzio;
Per capire la stranezza di quest’ultima azione dobbiamo citare
l’assoluta contrarietà della madre nel rompere il sacro vincolo del
matrimonio. Secondo il motto “ i buttani su peri peri e i mariti su de
mugghieri”85, la vera femmina siciliana sa che il marito, per quanto
infedele, è sempre da lei che tornerà. Inoltre scoprendo il tradimento, sa
pure di essersi assicurata la legittimità a tormentare il reo ad vitam.
Potrebbe aspirare a qualcosa di più allettante?
Ma torniamo al nostro Totuccio Pappalardo. Qual è il motivo che l’ha
indotto a prendere la riprovevole abitudine di soggiornare in balcone?
Premessa l’incerta classificazione del ballatoio quale luogo esterno alla
casa, – non è infatti attiguo ai muri perimetrali, e conteggiato nel cumulo
dei metri quadri? – dobbiamo fare un salto indietro nel passato per
capirne le cause scatenanti.
Era il dieci dicembre del 2015, quando la madre, accortasi che la figlia
chiedeva di uscire troppo di frequente, decise di passare al contrattacco.
Munita di mocio e con al seguito il baldo folletto, stabilì di procedere
alla pulizia del pavimento dell'intero appartamento. La figlia doveva
rimanere braccata, e che cavolo, non ne poteva più di subire i suoi
affronti quotidiani. In più la ragazza si era fatta furba: si vedeva con
85
� “ I buttani su peri peri e i mariti su de mugghieri”- in senso lato la locuzione potrebbe
tradursi con “le puttane se ne stanno in giro, i mariti sono delle mogli” . Secondo la credenza consolidata delle mogli sicule, infatti, i coniugi, per quanto possano dedicarsi ad avventure extramatrimoniali, fanno sempre ritorno all’ovile.
l’innamorato in via Gisira, lontana dal suo occhio vigile, in modo da non
fornirle appigli su cui basare le rimostranze.
Il caso o la sfortuna volle che giusto quel mattino il girarrosto venisse
perquisito e messo a soqquadro dagli agenti del N.A.S.
Secondo la soffiata di un altro pollivendolo concorrente, nell’esercizio
Pappalardo si smerciavano polli cinesi, imbottiti di patate e diossina –
verissimo - e i solerti agenti avevano intimato a Totuccio di abbassare la
saracinesca fino a quando non si fossero svolte le dovute indagini.
Senza nulla da fare, il Pappalardo si era piazzato davanti alla tv,
sbadigliando e sonnecchiando.
Non era affatto preoccupato, avendo i suoi santi in paradiso sapeva
che dietro loro intercessione – leggi bustarelle – avrebbe sollevato
daccapo la saracinesca del girarrosto al più presto.
Seduto, quindi, si godeva “ Chi l’ha visto?” quando la moglie, già
indispettita dal comportamento della figlia, gli si era rivolta con un“ si
sempri a casa” che l’aveva stupito.
Veramente, Totuccio, non si permetteva un’ora di riposo da trentanni,
ma giusto per non esacerbare di più il malumore della consorte, - per la
serie levici manu, ca non è cosa86 – senza obiettare si era alzato e si era
messo in balcone.
Aveva in tal modo fatto la scoperta sorprendente che in quella
postazione la voce di Nunziatina gli arrivava dolcemente attutita. La cosa
gli era piaciuta assai e, da quel momento, aveva deciso di spostare nel
ballatoio la sua poltrona preferita, infischiandosene del freddo e del
caldo. Della neve, pioggia e grandine.
Per la prima volta nella sua vita, da quando era sposato, Totuccio
aveva provato l’ebbrezza esaltante della pace.
86
� Levici manu, ca non è cosa - lascia perdere che non è il caso
Ma il diavolo fa le pentole, non i coperchi, e Nunziatina non tardò ad
accorgersi dello strano modo di fare del marito. A insospettirla ancora di
più fu il fatto che l'uomo pur avendo una tosse canina, occhi rossi da
drago e febbre a quaranta, si ostinava a voler rimanere fora.
Picchì? Si chiese Nunziatina. Il mistero fu presto svelato: al terzo piano
del palazzo di fronte, era venuta ad abitare una rumena, una certa
Dorina, con tanto di capelli gialli ossigenati e cosce di fora.- Dove per fora
stavolta s’intende che portava le minigonne e non che le teneva in
balcone -
Non c’era dubbio: il traditore se ne stava fuori per scacciarici l’occhiu a
stranera87, tuttavia, presa dall’assediare la figlia, Nunziatina fece finta di
non accorgersene. La sua rabbia esplose il giorno in cui vide Totuccio
sputare sangue mentre tossiva.
- Addivintasti cunsuntu a fozza di stari sempri fora88- cominciò a urlare,
intimandogli di rientrare immediatamente.
L’uomo, a dire il vero, avrebbe voluto obbedire ma il pavimento
bagnato lo bloccava, così restò in balcone, mentre Nunziatina continuava
ad urlare.
Ecco perché la sera del due luglio la situazione degenerò, costringendo
il nostro dottor Otto a chiedere l’intervento dei carabinieri.
A difesa dell’incriminato traditore, scacciatore di occhio indefesso,
resta comunque da precisare che non aveva mai notato la sua
dirimpettaia rumena, capelli gialli e cosce di fora incluse, e che se sua
moglie non glielo avesse fatto osservare ne avrebbe per sempre ignorato
l’esistenza.
87
� Scacciarici l’occhiu a stranera- fare l’occhiolino alla straniera
88
� Addivintasti cunsuntu a fozza di stari sempri fora- sei diventato consunto a forza di
stare sempre fuori. Il termine consunto è riferibile all’emaciazione provocata dalla tisi, malattia che, fino all’avvento dell’antibiotico, provocava debilitamento progressivo e morte.
Stava male il pover’uomo, per poter lasciarsi andare a fantasie
erotiche e libidinose, così tanto male da finire ricoverato in sanatorio,
dove si trova ancora allo stato attuale.
Per concludere e volendo spendere una buona parola in favore di
Nunziatina, c’è da dire che, a volte, anche a una madre può succedere di
confondersi.
Spinta dalla necessità di proteggere i familiari da lei tanto amati, può
scambiare cavoli per capra e rivolgere le proprie attenzioni al marito
piuttosto che alla figlia, commettendo errori fatali.
Ma questo, che si sappia a sua discolpa, avviene anche alle persone
migliori.
Si sempri a casa
( Stai sempre a casa )
Chi di voi abbia già superato il mezzo secolo di vita, ricorderà
certamente uno spot pubblicitario dal titolo “ Gli incontentabili”. Aveva
come protagonista una famiglia composta da padre, madre, e due figli. I
quattro, decisi all'acquisto di un nuovo elettrodomestico, se ne andavano
a spasso per le vie cittadine setacciando tutti i rivenditori.
Con a capo il bellicoso Adolfo Celi nei panni del capofamiglia, non c'era
articolo che andasse loro bene: uno era troppo caro, un altro troppo
scadente, un altro ancora superato o, al contrario troppo avveniristico.
Così facendo entravano e uscivano dai negozi seminando dietro di sé
stuoli di commessi avviliti e frustrati.
Ecco, la madre siciliana rispecchia esattamente le stesse caratteristiche
di quella famiglia esemplare: è incontentabile.
Ovviamente lei, da morigerata donna di casa, non vaga come una
zanna89 per le vie cittadine, ma da il meglio di sé tra le mura domestiche
– il suo regno, come è noto – limitandosi a riversare le sue recriminazioni
ai consanguinei a lei più stretti. I commessi e venditori, grazie alla
pubblicità televisiva più o meno occulta, ai depliants che ingombrano la
buca delle lettere e agli incalliti dimostratori che s'incontrano in ogni
corridoio dei centri commerciali, vengono da lei interpellati solo
occasionalmente.
89
� Zanna – zingara, girovaga.
Questo preambolo sulla sulla incontentabiltà serve a spiegare come la
madre possa passare disinvoltamente dal dire si sempri fora a si sempri a
casa. Non è impresa semplice però ci proveremo lo stesso, dando per
assunto che se lo fa, una ragione dev’esserci.
Accompagnato dall’imperituro sempri che evidenzia la naturale
propensione verso l'estremismo della genitrice, l’affermazione è, di
preferenza, rivolta al figlio.
Alla figlia, infatti, che come si è già visto, avi u peri troppu sventulinu,
ama cioè uscire, la madre non si sognerebbe mai di dirle si sempri a casa.
Per lei potrebbe restare ad ammuffire entro il ristretto perimetro
domestico fino alla fine dei suoi giorni, mentre diverso è il suo pensiero
rispetto al figlio.
I masculi devono avere una vita sociale, andare al bar, farsi una partita
con gli amici, allacciare importanti conoscenze con altrettanto importanti
personaggi che poi li aiuteranno quando vorranno aprire un pubblico
esercizio. Stiamo parlando di quegli indispensabili uomini, non a caso
denominati con il termine di protettori che, dietro consegna di congrue
somme di denaro, badano a non far piazzare bombe dietro le
saracinesche dei negozi.
C’è anche chi definisce le somme pizzu, ma questi sono punti di vista
che, allo stato attuale, non ci interessano.
Torniamo dunque alla nostra madre e ai suoi rovelli.
Se il figlio vive praticamente sul divano, come farà a costruirsi un
avvenire?
Lo guarda: l’ultima volta che si è lavato risale al compleanno della sua
patrozza, avvenuto quasi tre mesi prima, di cambiarsi i jeans tutti scicati90
non se ne parla e ormai quasi non profferisce motto, si limita ad
emettere dei suoni gutturali, mentre le sue mani pigiano convulsamente
sulle manopole della play station.
90
� Sciati- strappati, lacerati
Si sempri a casa, dice la madre scuotendo la testa, senza nascondere la
preoccupazione. L'indifferenza che fa da controcanto alla sua parole, la
spingono ad aguzzare l'ingegno e adottare una misura estrema: staccare
la luce. Tra il dire e il fare si dice che in genere passi il mare, ma questo
non vale per la madre che mette in pratica all'istante ciò che ha pensato.
Un secondo dopo la casa è priva di elettricità e il figlio, strappato
bruscamente al suo gioco, riacquista l'udito.
- Ma se fino a ieri mi hai detto che sto sempre fuori? - ribatte del tutto
disorientato nel tempo e nello spazio.
- Iù? Voi babbiari! Non mi passassi mai pi menti di diriti na cosa
accussì. Iè ca non mi piaci vidiriti tutta a junnata supra a su divanu…91
- Perché ti do fastidio?
La madre non ha tempo di rispondere: dalla porta del salone ha fatto
capolino la figlia, decisa a rivendicare la disparità di trattamento fra lei e
il fratello.
- Perché non dici a me quello che stai dicendo a lui? – sputa fuori
inviperita – non ti preoccupi per me? secondo te è giusto che io me ne
stia segregata in casa mentre lui può andare e venire come e quando
vuole?
- Basta accussì92! – la blocca la madre con l’abituale cipiglio – tu si
fimmina e i fimmini si ni stannu a casa93!- conclude nel ricacciarla
indietro, verso la sua stanza, con lo stesso riguardo che si riserva a un
moscone molesto.
91
� Iù? Voi babbiari! Non mi passassi mai pi menti di diriti na cosa accussì. Iè ca non mi
piaci vidiriti tutta a junnata supra a su divanu…- io, vuoi scherzare! Non mi passarebbe mai in mente
di dirti una cosa del genere. È che non mi piace vederti tutto il giorno su quel divano. 92
� Basta accussì – basta così 93
� Tu si fimmina e i fimmini si ni stannu a casa – tu sei donna e le donne rimangono a
casa
Eliminata l’ingerenza esterna, la madre può daccapo dedicarsi al figlio.
Quest’ultimo, sempre a causa della mancanza di luce e non avendo
duelli da combattere alla play, sente affiorare in sé dei dubbi lancinanti:
ma non è stata sua madre a lamentarsi che trascorreva troppo tempo
fuori? Anzi non troppo, ma sempre!
C’è qualcosa che non quadra, si sente confuso e, come sempre gli
succede in tali frangenti, apre la bocca, in una delle sue migliori
perfomance da allupacchiatu.
La madre se ne accorge, nulla può sfuggire al suo sguardo vigile e
pensa bene di correre ai ripari, cambiando le carte in tavola.
- Iù non tu ricissi mai ca si sempri fora.Ta fari cuntrullare a ‘ntisa.
Dumani iemu na l’otorinu94.
Il giovane tentenna, le sue poche, anzi pochissime certezze si
sgretolano: lui sa che sua madre dice sempre la verità, perché dunque, gli
sembra di ricordare il contrario di quanto lei asserisce? Che gli sia
diminuito davvero l’udito e, in questo caso, a quale malattia mortale
potrebbe essere attribuito il terribile sintomo?
Sulla questione occorre soffermarci e spiegare il motivo dell’escalation
dei timori del figlio.
Il giovane è ipocondriaco e qualunque cosa gli succeda, dal singhiozzo,
al fatto di avere sete, l’attribuisce all’esordio di una malattia terribile che
lo condurrà a morte certa.
Riguardo a tale, alterata percezione, bisogna però, spezzare una lancia
in suo favore: se non avesse avuto una madre sicula così
melodrammatica, lui sarebbe stato tranquillo, non avrebbe pensato
costantemente al peggio.
94
� Iù non tu ricissi mai ca si sempri fora.Ta fari cuntrullare a ‘ntisa. Dumani iemu na
l’otorinu – non ti direi mai che sei sempre fuori. Devi farti controllare l’udito. Domani andiamo dall’otorino.
La mater, infatti, in coerenza alle sue origini greche, ha un senso
spiccato verso la tragedia e in ogni minimo segno di malessere che si
palesi, riconosce l’insorgere di una patologia incurabile.
Per lei non si può avere un banale mal di pancia, ma l’enterocolite
acuta emorragica, né un semplice emicrania, bensì la pressione alle stelle
con conseguente ictus, infarto e accidenti mortali simili.
Questo, naturalmente, come è ormai noto, non vale per la figlia.
Inutile fare tragedie con lei, seminare dubbi, tanto è fatica sprecata. Con
il figlio, invece, sa perfettamente che qualunque cosa dirà, lui le crederà
incondizionatamente.
Su questo punto bisogna convenire che esiste una disparità tra figlio e
figlia: il primo beve letteralmente ogni parola della madre, mentre la
seconda ribatte” no, non ci credo”.
Risultato? Il maschio è cocco di mamma, mentre la figlia è una
malafemmina precisa spiccicata alla cognata che la fa pinnare, ovvero
disperare.
Ma riprendiamo il bandolo della matassa: è proprio vero che la madre
tre mesi fa tormentava il figlio con la storia che era sempre fuori, o costui
ricorda male?
Risposta: sì, è vero.
La madre sta mentendo, dunque?
Risposta: certo che sta mentendo.
E perché lo fa?
Risposta: come perché lo fa? Ma per proteggerlo naturalmente!
La madre, tutti lo sanno, quando mente ha sempre dei motivi seri.
Nel caso specifico il motivo aveva un nome: Gessica.
Ma quale Gessica, si chiederà qualcuno, quella con i capelli rossi della
III L? Esatto, proprio lei, c’è sempre una Gessica nella vita di un figlio o, in
alternativa, Deborac, Caroline, Samantha ecc.
Tre mesi prima il nostro figlio - ho detto che si chiama Alfio? – si era
preso una scuffia colossale per Gessica.
Partito per la tangente, e coerentemente a ogni comportamento
maschile, aveva preso a frequentare la palestra tutti i giorni, trascurando
play station e divano. Nei ritagli di tempo faceva la posta alla ragazza,
aspettando l’occasione propizia per dichiararle il suo amore.
La mater non tardò ad accorgersene ed esattamente come prevede il
suo ruolo, passò ad indagare per capire perché, nonostante Alfio
continuasse a collezionare una magnifica sfilza di due e tre, si mostrasse
così contento di andare a scuola.
Nell’ordine naturale delle cose, infatti, non è contemplato che un figlio
mostri propensione verso gli studi. Gli ci vogliono stuoli di insegnanti per
portarlo in terza elementare, figuriamoci a medie e superiori!
Fino a quel momento Alfio si era attenuto alle regole manifestando,
così com’è giusto che sia, un’avversione irriducibile nell' alzarsi la mattina
e recarsi a scuola.
A proposito di alzarsi, sapete come fa la madre a indurre il figlio
renitente ad abbandonare il letto ? No? Ve lo dico io, come fa.
Intanto manomette tutte le sveglie di casa, portandole tre ore in
avanti, poi comincia a chiamarlo e scuoterlo già alle prime luci dell’alba.
- Sbigghiti, sbigghiti, su l’ottu e menza95 – mente spudoramente.
L’altro resiste, si copre la testa con la coperta, rotola, s’infila sotto il
letto, lamenta mal di pancia, testa, dita, fa il morto, insomma ce la mette
tutta per sottrarsi, ma non c’è nulla da fare, alla fine deve cedere e aprire
gli occhi.
95
� Sbigghiti, sbigghiti, su l’ottu e menza – svegliati, svegliati, sono le otto e mezza
C’è da dire che l’avvento dei cellulari e l’abitudine che i figli hanno di
viverci in simbiosi, hanno limitato parecchio il raggio d’azione materno,
sottraendole la possibilità di mentire sull’ora. Essendo, infatti, riportata a
caratteri luminosi sul display, permette al figlio di conoscere con buona
approssimazione l'ora reale e procrastinare il risveglio.
Che sono le cinque e non l’ottu e menza, come dice la madre, il figlio lo
vede da sé. Ma questo, lungi dal farla demordere, l’ha invece condotta a
sviluppare la creatività. Secchiate d’acqua fresca, solletico ai piedi, spilli
conficcati sulla pianta dei piedi, sono solo alcuni dei mezzi di cui lei si
serve per ottenere il suo scopo, senza titubanze o scrupoli di sorta e
alternando il loro uso nei giorni della settimana.
Ma torniamo ad Alfio: quando sua madre si accorse che il figlio già alle
cinque era sveglio, a fare addominali sul tappeto, trasecolò. Era
concepibile una cosa simile? Il figlio andava revisionato e ricondotto sulla
giusta strada, non c’era dubbio, prima che la tappinarella - termine
coniato per le giovani femmine plagiatrici fino al compimento dei diciotto
anni, dopodiché vengono promosse al grado di gran tappinare – finisse di
irretirlo.
Assuntina, come ogni altra madre sicula, non era preparata ad essere
abbandonata così precocemente da Alfio e quindi cominciò la
riconversione cerebrale ripetendo come un mantra: si sempri fora, si
sempri fora, si sempri fora.
La frase veniva ribadita anche durante le ore di riposo notturno del
figlio. Assuntina gli si posizionava accanto e glielo soffiava all’orecchio
1270, così come raccomandava Piero Angela nel suo programma sul
condizionamento dei primati.
I risultati non si fecero attendere: trascorsi due giorni, Alfio cominciò a
diradare gli allenamenti e appostamenti, per tralasciarli del tutto dopo
una settimana.
Il ragazzo, deluso tra l’altro da un messaggio scritto a lettere cubitali
sulle pareti del bagno della scuola, non tardò a convincersi che era
meglio ritornare alle vecchie, sane abitudini.
Siete curiosi di sapere cosa c’era scritto sul muro? Non è molto
elegante, ma per onestà lo riposto testualmente: GESSICA LA DA A
TUTTI!
Quel tutti, ovviamente, non includeva Alfio, ecco perché ne rimase così
scottato.
Il ragazzo smise di pompare i muscoli, e floscio come un vecchietto
centenario, si stravaccò definitivamente sul divano di casa.
Dopo un mese, sollecitate dal cellophan che lo ricopriva e che
abitualmente viene lasciato dalla madre fino a quando non provvede
all'acquisto di un nuovo divano, ad Alfio vennero le piaghe da decubito.
Ma lui non se ne preoccupò, continuando a stazionare nella stessa
posizione.
Se ne preoccupò, invece, Assuntina che, superata la fase di
comprensibile soddisfazione per avere raggiunto il suo obiettivo, iniziò a
vedere il cellophan lacerarsi e il figlio languire.
Di certo non sappiamo, né sapremo mai se fu il timore che il divano si
rovinasse piuttosto che le vistose piaghe sulla schiena del figlio a
determinare la sua inversione di tendenza, fatto sta che da quel
momento, si sempri fora, si trasformò in si sempri a casa.
U signori manna u pani a cu non avi i renti,96 recita un antico e saggio
proverbio, volendo spiegare come a volte il destino sia beffardo
nell’offrire opportunità e chances a chi non è interessato a coglierle.
96
� U signori manna u pani a cu non avi i renti - il Signore dona il pane a chi non ha i
denti. La locuzione esprime l’ingiustizia della vita che a volt, offre delle opportunità a chi non ha la voglia o le qualità per coglierle.
L’avesse detto alla figlia ci sarebbero stati salti di gioia, fuochi
d’artificio e tric trac, mentre su Alfio ottenne esattamente l’effetto
opposto.
Già duretto di comprendonio, il ragazzo finì, infatti, con il disorientarsi
completamente prendendo un atteggiamento alquanto inconsueto.
Chiedendosi se fosse sempri fora o sempri a casa, prese ad alzarsi e
sedersi dal divano, abbozzando il gesto di uscire o rimanere a seconda di
quale delle due opzioni gli balenasse in mente.
Nel tempo, il vezzo si consolidò spingendolo a perpetuare quel tipo di
comportamento in qualunque circostanza, mentre mangiava, dormiva,
persino quando espletava i bisogni corporali, con gli immaginabili
fallimenti del bersaglio.
Attitudine che valse ad Alfio u peccu97 di fissammonica98.
Ciò spiega come una madre siciliana possa risultare a volte
disorientante. Ci vuole accortezza, misura, ponderazione nella scelta
delle strategie, altrimenti si corre il rischio di ritrovarsi con il cellophan
del divano lacerato e un figlio irrimediabilmente confinato entro le mura
domestiche. Senza contatti, futuri girarrosti da avviare, bustarelle da
consegnare e tappinarelle da scansare.
È proprio sicura, la madre, di volere che questo succeda?
97
� U peccu -ncìuria o peccu è il soprannome scherzoso che viene imposto a un individuo e
che spesso allude alle sue qualità fisiche o morali.
98
� Fissammonica - fisarmonica
Macari i pulici ianu a tussi
(Persino le pulci hanno la tosse)
Dopo aver disquisito sulle caratteristiche che compongono la
complessa personalità della mater, adesso corre obbligo metterne in luce
gli aspetti più giocosi, ironici e divertenti, affinché venga sfatata la
credenza che sia nata solo per complicare la vita ai suoi familiari e
conoscenti.
I capitoli precedenti, infatti, dipingendo la madre come vendicativa,
manipolatrice, tragediante e ossessiva, suggeriscono tra le righe di
tenersene a debita distanza o, nei casi nei quali ciò non fosse possibile, -
praticamente sempre - evitare di entrarci in conflitto.
Ma come annunciato già nell’incipit, la madre siciliana sa anche
sorprendere con le sue illazioni derisorie e commenti sagaci e può
risultare piacevole e illuminante sentirle sentenziare una delle sue
celeberrime frasi ad effetto.
Tra queste merita senz’altro particolare attenzione macari i pulici ianu
a tussi, locuzione che può essere pronunciata indifferentemente nei
confronti di chiunque, evidenziando uno spirito democratico davvero
insospettabile per un'erede del “Gattopardo” come lei.
Analizziamola nel dettaglio, iniziando da macari, avverbio traducibile
in italiano con magari, al quale sono connessi significati e interpretazioni
molteplici.
1) Significato desiderativo: può essere utilizzato da solo, in una
risposta, o prima di una frase – per l’appunto desiderativa - con il verbo
espresso al congiuntivo.
Esempio: ti piacissi oggi a pasta o funnu99?
Risposta: macari!
O ancora: su oggi mi facissi a pasta o funnu, iù fussi macari chiù
cuntentu.100
Come è evidente, entrambi gli esempi forniscono prova lampante del
vivo desiderio espresso dal soggetto di mangiare pasta al forno,
indipendentemente dal fatto che si ritrovi a essere interpellato o,
viceversa, a chiedere.
2) Significato preferenziale: come già si evince, manifesta propensione
verso qualcosa. Esempio: macari megghiu iemu o cimiteru 'nveci di iri a
ballari.101
Aldilà dell’inevitabile considerazione che ci porta a domandarci chi sia
quel folle che preferisce andare al cimitero piuttosto che a ballare,
l’esempio illustra con chiarezza la propensione accordata alla prima
proposta anziché alla seconda.
99 Ti piacissi oggi a pasta o funnu? Ti piacerebbe mangiare oggi pasta al forno?
� 100
� Su oggi mi facissi a pasta o funnu, iù fussi macari chiù cuntentu. Se
oggi mi preparassi la pasta al forno io sarei anche più contento 101
� Macari megghiu iemu o cimiteru 'nveci di iri a ballari. Meglio andiamo al cimitero
piuttosto che a ballare
Certo lascia in sospeso tanti punti di domanda – tipo come si fa a
decidere di optare fra cimitero o discoteca, visto che gli orari non sono
coincidenti? – ma ci passiamo sopra tranquillamente, si sa nessuno è
perfetto, meno ancora chi si arrovella in tali, impossibili dilemmi.
4)Significato concessivo.
Per comprenderlo passiamo subito all’esempio: attenta a quannu
t’aricogghi. T’aspettu susuta macari tutta a notti.102
Ormai siamo pratici, riusciamo a dirimerci agevolmente tra le astuzie
poste in atto dalla madre verso la figlia e quindi possiamo immaginare le
circostanze specifiche dell'uso della frase. Frase che contiene un sottile,
implicito messaggio ricattatorio. Quando la madre dice “attenta”, infatti,
nel 99,9% dei casi sta promettendo legnate o bastonate alla figlia che
avrà la tracotanza di rincasare a un orario poco consono. Qual è l'ora
adeguata per rincasare? Si chiederà qualcuno. Ma le le nove meno un
quarto di sera, è ovvio!
La locuzione attinge, dunque, all’innegabile back ground di tipo
mafioso che alberga più o meno consapevolmente nell’animo materno.
Sotto quest’aspetto attenta, altri non è che il richiamo all’ordine
costituito che, sommato a t’aspettu susuta macari tutta a notti, assume
franca valenza intimidatoria.
Una piccola nota di approfondimento merita il termine susuta che in
qualche caso decade dalla sua funzione qualificativa per assumere valore
di sostantivo. Un esempio palese è contenuto nella frase viri ca su mi
susu a susuta non la peddu103, pronunciata dalle madri francofontesi
quando vogliono ammonire i figli ipercinetici e monelli.
102 attenta a quannu t’aricogghi. T’aspettu susuta macari tutta a notti.Attenta a quando rincasi. Ti
aspetto alzata pure l'intera notte.
�
103
Anche in questo caso, comunque, susuta ribadisce minaccia,
sottendendo alla fraccata di vastunati 104che seguirà l'interruzione del
sacro riposo e alimentando il timore sotterraneo sul quale, nei secoli dei
secoli, generazioni di madri sicule hanno basato il loro esercizio di
potere.
4)Significato dubitativo.
Come già indica la definizione, macari esprime incertezza,
assimilandolo ai sinonimi forse, può essere, probabilmente, chissà.
Esempio: macari to soru s’affinniu.105
In questo caso la frase è rivolta dalla moglie al marito e mira a sapere
se la cognata, vale a dire a soru del consorte, sia o meno offesa. A prima
vista parrebbe che la madre sia rammaricata dell'eventualità ma in
realtà nulla è più lontano dall'essere vero: non solo non è preoccupata,
ma l’idea che quella grandissima stronza e tappinara di Carmelina se ne
stia alla larga da casa sua, la riempie di gioia smisurata.
C’è da dire che ha dovuto brigare parecchio prima di raggiungere
questo risultato, ma lei non si è disperata, certa che i suoi sforzi
sarebbero stati premiati. Chi pensate abbia versato addosso a Carmelina
la caraffa con l’aranciata e l’aceto o le abbia staccato la luce, mentre
guardava alla tv l’ultima puntata del Segreto?
Ma la madre, naturalmente, c’erano dubbi?
E allora, altro che dubitativo! Macari, in realtà, è la dimostrazione del
supremo e macchiavellico ingegno materno. L’applicazione scientifica e
� viri ca su mi susu a susuta non la peddu. Attenta che se mi alzo non lo faccio
inutilmente
104
� Fraccata di vastunati. Valanga di legnate
105
� Macari to soru s'affinniu. Può darsi che tua sorella si sia offesa
studiata di raffinate arti belliche, meditate nel corso di lunghi notti
insonni al fine di centrare l’obiettivo.
5) Significato casuale.
Anche stavolta ricorreremo subito a un esempio concreto.
- Magari telefona prima di citofonare.
In queso caso non è la madre a parlare, bensì la figlia.
Nel caso particolare la richiesta è posta a Maurizio – per la cronaca lo
sputtusato - e ha lo scopo di evitargli un’attesa inutile.
Qualcuno ricorda, infatti, cosa fa la madre dopo averne notato i
numerosi piercings e tatuaggi? Si beve una camomilla per calmarsi, dite?
Sì, magari sarebbe il caso, ma che madre sarebbe una che si comporta
così?
La madre vera, marchio siculo doc, interviene, sabota, manomette,
aggredisce, minaccia, a seconda del caso. Tutte azioni che pone in atto
concretamente durante la quotidianità, così come pure per far
naufragare la storia d’amore tra Melanie e Maurizio lo sputtusato.
Per amore di coerenza azzarderei quindi una proposta: che ne dite di
cambiare casuale con causale? Perché, chiedete? L’abbiamo capito
perché: quando di mezzo c’è una madre sicula di casuale non c’è niente.
6) Significato rafforzativo.
Per comprenderlo citeremo una locuzione epica, giunta a noi dal
remoto 15 marzo, 44 a.C.
Stiamo parlando del giorno funesto nel quale Giulio Cesare venne
assassinato. Fu proprio lui a pronunciarla nel vedere Decimo Bruto,
amico che credeva fedelissimo, nonché suo secondo erede nel
testamento, fare parte dei congiurati.
- Quoque tu, Brute, fili mii! – disse Cesare affranto dal tradimento e
dal fatto che Bruto fosse tra quelli che lo perpetravano.
Sicuramente se avesse dato ascolto alla moglie Calpurnia, tutto questo
non gli sarebbe successo. Ma Giulio Cesare, come la stragrande
maggioranza dei mariti, non è che ascoltasse troppo la consorte. Quando
lei gli parlò dei funesti presagi di morte e lo scongiurò di non recarsi
all’assemblea, non le prestò la minima attenzione, lasciando scivolare
inascoltate le parole che lo avrebbero salvato.
Afferrò un bel corno rosso, toccò ferro e si recò all’appuntamento
senza tante titubanze, ripromettendosi, anzi, di condurre l’indomani la
moglie nella casa materna, ai lontanissimi campi Flegrei.
Non essendo ancora stata inventata, infatti, la figura dello
strizzacervelli, Cesare non sapeva come liberarsi da Calpurnia e dagli
assilli di malattie, morte, coltellate e sangue con i quali lei lo tormentava.
Ma adesso, non essendo nostro scopo precipuo considerare la
sprovvedutezza di Cesare quale causa indiretta della sua stessa uccisione,
passiamo senz’altro ad esaminare il significato di quoque della
celeberrima frase.
Nel caso particolare possiamo considerare quoque alla stessa stregua
di persino, anche tu, dal palese significato rafforzativo.
In pratica se Cesare fosse stato siciliano la frase sarebbe risuonata
press’a poco nel seguente modo: macari tu, Brutu, figghiu miu!
Con questo chiudiamo, ma una considerazione permettetemi prima di
farla: Cesare aveva torto a ritenere vaneggiamenti le parole di Calpurnia.
Se vi avesse dato il giusto peso non dico che sarebbe ancora qui, a
raccontarlo, ma qualche annetto in più di vita l’avrebbe sicuramente
guadagnato.
Sviscerati i tanti significati di macari, passiamo adesso al secondo
termine che appare nella frase: pulici.
Le pulci sono parassiti esterni ematofagi privi di ali. Il loro passatempo
preferito è succhiare sangue dall’ospite – animale, uccello, uomo – e
saltare. Esiste anche un’altra variante di pulce, impropriamente definita
d’acqua, della quale ci parla diffusamente Angelo Branduardi nella sua
omonima canzone, La pulce d’acqua, che, per amore di conoscenza,
viene riportata qui di seguito.
È la pulce d’acqua che l’ombra ti rubò
e ora tu sei malato
e la mosca d’autunno che hai schiacciato
non ti perdonerà.
Sull’acqua del ruscello forse troppo ti sei chinato
tu chiami la tua ombra ma lei non ritornerà
trallà la la lalala trallà lalala
È la pulce d’acqua che l’ombra ti rubò
e ora tu sei malato
e la serpe verde che hai schiacciato
non ti perdonerà
e allora devi a lungo cantar
per farti perdonare
e la pulce d’acqua che lo sa
l’ombra ti renderà
trallà la la lalala trallà lalala
Ispirata a una leggenda d’America, recuperata dalla linguista Jaime de
Angelo e ripresa dall’autrice della canzone stessa, vale a dire Luisa Zappa,
il brano narra di un uomo divenuto infermo a causa di una pulce d’acqua
che gli ha sottratto l’ombra.
Ora, ammesso e non concesso che le pulci d’acqua esistano davvero, ci
sembra alquanto improbabile che possano essere ladre d’ombra.
Possono, semmai, provocare delle fastidiose punture ai bagnanti durante
la stagione estiva quando, assediati dal caldo infernale si jettunu a mari
cu tutti i robbi,106 ma da qui a provocare malattie come succede al
protagonista della nostra canzone ne corre.
Pare comunque che anche la storia delle punture sia falsa: in realtà a
darne la sensazione non sarebbero le nostre – in questo caso innocenti -
pulci, quanto il contatto con larve di granchi o altri crostacei che
avrebbero proprietà urticanti.
Sarebbe quindi opportuno informarne il Branduardi, affinché la pianti
di divulgare notizie del tutto infondate prima che le pulci lo querelino.
Allo stesso modo parrebbe improbabile che le pulci possano tossire.
Conoscete qualcuno che le abbia sentite dal vivo? E se sì, per favore, ci
può dire dove e quando?
Come previsto nessuno si fa avanti: dobbiamo quindi dedurre che le
pulci effettivamente non tossiscono?
Ma allora sorge spontanea la domanda: perché la madre afferma con
tanta perentorietà il contrario?
Per rispondere dobbiamo ipotizzare due casi:
- la notizia le è pervenuta alle nostre madri da qualche lontana parente che vide ricoverata in sanatorio una pulce, affetta da tosse catarrale e broncopolmonite; - la notizia è falsa, ma la madre la utilizza come metafora, volendo paragonare alla pulce, dalle note dimensioni misere, un essere inconsistente, invisibile ma che è convinto di essere chissà chi.
106
� jettunu a mari cu tutti i robbi- si lanciano a mare vestiti
Ecco svelato l’arcano, ed ecco pure come diventa doveroso inchinarci
dinanzi alla sagacità materna. Esiste, infatti, un modo più elegante,
pertinente, ironico per svilire qualcuno?
No, non c'è: la madre è un vero genio, un artista del conio lessicale, le
dovrebbero assegnare il Nobel per la letteratura unicamente per questa
frase.
Riguardo i destinatari abbiamo già annunciato che possono essere
tutti, dai figli al marito, da Carmelina all’ortolano o all’esimio professore
cardiologo presso il quale la madre ha accompagnato la suocera.
Quest’ultima è reduce da un mezzo infarto dal quale non si è ancora
del tutto ripresa.
Le sue precarie condizioni di salute impongono che il figlio - stiamo
parlando del consorte della nostra madre – si rechi quotidianamente da
lei per sorvegliare che stia bene e che abbia a disposizione tutto il
necessario.
In tal modo il marito trascorre quasi tutto il tempo libero nella casa
natia, lontano dalla moglie che pur non calcolandolo normalmente
neppure di striscio, indaffarata com’è a tampinare i figli, in questo caso lo
accusa di essere trascurata e abbandonata.
Due mesi fa, quando la suocera ha telefonato nel cuore della notte per
domandare aiuto, la madre si è raccolta in preghiera sperando con tutta
se stessa che le cose volgessero al meglio. Qualcuno di questo si stupirà:
in terra sicula, infatti non si conosce una sola nuora affezionata
sinceramente alla madre del marito. Tra le due donne serpeggia una
rivalità ostinata e irriducibile.
Perché? Ma perché per la suocera la nostra madre è quella che le ha
rubato il figlio, mentre per la nostra mater la suocera è quella che fa di
tutto per tenerle il marito lontano.
Nel caso esaminato stiamo dunque parlando della famosa eccezione
che conferma la regola? Niente affatto. Tutto secondo norma: la madre
non pregava perché la suocera si salvasse bensì perché andasse all’altro
mondo.
Questo avrebbe comportato il ritorno a casa del marito e la tanto
sospirata eredità. Ettari di terreno agricolo, denaro congelato in Bot e
Cct, gioielli e il favoloso canterano su cui anche la cognata Carmelina ha
già puntato gli occhi e che la madre è decisa a contendersi fino all’ultimo
sangue. Insomma quella dipartita sarebbe caduta proprio a fagiolo.
Invece no, la suocera alla considerevole età di 99 anni e tre mesi, è fuori
pericolo ed è stata dimessa con la raccomandazione di non affaticarsi e
condurre una vita sana e regolare.
Inizialmente si era deliberato che venisse affidata alle cure di una
badante, ma dopo la sua ferma opposizione, si è deciso che sarebbe
stato u figghiuzzu so ad occuparsene. In fin dei conti non ha messo al
mondo un figlio per finire in mano a estranee.
Per la cronaca di Carmelina, la tanto amata cognata della madre,
nonché figlia della suocera, non è stato fatto cenno alcuno.
Succede così che da due mesi e diciotto giorni il marito della nostra
mater è latitante. Inutilmente lei ha acceso lumini e candele a
Sant’Antonio, Sant’Agata e Santa Rita, la suocera non demorde, è
attaccata alla vita come una sanguisuga.
Questo non spiega, anzi direi che è in contrasto evidente, con la
generosa offerta da parte sua di accompagnare la decadente vegliarda
dal cardiologo. Ma il motivo c’è, eccome!
La nostra eroina vuole infatti essere presente al consulto del medico
per manipolare quest’ultimo e indurlo a confermare la criticità delle
condizioni di salute della suocera.
Gli riferirà che l’anziana donna ha bisogno costante di assistenza, che
quando parla si affanna, e che non riesce neppure a camminare se non
ha al fianco il figlio a sostenerla – tutte cose verissime, di cosa abbiamo
parlato finora?
Il cardiologo se è un professionista serio e preparato, converrà che la
suocera è allo stadio terminale e stabilirà una prognosi infausta.
- Mi dispiace, - dirà – ma alla signora restano pochi giorni di vita, forse
ore.
Morale? La suocera terrorizzata, avrà l’infarto definitivo che la
condurrà dritta dritta in cielo e la nostra madre potrà tornare a
beneficiare del marito e dare sfogo ai suoi assilli arretrati.
Ma non tutte le ciambelle riescono col buco e la madre deve fare i
conti con la suocera. Intanto costei si è presentata all’appuntamento
allicchittata107 di tutto punto, calze, vestito borsa nuovi e come se non
bastasse si è persino data un filo di rossetto.
Ha risposto con vivacità e prontezza alle domande del cardiologo
minimizzando i sintomi e, quando lo specialista le ha chiesto di
distendersi sulla lettiga, vi è balzata sopra con un salto atletico che ha
lasciato allocchiti108 medico e nuora.
Il responso non poteva essere che il seguente: la signora gode di
ottima salute e può campare altri cento anni.
Una volta fuori dallo studio, la madre, forte della diagnosi del medico,
si è rivolta alla senior, dicendole che, viste le sue ottime condizioni di
salute, poteva fare tranquillamente a meno dell’assistenza del figlio.
- Nonsi – ha risposto quella gran facci d’intagghiu109 - uora mi sentu
bona, ma fra cincu minuti pozzu stari n’autra vota mali, anzi malissimo.110
107 T
� Allicchittata: imbellettata 108 stupefatti
�
109
� Gran facci d'intagghiu: gran faccia tosta
110
� uora mi sentu bona, ma fra cincu minuti pozzu stari n’autra vota mali, anzi
malissimo: ora sto bene, ma fra cinque minuti potrei stare male, anzi malissimo
Detto questo, una volta a casa, si è spogliata, si è messa a letto e ha
ripreso a rantolare con voce da moribonda: - unnè me figghiuzzu beddu.
Chiamatimillu ca chista po essiri l’uttima vota ca lu viru.111
Pallida di rabbia la madre ha dovuto non solo affrettarsi a chiamare
suo marito, ma persino esortarlo a far presto.
Adesso, rimasta come sempre sola, è in cucina a capare112 fagiolino.
Per ogni cimetta un rovello non le da tregua.
Perché, pensa ossessivamente, il medico ha fatto quella diagnosi se è
risaputo che la suocera è prossima alla morte?
Ignora l’ingenua che quanto a controffensive l’altra ha fatto i master.
Sembra, infatti, che le capacità manipolative materne aumentino
esponenzialmente con l’avanzare dell’età. Al momento, la poveretta,
viaggia verso i 48 anni, praticamente la metà di quelli della madre
veterana. Potrebbe mai competere con un simile mostro di sapienza?
Ripensa al medico, alle sue parole e ne deduce che costui è solo un
incompetente, uno al quale la laurea gliela hanno regalata, come
succedeva ai tempi d’oro, quando si facevano gli esami di gruppo.
- Chi tempi – sbotta – capando l’enessimo fagiolino – oggi basta aviri
‘ncamici pi putiri sparari minchiati. Macari i pulici ianu a tussi!113
111
� unnè me figghiuzzu beddu. Chiamatimillu ca chista po essiri l’uttima vota ca lu
viru: dov'è mio figlio? Chiamatelo che questa può essere l'ultima volta che lo vedo
112
� Capare: mondare
113
� oggi basta aviri ‘ncamici pi putiri sparari minchiati. Macari i pulici ianu a tussi!:
oggi è sufficiente indossare un camice per dire stupidaggini: persino le pulci hanno la tosse!
Cangiti i mutanni ca su succeri quaccosa e ti
pottunu o spitali facemu mala cumpassa.
(Cambiati le mutande che se succede qualcosa e ti portano in ospedale
facciamo una pessima figura).
Cosa avrà pensato la prolifica Ecuba, moglie di Priamo e madre di
diciannove figli, quando il suo Ettore si dichiarò determinato a duellare
con Achille?
Di certo se la prese con la nuora, la sfortunata Andromaca, a suo
parere colpevole di non essere riuscita a far retrocedere dalla decisione il
valoroso eroe troiano.
Non conosciamo esattamente le parole forbite che la regina indirizzò
ad Andromaca, ma sicuramente possiamo immaginarne il senso.
Da brava madre, anche se non sicula, Ecuba avrà commentato: “l’avia
rittu iù ca non sivvevi a nenti114”, frase che, sebbene non sia stata
pronunciata nei termini qui riportati, di sicuro mirava a dimostrare
l’inettitudine della nuora, secondo l’universale concetto in base al quale
nessuna donna, meno che mai la prescelta dal figlio, è degna di stargli al
fianco.
Dopo aver recriminato sulla natura fallimentare dell’infelice
Andromaca, Ecuba avrà pregato gli dei di salvare la vita a Ettoruccio suo,
scomodando Afrodite e Zeus in persona. Ma Afrodite che non aveva mai
nascosto la predilezione verso Paride, il figlio più piccolo, proprio quello
che aveva causato il gran casino innamorandosi di Elena, se ne infischiò
altamente, mentre Zeus, dopo aver posto sui piatti della bilancia i destini
dei due eroi e aver constatato che la sorte pendeva a favore di Achille piè
veloce115, preferì lavarsene le mani e dedicarsi al suo passatempo
preferito: inseguire ninfe dei boschi e pulzelle sprovvedute.
Per riuscire nell’intento sappiamo che Zeus non lesinava di ricorrere a
trucchetti e travestimenti in modo da eludere la sorveglianza della
gelosissima Era e non scatenarne le ire.
Pioggia d’oro, toro bianco, sono solo alcuni degli innumerevoli aspetti
assunti dal padre dell’Olimpo per soddisfare le sue voglie e accoppiarsi
con chi aveva avuto la sorte infausta di essere concupita da lui.
L’elenco potrebbe essere infinito, il nostro dio/mandrillo era degno di
competere con il Berlusconi nazionale, quanto ad appetito sessuale, e
ripercorrerlo potrebbe condurci lontani dal nostro argomento.
Torniamo, dunque, a Ecuba: cosa avrà pensato la regina, quando
dovette rassegnarsi all’idea che il figlio duellasse con Achille?
114
� l’avia rittu iù ca non sivvevi a nenti – l’avevo detto che non servivi a niente! 115 � Achille piè veloce - epiteto che viene dato all’eroe acheo per sottolinearne la velocità.
Gli epiteti o patronimici sono molto diffusi nella tradizione omerica.
Deposta la speranza che Ettore potesse avere risparmiata la vita, la
regina si preoccupò immediatamente del dopo, a come cioè, avere
almeno salva la faccia.
Ettore era stato così previdente di cangiarisi i mutanni prima di
affrontare il Pelide?116, si chiese allarmatissima Ecuba.
Di questo interrogò la nuora, la persona ormai deputata ufficialmente
a sorvegliare l’igiene del consorte e, nei casi in cui costui si mostrasse
recalcitrante, a intervenire da brava moglie, sostituendo nottetempo le
mutande usate con altre pulite.
Ma Andromaca, per sua connotazione specifica alquanto ‘ntrunata117,
non seppe darle risposta esauriente.
Ecuba dovette così assistere al duello impari non solo con l’angoscia di
vedere ridotto Ettoruccio suo a una polpetta, ma pure con quella, ancora
più penosa di non sapere da quanto tempo non cambiasse la biancheria
intima.
La sorte fu poi benevola nei confronti della nostra addolorata regina
perché anche se è innegabile che Ettore perì sotto i fendenti del superbo
Achille, è anche vero che non si capì mai se avesse o meno provveduto
alle pratiche igieniche prescritte.
Achille, infatti, dopo averlo ucciso e aver fatto passare delle cinghie in
cuoio attraverso i tendini di entrambi i suoi piedi, lo trascinò per tutta la
spiaggia impolverandolo, infangandolo e insozzandolo.
Le sue mutande, ovviamente, subirono stessa sorte, cosicché dopo la
carrellata crudele nessuno fu in grado di stabilire se le avesse cambiate
un’ora prima o due mesi avanti. In tal modo Ecuba poté evitare una
magra figura.
116
� Pelide – altro patronimico col quale viene chiamato Achille, da Peleo, suo padre.
117
� ‘ntrunata – intontita, allampanata.
Abbiamo scomodato Omero e L’Iliade per spiegare come per ogni
madre, in particolare per la siciliana, sia di fondamentale importanza che
la biancheria dei figli sia sempre pulita e profumata. Per la mater la
disgrazia è sempre in agguato, pronta a scattare non appena la prole
mette piede fuori da casa.
Come risulta, infatti, dai capitoli precedenti, lei non contempla
minimamente che la sorte malevola - malasotti – possa accanirsi contro i
suoi cari entro le sicure mura domestiche, bensì fuori, in occasione delle
loro – quasi sempre - inopportune sortite.
Alla madre poco importa che il figlio/a faccia uno scivolone in casa,
mentre il pavimento è bagnato - vedi cap. “Non trasiri ca è vagnatu”-,
procurandosi fratture multiple e contusioni varie, perché in ogni caso ci
sarà lei subito pronta a cangiarici i mutanni prima di portarlo in ospedale.
È questa, infatti, la sua preoccupazione maggiore, il rovello sul quale
trascorre insonne le sue notti.
Come ciliegina sulla torta è, inoltre, intervenuto il fatto che
l’indumento incriminato, complice l’evoluzione dei costumi, abbia perso
le sue funzioni originarie coprenti, per trasformarsi in un misero, anzi
miserrimo brandello di stoffa che scopre le vergogne, anziché occultarle.
Ove per vergogne e, secondo lessico materno, s’intendono genitali e
lato B.
Dove sono finite i belli mutanni di sbaccu118che arrivavano ad altezza
sottoascellare?
Le mutande, oggi, si chiamano slip, perizoma, brasiliana, boxer,
culotte, e tutti, a dispetto dei nomi differenti, condividono la
caratteristica comune di esibire piuttosto che nascondere.
118
� I belli mutanni sbaccu?- Le belle mutande da sbarco?
L’espressione fa probabilmente riferimento alle mutande di cotone spesso, che portavano i soldati garibaldini durante lo sbarco a Marsala dell’11 maggio 1860
La madre di questo non si da pace: non solo deve paventare la
possibilità che il figlio non se le cambi, ma anche temere che, nel caso gli
succeda qualcosa, si mostri in pubblico così come lei stessa l’ha fatto.
Inoltre non bisogna sottovalutare la sottrazione di potere che costei
ha dovuto subire a causa del predetto cambiamento di nomenclatura.
Secondo l’etimologia, infatti, la parola mutande deriva dal gerundivo
latino mutandae e significa letteralmente cambiarsi. Insomma quando la
madre dice” cangiati i mutanni”, in realtà è come se ripetesse “ cangiati i
cangianti”, usufruendo senza sprechi di energia di un'affermazione che
rafforza quanto da lei preteso.
Questo è uno dei pochi casi nel quale la madre non opera distinzione
di sorta tra figlio e figlia. Per quanto riguarda il primo, infatti, e a onta del
fatto che trascorra gran parte del suo tempo chiuso in bagno nel quale, si
suppone, debba provvedere alle dovute abluzioni igieniche, il timore
della madre è che non se le cambi e che quindi risulti venga giudicato '
ncrasciatu119 dai sanitari nel caso venga trasportato d'urgenza in
ospedale.
Per quanto concerne la figlia, invece, che si ostina a usare triangolini
striminziti, muniti appena di filo interchiappale, con la faccia tosta di
definirle biancheria intima, la preoccupazione maggiore è che costei
mostri le vergogne.
Da quanto esposto sembrerebbe che la madre se ne infischi del
verificarsi di eventi disgraziati, che quel “ su succeri quaccosa”, sia
semplicemente un inciso, avulso da coinvolgimenti emotivi e che la sua
attenzione sia focalizzata solo sull’effetto finale, ovvero “ facemu mala
compassa”.
Ma è proprio così o ci stiamo sbagliando clamorosamente?
119 '
� 'ncrasciatu: zozzo, sporco
Interessante ai fini della comprensione della frase, è l’adozione della
prima persona plurale, di solito assente nelle altre locuzioni come “ o
laviti, mettiti a maglietta, mettiti i tappini, si sempri fora, si sempri a
casa, fai sempri dannu eccetera.
Diversamente da quanto avviene nelle affermazioni appena elencate,
espresse rigorosamente alla seconda persona singolare, la mater utilizza
il plurale majestatis, dichiarando così di sentirsi tirata in ballo
direttamente.
“ Facemu” sottende, infatti, incontestabilmente un “noi”.
Scusate, obietterà qualcuno, ma cosa c’entra la madre con le abitudini
igieniche e di costume dei figli adulti?
C’entra, eccome se c’entra. Non avendo nuore su cui accanirsi come fu
per la più fortunata Ecuba, la madre si ritiene responsabile dell’operato
dei figli, quando questo si palesa agli occhi della gente.
Ricordate, a tal proposito, cosa dice alla figlia Carmelina quando
costei, confinata tra le maioliche del bagno e desiderosa di raggiungere lo
sputtusato, le chiede di passarle anfibi, shorts e maglietta neri?
- Nonsi - dice - tu poi scuddari, ama fari ririri i polli?
Ecco che anche in questo caso riappare un plurale, “ama”, ovvero
dobbiamo, confermando come la madre si senta coinvolta ogni qual volta
la figliolanza possa esporsi al giudizio pubblico.
Da questo si desume che l’uso della tu e del noi è subordinato alla
circostanza specifica: il primo vale per l’interno, ovvero la casa, il
secondo per l’esterno o fora.
Non chiarisce, invece, quella sorta di totale indifferenza rispetto
all’eventualità che avvenga una disgrazia. Non si era forse detto che la
madre possiede un animo da tragediante?
Per capire meglio è opportuno fare un passo indietro e indagare sulla
complessa psicologia della mater.
Subito dopo l’invito a cangiarisi i mutanni, ecco che viene introdotto “
ca’ su succeri”, condizionale che insinua a tutto tondo nel figlio/a il
timore di un evento che lo condurrebbe difilato in ospedale.
Non è straordinario? Senza bisogno di esplicitare o fari a cucca120, la
madre istruisce sui pericoli nei quali si può incorrere fora, lontano da lei.
Conoscete un modo più efficace d’ impaurire qualcuno? Altro che
indifferenza, qui si parla di pathos e prevenzione fusi insieme, la
patoprevenzione, altro neologismo che, se permettete, non avendo nulla
da condividere con le patate ammuffite o germogliate, come a prima
vista si potrebbe dedurre, la dice lunga su quanto sia viscerale l’istinto
protettivo nella madre sicula.
Ora però, se il monito impietrirà il figlio, già pronto sulla soglia di casa,
facendolo recedere dalla sua decisione di uscire, non otterrà lo stesso
effetto sulla figlia, molto più sgamata e ansiosa di libertà.
Ponete il caso che Carmelina/ Melanie, riuscendo a eludere le
controffensive materne si trovi in procinto di uscire, cosa pensate che
farà quando la madre le rivolgerà lo stesso ammonimento?
Ci ripenserà, dite voi? Ma niente affatto! Carmelina, infatti, grazie
all’ormai noto corredo cromosomico del quale è dotata, intercetterà
immediatamente il messaggio recondito materno e replicherà con
sicurezza di essersi già cambiata le mutande e che rincaserà alle nove
meno un quarto, immancabilmente.
Chiù crisci, chiù sta figghia mia diventa tappinara121, penserà piccata la
madre. Ma è pensabile che possa dargliela vinta? Non è lei, quanto a
tappinarisimu122 a detenere il primato in casa?
120
� fari a cucca- niellatrice, menagrana 121
� Chiù crisci, chiù sta figghia mia diventa tappinara- più cresce , più questa figlia mia
diventa tappinara. 122
- Bedda a figghiuzza mia pulita e ciaurusa - dirà – mi fai viriri quali
mutanni ti mittisti?123
Carmelina, a quel punto, verrà afferrata dal panico. Sotto l’abitino che
le arriva a metà polpaccio indossa, infatti, gli shorts e maglietta neri tanto
detestati dalla madre.
La ragazza contava di sfilarsi il vestito nell’ascensore, riporlo nello
zaino nel quale ha già sistemato gli anfibi con cui intende sostituire le
ballerine, in modo da presentarsi allo sputtusato in perfetta tenuta da
emu.
Come farà, adesso, a sollevare il vestito e mostrare il perizoma alla
madre, senza che quest’ultima scopra l’inganno?
- Ma mamma – dirà provando a salvare il salvabile – le tue pretese
sono inaccettabili, non sono più una bambina!
Nell’udire quelle parole, la madre, anziché replicare, si accascerà sulla
sedia mortalmente pallida.
Cosa sta succedendo, è legittimo pensare a questo punto, che la
nostra madre si sia arresa e abbia deciso di darla vinta alla figlia?
Il dispiacere per la sua rivolta è tanto forte da averle sottratto capacità
reattive?
Tranquilli, signori, niente di tutto questo, stiamo semplicemente
assistendo a uno dei suoi colpi da magister, una vera e propria
performance da attrice consumata.
- Bedda matri santissima124 – esalerà in un soffio – u cori troppu mali
mi fa, chiamatimi a don Sibastianu, non vogghiu moriri senza
sacramenti125. � Tappinarisimu – arte del divenire tappinara. 123
� Bedda a figghiuzza mia pulita e ciaurusa - dirà – mi fai viriri quali mutanni ti
mittisti?- bella la figlioletta mia pulita e profumata, dirà, mi fai vedere quali mutande indossi?
Vorrei attirare l’attenzione su un dettaglio: la madre non chiede del
medico o di essere portata in ospedale, bensì del sacerdote che
dovrebbe porgerle l’estrema unzione. Come mai? Mi sembra chiaro il
motivo: cosa direbbero i sanitari nel visitare un soggetto che scoppia di
salute come lei? Per quanto tragediante è ancora inesperta rispetto alla
suocera che, con la semplice forza del pensiero, riesce ad influenzare il
ritmo cardiaco e simulare un infarto. Su questa strada sta ancora
muovendo i primi, tentennanti passi. È una neonata per così dire, le ci
vorranno mesi e anni per raggiungere simili raffinatezze.
Sul fenomeno, per inciso, sono in corso seri studi epidemiologici da
parte di esimi scienziati di tutto il mondo: gli studiosi non si spiegano,
infatti, come il cuore, ritenuto universalmente muscolo involontario e
dunque refrattario ai comandi imposti dal cervello, nelle madri sicule
attempate, possa, invece, essere soggetto alla volontà e simulare
l’insorgere di un infarto.
La madre della quale stiamo parlando al momento è però incapace di
pervenire a tale prodigio e quindi si arrangia come può: impallidendo,
modulando il tono della voce a un flebile lamento, respirando
affannosamente.
Tuttavia questo è già sufficiente a bloccare Carmelina. La ragazza,
mollato lo zaino, le si avvicina preoccupatissima.
- Mamma, cos’hai, che ti senti?
L’altra approfitta per dare sfoggio dei progressi fatti: non profferisce
motto, ma stringendosi convulsamente le mani al petto, rotea indietro gli
occhi fino a mostrare parte del bianco delle sclere – solo una parte
perché, nonostante gli allenamenti, ancora non riesce del tutto. –
124
� Bedda matri santissima – tipica esclamazione sicula con la quale si invoca la
Madonna. 125
� U cori troppu mali mi fa, chiamatimi a don Sibastianu, non vogghiu moriri senza
sacramenti – il cuore mi fa troppo male. Chiamatemi don Sebastiano, non voglio morire senza l’estrema unzione.
Siamo all’apice della scena madre, Carmelina lacerata dai rimorsi,
abbandona il proposito di andarsene a ddi ddi126 e comincia a disperarsi.
Urla, si strappa i capelli e, soprattutto, pronuncia la frase fatale.
- Non esco più, mammina, te lo giuro. Né oggi e neppure domani. Mai
più.
Parole balsamiche per la madre che, nell'udirle, mostra segni di
ripresa: gli occhi tornano nella posizione regolare, il colorito si fa roseo, la
voce ritrova il suo timbro.
- Non chiamallu chiù a don Sibastianu, megghiu mi sentu, figghiuzza
bedda.127
La nostra storia si concluderebbe qui, con il ritorno all’ordine costituito
e la famiglia ancora una volta riunita sotto lo stesso tetto. Non solo, tutti,
dietro richiesta della madre, indossano mutande serie, quelle di tipo
sottoascellare, come conviene alle persone a modo. Le ha conservate
diligentemente dal 1960, al fine di fronteggiare le emergenze. Allo stato
attuale pure il cane di casa, Fifì, ne sfoggia un paio, anche se il
quadrupede non ne sembra troppo felice.
Prima di chiudere definitivamente il capitolo vorrei, tuttavia, chiarire
qualche dubbio insorto verosimilmente in qualcuno dei lettori.
Come mai la madre ha bisogno di ricorrere a tutta questa sceneggiata
e non si limita, invece, sic et simpliciter128 a proibire ai figli di uscire?
126
� Ddi ddi – a passeggio 127
� Non chiamallu chiù a don Sibastianu, megghiu mi sentu, figghiuzza bedda.- non
occorre più chiamare don Sebastiano. Sto meglio, figlia bella. 128
� Sic et simpliciter- così e semplicemente
I motivi, fondamentalmente, tre:
- necessità periodica e incoercibile di dare sfogo all'animo da
tragediante connaturato in lei;
- necessità di allenamento, al fine di raggiungere le eccellenze della
suocera;
- necessità di preservare la sua immagine di angelo del focolare o
Marunnuzza di Fatima.
Proprio quest’ultimo è il punto più importante: può infatti un essere
celestiale come la madre sicula, imporre veti, condizionare,
tiranneggiare? No, certo che no!
E allora meno male che le sue antenate abbiano coniato delle frasi
superbe come queste, altrimenti la sua esistenza sarebbe stata di gran
lunga più complicata.