UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
ANNO ACCADEMICO 2010-2011
MASTER IN COMUNICAZIONE DELLE SCIENZE
DONAZIONE E TRAPIANTI: UN MANUALE PER GIORNALISTI
Come comunicare la morte
determinata con criteri neurologici
Tesi di Fabio Cian
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
MASTER IN COMUNICAZIONE DELLE SCIENZE
DONAZIONE E TRAPIANTI: UN MANUALE PER GIORNALISTI
Come comunicare la morte
determinata con criteri neurologici
RELATORE: Prof.ssa Daniela Boresi
STUDENTE CORSISTA: FABIO CIAN MATRICOLA N. 1020843
ANNO ACCADEMICO 2010-2011
Indice
1. Introduzione……………………………………………………………………………… 1 2. L’inizio da due fatti di cronaca……………………………………………… 3 2.1. La morte del Beato don Carlo Gnocchi (1956)…………………… 3 2.2. Il caso Nicholas Green (1994)……………………………………………… 15 3. Alcuni concetti chiave……………………………………………………………… 25 3.1. Il coma………………………………………………………………………………… 25 3.1.1. Il “risveglio” dal coma……………………………………………… 26 3.2. Lo stato vegetativo……………………………………………………………… 26 3.3. La morte………………………………………………………………………………… 29 3.4. La morte determinata con criteri neurologici……………………… 29 3.4.1. Come si determina la morte con criteri neurologici… 32 4. Dopo la morte…………………………………………………………………………… 35 4.1. La donazione degli organi…………………………………………………… 35 4.1.1. Quali parole usare nella donazione e nel trapianto… 36 4.2. Un’ulteriore possibilità: donare il corpo alla scienza…………… 37 5. La morte tra speranze e illusioni…………………………………………… 39 6. La donazione e il trapianto di organi al cinema………………… 61 7. Conclusioni………………………………………………………………………………… 63 8. Bibliografia………………………………………………………………………………… 67 9. Appendice…………………………………………………………………………………… 69 9.1. Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II al 18°
Congresso Internazionale della Società dei Trapianti……… 69 9.2. Note di legislazione…………………………………………………………… 73 Ringraziamenti……………………………………………………………………………… 79
1. Introduzione
Una telefonata, all’improvviso: un familiare è ricoverato in ospedale in
gravi condizioni. Lo shock emotivo è tremendo.
Di corsa all’ospedale. La ricerca del reparto di rianimazione sul
tabellone d’ingresso. E si attende. Ore ed ore nell’attesa di un
miglioramento. La tensione cresce con l’alternarsi di disperazione e
speranza, di aspettative e rassegnazione. I medici stanno facendo tutto
il possibile per salvarlo. Ma dopo un po’ escono per avvisare che sono
iniziate le procedure di osservazione per poter constatare la morte con
criteri neurologici.
Eppure il cuore batte ancora. Il respiratore fa entrare l’aria nei
polmoni. “Cosa vorrà dire morte con criteri neurologici?”. Dopo sei ore la
conferma: l’encefalo ha cessato tutte le sue funzioni. In un salottino
viene quindi chiesto se il congiunto avesse mai espresso il desiderio di
donare gli organi e se gli stessi familiari vogliano acconsentire al
prelievo.
Una richiesta difficile, in un momento drammatico, arrivato
all’improvviso, in una giornata qualunque. In questo momento
riaffiorano tutte le domande e le angosce dell’uomo: “Sarà davvero
morto? E se poi succede come quel tizio che in America si è svegliato?
Sul giornale della settimana scorsa ho letto proprio così!”. Uno dopo
l’altro vengono a galla i ricordi di notizie lette al bar sorseggiando il
caffè, sentite superficialmente alla televisione durante la cena (“Possibile
che debbano sempre parlare di cose tristi mentre stiamo mangiando?”),
o di quel discorso fatto in prima serata dal mattatore di turno che tiene
incollato allo schermo milioni di telespettatori. E nella mente si crea un
minestrone di informazioni sconnesse ma ben presenti che, una dopo
l’altra, rischiano di annebbiare e rendere questa scelta sempre più
difficile. Si cerca disperatamente qualcosa che possa fornire un appiglio,
ridare un briciolo di speranza, per dire ai medici che forse si stanno
sbagliando.
A questo punto le parole del medico servono a poco. “Con tutti i
casi di malasanità, come posso fidarmi?”. Anche se ci fossero il tempo,
la calma e la serenità per spiegare dettagliatamente le conoscenze che
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stanno alla base della determinazione di morte con criteri neurologici, in
questi momenti prevalgono i ricordi legati a storie, interviste, fatti di
cronaca letti sul giornale, ascoltati alla radio o alla televisione.
In questi momenti emerge tragicamente il ruolo della
comunicazione e la necessità di fornire sempre informazioni corrette e
documentate. Termini ambigui o inesatti, definizioni improprie,
dichiarazioni inopportune, titoli ad effetto, accostamenti con immagini
scelte in tutta fretta rischiano, nel breve e nel lungo termine, di
influenzare negativamente queste scelte, che andrebbero sempre prese
alla luce delle conoscenze mediche e scientifiche, condivise a livello
internazionale e previste dalla legge.
L’obiettivo di questo lavoro è proprio quello di fornire ai giornalisti
ed operatori della comunicazione uno strumento, un manuale di
istruzioni, un vademecum che possa aiutare a scrivere le notizie in modo
corretto, esaustivo e lontano da ogni ambiguità. Con l’aiuto di numerosi
esempi tratti dai quotidiani italiani vengono suggerite alcune strategie
da adottare ed evidenziati gli errori più comuni da evitare.
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2. L’inizio da due fatti di cronaca
2.1. La morte del Beato don Carlo Gnocchi (1956)
I mezzi di comunicazione hanno sempre giocato un ruolo fondamentale
nella storia della donazione e del trapianto di tessuti e organi in Italia,
fin dalle prime fasi.
Il 28 febbraio 1956 a Milano moriva don Carlo Gnocchi, prete
educatore che aveva speso buona parte della sua vita ad alleviare le
sofferenze e la miseria create dalla Seconda Guerra Mondiale,
specialmente tra i bambini rimasti invalidi, i “mutilatini”. Poco prima di
morire espresse il desiderio di donare le cornee per ridare la vista a due
giovani ciechi che aveva conosciuto qualche anno prima.
A quel tempo in Italia non era ancora stata emanata una legge
che consentisse la donazione e il trapianto. Da un punto di vista
strettamente giuridico quindi tutto avvenne “illegalmente”, anche se alla
luce del sole. Lo stesso don Gnocchi ne era ben consapevole. Quattro
giorni prima di morire di tumore, si rivolse al suo esecutore
testamentario, don Giovanni Barbareschi, chiedendogli: “Sei pronto a
rischiare la prigione per me? Io voglio dare la cornea. Se ti senti, vai a
cercare un oculista, che si tenga a disposizione. Se ti va male, sappi che
andrai in galera per me”.
L’oculista prescelto fu il celebre prof. Cesare Galeazzi, direttore
del Pio Ospedale Oftalmico di Milano, oggi Fatebenefratelli. Il prelievo
dei bulbi fu fatto dal suo aiuto, il dott. Mario Celotti, che ebbe delle
difficoltà con la Polizia, dato che la legge italiana non lo consentiva1.
All’uscita della clinica la sua auto fu seguita da quella della Polizia, che
poi fece volutamente finta di perderla.
Le cornee furono innestate su due giovanissimi ragazzi di cui la
stampa riportò nomi e fotografie: Silvio Colagrande di 12 anni e Amabile
Battistello di 17 anni. Il fatto stesso di conoscere il nome di coloro che
ricevettero il dono delle cornee di don Carlo Gnocchi fa capire quanto
1 Il codice Zanardelli prima e il codice Rocco poi prevedevano pene severe per qualsiasi forma di utilizzazione del cadavere, al di fuori di poche eccezioni: studi anatomici e autopsie. Il primo tentativo di affrontare il prelievo di parti da cadavere fu fatto al 38° Congresso della Società Italiana di Oftalmologia (1951) per il prelievo della cornea.
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fosse ancora lontana l’odierna disposizione sull’anonimato reciproco tra
donatore e ricevente. I giornalisti di cronaca si scoprirono del tutto
impreparati a raccontare una vicenda innovativa non solo dal punto di
vista legale ma anche scientifico. Consultando l’archivio storico de “La
Stampa” appaiono subito evidenti alcuni errori grossolani, fin dalle
titolazioni. Il giorno stesso della morte, 28 febbraio 1956, l’articolo che
descrive l’agonia di don Gnocchi titola: “Non v’è più nessuna speranza di
salvare il papà dei mutilatini – Don Gnocchi morente ha deciso di
lasciare le sue pupille a un bambino – Già scelto il piccolo cieco che
vedrà con gli occhi del suo benefattore – Il prof. Galeazzi si prepara a
compiere l’intervento appena sarà avvenuto il trapasso”. Nelle ore
concitate della morte si confondono quindi le cornee con le pupille:
“Trapiantata la cornea all’abruzzese e a una ragazza – Essi rivedranno il
mondo attraverso le pupille di don Gnocchi”. Dello stesso tenore un
articolo del giorno seguente, “Già scelti i due ragazzi ciechi ai quali
andranno gli occhi di don Gnocchi”, dove, tra l’altro, si specifica che “in
giornata i due fanciulli, prescelti a ricevere l’ultimo grande dono, si
recheranno al capezzale del loro benefattore”: un gesto oggi non solo
impossibile ma addirittura inimmaginabile. Impensabili oggi anche le
fotografie dei due giovani, scattate anche in sala operatoria e in reparto,
prima, durante e dopo l’intervento, e pubblicate su tutti i giornali.
Tuttavia sarebbe ingiusto evidenziare solamente i nei di un modo
di fare cronaca sicuramente figlio di quel tempo, quando erano ancora
ben lontane le rigide normative sulla privacy e la riservatezza. È
sicuramente più opportuno sottolineare i meriti della comunicazione
giornalistica di questa vicenda. Fin dal giorno seguente la morte di don
Gnocchi furono pubblicati contributi che approfondivano l’aspetto
legislativo della vicenda con argomentazioni basate sulle leggi del
tempo. Non mancarono nemmeno le esposizioni dettagliate
dell’intervento di cheratoplastica eseguito dal prof. Galeazzi sui due
giovani, con una valutazione medica dei rischi e delle probabilità di
riuscita. Gli approfondimenti, in qualche caso, vennero scritti
direttamente dai direttori delle cliniche oculistiche. A poche ore
dall’intervento di trapianto, il 1 marzo, si iniziò a parlare di “Banche degli
Occhi” per la conservazione delle cornee da trapiantare. Nel giro di una
settimana si diede la notizia della costituzione di un’associazione di
“donatori della cornea”, a Roma. Tutta la vicenda ebbe un enorme rilievo
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sull’opinione pubblica anche grazie al discorso che Papa Pio XII rivolse ai
fedeli in Piazza San Pietro, in occasione della recita dell’Angelus, la
domenica seguente, 4 marzo 1956.
Alla stampa e agli operatori della comunicazione va quindi il
grande merito di aver informato in modo approfondito l’argomento della
donazione e trapianto, partendo da un fatto di cronaca: la morte di un
sacerdote dalla chiara fama di santità e i conseguenti innesti pionieristici
su due giovani. Il successo comunicativo fu straordinario se si pensa che
in poco più di un anno il parlamento riuscì a varare la legge n. 235 del 3
aprile 1957 sul “prelievo di parti del cadavere a scopo di trapianto
terapeutico”.
Il quotidiano “La Notte” di Milano, quando morì don Carlo
Gnocchi, titolò a tutta pagina: “Per il gesto di don Gnocchi molti altri
ciechi vedranno”. A distanza di anni, più che un titolo, sembra quasi una
profezia.
Don Carlo Gnocchi è stato proclamato Beato dalla Chiesa
Cattolica nel 2009.
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2.2. Il caso Nicholas Green (1994)
La donazione delle cornee di don Carlo Gnocchi, da un punto di vista
medico e anatomico, si configura come una donazione di tessuto. Per
trovare un caso analogo per quanto riguarda l’impatto mediatico, ma
riferito alla donazione di organi, bisogna aspettare quasi quarant’anni.
Il 29 settembre 1994 l’auto di una famiglia americana in vacanza
in Italia fu scambiata per quella di un gioielliere da una banda di
rapinatori. Il tentativo di furto sull’autostrada A3 Salerno – Reggio
Calabria degenerò in un omicidio. Una pallottola colpì infatti il bambino
di sette anni seduto sul sedile posteriore, che fu ricoverato a Messina,
dove morì qualche giorno dopo. Il suo nome era Nicholas Green. Alla
sua morte i genitori, Margaret e Reginald, autorizzarono il prelievo degli
organi, di cui beneficiarono sette italiani, di cui quattro adolescenti e un
adulto, mentre altri due riceventi riacquistarono la vista grazie
all’innesto delle cornee.
Nel 1994 in Italia la donazione degli organi era una prassi ancora
poco comune e questo gesto di grande generosità contribuì a fare
aumentare le donazioni in tutto il Paese. Si parlò di “Effetto Nicholas”
per descrivere il coinvolgimento della popolazione italiana, di cui si
stupirono gli stessi Green, dato che in America la donazione di organi
era una pratica molto comune e consolidata.
In questo caso furono resi noti i nomi dei riceventi e pubblicate le
foto del piccolo ricoverato in rianimazione, attaccato alle macchine. Da
questi dettagli comprendiamo che nel 1994 da un punto di vista
legislativo erano stati fatti molti passi avanti, ma per quanto riguarda il
rispetto della riservatezza si era ancora piuttosto indietro.
I genitori di Nicholas ricevettero la medaglia d’oro al merito civile
dalle mani del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro con
questa motivazione: “Cittadini statunitensi, in Italia per una vacanza,
con generoso slancio ed altissimo senso di solidarietà disponevano che
gli organi del proprio figliolo, vittima di un barbaro agguato
sull'autostrada Salerno – Reggio Calabria, venissero donati a giovani
italiani in attesa di trapianto. Nobile esempio di umanità, di amore e di
grande civiltà. Messina, 1 ottobre 1994".
A Nicholas Green furono in seguito dedicati parchi, giardini,
scuole, strade e piazze in tutte le regioni d’Italia.
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3. Alcuni concetti chiave
3.1. Il coma
Con la parola “coma”, da un punto di vista giornalistico, vengono spesso
definite varie situazioni: dalla semplice perdita della coscienza alla morte
cerebrale, con tutti gli stadi intermedi. Sicuramente per un certo periodo
il significato di questa parola è rimasto poco definito anche nell’ambiente
medico, ma da parecchi anni è stata fatta chiarezza, perciò va usata con
l’obbligo di fare distinzioni abbastanza precise.
Si definisce coma uno stato potenzialmente reversibile di
completa perdita della coscienza, della motilità volontaria e della
sensibilità, con conservazione totale o parziale delle funzioni vegetative
(circolazione, respirazione, digestione, termogenesi, ecc…). Il coma può
essere provocato da intossicazioni (stupefacenti, alcool, tossine),
alterazioni del metabolismo (ipoglicemia, iperglicemia, chetoacidosi) o
danni e malattie del sistema nervoso centrale (ictus, traumi cranici,
emorragie, ischemie, ipossia, infezioni, tumori): fra tutte, le più comuni
cause di coma sono le alterazioni del metabolismo.
Il coma può anche essere indotto farmacologicamente. In questo
caso viene definito, appunto, coma farmacologico, o coma indotto e
viene utilizzato per proteggere il cervello. Alcuni medicinali infatti
riducono il flusso di sangue cerebrale, così i vasi sanguigni nell’encefalo
diminuiscono di volume e, di conseguenza, fanno decrescere il volume
occupato dall’organo e la pressione intra-cranica. In rianimazione quindi
a volte può essere necessario indurre un coma “artificiale” temporaneo
per evitare o cercare di contenere alcuni danni causati, ad esempio, da
un edema cerebrale.
Il coma è una condizione complessa, che comprende un numero
di stadi diversi. La gravità e la profondità dello stato di coma si misurano
mediante alcuni parametri che, in base alle risposte a vari stimoli,
stabiliscono il “grado” di coma.
La condizione di coma non è statica, ma dinamica: una persona
resta in coma finché le cause che lo hanno indotto non sono risolte o
superate. I possibili esiti di uno stato di coma possono variare dalla
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completa guarigione alla morte, a seconda della posizione, della gravità
e dell'estensione del danno cerebrale che ha causato il coma stesso. In
molti casi, spontaneamente o con l’aiuto di terapie, si ottiene il
superamento del danno e si torna alla condizione normale. Oppure la
ripresa può essere parziale, ed allora si recupera la coscienza, ma
possono restare danni più o meno estesi con la perdita di alcune facoltà
o movimenti (paralisi, amnesie, difficoltà nel parlare, ecc…). Un paziente
può uscire dal coma con una serie di difficoltà motorie, intellettive e
psichiche che possono richiedere particolari trattamenti: di solito il
recupero avviene gradualmente e un po’ per volta il paziente riacquista
la sua capacità di risposta. Alcuni recuperano solo poche abilità di base,
ma nella maggioranza dei casi il recupero è completo e il paziente
ritorna alla piena coscienza.
3.1.1. Il “risveglio” dal coma
A volte si definisce “risveglio” l'uscita dal coma o dallo stato vegetativo.
In realtà se dal coma (2-4 settimane dall'evento acuto) si recupera lo
stato di coscienza abbastanza rapidamente, in modo simile al risveglio
dal sonno, il recupero della coscienza da uno stato vegetativo avviene in
modo lento e graduale, mai con le caratteristiche del risveglio.
3.2. Lo stato vegetativo
Il coma vero e proprio dura di solito da 2 a 4 settimane, raramente di
più. Dopo questo periodo si può trasformare in stato vegetativo. In
questa condizione sono conservate le funzioni del tronco encefalico
(respiro spontaneo, battito cardiaco e mantenimento della temperatura
corporea), e in particolare la capacità di veglia, che è prerequisito
inviolabile della possibilità di coscienza.
I pazienti in stato vegetativo possono recuperare in modo
variabile. Possono riacquisire un certo grado di consapevolezza
mantenendo gravi difficoltà motorie. In alcuni casi possono avere un
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recupero più importante con un ritorno ad una vita quasi normale, alcuni
invece possono restare in tale stato per anni o per decenni.
In passato questa condizione era denominata “stato di non
consapevolezza post traumatica”, “sindrome apallica” e “coma vigile” ma
sono tutti termini sbagliati, ormai caduti in disuso e superati. Oggi
l’espressione che meglio descrive questa condizione è “stato vegetativo
persistente”. È del tutto scorretto utilizzare l’avverbio “permanente” per
definire uno stato vegetativo prolungato, dato che la scienza medica non
è in grado di predirne l’evoluzione. Per lo stesso motivo è sbagliato
usare l’aggettivo “irreversibile”, anche perché in letteratura si trovano
casi di pazienti che hanno presentato un recupero più o meno completo.
È infine un errore gravissimo parlare di “morte cerebrale”, “morte della
persona” o “coma irreversibile” riferendosi a pazienti in stato vegetativo
persistente. Purtroppo questo errore è molto comune e vi sono molti
esempi riferiti ai recenti casi di Terri Schiavo (1963-2005) e di Eluana
Englaro (1970-2009). A questo proposito occorre ricordare che la causa
di morte più comune per i pazienti in stato vegetativo non è la morte
cerebrale ma le infezioni, come ad esempio la polmonite.
Nella pagina seguente un articolo, tratto da La Stampa del 5
ottobre 2005, racconta di un paziente risvegliatosi dallo stato vegetativo
persistente. Le informazioni sono corrette e si può considerare un buon
esempio di comunicazione.
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3.3. La morte
Se si fa eccezione per i casi di devastazione fisica come la decapitazione,
la morte non si verifica mai in modo istantaneo ma è un processo
graduale.
La morte ha inizio con la cessazione irreversibile di tre funzioni:
• cardiocircolatoria: morte clinica
• respiratoria: morte reale
• nervosa: morte legale
Prosegue con le trasformazioni e il degrado del cadavere e termina con
la distruzione completa di ogni cellula dell'organismo (la morte biologica
propriamente detta).
La morte va comunque considerata un evento unitario, da
qualsiasi punto di vista la si veda, ed è quindi più corretto parlare di
criteri cardiologici, respiratori e neurologici per l’accertamento2.
3.4. La morte determinata con criteri neurologici
Dalla fine degli anni Cinquanta la medicina di emergenza ha fatto enormi
passi avanti grazie all’uso di macchine in grado di sostituire
temporaneamente le funzioni vitali bloccate dalle più svariate cause. È
possibile mantenere la ventilazione polmonare se cessa il respiro
spontaneo, tenere la temperatura corporea a 37°C anche se la
termoregolazione è inefficiente, purificare il sangue con i reni bloccati o
distrutti. In questo modo l’organismo resta vitale, per il tempo che serve
ai processi di riparazione spontanea o alle varie pratiche terapeutiche, in
attesa del ripristino della piena funzionalità. Risulta quindi evidente che
in questi decenni innumerevoli vite, altrimenti perse, hanno potuto
essere salvate. Grazie anche alla medicina intensiva e alle migliori
possibilità diagnostiche e chirurgiche, la mortalità si è notevolmente
ridotta da quando negli anni Sessanta numerosi soggetti con lesioni
cerebrali devastanti venivano mantenuti in rianimazione con supporto
ventilatorio e circolatorio.
2 Canuto G., Tovo S., Medicina legale e delle assicurazioni, Cap. III, Ed. Piccin, Padova, 1999.
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L’introduzione di queste tecnologie ha portato anche ad un’altra
possibilità completamente nuova: la separazione temporanea (alcune
ore) della morte dell’encefalo da quella del resto dell’organismo. In
alcune situazioni particolari, traumi cranici, ictus o altro, questo organo
muore, per cui naturalmente cessano il respiro, la capacità di
termoregolazione ed altri riflessi fondamentali. In particolare è l’assenza
di ossigeno a determinare i processi che portano alla distruzione delle
cellule che compongono i vari tessuti. Mantenendo con le macchine la
funzione respiratoria il cuore può continuare a battere spontaneamente
per alcune ore e prolungare la vitalità di tutti gli organi: l’encefalo è
morto, ma gli altri organi mantengono per un certo tempo la loro
funzionalità.
Nel 1959 i neurologi francesi Mollaret e Goulon3 per primi
identificarono e capirono questa nuova situazione e la definirono “coma
dépassé” che vuol dire “coma superato” o “condizione oltre il coma”. Nei
pazienti in coma dépassé erano perduti, oltre alla coscienza, tutti i
riflessi del tronco dell’encefalo, la respirazione spontanea e l’attività
elettrica corticale. Tutti questi soggetti invariabilmente andavano
incontro in tempi più o meno brevi ad arresto cardiocircolatorio e
presentavano uno stato colliquativo dell’encefalo. Nel 1968 una
commissione creata ad hoc dell’Harvard Medical School4 definì il criterio
neurologico, basando le valutazioni su un’enorme quantità di
osservazioni cliniche, patologiche e strumentali (soprattutto
elettroencefalografiche). Per la prima volta il concetto di morte veniva
spostato dal cuore al cervello. I criteri di Harvard per l'accertamento
della morte cerebrale sono poi diventati la base di tutte le legislazioni
nazionali.
La definizione di “coma dépassé” seppur corretta, è oggi
superata. Contiene infatti una grossa ambiguità perché mescola due
condizioni completamente diverse: il coma e la morte. Pertanto si deve
evitare di usare questa definizione. La morte è sempre una diagnosi,
non un giudizio prognostico.
3 Mollaret P., Goulon M., Le Coma Dépassé. Rev Neurol 101:3-15, 1959. 4 Beecher, Henry K., A definition of irreversible coma: report of the Harvard Medical School Comm to examine the definition of brain death. Journal of the American Medical Association, 1968, 205:85-88.
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Per evitare dubbi o incertezze in seguito si è usato il termine
“morte cerebrale” per indicare lo stato irreversibile, ben conosciuto, che
identifica la scomparsa definitiva e completa della persona.
La legge n. 578 del 29 dicembre 19935 ha riconosciuto questa
definizione, ampliandola: quale sia l’organo che per primo viene
interessato, quale sia la causa, “la morte si identifica con la cessazione
irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. Da questa definizione è
derivato il concetto di “coma irreversibile”, spesso usato in ambito
giornalistico. Non si tratta di una definizione concettualmente sbagliata,
ma è sicuramente ambigua perché, come nel “coma dépassé” mette
insieme in modo indefinito i concetti di vita e di morte, lasciando quasi
intendere che nel paziente sussista ancora una qualche forma residua di
vita ma in uno stadio talmente remoto da non permettere più il ripristino
della coscienza. Questo tipo di fraintendimenti genera sempre
confusione e incomprensioni. Si dovrà quindi evitare di mescolare il
concetto di coma con la cessazione irreversibile delle funzioni
dell’encefalo e dire invece che la morte è stata accertata “con criteri
neurologici”.
Occorre a questo punto notare come nell’uso comune non si usi
quasi mai il termine “morte encefalica” e si continui invece parlare di
“morte cerebrale”. Da un punto di vista anatomico, encefalo e cervello
sono due cose diverse. L’encefalo è quella parte del sistema nervoso
centrale completamente contenuta nella scatola cranica6. Il cervello (o
prosencefalo) è una parte dell’encefalo7. Allo stato attuale, quando si
parla di “morte cerebrale” si intende la morte dell’encefalo, nella sua
interezza. Sarebbe forse auspicabile, al fine di fare maggior chiarezza,
introdurre anche nel linguaggio comune la dicitura “morte encefalica”,
dato che esiste la possibilità che qualcuno per “morte cerebrale” intenda
la morte del solo cervello e non di tutto l’encefalo. Va però ricordato che
il Centro Nazionale Trapianti in un position paper8 ha recentemente
5 Norme per l’accertamento e la certificazione di morte, in Gazzetta Ufficiale n. 5 dell’8 gennaio 1994. 6 Balboni G.C. et al., Encefalo, in Anatomia Umana, Vol. 3, Ed. Ermes, Milano 1976, Ristampa 2000 (in inglese), pag. 50.7 Le altre parti dell’encefalo sono il tronco encefalico (mesencefalo, ponte e bulbo) e il cervelletto. 8 Procaccio F., Donadio P.P., Bernasconi A.M., Gianelli Castiglione A., Nanni Costa A., Determinazione di morte con standard neurologico, elementi informativi essenziali, 2011, disponibile sul sito http://www.trapianti.salute.gov.it/
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proposto di abolire definitivamente anche il termine “morte encefalica”
per sostituirlo con l’espressione “morte determinata con criteri
neurologici”, sicuramente preferibile.
Va evitato inoltre di parlare di “morte clinica” con espressioni
come “il sig. X è stato dichiarato clinicamente morto” perché, come si è
visto in precedenza, da un punto di vista strettamente medico la “morte
clinica” corrisponde alla cessazione irreversibile della sola funzione
cardiocircolatoria.
Infine un errore lessicale infine molto comune è quello di usare i
termini “cerebrale” e “celebrale” come sinonimi. In realtà la parola
“celebrale” non esiste, è solamente un errore di ortografia dovuto
probabilmente alla difficoltà di pronuncia della parola “cerebrale”.
L’unico termine corretto è quindi “cerebrale” (dal latino cerebrum =
cervello, testa, intelletto, mente), anche se, come appena visto, è da
evitare per indicare la morte determinata con criteri neurologici.
3.4.1. Come si determina la morte con criteri neurologici
In Italia nessun singolo medico può dichiarare la morte di un individuo
con criteri neurologici. Quando un medico identifica i criteri neurologici
clinici e strumentali di morte è tenuto a richiedere alla Direzione
Sanitaria la convocazione di un Collegio Medico composto da tre
specialisti: un neurologo, un medico legale e un anestesista-rianimatore.
Questo collegio in modo unanime verifica che non ci siano fattori
potenzialmente in grado di far confondere la morte cerebrale con
qualcos’altro. È richiesto il test di assenza di flusso ematico cerebrale nei
casi in cui, ad esempio, l’eziologia del danno cerebrale è incerta, se si
riscontra la presenza di farmaci attivi sul sistema nervoso centrale, se è
impossibile fare un esame clinico completo o se l’età del paziente è
inferiore ad 1 anno. Sempre in modo unanime il Collegio deve accertare
per almeno 6 ore la persistenza dello stato di incoscienza, l’assenza di
respirazione spontanea, l’assenza di qualsiasi minima reattività dei nervi
cranici e l’assenza di attività elettrica cerebrale. Da quest’ultimo
accertamento deriva il concetto di “elettroencefalogramma piatto”,
utilizzato spesso per descrivere la cessazione di tutte le attività
dell’encefalo e quindi la morte. Questo periodo di osservazione ha un
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significato di garanzia più che una reale motivazione fisiopatologica. Al
termine il Collegio certifica all’unanimità la morte del paziente. L'ora del
decesso è quella in cui ha avuto inizio il periodo di osservazione. A
questo punto la morte del soggetto viene comunicata dal medico
curante ai familiari, i quali erano già stati informati della procedura di
osservazione da parte del Collegio Medico.
In sintesi, per constatare la morte cerebrale, si deve verificare
con test specifici che sussistano contemporaneamente tutte queste
condizioni:
• stato di incoscienza
• assenza di riflessi del tronco dell’encefalo (struttura deputata a
mantenere le funzioni fondamentali della vita)
• assenza di respiro spontaneo
• assenza di qualunque attività elettrica encefalica, verificata
tramite elettroencefalogramma
• assenza dell'irrorazione di sangue al cervello (nei casi in cui non
sia possibile verificare i riflessi del tronco cerebrale o effettuare
l'elettroencefalogramma, attraverso indagine radiologica con
valutazione del flusso ematico cerebrale)
Queste condizioni vengono verificate da una commissione di tre
specialisti (un esperto in neurofisiologia, un rianimatore e un medico
legale) per tre volte in un periodo di almeno 6 ore.
È evidente che la constatazione di morte con criteri neurologici
non è un evento caratterizzato dall’immediatezza, ma è un processo che
si svolge in un arco di tempo. È quindi scorretto usare espressioni come
“il ferito è stato portato in ospedale dove è stata subito accertata la
morte cerebrale”. L’avverbio “subito” non si presta a descrivere una
procedura che viene sempre svolta in modo accurato, attento e
soprattutto prolungato.
Non si è più in presenza di un “paziente”, ma si è di fronte ad un
“cadavere”. Il suo destino si differenzia solo in questo momento, dopo
l’accertamento di morte, a seconda che si tratti o meno di un potenziale
donatore di organi.
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4. Dopo la morte
4.1. La donazione degli organi
L’eventuale prelievo di organi e tessuti avviene solo dopo la verifica della
volontà espressa in vita o del non diniego dei familiari. Se non vi è
possibilità di donazione la salma, una volta staccata dalle macchine, si
invia in obitorio dove può essere immediatamente sottoposta ad
eventuale riscontro autoptico e sepoltura. In entrambi i casi deve essere
mantenuto il massimo di rispetto, di cura e di integrità del cadavere.
È di fondamentale importanza comunicare che la certificazione di
morte con criteri neurologici e la donazione degli organi sono due atti
del tutto indipendenti l’uno dall’altro. Questo è evidente anche dal punto
di vista legislativo, dato che la legge 578/93 non contiene norme
inerenti la donazione ma solamente riguardanti l’accertamento di morte.
Qualora non vi fosse l’autorizzazione al prelievo degli organi l’iter
previsto dalle leggi prevede comunque lo spegnimento delle macchine.
Non si tratta di una “punizione” o di un gesto insensibile: non c’è alcuna
motivazione medica o scientifica per mantenere l’alimentazione, il
battito cardiaco e la respirazione su un cadavere.
Se c’è il consenso, il prelievo degli organi avviene con la
ventilazione e l’irrorazione sanguigna mantenuta dalle macchine, usate
quindi esclusivamente come supporto funzionale; in seguito il corpo del
donatore viene staccato dal respiratore artificiale e dallo stimolatore del
battito cardiaco (cosa che, come si è detto, avviene comunque una volta
accertata la morte cerebrale, indipendentemente dal fatto che sia un
donatore o meno). Va evitata l’espressione “morte a cuore battente”,
“con il cuore battente” o simili perché genera confusione e può far
credere che il donatore sia ancora vivo.
La magistratura può bloccare il prelievo quando è necessaria
l'esecuzione di un'autopsia per accertare le cause della morte. L'esame
autoptico comunque non esclude la possibilità di un prelievo d'organi o
di tessuti. Sebbene avvenga in un secondo momento, dopo la
cessazione del battito cardiaco, l'autopsia deve essere eseguita in una
35
situazione del soggetto il più possibile simile allo stato precedente il
decesso, e può rendersi necessaria anche per gli organi prelevabili.
Di fatto, le persone che si trovano nello stato di poter donare gli
organi non sono molte, in quanto devono verificarsi tutte queste ben
precise condizioni perché il prelievo possa essere realizzato. Le persone
che in Italia e nel mondo sono iscritte ad un’associazione di donatori di
organi sono moltissime e in continuo aumento, tuttavia trovarsi nelle
condizioni per poter donare gli organi è un evento non così frequente.
Se infatti, ad esempio, la morte sopraggiunge per arresto
cardiocircolatorio improvviso, la donazione degli organi non è possibile9,
mentre è invece ancora possibile la donazione dei tessuti (motivo per cui
è molto più comune e presenta minori difficoltà).
Può essere utile sapere che sul piano morale tutte le principali
religioni sono favorevoli alla donazione di organi e tessuti in quanto
considerata un atto di grande solidarietà umana. È comunque
raccomandata la donazione come frutto di libera scelta.
Nuove recenti possibilità di prelievo anche degli organi in donatori
a cuore fermo ripropongono oggi nella sua complessità e criticità la
diagnosi di morte con criterio cardiologico, data la necessità di
abbreviare al massimo il periodo di “ischemia calda” degli organi. La
trattazione di questo aspetto richiederà sicuramente un
approfondimento in futuro, avendo una notevole importanza ed
attualità.
4.1.1. Quali parole usare nella donazione e nel trapianto
Per trapianto si intende la sostituzione di un organo ammalato e non
più funzionante in una persona, mediante un intervento chirurgico, con
un organo sano prelevato da un donatore. Il termine “trapianto” va
utilizzato solamente per gli organi. Per definire l’impianto di tessuti si
usa invece il termine innesto.
9 Un caso recente e tristemente noto riguarda la morte del pilota motociclistico
Marco Simoncelli, deceduto il 23 ottobre 2011 in seguito ad un incidente
verificatosi durante il Gran Premio della Malesia. Non è stato possibile esaudire il
suo desiderio di donare gli organi, più volte espresso durante la vita, poiché è
arrivato in ospedale già in arresto cardiocircolatorio.
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Un organo è una struttura organizzata dall’organismo umana
deputata ad una o più funzioni specifiche, mentre un tessuto è un
insieme di cellule che contribuiscono ad una funzione specifica. Esempi
di organo sono il cuore, il fegato, il rene, il polmone, il pancreas,
l’intestino. Le cornee, il sangue, le ossa, le valvole cardiache, le
cartilagini, i vasi sanguigni e la cute sono invece tessuti. Per gli insiemi
complessi, come la mano, si usa il termine trapianto. Per l’innesto di
sangue si usa il termine trasfusione.
Il soggetto che dona i propri organi o tessuti è definito donatore.
Colui che li riceve con un trapianto o innesto è detto ricevente.
Il termine per definire la rimozione di un organo o tessuto da un
donatore è prelievo. Il termine espianto va riservato al prelievo di un
organo precedentemente trapiantato e rimosso per motivi diversi, come
ad esempio un malfunzionamento o un rigetto. La differenza tra
prelievo ed espianto è notevole, pertanto, dopo la morte, non va mai
usato il termine espianto, perché l’espianto si esegue su persone in vita.
4.2. Un’ulteriore possibilità: donare il corpo alla scienza
Da alcuni anni in Italia si sta diffondendo un ulteriore gesto di
generosità dopo la morte: la donazione del corpo ad un centro
specializzato di anatomia per la formazione e l’aggiornamento di medici
chirurghi. In Francia ogni anno si registrano circa 2500 donazioni del
cadavere ed è una pratica diffusa anche in altri paesi europei e negli
Stati Uniti.
Uno dei centri di riferimento italiani per la donazione della salma
si trova a Padova, presso l’unità di anatomia clinica del dipartimento di
anatomia e fisiologia umana diretto dal prof. Raffaele De Caro. La
donazione viene espressa tramite un atto volontario, redatto di proprio
pugno dal donatore. Il donatore deve aver espresso in vita la propria
volontà, contattando personalmente il centro. Durante un incontro
vengono fornite informazioni riguardanti le finalità e le procedure della
donazione del corpo. La dichiarazione di donazione deve essere
compilata personalmente dal donatore, datata e firmata sui moduli
appositamente forniti dal centro. La donazione è un atto gratuito. In
ogni momento il donatore ha il diritto di ritirare il proprio consenso. Non
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vengono prese in considerazione domande pervenute da parte di
familiari, minori o soggetti incapaci.
Dopo la morte, prima di eseguire il trasporto del corpo presso il
centro, può tenersi una cerimonia funebre secondo le indicazioni del
donatore e dei suoi cari. Il trasporto è gratuito, il centro si incarica di
organizzarlo e di gestire anche tutte le pratiche amministrative. Il
trasporto del corpo deve avvenire entro tre giorni dal decesso, previa
autorizzazione delle autorità sanitarie competenti.
Una volta che il corpo è stato preso in carico dal centro,
un’equipe specializzata si occupa della sua preservazione e viene
destinato all’insegnamento e alla ricerca. La donazione del corpo
permette agli studenti di medicina di conoscere realmente il corpo
umano, e ai medici e chirurghi di sperimentare nuove tecniche
chirurgiche. Ogni progetto di ricerca ed ogni utilizzo ai fini di
insegnamento deve essere autorizzato dal responsabile del centro il
quale vigila affinché, al termine delle attività di studio, vengano
realizzate le disposizioni di volontà del donatore (tumulazione o
cremazione).
La “donazione del corpo alla scienza” si distingue dalla
“donazione di organi”, che ha altra finalità e modalità. Le due donazioni
non solo incompatibili tra loro. Inoltre la donazione del corpo può
avvenire dopo l’accertamento del decesso verificato con qualsiasi criterio
previsto dalla legge.
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5. La morte tra speranze ed illusioni
Da un punto di vista strettamente antropologico, qualora i familiari non
fossero al corrente delle conoscenze tecniche, mediche e scientifiche che
stanno alla base dell’accertamento della morte con criteri neurologici, c’è
il forte rischio che permangano dubbi sulla certezza della morte. Queste
domande, che non sono mai banali, possono assumere tratti di intensa
drammaticità ed essere influenzate da tanti fattori che possono avere
effetti negativi, creare resistenze e barriere che possono porre limiti alla
donazione degli organi.
I familiari si trovano di fronte ad una situazione apparentemente
incomprensibile, in quanto vi è una parvenza di vita. La persona è
morta ma le apparecchiature tengono costante la temperatura corporea
e ossigenano il sangue. Il quadro è quindi particolarmente drammatico e
difficile da comprendere: l’encefalo è distrutto non solo sul piano della
funzionalità ma anche su quello anatomico perché le cellule morte
iniziano a decomporsi10. Il respiro tuttavia è mantenuto dalle macchine e
il cuore continua a battere spontaneamente, seppur con l’aiuto di
farmaci. La sua autonomia dall’encefalo è tale che, asportandolo, è
possibile mantenere la contrazione ritmica del muscolo cardiaco, se
viene perfuso ed ossigenato artificialmente.
È questa una condizione che genera false speranze ed illusioni in
quanto produce la sensazione che la persona cara non sia effettivamente
morta e che ci sia ancora una possibilità, seppur minima, di vederla
tornare in vita. Questa parvenza di vita illude i congiunti perché
psicologicamente allontana il momento definitivo della separazione.
È necessario quindi cercare di fare chiarezza su questo problema.
Vanno assolutamente evitate espressioni come “i medici hanno staccato
la spina alle macchine che tenevano in vita il sig. X”. Dopo
l’accertamento di morte cerebrale è del tutto scorretto parlare ancora di
“vita” ed è inoltre del tutto superfluo raccontare l’atto dello spegnimento
delle apparecchiature. La morte infatti è già avvenuta e l’arresto delle
macchine ne è una conseguenza. Il paziente del quale viene accertata la
10 Nelle autopsie si ha sempre questo referto. Dopo alcune ore dalla morte cerebrale infatti le cellule nervose si decompongono e si parla quindi di “stato colliquativo dell’encefalo”.
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morte con criteri neurologici non è un “morente”, ma è una “persona
morta”.
Allo stesso modo è del tutto inopportuno citare ipotetici
coinvolgimenti dei familiari nella scelta di spegnere i macchinari. Una
volta constatata la morte, lo spegnimento delle macchine è infatti un
atto dovuto, previsto dalla legge, che non necessita di alcuna
autorizzazione dei familiari. L’autorizzazione è invece necessaria per il
prelievo degli organi. Non si dovrà quindi mai dire “i familiari hanno
autorizzato i medici a spegnere le macchine”, ma si dovrà invece
eventualmente parlare di “autorizzazione al prelievo degli organi”.
Purtroppo la comunicazione non avviene sempre rispettando
queste semplici regole. Si ottiene quindi il risultato di alimentare i dubbi
e le incertezze, complicando ulteriormente la situazione già drammatica
di chi si sta valutando la possibilità di donare gli organi di un congiunto
appena deceduto. A tal proposito è necessario citare il caso di un celebre
monologo del cantante Adriano Celentano, tenuto in diretta televisiva in
prima serata su Raiuno, nel corso della trasmissione “125 milioni di
ca…ate”, nell’aprile 2001. Nel corso di un suo intervento sul tema della
donazione degli organi il cantante disse: “Una bella mattina mi alzo
senza un braccio. E allora il dottore dice: «Ma credavamo che fossi
morto!». Ma chi te la dà questa sicurezza? Solo perché il cefalogramma
[sic] (…), una macchina che misura le frequenze del cervello…”. In
poche battute Celentano riuscì a condensare una serie di errori molto
comuni che ebbero conseguenze disastrose sull’opinione pubblica. Mise
infatti in dubbio la validità dell’accertamento di morte con criteri
neurologici, lasciando quasi intendere che nei soggetti ai quali si
prelevano gli organi vi possa essere ancora una remota speranza di vita
e di risveglio. Mise inavvertitamente in dubbio l’operato dei medici,
facendo passare il messaggio che possono verificarsi errori nel
constatare la morte. Passò l’idea che la morte dell’encefalo viene
verificata con il solo uso dell’elettroencefalogramma, quando in realtà il
processo che porta alla certificazione di morte è estremamente rigoroso,
dettagliato e prudenziale. Infine, e forse questa è la conseguenza più
grave, s’insinuò nei telespettatori il dubbio che gli organi venissero
“predati” legalmente per soddisfare la grande richiesta da parte di
pazienti malati, di fronte alla quale la salute dei potenziali donatori
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passa in secondo piano. È quindi facile comprendere quali effetti provocò
questo intervento seguito in diretta da milioni di telespettatori.
Purtroppo errori di comunicazione si trovano anche in alcuni
filmati prodotti proprio per promuovere la donazione degli organi. È il
caso ad esempio di “The Nicholas Effect”, prodotto dalla Nicholas Green
Foundation e disponibile anche sul canale youtube. Un documentario
breve ma intenso, con filmati della famiglia Green e interviste ai genitori
del piccolo Nicholas. Nella sua testimonianza la madre Margaret ad un
certo punto racconta: “Prima sembrava un bambino addormentato, ed
ora era chiaro che le macchine respiravano per lui e gli forzavano l’aria
nei polmoni facendogli funzionare il cuore. Odiavo il pensiero di Nicholas
che veniva tenuto in vita dalle macchine dopo essere morto”11. Una
testimonianza senza dubbio sincera e commovente. Ma non si può
negare che la frase “Nicholas che veniva tenuto in vita dalle macchine
dopo essere morto” è piuttosto ambigua e rischia di generare
fraintendimenti.
A questo punto vale la pena analizzare alcuni esempi di
comunicazione su questo tema pubblicati sui giornali negli ultimi
decenni. In particolare risulta molto utile l’archivio storico del quotidiano
di Torino “La Stampa”, disponibile on-line a partire dal primo numero
pubblicato nel 1867.
Non si vuole in alcun modo mettere in cattiva luce il quotidiano
né tantomeno l’operato dei giornalisti. Tuttavia è utile fare riferimento a
qualche esempio concreto e reale da discutere in modo da poter
evidenziare gli errori più comuni e suggerire le strategie comunicative
migliori.
11 Dichiarazione originale (lingua inglese) della signora Margaret Green: “Before he looked like a sleeping child, it was clear that the machines was breathing for him, enforcing air into his lungs and keeping his hearth going, and so I hated the thought of him kept alive on those machines, after he was dead”.
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Questo esempio è tratto da La Stampa del 10 giugno 2001.
L’argomento dell’articolo è lo stato vegetativo persistente, ma già
nel titolo c’è un grave errore: “Coma irreversibile? No all’accanimento”.
Il coma irreversibile e lo stato vegetativo persistente sono due cose
completamente diverse come si è già spiegato in precedenza. L’errore si
ripresenta più volte anche nel testo dell’articolo.
Parlare poi di accanimento in caso di coma irreversibile non ha
alcun senso. L’accanimento infatti si riferisce ad una persona
gravemente malata ma viva12. Il “coma irreversibile” è invece sinonimo
12 L’accanimento terapeutico consiste nell’esecuzione di trattamenti di documentata inefficacia in relazione all'obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza, in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulti chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica (Comitato Nazionale per la Bioetica, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 1996)
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di morte e l’accanimento terapeutico su un cadavere non esiste, semmai
la legislazione italiana contempla il reato di “vilipendio di cadavere”, ma
non è questo il caso.
Questo esempio dimostra che la dicitura “coma irreversibile”, qui
usata a sproposito, è comunque ambigua e va evitata.
È inoltre sbagliato parlare di stato vegetativo “permanente”
poiché la scienza medica non ha alcuna certezza sulla durata e
l’evoluzione di questo stato. Il termine corretto è quindi “persistente”.
Completamente sbagliata infine la dicitura “stato vegetativo
irreversibile” usata dal filosofo intervistato, perché il termine
“irreversibile” è riferibile solamente alla morte determinata con criteri
neurologici.
L’articolo successivo è tratto da La Stampa del 29 ottobre 1993 e
si riferisce alle ultime ore di vita del regista Premio Oscar Federico
Fellini.
L’occhiello informa che “il coma non è irreversibile”, ma il titolo
invece annuncia che “l’elettroencefalogramma è piatto” (sinonimo di
cessazione di tutte le attività dell’encefalo e quindi di morte): la
contraddizione è evidente ed è presente anche nel testo dell’articolo. Il
sommario invece riporta la “attività respiratoria autonoma”. Insomma,
una gran confusione. Ed è evidente l’errore commesso nel riportare le
parole del prof. Bufi: “quando ci sarà la morte clinica continueremo le
nostre terapie finché il cuore continuerà a battere”. È altamente
improbabile che il dottore abbia potuto pronunciare queste parole, dato
che in senso strettamente medico per “morte clinica” si intende la
cessazione irreversibile della funzione cardiocircolatoria. Ma quand’anche
con il termine “morte clinica” avesse voluto intendere la morte
certificata con criteri neurologici, la frase non avrebbe avuto comunque
senso, perché le macchine vengono sempre spente, dato che sono ormai
collegate ad un cadavere e non c’è alcuna terapia da continuare.
Fortunatamente il parere dell’esperto riporta informazioni corrette
e aggiusta un po’ il tiro, ma gli errori commessi nel testo principale sono
molto gravi.
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L’esempio precedente è tratto da La Stampa del 22 aprile 1999.
Racconta il caso di un giovane paziente risvegliatosi da un coma
profondo (non irreversibile), evento raro ma non impossibile. Purtroppo
nel sommario si dice che “il giovane era pronto per l’espianto”.
Prima di tutto notiamo l’errore nell’usare il termine “espianto”
anziché “prelievo”. Ma soprattutto questo articolo trasmette due concetti
profondamente sbagliati. Il primo è che ci sia il rischio che vengano
effettuati prelievi di organi da soggetti ancora in vita, a causa di
un’errata diagnosi di morte. Il secondo è che ci sia qualche possibilità di
risvegliarsi dalla morte, seppur in modo miracoloso.
In realtà, leggendo l’articolo, si nota che il giovane non era mai
stato dichiarato morto. Nelle ultime righe infatti si riporta: “non c’era
ancora l’idoneità all’espianto, perché è stata notata una debole attività
cerebrale”. Quindi l’elettroencefalogramma non era piatto e il giovane
non era candidato al prelievo degli organi.
Sempre su La Stampa del giorno seguente, 23 aprile 1999, un
altro articolo su questo fatto, stavolta per documentare la polemica
innescata dall’articolo precedente. Finalmente si specifica che “quel
ragazzo non è mai stato un potenziale donatore semplicemente perché
non è mai stata fatta la certificazione di morte cerebrale. Non c’è mai
stato un errore di diagnosi di morte cerebrale, semplicemente perché
non è mai stata posta la diagnosi”. Il responsabile del Centro Regionale
Trapianti aggiunge: “Abbiamo cominciato il periodo di osservazione di 6
ore previsto dalla legge per la dichiarazione di morte cerebrale. Abbiamo
visto che non c’erano tutti i requisiti; dei venti parametri, diciotto erano
però negativi. Questo episodio anzi dimostra come si proceda con la
massima cautela”. La comunicazione questa volta è corretta ma ormai il
danno è fatto. Il presidente del Comitato Nazionale di Bioetica esplicita
chiaramente il problema: “informazioni inadeguate possono scoraggiare
le donazioni d’organo, creando l’impressione che gli espianti avvengano
su soggetti ancora vitali”.
Esemplare la reazione del chirurgo Mauro Salizzoni che esprime
giustamente tutta la sua rabbia. Quando il giornalista gli fa notare che
qualcuno aveva accennato ai genitori la possibilità di donare gli organi
risponde: “Questo è possibile, qualcuno che ha anticipato forse un po’
troppo i tempi, o che semplicemente voleva che i genitori iniziassero a
pensarci, nell’eventualità che la situazione precipitasse. Ma raccontare
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questo al telegiornale e sui giornali come fosse un risveglio miracoloso a
espianto già programmato è stato un errore che non potete immaginare.
Se nei giorni scorsi le ultime volontà di Trussardi (il noto stilista morto in
seguito ad un incidente stradale) sono state quelle di donare gli organi,
e questo avrà convinto qualcuno a fare altrettanto, oggi, dopo il caso di
Modica, sono sicuro che decine di persone rifiuteranno quel consenso, e
decine di persone moriranno per una notizia sballata”. “Voglio solo dire
che certe parole devono essere misurate. Voi avete raccontato un fatto
vero, la storia di un ragazzo in coma ai cui famigliari sarà anche stato
chiesto di pensare all’espianto. Ma avete tratto una conclusione
sbagliata. E la gente ricorda più facilmente le conclusioni”.
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Il fatto che la gente ricordi più facilmente le conclusioni è
dimostrato da un articolo tratto sempre da La Stampa del 12 giugno
1994. Racconta il caso di un ragazzo di 16 anni dichiarato morto con
criteri neurologici. I genitori non danno l’assenso all’espianto degli
organi perché “ci sono stati casi di persone che sono tornate a vivere
dopo mesi, non può accadere anche a nostro figlio?”. Ecco che
sollecitano un consulto medico, parlano con il magistrato di turno e
vogliono tentare ogni terapia: “Tenetelo attaccato alla macchina che gli
consente di non morire”. La disperazione è condivisa da amici,
conoscenti, compagni di scuola del ragazzo: “non è morto, per noi vive e
deve essere curato. Se il cuore batte c’è speranza”.
La donazione degli organi senza dubbio è un gesto che deve
essere compiuto in piena libertà e consapevolezza. Ma qui appare
evidente che il problema non è la donazione in sé, quanto la
comprensione e l’accettazione della morte cerebrale come diagnosi certa
ed irreversibile. Tutto questo dimostra che anche per i medici
rappresenta una sfida comunicativa molto importante ed impegnativa:
“Solo ignoranza scientifica (…). La richiesta di donazione di un organo è
definita la domanda più difficile da porre nel momento peggiore alla più
infelice delle famiglie”.
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Un caso analogo, anche se molto più eclatante dal punto di vista
mediatico, si verificò nel 1997 a Napoli. Ce lo racconta un articolo de La
Stampa del 5 maggio 1997. Un giovane padre di famiglia è “in coma
irreversibile” (espressione usata come sinonimo di morte dichiarata con
criteri neurologici), in seguito ad un incidente domestico. Il titolo riporta
un virgolettato: “Non staccate la spina, quel cuore vive ancora”. Una
delle due immagini ritrae “la protesta per non far spegnere la macchina
che tiene in vita Giuseppe Mongiello durante la processione di San
Gennaro”. Una didascalia profondamente sbagliata, dato che è del tutto
scorretto usare l’espressione “tiene in vita” per descrivere la funzione
dei macchinari collegati ad un paziente al quale è stata accertata la
morte con criteri neurologici. Incredibile poi l’accostamento con un
fotogramma tratto dal film del 1990 “Risvegli”, con didascalia che parla
di una “storia di pazienti che si risvegliano da un coma decennale”.
Ancora una volta si seminano false speranze richiamando alla mente
situazioni completamente diverse dalla morte. Oltretutto il film
“Risvegli”, a voler essere pignoli, racconta la storia di un gruppo di
pazienti affetti da catatonia, una sindrome di tipo psichiatrico
completamente diversa dal coma.
L’inizio dell’articolo riporta le parole della gente gridate nel
duomo durante la celebrazione del “miracolo di San Gennaro”: “Anche
noi crediamo ai miracoli, perciò nessuno tolga la vita a Giuseppe. No alla
morte per legge”. Il cardinale Michele Giordano, arcivescovo di Napoli,
evidentemente non è informato sulla vicenda: “Voglio incontrarvi nei
prossimi giorni per parlare di questo: la Chiesa è contro l’eutanasia,
nessuno può staccare quel respiratore”. Si continua quindi a parlare di
miracoli, ma quel che è grave è che vengano usate parole come
“togliere la vita”, “morte per legge”, “eutanasia”, “staccare il
respiratore”. Il giornalista poi rincara la dose di ambiguità scrivendo che
“l’elettroencefalogramma è piatto, la vita in quel corpo dipende
esclusivamente dal ventilatore automatico, un congegno che pompa aria
nei polmoni: un’agonia apparentemente senza speranza, che si protrae
da cinque giorni. Ma il cuore funziona ancora e le deboli contrazioni
fedelmente registrate da un monitor accanto al letto stanno scatenando
un vespaio di polemiche”. Il fratello di Giuseppe, infermiere, dichiara
“legge barbara” quella che regolamenta “la cosiddetta morte encefalica”.
E aggiunge: “Sia ben chiaro che io non sono contro l’espianto degli
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organi, ce l’ho solo con una legge spietata che, in molti casi, può
equivalere a un omicidio. Per mio fratello, staccare la spina sarebbe un
vero delitto. Sono un infermiere, certi segnali li capisco come, se non
meglio, dei medici: lui è ancora vivo. Ho visto tanti pazienti come
Peppe: i migliori specialisti dicevano che ormai non c’era più nulla da
fare, invece si sono ripresi”. L’articolo termina anticipando interrogazioni
parlamentari sulla vicenda e con il ripetere che è necessario “bloccare
questa barbarie”.
È disarmante constatare questa lunga serie di errori e
fraintendimenti. Le parole del fratello dimostrano, ancora una volta, che
l’affetto e il dolore improvviso per la perdita di una persona cara
rendono difficile la separazione e l’accettazione della morte determinata
con criteri neurologici. Ci si aggrappa a tutto. Le speranze che si
possono nutrire in casi del genere, legittime sul piano soggettivo, sono
però false, semplici illusioni che non hanno alcun fondamento scientifico.
In questa situazione il giornalista ha svolto il suo lavoro correttamente
nel riportare le esatte parole dei familiari e dell’arcivescovo di Napoli. Ma
è totalmente assente qualsiasi spiegazione medica e scientifica della
vicenda. L’informazione è perciò parziale, fuorviante e ridondante.
Queste vicende così drammatiche, che sicuramente richiedono rispetto e
comprensione, rischiano di fare danni enormi se raccontate in questo
modo.
Addirittura il giorno seguente, 6 maggio 1997, sempre La Stampa
titola: “Giuseppe resta in vita. E il fratello esulta: abbiamo vinto noi”.
Viene dato ulteriore spazio alle dichiarazioni del fratello: “Se ci
rendessimo conto che non c’è più nulla da fare, daremmo il nostro
consenso a staccare il respiratore automatico. Ma lui è ancora vivo, il
suo cuore batte ancora”. Al primario del reparto di Rianimazione non
resta a questo punto che citare il miracolo di Cristo che risuscita Lazzaro
dalla morte.
Va anche detto che l’ordinario di medicina legale del Policlinico
Gemelli di Roma, intervistato, commette un errore di comunicazione non
da poco. Nel citare la legge 578/93 parla di “scelte dolorose ma
necessarie per salvare altre vite”, quando in realtà dal punto di vista
legislativo vi è una netta separazione tra l’accertamento di morte,
determinato con criteri neurologici o cardiaci come atto medico, etico e
giuridicamente sempre dovuto, e qualsiasi altra finalità quale l’eventuale
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possibilità di donazione di organi da cadavere a scopo di trapianto
terapeutico. Del tutto inopportuno inoltre citare la “necessità di rendere
maggiormente disponibili i pochi letti dei reparti di rianimazione”, quasi
che la constatazione di morte possa avvenire in modo affrettato per fare
posto ad altri.
Il Ministro della Sanità Rosy Bindi crede che “si possa chiedere un
atto di comprensione e di attenzione verso i familiari che non vogliono
rassegnarsi all’evento definitivo della morte cerebrale”. Sicuramente ai
familiari deve andare tutta la comprensione e la vicinanza umana in un
momento di estremo dolore, ma questo non può esimere i giornalisti ed
operatori della comunicazione dal fornire informazioni corrette sulla
morte determinata con criteri neurologici, sulla quale “si è sviluppato il
maggior consenso della storia recente della medicina”13.
Quando il giorno successivo, 7 maggio 1997, La Stampa riporta la
notizia che il cuore ha cessato di battere, nel sommario si fa l’ennesimo
errore dicendo che “l’uomo era tenuto in vita dal respiratore”. In tutto
l’articolo si trasmette l’idea che la morte sia sopraggiunta solamente nel
momento dell’arresto cardiocircolatorio, ignorando totalmente il concetto
di morte con criteri neurologici. La notizia viene inoltre inserita tra due
articoli riguardanti casi di “malasanità”, di cui uno francese, quasi a
voler veicolare un’opinione negativa sulla sanità italiana.
Nell’ultima dichiarazione il fratello del defunto dice: “Noi non
siamo contrari alla donazione di organi, all’espianto, ma vogliamo
batterci contro la disinformazione e l’approccio sbagliato dei medici
verso chi soffre”. Se le dichiarazioni degli intervistati non possono essere
modificate, sicuramente l’intera vicenda poteva e doveva essere trattata
in modo diverso. Da un punto di vista medico e scientifico queste pagine
infatti rappresentano uno dei momenti più bassi raggiunti dal
giornalismo in materia di morte dichiarata con criteri neurologici e
donazione degli organi.
13 Bernat J.L. Neurology 2008; 70: 252-253 Editorial
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In questo articolo de La Stampa del 3 marzo 1995, un altro
accostamento infelice con un fotogramma tratto da un film.
Questa volta è il turno di Michael Douglas e Geneviève Bujold in
“Coma prodondo”, medical-thriller del 1978 diretto e sceneggiato
Michael Crichton.
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Gli articoli riportati nella pagina precedente, pubblicati sul Corriere del
Veneto il 9 e 10 novembre 2011, si riferiscono all’approvazione di
disposizioni applicative della Regione Veneto in materia funeraria. In
questa delibera un punto stabilisce che “il locale destinato
all’accoglimento e osservazione del cadavere deve essere accessibile
direttamente dall’esterno e dotato di apparecchiature di rilevazione e
segnalazione a distanza per la sorveglianza del cadavere anche ai fini del
rilevamento di eventuali manifestazioni di vita”. Sicuramente si tratta di
una forma di precauzione aggiuntiva rispetto al già rigido protocollo
medico previsto dalla legge italiana per la certificazione della morte.
Ci si chiede se fosse davvero il caso di presentare l’argomento in
questo modo. Le conseguenze di questo tipo di comunicazione possono
infatti essere gravi, specialmente nell’ottica della donazione di organi e
tessuti a cuore fermo.
Il rischio è di risvegliare paure ancestrali prive di fondamento.
Articoli di questo tipo fanno tornare indietro al 1985 quando, a pochi
giorni dal primo trapianto d’organo eseguito in Italia dal prof. Gallucci di
Padova, su La Stampa del 29 novembre ci si chiedeva: “Ma quando si è
davvero morti?”.
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Gli ultimi articoli, tratti da La Stampa del 17 e 22 febbraio 1995,
si riferiscono al risveglio dal coma di un giovane statunitense. In questo
caso, i medici, nel momento in cui si sono accorti che il ragazzo era in
grado di respirare autonomamente, hanno deciso di staccare il
respiratore, perché ormai non era più indispensabile. Una scelta
terapeutica quindi, e non una resa di fronte ad una presunta morte
cerebrale come invece è stato raccontato.
Non è il caso di inoltrarsi in un’analisi dettagliata. Ma è bene
ricordare che ogni Stato ha leggi e normative diverse. L’Italia è tra i
Paesi che hanno adottato una normativa e un insieme di regole e linee
guida estremamente rigorose, dettagliate e prudenziali che hanno
instaurato una pratica omogenea. Questo patrimonio clinico-giuridico
mette al riparo da leggerezze, incompletezze ed errori che potrebbero
invece eventualmente verificarsi in un sistema relativamente
deregolamentato come quello statunitense14, giustificando una
preoccupazione “metodologica”. Il cittadino italiano può perciò sentirsi
estremamente garantito. La legge 578/93 tiene conto degli avanzamenti
tecnologici della medicina, in modo estremamente prudenziale, con
ridondanti garanzie procedurali clinico-strumentali e medico-legali. E
ancora una volta è bene ricordare che questa legge è assolutamente
indipendente dalle attività di prelievo e trapianto d’organi.
L’accertamento è obbligatorio in ogni caso identificato, a prescindere
dalla possibilità di prelievo di organi. In tutto il mondo non si è mai
verificato alcun recupero delle funzioni encefaliche nei soggetti ai quali è
stata determinata la morte con criteri neurologici.
Purtroppo, casi di “risveglio”
registrati all’estero rischiano di
mettere in dubbio i fondamenti
scientifici che stanno alla base
della dichiarazione di morte con
criteri neurologici. In questi casi
perciò vanno sempre sottolineate
le differenze tra la normativa
italiana e quella degli altri Paesi.
14 Greer D.M. et al., Variability of brain death determination guidelines inleading US neurologic institutions. Neurology 70:284-289, 2008
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6. La donazione e il trapianto di organi al cinema
La donazione ed il trapianto di organi
sono stati raccontati da molte pellicole
cinematografiche. Un motivo ricorrente è
quello del traffico illegale di organi15
basato sul prelievo di organi a soggetti
vivi non consenzienti. Ad esempio la
trama di “Coma profondo”, diretto e
sceneggiato da Michael Crichton nel
1978, si basa proprio su un commercio di
organi prelevati da soggetti comatosi, in
una clinica privata. Questo film, grazie
anche alla presenza di Michael Douglas
tra gli attori, e alla sceneggiatura di
Michael Crichton, ebbe uno straordinario successo, al punto da essere
considerato il capofila del genere medical-thriller.
In tempi più recenti il film
“Turistas”, diretto da John Stockwell nel
2006, racconta l’avventura di un gruppo
di giovani turisti in viaggio in Brasile.
Derubati di tutto dopo una festa,
finiscono in una casa al centro della
foresta tropicale. Qui capiscono di essere
entrati in un terribile meccanismo,
organizzato a danno dei malcapitati
turisti di passaggio da un medico locale,
capo di un’organizzazione di criminali
assassini che commercia in organi
umani, per poi portarli ai brasiliani
bisognosi di cure negli ospedali di Rio. Non mancano le scene con
squartamenti e altri particolari raccapriccianti. Il film ha causato reazioni
negative da parte del governo brasiliano, che lo ha accusato di usare lo
15 Sul traffico d’organi non vi sono dati certi a livello globale, nonostante diverse informazioni apparse sulla stampa. C’è il sospetto che il traffico illegale per il trapianto ed il commercio di organi possa avvenire all’interno di singoli paesi quali Cina, India, Nepal, Pakistan e in alcune regioni dell’Africa (Nancy Scheper-Hughes, Il traffico di organi nel mercato globale. Ed. ombre corte, Verona, 2002)
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stereotipo del traffico d’organi e altri pericoli cui sarebbero esposti gli
stranieri in vacanza in Brasile.
Ma attorno alle possibilità offerte
dalla medicina in tema di donazione e
trapianto d’organi sono stati girati anche
alcuni film a carattere comico. È il caso
ad esempio de Il senso della vita
interpretato nel 1983 dal gruppo comico
televisivo britannico dei Monty Python. Il
film, che si è aggiudicato il Grand Prix
Speciale della Giuria al 36° Festival del
Cinema di Cannes, consiste in una serie
di sketch comici sui diversi stadi della
vita. Uno di questi è intitolato “Trapianti
di organi vivi”. Due infermieri si
presentano alla porta di casa di Mr. Brown, iscritto alla lista di donatori
di organi, per prelevargli il fegato. Essendo ancora vivo, l’incredulo Mr.
Brown rifiuta. I due paramedici irrompono allora bruscamente nel
salotto. Mr Brown fa notare che sulla tessera di donatore “c’è scritto in
caso di morte!”. E uno dei due infermieri risponde placidamente:
“nessuno di quelli a cui abbiamo tolto il fegato è mai sopravvissuto!”.
Segue quindi la scena del prelievo “improvvisato”, tra il macabro ed il
grottesco, con tanto di tenaglie e attrezzi da lavoro. Vi assiste la moglie,
la quale non trova niente di meglio da dire che: “è perché ha firmato
una di quelle stupide schede? Tipico di lui, va giù alla biblioteca
comunale, legge dei manifesti e torna a casa tutto pieno di buone
intenzioni…”. Chiede quindi all’infermiere: “che cosa ne fate di tutta
quella roba poi?”. E lui: “serve tutto a salvare vite umane, che
domande!”. Successivamente, uno dei due cerca di convincere la moglie
a donare essa stessa il fegato, con un cantante vestito di rosa, uscito dal
frigorifero, che le mostra le meraviglie della galassia.
Anche il cinema dunque veicola dei messaggi che entrano
nell’ambito della donazione e del trapianto. Questo lavoro non ha come
obiettivo quello di individuare esempi di “buona” e “cattiva”
comunicazione nel linguaggio cinematografico. Sarebbe però
interessante una ricerca in tal senso, al fine anche di comprendere il
reale impatto di questi ed altri film sulla donazione di organi.
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7. Conclusioni
La comunicazione nell’ambito della donazione e del trapianto è sempre
stata considerata una sfida importante, fin da quando, nel 1956, don
Carlo Gnocchi desiderò donare le cornee, primo in Italia, per ridare la
gioia di vedere a due giovani.
Con gli anni le conoscenze scientifiche in ambito medico sono
aumentate al punto che è stato possibile individuare dei criteri sicuri e
condivisi per determinare la morte di una persona con standard
neurologici. Di pari passo la comunicazione giornalistica si è fatta
sempre più attenta e scrupolosa, ma ancor oggi le informazioni fornite
rimangono spesso ambigue, imprecise se non addirittura radicalmente
sbagliate. Queste informazioni possono rimanere nella memoria delle
persone per lungo tempo e riaffiorare all’improvviso, in modo confuso
ma ben presente, nei momenti più difficili della vita, come ad esempio la
morte di un familiare. L’effetto principale è spesso l’incapacità di
accettare la morte come evento definitivo ed irreversibile, specialmente
quando questa è determinata con criteri neurologici. Su questa difficoltà
si fondano tutti i dubbi e le domande che spesso ostacolano la donazione
degli organi.
A volte i giornalisti, magari involontariamente, rischiano di
aumentare le perplessità e i timori, anziché aiutare a dissiparli. Ed è
pertanto importante individuare alcuni punti fermi da seguire quando si
tratta l’argomento donazione e trapianto.
Cosa fare:
1) Verificare sempre le fonti e le informazioni, rivolgendosi
direttamente alle strutture ospedaliere. Mai dare nulla per
scontato. Cercare di tenersi il più possibile aggiornati, anche
partecipando a corsi e seminari sull’argomento.
2) Prestare attenzione alle parole. Se si usano termini medici
bisogna essere certi che siano corretti. Non usare mai espressioni
solitamente utilizzate per persone in vita se si deve descrivere la
condizione di una persona dichiarata morta con criteri
neurologici.
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3) Rispettare sempre la privacy del donatore, dei riceventi e dei
familiari. Non bisogna mai dimenticare che dietro ad un prelievo
e trapianto c’è sempre un grande dolore per la perdita di una
persona cara. La riservatezza va rispettata anche nei casi in cui
non ci sia il consenso al prelievo degli organi. La morte infatti è
un evento che richiede sempre e comunque rispetto e
delicatezza. Ricordare la netta separazione tra l’accertamento di
morte e qualsiasi altra finalità quale l’eventuale possibilità di
donazione degli organi.
4) Non aver paura di chiedere un parere ad un medico esperto in
rianimazione, donazione e trapianto. Oltre a confermare i singoli
dati, si possono ricevere ulteriori informazioni da organizzare in
forma di intervista. Questi approfondimenti sono indispensabili
quando nel testo principale sono contenute dichiarazioni
virgolettate che tradiscono la non conoscenza dei principi medici
e scientifici che stanno alla base della determinazione di morte
con criteri neurologici.
5) Ricordare, quando possibile, che cosa prevede la legge italiana
sia in ambito di donazione e trapianto, sia per quel che riguarda
l’accertamento di morte.
Cosa non fare:
1) Confondere la morte determinata con criteri neurologici con altri
stati comatosi più o meno profondi. Si tratta di condizioni
completamente diverse che devono rimanere sempre
chiaramente distinte.
2) Usare termini medici senza conoscerne il vero significato,
specialmente se abbinati ad aggettivi e avverbi propri della sfera
diagnostica e prognostica.
3) Abbinare immagini tratte da film e telefilm, perché c’è il rischio
concreto che possano veicolare informazioni non corrette.
4) Raccontare gli eventuali “risvegli” dal coma in modo
sensazionalistico, anche qualora questi riguardassero pazienti in
coma da molto tempo.
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5) Scrivere articoli su pazienti ricoverati in strutture all’estero, prima
di aver verificato dettagliatamente tutte le fonti. Spesso nei lanci
di agenzia sono contenute informazioni sbagliate, dovute magari
ad errori di traduzione o trascrizione. In questi casi va sempre
ricordato che la legge italiana è diversa da quella degli altri paesi,
specificando le singole peculiarità.
Queste semplici regole possono contribuire in modo decisivo a migliorare
la comunicazione sul tema donazione e trapianto.
Il primo beneficio che i giornalisti possono trarne è di vedere
riconosciuta la correttezza delle informazioni fornite e quindi fare
acquisire maggiore autorevolezza alla propria firma.
Il secondo beneficio è molto più importante perché riguarda
l’intera società. Una buona comunicazione permette il diffondersi delle
conoscenze mediche e scientifiche, attualmente relegate in ambito
ospedaliero. Tra queste vi sono quelle su cui si basa la determinazione di
morte con criteri neurologici. L’accettazione della morte con questo tipo
di accertamento non è facile da parte dei familiari, perché richiede un
livello di conoscenze ancora non comune tra la popolazione.
Probabilmente non è soltanto questione di conoscenze mediche, ma di
cultura medica. Troppo spesso dimentichiamo che il termine “cultura” è
correlato, se non derivato, da “coltura”. Non c’è cultura che non venga
ultimamente dalla coltura. Dalla coltura della conoscenza medica e
scientifica può diffondersi una cultura capace di aprirsi definitivamente
alla donazione degli organi.
La professione di giornalista prevede quindi una grande
responsabilità, da esercitare con cura ed attenzione, per far sì che la
donazione di organi e tessuti possa essere sempre più una scelta libera
e consapevole, un gesto di generosità capace di ridare la gioia di vivere.
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8. Bibliografia
Archivio storico on-line del quotidiano La Stampa di Torino:
http://www.lastampa.it/archivio-storico/
Balboni G.C. et al., Anatomia Umana. Ed. Ermes, Milano, 1976,
Ristampa 2000 (in lingua inglese)
Beecher, Henry K., A definition of irreversible coma: report of the
Harvard Medical School Comm to examine the definition of brain death.
Journal of the American Medical Association, 1968, 205:85-88
Bernat J.L., Neurology 2008; 70: 252-253 - Editorial
Cantoni G. (a cura di), Il trapianto degli organi. Stampa a cura
dell’Associazione Italiana Donatori Organi, 1998
Canuto G., Tovo G., Medicina legale e delle assicurazioni. Ed. Piccin,
Padova, 1999
Comitato Nazionale per la Bioetica, Questioni bioetiche relative alla
fine della vita umana, 1996
Greer D.M. et al., Variability of brain death determination guidelines
inleading US neurologic institutions. Neurology 2008; 70:284-289
Mollaret P., Goulon M., Le Coma Dépassé. Rev Neurol 101:3-15, 1959
Procaccio F., Donadio P.P., Bernasconi A.M., Gianelli Castiglione
A., Nanni Costa A., Determinazione di morte con standard neurologico,
elementi informativi essenziali, 2011 - disponibile sul sito
http://www.trapianti.salute.gov.it/
Scheper-Hughes N., Il traffico di organi nel mercato globale. Ed.Ombre
Corte, Verona, 2002
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9. Appendice
9.1. Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II al 18°
Congresso Internazionale della Società dei Trapianti
Martedì 29 Agosto 2000
Illustri Signori,
Gentili Signore!
1. Sono lieto di portarvi il mio saluto in occasione di questo Congresso
Internazionale, che vi vede raccolti ad approfondire la complessa e delicata
tematica dei trapianti. Ringrazio i Professori Raffaello Cortesini e Oscar
Salvatierra per le gentili parole che mi hanno rivolto. Un particolare saluto va
alle Autorità Italiane presenti.
A voi tutti esprimo la mia riconoscenza per l'invito a questo incontro,
apprezzando vivamente la disponibilità manifestata a confrontarvi con
l'insegnamento morale della Chiesa, la quale, nel rispetto della scienza e
soprattutto nell'ascolto della legge di Dio, a null'altro mira che al bene integrale
dell'uomo.
I trapianti sono una grande conquista della scienza a servizio dell'uomo e non
sono pochi coloro che ai nostri giorni sopravvivono grazie al trapianto di un
organo. La medicina dei trapianti si rivela, pertanto, strumento prezioso nel
raggiungimento della prima finalità dell'arte medica, il servizio alla vita umana.
Per questo, nella Lettera Enciclica Evangelium vitae ho ricordato che, tra i gesti
che concorrono ad alimentare un'autentica cultura della vita "merita un
particolare apprezzamento la donazione di organi compiuta in forme eticamente
accettabili, per offrire una possibilità di salute e perfino di vita a malati talvolta
privi di speranza" (n. 86).
2. Tuttavia, come accade in ogni conquista umana, anche questo settore della
scienza medica, mentre offre speranza di salute e di vita a tanti, non manca di
presentare alcuni punti critici, che richiedono di essere esaminati alla luce di
un'attenta riflessione antropologica ed etica.
Anche in questa materia, infatti, il criterio fondamentale di valutazione risiede
nella difesa e promozione del bene integrale della persona umana, secondo la
sua peculiare dignità. A tal proposito, vale la pena di ricordare che ogni
intervento medico sulla persona umana è sottoposto a dei limiti che non si
riducono all'eventuale impossibilità tecnica di realizzazione, ma sono legati al
rispetto della stessa natura umana intesa nel suo significato integrale: "Ciò che è
tecnicamente possibile, non è per ciò stesso moralmente ammissibile"
(Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum vitae, 4).
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3. Un primo accento è da porre sul fatto che ogni intervento di trapianto
d'organo, come già in altra occasione ho avuto modo di sottolineare, ha
generalmente all'origine una decisione di grande valore etico: "la decisione di
offrire, senza ricompensa, una parte del proprio corpo, per la salute ed il
benessere di un'altra persona" (cfr Discorso Ai partecipanti ad un Congresso sui
trapianti di organi 20 giugno 1991). Proprio in questo risiede la nobiltà del gesto,
che si configura come un autentico atto d'amore. Non si dona semplicemente
qualcosa di proprio, si dona qualcosa di sé, dal momento che "in forza della sua
unione sostanziale con un'anima spirituale, il corpo umano non può essere
considerato solo come un complesso di tessuti, organi e funzioni..., ma è parte
costitutiva della persona, che attraverso di esso si manifesta e si esprime"
(Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum vitae, 3).
Di conseguenza, ogni prassi tendente a commercializzare gli organi umani o a
considerarli come unità di scambio o di vendita, risulta moralmente
inaccettabile, poiché, attraverso un utilizzo "oggettuale" del corpo, viola la
stessa dignità della persona.
Questo primo punto ha un'immediata conseguenza di notevole rilevanza etica: la
necessità di un consenso informato. La verità umana di un gesto tanto
impegnativo richiede infatti che la persona sia adeguatamente informata sui
processi in esso implicati, così da esprimere in modo cosciente e libero il suo
consenso o diniego. L'eventuale consenso dei congiunti ha un suo valore etico
quando manchi la scelta del donatore. Naturalmente, un consenso con analoghe
caratteristiche dovrà essere espresso da chi riceve gli organi donati.
4. Il riconoscimento della dignità singolare della persona umana ha un'ulteriore
conseguenza di fondo: gli organi vitali singoli non possono essere prelevati che
ex cadavere, cioè dal corpo di un individuo certamente morto. Questa esigenza
è di immediata evidenza, giacché comportarsi altrimenti significherebbe causare
intenzionalmente la morte del donatore prelevando i suoi organi. Nasce da qui
una delle questioni che più ricorrono nei dibattiti bioetici attuali e, spesso, anche
nei dubbi della gente comune. Si tratta del problema dell'accertamento della
morte. Quando una persona è da considerare certamente morta?
Al riguardo, è opportuno ricordare che esiste una sola "morte della persona",
consistente nella totale dis-integrazione di quel complesso unitario ed integrato
che la persona in se stessa è, come conseguenza della separazione del principio
vitale, o anima, della persona dalla sua corporeità. La morte della persona,
intesa in questo senso radicale, è un evento che non può essere direttamente
individuato da nessuna tecnica scientifica o metodica empirica.
Ma l'esperienza umana insegna anche che l'avvenuta morte di un individuo
produce inevitabilmente dei segni biologici, che si è imparato a riconoscere in
maniera sempre più approfondita e dettagliata. I cosiddetti "criteri di
accertamento della morte", che la medicina oggi utilizza, non sono pertanto da
intendere come la percezione tecnico-scientifica del momento puntuale della
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morte della persona, ma come una modalità sicura, offerta dalla scienza, per
rilevare i segni biologici della già avvenuta morte della persona.
5. E' ben noto che, da qualche tempo, diverse motivazioni scientifiche per
l'accertamento della morte hanno spostato l'accento dai tradizionali segni cardio-
respiratori al cosiddetto criterio "neurologico", vale a dire alla rilevazione,
secondo parametri ben individuati e condivisi dalla comunità scientifica
internazionale, della cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica
(cervello, cervelletto e tronco encefalico), in quanto segno della perduta capacità
di integrazione dell'organismo individuale come tale.
Di fronte agli odierni parametri di accertamento della morte, - sia che ci si
riferisca ai segni "encefalici", sia che si faccia ricorso ai più tradizionali segni
cardio-respiratori -, la Chiesa non fa opzioni scientifiche, ma si limita ad
esercitare la responsabilità evangelica di confrontare i dati offerti dalla scienza
medica con una concezione unitaria della persona secondo la prospettiva
cristiana, evidenziando assonanze ed eventuali contraddizioni, che potrebbero
mettere a repentaglio il rispetto della dignità umana.
In questa prospettiva, si può affermare che il recente criterio di accertamento
della morte sopra menzionato, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni
attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli
elementi essenziali di una corretta concezione antropologica. Di conseguenza,
l'operatore sanitario, che abbia la responsabilità professionale di un tale
accertamento, può basarsi su di essi per raggiungere, caso per caso, quel grado
di sicurezza nel giudizio etico che la dottrina morale qualifica col termine di
"certezza morale", certezza necessaria e sufficiente per poter agire in maniera
eticamente corretta. Solo in presenza di tale certezza sarà, pertanto,
moralmente legittimo attivare le necessarie procedure tecniche per arrivare
all'espianto degli organi da trapiantare, previo consenso informato del donatore
o dei suoi legittimi rappresentanti.
6. Un altro aspetto di grande rilievo etico riguarda il problema dell'allocazione
degli organi donati, mediante la formazione delle liste di attesa o "triages".
Nonostante gli sforzi per promuovere una cultura della donazione degli organi, le
risorse attualmente disponibili in molti Paesi risultano ancora insufficienti al
fabbisogno sanitario. Nasce di qui l'esigenza di creare delle liste d'attesa per i
trapianti, secondo criteri certi e motivati.
Dal punto di vista morale, un ben inteso principio di giustizia esige che tali criteri
di assegnazione degli organi donati non derivino in alcun modo da logiche di tipo
"discriminatorio" (età, sesso, razza, religione, condizione sociale, ecc.) oppure di
stampo "utilitaristico" (capacità lavorative, utilità sociale, ecc.). Nella
determinazione delle priorità di accesso ai trapianti ci si dovrà, piuttosto,
attenere a valutazioni immunologiche e cliniche. Ogni altro criterio si rivelerebbe
arbitrario e soggettivistico, non riconoscendo il valore che ogni essere umano ha
in quanto tale, e non per le sue caratteristiche estrinseche.
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7. Un'ultima questione riguarda una possibilità ancora del tutto sperimentale di
risolvere il problema del reperimento di organi da trapiantare nell'uomo: si tratta
dei cosiddetti xenotrapianti, cioè del trapianto di organi provenienti da specie
animali diverse da quella umana.
Non intendo qui affrontare in dettaglio i problemi suscitati da tale procedura. Mi
limito a ricordare che già nel 1956 il Papa Pio XII si poneva l'interrogativo circa
la loro liceità: lo faceva commentando l'eventualità, allora prospettata dalla
scienza, del trapianto di una cornea di animale nell'uomo. La risposta che egli
dava rimane anche oggi illuminante: in linea di principio, egli diceva, la liceità di
uno xenotrapianto richiede, da una parte, che l'organo trapiantato non incida
sull'integrità dell'identità psicologica o genetica della persona che lo riceve;
dall'altra, che esista la provata possibilità biologica di effettuare con successo un
tale trapianto, senza esporre ad eccessivi rischi il ricevente (cfr Discorso
all'Associazione Italiana Donatori di cornea ed ai Clinici Oculisti e Medici legali,
14 Maggio 1956).
8. Nel concludere questo incontro, esprimo l'auspicio che la ricerca scientifico-
tecnologica nel settore dei trapianti, grazie all'opera di tante generose e
qualificate persone, progredisca ulteriormente, estendendosi anche alla
sperimentazione di nuove terapie alternative al trapianto d'organi, come
sembrano promettere alcuni recenti ritrovati protesici. Occorrerà comunque
evitare sempre quei sentieri che non rispettano la dignità ed il valore della
persona; penso in particolare ad eventuali progetti o tentativi di clonazione
umana, allo scopo di ottenere organi da trapiantare: tali procedure, in quanto
implicano la manipolazione e distruzione di embrioni umani, non sono
moralmente accettabili, neanche se finalizzate ad uno scopo in sé buono. La
scienza lascia intravedere altre vie di intervento terapeutico, che non
comportano né la clonazione né il prelievo di cellule embrionali, bastando a tale
scopo l'utilizzazione di cellule staminali prelevabili in organismi adulti. Su queste
vie dovrà avanzare la ricerca, se vuole essere rispettosa della dignità di ogni
essere umano, anche allo stadio embrionale.
E' importante, in tutta questa materia, l'apporto anche dei filosofi e dei teologi,
la cui riflessione sui problemi etici collegati con la terapia dei trapianti,
sviluppata con competenza ed attenzione, potrà portare a meglio precisare i
criteri di giudizio in base ai quali valutare quali tipi di trapianto possano
considerarsi moralmente ammissibili ed a quali condizioni, soprattutto per
quanto concerne i problemi di salvaguardia dell'identità personale.
Confido che non manchi, da parte di quanti hanno responsabilità sociali, politiche
ed educative, un rinnovato impegno nel promuovere un'autentica cultura del
dono e della solidarietà. Occorre seminare nei cuori di tutti, ed in particolare dei
giovani, motivazioni vere e profonde che spingano a vivere nella carità fraterna,
carità che si esprime anche attraverso la scelta di donare i propri organi.
II Signore illumini l'impegno di ciascuno e lo orienti a servire il vero progresso
umano. Accompagno questo auspicio con la mia Benedizione.
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9.2 Note di legislazione
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Ringraziamenti
Desidero ringraziare la prof.ssa Daniela Boresi per l’attenzione, la
disponibilità e i preziosi consigli.
Ringrazio Fondazione Banca degli Occhi del Veneto Onlus per avermi
accolto per svolgere il periodo di stage previsto dal Master. È stato bello
poter imparare tante cose in un ambiente dove professionalità e umanità
si sostengono e rafforzano a vicenda.
Ringrazio i miei colleghi di Master per aver creato insieme un clima di
collaborazione e arricchimento reciproco. Non ho trovato solo dei
compagni di classe, ma dei veri amici.
Ringrazio i miei genitori e la mia famiglia per avermi ancora una volta
sostenuto ed incoraggiato.
Infine ringrazio quel medico dell’AIDO che quando ero al liceo ha perso
una mattinata per spiegare a degli studenti l’importanza della donazione
degli organi. Parte della mia passione per la comunicazione delle scienze
e per questo argomento la devo anche a lui.
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