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Grafica e impaginazioneCompositaStampaTas industria Grafica
© Fotografie Marcello Saba© Testi Paolo Cau © Copyright 2008Composita - SassariMarcello Saba - SassariISBN 88-86471-07-3
Patrocinio del Comune di Sassari
fotografie Marcello Sabatesti Paolo Cau
ICandelieri
Grafiche Editoriali Solinas
Con il Patrocinio del Comune di Sassari
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Grafica e impaginazioneCompositaStampaTas industria Grafica
© Fotografie Marcello Saba© Testi Paolo Cau © Copyright 2008Composita - SassariMarcello Saba - SassariISBN 88-86471-07-3
Patrocinio del Comune di Sassari
fotografie Marcello Sabatesti Paolo Cau
ICandelierii Candelieri
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Presentazione
È con vero piacere che presento alla città di Sassari l’ultima opera dedica-ta alla grande festa dei Candelieri affidata al sapiente scatto del fotografo Marcello Saba e curata da Paolo Cau, direttore dell’Archivio Storico del Comune. Si tratta di una raccolta di immagini che immortalano il 13, 14 e 15 agosto, i tre giorni più intensi e amati dalla nostra città, che vedono ogni sassarese pro-fondamente coinvolto in un rituale di festa che da cinque secoli accompagna, senza sosta, la nostra storia e che trova il culmine nella “discesa” del 14.
È difficile dare una definizione a questo lavoro, non si tratta semplicemente di un libro fotografico; gli autori sono riusciti appieno nel compito assai difficile di cogliere e rappresentare la dinamicità e i colori della festa. “I Candelieri”, infatti, sono come una danza incessante che coinvolge la città e la riempie di musica, colori e voci già prima della “discesa”. In que-sto libro la fotografia non è statica, si muove al ritmo dei tamburi e dei pifferi e ci accompagna in un itinerario che svela i momenti salienti della nostra Festha Manna cogliendone quei particolari e quelle emozioni che la rendono così unica nella sua costante e ardita mescolanza tra popolo, municipalità e chiesa.
Proprio per non turbare il percorso evocativo delle immagini si è deciso di inserire il testo, a cura di Paolo Cau, all’inizio delle tre sezioni in cui è
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Presentazione
È con vero piacere che presento alla città di Sassari l’ultima opera dedica-ta alla grande festa dei Candelieri affidata al sapiente scatto del fotografo Marcello Saba e curata da Paolo Cau, direttore dell’Archivio Storico del Comune. Si tratta di una raccolta di immagini che immortalano il 13, 14 e 15 agosto, i tre giorni più intensi e amati dalla nostra città, che vedono ogni sassarese pro-fondamente coinvolto in un rituale di festa che da cinque secoli accompagna, senza sosta, la nostra storia e che trova il culmine nella “discesa” del 14.
È difficile dare una definizione a questo lavoro, non si tratta semplicemente di un libro fotografico; gli autori sono riusciti appieno nel compito assai difficile di cogliere e rappresentare la dinamicità e i colori della festa. “I Candelieri”, infatti, sono come una danza incessante che coinvolge la città e la riempie di musica, colori e voci già prima della “discesa”. In que-sto libro la fotografia non è statica, si muove al ritmo dei tamburi e dei pifferi e ci accompagna in un itinerario che svela i momenti salienti della nostra Festha Manna cogliendone quei particolari e quelle emozioni che la rendono così unica nella sua costante e ardita mescolanza tra popolo, municipalità e chiesa.
Proprio per non turbare il percorso evocativo delle immagini si è deciso di inserire il testo, a cura di Paolo Cau, all’inizio delle tre sezioni in cui è
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suddiviso il libro e di collocare le didascalie delle fotografie in chiusura; questa scelta consente di poter leggere il libro nella maniera corretta: prima le parole che spiegano il senso della storia, delle tradizioni e dei gesti, poi la loro traduzione data dalle immagini, espressione visiva di tutto ciò che rende la faradda un patrimonio inestimabile di passione civile e religiosa che appartiene ad ognuno di noi e che, nei secoli, è diventato un tesoro custodito da tutta la cittadinanza.
Non ho difficoltà ad affermare che questo libro rappresenta un importante omaggio alla festa dei Candelieri, rivolto sia alla città ma anche a tutti colo-ro che, ogni anno sempre più numerosi, arrivano a Sassari per godere della forza e della passione che si può respirare in questa nostra Festha Manna.Leggere le parole e le immagini di quest’opera consentirà di cogliere più da vicino il senso vero dei nostri Candelieri e la storia rappresentata dagli antichi Gremi.
Gianfranco GanauSindaco di Sassari
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La Festa dei Candelieri
La “faradda” e la sua storia
In tutte le città europee fra Medio Evo e Età Moderna, le feste fanno parte del patrimonio sociale della vita urbana; si svolgevano a intervalli regolari e il loro ritmo era scandito dal calendario religioso e dalle stagioni. Per lo più, si trattava di iniziative a carattere “ufficiale”, organizzate, programma-te e finanziate dai governi cittadini. In quei tempi, anche la vita sociale di Sassari trovava in alcune grandi ricor-renze religiose - la festa dei Candelieri in onore dell’Assunta di Mezz’agosto, in particolare – importanti momenti di identificazione collettiva e efficaci veicoli di sentimenti civici; la parte avuta dal Comune nella costruzione di queste feste «civiche» è stata, ovviamente, di primo piano, lasciando intra-vedere una identificazione di lunga durata tra pratiche religiose e obblighi civici: Santa Maria di Betlem, il «luogo» in cui questa festa va tradizional-mente a concludersi, era la chiesa su cui anticamente il Comune di Sassari vantava il patronato.
La festa dei Candelieri è di indubbia matrice pisana. Nel XIII secolo Sassa-ri mutua da Pisa, di cui era Comune «pazionato», non solo gli ordinamenti municipali su cui si regge la vita politico - istituzionale e socio - economica della città. La fitta trama di scambi e di relazioni con la repubblica marina-ra favorisce l’osmosi di fenomeni che investono la mentalità collettiva e che
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suddiviso il libro e di collocare le didascalie delle fotografie in chiusura; questa scelta consente di poter leggere il libro nella maniera corretta: prima le parole che spiegano il senso della storia, delle tradizioni e dei gesti, poi la loro traduzione data dalle immagini, espressione visiva di tutto ciò che rende la faradda un patrimonio inestimabile di passione civile e religiosa che appartiene ad ognuno di noi e che, nei secoli, è diventato un tesoro custodito da tutta la cittadinanza.
Non ho difficoltà ad affermare che questo libro rappresenta un importante omaggio alla festa dei Candelieri, rivolto sia alla città ma anche a tutti colo-ro che, ogni anno sempre più numerosi, arrivano a Sassari per godere della forza e della passione che si può respirare in questa nostra Festha Manna.Leggere le parole e le immagini di quest’opera consentirà di cogliere più da vicino il senso vero dei nostri Candelieri e la storia rappresentata dagli antichi Gremi.
Gianfranco GanauSindaco di Sassari
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La Festa dei Candelieri
La “faradda” e la sua storia
In tutte le città europee fra Medio Evo e Età Moderna, le feste fanno parte del patrimonio sociale della vita urbana; si svolgevano a intervalli regolari e il loro ritmo era scandito dal calendario religioso e dalle stagioni. Per lo più, si trattava di iniziative a carattere “ufficiale”, organizzate, programma-te e finanziate dai governi cittadini. In quei tempi, anche la vita sociale di Sassari trovava in alcune grandi ricor-renze religiose - la festa dei Candelieri in onore dell’Assunta di Mezz’agosto, in particolare – importanti momenti di identificazione collettiva e efficaci veicoli di sentimenti civici; la parte avuta dal Comune nella costruzione di queste feste «civiche» è stata, ovviamente, di primo piano, lasciando intra-vedere una identificazione di lunga durata tra pratiche religiose e obblighi civici: Santa Maria di Betlem, il «luogo» in cui questa festa va tradizional-mente a concludersi, era la chiesa su cui anticamente il Comune di Sassari vantava il patronato.
La festa dei Candelieri è di indubbia matrice pisana. Nel XIII secolo Sassa-ri mutua da Pisa, di cui era Comune «pazionato», non solo gli ordinamenti municipali su cui si regge la vita politico - istituzionale e socio - economica della città. La fitta trama di scambi e di relazioni con la repubblica marina-ra favorisce l’osmosi di fenomeni che investono la mentalità collettiva e che
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affondano nell’ humus di consolidate tradizioni: tra questi il rito dell’offer-ta di «candeli» alla Madonna di Mezz’agosto da parte delle corporazioni di mestiere della città. In Età Moderna, la tradizione plurisecolare si connota di un significato ancora più profondo sotto il profilo religioso come momento di grande devozione di massa, col Voto della città in onore della Vergine Assunta, intervenuta a porre fine a una delle terribili pestilenze che ciclicamente si abbattevano sulla città di Sassari: già nel 1686 i consiglieri civici potevano affermare che la fiesta de la Asumpta es por voto solemne de la ciudad, de que no hay memoria de hombre.
La “faradda”, il comune, i gremi
L’ aspetto nodale del rapporto tra la festa e i suoi protagonisti è rappre-sentato dalla stretta dipendenza che in Età Moderna vincolava i gremi, le corporazioni di mestiere cittadine, all’autorità civica e regia. Qui basterà ri-cordare per grandi linee che l’evoluzione delle “arti” in Sardegna si articola secondo il modello iberico, affatto diverso da quello comunale italiano: quest’ultimo, anche col suffragio della dottrina giuridica medievale, non prevede alcuna conferma superiore per la costituzione degli addetti ad un mestiere in associazione professionale. Viceversa, le corporazioni nostrane sono caratterizzate da una ben minore autonomia e da una vincolante di-pendenza dall’assenso dell’autorità superiore, civica e regia. Secondo il modello di evoluzione delle corporazioni di mestiere sarde di-segnato da Francesco Loddo Canepa, si sarebbe verificato un passaggio graduale dalla confraria al gremio in una fusione di componenti religioso - assistenziali e di norme per l’esercizio del mestiere. I gremi costituivano dei punti di riferimento essenziali per l’economia ur-bana, partecipando a pieno titolo al cosiddetto bon govern della città: an-che i rappresentanti delle professioni artigiane cittadine vengono chiamati a collaborare con l’amministrazione civica con funzioni di consulenti e ga-ranti tecnici del corretto funzionamento dei rispettivi comparti produtti-
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vi; come tali vengono eletti il secondo giorno di Pentecoste dal consiglio civico appena insediato. Ma negli atti formali di insediamento dei nuovi organismi chiamati annualmente ad affiancare i nuovi amministratori nel governo della città è possibile trovare non soltanto i nomi dei revisors dei ferrers, pelliçers, sastres o dei repartidores delle acque bensì anche quel-li dell’obrer del candeler dei massai e dei mercanti, ad ulteriore conferma della compenetrazione tra il Comune e i gremi nella gestione della festa di Mezz’agosto.
In vari periodi della sua plurisecolare storia, la festa dei Candelieri in onore dell’Assunta ha vissuto momenti di estrema debolezza, tra defezioni delle corporazioni e tentativi di profonda modifica. Pur sempre festa «civica», la componente religioso – devozionale finì per essere la sola alimentata in vir-tù dei tentativi delle autorità civili e religiose di sminuirne la natura popola-resca e di omologarla al modello della processione religiosa. In quest’ottica vanno intesi gli interventi volti ad espungere dalla festa gli elementi più marcatamente profani, ad esempio, attraverso la reintroduzione saltuaria di semplici candeli di cera in luogo delle colonne cilindriche di legno; o ad-dirittura con quella sorta di “sdoppiamento” della festa proposto nel 1853 «eseguendo la processione dei cerei fino a S.Maria di Betelem nella mattina del 15 agosto, lasciando libero alle maestranze di celebrare nella vigilia la festa tutt’affatto profana dei candelieri».Proprio in quel 1853, i gremi avevano avanzato un’istanza per il ripristino della processione del 14 agosto secondo il tradizionale rituale, incassando il diniego del Consiglio Comunale. Ma quando il colera che imperversò in città nell’estate del 1855 impedì lo svolgimento della secolare processione, ancora su richiesta delle corporazioni di mestiere, la discesa dei Candelieri venne spostata eccezionalmente ai primi del dicembre successivo e ripristi-nata secondo l’antico costume. Ciò che nel corso di quel secolo aveva subito un irreversibile mutamento era la funzione dei gremi all’interno del tessuto economico – sociale cittadi-no. Nella seconda metà dell’ Ottocento, lo stretto rapporto che aveva fatto vivere in simbiosi la città di Sassari, il Comune e i gremi viene a spezzarsi:
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affondano nell’ humus di consolidate tradizioni: tra questi il rito dell’offer-ta di «candeli» alla Madonna di Mezz’agosto da parte delle corporazioni di mestiere della città. In Età Moderna, la tradizione plurisecolare si connota di un significato ancora più profondo sotto il profilo religioso come momento di grande devozione di massa, col Voto della città in onore della Vergine Assunta, intervenuta a porre fine a una delle terribili pestilenze che ciclicamente si abbattevano sulla città di Sassari: già nel 1686 i consiglieri civici potevano affermare che la fiesta de la Asumpta es por voto solemne de la ciudad, de que no hay memoria de hombre.
La “faradda”, il comune, i gremi
L’ aspetto nodale del rapporto tra la festa e i suoi protagonisti è rappre-sentato dalla stretta dipendenza che in Età Moderna vincolava i gremi, le corporazioni di mestiere cittadine, all’autorità civica e regia. Qui basterà ri-cordare per grandi linee che l’evoluzione delle “arti” in Sardegna si articola secondo il modello iberico, affatto diverso da quello comunale italiano: quest’ultimo, anche col suffragio della dottrina giuridica medievale, non prevede alcuna conferma superiore per la costituzione degli addetti ad un mestiere in associazione professionale. Viceversa, le corporazioni nostrane sono caratterizzate da una ben minore autonomia e da una vincolante di-pendenza dall’assenso dell’autorità superiore, civica e regia. Secondo il modello di evoluzione delle corporazioni di mestiere sarde di-segnato da Francesco Loddo Canepa, si sarebbe verificato un passaggio graduale dalla confraria al gremio in una fusione di componenti religioso - assistenziali e di norme per l’esercizio del mestiere. I gremi costituivano dei punti di riferimento essenziali per l’economia ur-bana, partecipando a pieno titolo al cosiddetto bon govern della città: an-che i rappresentanti delle professioni artigiane cittadine vengono chiamati a collaborare con l’amministrazione civica con funzioni di consulenti e ga-ranti tecnici del corretto funzionamento dei rispettivi comparti produtti-
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vi; come tali vengono eletti il secondo giorno di Pentecoste dal consiglio civico appena insediato. Ma negli atti formali di insediamento dei nuovi organismi chiamati annualmente ad affiancare i nuovi amministratori nel governo della città è possibile trovare non soltanto i nomi dei revisors dei ferrers, pelliçers, sastres o dei repartidores delle acque bensì anche quel-li dell’obrer del candeler dei massai e dei mercanti, ad ulteriore conferma della compenetrazione tra il Comune e i gremi nella gestione della festa di Mezz’agosto.
In vari periodi della sua plurisecolare storia, la festa dei Candelieri in onore dell’Assunta ha vissuto momenti di estrema debolezza, tra defezioni delle corporazioni e tentativi di profonda modifica. Pur sempre festa «civica», la componente religioso – devozionale finì per essere la sola alimentata in vir-tù dei tentativi delle autorità civili e religiose di sminuirne la natura popola-resca e di omologarla al modello della processione religiosa. In quest’ottica vanno intesi gli interventi volti ad espungere dalla festa gli elementi più marcatamente profani, ad esempio, attraverso la reintroduzione saltuaria di semplici candeli di cera in luogo delle colonne cilindriche di legno; o ad-dirittura con quella sorta di “sdoppiamento” della festa proposto nel 1853 «eseguendo la processione dei cerei fino a S.Maria di Betelem nella mattina del 15 agosto, lasciando libero alle maestranze di celebrare nella vigilia la festa tutt’affatto profana dei candelieri».Proprio in quel 1853, i gremi avevano avanzato un’istanza per il ripristino della processione del 14 agosto secondo il tradizionale rituale, incassando il diniego del Consiglio Comunale. Ma quando il colera che imperversò in città nell’estate del 1855 impedì lo svolgimento della secolare processione, ancora su richiesta delle corporazioni di mestiere, la discesa dei Candelieri venne spostata eccezionalmente ai primi del dicembre successivo e ripristi-nata secondo l’antico costume. Ciò che nel corso di quel secolo aveva subito un irreversibile mutamento era la funzione dei gremi all’interno del tessuto economico – sociale cittadi-no. Nella seconda metà dell’ Ottocento, lo stretto rapporto che aveva fatto vivere in simbiosi la città di Sassari, il Comune e i gremi viene a spezzarsi:
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il progressivo svuotamento degli antichi ordinamenti municipali iberici e la conseguente omologazione del Comune di Sassari al modello comunale piemontese prima e italiano poi avevano già segnato la strada alla progressi-va emarginazione delle antiche corporazioni di mestiere cittadine. A mano a mano che ci si addentra nella moderna età industriale, si assiste ad una trasformazione del loro ruolo: la legge del 1848 le aveva esautorate delle loro competenze in materia di organizzazione del lavoro; la legge del 1864, che ne sancisce la soppressione, è solo l’atto formale che ne ufficializza la to-tale decadenza, segnata anche dall’obiettiva incapacità di affrontare i tempi nuovi imposti dalla produzione industriale e dal concetto di libertà del la-voro. Persi i caratteri della corporazione, i gremi si trasformarono in sempli-ci associazioni con fini mutualistico – assistenziali e devozionali, espressione dell’antica compenetrazione tra spiritualità e mondo del lavoro.
Nelle società fortemente gerarchizzate come la nostra, talvolta la festa ser-viva da valvola di distrazione dalla realtà sociale; non è questo il caso della festa dei Candelieri che semmai era funzionale a perpetuare i valori della comunità, in certi periodi persino a garantirne la sopravvivenza.Al di là degli obblighi e dei divieti contemplati nei regolamenti emanati nel tempo, lo spirito, l’anima, i colori e i suoni della festa non riuscirono ad essere imbrigliati; il suo stesso ritmo, in apparenza spontaneo e irregolare, è in realtà strutturato su una congerie di norme trasmesse con i canali di una tradizione orale consolidatasi nel tempo: ancora oggi, la festa ha mantenuto una propria struttura tradizionale di matrice prettamente “artigiana”, stra-ordinaria espressione della creatività dei gremi sassaresi.
La ”faradda” oggi
Anche se ridimensionati, gli stessi gremi sono stati capaci di dare nuova linfa alla tradizione della faradda, unitamente al Comune e agli enti che lo hanno affiancato nell’azione di recupero della festa: basti pensare al ruolo direttivo esercitato dal Comitato per le Arti Popolari tra gli anni Trenta e
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Quaranta del Novecento e in tempi più recenti alla promozione dell’evento da parte dell’ Azienda Autonoma di Soggiorno di Sassari. Nonostante i momenti di crisi vissuti nel corso della sua plurisecolare storia e nonostante le profonde modificazioni sociali e le stratificazioni culturali che ne hanno segnato il più recente passato, ancora oggi la «discesa» dei Candelieri in onore della Vergine Assunta costituisce un fenomeno socio – culturale assolutamente unico per Sassari e per la sua gente, non sempli-ce spettatore ma vero protagonista della festa, non a caso chiamata festha manna: la sola grande occasione di “unanimismo” in cui si identifica la città in tutte le sue componenti.Sempre, non solo nell’ultimo secolo come potrebbe apparire perché il più documentato, la festa ha costituito per la città un momento di interazione tra società e cultura e di equilibrio tra tradizione e innovazione.
La “faradda” tra sacro e profano
La festa dei Candelieri rientrava in quella sfera della socialità urbana in cui il confine tra laico e sacro non era molto chiaramente definito. Il ballo sfre-nato delle macchine di legno su cui si appuntavano gli strali dell’autorità religiosa non meno di quella laica veniva interpretato come mero esercizio di sfogo di una sorta di “ricreazione popolare”: non il modo con cui l’arti-giano espressione del menu peuple esaltava la sua religiosità, affatto diverso dall’uomo colto e dal chierico anche nel controllo delle risorse espressive e emotive.
Pur rappresentando l’evento un unicum inscindibile, dovendo idealmente sezionare il rituale della festa, si potrebbero cogliere al suo interno due di-stinti momenti. Uno è quello contrassegnato dalla sostanziale laicità della «discesa» dei candelieri che in uno dei tanti luoghi comuni con fondamen-to di verità che l’accompagnano viene definita «la più grande processione senza preti». A loro volta, gli aspetti religiosi costituirebbero con l’origi-nario voto alla Vergine Assunta e con l’offerta simbolica e la benedizione
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il progressivo svuotamento degli antichi ordinamenti municipali iberici e la conseguente omologazione del Comune di Sassari al modello comunale piemontese prima e italiano poi avevano già segnato la strada alla progressi-va emarginazione delle antiche corporazioni di mestiere cittadine. A mano a mano che ci si addentra nella moderna età industriale, si assiste ad una trasformazione del loro ruolo: la legge del 1848 le aveva esautorate delle loro competenze in materia di organizzazione del lavoro; la legge del 1864, che ne sancisce la soppressione, è solo l’atto formale che ne ufficializza la to-tale decadenza, segnata anche dall’obiettiva incapacità di affrontare i tempi nuovi imposti dalla produzione industriale e dal concetto di libertà del la-voro. Persi i caratteri della corporazione, i gremi si trasformarono in sempli-ci associazioni con fini mutualistico – assistenziali e devozionali, espressione dell’antica compenetrazione tra spiritualità e mondo del lavoro.
Nelle società fortemente gerarchizzate come la nostra, talvolta la festa ser-viva da valvola di distrazione dalla realtà sociale; non è questo il caso della festa dei Candelieri che semmai era funzionale a perpetuare i valori della comunità, in certi periodi persino a garantirne la sopravvivenza.Al di là degli obblighi e dei divieti contemplati nei regolamenti emanati nel tempo, lo spirito, l’anima, i colori e i suoni della festa non riuscirono ad essere imbrigliati; il suo stesso ritmo, in apparenza spontaneo e irregolare, è in realtà strutturato su una congerie di norme trasmesse con i canali di una tradizione orale consolidatasi nel tempo: ancora oggi, la festa ha mantenuto una propria struttura tradizionale di matrice prettamente “artigiana”, stra-ordinaria espressione della creatività dei gremi sassaresi.
La ”faradda” oggi
Anche se ridimensionati, gli stessi gremi sono stati capaci di dare nuova linfa alla tradizione della faradda, unitamente al Comune e agli enti che lo hanno affiancato nell’azione di recupero della festa: basti pensare al ruolo direttivo esercitato dal Comitato per le Arti Popolari tra gli anni Trenta e
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Quaranta del Novecento e in tempi più recenti alla promozione dell’evento da parte dell’ Azienda Autonoma di Soggiorno di Sassari. Nonostante i momenti di crisi vissuti nel corso della sua plurisecolare storia e nonostante le profonde modificazioni sociali e le stratificazioni culturali che ne hanno segnato il più recente passato, ancora oggi la «discesa» dei Candelieri in onore della Vergine Assunta costituisce un fenomeno socio – culturale assolutamente unico per Sassari e per la sua gente, non sempli-ce spettatore ma vero protagonista della festa, non a caso chiamata festha manna: la sola grande occasione di “unanimismo” in cui si identifica la città in tutte le sue componenti.Sempre, non solo nell’ultimo secolo come potrebbe apparire perché il più documentato, la festa ha costituito per la città un momento di interazione tra società e cultura e di equilibrio tra tradizione e innovazione.
La “faradda” tra sacro e profano
La festa dei Candelieri rientrava in quella sfera della socialità urbana in cui il confine tra laico e sacro non era molto chiaramente definito. Il ballo sfre-nato delle macchine di legno su cui si appuntavano gli strali dell’autorità religiosa non meno di quella laica veniva interpretato come mero esercizio di sfogo di una sorta di “ricreazione popolare”: non il modo con cui l’arti-giano espressione del menu peuple esaltava la sua religiosità, affatto diverso dall’uomo colto e dal chierico anche nel controllo delle risorse espressive e emotive.
Pur rappresentando l’evento un unicum inscindibile, dovendo idealmente sezionare il rituale della festa, si potrebbero cogliere al suo interno due di-stinti momenti. Uno è quello contrassegnato dalla sostanziale laicità della «discesa» dei candelieri che in uno dei tanti luoghi comuni con fondamen-to di verità che l’accompagnano viene definita «la più grande processione senza preti». A loro volta, gli aspetti religiosi costituirebbero con l’origi-nario voto alla Vergine Assunta e con l’offerta simbolica e la benedizione
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finale dei ceri nella chiesa di S. Maria, rispettivamente il termine «a quo» e «ad quem» della festa dei Candelieri. Questa contrapposizione o, meglio, sovrapposizione dei due momenti del-la festa sembrerebbe trovare conferma anche da un punto di vista più strettamente antropologico laddove la discesa e il ballo delle macchine di legno, espressione dell’ancestrale atto profano propiziatorio per la futura annata agricola, andrebbe a sciogliersi nel complesso della liturgia mariana della festa dell’Assunta come offerta per lo scioglimento di un voto.
Le immagini della Festa:movimenti di luce ritmi di colori
Come avvenimento storico fondante per la comunità, la faradda trova ne-cessariamente riflesso nella produzione fotografica non solo locale: una produzione non facile da indagare perché dispersa in tanti percorsi indi-viduali e tuttavia fondamentale per la comprensione dello sviluppo dell’ immaginario visivo collettivo.
Le immagini che raccontano questa discesa dei Candelieri non si ispirano certamente al concetto di fotografia come «pezzo di realtà»: senza sminu-ire la valenza documentaristica di altri progetti fotografici, il loro intento dichiarato è quello di andare oltre la descrizione del dato meramente eve-nemenziale.
Qui il fotografo, per sua stessa ammissione, guarda i Candelieri dalla parte del neofita, con la mente e lo sguardo scevri dall’esigenza di fissare i mo-menti topici dell’avvenimento o di coglierne i particolari meno noti ai più: ma con la sola esigenza di dare ampiezza comunicativa ad un progetto fon-dato su un modello interpretativo della festa, per così dire, emozionale.
Su questa idea, elegge due aspetti a temi portanti del suo approccio all’even-to che identifica nel movimento e nel colore, elementi che rappresentano il file rouge della ricerca, talvolta intersecandosi molto più spesso sovrap-ponendosi. Le immagini che ritraggono i ceri votivi di legno non danno
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finale dei ceri nella chiesa di S. Maria, rispettivamente il termine «a quo» e «ad quem» della festa dei Candelieri. Questa contrapposizione o, meglio, sovrapposizione dei due momenti del-la festa sembrerebbe trovare conferma anche da un punto di vista più strettamente antropologico laddove la discesa e il ballo delle macchine di legno, espressione dell’ancestrale atto profano propiziatorio per la futura annata agricola, andrebbe a sciogliersi nel complesso della liturgia mariana della festa dell’Assunta come offerta per lo scioglimento di un voto.
Le immagini della Festa:movimenti di luce ritmi di colori
Come avvenimento storico fondante per la comunità, la faradda trova ne-cessariamente riflesso nella produzione fotografica non solo locale: una produzione non facile da indagare perché dispersa in tanti percorsi indi-viduali e tuttavia fondamentale per la comprensione dello sviluppo dell’ immaginario visivo collettivo.
Le immagini che raccontano questa discesa dei Candelieri non si ispirano certamente al concetto di fotografia come «pezzo di realtà»: senza sminu-ire la valenza documentaristica di altri progetti fotografici, il loro intento dichiarato è quello di andare oltre la descrizione del dato meramente eve-nemenziale.
Qui il fotografo, per sua stessa ammissione, guarda i Candelieri dalla parte del neofita, con la mente e lo sguardo scevri dall’esigenza di fissare i mo-menti topici dell’avvenimento o di coglierne i particolari meno noti ai più: ma con la sola esigenza di dare ampiezza comunicativa ad un progetto fon-dato su un modello interpretativo della festa, per così dire, emozionale.
Su questa idea, elegge due aspetti a temi portanti del suo approccio all’even-to che identifica nel movimento e nel colore, elementi che rappresentano il file rouge della ricerca, talvolta intersecandosi molto più spesso sovrap-ponendosi. Le immagini che ritraggono i ceri votivi di legno non danno
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mai l’idea della staticità; la loro sequenza conferisce all’insieme un senso di sospensione: quasi che le macchine di legno, nonostante i loro trecento chili, lievitino leggere verso l’alto rincorrendosi nelle pagine.
Le fotografie, in gergo “desaturate” e scientemente non definite, assolvono ad una funzione assolutamente non descrittiva che non è frutto del caso ma di una ben precisa scelta di campo che tende a decontestualizzare le scene dell’evento, a renderle “senza tempo”. La ricerca a prima vista esasperata della colorimetria ha il compito di traghettare il lettore non in una sara-banda disordinata di sensazioni visive ma attraverso il ritmo colorato della festa e del suo campo inteso come spazio dell’evento: il palcoscenico in cui da sempre interagiscono gli uomini e le istituzioni della faradda.
13 agosto
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mai l’idea della staticità; la loro sequenza conferisce all’insieme un senso di sospensione: quasi che le macchine di legno, nonostante i loro trecento chili, lievitino leggere verso l’alto rincorrendosi nelle pagine.
Le fotografie, in gergo “desaturate” e scientemente non definite, assolvono ad una funzione assolutamente non descrittiva che non è frutto del caso ma di una ben precisa scelta di campo che tende a decontestualizzare le scene dell’evento, a renderle “senza tempo”. La ricerca a prima vista esasperata della colorimetria ha il compito di traghettare il lettore non in una sara-banda disordinata di sensazioni visive ma attraverso il ritmo colorato della festa e del suo campo inteso come spazio dell’evento: il palcoscenico in cui da sempre interagiscono gli uomini e le istituzioni della faradda.
13 agosto
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13 agosto, sera.Il Candeliere d’oro e d’argento.
Fu la Pro Loco di Sassari ad istituire il premio del Can-
deliere d’oro e d’argento nel 1963 da un’idea del suo pre-
sidente storico, l’avvocato Raimondo Rizzu, e dell’allora
capocronista della Nuova Sardegna, Roberto Stefanelli.
L’evento passò in eredità alla locale Azienda Autonoma
di Soggiorno e Turismo che vi apportò dei correttivi or-
ganizzativi, senza però tradirne lo spirito originario.
Già in quegli anni, l’annuale ricorrenza della faradda ri-
chiamava in città non solo folti gruppi di stranieri ma an-
che e soprattutto quei sassaresi che risiedevano all’estero
o in altre regioni italiane: la festha manna costituiva mo-
tivo per un rientro temporaneo tra gli affetti domestici
ed anche occasione per rivivere una pagina unica per un
membro della comunità sassarese che nel giorno dei can-
delieri ritrova, al di là dei luoghi comuni, uno dei mo-
menti espressivi più alti della propria identità.
Simbolo di forte attaccamento alla città natia, i premi
consistevano in due statuine che riproducevano un Can-
deliere d’oro e uno d’argento: in quel 1963 e nei primi
anni della manifestazione, sarebbero stati destinati ri-
spettivamente al concittadino ritornato a Sassari per il
Mezz’agosto dalla nazione più lontana e al concittadino
più anziano residente in una città del Continente. Il pri-
mo Candeliere d’oro fu consegnato a Maria Elisabetta
Mura, che aveva venticinque anni e che era arrivata da
Sidney dopo un viaggio in nave di 16.980 chilometri du-
rato 22 giorni. Il primo Candeliere d’argento andò inve-
ce a Maria Scanu, nata a Sassari nel 1888 e residente a
Genova dal 1917.
L’iniziativa assunta dalla Pro Loco meritò il più ampio
consenso da parte delle autorità e della cittadinanza: i
primi Candelieri d’oro e d’argento vennero consegnati
a Palazzo di Città da Antonio Segni, allora Presiden-
te della Repubblica. Nell’anno istitutivo del premio, il
Candeliere d’oro riproduceva il cero votivo del gremio
dei massai: con l’intendimento, stando alle cronache, di
rispettare per le riproduzioni degli anni successivi l’ordi-
ne di ingresso in S. Maria di Betlem fino al candeliere più
giovane per poi ricominciare un altro ciclo con quello
dei massai. L’impegno per il successivo 1964 era quel-
lo di commissionare allo scultore Costantino Nivola la
creazione dei bozzetti dei due premi che avrebbero così
ottenuto più vasto riconoscimento e valore come opera
d’arte.
Oltre che “premio della nostalgia”, il Candeliere d’oro e
d’argento vennero ribattezzati “oscar della sassareseria”
con un’espressione figlia di quei tempi, che ammiccava
alle statuette consegnate in premio ai personaggi che si
distinguevano nel mondo del cinema. Negli anni si af-
finerà un rituale volto a nobilitare ed esaltare una gior-
nata unica per i partecipanti: tutta giocata sul filo della
memoria, sino all’assegnazione della magica statuina che
suscitava sempre momenti di intensa commozione.
Si iniziava con l’annuncio del bando del concorso da
parte del tamburinaggiu, un ruolo impersonato per molti
anni da mastrhu Giommaria che dava lettura del testo
del bando in sassarese spostandosi da un punto all’altro
del centro storico e fermandosi nei punti più caratteri-
stici della città vecchia, accompagnato dal caratteristico
rullio del tamburo.
La designazione del vincitore del Candeliere d’oro si
basava su una procedura elementare che pur aveva un
suo fascino, quasi da gioco familiare d’antan: presente
un notaio, il presidente della Pro Loco procedeva alla
misurazione delle distanze intercorrenti in linea d’aria
Fu la Pro Loco di Sassari ad istituire il premio del Can-
deliere d’oro e d’argento nel 1963 da un’idea del suo pre-
sidente storico, l’avvocato Raimondo Rizzu, e dell’allora
capocronista della Nuova Sardegna, Roberto Stefanelli.
L’evento passò in eredità alla locale Azienda Autonoma
di Soggiorno e Turismo che vi apportò dei correttivi or-
ganizzativi, senza però tradirne lo spirito originario.
Già in quegli anni, l’annuale ricorrenza della faradda ri-
chiamava in città non solo folti gruppi di stranieri ma an-
che e soprattutto quei sassaresi che risiedevano all’estero
o in altre regioni italiane: la festha manna costituiva mo-
tivo per un rientro temporaneo tra gli affetti domestici
ed anche occasione per rivivere una pagina unica per un
membro della comunità sassarese che nel giorno dei can-
delieri ritrova, al di là dei luoghi comuni, uno dei mo-
menti espressivi più alti della propria identità.
Simbolo di forte attaccamento alla città natia, i premi
consistevano in due statuine che riproducevano un Can-
deliere d’oro e uno d’argento: in quel 1963 e nei primi
anni della manifestazione, sarebbero stati destinati ri-
spettivamente al concittadino ritornato a Sassari per il
Mezz’agosto dalla nazione più lontana e al concittadino
più anziano residente in una città del Continente. Il pri-
mo Candeliere d’oro fu consegnato a Maria Elisabetta
Mura, che aveva venticinque anni e che era arrivata da
Sidney dopo un viaggio in nave di 16.980 chilometri du-
rato 22 giorni. Il primo Candeliere d’argento andò inve-
ce a Maria Scanu, nata a Sassari nel 1888 e residente a
Genova dal 1917.
L’iniziativa assunta dalla Pro Loco meritò il più ampio
consenso da parte delle autorità e della cittadinanza: i
primi Candelieri d’oro e d’argento vennero consegnati
a Palazzo di Città da Antonio Segni, allora Presiden-
te della Repubblica. Nell’anno istitutivo del premio, il
Candeliere d’oro riproduceva il cero votivo del gremio
dei massai: con l’intendimento, stando alle cronache, di
rispettare per le riproduzioni degli anni successivi l’ordi-
ne di ingresso in S. Maria di Betlem fino al candeliere più
giovane per poi ricominciare un altro ciclo con quello
dei massai. L’impegno per il successivo 1964 era quel-
lo di commissionare allo scultore Costantino Nivola la
creazione dei bozzetti dei due premi che avrebbero così
ottenuto più vasto riconoscimento e valore come opera
d’arte.
Oltre che “premio della nostalgia”, il Candeliere d’oro e
d’argento vennero ribattezzati “oscar della sassareseria”
con un’espressione figlia di quei tempi, che ammiccava
alle statuette consegnate in premio ai personaggi che si
distinguevano nel mondo del cinema. Negli anni si af-
finerà un rituale volto a nobilitare ed esaltare una gior-
nata unica per i partecipanti: tutta giocata sul filo della
memoria, sino all’assegnazione della magica statuina che
suscitava sempre momenti di intensa commozione.
Si iniziava con l’annuncio del bando del concorso da
parte del tamburinaggiu, un ruolo impersonato per molti
anni da mastrhu Giommaria che dava lettura del testo
del bando in sassarese spostandosi da un punto all’altro
del centro storico e fermandosi nei punti più caratteri-
stici della città vecchia, accompagnato dal caratteristico
rullio del tamburo.
La designazione del vincitore del Candeliere d’oro si ba-
sava su una procedura elementare che pur aveva un suo
fascino, quasi da gioco familiare d’antan: presente un
notaio, il presidente della Pro Loco procedeva alla mi-
surazione delle distanze intercorrenti in linea d’aria fra
1717
13 agosto, sera.Il Candeliere d’oro e d’argento.
Fu la Pro Loco di Sassari ad istituire il premio del Can-
deliere d’oro e d’argento nel 1963 da un’idea del suo pre-
sidente storico, l’avvocato Raimondo Rizzu, e dell’allora
capocronista della Nuova Sardegna, Roberto Stefanelli.
L’evento passò in eredità alla locale Azienda Autonoma
di Soggiorno e Turismo che vi apportò dei correttivi or-
ganizzativi, senza però tradirne lo spirito originario.
Già in quegli anni, l’annuale ricorrenza della faradda ri-
chiamava in città non solo folti gruppi di stranieri ma an-
che e soprattutto quei sassaresi che risiedevano all’estero
o in altre regioni italiane: la festha manna costituiva mo-
tivo per un rientro temporaneo tra gli affetti domestici
ed anche occasione per rivivere una pagina unica per un
membro della comunità sassarese che nel giorno dei can-
delieri ritrova, al di là dei luoghi comuni, uno dei mo-
menti espressivi più alti della propria identità.
Simbolo di forte attaccamento alla città natia, i premi
consistevano in due statuine che riproducevano un Can-
deliere d’oro e uno d’argento: in quel 1963 e nei primi
anni della manifestazione, sarebbero stati destinati ri-
spettivamente al concittadino ritornato a Sassari per il
Mezz’agosto dalla nazione più lontana e al concittadino
più anziano residente in una città del Continente. Il pri-
mo Candeliere d’oro fu consegnato a Maria Elisabetta
Mura, che aveva venticinque anni e che era arrivata da
Sidney dopo un viaggio in nave di 16.980 chilometri du-
rato 22 giorni. Il primo Candeliere d’argento andò inve-
ce a Maria Scanu, nata a Sassari nel 1888 e residente a
Genova dal 1917.
L’iniziativa assunta dalla Pro Loco meritò il più ampio
consenso da parte delle autorità e della cittadinanza: i
primi Candelieri d’oro e d’argento vennero consegnati
a Palazzo di Città da Antonio Segni, allora Presiden-
te della Repubblica. Nell’anno istitutivo del premio, il
Candeliere d’oro riproduceva il cero votivo del gremio
dei massai: con l’intendimento, stando alle cronache, di
rispettare per le riproduzioni degli anni successivi l’ordi-
ne di ingresso in S. Maria di Betlem fino al candeliere più
giovane per poi ricominciare un altro ciclo con quello
dei massai. L’impegno per il successivo 1964 era quel-
lo di commissionare allo scultore Costantino Nivola la
creazione dei bozzetti dei due premi che avrebbero così
ottenuto più vasto riconoscimento e valore come opera
d’arte.
Oltre che “premio della nostalgia”, il Candeliere d’oro e
d’argento vennero ribattezzati “oscar della sassareseria”
con un’espressione figlia di quei tempi, che ammiccava
alle statuette consegnate in premio ai personaggi che si
distinguevano nel mondo del cinema. Negli anni si af-
finerà un rituale volto a nobilitare ed esaltare una gior-
nata unica per i partecipanti: tutta giocata sul filo della
memoria, sino all’assegnazione della magica statuina che
suscitava sempre momenti di intensa commozione.
Si iniziava con l’annuncio del bando del concorso da
parte del tamburinaggiu, un ruolo impersonato per molti
anni da mastrhu Giommaria che dava lettura del testo
del bando in sassarese spostandosi da un punto all’altro
del centro storico e fermandosi nei punti più caratteri-
stici della città vecchia, accompagnato dal caratteristico
rullio del tamburo.
La designazione del vincitore del Candeliere d’oro si
basava su una procedura elementare che pur aveva un
suo fascino, quasi da gioco familiare d’antan: presente
un notaio, il presidente della Pro Loco procedeva alla
misurazione delle distanze intercorrenti in linea d’aria
18
Sassari e le città capoluogo dei centri di residenza degli
aspiranti con un pezzetto di spago con cui si determina-
va su uno storico mappamondo chi tra i vari partecipanti
provenisse da più lontano.
In caso di spareggio, si sarebbe fatto ricorso alla misu-
razione delle distanze fra i centri di residenza e la città
capoluogo.
Dopo quattordici edizioni, nel 1979, il criterio ed il si-
stema di aggiudicazione del Candeliere d’oro subirono
una modifica: l’artistica statuina non veniva più conse-
gnata al sassarese ritornato in città per i Candelieri dal
luogo più lontano del mondo. Il rituale basato sul miti-
co pezzetto di spago venne sostituito dalla più normale
estrazione di un bussolotto in due successivi sorteggi:
il primo volto a determinare una nazione fra quelle di
provenienza dei concorrenti e il secondo per scegliere il
vincitore fra i concorrenti emigrati in quel paese.
Riferiscono le cronache che qualcuno anche nella stes-
sa commissione del concorso aveva notato che la nuo-
va procedura aveva fatto perdere mordente al rituale
dell’assegnazione del Candeliere d’oro, non al premio
in sé che mantiene ancora intatto il suo vero carattere:
quello della festa per un ritorno nella natia Sassari in oc-
casione del suo giorno più importante. Attualmente il
Candeliere d’oro viene assegnato al sassarese che da più
tempo risiede all’estero.
19
Nel corso degli anni ha subito delle modifiche anche la
procedura dell’assegnazione del Candeliere d’argento col
quale si decise di premiare non il sassarese più anziano
ma quello che da più lungo tempo risiedesse in una città
dell’Italia peninsulare.
Sino ai primi anni Novanta, l’assegnazione avveniva a Pa-
lazzo di Città nella lunga serata del 14 agosto, poco prima
dell’inizio della faradda.
L’esigenza di allungare i tempi della festa, non disgiun-
ta dall’eccessivo sovraffollamento di manifestazioni che
facevano da corollario alla discesa dei Candelieri, ha in-
dotto gli amministratori civici ad anticipare l’evento al
giorno 13.
A quel periodo risale l’istituzione di un nuovo premio
da parte dell’Azienda di Soggiorno, a testimonianza dei
fermenti culturali e sociali sempre vivi a Sassari: ai Can-
delieri d’oro e d’argento, premi della nostalgia e dell’at-
taccamento alla città, viene affiancato il Candeliere spe-
ciale che verrà assegnato a quelle personalità non solo
sassaresi che con la loro capacità e il loro impegno aves-
sero dato lustro alla loro città e alla Sardegna nel campo
dell’economia, della politica, dello sport, della cultura e
delle scienze.
La scelta ebbe il merito di allargare lo spettro dell’ini-
ziativa al di là delle mura cittadine: il sapore sanamente
localistico e un po’ autoreferenziale dei Candelieri d’oro
e d’argento trova nel Candeliere speciale non un’alter-
nativa ma, come diremmo ora, la sua interfaccia con il
riconoscimento e la riconoscenza nei confronti dell’altra
Sardegna.
21
14 agosto
21
14 agosto
22 21
14 agosto
22
La giornata del 14 agosto
La “discesa” dei Candelieri è il passaggio più alto e coinvolgente di un vasto
rituale che avvolge tutta la giornata del 14 agosto, scandita da importanti mo-
menti a livello istituzionale, religioso non meno che individuale: un miscela di
emozioni tra pubblico e privato concentrate in un giorno atteso tutto l’anno
dai protagonisti - i gremianti, vestiti con i costumi della tradizione, i portatori
dei Candelieri, le autorità civiche e quelle religiose – ma anche dalla gente di
Sassari, che non è retorico definire il vero protagonista della festa.
2321
14 agosto
22
La giornata del 14 agosto
La “discesa” dei Candelieri è il passaggio più alto e coinvolgente di un vasto
rituale che avvolge tutta la giornata del 14 agosto, scandita da importanti mo-
menti a livello istituzionale, religioso non meno che individuale: un miscela di
emozioni tra pubblico e privato concentrate in un giorno atteso tutto l’anno
dai protagonisti - i gremianti, vestiti con i costumi della tradizione, i portatori
dei Candelieri, le autorità civiche e quelle religiose – ma anche dalla gente di
Sassari, che non è retorico definire il vero protagonista della festa.
2424
Nel complesso rituale della faradda un ruolo affatto se-
condario viene esercitato da alcuni materiali simbolici
di natura storica che costituiscono l’elemento unificante
del lento e progressivo processo di identificazione della
mentalità collettiva urbana nostrana.
Il gonfalone della città e le mazze d’argento hanno intrin-
seca la forza simbolica dei segni che, al di là della piatta
retorica dei luoghi comuni, incarnano l’austera autorità e
il potere aggregante del Comune nelle sue più complesse
stratificazioni socio – giuridiche.
Il gonfalone della città di Sassari
Sin dai tempi antichi la torre è stata il simbolo “fondan-
te” della città di Sassari che nel Medioevo era circondata
da una cinta muraria provvista di oltre quaranta torri.
Secondo Enrico Costa lo stemma di Torres fu conce-
pito proprio nel Medioevo ed usato per la prima volta
dai Doria, verso la metà del secolo XIII, poco prima o
poco dopo la estinzione del Giudicato di Torres. Quan-
to all’ipotesi di derivazione dello stemma sassarese da
quello in uso nell’antica Turris, l’attuale Porto Torres, lo
storico e archivista sassarese afferma con sarcasmo: «Le
torri non diedero il nome a Turres, ma forse fu Turres
che prese per emblema parlante una torre, pur ignoran-
do le ragioni del proprio battesimo. Cercare le torri a
Torres sarebbe come cercare gli alberi in Arborea e i galli
in Gallura».
Oltre alla torre, “da sempre” simbolo della città, altro
elemento fondante del gonfalone di Sassari è la croce
sabauda che, viceversa, sta significare l’appartenenza re-
lativamente recente di Sassari e di tutta l’isola - a datare
dal 1720 – ai domini di casa Savoia dopo i quattro secoli
passati sotto la dominazione iberica.
Il gonfalone di Sassari ripete lo stemma per così dire “sto-
rico”, concesso alla città da Carlo Emanuele III nel 1767,
che nel linguaggio araldico trova questa descrizione:
inquartato al primo e quarto della croce di Savoia (croce d’argento in campo rosso porpora), al secon-do e terzo d’oro alla torre di colore scarlatto, merla-ta di cinque, aperta e finestrata di rosso porpora.
Lo scudo, ornato di palme, era sormontato dalla corona
marchionale e sostenuto da due «hippopotami natantes»,
termine che nella lingua latina del documento regio del
1767 conservato nell’Archivio di Stato di Cagliari, stava
ad indicare dei “cavalli d’acqua” con le zampe palmate
al posto degli zoccoli.
Mazze e mazzieri
I mazzieri erano gli uomini che precedevano il corpo
municipale di Sassari nelle funzioni solenni imbraccian-
do secondo la tradizione una mazza d’argento: il simbolo
della potestà dell’autorità civica. Non a caso le insegne
del comando municipale potevano essere esposte e por-
tate solo in città e nell’ambito del grande distretto terri-
toriale sottoposto alla sua giurisdizione.
Insegne e simboli
25
Attualmente si conservano quattro mazze, due antiche
e due in copia di fattura molto recente. Delle antiche, la
prima è sprovvista della punzonatura con la data: per la
storica dell’arte Marisa Porcu Gaias venne eseguita nel
1670 ad opera dell’argentiere Giovannni Battista Oddo.
La seconda fu realizzata, in forme non dissimili, nel 1720,
anno del passaggio della Sardegna sotto la dominazione
sabauda, quasi a testimoniare la pervicace resistenza del-
la potestà civica ai cambi di dominazione.
Enrico Costa ricorda, ancora alla fine dell’Ottocento,
l’appellativo di bighetta, corruzione dell’antico verguetta,
impiegato dai sassaresi per chiamare il mazziere.
Secondo il poligrafo padre Angius, il termine verguet-
ta avrebbe un’origine latina, derivata dalle verghe che i
littori di Roma antica erano usi portare nelle cerimonie
pubbliche: tradizione che sarebbe stata introdotta anche
nella colonia romana di Turris, l’attuale Porto Torres.
Probabilmente, la carica e le funzioni del verguetta sono
quelle mutuate dall’amministrazione civica di Sassari ai
tempi del passaggio sotto la dominazione catalano arago-
nese negli anni Venti - Trenta del ‘300, quando si attuò
la grande trasformazione degli ordinamenti municipali
locali con l’estensione del diritto privilegiato urbano bar-
cellonese.
Il numero dei mazzieri variò nel corso del tempo: i docu-
menti d’archivio ne contarono anche cinque. Poi, circa
un secolo fa, tornarono a essere di nuovo due: ancora
oggi è una coppia di mazzieri in livrea rossa a scortare la
2524
Nel complesso rituale della faradda un ruolo affatto se-
condario viene esercitato da alcuni materiali simbolici
di natura storica che costituiscono l’elemento unificante
del lento e progressivo processo di identificazione della
mentalità collettiva urbana nostrana.
Il gonfalone della città e le mazze d’argento hanno intrin-
seca la forza simbolica dei segni che, al di là della piatta
retorica dei luoghi comuni, incarnano l’austera autorità e
il potere aggregante del Comune nelle sue più complesse
stratificazioni socio – giuridiche.
Il gonfalone della città di Sassari
Sin dai tempi antichi la torre è stata il simbolo “fondan-
te” della città di Sassari che nel Medioevo era circondata
da una cinta muraria provvista di oltre quaranta torri.
Secondo Enrico Costa lo stemma di Torres fu conce-
pito proprio nel Medioevo ed usato per la prima volta
dai Doria, verso la metà del secolo XIII, poco prima o
poco dopo la estinzione del Giudicato di Torres. Quan-
to all’ipotesi di derivazione dello stemma sassarese da
quello in uso nell’antica Turris, l’attuale Porto Torres, lo
storico e archivista sassarese afferma con sarcasmo: «Le
torri non diedero il nome a Turres, ma forse fu Turres
che prese per emblema parlante una torre, pur ignoran-
do le ragioni del proprio battesimo. Cercare le torri a
Torres sarebbe come cercare gli alberi in Arborea e i galli
in Gallura».
Oltre alla torre, “da sempre” simbolo della città, altro
elemento fondante del gonfalone di Sassari è la croce
sabauda che, viceversa, sta significare l’appartenenza re-
lativamente recente di Sassari e di tutta l’isola - a datare
dal 1720 – ai domini di casa Savoia dopo i quattro secoli
passati sotto la dominazione iberica.
Il gonfalone di Sassari ripete lo stemma per così dire “sto-
rico”, concesso alla città da Carlo Emanuele III nel 1767,
che nel linguaggio araldico trova questa descrizione:
inquartato al primo e quarto della croce di Savoia (croce d’argento in campo rosso porpora), al secon-do e terzo d’oro alla torre di colore scarlatto, merla-ta di cinque, aperta e finestrata di rosso porpora.
Lo scudo, ornato di palme, era sormontato dalla corona
marchionale e sostenuto da due «hippopotami natantes»,
termine che nella lingua latina del documento regio del
1767 conservato nell’Archivio di Stato di Cagliari, stava
ad indicare dei “cavalli d’acqua” con le zampe palmate
al posto degli zoccoli.
Mazze e mazzieri
I mazzieri erano gli uomini che precedevano il corpo
municipale di Sassari nelle funzioni solenni imbraccian-
do secondo la tradizione una mazza d’argento: il simbolo
della potestà dell’autorità civica. Non a caso le insegne
del comando municipale potevano essere esposte e por-
tate solo in città e nell’ambito del grande distretto terri-
toriale sottoposto alla sua giurisdizione.
Insegne e simboli
25
Attualmente si conservano quattro mazze, due antiche
e due in copia di fattura molto recente. Delle antiche, la
prima è sprovvista della punzonatura con la data: per la
storica dell’arte Marisa Porcu Gaias venne eseguita nel
1670 ad opera dell’argentiere Giovannni Battista Oddo.
La seconda fu realizzata, in forme non dissimili, nel 1720,
anno del passaggio della Sardegna sotto la dominazione
sabauda, quasi a testimoniare la pervicace resistenza del-
la potestà civica ai cambi di dominazione.
Enrico Costa ricorda, ancora alla fine dell’Ottocento,
l’appellativo di bighetta, corruzione dell’antico verguetta,
impiegato dai sassaresi per chiamare il mazziere.
Secondo il poligrafo padre Angius, il termine verguet-
ta avrebbe un’origine latina, derivata dalle verghe che i
littori di Roma antica erano usi portare nelle cerimonie
pubbliche: tradizione che sarebbe stata introdotta anche
nella colonia romana di Turris, l’attuale Porto Torres.
Probabilmente, la carica e le funzioni del verguetta sono
quelle mutuate dall’amministrazione civica di Sassari ai
tempi del passaggio sotto la dominazione catalano arago-
nese negli anni Venti - Trenta del ‘300, quando si attuò
la grande trasformazione degli ordinamenti municipali
locali con l’estensione del diritto privilegiato urbano bar-
cellonese.
Il numero dei mazzieri variò nel corso del tempo: i docu-
menti d’archivio ne contarono anche cinque. Poi, circa
un secolo fa, tornarono a essere di nuovo due: ancora
oggi è una coppia di mazzieri in livrea rossa a scortare la
26 27
Municipalità durante tutto il percorso della faradda dei
Candelieri.
Tra Cinque e Seicento ai mazzieri venne anche affidata
la custodia notturna delle carte comunali più importanti
come i privilegi e i capitoli di corte che erano conservati
dentro la casa comunale dove i mazzieri avevano l’obbli-
go di dormire. In quel tempo, i mazzieri indossavano la
loba o ropon: una zimarra di stoffa scarlatta.
Nei primi decenni dell’Ottocento era di damasco rosso
e nero: i consiglieri civici chiesero al viceré di poter cam-
biare la foggia delle divise dei mazzieri - che potevano
essere confusi con i sacrestani - sostituendo la zimarra
con una normale livrea, di quelle usate dai domestici del-
le famiglie importanti.
La bandiera del gremio dei Massai
La bandiera del gremio dei Massai è un grande drappo
con campo bianco su cui è raffigurata le Vergine del po-
polo, patrona del monastero di San Pietro in Silki, che
ospita la cappella del gremio.
Quello dei Massai è il solo gremio cittadino a non ave-
re la cosiddetta bandera minori, cioè la bandiera piccola
che viene portata dagli obrieri degli altri gremi durante
la discesa dei Candelieri.
La bandiera dei Massai non a caso viene definita anche
stendardo per differenziarla anche a livello terminolo-
gico dalle bandere manne che gli altri gremi impiegano
nelle altre processioni religiose.
2727
Municipalità durante tutto il percorso della faradda dei
Candelieri.
Tra Cinque e Seicento ai mazzieri venne anche affidata
la custodia notturna delle carte comunali più importanti
come i privilegi e i capitoli di corte che erano conservati
dentro la casa comunale dove i mazzieri avevano l’obbli-
go di dormire. In quel tempo, i mazzieri indossavano la
loba o ropon: una zimarra di stoffa scarlatta.
Nei primi decenni dell’Ottocento era di damasco rosso
e nero: i consiglieri civici chiesero al viceré di poter cam-
biare la foggia delle divise dei mazzieri - che potevano
essere confusi con i sacrestani - sostituendo la zimarra
con una normale livrea, di quelle usate dai domestici del-
le famiglie importanti.
La bandiera del gremio dei Massai
La bandiera del gremio dei Massai è un grande drappo
con campo bianco su cui è raffigurata le Vergine del po-
polo, patrona del monastero di San Pietro in Silki, che
ospita la cappella del gremio.
Quello dei Massai è il solo gremio cittadino a non ave-
re la cosiddetta bandera minori, cioè la bandiera piccola
che viene portata dagli obrieri degli altri gremi durante
la discesa dei Candelieri.
La bandiera dei Massai non a caso viene definita anche
stendardo per differenziarla anche a livello terminolo-
gico dalle bandere manne che gli altri gremi impiegano
nelle altre processioni religiose.
2828
14 agosto, mattino. La bandiera dei massai a Palazzo di Città.
Il lungo rituale simbolico che ha come protagonista la
bandiera del gremio dei Massai dura per tutta la giorna-
ta del 14 agosto, scandito da un protocollo non scritto
consolidatosi col tempo: la prima fase ha inizio verso la
tarda mattinata, con l’arrivo dei due mazzieri municipa-
li, simbolo dell’autorità civica, presso la casa dell’obriere
che viene scortato in delegazione a Palazzo Ducale, sede
del Comune.
I Massai si presentano senza le insegne della corporazio-
ne ma con l’asta della bandiera rivestita solo di foglie di
salice; la bandiera è ripiegata su di un vassoio portato dal
capocandeliere, che contiene anche la cuspide dell’asta
raffigurante una Madonna d’argento. Da Palazzo Ducale
si muove un piccolo corteo composto dal sindaco e dai
gremianti in direzione del Palazzo di Città, antica sede
comunale, per dare vita alla vestizione della bandiera del
gremio: l’asta viene spogliata del salice e munita dello
stendardo con l’effigie della Madonna patrona del gre-
mio, per essere infine esposta al balcone del Palazzo di
Città, tra le bandiere di Sassari e della Regione sarda.
2928
14 agosto, mattino. La bandiera dei massai a Palazzo di Città.
Il lungo rituale simbolico che ha come protagonista la
bandiera del gremio dei Massai dura per tutta la giorna-
ta del 14 agosto, scandito da un protocollo non scritto
consolidatosi col tempo: la prima fase ha inizio verso la
tarda mattinata, con l’arrivo dei due mazzieri municipa-
li, simbolo dell’autorità civica, presso la casa dell’obriere
che viene scortato in delegazione a Palazzo Ducale, sede
del Comune.
I Massai si presentano senza le insegne della corporazio-
ne ma con l’asta della bandiera rivestita solo di foglie di
salice; la bandiera è ripiegata su di un vassoio portato dal
capocandeliere, che contiene anche la cuspide dell’asta
raffigurante una Madonna d’argento. Da Palazzo Ducale
si muove un piccolo corteo composto dal sindaco e dai
gremianti in direzione del Palazzo di Città, antica sede
comunale, per dare vita alla vestizione della bandiera del
gremio: l’asta viene spogliata del salice e munita dello
stendardo con l’effigie della Madonna patrona del gre-
mio, per essere infine esposta al balcone del Palazzo di
Città, tra le bandiere di Sassari e della Regione sarda.
30 31
14 agosto, ore 12.Incontro tra i sindaci di Sassari, Palazzo di Città.
Vanta ormai più di un quarto di secolo l’idea di un in-
contro tra il sindaco in carica e i suoi predecessori in
occasione della discesa dei Candelieri: quasi una sorta di
chiamata a raccolta per condividere il significato profon-
do della festa con chi ne ha già sperimentato tensioni e
pulsioni, ma anche un importante momento di riflessio-
ne e di confronto sui problemi della città in cui il sindaco
in carica accetta di buon grado e fa tesoro dell’esperien-
za di quanti lo hanno preceduto nella carica.
Negli ultimi anni sono state avanzate proposte tese a dare
una forma istituzionale più compiuta all’iniziativa che da
incontro di cortesia potrebbe trasformarsi in una sorta
di «senato» dei primi cittadini di Sassari, chiamati a dare
un contributo operativo in termini di idee e di proposte
sui problemi contingenti di maggiore importanza per la
città, tutti accomunati nella fedeltà alla città.
3131
14 agosto, ore 12.Incontro tra i sindaci di Sassari, Palazzo di Città.
Vanta ormai più di un quarto di secolo l’idea di un in-
contro tra il sindaco in carica e i suoi predecessori in
occasione della discesa dei Candelieri: quasi una sorta di
chiamata a raccolta per condividere il significato profon-
do della festa con chi ne ha già sperimentato tensioni e
pulsioni, ma anche un importante momento di riflessio-
ne e di confronto sui problemi della città in cui il sindaco
in carica accetta di buon grado e fa tesoro dell’esperien-
za di quanti lo hanno preceduto nella carica.
Negli ultimi anni sono state avanzate proposte tese a dare
una forma istituzionale più compiuta all’iniziativa che da
incontro di cortesia potrebbe trasformarsi in una sorta
di «senato» dei primi cittadini di Sassari, chiamati a dare
un contributo operativo in termini di idee e di proposte
sui problemi contingenti di maggiore importanza per la
città, tutti accomunati nella fedeltà alla città.
Vanta ormai più di un quarto di secolo l’idea di un in-
contro tra il sindaco in carica e i suoi predecessori in
occasione della discesa dei Candelieri: quasi una sorta di
chiamata a raccolta per condividere il significato profon-
do della festa con chi ne ha già sperimentato tensioni e
pulsioni, ma anche un importante momento di riflessio-
ne e di confronto sui problemi della città in cui il sinda-
co in carica accetta di buon grado e fa tesoro dell’espe-
rienza di quanti lo hanno preceduto nella carica. Negli
ultimi anni sono state avanzate proposte tese a dare una
forma istituzionale più compiuta all’iniziativa che da in-
contro di cortesia potrebbe trasformarsi in una sorta di
«senato» dei primi cittadini di Sassari, chiamati a dare
un contributo operativo in termini di idee e di proposte
sui problemi contingenti di maggiore importanza per la
città, tutti accomunati nella fedeltà alla città.
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14 agosto, mattino. La “vestizione” dei candelieri.
La giornata dei gremianti inizia di primo mattino con la
cosiddetta “vestizione”. Ciascun gremio “veste” - cioè al-
lestisce - il proprio candeliere ancora disadorno presso la
sede del gremio o in casa dell’obriere di candeliere, il gre-
miante che ha l’onore e l’onere della responsabilità del
cero votivo. L’incarico è annuale e la festa rappresenta
per l’obriere di candeliere il momento di verifica del pro-
prio operato nella preparazione complessiva dell’evento.
Realizzati in legno, i candelieri non superano quattro
quintali di peso. Si compongono di tre parti: una par-
te superiore a forma di capitello sul quale vengono si-
stemate numerose bandierine e il gagliardetto col nome
dell’obriere di candeliere; dalla cima del cero di legno
pendono i lunghi nastri colorati (li betti) che i bambini
del gremio arrotolano e srotolano intorno al fusto duran-
te la faradda; il fusto del candeliere è alto tre metri e ha
un diametro di quaranta centimetri; sulla sua superficie
sono dipinti l’immagine del santo patrono e i simboli del
gremio; una base - con quattro stanghe incrociate e otto
postazioni per il trasporto a braccia - completa la macchi-
na di legno nella parte inferiore.
Per tradizione, il capitello, la base e il fusto dei candelie-
ri vengono conservati nelle cappelle che i gremi hanno
nelle di chiese di S. Maria, S. Nicola e S. Agostino. Inve-
ce, le stanghe usate per il loro trasporto vengano affida-
te all’obriere “di stanga, il gremiante che occupa il terzo
posto nella gerarchia del gremio dopo l’obriere maggiore
e l’obriere di candeliere.
Propedeutica alla “vestizione” vera e propria è la fase
del recupero delle parti del candeliere custodite presso
i rispettivi luoghi sacri e della ricomposizione della mac-
china di legno con le parti conservate nell’abitazione
dell’obriere.
Il cerimoniale dell’ allestimento dei ceri votivi è semplice
e all’insegna dell’informalità, sempre accompagnato da
33
situazioni conviviali che hanno il compito di stemperare
la tensione e favorire la socializzazione tra i gremianti e
anche una funzione propedeutica: una sorta di buon via-
tico per affrontare le asperità della faradda.
E’ tradizione recente quella di aprire la sede della “ve-
stizione” del candeliere - o almeno gli spazi antistanti -
al pubblico che ha così modo di entrare più in sintonia
con lo spirito della festa e di arrivare preparato al grande
evento.
Parallelamente si è andata consolidando la prassi del
passaggio delle autorità municipali presso i luoghi della
“vestizione”, una sorta di petit tour cittadino che va oltre
il semplice atto formale della visita di cortesia. I gremi
ricevono i rappresentanti civici da buoni padroni di casa:
un atto che serve per suggellare ulteriormente, se mai ce
ne fosse bisogno, il sodalizio tra gli attori protagonisti
della faradda, un rapporto talvolta contrastato a causa
delle turbolenze che potremmo definire “fisiologiche”
della festa.
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14 agosto, mattino. La “vestizione” dei candelieri.
La giornata dei gremianti inizia di primo mattino con la
cosiddetta “vestizione”. Ciascun gremio “veste” - cioè al-
lestisce - il proprio candeliere ancora disadorno presso la
sede del gremio o in casa dell’obriere di candeliere, il gre-
miante che ha l’onore e l’onere della responsabilità del
cero votivo. L’incarico è annuale e la festa rappresenta
per l’obriere di candeliere il momento di verifica del pro-
prio operato nella preparazione complessiva dell’evento.
Realizzati in legno, i candelieri non superano quattro
quintali di peso. Si compongono di tre parti: una par-
te superiore a forma di capitello sul quale vengono si-
stemate numerose bandierine e il gagliardetto col nome
dell’obriere di candeliere; dalla cima del cero di legno
pendono i lunghi nastri colorati (li betti) che i bambini
del gremio arrotolano e srotolano intorno al fusto duran-
te la faradda; il fusto del candeliere è alto tre metri e ha
un diametro di quaranta centimetri; sulla sua superficie
sono dipinti l’immagine del santo patrono e i simboli del
gremio; una base - con quattro stanghe incrociate e otto
postazioni per il trasporto a braccia - completa la macchi-
na di legno nella parte inferiore.
Per tradizione, il capitello, la base e il fusto dei candelie-
ri vengono conservati nelle cappelle che i gremi hanno
nelle di chiese di S. Maria, S. Nicola e S. Agostino. Inve-
ce, le stanghe usate per il loro trasporto vengano affida-
te all’obriere “di stanga, il gremiante che occupa il terzo
posto nella gerarchia del gremio dopo l’obriere maggiore
e l’obriere di candeliere.
Propedeutica alla “vestizione” vera e propria è la fase
del recupero delle parti del candeliere custodite presso
i rispettivi luoghi sacri e della ricomposizione della mac-
china di legno con le parti conservate nell’abitazione
dell’obriere.
Il cerimoniale dell’ allestimento dei ceri votivi è semplice
e all’insegna dell’informalità, sempre accompagnato da
33
situazioni conviviali che hanno il compito di stemperare
la tensione e favorire la socializzazione tra i gremianti e
anche una funzione propedeutica: una sorta di buon via-
tico per affrontare le asperità della faradda.
E’ tradizione recente quella di aprire la sede della “ve-
stizione” del candeliere - o almeno gli spazi antistanti -
al pubblico che ha così modo di entrare più in sintonia
con lo spirito della festa e di arrivare preparato al grande
evento.
Parallelamente si è andata consolidando la prassi del
passaggio delle autorità municipali presso i luoghi della
“vestizione”, una sorta di petit tour cittadino che va oltre
il semplice atto formale della visita di cortesia. I gremi
ricevono i rappresentanti civici da buoni padroni di casa:
un atto che serve per suggellare ulteriormente, se mai ce
ne fosse bisogno, il sodalizio tra gli attori protagonisti
della faradda, un rapporto talvolta contrastato a causa
delle turbolenze che potremmo definire “fisiologiche”
della festa.
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14 agosto, pomeriggio. Preliminari della festa: l’arrivo dei gremi in Piazza Castello.
I ceri di legno vengono trasportati dalle varie sedi dei
gremi sino al luogo di raduno in Piazza Castello. Partico-
larmente significativo è l’arrivo dei ceri votivi dalla parte
bassa del corso Vittorio Emanuele, che in una sorta di
backstage effettuano il percorso della faradda al contra-
rio.
I rappresentanti delle antiche corporazioni entrano nella
vicina chiesa del Rosario per rendere omaggio alla Ma-
donna con la bandiera piccola. Non è casuale il passag-
gio dei gremi in questa chiesa: c’è un nesso profondo tra
i “luoghi” e la faradda, che il tempo non riesce a scal-
fire anche a dispetto delle modifiche sopravvenute nel
percorso a causa del mutato scenario urbanistico. Sino
a metà Ottocento, il corteo partiva dall’antica chiesa di
S. Caterina situata nell’attuale Piazza Azuni: dopo sua
demolizione, avvenuta nel 1853, luogo di partenza del-
la processione dei Candelieri divenne proprio la vicina
chiesa del Rosario.
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14 agosto, ore 18. La “faradda”.
Attualmente il corteo dei Candelieri prende le mosse dal
luogo di raduno in Piazza Castello secondo un rigoroso
ordine di sfilata basato su un sapiente mix di antico e
moderno. Se da un lato tiene conto dell’ anzianità di “di-
scesa” delle corporazioni, dall’altro è anche rispettoso
della gerarchia tramandata dalle antiche ordinanze civi-
che e dalla tradizione.
Così non è un caso che ad aprire la processione sia il
pur antico gremio dei Fabbri, ammesso solo di recente
(2007) tra i gremi di candeliere, seguito dalle “arti” en-
trate a far parte della faradda – almeno a livello singolo
e non sotto le insegne di altre corporazioni – nel corso
del Novecento: Piccapietre (1955), Viandanti (1941),
Contadini (1937), Falegnami (1922). Poi è il turno dei
gremi che sia pur attraverso momenti di grave declino
sono titolari di una plurisecolare presenza nella storica
“discesa”: gli Ortolani e i Calzolai, seguiti ad anni alterni
dai Sarti o dai Muratori. L’ultimo posto spetta di diritto
ai Massai, per la posizione di indiscusso privilegio rive-
stita “da sempre”.
Il percorso della processione è rimasto immutato nel
tempo, con la sola eccezione del luogo di partenza: il
corteo dei ceri scende lungo il corso Vittorio Emanuele
per poi transitare davanti a Porta Sant’Antonio, imboc-
care corso Vico e concludersi a tarda sera nella chiesa di
Santa Maria di Betlem.
La “discesa” può essere vista come una lunga azione
scenica in cui gremianti e portatori dei candelieri intera-
giscono con una folla festante di sassaresi ai quali si uni-
scono in un mix di eterogeneità frotte di turisti coinvolti
nel ritmo incalzante della festa.
A differenza di altre feste che hanno per protagoniste le
macchine a spalla, la faradda non è semplice esibizione
di forza fisica: qui le evoluzioni dei ceri di legno sono
governate dalla regia sapiente del capocandeliere che
riesce a motivare, per usare un eufemismo, gli otto por-
tatori non solo col bora bora ma anche con un’efficace
mimica facciale.
I passi e le movenze degli uomini addetti al trasporto
sono quelli della tradizione non scritta: solo in tempi re-
centi lo zigozago e lu passu di la bandera sono divenuti
oggetto di studio.
Quella che un tempo veniva definita la «processione» dei
Candelieri si basa su una partitura solo a prima vista ele-
mentare: il trasporto dei ceri di legno intervallato dalle
pause “fisiologiche” per dosare le energie dei portatori.
In realtà, anche la faradda ha un suo ordine processio-
nale e la musica ne è in qualche misura il trait d’union
che fa interrompere la processione con le evoluzioni dei
candelieri al ritmo di piffero e tamburo e della banda.
Infatti, la faradda di ogni gremio è scandita da una serie
di soste dedicate al ballo del candeliere: anche se talvolta
la scelta dei luoghi deputati al ballo lungo il percorso
può apparire casuale, è invece legata a situazioni in qual-
che misura legate al gremio e ai gremianti.
Viceversa, uno dei momenti di maggiore intensità e coin-
volgimento è senz’altro rappresentato dal ballo per così
dire “istituzionale” dei candelieri davanti a Palazzo di
Città in onore del sindaco e della Municipalità che a sua
volta scende in strada per un saluto, un ringraziamento
ed uno scambio di battute: forse si tratta di una consue-
tudine non antica e irrituale, ma è il solo momento della
festa in cui tutti i gremi, espressione delle anime antiche
della città, possono entrare in contatto con i rappresen-
tanti civici.
Attualmente il corteo dei Candelieri prende le mosse dal
luogo di raduno in Piazza Castello secondo un rigoroso
ordine di sfilata basato su un sapiente mix di antico e
moderno. Se da un lato tiene conto dell’ anzianità di “di-
scesa” delle corporazioni, dall’altro è anche rispettoso
della gerarchia tramandata dalle antiche ordinanze civi-
che e dalla tradizione.
Così non è un caso che ad aprire la processione sia il pur
antico gremio dei Fabbri, ammesso solo di recente (2007)
tra i gremi di candeliere, seguito dalle “arti” entrate a far
parte della faradda – almeno a livello singolo e non sotto
le insegne di altre corporazioni – nel corso del Novecento:
Piccapietre (1955), Viandanti (1941), Contadini (1937),
Falegnami (1922). Poi è il turno dei gremi che sia pur
attraverso momenti di grave declino sono titolari di una
plurisecolare presenza nella storica “discesa”: gli Ortolani
e i Calzolai, seguiti ad anni alterni dai Sarti o dai Muratori.
L’ultimo posto spetta di diritto ai Massai, per la posizione
di indiscusso privilegio rivestita “da sempre”.
Il percorso della processione è rimasto immutato nel
tempo, con la sola eccezione del luogo di partenza: il
corteo dei ceri scende lungo il corso Vittorio Emanuele
per poi transitare davanti a Porta Sant’Antonio, imboc-
care corso Vico e concludersi a tarda sera nella chiesa di
Santa Maria di Betlem.
La “discesa” può essere vista come una lunga azione
scenica in cui gremianti e portatori dei candelieri intera-
giscono con una folla festante di sassaresi ai quali si uni-
scono in un mix di eterogeneità frotte di turisti coinvolti
nel ritmo incalzante della festa.
A differenza di altre feste che hanno per protagoniste le
macchine a spalla, la faradda non è semplice esibizione
di forza fisica: qui le evoluzioni dei ceri di legno sono
governate dalla regia sapiente del capocandeliere che
riesce a motivare, per usare un eufemismo, gli otto por-
tatori non solo col bora bora ma anche con un’efficace
mimica facciale.
I passi e le movenze degli uomini addetti al trasporto
sono quelli della tradizione non scritta: solo in tempi re-
centi lo zigozago e lu passu di la bandera sono divenuti
oggetto di studio.
Quella che un tempo veniva definita la «processione»
dei Candelieri si basa su una partitura solo a prima vista
elementare: il trasporto dei ceri di legno intervallato dal-
le pause “fisiologiche” per dosare le energie dei portato-
ri. In realtà, anche la faradda ha un suo ordine proces-
sionale e la musica ne è in qualche misura il trait d’union
che fa interrompere la processione con le evoluzioni dei
candelieri al ritmo di piffero e tamburo e della banda.
Infatti, la faradda di ogni gremio è scandita da una serie
di soste dedicate al ballo del candeliere: anche se talvolta
la scelta dei luoghi deputati al ballo lungo il percorso
può apparire casuale, è invece legata a situazioni in qual-
che misura legate al gremio e ai gremianti.
Viceversa, uno dei momenti di maggiore intensità e coin-
volgimento è senz’altro rappresentato dal ballo per così
dire “istituzionale” dei candelieri davanti a Palazzo di
Città in onore del sindaco e della Municipalità che a sua
volta scende in strada per un saluto, un ringraziamento
ed uno scambio di battute: forse si tratta di una consue-
tudine non antica e irrituale, ma è il solo momento della
festa in cui tutti i gremi, espressione delle anime antiche
della città, possono entrare in contatto con i rappresen-
tanti civici.
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14 agosto, ore 18. La “faradda”.
Attualmente il corteo dei Candelieri prende le mosse dal
luogo di raduno in Piazza Castello secondo un rigoroso
ordine di sfilata basato su un sapiente mix di antico e
moderno. Se da un lato tiene conto dell’ anzianità di “di-
scesa” delle corporazioni, dall’altro è anche rispettoso
della gerarchia tramandata dalle antiche ordinanze civi-
che e dalla tradizione.
Così non è un caso che ad aprire la processione sia il
pur antico gremio dei Fabbri, ammesso solo di recente
(2007) tra i gremi di candeliere, seguito dalle “arti” en-
trate a far parte della faradda – almeno a livello singolo
e non sotto le insegne di altre corporazioni – nel corso
del Novecento: Piccapietre (1955), Viandanti (1941),
Contadini (1937), Falegnami (1922). Poi è il turno dei
gremi che sia pur attraverso momenti di grave declino
sono titolari di una plurisecolare presenza nella storica
“discesa”: gli Ortolani e i Calzolai, seguiti ad anni alterni
dai Sarti o dai Muratori. L’ultimo posto spetta di diritto
ai Massai, per la posizione di indiscusso privilegio rive-
stita “da sempre”.
Il percorso della processione è rimasto immutato nel
tempo, con la sola eccezione del luogo di partenza: il
corteo dei ceri scende lungo il corso Vittorio Emanuele
per poi transitare davanti a Porta Sant’Antonio, imboc-
care corso Vico e concludersi a tarda sera nella chiesa di
Santa Maria di Betlem.
La “discesa” può essere vista come una lunga azione
scenica in cui gremianti e portatori dei candelieri intera-
giscono con una folla festante di sassaresi ai quali si uni-
scono in un mix di eterogeneità frotte di turisti coinvolti
nel ritmo incalzante della festa.
A differenza di altre feste che hanno per protagoniste le
macchine a spalla, la faradda non è semplice esibizione
di forza fisica: qui le evoluzioni dei ceri di legno sono
governate dalla regia sapiente del capocandeliere che
riesce a motivare, per usare un eufemismo, gli otto por-
tatori non solo col bora bora ma anche con un’efficace
mimica facciale.
I passi e le movenze degli uomini addetti al trasporto
sono quelli della tradizione non scritta: solo in tempi re-
centi lo zigozago e lu passu di la bandera sono divenuti
oggetto di studio.
Quella che un tempo veniva definita la «processione» dei
Candelieri si basa su una partitura solo a prima vista ele-
mentare: il trasporto dei ceri di legno intervallato dalle
pause “fisiologiche” per dosare le energie dei portatori.
In realtà, anche la faradda ha un suo ordine processio-
nale e la musica ne è in qualche misura il trait d’union
che fa interrompere la processione con le evoluzioni dei
candelieri al ritmo di piffero e tamburo e della banda.
Infatti, la faradda di ogni gremio è scandita da una serie
di soste dedicate al ballo del candeliere: anche se talvolta
la scelta dei luoghi deputati al ballo lungo il percorso
può apparire casuale, è invece legata a situazioni in qual-
che misura legate al gremio e ai gremianti.
Viceversa, uno dei momenti di maggiore intensità e coin-
volgimento è senz’altro rappresentato dal ballo per così
dire “istituzionale” dei candelieri davanti a Palazzo di
Città in onore del sindaco e della Municipalità che a sua
volta scende in strada per un saluto, un ringraziamento
ed uno scambio di battute: forse si tratta di una consue-
tudine non antica e irrituale, ma è il solo momento della
festa in cui tutti i gremi, espressione delle anime antiche
della città, possono entrare in contatto con i rappresen-
tanti civici.
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