Varianti del paradigma dominante
- Teoria verificazionista del significato
- Teoria del riferimento diretto
Alternative al paradigma dominante
- Filosofia del linguaggio ordinario (Austin,
secondo Wittgenstein)
- Significato come intenzione comunicativa
(Grice)
- Semantiche cognitive
- Contestualismo (Recanati, Travis)
Teoria verificazionista
Neopositivisti (Carnap, Schlick, Neurath, Feigl,
Waismann, Reichenbach, Hempel …):
Il significato di un enunciato è dato dal suo
metodo di verificazione
Quindi: se a un enunciato non è possibile
associare un metodo di verificazione,
l’enunciato è privo di senso (evidente influenza
del Tractatus)
Lo sfondo della teoria verificazionista
Concezione epistemologica: empirismo
Obiettivo: rendere scientifica la filosofia,
“ripulendola” dalla metafisica
Strategia: far vedere che le proposizioni
metafisiche sono insensate
Criterio di sensatezza: verificabilità ( teoria
verificazionista del significato)
Caso particolare: enunciati della logica e della
matematica
Lo sfondo della teoria verificazionista
Distinzione analitico/sintetico:
Enunciati sintetici: veri in virtù di come è fatto il
mondo; empiricamente verificabili
Enunciati analitici: veri per convenzione (veri in
senso vacuo): sono giustificabili solo in quanto
deducibili da assiomi scelti convenzionalmente.
La scelta degli assiomi risponde solo a criteri
pragmatici (scelgo quelli che mi danno più
vantaggi teorici). Non ci sono fatti in forza dei
quali un insieme di assiomi è meglio di un altro
( geometrie non euclidee)
Lo sfondo della teoria verificazionista
Diversi tipi di enunciati analitici:
Tautologie logiche: “Piove o non piove”
Enunciati matematici: “Il quadrato costruito
sull’ipotenusa è pari alla somma dei quadrati
costruiti sui cateti”. “Due + due = quattro”
Tautologie semantiche: “Nessuno scapolo è
sposato”. “Se qualcosa è verde, allora non è
blu”.
* Casi dubbi di tautologie semantiche: “le balene
sono animali”
Sistemi assiomatici
Assiomi: enunciati che si assumono veri (perché apparentemente non controversi o per convenzione)
Teoremi: enunciati derivabili (= dimostrabili) dagli assiomi applicando per un numero finito di volte le regole logiche.
Regole: schemi inferenziali che specificano, dato un enunciato E, che cosa segue da quell’enunciato (= se ho ottenuto E in un processo dimostrativo, allora posso proseguire scrivendo E*)
Sistemi assiomatici
Esempi
assiomi: P (QP); (P & Q) P; P (P v Q);
P v ~ P (assioma del “terzo escluso”)
teoremi: ~ (P & Q) ~ P v ~Q
P v (~P & Q) P v Q
regole: P, PQ├ Q
PvQ, PR, QR ├ R
Critiche al principio di verificazione
1) Il principio di verificazione è inverificabile,
quindi, in base a quanto esso stesso prescrive,
è insensato (problema dell’autoapplicazione).
o il principio è falso, o deve essere analitico
(vero in senso vacuo)
Carnap: il principio non è empirico, va valutato
pragmaticamente, sulla base dei vantaggi
teorici che ne conseguono. È una esplicazione
(stipulativa) della nozione informale di
significato.
Critiche al principio di verificazione
2) Come stabiliamo quali sono i metodi di
conferma ammissibili (validi)?
Problema degli “enunciati protocollari” (=
osservativi)
(“ora percepisco una macchia blu”: solipsismo,
fenomenismo?)
Critiche al principio di verificazione
3) Sembra impossibile trovare un criterio per fissare il metodo di conferma capace da un lato di scartare tutte le proposizioni metafisiche, o comunque quelle chiaramente insensate, e dall’altro di tenere tutte le proposizioni scientifiche.
Esempi:
“questo teorema logico è verde” (I. Berlin)
- proposizioni universali (“tutti i cigni sono bianchi”)
- proposizioni che contengono termini che si riferiscono a inosservabili (es. forza)
Critiche ad analitico/sintetico: Quine
Due dogmi dell’empirismo (Quine 1951):
- La distinzione analitico/sintetico non può
essere fondata perché è impossibile dare una
definizione o un criterio di analiticità.
- Gli enunciati di una teoria si sottopongono al
“tribunale dell’esperienza” non uno alla volta
ma come insieme solidale non ha senso
associare un metodo di verificazione al singolo
enunciato
- La distinzione tra la scienza (inclusa la “buona”
filosofia) e la (“cattiva”) metafisica è illusoria
Quine 1951
Non disponiamo di un criterio per stabilire quali enunciati sono analitici.
I concetti di sinonimia, necessità e analiticità sono l’uno definito nei termini dell’altro.
Non c’è modo di distinguere un presunto enunciato analiticamente vero da un enunciato che esprime uno stato di cose della realtà che sussiste necessariamente.
«La tesi più potente di Quine…[è] che non c’è un buon argomento fondato sulla nozione di verità in senso vacuo e su quella di indipendenza dall’oggetto di discorso che sia in grado di avvalorare la distinzione tra i supposti casi di enunciati analitici (…) e gli altri tipi di verità.»
(Burge p. 11)
«Non è stato trovato un fondamento chiaro e ragionevole per la distinzione tra verità dipendenti esclusivamente dal significato e verità dipendenti, oltre che dal significato, da caratteristiche (…) dell’oggetto di discorso.»
(Burge p. 14)
Critiche all’analiticità (Quine)
Nemmeno gli enunciati della logica sono analitici: anche volendo ammettere che gli assiomi
«(…) siano veri in base a una stipulazione convenzionale, derivare le conseguenze degli assiomi richiede già l’assunzione della logica: i principi fondamentali della logica sembrano precedere qualsiasi attività che sia descrivibile come una specificazione del significato linguistico.» (Burge, p. 12)
Critica di Quine all’analiticità-2
analitico-2 = derivabile dagli assiomi + le
definizioni
«(…) non c’è una distinzione
esplicativamente utile tra I postulati teorici
ordinari e gli asserti che danno il significato
dei termini, o tra le attribuzioni di un
cambiamento di significato e le attribuzioni
di un cambiamento di credenza»
(Burge, p. 15)
Critica di Quine all’analiticità-2
Esempi
postulato teorico: “per un punto passano infinite
rette”;
postulato di significato: “per ogni x, se x è una
rosa, allora x è un fiore”
Si immagini di scoprire che i gatti siano robot
telecomandati da Marte: cambia il significato
della parola ‘gatto’ o cambiano le nostre
credenze sui gatti in carne ed ossa?
Tesi di Duhem-Quine
(“olismo della conferma”)
«Le nostre asserzioni sul mondo esterno affrontano il tribunale dell’esperienza non singolarmente ma come [parti di] un insieme solidale» (Quine 1951)
Un conflitto con l’esperienza causa un riaggiustamento complessivo di una parte della teoria piuttosto che le revisione di un singolo enunciato (metafora del “campo di forze”)
La teoria del riferimento diretto
E’ una riforma interna al paradigma (in quanto mantiene almeno due dei tre assunti fondamentali) o un’interpretazione antifregeana del paradigma.
“Defregeanizza” il paradigma, sotto due aspetti:
- alcune espressioni si riferiscono al loro portatore senza la mediazione di alcun senso, (il che suggerisce che esse non abbiano senso ma solo riferimento)
- il valore cognitivo non è una proprietà semantica
Perché i nomi hanno riferimento diretto
(Kripke 1970)
Se ai nomi (propri) fosse associata una descrizione che ne determina il riferimento (descrizione = senso), allora un enunciato come
‘Aristotele = il maestro di Alessandro Magno’
sarebbe
• Tautologico
• Necessario
• Vero a priori
(il che chiaramente non è).
Perché i nomi hanno riferimento diretto
(Kripke 1970)
Perché nel ragionamento controfattuale ordinario teniamo fisso il referente del nome, sottraendogli (o aggiungendogli) proprietà a piacere.
Quando di (p. es.) Aristotele diciamo che non è stato il maestro di Alessandro Magno, o che era un grande lanciatore di giavellotto, è sempre di Aristotele che stiamo parlando
I nomi propri sono designatori rigidi
Kripke 1970:
la teoria della designazione rigida
I nomi propri e i nomi di specie naturale e di sostanza sono
designatori rigidi: denotano lo stesso “oggetto” in ogni
mondo possibile.
In un altro mondo possibile l’oggetto è lo stesso, anche se
le sue proprietà sono differenti.
Problema: come faccio a dire che l’oggetto è lo stesso
se gli cambio eventualmente tutte le proprietà?
Replica: “Un mondo possibile non è un paese lontano (…)
che vediamo attraverso un telescopio”. I mondi
possibili sono stipulazioni linguistiche.
Kripke 1970:
la questione dell’essenzialismo
Essenzialismo? Non necessariamente: parliamo
come se l’essenzialismo fosse vero, il che non
prova che lo sia.
“almeno alcune tra queste [= di Kripke] tesi
metafisiche possono essere accolte con minore
fastidio se le si intende come una pura e
semplice esplicitazione di assunzioni che sono
parte della visione del mondo propria del senso
comune.” (Casalegno 2011, p. 100).
Kripke 1970:
la teoria della designazione rigida
La teoria vale non solo per i nomi propri ma anche per i
nomi di sostanza e specie naturale:
acqua, uranio, quercia, leone, …
Dunque per una classe molto vasta di nomi c’è
un’unica proprietà semantica: il riferimento.
(anche se K. non dice proprio così)
Conseguenze
Ci sono enunciati necessari a posteriori
(es. “l’acqua è H2O”, “Espero è Fosforo”)
Ci sono enunciati contingenti a priori
(es. “Il metro-campione è lungo un metro”)
Un enunciato è analitico se è sia necessario sia a
priori (ma resta difficile caratterizzare la classe
degli enunciati analitici).
Contingenti a priori
Recentemente è uscita la notizia che il kilogrammo
campione era “ingrassato” di 10 microgrammi.
Dunque Kripke ha ragione su un punto: l’enunciato
“il Kg campione pesa 1 Kg” può essere falso!
(era vero solo contingentemente).
Eppure, se vero (quando era vero), era vero a
priori. Forse l’enunciato citato da Kripke era contingente a priori soltanto
quando il campione fissava davvero l’unità di misura?
[ i contingenti a priori sono casi rarissimi, casi-limite?]
Riferimento diretto: punti fondamentali
• I nomi propri e i nomi di specie naturale e di sostanza non sono sinonimi di descrizioni; il loro riferimento non è mediato da alcuna descrizione questi nomi non hanno un senso ma solo un riferimento
• Ci sono enunciati necessari a posteriori
• I fattori epistemici sono irrilevanti per la semantica: un nome proprio designa ciò che designa quali che siano le descrizioni che il parlante vi associa
Riferimento diretto: la teoria causale
Le descrizioni (o qualsiasi altra cosa siano i
“sensi”) non fissano il riferimento.
I nomi acquistano un riferimento in virtù di una
sorta di battesimo iniziale, quindi il nome si
tramanda tramite una catena di usi tali che i
parlanti intendono usare il nome in modo
conforme agli usi precedenti.
Tutt’al più una descrizione può essere usata per
introdurre (contingentemente) un nome, ma da
quel momento in poi la descrizione non svolge
alcun ruolo nell’uso del nome.
Riferimento diretto: la teoria causale
Le descrizioni non hanno alcun ruolo semantico,
nemmeno nel fissare il riferimento. Infatti:
1) l’uso di un nome proprio è referenzialmente
efficace anche se non sappiamo associare al
nome descrizioni identificanti (al limite, anche se
non sappiamo associare alcuna descrizione)
Es. “Feynman”
2) l’uso di un nome proprio è referenzialmente efficace
anche se associamo al nome descrizioni erronee.
Es. “Peano”
Riferimento diretto: Putnam 1975
L’intensione (senso) non può fissare il
riferimento e allo stesso tempo essere
un valore cognitivo.
La teoria del significato (verocondizionale) è
distinta dalla teoria della comprensione.
(ma su questo punto ha in parte modificato la propria
posizione)
Putnam 1975: Terra gemella
Due parlanti (Oscar e Oscar-2) che abitano due
mondi identici salvo che sull’uno (Terra
gemella) nei fiumi, laghi e rubinetti c’è XYZ
(una sostanza superficialmente identica
all’acqua ma con una struttura chimica
diversa) associano alla parola ‘acqua’ lo
stesso “file mentale” (lo stesso senso), eppure
si riferiscono a entità diverse: il valore
cognitivo non fissa il riferimento.
Putnam: la divisione del lavoro linguistico
Teoria della divisione del lavoro linguistico:
Il fatto che per molte parole che usiamo abbiamo assai poche conoscenze sui loro riferimenti è compensato dal fatto che, all’interno della società, queste conoscenze sono possedute da altri: ci sono delle “autorità” semantiche, che variano da classi di parole a classi di parole, a cui i parlanti si rimettono per quanto concerne il significato (e il riferimento) delle parole (“deferenza” semantica).
Putnam: la teoria dello stereotipo
Teoria dello stereotipo:
Lo stereotipo è ciò che i parlanti normalmente si comunicano in un’interazione linguistica. È l’insieme dei tratti tipici associati al riferimento di un’espressione
Es. stereotipo di limone = <giallo, rugoso, aspro>
NB Lo stereotipo non fissa il riferimento, ovvero non è l’intensione
(un limone verde è pur sempre un limone!)
Chi non conosce lo stereotipo associato a una parola viene giudicato semanticamente incompetente.
Critiche alla teoria del riferimento diretto
- Nomi vuoti (senza una descrizione come possiamo
riferirci a qualcosa di inesistente?)
- Sostituzione di co-referenziali rigidi nei contesti di
credenza non è salva veritate
- Realismo metafisico? Se nomi di sostanza e specie
naturale sono rigidi, c’è un unico modo vero, reale, in
cui la realtà è “ritagliata”. Eppure le nostre ontologie
sembrano riflettere sempre un punto di vista.
Critiche alla teoria del riferimento diretto
- La scissione fra teoria del significato (intesa come
teoria del riferimento e di ciò che lo determina) e
teoria della comprensione rende la teoria del
significato poco interessante se ciò che interessa è
capire come comprendiamo e usiamo il linguaggio.
- Se il significato è ciò che conosciamo quando
comprendiamo un’espressione non si vede perché
bisognerebbe considerare come teoria del significato
una teoria che ha poco o nulla da dire sulla
comprensione.
Riferimento diretto: Kaplan
Espressioni indicali: sono quelle espressioni che acquistano un riferimento solo in un contesto extralinguistico (es. ‘io’, ‘qui’, ‘oggi’)
Le espressioni indicali sono designatori rigidi. Una volta fissato il contesto, il loro riferimento è lo stesso in ogni mondo possibile.
Attenzione: contesto ≠ mondo possibile ! Prima si fissa il contesto (e si valuta l’espressione), poi ci si
chiede che cosa l’espressione denota in un altro mondo possibile.
“Essenzialità” degli indicali
Come i nomi propri, gli indicali non sono sinonimi
di alcuna descrizione, nemmeno nel caso di
‘io’ e ‘parlante nel contesto’ (come pure
sembrerebbe ovvio!) Infatti, mentre ‘io’ è
rigido, ‘il parlante nel contesto’ NON è rigido:
in un altro mondo possibile potrebbe essere
qualcun altro a parlare, non io (mentre io
continuo ad essere io).
gli indicali non sono intersostituibili salva
veritate, p. es., nei contesti epistemici
(“essenzialità degli indicali”).
Contenuto e carattere
Indicali propri e indicali impropri: ai primi, ma non ai secondi, è associata una “regola linguistica” che consente di individuare il loro referente nel contesto. Es. la regola linguistica associata ad ‘io’ è “il parlante (nel contesto)”.
Indicali impropri: sono i pronomi dimostrativi (‘questo’, ‘quello’) e alcuni pronomi personali (‘egli’, ‘lei’)
La regola linguistica prende il nome di carattere dell’espressione, e può essere considerata il significato linguistico dell’espressione (N.B. non è il senso di Frege!)
Si definisce contenuto dell’indicale il riferimento dell’espressione indicale (nei vari mondi). Il contenuto è determinabile solo dopo aver fissato un contesto.
Contenuto e carattere
Più precisamente:
• Il carattere è una funzione da contesti a contenuti (fissato un contesto, risulta determinato il riferimento dell’espressione).
• Il contenuto è una funzione da mondi possibili a estensioni, cioè è l’intensione dell’indicale. Poiché gli indicali sono designatori rigidi, il contenuto è una funzione costante.
Contenuto e carattere
L’enunciato
‘Io sono qui ora’
è, in base alla teoria presentata, CONTINGENTE, ma ANALITICO (!): esso è vero in virtù del significato delle parole (e quindi vero in ogni contesto), e nondimeno potrebbe essere falso.
Al contrario, l’enunciato
‘Io sono Alfredo Paternoster’
non è analitico, perché il suo valore di verità dipende dal contesto, ma è NECESSARIO (perché la determinazione del suo statuto modale si fa solo dopo aver fissato il contesto).
Quine: Word and object (1960)
Imperscrutabilità del riferimento e indeterminatezza
della traduzione
Esperimento della traduzione radicale:
Come faccio a stabilire se ‘gavagai’ si riferisce ai
conigli, alle parti di un coniglio, ai segmenti
temporali di un coniglio?
Non c’è nessun fatto che mi può far decidere per
l’una o l’altra di queste opzioni.
Quine: Word and object (1960)
Imperscrutabilità del riferimento e indeterminatezza
della traduzione
Faccio un’ipotesi al riguardo. Via via che traduco altri
enunciati, l’ipotesi può essere corroborata o
smentita?
Quine: ogni ipotesi può essere mantenuta
coerentemente.
Ci sono più “manuali di traduzione” incompatibili
tra loro ma egualmente “buoni” (coerenti ed
empiricamente adeguati).
Quine: Word and object (1960)
Imperscrutabilità del riferimento e indeterminatezza
della traduzione
Il riferimento è determinato solo relativamente a un
intero linguaggio. Non c’è una nozione assoluta
di riferimento (relatività ontologica).
La nozione intensionale di significato è oscura, ma
nemmeno la nozione di riferimento può costituire
una base solida per la teoria semantica.
Chomsky vs. Quine
- Non è vero che gli unici dati disponibili al linguista
sono le disposizioni all’assenso/dissenso ai
proferimenti ( intuizioni su grammaticalità)
- (di conseguenza) La correttezza di un manuale di
traduzione non dipende soltanto dall’aderenza al
comportamento verbale osservato
(inaccettabili assunzioni comportamentistiche)
- L’indeterminatezza della traduzione non è altro che
un caso particolare di un problema generale: la
sottodeterminatezza delle teorie (scientifiche)
Chomsky vs. Quine
Replica di Quine:
L’indeterminatezza non è la stessa cosa della
sottodeterminazione delle teorie. Infatti:
1) (se si è realisti scientifici) le teorie sono sottodeterminate
rispetto alle osservazioni, ma c’è un modo in cui stanno
le cose (c’è, in linea di principio, una teoria giusta);
invece, nel caso del linguaggio, non c’è una traduzione
giusta perché non ci sono fatti in base ai quali stabilire
che è quella giusta.
2) (se si è antirealisti scientifici) una volta scelta una teoria
(una qualsiasi), l’indeterminatezza resta, quindi
l’indeterminatezza si aggiunge alla sottodeterminazione.
Chomsky vs. Quine
Controreplica a Quine
1 presuppone il comportamentismo. Non è vero che i
fatti collassano sulle osservazioni.
2 presuppone che il linguaggio non faccia parte della
natura.
(su 1 molto probabilmente ha ragione Chomsky. Su
2 la questione è assai controversa, ma gli
argomenti di Chomsky sono deboli perché una
cosa è la grammatica, un’altra è il riferimento).