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Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il piano di risanamento, alla luce del decreto correttivo della riforma
della legge fallimentare. Il decreto correttivo alla riforma organica delle procedure concorsuali del d.
lgs. n. 5/2006 e al d. l. n. 35/2005 che aveva modificato la disciplina delle
revocatorie e del concordato preventivo incide profondamente sulla disciplina
del concordato, tanto preventivo, quanto fallimentare e anche sugli accordi di
ristrutturazione dei debiti, con l’intento di render più facilmente percorribili tali
procedure.
In attuazione della previsione della legge delega ( art. 1, comma 5, 5 bis e 6
della legge n. 80/05, come modificato dall’art. 1 , comma 3, della legge n.
5/06) il legislatore delegato ha emanato un decreto legislativo correttivo e
integrativo della riforma organica delle procedure concorsuali, che entrerà in
vigore dal 1° gennaio 2008, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7.09.2007.
Il decreto introduce delle importanti novità in tema di concordato preventivo e
di accordi di ristrutturazione dei debiti ( oltre che di concordato fallimentare e
di concordato nella procedura di liquidazione coatta amministrativa),
rimediando ad alcune disarmonie e carenze della precedente riforma
organica delle procedure e accentuando l’impostazione privatistica della
riforma, con l’ulteriore contrazione dei poteri di controllo di merito del
Tribunale e del giudice delegato a tutto favore dell’autonomia delle scelte del
ceto dei creditori.
Una prima osservazione riguarda la tecnica legislativa utilizzata dal
legislatore, per modificare le norme sul concordato preventivo e gli accordi di
ristrutturazione, in quanto si è scelto di andare ad incidere su una legge
formale ( l n. 80/05, che aveva convertito in legge il d. l. n. 35/05 c. d. sulla
competitività) con un decreto legislativo in attuazione di una delega, che
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atteneva esclusivamente alle integrazioni da inserire nel d. lgs. n. 5/06 sulla
riforma organica delle procedure concorsuali, con il rischio di una possibile
incostituzionalità di tali norme per eccesso di delega.
La scelta legislativa sembra orientata tanto nel concordato preventivo e in
quello fallimentare, quanto negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei
piani di risanamento a privilegiare la volontà dei creditori, rimettendo solo ad
essi la valutazione dei propri interessi e la decisione di proporre delle
iniziative giudiziali volte alla loro tutela, limitando il potere del Tribunale alla
valutazione del merito e quindi della convenienza delle proposte alle sole
ipotesi di opposizione dei creditori dissenzienti.
Una prima importante modifica volta anche a rimediare ad una evidente
disarmonia del sistema riguarda la possibilità di soddisfare in percentuale
anche i creditori privilegiati, in tal modo rendendo molto più agevole il ricorso
alla procedura di concordato preventivo, senza costringere il debitore a
passare per le forche caudine della dichiarazione di fallimento e della
successiva proposizione della domanda di concordato fallimentare, ove era
già prevista la possibilità di classi differenziate di creditori privilegiati, oppure
di dover ricorrere necessariamente agli accordi di ristrutturazione dei debiti,
ove non vige il principio della par condicio creditorum.
In precedenza nell’ambito del concordato preventivo e a differenza di quanto
previsto per il concordato fallimentare, stando al dato letterale della norma,
non era possibile offrire un pagamento in percentuale ai creditori privilegiati,
neppure in riferimento a quella parte del credito destinata a rimanere in tutti i
casi insoddisfatta, avuto riguardo al presumibile valore di realizzo dei beni su
cui insisteva il privilegio, essendo rimasto immutato il principio che i creditori
privilegiati non essendo ammessi al voto, pena la perdita del privilegio,
dovevano essere pagati per l’intero e senza dilazione.
Sia in dottrina che in giurisprudenza dopo l’entrata in vigore della legge di
riforma era pertanto iniziato un vivace dibattito in merito all’interpretazione di
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tale norma, che secondo una prima interpretazione più letterale non poteva
consentire la formazione di classi di creditori privilegiati, dovendo gli stessi
essere pagati senza dilazione e integralmente, a prescindere dalla capienza
o meno dei beni su cui si esercitava la prelazione, atteso che i creditori
privilegiati non potevano votare, se non perdendo il diritto al loro privilegio e
quindi non potevano essere chiamati ad esprimere il loro parere sulla
proposta di concordato e di suddivisione in classi, mentre secondo una
diversa interpretazione consentiva, in analogia con quanto previsto nella
nuova disciplina del concordato fallimentare, il pagamento in percentuale
anche dei creditori muniti di privilegio o di prelazione ipotecaria o pignoratizia
e questo sulla base della considerazione che l’art 182 ter in materia di
transazione fiscale, già prevedeva il pagamento di determinati creditori
privilegiati ( vale a dire quelli di natura erariale) in percentuale, sempre che
non si creassero disparità di trattamento con alter classi di privilegiati con
interessi omogenei, con la conseguenza che tale principio doveva ritenersi
estensibile a tutte le ipotesi concordatarie1.
Per incentivare il ricorso a questo tipo di procedura e risolvere i dubbi
interpretativi il decreto correttivo molto opportunamente ha previsto che
anche la proposta di concordato preventivo possa contemplare il pagamento
in percentuale dei creditori privilegiati, sempre ché la misura del
soddisfacimento proposta non sia inferiore a quella realizzabile in base al
presumibile valore di mercato ( vale a dire presumibile valore di realizzo) dei
beni sui quali il privilegio cade.
Alcuni dubbi erano sorti sull’interpretazione della prima stesura della norma in
esame che faceva riferimento al possibile pagamento parziale dei creditori
muniti di privilegio, pegno e ipoteca, in quanto la legittimità della proposta di
1 v. sul decreto correttivo fra i primi commenti, Lo Cascio, L’intervento correttivo ed integrativo del decreto n. 5/2006, in Fallimento, n. 8 /06, 865 e ss.; id. , Il curatore nel concordato fallimentare, in Fallimento, 9/07, 1098 e ss; Guglielmucci, , Diritto Fallimentare, Aggiornato con il decreto correttivo, 7.09.2007, 321 e ss., Torino, 2007 e G. Ripa, Il concordato preventivo, in La riforma del fallimento, Guida giuridico normativa, 148 e ss., Italia Oggi, 2007
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pagamento in percentuale poggiava sul presupposto dell’incapienza dei
singoli beni cui la prelazione si riferisce, con la conseguenza che si era
ipotizzato, sulla scorta di una analoga discussione in materia di concordato
fallimentare, che la regola riguardasse i soli privilegi speciali e non quelli
generali ( art. 2751 bis in particolare), anche se il quadro interpretativo già
deponeva per una interpretazione estensiva, alla luce delle norme sulla
transazione fiscale, che non facevano alcuna distinzione fra privilegi speciali
e privilegio generale.
Molto opportunamente il testo definitivo licenziato precisa invece,
analogamente alla modifica introdotta per il concordato fallimentare, che la
percentuale offerta non deve essere inferiore a quella realizzabile, in ragione
della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto
riguardo al valore di mercato attribuibile ai “ beni o diritti” sui quali sussiste
la causa di prelazione, anche se in dottrina alcuni commentatori hanno
espresso delle perplessità su una tale interpretazione del testo .
In particolare alcuni sottolineano come la limitazione introdotta dal decreto
correttivo per i creditori muniti di privilegio speciale, in analogia alla regola
valevole in materia di esecuzioni individuali, dove i creditori procedenti o
intervenuti si possono soddisfare nei limiti della capienza del bene pignorato,
non possa essere estesa a quelli dotati di privilegio generale, perché non si
può ipotizzare nel concordato una insufficienza del patrimonio su cui si
esercita il privilegio generale, ma tale tesi non mi sembra condivisibile, in
quanto già nel concordato fallimentare si ammetteva che tale principio
valesse tanto per i creditori muniti di privilegio speciale, quanto per quelli
muniti di privilegio generale , sempre che fosse possibile dimostrare che
anche questi ultimi sarebbero stati parzialmente incapienti in caso di
liquidazione, sulla base o di una perizia giurata di stima di tutti i beni su cui si
esercita il privilegio generale o della formazione di una apposita classe di
creditori, con la conseguenza che nel caso di dissenso di tale classe il
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tribunale sarebbe stato chiamato a verificare che fosse loro riservato un
trattamento non peggiore di quello che avrebbero ottenuto in caso di
liquidazione.
Questa soluzione si impone in quanto non appare possibile che il legislatore
abbia voluto trattare diversamente i creditori muniti di privilegio speciale,
impedendo che possano trarre indebito vantaggio a spese degli altri creditori
chirografari, in caso di in capienza dei beni, rispetto ai creditori muniti di
privilegio generale e le norme sulla transazione fiscale depongono in tal
senso, atteso che l’art. 182 ter già disponeva la possibilità di pagamento
parziale del debito tributario assistito da privilegio generale in misura “ … non
inferiore a quella offerta ai creditori con grado di privilegio più basso o che
abbiano una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli
delle agenzie fiscali”, implicitamente contemplando non solo la possibilità di
un pagamento in percentuale dei debiti fiscali assistiti da privilegio sia
generale che speciale, ma anche della formazione di altre classi omogenee di
creditori con diritto di prelazione, sia speciale che generale.
Tale interpretazione trova inoltre particolare conforto nella relazione
accompagnatoria al decreto correttivo, ove viene precisato che la possibilità
di offrire un pagamento in percentuale, sia nel concordato preventivo, che nel
concordato fallimentare, riguarda non solo i creditori muniti di privilegio
speciale , nella parte in cui sia incapiente rispetto al presumibile valore di
realizzo del bene, ma anche i creditori muniti di privilegio generale, sempre
nella stessa misura di mancata capienza dei beni e quindi dell’intero
patrimonio mobiliare, comprensivo delle possibili azioni revocatorie e
recuperatorie ( e anche immobiliare ex art. 2776 cod. civ.) cui la prelazione si
riferisce.
La novella prevede inoltre che analogamente a quanto avviene nel
concordato fallimentare i creditori privilegiati soggetti alla falcidia votano nei
limiti della parte di credito scaduto a chirografo, anche se solo la diversa
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soluzione di far votare anche questi creditori per l’intero loro credito avrebbe
scongiurato un possibile profilo di disparità di trattamento con i creditori
chirografari che votano per l’intero loro credito.
In precedenza prima della riforma della disciplina del concordato fallimentare
i creditori privilegiati potevano accettare un pagamento in percentuale
solamente rinunziando parzialmente al diritto di prelazione ex art. 127, 3°
comma l. fall. , mentre ora l’accettazione della proposta di concordato con
una falcidia dei creditori privilegiati prevede ex art. 125, 4° comma la
necessaria creazione di classi di creditori, che esprimeranno il loro voto
nell’ambito della loro classe , nei limiti della parte retrocessa a chirografo (
127, 2° c.) e poi per la parte chirografaria nella classe dei creditori
chirografari.
Nel caso in cui un creditore dissenziente contesti la convenienza della
proposta il Tribunale potrà omologare il concordato solo qualora ritenga che il
credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore
rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Infine la norma precisa che il trattamento stabilito per ciascuna classe non
può avere l’effetto di alterare l’ordine delle clausole legittime di prelazione e
che la rinunzia parziale al privilegio ha effetto ai soli fini del concordato.
La norma aggiunge inoltre, analogamente a quanto previsto dagli artt. 67,
terzo comma, lett. d), 161 terzo coma e 182 bis primo comma che il
professionista abilitato a presentare la relazione giurata deve possedere i
requisiti previsti dall’art. 28, lett. a), b) e deve essere iscritto nel registro dei
revisori contabili.
Il terzo comma dell’art. 161 prevede che il piano e la documentazione di cui ai
commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un
professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma , lett. d),
che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, in tal modo
uniformando i requisiti richiesti sia dalle norme sul concordato preventivo, sia
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da quelle sugli accordi di ristrutturazione dei crediti e dei piani di risanamento
stabilendo che l’esperto chiamato a redigere le attestazioni previste dai citati
articoli,sia necessariamente iscritto nel registro dei revisori contabili e questo
per il carattere marcatamente tecnico contabile della relazione.
Le modifiche introdotte con il decreto correttivo non sciolgono invece il nodo
sui poteri attribuiti al Tribunale in sede di ammissione della procedura e
anche di omologazione del concordato, in quanto rimane l’incertezza circa
l’ampiezza del sindacato del Tribunale circa il merito della proposta.
E’ noto che sull’ampiezza dei poteri del tribunale di vagliare il merito della
proposta e quindi la fattibilità del piano, tanto in sede di ammissione , quanto
in sede di omologa si è sviluppato un vivace dibattito sia dottrinale , che
giurisprudenziale, con alcune pronunzie orientate nel senso del mero
controllo formale sulla completezza e regolarità della documentazione
allegata alla domanda in sede di ammissione, o di mero controllo del
raggiungimento delle maggioranze in fase di omologazione , salvo il caso di
dissenso di una o più classi di creditori e altre maggioritarie orientate nel
senso del potere del Tribunale , quantomeno in sede di omologa, di verifica
anche nel merito circa la fattibilità del piano attestata nella relazione
dell’esperto.2
La nuova formulazione della norma che ha sostituito il precedente inciso “ …
verificata la completezza e regolarità della documentazione” con la formula “
… ove non abbia provveduto a norma dell’art. 162, primo e secondo comma”,
insieme con la considerazione sistematica dei ridotti poteri anche nella fase
omologatoria, ha fatto ritenere ad alcuni che al Tribunale non competa più
alcun controllo di merito in ordine al contenuto del piano concordatario,
mentre altri ritengono che il problema dell’ampiezza dei poteri del Tribunale
sia rimasto immutato, anche perché la nuova formulazione del primo comma
dell’art. 162 l. fall. sembra consentire al Tribunale un accertamento circa
2 v. Lo Cascio, op. cit. , 865, nota n. 3 e ivi riferimenti di giurisprudenza di merito;
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l’attendibilità del piano e della documentazione allegata, prevedendo la
possibilità di concessione di un termine per l’apporto di integrazioni allo
stesso e per la produzione di nuovi documenti, che appare avere scarso
significato nell’ipotesi di un mero controllo formale sulla regolarità della
documentazione presentata per l’ammissione, in particolare in riferimento alla
relazione dell’esperto, ove questa non sia rispondente ai criteri richiesti dalla
legge, non tanto sul piano formale , quanto piuttosto su quello sostanziale.3
L’art. 180, terzo comma, secondo la nuova formulazione sembra invero
limitare i poteri del Tribunale, quando non vi siano opposizioni, al mero
controllo formale del raggiungimento delle maggioranze e della regolarità
della procedura, senza possibilità di vaglio della fattibilità e convenienza del
piano proposto, mentre un vaglio è sicuramente ammissibile quando vi siano
delle classi di creditori con trattamento differenziale, in quanto in questo caso
tanto l’art. 163 , quanto l’art. 180 prevedono che il Tribunale proceda
dapprima ad una valutazione della correttezza dei criteri di formazione delle
classi e in sede di omologazione, ove vi sia l’opposizione di un creditore
appartenente ad una classe dissenziente, anche alla valutazione della
convenienza della proposta, accertando se il creditore possa o meno risultare
soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative
concretamente praticabili.
L’art. 162 secondo comma contiene una ulteriore importante modifica
prevedendo che ove non ricorrano i presupposti per l’ammissione alla
procedura , sentito il debitore in camera di consiglio, il Tribunale con decreto
non soggetto a reclamo può dichiarare inammissibile la proposta di
concordato e senza necessità di un’autonoma istanza di fallimento può anche
procedere alla dichiarazione di fallimento, , previo accertamento dei
presupposti di cui agli artt. 1 e 5 della l. fall., su istanza del creditore o su
3 v. Lo Cascio, op. cit. , 871 e Guglielmucci, op. cit. , 332 e ss.
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richiesta del pubblico ministero, a cui la proposta deve essere
necessariamente comunicata ex art. 161 ult. comma.
L’iniziativa del P. M. può quindi essere assunta anche senza la previa
segnalazione del tribunale ai sensi dell’art 7 della l. fall., mentre i creditori
devono aver presentato un autonoma istanza di fallimento, che il tribunale si
sia riservato di esaminare all’esito del procedimento di ammissione alla
procedura di concordato.4
La norma aggiunge che contro la sentenza che dichiara il fallimento è
proponibile reclamo a norma dell’art. 18 l. fall. e con tale atto è possibile far
valere anche motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato.
Altra importante novità è contenuta nell’art. 163, secondo comma, n. 4, volta
a favorire ulteriormente il ricorso al concordato preventivo, che prevede la
riduzione del deposito al solo 50% delle spese che si prevedono necessarie
per la procedura, con facoltà per il Tribunale di ridurre tale percentuale fino al
20%.
L’art. 173 prevede la possibilità della revoca dell’ammissione al concordato
nel corso della procedura su istanza del commissario giudiziale che abbia
accertato l’occultamento o la dissimulazione da parte del debitore di parte
dell’attivo o l’esposizione di passività inesistenti o il compimento di altri atti di
frode e la successiva dichiarazione di fallimento su istanza dei creditori o del
pubblico ministero.
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
L’art. 182 bis del d. l. n.35/05, convertito nella legge 14.05.2005, n.80,
contenente disposizioni urgenti nell’ambito del piano per lo sviluppo
economico sociale e territoriale, nel modificare il titolo terzo della legge
fallimentare , ha introdotto un istituto di tipo nuovo, diverso dal concordato
4 v. Guglielmucci, op. cit. , 334.
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preventivo, il cui impianto pur con delle notevoli modificazioni è rimasto
sostanzialmente immutato, in quanto presuppone l’omologazione del
Tribunale , che rende efficace l’accordo proposto e approvato a maggioranza
anche nei confronti dei creditori dissenzienti.
Per contro gli accordi di ristrutturazione vengono stipulati dal debitore con i
creditori che devono rappresentare almeno il sessanta per cento dell’intero
ceto creditorio, senza sacrificio delle ragioni dei dissenzienti ( o dei non
partecipanti all’accordo), ai quali deve essere assicurato l’integrale e regolare
pagamento dei loro crediti.
Le origini di questo nuovo mezzo di soddisfacimento delle ragioni dei
creditori, così come il diverso istituto previsto dal novellato art. 67, terzo
comma , lett d) relativo al c. d. piano di riequilibrio finanziario, devono farsi
risalire a quell’orientamento dottrinale che riteneva del tutto legittimo anche il
concordato stragiudiziale e che aveva trovato una conferma nella
giurisprudenza anche di legittimità che tendeva ad ammettere la soluzione
stragiudiziale della crisi per precludere la dichiarazione di fallimento, anche a
fronte di un coinvolgimento parziale di un particolare ceto creditorio ( ad
esempio bancario ) attraverso la legittimazione del pactum de non petendo5.
Va tuttavia osservato che sotto il vigore della precedente legislazione
concorsuale gli accordi stragiudiziali con i creditori, non trovavano alcuna
disciplina normativa, con la conseguenza che gli aderenti all’accordo erano
esposti al rischio, nel caso di successivo fallimento, di essere coinvolti in reati
di bancarotta preferenziale e all’eventuale esercizio di azioni revocatorie per i
pagamento o le garanzie ricevute in adempimento del piano o di subire azioni
di risarcimento dei danni da parte dei creditori per abusiva concessione del
credito ( per gli istituti bancari), per cui la norma in esame ha opportunamente
5 G. Lo Cascio, La nuova legge fallimentare legge fallimentare: dal progetto di legge delega alla miniriforma per decreto legge, in Fallimento, 2005, 361 e S. Pacchi, Il nuovo concordato preventivo, in www. Fallimentoonline.it.; M. Arato, Fallimento : le nuove norme introdotte con la legge 80/2005, in Il diritto fallimentare, 2006, n1, p.157 e ss.
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colmato un vuoto, introducendo una disciplina molto duttile, flessibile e
cautelativa, ma proprio per questo alquanto lacunosa.6
Il dibattito sia dottrinale che della giurisprudenza sulla validità o meno del
concordato stragiudiziale deve infatti farsi risalire nel tempo e ancora sotto il
vigore della precedente disciplina poteva ormai dirsi consolidato
l’orientamento della giurisprudenza di legittimità della validità della soluzione
amichevole della crisi, anche se le diverse pronunzie divergevano poi fra la
tesi più rigorista che pretendeva l’unanimità dei consensi dei creditori ( v.
Cass. 8.02.1989,n.795 ) e quella più liberale ( v. Cass.28.10.1992, n.11722),
che ammetteva la non unanimità dei consensi ai fini della rimozione
dell’insolvenza, a condizione che il debitore fosse stato in grado di dimostrare
che con tali accordi anche con una parte soltanto del ceto creditorio, si erano
liberate risorse sufficienti per soddisfare interamente i creditori estranei
all’accordo e che in tal modo era venuto meno il dissesto.
Negli ultimi anni si era pertanto ampiamente diffusa la prassi, sulla scorta di
analoghe tendenze presenti nei maggiori paesi industrializzati7 e anche per
la diffusa sfiducia nelle procedure concorsuali giudiziali, ritenute poco duttili e
dispendiose, di stipulare con i creditori e segnatamente con gli istituti di
credito, degli accordi tesi al superamento della crisi e finalizzati a ristrutturare
le imprese in crisi e a evitare il fallimento, salvaguardando il più possibile i
complessi produttivi e si erano manifestate tutte le inadeguatezze della legge
fallimentare, con le rigorose previsioni in tema di azioni revocatorie e reati
fallimentari, che in molti casi costituivano un serio ostacolo all’attuazione dei
piani di risanamento stragiudiziali8.
6 v. Arato, op. cit., p. 172. 7 V. per le esperienze straniere S. Ronco, Soluzioni contrattuale delle controversie societarie fra nuova disciplina e prospettive di riforma per la crisi di impresa, in Dir. Fall., 2005, 372. 8 V. sul punto, Guglielmucci, La riforma in via d’urgenza della legge fallimentare,Torino, 2005, p.123; Caiafa, Nuovo diritto delle procedure concorsuali, Padova , 2006, p 586; Frascaroli Santi, Il concordato stragiudiziale, Padova,1984; id. Effetti della composizione giudiziale dell’insolvenza, Padova, 1995; id. Gli accordi di ristrutturazione e gli effetti per coobbligati e fideiussori del debitore, in Bonfatti - Falcone, La riforma della legge fallimentare, Milano, 2005, p.227; Ambrosiani – Demarchi, Il nuovo concordato Preventivo, Milano, 2005, p.178; Pacchi, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2005; id. Pacchi la nuova disciplina del concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, in La riforma della legge fallimentare, a
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La legge n.80/05 ha introdotto due istituti del tutto nuovi nel panorama del
nostro diritto fallimentare rappresentati dal piano di risanamento dell’impresa
e dall’accordo di ristrutturazione dei debiti, anche se già il vecchio art 825 del
codice di commercio del 1882 prevedeva, nell’ambito della disciplina della
moratoria ( sospensione dell’esecuzione della sentenza di fallimento per un
periodo massimo di sei mesi di cui all’art. 819 o moratoria anteriore alla
dichiarazione di fallimento di cui all’art. 827) una figura abbastanza simile
rappresentata dalla possibilità per l’imprenditore di concludere un accordo
amichevole con i creditori, alla duplice condizione di ottenere l’adesione di
almeno i tre quarti del passivo e l’assunzione dell’obbligo da parte dei
creditori assenzienti di risolvere insieme con il debitore le conseguenze di
ogni lite con i dissenzienti e ove occorra dell’intero pagamento dei loro crediti,
previa omologazione dell’accordo da parte del Tribunale9.
Gli artt. 819 – 829 del cod. di comm. del 1882 sulla moratoria erano poi stati
abrogati dalla legge 24.05.1903, n. 197 sul concordato preventivo e sulla
procedura dei piccoli fallimenti ( in quanto tale istituto non aveva dato buona
prova), che aveva regolato la materia del concordato preventivo, senza
tuttavia disciplinare il concordato stragiudiziale o amichevole, che rimaneva
un accordo stipulato dal debitore con i creditori uti singuli, vincolante i soli
creditori che lo avevano accettato, senza quindi rimuovere il pericolo di
eventuale fallimento.10
L’istituto della moratoria era stato tuttavia riesumato, nel primo dopoguerra a
causa dei gravi dissesti di alcuni istituti bancari, per le solo società
cooperative esercenti il credito e per le società anonime e in accomandita per
cura di S. Bonfatti e G. Falcone, cit. p.211; Ferro, I nuovi strumenti negoziali di regolazione dell’insolvenza, e la tutela giudiziaria delle intese fra debitore e creditore: storia italiana di una timidezza competitiva, in Fallimento, 2005, 587 e ss.; id., Art. 182 bis, la nuova ristrutturazione dei debiti, in Il nuovo diritto soc., 2005, p.54, Marano, La ristrutturazione dei debiti e la continuazione dell’impresa, in Fallimento, 2006, p. 101; Presti, Gli acordi di ristrutturazione dei debiti, in Ambrosiani, La riforma della legge fallimentare, Bologna , 2006, p.379 e Grossi, Le soluzioni concordate della crisi: i piani di risanamento, in Ambrosiani, op. cit., p.409. 9 sul concordato nel codice di commercio del 1882 v. Bonelli, Commentario al codice di commercio, Il fallimento, Vol. VIII, parte II, Milano, 1932, 650 e ss. 10 v. Brunetti, Diritto fallimentare italiano, Roma,1932, 610 e ss.
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azioni con capitale non inferiore a cinque milioni con il decreto legge
15.11.1923, n. 553 e succ. modificazioni.11
Il concordato stragiudiziale si presentava talvolta come un concordato con
cessio bonorum a tutti i creditori, attuato mediante un mandato irrevocabile a
uno o più di questi creditori, i quali si assumevano l’onere di realizzare le
attività e di tacitare gli altri a stralcio, oppure integralmente, anche se tale
contratto che era considerato una cessio in solutum poteva dirsi efficace solo
quando veniva accettata da tutti i creditori ( App. Bologna, 15.12.1931, in Riv.
Dir. Proc. civ., 1932, II, 97) e risolutivamente condizionato nel caso di
successivo fallimento, in quanto subordinato al non verificarsi dei presupposti
del fallimento.12
Tale accordo differiva profondamente dal concordato preventivo o
extrafallimentare di maggioranza, che rappresentava la sistemazione
giudiziale conciliativa di un dissesto commerciale, sostitutiva della
dichiarazione di fallimento, non essendo concluso con i singoli creditori, né
vincolativo per i soli assenzienti, ma con la maggioranza dei creditori ed
efficace anche per i dissenzienti, data l’omologazione del Tribunale.
Per contro il concordato stragiudiziale rimaneva un accordo o componimento
privato, liberatorio o dilatorio concluso con i creditori uti singuli, ciascuno nel
proprio interesse individuale, che vincolava solo i singoli aderenti, anche
perché tali accordi potevano essere stipulati a condizioni diverse per ciascun
creditore e non produceva alcuna conseguenza sul piano generale, dato che
nel caso di fallimento successivo i pagamenti parziali ricevuti dovevano
essere restituiti.13
Parimenti sotto il vigore della legge del 1942 si riteneva ammissibile il
concordato stragiudiziale, in quanto tale ipotesi di accordo di natura
11 Bollafio , Il concordato preventivo, Torino, 1932, 14 e ss. 12 cfr. Brunetti, op. cit., 611, nota n. 2, ma v. contra Provinciali, Sul concordato stragiudiziale, in Riv. Dir. Proc. civ. , 1932, II, 104. 13 Bollario, op. cit., 26.
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contrattuale, lasciato all’autonomia delle parti, non era vietata dalla legge,
anche se la procedura si svolgeva tutta al di fuori della sede giudiziaria.14
Il concordato stragiudiziale era ed è caratterizzato, in assenza di disciplina
legale, dalla più ampia autonomia di forme in quanto l’accordo può essere
unitario, oppure concluso mediante contratti indipendenti o mediante contratti
reciprocamente condizionati e quindi può risultare da un unico documento o
frazionato in una pluralità di convenzioni15, anche se la mancata
partecipazione di un creditore rende inutile il vincolo in quanto lo stesso, o
perché dissenziente o perché non soddisfatto, mantiene inalterata la
possibilità di chiedere il fallimento dell’imprenditore insolvente.
L’insolvenza può essere rimossa infatti solamente nel caso di
soddisfacimento di tutti i creditori , anche se in misura diversa, potendo alcuni
essere pagati integralmente e altri in percentuale, a seguito di eventuali
transazioni o rinunzie parziali al credito, con la conseguenza che si deve
distinguere fra causa del concordato stragiudiziale, che è sempre unitaria,
essendo individuabile nella funzione economico sociale di evitare il dissesto
dell’impresa mediante riduzione parziale dei crediti con tutti o soltanto con
alcuni dei creditori e causa dei singoli contratti, che vengono stipulati dai
singoli creditori, anche se in vista di uno scopo comune.16
Nel caso di successivo fallimento i singoli pagamenti, totali o parziali, sia
avvenuti secondo gli accordi , sia avvenuti al di fuori degli accordi
stragiudiziali erano assoggettati alla revocatoria fallimentare ex art. 67, l. fall.,
secondo le diverse ipotesi ivi disciplinate dalla legge del 1942.17
La legge di riforma intervenendo in tale panorama ha introdotto, accanto al
concordato preventivo profondamente modificato nei suoi presupposti e
14 V. Provinciali – Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1988, 856 e ss., Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, , IV, Milano, 1974, 2210, Petrucci, voce , Concordato stragiudiziale, Enciclopedia del diritto, Vol. VIII; Milano, 1961; per la tesi che il concordato necessitasse dell’assenso di tutti i creditori, v. App. Firenze, 17.02.1964, in Dirr. Fall., 1964, II, 236. 15 V. Trib. Parma, 11.06.1957, in Temi, 1958, 647. 16 v. Provinciali- Ragusa Maggiore, op. cit., 858. 17 V. Petrucci, op. cit. , 523.
15
connotato da una ampia autonomia mirando, non tanto ad evitare il fallimento
dell’imprenditore meritevole, ma sfortunato, quanto piuttosto all’interesse dei
creditori e dei terzi ( lavoratori, fornitori ecc…) alla conservazione
dell’impresa, vista come un bene in sé meritevole di tutela, essendo
ammissibile tanto il concordato dilatorio, quanto varie altre soluzioni di
ristrutturazione dei debiti, che possono spaziare dalla cessione dei beni, al
concordato con garanzia o misto o con assuntore, accollo o attribuzione ai
creditori di azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito , anche le due
nuove figure di soluzione alternativa della crisi o dell’insolvenza che
permettono di evitare il dissesto, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e
dei piani di risanamento, rendendo però gli atti esecutivi degli accordi
raggiunti ( transazioni, rinunzie, pagamenti, concessione di garanzie, reali o
personali) esenti, quantomeno dal pericolo delle revocatorie.
Le c. d. convenzioni bancarie di salvataggio che si erano sviluppate in questi
ultimi anni erano comunque soggette, come qualsiasi concordato
stragiudiziale, al placet dei creditori esterni alla convenzione, i quali potevano
sempre chiedere il fallimento del debitore e/o imporre condizionamenti anche
pesanti, con eventuale alterazione della par condicio creditorum, con il rischio
per i creditori aderenti ( e per il debitore), nel caso di successivo fallimento
non solo di subire la revocatoria, o azioni di risarcimento per la concessione
abusiva di credito, ma anche di incorrere in eventuali reati fallimentari , quali
la bancarotta preferenziale o la bancarotta semplice per la ritardata richiesta
di fallimento.
Normalmente in questi tentativi stragiudiziali di risoluzione delle crisi di una
impresa ben difficilmente si riesce a trovare l’accordo con tutti i creditori, in
quanto mentre i creditori più forti che guidano la contrattazione conoscono
meglio la situazione, i piccoli debitori non sono in possesso di sufficienti
informazioni e non possono pertanto essere coinvolti in maniera razionale
nelle trattative e devono essere liquidati a stralcio, quando non siano troppo
16
parcellizzati , rimanendo in tali casi la sola alternativa di cessione dei loro
crediti ad una società specializzata nell’acquisto di tali diritti ( come avviene
sempre più spesso nei paesi anglosassoni), ma anche tale soluzione può
comportare la composizione dell’insolvenza, lasciando all’imprenditore in crisi
le risorse necessarie per far fronte alle obbligazioni di quei creditori che non
abbiano partecipato all’accordo.18
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti si differenziano dal concordato
preventivo sotto diversi profili , in quanto come in tutti i casi di composizione
stragiudiziale dell’insolvenza, non è richiesto il rispetto del principio della par
condicio creditorum, a differenza del concordato preventivo dove era
possibile solamente, con la nuova disciplina ( prima del decreto correttivo),
dividere i creditori chirografari in classi, nel rispetto del principio del
trattamento paritario all’interno della stessa classe e tenuto conto che tale
principio doveva essere necessariamente rispettato nei confronti dei creditori
privilegiati, i quali continuavano a dover essere soddisfatti per l’intero, non
essendo ammessi al voto.19
Negli accordi di ristrutturazione è sufficiente per contro raggiungere degli
accordi con tanti creditori che rappresentino il sessanta per cento del ceto
creditorio, attraverso l’adesione sia di creditori privilegiati che chirografari,
anche a condizioni differenziate per creditori aventi la stessa posizione
giuridica e interessi omogenei.20
Va inoltre rammentato che i creditori non aderenti all’accordo devono essere
soddisfatti regolarmente e per l’intero e pertanto non è richiesta alcuna
votazione come nel concordato preventivo.
La procedura prevista dall’art. 182 bis l. fall. appare caratterizzata da due fasi,
una di natura stragiudiziale, nella quale l’imprenditore in crisi deve trovare
degli accordi con la maggioranza del sessanta per cento dei creditori ai fini
18 V. Galletti, op. cit. , 1201. 19 Per una visione d’insieme della nuova prospettiva v. D. Galletti, I piani di risanamento e di ristrutturazione, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2006, 1195. 20v. Guglielmucci, op. cit., p.125.
17
della composizione del dissesto e una di natura giudiziale, in cui l’accordo
raggiunto, per essere produttivo di effetti, deve essere sottoposto al vaglio del
Tribunale in sede di omologazione, previa iscrizione nel registro delle imprese
per renderlo pubblico.
La norma in commento stabilisce infatti che l’accordo di ristrutturazione dei
debiti, stipulato con la citata maggioranza dei creditori, una volta depositato
presso il registro delle imprese e corredato dalla relazione di un esperto
avente ad oggetto l’attuabilità del piano e in particolare l’idoneità dello stesso
ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo, deve
essere depositato in Tribunale per il giudizio di omologazione.
Il Tribunale in questa fase, decise le eventuali opposizioni proposte dai
creditori dissenzienti, o da ogni altro interessato, deve procedere
all’eventuale omologazione dell’accordo in camera di consiglio con decreto
motivato.
La natura ibrida dell’istituto ha indotto la dottrina a chiedersi quale sia la
natura dell’accordo, vale a dire se lo stesso costituisca una forma particolare
di concordato preventivo o un istituto a sé stante, tenuto conto che dalla
soluzione di tale interrogativo, dipendono svariate questioni, quali ( prima del
decreto correttivo) la possibilità o meno di iniziare o proseguire azioni
esecutive sui beni del debitore, analogamente a quanto previsto nel
concordato preventivo o il trattamento fiscale delle sopravvenienze attive
derivanti dalle rinunce21 parziali dei crediti da parte dei creditori aderenti
all’accordo, anche perché né la legge , né la relazione accompagnatoria che
si limita a illustrare le finalità del nuovo istituto, senza chiarire se si tratti di
una ipotesi particolare di concordato preventivo o di una figura autonoma22.
Alcuni autori propendono per la natura autonoma degli accordi di
ristrutturazione dei debiti, soprattutto in ragione dell’assenza di effetti
21 v. Ambrosiani-Demarchi, op. cit. , p.184. 22 Zocca, Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e relazione del professionista, mMilano, 2007, 5 e ss.; Guglielmucci, Diritto fallimentare, Aggiornato con il decreto correttivo, Torino, 2007, 345.
18
remissori per i creditori che non aderiscono all’accordo, rispetto alle
prospettive previste in tema di concordato e alla disposizione di cui all’art. 67,
terzo comma lett. d), ove concordato e accordi di ristrutturazione vengono
considerati come ipotesi distinte e nettamente separate, oltre all’assenza di
rinvii espressi al concordato, che non riguardino aspetti procedurali e alla
mancanza della nomina di un giudice delegato e di un commissario
giudiziale23.
Per contro altri autori, nell’affermare che gli accordi rappresentano solamente
uno strumento rafforzativo della domanda per l’ammissione alla procedura di
concordato preventivo, sottolineano il fatto che l’art. 182 bis prevede che
l’accordo venga depositato con la documentazione di cui all’art. 161 e
richiamano l’attenzione sulla relazione alla legge n. 80/05 ove il legislatore
sembrerebbe assimilare i due istituti e il profilo sistematico dell’inserimento
della norma in esame nel contesto delle disposizioni sul concordato
preventivo24.
La tesi che i due istituti, degli accordi di ristrutturazione e di concordato
preventivo, vadano tenuti distinti mi pare preferibile tenuto conto dell’aspetto
sostanziale rappresentato dalla circostanza che nel concordato preventivo è
prevista, come carattere saliente della procedura, l’esdebitazione del debitore
anche nei confronti dei creditori che non hanno votato a favore o che non
sono stati chiamati a votare sulla proposta, perché non inseriti nell’elenco dei
creditori o comunque per non aver chiesto di essere ammessi al passivo ai
fini delle votazioni, mentre negli accordi di ristrutturazione avviene
esattamente l’opposto, dato che l’effetto esdebitatorio si verifica solamente
per i creditori che hanno stipulato l’accordo e non per quelli rimasti estranei al
23 v.G. Lo Cascio La nuova legge fallimentare: dal progetto di legge delega alla miniriforma per decreto, op. cit., p 362; S. Pacchi, Gli accordi, op. cit. 856; Ambrosiani- Demarchi, op. cit., 184 e ss. 24 v. sul punto Ferro, cit., p.595 e Quatraro, Il giudizio di omologazione,cit, p.36, nonché Coppola, L’accordo per la ristrutturazione dei debiti, in Pacchi , Il nuovo concordato preventivo, cit. , p. 317 e 323, secondo il quale non vi sarebbe stata alcuna ragione, in caso contrario, ove non si vedesse negli accordi di ristrutturazione una forma particolare e accelerata di concordato preventivo,di introdurre due istituti senza differenze sostanziali, stante l’ipotizzato carattere privatistico di entrambe le fattispecie e il comune esonero dalle conseguenze della revocatoria.
19
progetto, e tale differenza si riverbera sul giudizio di omologazione, in quanto
nel primo caso lo stesso è teso a salvaguardare i creditori contrari o non
partecipanti all’accordo, mentre nel secondo caso è diretto a tutelare le
ragioni dei creditori favorevoli all’accordo evitando che debbano
eventualmente sopportare le conseguenze dell’esdebitazione
dell’imprenditore successivamente fallito, con l’esenzione dalla revocatoria
per le garanzie ottenute a scapito del patrimonio destinato principalmente a
soddisfare i creditori estranei agli accordi stessi.25
Anche le prime pronunzie giurisprudenziali sembrano orientate in tal senso, in
quanto il rinvio alla disciplina del concordato preventivo avrebbe una portata
solamente processuale, tramite il richiamo all’art. 161 l. fall. e il rinvio all’art.
183 per il reclamo avverso il decreto di omologazione.26
I PRESUPPOSTI PER L’AMMISSIONE ALLA PROCEDURA
La norma in questione non prescrive né requisiti di meritevolezza, né prende
in esame le ragioni che possono spingere l’imprenditore a promuovere la
procedura di ristrutturazione dei debiti, ma essendo inserita all’interno della
disciplina relativa al concordato preventivo si ritiene che i presupposti , tanto
soggettivi, quanto oggettivi debbano essere gli stessi previsti per il fallimento
e il concordato e quindi che la procedura riguardi solamente gli imprenditori
commerciali non piccoli ( ma anche quelli che rientrano nei presupposti
dell’amministrazione straordinaria) e che presuntivamente si trovino in stato
di crisi ( vale a dire in stato di crisi o di insolvenza).27
25 v. Marano,Concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti e la transazione fiscale. In Il nuovo fallimento, Milano2006, p. 777; Guglielmucci, op. cit., p.126. 26 v. Trib. Bari, 21.11.2005, sez. IV, cit. in Zonca, op. cit., 6. 27 v. Marano, cit., p. 781; Ambrosiani,Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella nuova legge fallimentare: prime riflessioni, in Fallimento, 2005,p.949.
20
Al riguardo va tuttavia notato che la legge non dice assolutamente nulla in
merito al presupposto oggettivo e non richiama in particolare l’art. 160 l. fall,
secondo cui per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza, con la
conseguenza che la dottrina si è divisa fra coloro che ritengono preferibile la
tesi che tale presupposto debba comunque sussistere e coloro che invece
ritengono non indispensabile tale requisito e quindi la non necessità che
l’imprenditore versi in crisi o in insolvenza, anche se appare difficile che un
imprenditore che non si trovi in crisi o in insolvenza si esponga alla pubblicità
negativa rappresentata dalla pubblicazione dell’accordo, potendo piuttosto in
questo caso puntare sul piano stragiudiziale di risanamento.28
Stato di crisi e insolvenza sono comunque due aspetti del medesimo
fenomeno, come risulta chiaro anche dalla modifica introdotta dall’art. 36 del
d. l. n. 273/05, che chiarisce come per stato di crisi debba intendersi anche
l’insolvenza, ai fini del definitivo superamento dei dubbi sull’ammissibilità per
l’imprenditore insolvente del ricorso al concordato preventivo.
L’insolvenza può essere infatti definita come una disfunzione della
programmazione ( o pianificazione finanziaria) nei piani degli incassi e dei
pagamenti futuri, nel senso che un imprenditore può dirsi insolvente quando
dall’analisi della sua pianificazione emerga che ad una certa data non sarà
più in grado di far fronte alle passività correnti.29
Lo stato di crisi può quindi definirsi come l’insolvenza futura ( non essendo
previsto nel nostro ordinamento il rischio di insolvenza) e la sua nozione non
si allontana molto dalla temporanea difficoltà ad adempiere ( prevista dalla
legge del 1942 per l’amministrazione controllata), atteso che tale stato non si
differenzia minimamente dall’insolvenza vera e propria se non per la sua
reversibilità, vale a dire per la temporaneità di tale situazione , che appare
28 v. per una rassegna delle diverse posizioni, Marano op. cit., p. 782, il quale sottolinea come lo stato di crisi sia riconducibile per un estremo all’insolvenza e all’estremo opposto ad uno stato sostanzialmente assimilabile alla temporanea difficoltà ad adempiere; ma sul punto v. anche diffusamente, Guglielmucci, op. cit. , p. 56 e ss. 29 v. Galletti, op. cit., 1198 e de Ferra, Il rischio di insolvenza, in Giur. Comm., 2001, I, 199.
21
economicamente conveniente superare, all’esito di un percorso di
risanamento che l’imprenditore e i creditori giudicano in maniera favorevole.30
L’accordo di ristrutturazione deve essere depositato, secondo la laconica
disposizione di cui al primo comma dell’art. 182 bis, con la dichiarazione e la
documentazione di cui all’art. 161, unitamente ad una relazione redatta da un
esperto sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua
idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
Come osservato da alcuni commentatori, il testo della legge contiene una
evidente imprecisione in quanto l’art. 161 non prevede che il debitore debba
fare nessuna dichiarazione , ma solo sottoscrivere il ricorso, che contenga il
piano di ristrutturazione e la documentazione ivi indicata, con la conseguenza
che, secondo alcuni con il termine “ dichiarazione “ il legislatore ha inteso fare
riferimento alla affermazione del debitore di aver raggiunto l’accordo con i
creditori nelle percentuale prevista, mentre altri ritengono che abbia inteso
fare riferimento alla relazione dell’esperto di cui al terzo comma, colmandone
i contenuti precettivi31.
Tale accordo deve contenere il piano di ristrutturazione dei debiti, che
sostituisce in tutto o in parte il piano di concordato preventivo ( o integra il
piano di concordato , se si aderisce alla teoria che gli accordi di
ristrutturazione realizzano soltanto una modalità alternativa di esecuzione del
concordato) e deve essere accompagnato dalla relazione del professionista ,
che attesti la fattibilità del medesimo e la veridicità dei dati aziendali.
Anche negli accordi di ristrutturazione si riproduce la problematica della
natura della convenzione, vale a dire se la stessa abbia causa unitaria,
oppure costituisca la sommatoria di singoli negozi dotati di una loro causa e
la tesi prevalente, analoga a quella adottata in tema di concordato
stragiudiziale è nel senso di considerare ammissibili entrambe le forme sia
30 V. per questa convincente analisi ancora Galletti, op. cit., 1199. 31 v. Guglielmucci, cit., p.126; Marano, cit., p. 781; per la prima interpretazione ; Canale, le nuove norme sul concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione,, in Riv. Dir. Proc., 2005,p. 919 e Pacchi, cit., p. 282, per la seconda teoria.
22
dei singoli contratti conclusi con i vari creditori o gruppi di essi ( di fasci di
contratti bilaterali parla Cass. , 16.03.1979, n. 1562 in tema di concordato
stragiudiziale), sia del contratto plurilaterale ( o bilaterale plurisoggettivo),
anche se tale distinzione appare avere scarsa portata applicativa in caso di
annullamento o risoluzione del concordato.32
Per quanto riguarda il contenuto degli accordi va rilevato che gli stessi non si
discostano dai metodi usualmente utilizzati nei casi di soluzione stragiudiziale
della crisi ( c. d. fenomeno della privatizzazione dell’insolvenza), quali le
dilazioni di pagamento, le transazioni, la concessione di nuova finanza, le
rinunce totali o parziali degli interessi o di una parte del capitale, l’emissione
di titoli di debito con valenza novativa, la conversione dei crediti, in capitale di
rischio, con la sottoscrizione di azioni di una new company ( le così dette
newco) mediante compensazione ( essendo la compensazione in sede di
aumento di capitale ormai ammessa dalla giurisprudenza), e come previsto
dall’art. 4 bis del d. l. n. 347/03 sull’amministrazione straordinaria, che ha
introdotto il principio della partecipazione dei creditori al rischio
imprenditoriale , o più in generale tutti quegli accordi o operazioni che
incidono sull’esposizione debitoria dell’imprenditore in crisi, sia di natura
dilatoria , che di natura remissoria o mista.
La composizione negoziale dell’insolvenza può essere attuata, oltre che con i
tradizionali metodi, anche mediante il ricorso a strumenti introdotti di recente
nel nostro ordinamento sulla scorta di esperienze straniere, quali il trust, la
cartolarizzazione dei crediti ( nelle due forme della true sale securitisation o
asset – backed securatisation e della Whole business securitisation ) o il
ricorso ai patrimoni separati.33
32 V Ambrosini, op. cit. , 2540 che sottolinea come in entrambi i casi se salta un accordo con un creditore che consentiva il raggiungimento della soglia del 60%, il piano non può essere più omologato a prescindere dalla sua natura unitaria o meno. 33 v. R. Arlt, La whole business securitisation alla luce del nuovo diritto societario e fallimentare italiano, in Dir. Fall. , 2007,158 e ss; M. Caruso, Appunti in tema di diritto fallimentare e operazioni di securitization, in Fallimento, 2006, 883; G. Lo Cascio, Trust e concordato preventivo, ivi, 2007, 245; F. Abate Trust e procedure concorsuali, in www. Trust e attività finanziarie, saggi 2007; L. Rovelli, Il ruolo del trust nella
23
In particolare per quanto riguarda la cartolarizzazione introdotta in Italia con
la legge n. 130/ ’99 si ritiene che la nuova formulazione della legge
fallimentare nel consentire il ricorso alla cessione dei crediti in blocco anche
di quelli futuri abbia reso percorribile la strada della securitization, pure se i
costi dell’operazione appaiono difficilmente compatibili con le procedure
concorsuali quali il fallimento e il concordato preventivo.
Nel caso degli accordi di ristrutturazione dei debiti e dei piani di risanamento
la cartolarizzazione dei crediti dovrà essere accettata dalla maggioranza del
60% dei creditori, con attribuzione agli stessi della liquidità derivante
dall’operazione mentre più dubbia appare la possibilità di attribuzione dei titoli
dell’operazione, con l’intangibilità delle operazioni e dei pagamenti dalla
revocatoria non solo sulla base della legge fallimentare , ma anche sulla base
della legge 130/99. La cartolarizzazione ( o securitisation) è una tecnica finanziaria, nata negli
Stati Uniti che prevede la cessione pro-soluto di attività patrimoniali capaci di
generare flussi di cassa, quali i crediti o gli immobili, da parte dell’originator
ad una società appositamente costituita ( società veicolo o SVP) a fronte
della corresponsione di un prezzo di cessione. La società veicolo finanziano
tale pagamento mediante l’emissione di titoli che vengono collocati presso gli
investitori e che verranno rimborsati esclusivamente con i ricavi dell’attività
ceduta.
Più complesso appare il ricorso alla Whole business securitisation ( o
corporate securitisation sviluppatasi negli anni ’90 in Inghiltera), che come la
true sale securitisation ( cessione pro – soluto dei crediti) appare finalizzata a
reperire liquidità sul mercato dei capitali con l’emissione di titoli, senza
intermediazione delle banche, ma si differenza dalla cartolarizzazione
classica in quanto è una forma ibrida ai confini fra la cartolarizzazione e il
mutuo garantito, in cui l’originator non vende alcun asset alla società veicolo
composizione negoziale dell’insolvenza, ivi, luglio 2007; Gambino , Cartolarizzazione dei crediti, assicurazione e amministrazione straordinaria delle imprese in crisi, in Fallimento, 2000, 1199
24
( SPV), ma contrae un mutuo a medio o lungo termine ( anche trent’anni)
garantito dai suoi beni, che genera un flusso di cassa, mentre la SPV si
finanzia sul mercato emettendo dei titoli in più tranches e i pagamenti agli
investitori avvengono con il flusso di cassa dell’impresa originator.
I pagamenti del capitale e degli interessi agli investitori non avvengono con il
pagamento dei crediti ceduti, ma vengono serviti con il cash flow dell’intera
attività imprenditoriale.
L’applicabilità di tale tecnica finanziaria nell’ordinamento italiano appare
tuttavia dubbia anche se l’introduzione dei patrimoni destinati ad uno
specifico affare ( artt. 2447, primo comma , lett. b) e 2447 – decise cod. civ.)
consentirebbe la segregazione del cash flow proveniente da un determinato
affare, che costituisce patrimonio separato, mentre non sembra che si possa
considerare superata l’altra difficoltà rappresentata dalle possibili
conseguenze dell’insolvenza dell’originator, dato che anche se l’affare può
essere continuato malgrado l’insolvenza dell’originator ( art. 2447 – decies,
sesto comma), tale previsione non impedisce al curatore di decidere
discrezionalmente se continuare l’affare o liquidare i beni.34
Il trust è un particolare tipo di rapporto giuridico nel quale la proprietà di un
bene appartiene temporaneamente a un soggetto giuridico, detto trustee, il
quale tuttavia non ne ha la piena disponibilità, in quanto è vincolato da un
rapporto di natura fiduciaria che gli impone di esercitare il suo diritto reale a
beneficio di un altro soggetto, detto appunto beneficiary (al quale saranno
trasferiti in piena proprietà i beni alla fine del trust), al quale appartiene il
diritto di natura equitable . Il diritto del beneficiario nei sistemi di diritto civile
(Corte di Giustizia europea sentenza Web vs Web) non è un diritto reale, ma
personale verso il trustee (non vi è nessuna doppia proprietà sul bene in
trust).
34 v. Arlt, op. cit., 181.
25
Il soggetto che costituisce il trust è detto settlor in diritto inglese (disponente
in Italia), mentre negli USA viene indicato con i termini trustor, grantor,
donor o creator. Il riconoscimento del trust in Italia si è inizialmente verificato
con la ratifica della convenzione dell’Aja del 1.07.1985 che ha previsto che la
scelta della legislazione da applicare nei paesi che non prevedevano questo
istituto fosse demandata al costituente.
L’art. 2645 ter ha introdotto di recente ( d. l. n. 273/05 convertito con la l.
23.02.2006, n. 51) nel nostro ordinamento la possibilità di trascrivere gli atti di
destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela, ai fini di
rendere opponibili ai terzi il vincolo di destinazione.
I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la
realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di
esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, primo comma, solo per
debiti contratti per tale scopo.
Tale norma che introduce la nozione di patrimonio di scopo e di proprietà
dedicata ( o fiduciaria) consentendo la segregazione di determinati beni del
trust, dal patrimonio personale del trustee e anche la separazione dal
patrimonio dell’originario titolare, in quanto sottoposti al controllo del trustee
nell’interesse del beneficiario per uno scopo specifico, può trovare
applicazione nel caso di concordati con cessione dei beni o con assuntore
quando si intenda mettere a disposizione dei creditori beni dei soci
illimitatamente responsabili o beni di terzi ( es. amministratori o soci delle
società di capitali), in tal modo evitando che i creditori particolari dei soci
possano agire esecutivamente sui beni ceduti ex art. 1980, secondo comma
o che i creditori dei terzi aggrediscano tali beni non operando il divieto di
azioni esecutive di cui all’art 168 l. fall. ( e ora anche dell’art. 182 bis), tenuto
conto che i terzi potrebbero solamente conferire un mandato in rem propriam
ai creditori per la liquidazione dei beni, non idoneo a separare i beni dal loro
26
patrimonio o che la cessione all’assuntore avrebbe effetto solo dopo
l’omologazione del concordato.35
La costituzione del trust è tuttavia un atto di disposizione sottoponibile ad
azione revocatoria ordinaria e anche fallimentare nel caso del fallimento del
disponente, salvo che tali atti dispositivi non siano stati effettuati in
esecuzione di un piano di riassetto, o di un accordo di ristrutturazione o di
concordato preventivo ai sensi dell’art. 67 l. fall.
L’accordo di ristrutturazione per quanto riguarda il debitore può prevedere,
secondo la prevalente dottrina, sia la continuazione diretta dell’attività
imprenditoriale o l’affidamento ad un terzo, mediante cessione dell’intero
complesso aziendale o di rami d’azienda, o anche la cessione dei beni ai
creditori o a dei mandatari degli stessi ( utilizzando in particolari ipotesi anche
lo strumento del trust, con trasferimento ad un fiduciario dei complessi
aziendali in fase di attuazione del piano, quando lo scopo sia quello della
ristrutturazione senza sostituzione dell’imprenditore in crisi, come era
possibile con l’amministrazione controllata le cui finalità possono essere
perseguite anche con un concordato meramente dilatorio), o infine la loro
liquidazione.
In particolare in questa ottica ci si è chiesti se gli accordi di ristrutturazione
consentano la dismissione di cespiti o le ristrutturazioni aziendali come nel
concordato preventivo e quindi non solo delle operazioni volte a ripristinare
l’equilibrio gestionale e il risanamento dell’impresa, mediante piani finanziari o
ristrutturazioni aziendali, con cessione di rami d’azienda non funzionali al
core business dell’impresa o sostituzione dell’imprenditore nella gestione
della stessa, ma anche la liquidazione dell’intero patrimonio del debitore e la
cessazione della sua attività e sulla scorta delle finalità di soddisfacimento dei
creditori non si è esclusa neppure quest’ultima possibilità di natura
35 V. Guglielmucci, La riforma in via d’urgenza, cit., 82 e ss. che richiama l’attenzione sulla decisione del Trib. Parma, 3.03.2005, in fallimento, , 2005, 555 che ha ammesso un concordato con devoluzione dei beni offerti dal terzo a un Trust, con nomina del commissario giudiziale come trustee, con il compito di liquidare i beni e versare il realizzato ai creditori.
27
meramente liquidatoria, tipica delle forme di concordato preventivo con
cessione dei beni, anche se tale soluzione mi pare difficilmente condivisibile
atteso che lo scopo della procedura non è di natura liquidatoria , ma
eminentemente conservativa dei complessi aziendali, come afferma anche la
relazione accompagnatoria, con l’accentuazione degli aspetti di riequilibrio
finanziario propri di una visione dinamica dell’attività imprenditoriale.36
Il problema appare analogo a quello già presente in tema di amministrazione
controllata, ove si dubitava dell’ammissibilità di un piano volto al risanamento
attraverso la mera volontaria liquidazione dell’impresa, in quanto la modifica
dell’art. 187 introdotta dalla legge 24.07.1978, n. 391 elevando a presupposto
della procedura la comprovata possibilità di risanamento dell’impresa,
escludeva secondo alcuni autori la possibilità di trasferire o liquidare
totalmente l’azienda al fine di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni,
essendo possibile solamente una dismissione parziale di cespiti o di rami
d’azienda ( v. in tal senso anche Trib. Bari, 13.06.2003, in Fallimento, 2003,
1348 e Trib. Trieste, 4.05.1998., ivi, 1998, 859).37
L’accordo deve tuttavia essere finalizzato a ripristinare le condizioni di
solvibilità dell’impresa, assicurando il pagamento dei creditori aderenti al
patto in percentuale e senza che fra costoro sia necessariamente rispettata la
par condicio, a condizione che gli altri creditori estranei al patto vengano
soddisfatti per l’intero e in maniera regolare, vale a dire alle scadenze pattuite
e con mezzi normali.
Negli accordi di ristrutturazione non vi è infatti necessità di rispettare la par
condicio creditorum, in quanto i creditori, privilegiati e non, che hanno aderito
all’accordo, hanno disposto liberamente del loro credito , mentre gli altri
36 V. in senso favorevole, Guglielmucci, op. cit., p. 129, Presti, op. cit., 12, Proto, op. cit., 129, Ambrosini, op. cit., 2540 che sottolinea come la legge parli solo di ristrutturazione dei debiti, senza alcun riferimento all’impresa o al complesso aziendale e anche Zocca, op. cit., 117, ma per l’opposta opinione, v. Marano, op. cit., p.776, Faucelia, Gli accordi di ristrutturazione, in Fallimento, 2005, 1452 e in senso dubitativo, Galletti, op. cit., 1210. 37 V. Maffei Alberti, Nuove leggi civ. commentate, 1978, 1527 e Lo Cascio, L’amministrazione controllata, Milano, 1998,
28
creditori estranei al patto devono essere regolarmente soddisfatti e non
subiscono pertanto nessuna falcidia delle proprie pretese.
In tale ottica persino i creditori privilegiati, che aderiscano all’accordo,
possono essere soddisfatti in percentuale, così come previsto nel nuovo
concordato preventivo, dopo il decreto correttivo, essendo ormai prevalente
non solo in dottrina l’opinione che anch’essi possono essere suddivisi in
classi e soddisfatti in percentuale, come i creditori chirografari, purché siano
ammessi al voto per la parte chirografaria del loro credito e sempre che
venga rispettato l’ordine legittimo delle cause di prelazione, inciso questo che
ovviamente non è presente nell’art. 182 bis l. fall.
E’ infatti pacifico che i creditori privilegiati aderenti all’accordo possono subire
decurtazioni al loro credito, senza che debba osservarsi alcun ordine
prestabilito, né relativamente alla graduazione della prelazione, né riguardo
alla preferenza dei creditori privilegiati, anche se vi può essere il timore delle
ricadute penali dell’eventuale violazione della par condicio.
Si è peraltro osservato non solo che il reato di bancarotta preferenziale
presuppone l’accertamento di un dolo specifico, consistente nella volontà di
favorire alcuni creditori a danno di altri, ma che i pagamento conformi al piano
farebbero venir meno il presupposto oggettivo del reato, in quanto funzionali
al risanamento dell’impresa e non al soddisfacimento di alcuni creditori a
danno di altri.38
L’accordo può sicuramente essere risolutivamente condizionato alla
circostanza che l’impresa non venga dichiarata fallita entro un certo numero
di anni, in quanto alla legittimità di tale clausola non osta il disposto dell’art.
72, ult. comma l. fall. che mira a consentire il subingresso del curatore nei
38 v. Ambrosini, op. cit., 2558 e Lo Cascio, op. cit. , 362, nonché in senso più dubitativo Campolattaro, Accordi stragiudiziali tra banca e impresa in crisi, in Impresa, 5/2007, 779 e ss., quantomeno per il reato di bancarotta semplice per aver ritardato il fallimento o aggravato il dissesto o anche per il reato di bancarotta preferenziale se si ritiene sufficiente il dolo eventuale, secondo non uniformi indirizzi giurisprudenziali.
29
contratti pendenti, sancendo l’inefficacia delle clausole che fanno dipendere
la risoluzione del contratto dal fallimento.39
Negli accordi di ristrutturazione importanza fondamentale riveste la relazione
del professionista, il quale è chiamato ad attestare, non solo la veridicità dei
dati aziendali, ma soprattutto l’attuabilità del piano, intesa come verifica della
capacità dello stesso di ripristinare l’equilibrio finanziario e gestionale
dell’impresa, in modo da consentire il regolare pagamento dei creditori
estranei allo stesso con le residue risorse a disposizione del debitore.
Come già nell’amministrazione controllata lo strumento per dimostrare la
fattibilità del percorso di uscita dalla crisi è il piano ( accordo) di
ristrutturazione, ma la valutazione della sua attendibilità e fattibilità non più è
rimessa al tribunale ma alla relazione di un esperto, che sia in possesso dei
requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d) l. fall.
Non vi sono dubbi, dopo le modifiche introdotte dal decreto correttivo, che la
relazione del professionista sull’attuabilità dell’accordo, debba avere i
medesimi contenuti di quella prevista dall’art. 161 per il concordato
preventivo, e debba essere redatta da un professionista in possesso dei
requisiti di cui al citato all’art. 67, terzo comma, lett. d) ( vale a dire dei
requisiti previsti dagli artt. 2501 sexies e 2409 bis cod. civ., in forza del
richiamo operato dall’art. 2501, sesto comma e quindi di un revisore o di una
società di revisione iscritta al Registro dei revisori contabili istituito presso il
Ministero della giustizia).
In particolare l’art. 2506 sexies prevede che se la società interessata sia una
società per azioni o in accomandita per azioni o faccia ricorso al mercato del
capitale di rischio la nomina dell’esperto debba essere effettuata dal
Tribunale del luogo ove ha sede la società.
Il professionista non deve limitarsi ad una valutazione prognostica
sull’attuabilità dell’accordo proposto ai creditori , ma deve attestare che una
39 V. Presti, p. cit., 39 e Ambrosini, op. cit., 2545
30
volta eseguito l’accordo il debitore abbia i mezzi sufficienti per soddisfare i
creditori che non hanno partecipato al piano, rimanendone estranei o per
scelta volontaria o perché non a conoscenza dello stesso o tardivamente
informati ( … con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il
pagamento dei creditori estranei).
Anche se non esplicitamente previsto, appare evidente che il professionista
debba verificare la veridicità dei dati contabili e aziendali , non limitandosi a
un mero controllo dei dati fornitigli dall’imprenditore, ma verificando
effettivamente la situazione economica , patrimoniale e finanziaria
dell’impresa e questo anche al fine di una valutazione dell’eventuale
responsabilità extracontrattuale ex art. 2403 cod. civ. in cui potrebbe
incorrere nei confronti dei debitori non aderenti all’accordo, nel caso di
negligente espletamento del suo incarico.
Al riguardo è controverso se l’esperto risponda per responsabilità aquilana o
contrattuale nei confronti dei creditori e se allo stesso sia applicabile l’art. 64
cpc, in forza del richiamo operato dall’art.2501- sexies cod. civ. ( tenuto
conto che l‘art. 2501-sexies, sesto comma dispone che l’esperto risponde dei
danni causati, secondo quanto previsto dall’art. 64 cpc, che a sua volta
richiama anche le disposizioni del codice penale relative ai periti, quali ad
esempio gli artt. 314, 366 e ss. C.p.) e se legittimato all’azione di
responsabilità sia il curatore del fallimento o i singoli creditori danneggiati,
anche se tale ultimo aspetto mi sembra possa essere risolto nel senso che
nel caso di successivo fallimento dell’imprenditore che abbia proposto il
piano, la legittimazione non possa spettare che al curatore fallimentare,
mentre nelle altre ipotesi rimanga in capo ai singoli creditori ( estranei
all’accordo) rimasti danneggiati.40
40 V. Coppola,op. cit., p.290; Marano, op. cit., p.785; Presti, op cit. p.17, secondo cui l’esperto non risponde ai sensi dell’art. 64 cpc, non essendo ausiliario di giustizia, ma per una opinione diversa cfr. anche De Crescenzo-Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, op. cit. ,p.72 e Ferro, art. 182 – bis ,cit., p.56
31
La responsabilità del professionista evidenzia che la tutela dei creditori e la
valutazione della serietà del piano sono rimessi alla relazione dell’esperto,
mentre il Tribunale ha un diminuito potere di controllo di tali elementi, a meno
che non vi sia l’opposizione di alcuni creditori estranei al piano, nel qual caso
il Tribunale procederà ad una valutazione , anche nel merito dell’attendibilità
e fattibilità del piano e dei dati contabili e aziendali esposti , mediante
apposita istruttoria, secondo le regole dei procedimenti in camera di
consiglio.41
L’accordo deve prevedere il pagamento integrale dei creditori estranei e
presuppone l’adesione di almeno il 60% dei creditori, da calcolarsi non per
teste , ma per ammontare del credito ( v. Trib. Brescia, 22.02.2006, Trib.
Milano 21.12.2005, in Fallimento, 2006, 169 e Trib. Roma, 16.10.2006, ivi,
2006, 187, secondo cui è indispensabile la dimostrazione del regolare
pagamento dei creditori estranei e la percentuale del 60% dei creditori non
può essere calcolata sulla base dei soli creditori muniti di titolo esecutivo).42
Si deve escludere invece che i creditori non aderenti all’accordo possano
essere pagati in percentuale, in quanto coloro che non partecipano al piano,
non possono certamente essere espropriati dei loro diritti, in mancanza di un
loro assenso negoziale, e anche perché regolare pagamento non può che
voler significare integrale e puntuale pagamento.43
Il termine regolare non significa secondo alcuni invece pagamento con mezzi
normali, in quanto il pagamento dei creditori estranei, data l’autonomia delle
parti può essere attuato anche tramite cessione di crediti o dismissione di
cespiti aziendali, anche se tale tesi lascia dubbiosi in quanto in tal modo
41 cfr. in tal senso Coppola , op.cit. ,p. 311 e Guglielmucci, op.cit., 132, mentre secondo altri autori anche in assenza di opposizioni , il tribunale avrebbe il potere di vagliare il piano nel merito, eventualmente disponendo l’opportuna istruttoria con la nomina di consulenti tecnici per la valutazione dell’attuabilità dell’accordo, cfr. sul punto Marano , op. cit., p.785, Ambosini, op cit.,p. 951; De Crescenzo- Panzani, op. cit., p. 74. 42 V. commento alla pronunzia di Proto, Accordo di ristrutturazione dei debiti, tutela dei soggetti coinvolti e ruolo del giudice, ivi, 188 e ss. 43 V. in tal senso anche la citata giurisprudenza assolutamente prevalente , salvo l’isolata pronunzia del Trib. Milano, 21.12.2005, in Fallimento, 2006, 670
32
anche i creditori estranei si troverebbero esposti al rischio del pagamento in
percentuale e con dilazione, ameno che tali creditori non vi consentano.44
GLI ASPETTI PROCEDURALI
L’art. 182 bis dispone che l’accordo deve essere depositato insieme alla
dichiarazione e alla documentazione di cui all’art. 161 presso il Tribunale,
nulla aggiungendo circa la competenza dell’organo giurisdizionale e
dovendosi quindi fare riferimento, atteso l’inserimento della norma nel capo
terzo della legge fallimentare, relativo alla disciplina del concordato
preventivo, all’art. 161 l. fall. in tema di tale procedura concorsuale minore,
che individua la competenza secondo il criterio della sede principale
dell’impresa, vale a dire del luogo in cui si trova il centro direttivo e
amministrativo degli affari della stessa, secondo la consolidata definizione
della giurisprudenza di legittimità , anche in tema di concordato preventivo (
v. per tutte Cass. 24.07.1994, n.11143), senza considerare gli eventuali
trasferimenti avvenuti nell’anno anteriore alla presentazione della domanda (
cfr. art. 9 l. fall) .
La domanda si propone con ricorso sottoscritto dal debitore o dal legale
rappresentante della persona giuridica che propone l’istanza e deve essere
corredato dalla documentazione prevista dall’art. 161 l. fall. relativa a :
a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e
finanziaria dell’impresa;
b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei
creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione,
44 v. Ambrosini, op. cit., 2550, ma per l’opposta opinione v. Marano, op. cit., 103, nota 14 il quale osserva che la tesi desta qualche perplessità perché si finirebbe per addossare ai creditori estranei il rischio che dalla liquidazione dei beni ceduti non sia raggiunto l’esatto ammontare del credito vantato o si dilazionerebbe nel tempo il loro soddisfacimento.
33
c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali sui beni di proprietà o in
possesso del debitore,
d) l’indicazione del valore dei beni e dei creditori particolari degli eventuali
soci illimitatamente responsabili;
nonché dal piano di ristrutturazione dei debiti, essendo il richiamo alla
presentazione del piano un riferimento meramente procedurale e dalla
relazione dell’esperto circa la veridicità dei dati contabili e aziendali e la
fattibilità del piano medesimo.
La legge non indica quali siano le modalità con cui i creditori devono prestare
il proprio consenso al piano, anche se appare evidente che il consenso deve
essere prestato per iscritto e in forma da rendere certa l’adesione e
l’individuazione del creditore, mediante l’autenticazione della firma ad opera
di un notaio ( cfr. Tribunale Bari, 21.11.2005, in Fallimento, 2006, 169).
L’accordo può essere contenuto in una serie di convenzioni bilaterali o in un
documento unitario, sottoscritto da tutti i soggetti partecipanti alla
convenzione, accordo che deve essere depositata in Tribunale insieme alla
restante documentazione indicata dalla norma in esame.45
Va inoltre rammentato che l’accordo in questione deve essere pubblicato sul
Registro delle Imprese e la prova dell’avvenuto assolvimento dell’obbligo
pubblicitario di iscrizione nel Registro deve essere depositata in Tribunale in
uno con il relativo ricorso e la richiamata documentazione.
Il Tribunale deve provvedere in camera di consiglio, con decreto motivato,
dopo aver deciso sulle eventuali opposizioni dei creditori dissenzienti, nonché
di ogni altro interessato, opposizioni che devono essere presentate con
ricorso al Tribunale competente entro il termine perentorio di trenta giorni
dalla pubblicazione dell’accordo nel Registro delle Imprese ( termine soggetto
45 V. Marano, op. cit., p. 774; Coppola, op. cit. , p. 292.
34
alla sospensione dei termini feriali, data la non assimilabilità alla procedura di
concordato).46
Tale termine è stato criticato in dottrina, in quanto sarebbe stato più
opportuno farlo scattare dalla data di comunicazione della proposta ai
creditori estranei all’accordo e alcuni hanno avanzato dei dubbi di
costituzionalità della norma, anche se bisogna rammentare che gli eventuali
dissenzienti che siano venuti a sapere dell’accordo in ritardo possono sempre
tutelarsi presentando istanza di fallimento e sottoponendo comunque il piano
al vaglio di merito del Tribunale.
Sulla legittimazione dei creditori a presentare l’opposizione vi sono divergenti
interpretazioni in dottrina, in quanto la norma non sembra distinguere fra
creditori che hanno partecipato all’accordo e creditori che non hanno aderito
al piano, anche se alcuni autori sottolineano come l’inclusione dei primi sia
discutibile, avendo questi ultimi altri rimedi, rispetto all’opposizione al piano,
quali l’annullamento o la risoluzione del concordato. Tuttavia l’opinione
prevalente è nel senso che anche questi ultimi siano legittimati
all’opposizione, in particolare quando nelle more della presentazione del
ricorso, siano sopravvenute ulteriori passività e inadempienze del debitore,
che abbiano fatto scendere la percentuale degli aderenti al piano al di sotto
della percentuale minima richiesta dalla legge del sessanta per cento, con i
connessi rischi di non attuabilità del piano.
Per contro i creditori estranei possono opporsi al piano quando dagli elementi
evidenziati dall’imprenditore emerga l’inattuabilità dell’accordo di
ristrutturazione e quindi l’impossibilità di garantire il regolare e integrale
pagamento dei creditori non partecipanti all’intesa.
Nell’incertezza circa la legittimazione o meno dei creditori aderenti
all’opposizione alcuni autori ritengono ammissibile la previsione espressa
nell’accordo di una clausola di non opposizione, attraverso la quale chi
46 Cfr. Ambrosini, op. cit., 2551 e Trib. Enna, 27.09.2006, in Fallimento, 2007, 195, con nota di G . B. Nardecchia.
35
aderisce rinuncia a tale diritto di lite, salvo l’eventuale ipotesi di discesa del
valore dei crediti aderenti al di sotto del minimo legale.47
Gli altri interessati possono infine essere individuati nei creditori dei creditori
aderenti al piano che vedono il loro credito, eventuale oggetto di
pignoramento presso terzi, ridursi, nonché i creditori che siano assistiti da
garanzie prestate da terzi, in quanto agli accordi non è applicabile il principio
fissato dall’art. 184, primo comma, secondo il quale i creditori conservano
impregiudicati i loro diritti contro i coobbligati, i fideiussori e gli obbligati in via
di regresso.
Agli accordi non è applicabile , salvo che non li si consideri una forma
particolare di concordato, neppure il principio fissato dal secondo comma
dell’art. 184, secondo cui salvo patto contrario il concordato della società ha
effetto anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, salvo patto
contrario.
La norma in esame non contiene alcuna indicazione circa la procedura da
seguire in caso di opposizione, ma il riferimento alle norme procedurali sul
concordato preventivo consente di superare agevolmente il vuoto normativo,
ritenendo applicabile alla fattispecie in esame il rito in camera di consiglio di
cui all’art. 180 l. fall., con conseguente potere del Tribunale di svolgere
d’ufficio l’eventuale istruttoria, delegando anche un componente del collegio
per tali incombenti.48
Isolata rimane l’opinione di alcuni autori che considerano la fase di
omologazione come solo eventuale e legata alla presenza o meno di
opposizione di creditori o di terzi interessati, in quanto la lettera della legge
prevede la presentazione del piano di ristrutturazione al vaglio del Tribunale,
47 Cfr. Coppola, op. cit. 309, ma v. anche Guglielmucci, op. cit., p. 133, secondo cui la legittimazione dei creditori non aderenti all’accordo è ipotizzabile anche quando non sia stata raggiunta la maggioranza, perché l’accordo può intervenire anche attraverso una serie di adesioni non contestuali e la sua attuabilità può essere legata al raggiungimento di una determinata soglia, cosicché le adesioni possono essere espressamente o tacitamente subordinate al raggiungimento della stessa. Per contro l’opposizione appare preclusa quando sia solo frutto di un ripensamento sull’adesione originariamente data. 48 Cfr ancora Coppola, op. cit., p.310, ma per una diversa opinione v. Ambrosini, op. cit. , p. 5.
36
il quale deve necessariamente esprimersi omologando o non omologando
l’accordo a prescindere dalla presenza o meno di opposizioni.
Per contro alcuni interpreti ritengono che in assenza di opposizioni il potere
del Tribunale sia di mera legittimità e il controllo limitato quindi agli aspetti
formali, quali la presenza di tutta la documentazione prevista dalla legge e il
raggiungimento della percentuale del 60% dei creditori aderenti al piano,
mentre nel caso di opposizione i poteri dell’organo giudicante diverrebbero
molto più estesi e riguarderebbero anche il merito della proposta, con
conseguente vaglio oltre che degli aspetti formali, anche della attuabilità e
convenienza del piano e della meritevolezza dell’imprenditore e con il solo
limite dell’interesse dell’opponente, analogamente a quanto previsto nel
concordato preventivo49.
Il Tribunale infatti non è chiamato a valutare la convenienza economica del
concordato, ma principalmente i requisiti di attuabilità del piano e quindi se lo
stesso sia in grado o meno di rimuovere l’insolvenza, mediante il prospettato
accordo remissorio e/o dilatorio con i creditori, volto normalmente a
salvaguardare l’impresa attraverso la sua cessione parziale o totale o il suo
ridimensionamento o con la sostituzione dell’imprenditore.
Nel caso di assenza di opposizioni il Tribunale decide in camera di consiglio,
senza fissare udienza di comparizione delle parti, non essendovi nomina di
un commissario giudiziale e quindi necessità di audizione delle parti davanti
al Collegio, mentre nel caso di opposizioni, sarà necessario instaurare un
contraddittorio con i creditori opponenti a cui dovrà essere notificato il ricorso
e la fissazione dell’udienza in camera di consiglio.
L’impugnazione del decreto di omologa ( o di rigetto dell’omologa)
dell’accordo è regolato dalle norme sul concordato preventivo, in virtù
dell’espresso richiamo dell’art. 182 bis, 4° comma all’art. 183, con la
49 v. Ambrosini, op. cit. , p. 5; Pacchi, op. cit. , p.18; De Crescenzo- Panzani, op. cit. , p.51 ; Coppola, op. cit. , p.311, nonché Guglielmucci, op. cit., p. 130, che sottolinea come una valutazione di merito , in assenza di opposizioni non sia consentita neppure nel concordato preventivo, ma per l’opposta opinione sui poteri del Tribunale v. ancora, Marano, op. cit. , p.786- 787.
37
precisazione che tuttavia ad evitare una sanzione di prevedibile
incostituzionalità della norma, la disposizione deve essere intesa nel senso
che per le parti costituite il dies a quo per l’impugnazione va identificato in
quello della ricezione della comunicazione del provvedimento e non in quello
dell’iscrizione nel Registro delle imprese, sulla scorta della statuizione
contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale di data 12.11.1974, n.
255 in merito ai termini dell’art. 183 l. fall. in materia di impugnazione.50
Nell’ipotesi in cui il Tribunale non omologhi il piano, secondo un primo
indirizzo interpretativo, il Collegio dovrebbe verificare la sussistenza dei
presupposti o meno per la dichiarazione di fallimento e quindi della
sussistenza dello stato di insolvenza, che come già analizzato non costituisce
necessariamente il presupposto oggettivo per la presentazione del ricorso,
essendo sufficiente il mero stato di crisi ( o secondo un minoritario indirizzo
neppure quello), procedendo all’istruttoria prefallimentare, mentre nel caso in
cui verifichi l’insussistenza dello stato di dissesto dovrebbe limitarsi a rigettare
l’omologazione archiviando il ricorso.51
Tale soluzione, indubbiamente compatibile con la normativa anteriore al d.
lgs. n.5/06, in ragione del richiamo alle norme processuali e quindi all’art. 173
l. fall., non è ormai più sostenibile, atteso che l’art. 8 della legge fallimentare,
che prevedeva l’iniziativa officiosa del tribunale per la dichiarazione di
fallimento è stato abrogato e che lo stesso art. 173 è stato modificato con il
decreto correttivo allineandolo al principio generale, con la conseguenza che
il Tribunale non può più procedere d’ufficio in assenza di istanze dei creditori ,
né alla domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione può essere
assegnata valenza di istanza di fallimento ad iniziativa del debitore ex art.6 l.
fall, anche perché la richiesta di omologazione dell’accordo può essere
50 V. Guglielmucci, op. cit., p. 135 cui adde Marano , op. cit., p. 787, il quale sottolinea anche che, poiché le norme si riferiscono al giudizio di cognizione ordinaria, sembra preferibile che anche il giudizio d’appello, come quello di primo grado, si svolga secondo il rito camerale. 51 V. Coppola , op. cit., p. 313, nonché in senso conforme , Pacchi, op. cit., 225 e Panzani, op. cit., p. 9.
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avanzata da un imprenditore che non si trova in insolvenza e forse neppure in
stato di crisi.
In tale evenienza il Tribunale dovrebbe invece, limitarsi all’eventuale
segnalazione al P. M. dello stato di dissesto dell’imprenditore, in modo che lo
stesso possa avviare la richiesta di cui al primo comma dell’art. 6, ai sensi del
novellato disposto dell’art. 7, n. 2 l. fall.52
Nel caso di mancata omologazione secondo alcuni autori l’accordo sarà
comunque vincolante per i creditori aderenti al piano, in assenza di una
contraria volontà, che ne preveda la risoluzione, ma i creditori non potranno
beneficiare dell’esenzione dalla revocatoria , che presuppone l’omologazione
dell’accordo, anche se in tale evenienza all’accordo potrà essere attribuita
l’efficacia del piano di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d) l. fall., nell’ipotesi in
cui ne sussistano i requisiti, mentre altri sottolineano come la mancata
omologazione comporti il venir meno anche dell’efficacia e validità
dell’adesione espressa dai creditori, essendo la stessa condizionata
all’approvazione del Tribunale.53
GLI EFETTI DELL’OMOLOGAZIONE
L’effetto di maggior rilievo che consegue all’omologazione dell’accordo è
rappresentato dall’esenzione dalla revocatoria di atti, pagamenti e garanzie
posti in essere in attuazione degli accordi e tali effetti retroagiscono al
momento dell’iscrizione dell’accordo nel Registro delle imprese , con la
conseguenza che l’esenzione può riguardare anche atti posti in essere prima
52 Cfr. per la non dichiarabilità d’ufficio del fallimento, in assenza di istanze dei creditori , Allegretti, Concordato preventivo , accordi di ristrutturazione dei debiti e transazione fiscale, in Il nuovo fallimento, Milano, 2006, p.725 e Ferro, I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell’insolvenza, cit.,p. 509. 53 V. in tal senso per la tesi dell’efficacia ridotta dell’accordo,MARANO, OP. CIT. ,P. 786, MENTRE IN SENSO NEGATIVO COPPOLA, OP. CIT., P.313.
39
dell’omologazione, ma dopo la pubblicazione del piano nel Registro delle
imprese.
La presentazione dell’accordo fino a quando il Tribunale non abbia deciso
sulla richiesta di omologazione non impedisce inoltre la dichiarazione di
fallimento, mentre si esclude dai più la possibilità di applicare agli accordi di
ristrutturazione la disciplina prevista dall’art. 168 l. fall. in tema di concordato,
che dispone il divieto di azioni esecutive individuali in pendenza della
procedura e questo perché gli accordi vengono stipulati solamente con una
parte del ceto dei creditori e a quelli rimasti estranei all’accordo non può
essere precluso il ricorso ai normali mezzi di tutela delle proprie ragioni in
sede esecutiva, con conseguente possibilità di aggressione dei beni del
debitore e molto opportunamente il legislatore ha posto rimedio a tale lacuna
con il decreto correttivo prevedendo la protezione del debitore dal rischio di
azioni esecutive per il periodo di sessanta giorni.54
Nulla è invece previsto per l’eventuale rango prededucibile dei crediti
concessi in funzione della ristrutturazione in particolare dalle banche che
decidano di continuare a fianziare l’imprenditore in crisi ( nuova finanza), dato
che l’interpretazione prevalente esclude ancora una volta la richiamabilità
delle norme sul concordato preventivo e quindi dell’art. 111, 2° comma, che
considera prededucibili i crediti insorti in occasione in funzione delle
procedure concorsuali, non essendo gli accordi una procedura concorsuale in
senso proprio.55
Del tutto lacunosa appare la norma, sia per quanto attiene all’esecuzione del
piano e ai relativi controlli, sia per quanto attiene ai rimedi in caso di
inesecuzione degli obblighi derivanti dagli accordi o di successiva
impossibilità di attuazione degli stessi per circostanze sopravvenute e quindi
54 v. in tal senso Guglielmucci, op. cit. , p.136, Copola, op. cit. , p. 300 e Marano, op. cit., p.788, mentre per la contraria opinione v. Ferro, I nuovi strumenti cit., p. 587 e id.art. 182 bis, cit. 59 ove l’autore sostiene che anche i creditori estranei all’accordo non possano aggredire i beni del debitore dalla data del deposito dell’accordo nel Registro delle imprese e fino all’omologazione. 55 V. Ambrosini, op. cit., 2557 e per la tesi affermativa invece, Valensise, sub art. 182 bis, in Nigro – Sandulli, op. cit. , 1088.
40
della possibilità di annullamento o risoluzione del ricorso omologato, non
essendo certamente applicabile la normativa prevista dall’art. 185 l. fall., che
riguarda il solo concordato preventivo, ove l’accordo è vincolante per tutti i
creditori, anche per quelli dissenzienti e non come nel caso in esame ove
l’accordo è vincolante solo per quelli partecipanti all’accordo.
Nel caso di mancata esecuzione delle obbligazioni previste nell’accordo o del
mancato pagamento integrale e regolare dei creditori estranei ci si è chiesto
quale sia la sorte del piano omologato, in quanto come si è visto i creditori
non facenti parte dell’accordo non sono in alcun modo vincolati dalla
proceduta e mantengono quindi il potere di aggredire il patrimonio del
debitore se non soddisfatti alle scadenze pattuite, con tutti i mezzi mesi loro a
disposizione dall’ordinamento e pertanto con azioni esecutive individuali o
con l’iscrizione di titoli di prelazione o provvedimenti cautelari ( ad es. con
iscrizioni di ipoteche giudiziali) o anche presentando istanza di fallimento.
L’opinione prevalente è nel senso che mentre i creditori aderenti all’accordo
di fronte all’inadempimento del debitore o all’impossibilità di dare esecuzione
all’accordo, conformemente alla natura contrattuale dello stesso, possono
procedere con le regole previste dal codice civile per la risoluzione del
contratto ai sensi degli art.. 1453 e ss. ( tenendo tuttavia conto che agli
accordi, essendo dei contratti plurilaterali, si applica il principio fissato dall’art.
1479 che sancisce la non risolubilità del contratto, a meno che la prestazione
mancante non debba considerarsi essenziale), i creditori estranei all’accordo
proprio perché non vincolati, possono procedere con i normali strumenti
cautelari e esecutivi e munirsi di garanzie reali, oltre che presentare istanza di
fallimento, non essendo fra l’altro neppure legittimati a poter ricorrere ai
normali rimedi di risoluzione del vincolo contrattuale, non essendo parte del
contratto .
Si tende invece ad escludere la necessità di passare attraverso una
risoluzione del concordato, anche perché ben difficilmente potrebbe essere
41
applicato l’art. 137 l. fall relativo alla pronunzia d’ufficio del Tribunale ,
mancando nella norma in esame qualsiasi riferimento all’art. 186 l. fall
dettato in materia di concordato preventivo.56
Solo nell’ipotesi, scartata dai più, che l’accordo non sia che una particolare
modalità di attuazione del concordato preventivo, si potrebbe pervenire
all’applicazione diretta delle norme sulla risoluzione o l’annullamento del
concordato ai sensi del combinato disposto degli artt. 173 e 186 l. fall.
Per quanto attiene alle conseguenze della risoluzione dell’accordo o del suo
annullamento, l’assenza di qualsiasi indicazione da parte del legislatore ha
portato la dottrina a dividersi sui possibili esiti del venir meno dell’efficacia
degli accordi e in particolare delle conseguenze derivanti dal fallimento
dell’imprenditore inadempiente.
Secondo alcuni il fallimento non avrebbe come conseguenza la riviviscenza
dei crediti originari, almeno per quanto riguarda i creditori aderenti all’accordo
che potrebbero di conseguenza insinuarsi solamente per il credito
rinegoziato, mentre secondo altri la risoluzione dell’accordo e il fallimento del
debitore travolgerebbero la rinegoziazione dei debiti, stante la retroattività
degli effetti della risoluzione e l’intangibilità dei pagamenti anche parziali
effettuati in esecuzione dell’accordo che presuppone l’irripetibilità degli stessi,
i creditori riacquisterebbero nella loro interezza i diritti spettanti prima
dell’accordo.57
Gli effetti della risoluzione o dell’annullamento dell’accordo, secondo la
prevalente opinione, non si estendono fino a consentire la proponibilità delle
azioni revocatorie nei confronti degli atti compiuti in esecuzione dell’accordo,
in quanto il legislatore ha voluto privilegiare la definitività degli effetti
56 V. Guglielmucci, op cit. , p. 138 e ss. id, Diritto fallimentare, cit. 2007, 354, Ferro, art. 182 bis, cit. p. 59, ma v. anche Coppola , op cit., p. 314 e ss., che assimila per contro l’accordo ad un contratto di transazione, con la conseguenza che bisognerebbe di volta in volta verificare la natura novativa o meno delle singole convenzioni con i creditori, onde pervenire all’applicazione dell’art.1976 cod. civ., prevedendo tale norma che la risoluzione della transazione non possa essere chiesta se la stessa ha contenuto novativo, a meno che non sia stata espressamente inserito nell’accordo transattivo il diritto alla risoluzione del contratto. 57Per la prima tesi v. De Crescenzo – Panzani, op. cit., p. 67 e Ferro, 182 – bis cit., p.62 , mentre per la seconda v. Guglielmucci, op cit. , p. 138 e Coppola , op.cit. , p. 315.
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prodottisi, rispetto alla situazione anteriore, come appare evidente dalla ratio
dell’istituto. In particolare si ritiene, e tale opinione mi sembra pienamente
condivisibile, che siano irrevocabili non solo i pagamenti , anche parziali
eseguiti in base all’accordo, ma anche i pagamenti ai creditori estranei
all’accordo, il cui soddisfacimento venga effettuato proprio grazie al piano di
ristrutturazione dei debiti, pur rimanendo estranei all’esecuzione
dell’accordo.58
Si è anche osservato che dato che gli accordi di ristrutturazione sono rimessi
all’autonomia privata, gli stessi possono essere condizionati all’omologa,
essendo del tutto legittima l’inserzione di una clausola risolutiva, che ne
condizioni l’efficacia alla circostanza che l’impresa non venga dichiarata
fallita, entro un determinato termine, mentre si potrebbe anche ricorrere
all’istituto della presupposizione per sostenere la tesi della caducazione degli
accordi, nel caso in cui sopravvenga il fallimento, presupponendo gli accordi
lo scopo di evitare l’insolvenza dell’impresa.59
Problematico appare infine il tema della c. d. nuova finanza, vale a dire
dell’immissione nell’impresa in crisi di risorse fresche erogate in seguito
all’omologazione del piano, dirette a consentire il pagamento regolare dei
creditori estranei, in quanto il legislatore pur essendosi premurato di sancire
la non revocabilità delle garanzie concesse in esecuzione del piano, non ha
previsto alcunché riguardo alla natura o meno prededucibile dei crediti sorti
durante il tentativo di ristrutturazione, in ipotesi di successivo fallimento.
Sotto tale profilo si dubita dai più che tali crediti possano essere considerati
prededucibili ex art. 111 l. fall., come crediti sorti in occasione e in funzione
58 V. sul punto Bonfatti Le procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa, in Bonfatti- Censoni, La riforma della disciplina della revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006, p. 286 e id . Bonfatti, La disciplina dell’azione revocatoria nelle procedure di composizione negoziale della crisi di impresa, Milano, 2005, p.141 e ss. , nonché Guglielmucci, op cit., p. 138 59 Si rammenti che prima della riforma gli accordi stragiudiziali volti a liberare risorse, per pagare i creditori estranei all’accordo, essendo volti ad evitare la dichiarazione di fallimento, implicitamente prevedevano il loro condizionamento sotto il profilo della presupposizione, alla prevenzione dal fallimento, con la conseguenza che in caso di fallimento non avevano più alcun effetto ( v. Cass. 16.03.1979, n.1562).
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delle procedure concorsuali, in quanto si dubita che gli accordi in questione
siano una procedura concorsuale, tenuto anche conto dell’assenza di controlli
sull’attività dell’imprenditore ammesso all’accordo di ristrutturazione.
Nulla è infatti previsto per l’eventuale rango prededucibile dei crediti concessi
in funzione della ristrutturazione in particolare dalle banche che decidano di
continuare a finanziare l’imprenditore in crisi ( nuova finanza), dato che
l’interpretazione prevalente esclude ancora una volta la richiamabilità delle
norme sul concordato preventivo e quindi dell’art. 111, 2° comma, che
considera prededucibili i crediti insorti in occasione in funzione delle
procedure concorsuali, non essendo gli accordi una procedura concorsuale in
senso proprio.60
Va inoltre considerata la problematica connessa alla responsabilità per
concessione abusiva di credito, che non pare essere innovata dalle
disposizioni sulla composizione negoziale della crisi, in quanto gli accordi in
esame ricevono protezione solamente sotto il profilo dell’azione revocatoria
degli atti posti in essere per la loro esecuzione, mentre per il resto tutto è
rimasto immutato, con conseguente possibilità di agire con la tutela aquilana
per il risarcimento dei danni per concessione abusiva di credito per le
operazioni poste in essere in esecuzione di un tentativo di composizione (
anche stragiudiziale ) della crisi.61 Con l’espressione “concessione abusiva di credito” si è soliti fare riferimento
al fenomeno del sostegno dato dalla banca ad un imprenditore in crisi, vale a
dire del sostegno dato ad un imprenditore in stato più o meno grave di
decozione e quindi diretto a tenerlo artificiosamente in vita, con conseguente
danno rappresentato dall’aumento del passivo e dall’induzione degli altri
creditori anteriori a proseguire i rapporti con l’impresa e a non attivare i
possibili rimedi per il recupero del loro credito o per l’ottenimento di adeguate
60 V. Ambrosini, op. cit., 2557 e per la tesi affermativa invece, Valensise, sub art. 182 bis, in Nigro – Sandulli, op. cit. , 1088. 61 v. Coppola, op cit., p.303; Ambrosini, op cit. , p. 195; Ferro, op cit. , p. 62 e diffusamente sul punto relativo alla responsabilità per concessione abusiva del credito Bonfatti, Le esenzioni, cit., p.95 e ss.
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garanzie e i creditori successivi a iniziare rapporti, in quanto gli stessi non
potevano conoscere con l’ordinaria diligenza l‘effettiva situazione
patrimoniale del debitore.62
Secondo la maggior parte della dottrina la responsabilità della banca
presuppone la sussistenza, per quanto attiene all’elemento soggettivo, del
dolo o della colpa grave, in riferimento anche a quanto disposto dall’art. 2236
del cod. civ. in materia di responsabilità professionale, con la conseguenza
che la banca potrebbe essere chiamata a rispondere del danno provocato ai
terzi in caso di errore clamoroso, come tale rilevabile ex ante o nel caso di
mancato assolvimento degli obblighi di istruttoria minima che le avrebbero
consentito di avvedersi della non meritevolezza del debitore, mentre rimane
fuori dalla responsabilità l’errore di valutazione in senso stretto.
L’accordo di ristrutturazione può infine essere impugnato con l’azione di
annullamento, prevista dal codice civile, principalmente nel caso di induzione
in errore dei creditori, attraverso una falsa rappresentazione di attività o
passività, con aumento artificioso dell’attivo o del passivo e viceversa o
anche elle altre ipotesi considerate dalla disciplina di diritto comune.63
In tale evenienza si deve d’altro canto ritenere che l’esenzione dalla
revocatori non possa salvaguardare atti o pagamenti effettuati eventualmente
in favore di creditori collusi, non potendo l’omologazione costituire la
copertura per accordi fraudolenti, mentre saranno tuttavia esenti da
revocatoria gli atti costitutivi di garanzie o le alienazioni verso soggetti terzi,
62v. Campolattaro, op. cit., p. 1369 che sottolinea come il concetto di crisi abbia una accezione giuridica essendo utilizzato dal legislatore sia nella disciplina dell’amministrazione straordinaria, nella quale viene ricollegato all’insolvenza, sia nella disciplina del riformato concordato preventivo. 63 Cfr. Guglielmucci, op cit., p. 139-140, che fa anche riferimento all’ipotesi definita “ inquietante” della collusione fra debitore e maggioranza ( effettiva o puramente affermata) dei creditori. Osserva l’autore che “…l’assenza di qualsivoglia controllo officioso, la mancanza di efficaci strumenti di informazione al di là della relazione dell’esperto e la sostanziale inidoneità della stessa pubblicazione nel registro delle imprese a rendere edotti i creditori estranei dell’intervenuto raggiungimento dell’accordo e dell’inizio del decorso del termine per proporre opposizione ad omologa, rendono certamente possibile collusioni in danno dei creditori estranei.”
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non coinvolti negli accordi, con l’unico possibile rimedio rappresentato dalla
dichiarazione di fallimento, prima del compimento di tali atti. 64
Va infine rammentato che l’ultimo comma dell’art 182 ter, aveva dichiarato
inapplicabili agli accordi di ristrutturazione dei debiti le disposizioni relative
alla transazione fiscale, che rimangono circoscritte al solo accordo di
ristrutturazione dei debiti proposto ai sensi dell’art. 160 l. fall. nell’ambito del
concordato preventivo, conformemente a quanto previsto nella legge delega
per la riforma delle procedure concorsuali, ma che tale norma .
IL PIANO STRAGIUDIZIALE DI SOLUZIONE DELLA CRISI
La rassegna sulle soluzioni stragiudiziali dell’insolvenza non può dirsi
completa se non si esamina un ulteriore istituto introdotto dal legislatore in
alternativa all’accordo di cui all’art.182 bis.
Come sottolineato da molti autori l’obiettivo primario della riforma di questa
parte della legge fallimentare era di mettere al riparo dalle azioni revocatorie
e dalle incriminazioni per bancarotta preferenziale le operazioni di
risanamento o ristrutturazione aziendale di natura stragiudiziale, che
venivano giudicate in alcuni casi più idonee a salvaguardare il bene primario
rappresentato dall’impresa, rispetto alle procedure concorsuali di
composizione dell’insolvenza.
La riforma in tal senso ha introdotto i due istituti in esame degli accordi di
ristrutturazione e del piano per il riequilibrio finanziario, prevedendo in
entrambi i casi delle ipotesi di esenzione dalle revocatorie, mentre nulla ha
previsto sul piano penalistico, anche se ci si domanda se l’aver dato
riconoscimento su piano ciclistico a determinate operazioni non possa avere
dei risvolti anche sotto il profilo dei reati fallimentari e segnatamente della
bancarotta preferenziale.
64 Cfr. ancora testualmente, Guglielmucci, op. cit., p. 139.
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La riforma del concordato preventivo e della revocatoria fallimentare attuata
con la legge n.80/05 ha infatti previsto l’esenzione dalla revocatoria oltre che
per gli atti posti in essere in esecuzione dall’accordo di cui all’art. 182 bis (
art. 67, terzo c., lett. e) anche per gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse
sui beni del debitore, purché posti in essere in esecuzione di un piano che
appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria
dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria e la cui
ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’art. 2501 bis , quarto comma, del
cod. civ. ex art. 67, terzo c. , lett. d).
Tale esenzione è stata inserita dal legislatore nell’intento di riconoscere piena
legittimazione a quegli accordi di natura stragiudiziale che coinvolgono i
soggetti interessati senza il vaglio del Tribunale, meglio noti come concordati
stragiudiziali o composizione stragiudiziale dell’insolvenza65, anche se la
portata del concordato preventivo può essere più ampia, potendo mirare non
tanto alla salvaguardia dell’impresa, ma piuttosto alla sua liquidazione al fine
di soddisfare i creditori e evitare il fallimento.
E’ noto che tale figura di concordato e in particolare il c. d. pactum de non
petendo, vale adire il patto che rende inesigibile il credito per un determinato
periodo di tempo, dopo le prime pronunzie sfavorevoli della giurisprudenza,
era stato ritenuto legittimo dalla Suprema Corte anche nell’ipotesi più
problematica che non raccogliesse l’adesione dell’intero ceto creditorio66, ma
comunque tale composizione stragiudiziale conosceva non poche difficoltà,
stante l’esposizione, in caso di successivo fallimento, al rischio di azioni
revocatorie nei confronti dei pagamenti effettuati e al rischio della bancarotta
preferenziale in cui potevano incorrere i falliti e anche i creditori coinvolti negli
atti lesivi della par codicio.
Si è tuttavia notato che le operazioni di ristrutturazione dei debiti anche prima
di questa riforma conoscevano una certa forma di protezione, atteso che gli
65 V. Frascaroli Santi,Effetti della composizione stragiudiziale dell’insolvenza, Padova, 2005. 66 V. Cass., 9.05.1992, n.5525 e 20.02.1990, n.1439.
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istituti di credito da tempo utilizzavano i mutui fondiari per fornire nuova
finanza all’impresa in crisi, fidando sul fatto che la legge 16.0.1905, n. 646 sul
credito fondiario, malgrado le successive modificazioni intervenute con le
norme introdotte dalla legge n. 492/75 e dal TUB del 1993 non era mai stata
abrogata e prevedeva la drastica riduzione del periodo sospetto a soli dieci
giorni dall’iscrizione ipotecaria, rendendo praticamente esenti da revocatoria
tali operazioni67
Il legislatore tuttavia si è spinto anche oltre, in quanto non ha neppure
previsto che il piano necessiti del consenso dei creditori, in quanto non vi è
alcuna necessità di raccogliere le adesioni dei creditori al piano di
risanamento dell’impresa, anche se tale soluzione appare la più usuale e
praticabile in concreto, volendo comunque privilegiare soluzioni stragiudiziali
della crisi, che mirino alla salvaguardia dell’impresa o almeno a parte di essa,
non essendo escluso che il salvataggio e il riequilibrio finanziario passino
attraverso cessioni di complessi produttivi o parziali dismissioni, o anche
attraverso la sostituzione dell’imprenditore con l’apporto di nuovi capitali da
parte del acquirente68.
Il legislatore ha quindi voluto favorire il più possibile il ricorso ad accordi
stragiudiziali fra debitore insolvente o in crisi e i creditori ai fini del salvataggio
dell’impresa, salvataggio che non sempre appare possibile nel concordato
preventivo, che pure dopo la riforma mantiene la possibilità di mero
soddisfacimento dei creditori, mediante la liquidazione dei singoli beni del
debitore, anche se tali soluzioni non possono beneficiare , come tutte le
67 v. sul punto diffusamente, Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, Padova, 2006, p. 48 e ss., il quale evidenzia come una volta eliminato ogni limite funzionale e soggettivo all’erogazione di tali mutui, caratterizzati solo dalla necessità di essere garantiti da iscrizioni ipotecarie di primo grado, le banche abbiano utilizzato tali prestiti per finalità di ricapitalizzazione di imprese in crisi o semplicemente sottocapitalizzate, salvo che la giurisprudenza aveva poi sottoposto a revocatoria tutti quei giroconti interni utilizzati dalla banca per estinguere i rapporti in chirografo già esistenti o anche l’ipoteca iscritta sulla base di una supposta frode ala legge. 68 v. Bonfatti, La disciplina , cit., p. 141 cui adde Coppola , op cit. , p. 324, che sottolinea giustamente come la soluzione stragiudiziale possa passare tanto da accordi fra creditori e debitore , quanto da piani unilaterali.
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soluzioni stragiudiziali, della moratoria dei pagamenti e del divieto di azioni
esecutive previsto dal concordato preventivo e dall’art. 182 bis69.
L’esenzione introdotta dal legislatore prevede espressamente che il piano di
salvataggio e riequilibrio finanziario sia asseverato da un esperto, il quale
deve attestarne la ragionevolezza, sempre che lo stesso sia idoneo ai fini
prefissati di risanare l’impresa assicurandone l’equilibrio finanziario.
La norma in riferimento alla relazione dell’esperto richiama l’art. 2501 bis cod.
civ. ( che riguarda le modalità di realizzazione della fusione a seguito di
acquisizione con indebitamento, c. d. operazioni di leveraged buyout delle
società di capitali), individuando in tal modo le caratteristiche che deve
possedere l’esperto incaricato di valutare il piano, il quale tuttavia che non è -
secondo l’interpretazione prevalente - un organo pubblico, ma solo un
professionista privato, che deve essere iscritto all’albo dei revisori contabili, o
una società di revisione, scelta direttamente dall’imprenditore che propone il
piano. 70
L’esperto secondo alcuni autori risponde dei danni causati ai creditori e al
debitore in quanto nei suoi confronti si applica l’art. 64 cpc, dato che la sua
relazione rappresenta il presupposto per l’esenzione dalle revocatorie e deve
essere in grado di dimostrare in maniera sufficientemente certa la tenuta del
piano, certificando sia l’entità del passivo, sia la futura possibilità di
eliminazione dell’insolvenza.71
La norma non chiarisce poi se l’esenzione da revocatoria riguardi solamente i
pagamenti effettuati in esecuzione di un piano accettato dalla maggioranza
dei creditori ( non in senso numerico, ma di capitale) o non sia necessaria
tale adesione e la maggior parte degli interpreti propende per la non
69 V. Ferro, I nuovi strumenti, cit., p. 587 per il quale il piano di risanamento è finalizzato a riordinare le varie componenti finanziarie, immobiliari e mobiliari dell’impresa. 70 V. però, Panzani , op cit., p. 30, secondo cui l’esperto, il revisore contabile o la società di revisione, deve essere designato dal Tribunale quando la società che intende proporre il piano sia una società per azioni o una società in accomandita per azioni, o quando la società faccia ricorso al mercato del capitale di rischio, o sia quotata in mercati regolamentati, in virtù del richiamo dell’art. 2501 bis agli artt. 2501 sexies e 2409 bis cod. civ. e anche Coppola, op. cit. , p. 325. 71 V. Arato, op. cit. , p. 177.
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necessità dell’approvazione dei creditori, sempre che il piano presenti dei
requisiti di ragionevolezza attestati dall’esperto, che possono tuttavia
consistere ( e nella maggior parte dei casi devono presumere) anche
nell’accettazione dello stesso dalla maggioranza dei creditori, in quanto in
caso contrario si potrebbe dubitare della stessa ragionevolezza e attuabilità
del progetto.
In tal senso si ipotizza che il piano possa essere presentato anche senza
l’assenso dei creditori in maniera unilaterale, o con l’assenso di un numero
minimo di creditori, sempre che lo stesso presenti però dei requisiti di
ragionevolezza tali da consentire comunque il riequilibrio della situazione
finanziaria, tenuto conto del dato letterale della norma ove non si fa menzione
della parola accordo , ma si utilizza il solo termine di piano di risoluzione della
crisi dell’impresa, che sembrerebbe implicare la non necessità del
raggiungimento del consenso con la maggioranza dei creditori.72
Al riguardo è tuttavia opportuno notare come l’assenso dei singoli creditori
per la rinegoziazione di ciascuna posizione debitoria, sia comunque
indispensabile, atteso che il piano deve necessariamente passare attraverso
una serie di singoli accordi con i creditori, che possono riguardare tanto
rinunce parziali, quanto semplici moratorie, rispetto ai termini di pagamento
inizialmente previsti, ma tale autonomo accordo con ciascun creditore non
implica che vi sia anche un assenso della maggioranza dei creditori al piano
di riequilibrio finanziario nel suo insieme.73
Non si dimentichi che già in passato la giurisprudenza aveva ritenuto legittimo
il pactum de non petendo stipulato con una parte soltanto dei creditori,
quando l’imprenditore fosse stato in grado di dimostrare che tali accordi
72 v. ancora Panzani, op. cit. , p.30 e ss. il quale sottolinea come il piano vada valutato a prescindere dall’approvazione o meno della maggioranza dei creditori, sempre che il riassetto sia sorretto dal requisito della ragionevolezza. 73 cfr. F. Santangeli, Disciplina delle revocatorie, in Il nuovo Fallimento, cit., p.289, il quale fa giustamente notare come in questo caso ogni creditore ha un accordo autonomo e non esista tutela della par condicio, né vi sia pubblicizzazione degli accordi intercorsi con gli altri creditori, a differenza di quanto previsto negli accordi di cui all’art. 182 bis.
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escludevano l’insolvenza, andando a diminuire le obbligazioni residualmente
esigibili ad un ammontare tale da consentirgli l’adempimento puntuale e con
mezzi normali di pagamento di tutti i debiti contratti.74
Il contenuto e le caratteristiche del piano stragiudiziale differiscono inoltre
dall’accordo dell’art. 182 bis e dal concordato preventivo, in quanto possono
avere un contenuto anche più ampio rispetto alla mera ristrutturazione dei
debiti, dato che il legislatore ha previsto come finalità del piano stragiudiziale
quella di riequilibrare dal punto di vista economico e finanziario l’impresa,
lasciando al debitore ( in accordo o meno con i creditori) la più ampia scelta
del mezzo per giungere a tale risultato.
In tal senso si è notato che le finalità del piano sono quelle di ottenere il
risanamento dall’esposizione debitoria e il riequilibrio della situazione
finanziaria, in modo da eliminare la crisi in cui versa l’impresa e finanche il
suo eventuale stato di dissesto.
La caratteristica di questo nuovo istituto voluto dal legislatore è che esso
prescinde da qualsiasi forma di pubblicità e di validazione preventiva, sia dei
creditori, sia del Tribunale, se non quella rappresentata dalla relazione
dell’esperto, con la conseguenza che il successivo vaglio del Tribunale potrà
avvenire solamente nel caso in cui venga promossa una azione revocatoria.
Si ritiene che la certificazione dell’esperto e gli accordi con i creditori, tuttavia
proprio perché manca un controllo preventivo del Tribunale, per essere
opponibili al fallimento successivo, devono essere muniti di data certa, dato
che in caso contrario potrebbero venir costruiti anche a posteriori.75
Tale soluzione comporta il dubbio se il Tribunale, chiamato a valutare la
sussistenza dei requisiti per l’esenzione dalle revocatorie, in un momento
successivo, quando il piano sia evidentemente naufragato e sia intervenuto il
fallimento, debba fare riferimento, per giudicare la ragionevolezza del piano al
momento in cui lo stesso è stato predisposto, oppure debba valutare il piano
74V. ancora Cass. cit., 26.02.1990, n. 1493 e 26.06.1992, n. 8012. 75 V. sul punto ancora Arato, op. cit. , p.177.
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e quindi l’esattezza o meno delle attestazioni effettuate dall’esperto allo stato
attuale, atteso che la norma fa riferimento al piano che appare idoneo a
superare la crisi e non , come presumibilmente sarebbe stato più opportuno,
al piano che al momento della sua predisposizione appariva idoneo a
consentire il risanamento.76
La conclusione che si può trarre dall’analisi effettuata dei nuovi strumenti di
composizione della crisi di natura stragiudiziale, non appare particolarmente
positiva, in quanto la mancanza di estensione degli effetti dell’accordo ai
creditori dissenzienti o non informati, l’assenza di protezione per il debitore da
azioni esecutive e cautelari ( se non nel limitato termine di cui all’art. 182
bis), la non prededucibilità della nuova finanza nel caso di successivo
fallimento, la possibile responsabilità risarcitoria per ricorso abusivo al credito
e la possibile responsabilità penale per concorso in bancarotta preferenziale77
o in bancarotta da aggravamento del dissesto per ritardata richiesta di
fallimento, per non parlare dei possibili rischi di natura tributaria, rendono
poco appetibile il ricorso a tali procedure stragiudiziali, indirizzando più
facilmente gli imprenditori in crisi verso il concordato preventivo.
Le modifiche introdotte con il decreto correttivo di cui al d. lgs.
12.09.2007, n. 169 agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
76 Cfr sul punto Mandrioli, La disciplina dell’azione revocatoria nelle procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa, in Bonfanti, La disciplina, cit., p.14 e Coppola, op. cit. , p. 327, nonché Terranova . op. cit. p.53, il quale sottolinea come la norma raccomandi una particolare cautela al giudice, nella valutazione degli atto, non dovendo quest’ultimo limitarsi ad accertare, se il debitore è fallito, che il piano era insufficiente, ma dovendo valutare, sulla scorta della relazione dell’esperto, se – ex ante - fosse ragionevole attendersi un esito positivo del tentativo di risanamento e questo sia poi naufragato per fatti sopravvenuti e imprevedibili. 77 Ma su questo punto le opinioni divergono, in quanto alcuni autori ritengono che sia l’accordo ex art. 182 bis,sia il piano di risanamento, non più improntati al rispetto della par condicio, vengano ad incidere sul piano oggettivo sulla fattispecie incriminatrice della bancarotta preferenziale: Cfr. sul punto Ambrosini,- Demarchi, op. cit. , p. 195 e ss. e Lo Cascio, op. cit., p.362, mentre altri ritengono che nulla sia mutato, cfr. Bonfatti, op cit. , p.102.
52
Il decreto legislativo correttivo e integrativo della riforma organica delle
procedure concorsuale introduce delle importanti novità anche in materia di
accordi di ristrutturazione dei debiti.
E’ noto che ai creditori estranei all’accordo non era preclusa nessuna
iniziativa, né prima , né dopo l’omologazione dello stesso, con la possibilità
quindi di proporre tanto iniziative esecutive e cautelari, quanto iniziative per la
dichiarazione di fallimento.
In dottrina non si dubita che fra procedura di omologazione dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti e la procedura di fallimento vi sia reciproca
indifferenza, nel senso che nella pendenza del procedimento di
omologazione i creditori che non partecipano all’accordo sono indubbiamente
legittimati a presentare istanza di fallimento del debitore proponente ( come
legittimato appare essere sempre d’ufficio il Pubblico Ministero, ove risulti
manifesta l’insolvenza dell’impresa debitrice), mentre nella pendenza della
procedura per la dichiarazione di fallimento il debitore può depositare nella
cancelleria del tribunale l’accordo di ristrutturazione dei debiti, al fine di
ottenerne l’omologazione.
In tale ipotesi il Tribunale, per decidere se privilegiare la procedura di cui
all’art. 182 bis o quella di fallimento, deve verificare se l’accordo di
ristrutturazione proposto sia o meno idoneo ad eliminare l’insolvenza, vale a
dire se l’accordo raggiunto con la maggioranza qualificata dei creditori, nel
liberare risorse dell’impresa in crisi o insolvente, consenta il regolare
soddisfacimento dei creditori estranei al piano, e quindi il loro integrale
pagamento nei normali termini stabiliti dalle parti contraenti, analogamente a
quanto previsto nell’ipotesi del pactum de non petendo, dovendo il piano
deve essere atto a dimostrare la concreta prevenzione o rimuovibilità
dell’insolvenza, al fine della continuazione della vita dell’impresa.
La Suprema Corte ha infatti più volte affermato la legittimità del pactum de
non petendo, precisando che : “ Al fine della dichiarazione di fallimento,
53
mentre il "pactum de non petendo" tra tutti i creditori ed un imprenditore
societario, con cui i primi consentano una dilazione del pagamento dei loro
crediti, incide "direttamente" sull'inadempimento, escludendo l'insolvenza
della società, l'accordo tra alcuni creditori e la società, nel senso che tali
creditori, oltre a consentire una dilazione dei propri crediti, provvedano a
pagare i debiti della società verso altri creditori, incide solo "indirettamente"
sull'inadempimento, e non esclude l'insolvenza della società, nel caso in cui i
creditori violino il patto nella parte relativa al pagamento dei debiti degli altri
creditori, atteso che lo stato di insolvenza deve essere valutato nella sua
obiettività e che, pertanto, va ritenuto sussistente anche se le cause che
l'hanno determinato non siano imputabili all'imprenditore ( v. Cass.,
8.02.1989, n. 795, Cass., 22.10.1992, n. 11722 e Cass.,19.11.1992, n.
12383), subordinando quindi la validità del patto, ai fini dell’efficacia rimottiva
dello stato di dissesto, all’unanimità dei consensi e pervenendo invece, in
altra risalente pronunzia, all’affermazione che l’assenza di unanimità dei
consensi non doveva ritenersi preclusiva della rimozione dell’insolvenza, a
condizione che il debitore fornisse la prova che tale situazione era venuta a
cessare, in conseguenza dell’accordo con una parte del ceto creditorio ( cfr.
Cass. 26.10.1990, n. 1349);
Sotto tale profilo si è anche notato come la regola che il deposito dell’accordo
di ristrutturazione dei debiti, non valga a sospendere la decisione del
Tribunale sull’istanze di fallimento, nel frattempo presentate dai creditori,
possa trovare un contemperamento nella previsione della legge fallimentare
della possibilità per il debitore - in tale frangente - di presentare una proposta
di concordato preventivo, che consenta di sospender le azioni esecutive
individuali e anche concorsuali, dato che dopo il deposito della domanda di
concordato le istanze di fallimento devono ritenersi improcedibili ( v. Trib.
Milano, 2.02.1978, in Giur. Comm., 1979, II, 101 e Trib. Roma, 30.12.1987, in
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Dir. Fall, 1988, II, 559), salvo che non possano rilevare come elementi volti a
sollecitare il procedimento ex art. 173 l. fall.
Per contro secondo la giurisprudenza nel caso in cui sia stata
preventivamente presentata l’istanza di fallimento e poi venga depositata la
domanda di concordato preventivo, il Tribunale deve deliberare previamente
sulla seconda e ove questa venga accolta l’istanza di fallimento deve essere
dichiarata improcedibile ( v. App. Ancona, 17.11.1981, in Dir. Fall., 1983, II,
708, App. Napoli, 24.05.1974, in Foro Pad., 1976, I, 167).
L’esigenza di offrire al debitore un ombrello protettivo durante il tempo
intercorrente fra il deposito dell’accordo e la sua omologazione ha spinto
pertanto il legislatore a inserire un nuovo secondo comma nell’art. 182 bis,
che prevede l’esclusione per un periodo massimo di sessanta giorni dalla
data di pubblicazione dell’accordo per i creditori per titolo e causa anteriore a
tale data di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio
del debitore, con applicazione anche della regola dettata dall’art. 168
secondo comma in tema di decadenza e prescrizione.
Da più parti si era notato come proprio l’aggredibilità del patrimonio
costituisse il principale ostacolo alla proposizione di accordi di ristrutturazione
dei debiti. La protezione automatica del patrimonio del debitore, come ha
modo di spiegare la relazione alla legge, risulta funzionale all’attuazione
dell’accordo e in particolare alla sua idoneità ad assicurare il pagamento dei
creditori estranei, ovviando ad una delle questioni che potevano aver reso
poco conveniente il ricorso a tale procedura.
Una ulteriore disposizione innovativa è stata introdotta nell’art. 182 ter l. fall.
con l’estensione della transazione fiscale anche agli accordi di ristrutturazione
dei debiti, con la disciplina del procedimento di presentazione dell’istanza e
del rilascio dell’eventuale assenso dell’amministrazione finanziaria che deve
necessariamente intervenire nel termine di trenta giorni dal deposito della